interesting aspect touched upon in this con- textis

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interesting aspect touched upon in this contextis Porphyry’s negative stance towards
certain forms of ritual, an attitude worth
comparing with contemporary Christian
(and Gnostic) redefinitions of the notion of
δαίμων (see pp. 208-215).
The last chapter of the book tackles the
personal or inner dimension of Platonic daemonology, a problem informed not only by
Plato’s repeated reference to the daemon of
Socrates, but also by the identification
ofνοῦς and δαίμων in Timaeus90a. Here again, Timotin proceeds chronologically and
lays special emphasis on the Middle and Neoplatonic instantiations of these teachings,
especially those found in Plutarch, Apuleius,
Plotinus and Proclus. The survey shows
that, in the Imperial Age and in Late Antiquity, several questions arose from the attempt to harmonize some of the apparent inconsistencies in Plato: particularly under debate was the question whether daemons reside “inside” or “outside” the soul and what
the means were of “perceiving” them. Plotinus thus emerges as a stronger advocate of a
purely interiorized cult of the intellect, while
Iamblichus and Proclus exhibit a lively interest for concrete visionary experiences (see
e.g. Hecate’s luminous appearancementioned in The Life of Proclus).
Despite certain disadvantages that any
overarching study of Antique philosophoumena implies (such as an uneven treatment
of all important authors or, in some cases,
the unscrutinized acceptance of the “broad
consensus” of scholarship), La démonologie
platonicienne is one of those long awaited
syntheses that will help enhance our underISSUE VII – NUMBER 1 – SPRING 2015
standing of the more ambiguous terms employed by the Platonic tradition. As an essential category of Platonic thought, the
μεταξύ once commented upon by Souilhé
(and of which the daemon is the most obvious representative), finds in Timotin’s
work a new ground to be redefined and reconsidered upon. Therefore, the rigorous
analysis displayed in the book will hopefully
be succeeded by complementary studies in
the realm of metaphysics, theology and
comparative religion.
Adrian Pirtea
Freie Universität Berlin
Ornella Pompeo Faracovi, Lo specchio alto. Astrologia e filosofia fra
Medioevo e prima età moderna (Fabrizio Serra Editore: Pisa, 2012).
A
seguire la fantasia etimologica di
Isidoro di Siviglia, l’uomo, in greco anthropos, deriverebbe il suo
nome dalla capacità di volgere il suo sguardo
verso l’alto (anatrepo)8. Verso gli astri.
L’unico tra gli esseri viventi a potere tanto,
se si esclude il più sapiente contemplatore
del cielo di tutto il creato: il gallo. Anche
questo straordinario animale, infatti, può
drizzare la testa in su, osservare le rivoluzioni celesti e scandirne col canto, preciso come
8
Cfr. ISIDORO DI SIVIGLIA, Etym. XI.1, 5:
«Graeci autem hominem “anthropon” appellaverunt,
eo quod sursum spectet sublevatus ab humo ad contemplationem artificis sui».
PHILOSOPHICAL READINGS
170 un metronomo, le diverse fasi9. Ma questa è
storia a parte, perché l’intimità con la volta
celeste è nel gallo naturale, irriflessa. La luna, il sole e le altre stelle parlano la sua lingua. Esso non deve fare altro che ascoltare e,
come stregato, rispondere alla loro chiamata10.
Non così per l’uomo. Rivolti gli occhi in
alto, a lui lo spettacolo del firmamento rimarrebbe misterioso, se non indagasse quanto visto con la sua ragione. Se non lo misurasse. Se non lo riducesse a numero; a musica; dunque a scienza11. Vengono in mente i
nomi di Pitagora e di Platone, che avevano
riempito gli immensi spazi del cielo di concerti meravigliosi. Ma si pensi anche a Tolomeo, il più autorevole degli astrologi della
tradizione, il quale definì un sapere saldo e
invariabile lo studio teorico del posizionamento degli astri, degli aspetti reciproci che
essi vengono ad assumere tra loro, e con la
terra, nel corso dei loro movimenti.
Ma l’uomo, si sa, non è solo ragione. E a
questo aspetto dell’analisi del cielo, come
leggiamo sempre in Tolomeo, se ne affianca
un altro. Meno autosufficiente, meno «scientifico», più simile a un’arte (techne). Quella
di investigare gli influssi che questi corpi
matematicamente allacciati l’uno all’altro esercitano sulla terra. Noi la chiamiamo astro 9
Cfr. PLINIO IL VECCHIO, Nat. hist. X.24, 46-47.
10
Cfr. ELIANO Nat. anim. IV.29.
11
Come aveva insegnato Platone, facendo leva su
un’altra fantastica etimologia, l’uomo è tale perché esamina, riflette su ciò su cui ha posto lo sguardo (anathron ha opope), cfr. Id., Cratyl. 399c.
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logia, Tolomeo apotelesmatica, lo studio degli effetti (apotelesmata) delle stelle (p. 24)12.
Se l’astronomia è sapere alto, che non si
cura se non di se stesso, l’apotelesmatica è
invece arte mediana (scientia media la definirà Tommaso d’Aquino), la quale si occupa
di decifrare i legami tra alto e basso, di comprendere in che modo la danza celeste influisca sul mondo terreno. Essa dunque non avrà la precisione propria della scienza astronomica, ma non per questo si tratta di cosa
di poco conto. Giacché dal modo in cui vengono interpretate queste invisibili relazioni
dipende uno dei problemi filosoficoteologici più delicati, quello della libertà. Più
si concede al potere di causazione dei corpi
celesti, infatti, meno spazio viene lasciato
all’uomo, al suo libero arbitrio, alla sua capacità di decidere, alla sua volontà. Sino a
giungere alla configurazione di un ordine
mondano in cui nulla accade che non sia stabilito dalle stelle, ministre di un fato inoppugnabile. Posizione che caratterizza un ap 12
Da non confondere con l’astromantica, antica pratica divinatoria che cercava di leggere nelle stelle un
pronostico del futuro, in un rapporto unilaterale tra
singola osservazione dell’astro ed evento, tra segno e
presagio: «se il cielo si oscura, l’anno sarà cattivo», e
così via. L’astrologia, infatti, deve avere alle spalle
una scienza complessa, ha bisogno che il cielo sia già
una mappa divisa in sezioni, ben ordinata. Come ogni
vera arte, essa è applicazione di principi razionali. Per
disegnare un tema natale, non basta infatti osservare
un’eclisse, o il movimento di un singolo pianeta; occorre avere già a disposizione un cerchio zodiacale
«inteso come costruzione matematica che consente di
misurare lo spostamento del Sole e dei pianeti rispetto
a 12 sezioni di 30 gradi ciascuna» (p. 15).
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proccio astrologico stoicizzante, di cui troviamo esempi in Manilio e Vettio Valente.
Approccio da cui in molti degli astrologi di
epoca antica e tardo-antica presero le distanze. Dallo stesso Tolomeo, il quale stabilì
d’affidare agli astri solo il ruolo di cause parziali «compatibili con i margini di indeterminazione propri delle materie terrestri e con
l’autonoma iniziativa umana» (p. 10), a numerosi pensatori cristiani e neoplatonici, per
i quali i corpi celesti si limitirebbero a fornire
segni di eventi futuri, senza esserne causa
vincolante.
Lo scontro tra queste diverse posizioni fu
arduo. Per certi versi drammatico. In gioco,
lo ripetiamo, era il ruolo dell’uomo nel
mondo, la sua «tranquillità», il suo rapporto
con il piano della provvidenza divina – se
vogliamo, la sua stessa umanità (p. 61). Soprattutto, però, tale vicenda fu duratura. Essa non si esaurì infatti in età tardo-antica.
Anzi, in seguito conobbe grandiosi e proficui
sviluppi, investendo la cultura bizantina, diffondendosi poi in quella di lingua araba, per
tornare infine di grande attualità nelle terre
in cui si parlava latino, tra XII e XIII sec.,
grazie alle traduzione dei trattati arabi. Ritorno tanto prepotente da incidere in profondità sulla cultura occidentale, almeno fino
al Seicento inoltrato.
La fortuna dell’astrologia tra Medioevo
ed età moderna non è stata però oggetto di
studi d’insieme, tali da rendere un quadro
accurato dei suoi sviluppi, delle sue connessioni con le altre scienze, della sua importanza per orientarsi in questo periodo di ridefinizione della carta del sapere Occidentale.
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171 Da qui la rilevanza del libro di Ornella
Pompeo Faracovi, Lo specchio alto, uscito nel
2012 per i tipi dell’editore Fabrizio Serra, il
cui intento è proprio quello di colmare simile
lacuna, o di iniziare a farlo13. Obiettivo, diciamolo subito, raggiunto con successo, grazie a un lavoro filologico ed esegetico in cui
l’attenzione per i dettagli non limita il respiro generale dell’opera.
Il volume si struttura in dodici capitoli,
ognuno dei quali dedicato a un autore o testo
cruciale di questa storia. Tessere che danno
vita a un mosaico sfaccettato, in cui notizie
delle biografie e delle bibliografie di cultori
dell’astrologia più o meno noti, si trovano
accanto a uno studio attento dei loro testi
fondamentali e dei «termini» chiave del loro
lessico. Particolarmente apprezzabile è il lavoro condotto sulle fonti, cui si accompagna
un notevole sforzo interpretativo, che permette di delineare con ordine le principali
correnti dell’astrologia latina, di individuare
i nodi ancora da sciogliere, e di aprire nuove
prospettive di ricerca.
Il merito più grande, a nostro avviso, risiede però nella capacità della Faracovi di
mostrare l’intima connessione, in età rinascimentale, tra astrologia e pensiero filosofico (come suggerisce già il sottotitolo
dell’opera). Cosa che fa di questo volume
non solo un manuale essenziale per chi voglia capire di più della storia dell’arte di U 13
Certo, non si tratta del primo contributo dell’autrice
in tale direzione. In quest’opera, infatti, la Faracovi
approfondisce, completa e corregge spunti presenti in
uno studio precedente (Id. Scritto negli astri.
L’astrologia nella cultura occidentale, Venezia 1996).
PHILOSOPHICAL READINGS
172 rania, ma anche uno strumento necessario
per comprendere più in profondità i problemi di ordine speculativo propri di
quest’epoca.
Il testo si apre con una premessa in cui
vengono indagate le origini dell’astrologia
genetliaca, la sua distinzione dalle tecniche
astromantiche più antiche e la sua connessione con la scienza astronomica. Temi affrontati, più diffusamente, nel lavoro precedente della Faracovi sopra ricordato (cfr. n.
6). Superato questo vestibolo, si entra nel
vivo del testo. Il primo capitolo è uno studio
dello Speculum astronomiae, scritto composto
intorno al 1260, il cui autore è stato considerato per lungo tempo Alberto Magno. Testo
decisivo, perché si presenta quale bussola offerta al cristiano per orientarsi nel mondo
variegato e curioso dei testi astrologici in
lingua araba tradotti in quell’epoca. Sì, perché insieme ai testi di autentica astrologia,
fecero il loro ingresso in Occidente, sotto la
parvenza di opere di scienza celeste, anche
libelli pericolosi – almeno per il buon cristiano –, in cui si trovavano descritte pratiche magiche di dubbia ortodossia, quando
non veri e propri manuali di negromanzia.
Lo Speculum traccia confini, separa lecito da
illecito, documenta le diverse tecniche astrologiche, mostrando quali di esso siano compatibili e quali no con la dottrina cristiana –
sebbene ammetta il ricorso alle immagine astronomiche, poi condannato dai maestri parigini, ovvero a quelle figure magiche costruite, «sotto influssi favorevoli, in un momento astronomicamente determinato», allo
scopo di catturare potenze celesti (p. 27). Ritroviamo in quest’opera la distinzione tra
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due forme di sapere relative allo studio del
cielo. Una teorica e una pratica. La seconda,
l’«apotelesmatica» di Tolomeo, viene definita dall’autore, con termine destinato ad avere
grandissima fortuna, «astronomia giudiziaria»14. E con tale distinzione, a tornare è la
questione relativa al ruolo da attribuire a
questo secondo aspetto, quello non scientifico: in altri termini, occorreva stabilire il peso
effettivo dell’influenza astrale sulle cose materiali. Punto quanto mai delicato agli occhi
di un cristiano, come si può ben immaginare.
La soluzione dello speculum, come sottolinea
l’autrice, combacia, in questo caso, con quelle, autorevoli e influenti, proposte da Alberto Magno e da Tommaso d’Aquino. La loro
tesi, a grandi linee, è questa: i corpi celesti
predispongono la natura dell’uomo, la inclinano verso certe passioni, la rendono più o
meno irascibile, più o meno concupiscibile.
Ma l’anima razionale può non seguirle, può
resistere a esse, elevandosi al di sopra del piano passionale. È in questa «scelta» che si
definisce il carattere morale della vita di ognuno, il suo essere buono o cattivo, sapiente o ignorante, uomo o bestia. L’astrologia si
rivela tanto efficace perché in molti seguono
ciecamente la loro stella (i.e. le loro pulsioni
corporee), ne rimangono imprigionati, senza
riuscire a rinunciare a essa. Ma il sapiente,
affidata all’intelletto la guida, giungerà a
«dominare le stelle», ovvero le proprie pas 14
Là dove iudicium rende l’arabo ahkam. Si tratta di
un esempio tra i più eclatanti di come il lessico
dell’astrologia occidentale si ridefinisca a partire dal
confronto con i testi arabi.
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sioni, liberandosi dalla prigione del fato (pp.
25-26).
Come testimoniano simili prese di posizione, dunque, il dibattito relativo all’astrologia coinvolse le più grandi autorità
dell’epoca. Ma la storia di quest’arte è fatta
anche di personaggi meno noti, almeno ai
non esperti. Come quel Guido Bonatti, autore di un’introduzione all’astrologia – il Liber
introductorius ad iudicia stellarum (1277) – rivolto a un vasto pubblico di interessati, che
conobbe grande fortuna editoriale, cui non si
accompagnò però altrettanto apprezzamento
da parte degli avversari del fatalismo astrale
(lo attaccarono in molti, da Dante a Pico, sino a Campanella). O ancora quel curioso
viaggiatore gentiluomo, il genovese Andalò
di Negro, maestro in astronomia del Boccaccio. Figure cui la Faracovi dedica due bei
profili (cap. II-III), in cui vengono analizzati
anche gli aspetti più eterodossi dei loro studi
astrologici (in particolare il loro ricorso alle
tecniche dell’astrologia oraria) .
Traghettati da queste figure oltre i confini temporali del Medioevo, il quarto capitolo
ci porta alla corte di Lorenzo de’ Medici, dove l’astrologia tornò a giocare un ruolo di rilievo, in particolare nel cenacolo che si raccoglieva attorno alla figura di Marsilio Ficino, grande traduttore e divulgatore della sapienza platonica, e al contempo attento studioso del mondo delle stelle. L’interesse di
Marsilio è testimoniano in numerose sue opere, ricche di riferimenti astrologici di varia
natura, ora relativi al suo oroscopo personale
(soprattutto nelle lettere), ora al rapporto tra
provvidenza, fato e natura (v. la Theologia
platonica), ora agli aspetti diagnostici propri
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173 di quest’arte (v. il De vita libri tres). Numerosi, certo, ma non sempre coerenti, almeno
in apparenza. Tanto da far pensare che il
giudizio di Marsilio nei confronti dell’astrologia non sia rimasto sempre il medesimo.
Ragione per cui si è potuto parlare di
un’incoerenza e debolezza delle posizioni di
Ficino sul tema (v. E. Weil), quando non di
una loro vera e propria inconsistenza (v. D.
P. Walker). A favorire simili valutazioni sono stati, in particolare, due scritti:
l’incompiuta Disputatio contra iudicium astrologorum e la lettera Quid sentiat de Astrologia,
indirizzata al Poliziano, testo nel quale lo
stesso poeta di Montepulciano era giunto a
riconsocere, con certo compiacimento, un
ravvedimento di Marsilio (sebbene, come
mostra la Faracovi, le parole di Ficino non
lascino molto spazio a una simile interpretazione).
Per venire a capo di una faccenda tanto
complessa, l’autrice sceglie l’unica via percorribile. Quella di una recensione e analisi
complessiva dei riferimenti astrologici disseminati nelle opere di Ficino. Operazione
che conduce a una conclusione su cui ci sentiamo di concordare pienamente. Quelle che
sembrano ipotesi tra loro in contrasto si rivelano, in realtà, il riflesso di una diversa e innovativa applicazione, in sede di analisi degli
oroscopi individuali, di una teoria unitaria e
coerente, quella plotiniana degli astri-segni.
Applicazione che consentirebbe, nei riferimenti astrali «di vedere altrettante cifre dei
diversi aspetti dell’anima» (p. 68). Questo
approccio, caratterizzato da un intreccio di
motivi platonici (quello del demone toccato
in sorte a ognuno di noi) e platonicoPHILOSOPHICAL READINGS
174 cristiani (separazione tra piano provvidenziale e piano del fato), trasforma così
l’astrologia in un sapere relativo all’anima.
Conoscere la propria stella, per un uomo, significa fare più chiarezza su ciò che egli è
«predisposto» a compiere. A lui spetta perciò
seguirla, perché è solo consacrarando ogni
sforzo alla realizzazione del proprio destino
che gli sarà possibile superarlo, che gli sarà
cioè possibile uscire dall’orizzonte naturale,
e trovare così, ormai libero dalle catene del
mondo, la vera felicità. Se rettamente «seguita», dunque, la vocazione «fatale» di ognuno si trasforma in un percorso «provvidenziale». Questo il cuore dell’insegnamento
astrologico di Marsilio, elaborato nel corso
degli anni, ma mai sostanzialmente rigettato.
Si passa poi al capitolo che prende le mosse dall’ultima opera di Pico della Mirandola,
l’altro filosofo di spicco della Firenze laurenziana. Si tratta del celebre attacco all’astrologia, sicuramente ispirato da Savonarola,
lasciato incompiuto, e mandato alle stampe,
in seguito a un lavoro di revisione da parte
del nipote e di Giovanni Mainardi, nel 1496
(due anni dopo la morte del Mirandolano).
Pubblicazione che, causa l’autorevolezza e la
fama dell’autore, e la radicalità delle posizioni in essa sostenute, suscitò presto un gran
polverone. Lo dimostrano le repentine repliche di Bellanti e del grande umanista Pontano, che criticarono l’opera su più fronti, giudicandola per nulla all’altezza della più promettente delle menti dell’epoca.
Evocando questa costellazione di autori ci
troviamo già nella temperie del XVI secolo,
in cui a caratterizzare il pensiero astrologico,
seguendo la Faracovi, sarebbe un prepotente
PHILOSOPHICAL READINGS
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movimento di ritorno a Tolomeo. A una visione, dunque, meno influenzata dalla magia
ermetica e dalla mediazione araba, capace sia
di allontanarsi dagli eccessi neoplatonici ficiniani, sia di ridonare all’astrologia la sua
dignità e razionalità, sottraendola alle mani
di indovini e ciarlatani di vario genere. In
questo filone si possono annoverare nomi
del calibro di Agostino Nifo e di Melantone,
del già citato Pontano e di Cardano (cap.
VII).
Certo, vi furono anche eccezioni. E di
grande rilievo. Si pensi ad Agrippa di Nettesheim, e al suo tentativo di legittimare la
magia astrale in veste cristiana (p. 122), ma
soprattutto a Giordano Bruno (che rifiuterà
in toto l’astrologia genetliaca, recuperando
invece un diverso aspetto di quest’arte) e a
Tommaso Campanella (cap. XI).
È proprio al Nolano, a nostro avviso, che
sono dedicati i capitoli più affascinanti
dell’opera della Faracovi. E forse i più importanti. In essi, infatti, l’autrice riapre una
questione oscura del pensiero bruniano, legata sì all’astrologia, ma che presenta ricadute ben più ampie. Quella del significato e
dell’esatta valenza delle diverse «immagini»
astrali evocate da Bruno in un passo del De
umbris idearum (e in seguito a una pagina del
De rerum principiis). Rifacendosi all’antica
sapienza di Babilonesi e Caldei, il Nolano ne
enumera ben 83. 7 sono le immagini che rimandano alle virtù planetarie, 48 quelle che
significano invece le virtù dei segni (i 12 segni zodiacali e le 36 figure che identificano le
costellazioni extra-zodiacali), 28 quelle relative alle mansioni della luna. Per comprendere correttamente questi riferimenti, la FaISSUE VII – NUMBER 1 – SPRING 2015
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racovi propone una preliminare analisi della
terminologia tecnica qui adottata – che più
di una difficoltà ha presentato agli esegeti
moderni –, passo necessario per indirizzare
correttamente l’esegesi del testo. Il vocabolo
chiave, in questo caso, è quello di imagines,
termine da maneggiare con attenzione, dal
momento che può sì descrivere, nel senso
con cui qui lo usa Bruno, le immagini celesti
(imagines coelestes), ovvero quelle figure che
racchiudono, nei loro confini, gruppi di stelle fisse collegate tra loro (stabilite affinché
nessuna stella «potesse sfuggire alla considerazione scientifica, e tutte potessero essere
indicate univocamente, secondo ordine e
numero», p. 128), ma anche le immagini astronomiche (imagines astronomicae), ovvero
quelle figure «atte a trattenere la virtus impressa dai cieli» (p. 133), utilizzate per pratiche magiche.
La confusione tra queste due tipologie di
immagini, afferma la Faracovi, si trova alla
base di una spesso superficiale ed errata sovrapposizione tra astrologia e magia. Difficile sottolineare abbastanza l’importanza di
questa affermazione. Essa, infatti, se tenuta
quale presupposto delle ricerche sull’arte
della memoria bruniana, consentirà di liberarsi dalle ingenuità di chi, sulla scorta di F.
Yates, ha ricondotto quest’arte bruniana della memoria principalmente al campo della
magia (p. 135), mancando così di comprendere la sua marcata valenza astrologica.
Fatta chiarezza su questo punto, l’autrice
passa in rassegna gli altri riferimenti astrologici disseminati nelle opere di Bruno. Analisi
che le consente di mettere in luce ciò che
contraddistingue l’attitudine del Nolano nei
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175 confronti dell’arte di Urania, ossia il suo interesse per quegli aspetti che permettono di
decifrare il ritmo della vicissitudine delle cose, di cogliere «la ragione e il principio della
virtù e dell’efficacia manifestate da ciascun
tempo» (p. 129). Giacché «nella grandiosa
prospettiva di un universo nel quale tenebre
e luce, morte e vita si susseguono in un processo opposizionale, secondo il fato onnipotente e irrefragabile della mutazione, ciò che
conta non è tanto individuare le condizioni
di ogni singola esistenza, quanto piuttosto il
nesso che collega l’una e l’altra vita, l’una e
l’altra singola determinazione»15. Il suo è approccio filosofico, dunque, non scientifico,
come spiega bene l’autrice, cui conviene qui
lasciare ancora una volta la parola: «Quelle
che guidano il suo percorso sono ragioni filosofiche, non astrologiche. Attengono da
un lato alla concezione dell’esistenza individuale come momento di una vicissitudo rerum
in cui essa perde la centralità assegnatale dai
genetliaci; si riportano dall’altro lato alla valorizzazione del significato metafisico della
ruota del tempo. Bruno sembra dunque passare in qualche modo attraverso l’astrologia,
decostruendola e recuperando schemi più
antichi di ordinamento, di successione temporale. Il suo è un cammino a ritroso, verso
la fase germinale delle ricerche astrali mesopotamiche ed egizie … Fedele ad una esigenza di ritorno ad una indagine astrale pretolemaica, e forse persino pre-astrologica, ritrovata attraverso il frequente richiamo ai
15
O. POMPEO FARACOVI, Scritto negli astri cit.,
p. 258.
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“Chaldaei” ma in verità figlia anche della
più antica cultura egizia, in quelle figure celesti Bruno vedeva forse fin dall’inizio in
primo luogo qualcosa d’altro: il loro originario essere figure, trasfigurazioni, metamorfosi del tempo» (p. 140).
Il volume si chiude con un dono per i cultori, o semplici appassionati d’astrologia. Lo
studio degli oroscopi personali di Ficino,
Cardano, Bruno e Campanella, in cui
l’analisi degli astri diventa parte integrante
delle biografie di questi grandi filosofi. A
formare una piccola appendice iconografica
sono poi quattro immagini. Sezione che si
sarebbe desiderata più ampia e comprensiva.
In conclusione, il testo può essere accolto
come un invito a un approccio allo studio
dell’astrologia libero da pregiudizi che hanno viziato le ricerche in proposito, anche
quelle condotte dagli studiosi più autorevoli.
La speranza è che la sfida venga accolta, e
che quest’opera possa rivelarsi, in futuro,
quale un passo importante verso uno studio
complessivo delle problematiche astrologiche nella cultura occidentale.
Raphael Ebgi
Institut für Judaistik, Freie Universität Berlin
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Médicine, astrologie et magie entre
Moyen Âge et Renaissance: autour
de Pietro d’Abano, textes réunis par
Jean-Patrice Boudet, Franck Collard
et Nicolas Weill-Parot (Edizioni del
Galluzzo: Firenze, 2013).
I
l volume raccoglie gli atti del convegno
internazionale svoltosi all’École Pratique des Hautes Études (IVe section) il
29-30 ottobre 2006, dedicato alla figura e
l’opera del medico astrologo Pietro
d’Abano. Va detto subito che l’accoglienza
all’interno della prestigiosa collana Micrologus’ Library delle recenti acquisizioni su questioni mediche, astrologiche e magiche legate alla speculazione dell’Aponense, mette a
disposizione degli studiosi uno strumento utilissimo e indispensabile a chiunque voglia
approfondire l’opera e il pensiero di uno dei
più stimolanti e problematici pensatori del
XIII secolo.
Dopo l’esauriente Introduction dei curatori, apre la raccolta un saggio di Graziella Federici Vescovini, con uno studio su
L’astrologie comme science théorique, rationelle
et autorisèe dans le Lucidator de Pietro
d’Abano, volto ad illustrare il senso in cui
debba intendersi la scientia astrorum, nelle
sue partizioni interne di scientia de motibus e
scientia de iudiciis. Conferire statuto epistemologico all’astronomia/astrologia, considerata al contempo come ars, costituisce uno
degli obiettivi privilegiati del Lucidator dubitabilium astronomiae del filosofo aponense.
La chiave per comprendere le argomentazioni di Pietro va ravvisata – rileva la studiosa – nel ricorso che Pietro fa alla tripartiISSUE VII – NUMBER 1 – SPRING 2015
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