169 REVIEWS interesting aspect touched upon in this contextis Porphyry’s negative stance towards certain forms of ritual, an attitude worth comparing with contemporary Christian (and Gnostic) redefinitions of the notion of δαίμων (see pp. 208-215). The last chapter of the book tackles the personal or inner dimension of Platonic daemonology, a problem informed not only by Plato’s repeated reference to the daemon of Socrates, but also by the identification ofνοῦς and δαίμων in Timaeus90a. Here again, Timotin proceeds chronologically and lays special emphasis on the Middle and Neoplatonic instantiations of these teachings, especially those found in Plutarch, Apuleius, Plotinus and Proclus. The survey shows that, in the Imperial Age and in Late Antiquity, several questions arose from the attempt to harmonize some of the apparent inconsistencies in Plato: particularly under debate was the question whether daemons reside “inside” or “outside” the soul and what the means were of “perceiving” them. Plotinus thus emerges as a stronger advocate of a purely interiorized cult of the intellect, while Iamblichus and Proclus exhibit a lively interest for concrete visionary experiences (see e.g. Hecate’s luminous appearancementioned in The Life of Proclus). Despite certain disadvantages that any overarching study of Antique philosophoumena implies (such as an uneven treatment of all important authors or, in some cases, the unscrutinized acceptance of the “broad consensus” of scholarship), La démonologie platonicienne is one of those long awaited syntheses that will help enhance our underISSUE VII – NUMBER 1 – SPRING 2015 standing of the more ambiguous terms employed by the Platonic tradition. As an essential category of Platonic thought, the μεταξύ once commented upon by Souilhé (and of which the daemon is the most obvious representative), finds in Timotin’s work a new ground to be redefined and reconsidered upon. Therefore, the rigorous analysis displayed in the book will hopefully be succeeded by complementary studies in the realm of metaphysics, theology and comparative religion. Adrian Pirtea Freie Universität Berlin Ornella Pompeo Faracovi, Lo specchio alto. Astrologia e filosofia fra Medioevo e prima età moderna (Fabrizio Serra Editore: Pisa, 2012). A seguire la fantasia etimologica di Isidoro di Siviglia, l’uomo, in greco anthropos, deriverebbe il suo nome dalla capacità di volgere il suo sguardo verso l’alto (anatrepo)8. Verso gli astri. L’unico tra gli esseri viventi a potere tanto, se si esclude il più sapiente contemplatore del cielo di tutto il creato: il gallo. Anche questo straordinario animale, infatti, può drizzare la testa in su, osservare le rivoluzioni celesti e scandirne col canto, preciso come 8 Cfr. ISIDORO DI SIVIGLIA, Etym. XI.1, 5: «Graeci autem hominem “anthropon” appellaverunt, eo quod sursum spectet sublevatus ab humo ad contemplationem artificis sui». PHILOSOPHICAL READINGS 170 un metronomo, le diverse fasi9. Ma questa è storia a parte, perché l’intimità con la volta celeste è nel gallo naturale, irriflessa. La luna, il sole e le altre stelle parlano la sua lingua. Esso non deve fare altro che ascoltare e, come stregato, rispondere alla loro chiamata10. Non così per l’uomo. Rivolti gli occhi in alto, a lui lo spettacolo del firmamento rimarrebbe misterioso, se non indagasse quanto visto con la sua ragione. Se non lo misurasse. Se non lo riducesse a numero; a musica; dunque a scienza11. Vengono in mente i nomi di Pitagora e di Platone, che avevano riempito gli immensi spazi del cielo di concerti meravigliosi. Ma si pensi anche a Tolomeo, il più autorevole degli astrologi della tradizione, il quale definì un sapere saldo e invariabile lo studio teorico del posizionamento degli astri, degli aspetti reciproci che essi vengono ad assumere tra loro, e con la terra, nel corso dei loro movimenti. Ma l’uomo, si sa, non è solo ragione. E a questo aspetto dell’analisi del cielo, come leggiamo sempre in Tolomeo, se ne affianca un altro. Meno autosufficiente, meno «scientifico», più simile a un’arte (techne). Quella di investigare gli influssi che questi corpi matematicamente allacciati l’uno all’altro esercitano sulla terra. Noi la chiamiamo astro 9 Cfr. PLINIO IL VECCHIO, Nat. hist. X.24, 46-47. 10 Cfr. ELIANO Nat. anim. IV.29. 11 Come aveva insegnato Platone, facendo leva su un’altra fantastica etimologia, l’uomo è tale perché esamina, riflette su ciò su cui ha posto lo sguardo (anathron ha opope), cfr. Id., Cratyl. 399c. PHILOSOPHICAL READINGS REVIEWS logia, Tolomeo apotelesmatica, lo studio degli effetti (apotelesmata) delle stelle (p. 24)12. Se l’astronomia è sapere alto, che non si cura se non di se stesso, l’apotelesmatica è invece arte mediana (scientia media la definirà Tommaso d’Aquino), la quale si occupa di decifrare i legami tra alto e basso, di comprendere in che modo la danza celeste influisca sul mondo terreno. Essa dunque non avrà la precisione propria della scienza astronomica, ma non per questo si tratta di cosa di poco conto. Giacché dal modo in cui vengono interpretate queste invisibili relazioni dipende uno dei problemi filosoficoteologici più delicati, quello della libertà. Più si concede al potere di causazione dei corpi celesti, infatti, meno spazio viene lasciato all’uomo, al suo libero arbitrio, alla sua capacità di decidere, alla sua volontà. Sino a giungere alla configurazione di un ordine mondano in cui nulla accade che non sia stabilito dalle stelle, ministre di un fato inoppugnabile. Posizione che caratterizza un ap 12 Da non confondere con l’astromantica, antica pratica divinatoria che cercava di leggere nelle stelle un pronostico del futuro, in un rapporto unilaterale tra singola osservazione dell’astro ed evento, tra segno e presagio: «se il cielo si oscura, l’anno sarà cattivo», e così via. L’astrologia, infatti, deve avere alle spalle una scienza complessa, ha bisogno che il cielo sia già una mappa divisa in sezioni, ben ordinata. Come ogni vera arte, essa è applicazione di principi razionali. Per disegnare un tema natale, non basta infatti osservare un’eclisse, o il movimento di un singolo pianeta; occorre avere già a disposizione un cerchio zodiacale «inteso come costruzione matematica che consente di misurare lo spostamento del Sole e dei pianeti rispetto a 12 sezioni di 30 gradi ciascuna» (p. 15). ISSUE VII – NUMBER 1 – SPRING 2015 REVIEWS proccio astrologico stoicizzante, di cui troviamo esempi in Manilio e Vettio Valente. Approccio da cui in molti degli astrologi di epoca antica e tardo-antica presero le distanze. Dallo stesso Tolomeo, il quale stabilì d’affidare agli astri solo il ruolo di cause parziali «compatibili con i margini di indeterminazione propri delle materie terrestri e con l’autonoma iniziativa umana» (p. 10), a numerosi pensatori cristiani e neoplatonici, per i quali i corpi celesti si limitirebbero a fornire segni di eventi futuri, senza esserne causa vincolante. Lo scontro tra queste diverse posizioni fu arduo. Per certi versi drammatico. In gioco, lo ripetiamo, era il ruolo dell’uomo nel mondo, la sua «tranquillità», il suo rapporto con il piano della provvidenza divina – se vogliamo, la sua stessa umanità (p. 61). Soprattutto, però, tale vicenda fu duratura. Essa non si esaurì infatti in età tardo-antica. Anzi, in seguito conobbe grandiosi e proficui sviluppi, investendo la cultura bizantina, diffondendosi poi in quella di lingua araba, per tornare infine di grande attualità nelle terre in cui si parlava latino, tra XII e XIII sec., grazie alle traduzione dei trattati arabi. Ritorno tanto prepotente da incidere in profondità sulla cultura occidentale, almeno fino al Seicento inoltrato. La fortuna dell’astrologia tra Medioevo ed età moderna non è stata però oggetto di studi d’insieme, tali da rendere un quadro accurato dei suoi sviluppi, delle sue connessioni con le altre scienze, della sua importanza per orientarsi in questo periodo di ridefinizione della carta del sapere Occidentale. ISSUE VII – NUMBER 1 – SPRING 2015 171 Da qui la rilevanza del libro di Ornella Pompeo Faracovi, Lo specchio alto, uscito nel 2012 per i tipi dell’editore Fabrizio Serra, il cui intento è proprio quello di colmare simile lacuna, o di iniziare a farlo13. Obiettivo, diciamolo subito, raggiunto con successo, grazie a un lavoro filologico ed esegetico in cui l’attenzione per i dettagli non limita il respiro generale dell’opera. Il volume si struttura in dodici capitoli, ognuno dei quali dedicato a un autore o testo cruciale di questa storia. Tessere che danno vita a un mosaico sfaccettato, in cui notizie delle biografie e delle bibliografie di cultori dell’astrologia più o meno noti, si trovano accanto a uno studio attento dei loro testi fondamentali e dei «termini» chiave del loro lessico. Particolarmente apprezzabile è il lavoro condotto sulle fonti, cui si accompagna un notevole sforzo interpretativo, che permette di delineare con ordine le principali correnti dell’astrologia latina, di individuare i nodi ancora da sciogliere, e di aprire nuove prospettive di ricerca. Il merito più grande, a nostro avviso, risiede però nella capacità della Faracovi di mostrare l’intima connessione, in età rinascimentale, tra astrologia e pensiero filosofico (come suggerisce già il sottotitolo dell’opera). Cosa che fa di questo volume non solo un manuale essenziale per chi voglia capire di più della storia dell’arte di U 13 Certo, non si tratta del primo contributo dell’autrice in tale direzione. In quest’opera, infatti, la Faracovi approfondisce, completa e corregge spunti presenti in uno studio precedente (Id. Scritto negli astri. L’astrologia nella cultura occidentale, Venezia 1996). PHILOSOPHICAL READINGS 172 rania, ma anche uno strumento necessario per comprendere più in profondità i problemi di ordine speculativo propri di quest’epoca. Il testo si apre con una premessa in cui vengono indagate le origini dell’astrologia genetliaca, la sua distinzione dalle tecniche astromantiche più antiche e la sua connessione con la scienza astronomica. Temi affrontati, più diffusamente, nel lavoro precedente della Faracovi sopra ricordato (cfr. n. 6). Superato questo vestibolo, si entra nel vivo del testo. Il primo capitolo è uno studio dello Speculum astronomiae, scritto composto intorno al 1260, il cui autore è stato considerato per lungo tempo Alberto Magno. Testo decisivo, perché si presenta quale bussola offerta al cristiano per orientarsi nel mondo variegato e curioso dei testi astrologici in lingua araba tradotti in quell’epoca. Sì, perché insieme ai testi di autentica astrologia, fecero il loro ingresso in Occidente, sotto la parvenza di opere di scienza celeste, anche libelli pericolosi – almeno per il buon cristiano –, in cui si trovavano descritte pratiche magiche di dubbia ortodossia, quando non veri e propri manuali di negromanzia. Lo Speculum traccia confini, separa lecito da illecito, documenta le diverse tecniche astrologiche, mostrando quali di esso siano compatibili e quali no con la dottrina cristiana – sebbene ammetta il ricorso alle immagine astronomiche, poi condannato dai maestri parigini, ovvero a quelle figure magiche costruite, «sotto influssi favorevoli, in un momento astronomicamente determinato», allo scopo di catturare potenze celesti (p. 27). Ritroviamo in quest’opera la distinzione tra PHILOSOPHICAL READINGS REVIEWS due forme di sapere relative allo studio del cielo. Una teorica e una pratica. La seconda, l’«apotelesmatica» di Tolomeo, viene definita dall’autore, con termine destinato ad avere grandissima fortuna, «astronomia giudiziaria»14. E con tale distinzione, a tornare è la questione relativa al ruolo da attribuire a questo secondo aspetto, quello non scientifico: in altri termini, occorreva stabilire il peso effettivo dell’influenza astrale sulle cose materiali. Punto quanto mai delicato agli occhi di un cristiano, come si può ben immaginare. La soluzione dello speculum, come sottolinea l’autrice, combacia, in questo caso, con quelle, autorevoli e influenti, proposte da Alberto Magno e da Tommaso d’Aquino. La loro tesi, a grandi linee, è questa: i corpi celesti predispongono la natura dell’uomo, la inclinano verso certe passioni, la rendono più o meno irascibile, più o meno concupiscibile. Ma l’anima razionale può non seguirle, può resistere a esse, elevandosi al di sopra del piano passionale. È in questa «scelta» che si definisce il carattere morale della vita di ognuno, il suo essere buono o cattivo, sapiente o ignorante, uomo o bestia. L’astrologia si rivela tanto efficace perché in molti seguono ciecamente la loro stella (i.e. le loro pulsioni corporee), ne rimangono imprigionati, senza riuscire a rinunciare a essa. Ma il sapiente, affidata all’intelletto la guida, giungerà a «dominare le stelle», ovvero le proprie pas 14 Là dove iudicium rende l’arabo ahkam. Si tratta di un esempio tra i più eclatanti di come il lessico dell’astrologia occidentale si ridefinisca a partire dal confronto con i testi arabi. ISSUE VII – NUMBER 1 – SPRING 2015 REVIEWS sioni, liberandosi dalla prigione del fato (pp. 25-26). Come testimoniano simili prese di posizione, dunque, il dibattito relativo all’astrologia coinvolse le più grandi autorità dell’epoca. Ma la storia di quest’arte è fatta anche di personaggi meno noti, almeno ai non esperti. Come quel Guido Bonatti, autore di un’introduzione all’astrologia – il Liber introductorius ad iudicia stellarum (1277) – rivolto a un vasto pubblico di interessati, che conobbe grande fortuna editoriale, cui non si accompagnò però altrettanto apprezzamento da parte degli avversari del fatalismo astrale (lo attaccarono in molti, da Dante a Pico, sino a Campanella). O ancora quel curioso viaggiatore gentiluomo, il genovese Andalò di Negro, maestro in astronomia del Boccaccio. Figure cui la Faracovi dedica due bei profili (cap. II-III), in cui vengono analizzati anche gli aspetti più eterodossi dei loro studi astrologici (in particolare il loro ricorso alle tecniche dell’astrologia oraria) . Traghettati da queste figure oltre i confini temporali del Medioevo, il quarto capitolo ci porta alla corte di Lorenzo de’ Medici, dove l’astrologia tornò a giocare un ruolo di rilievo, in particolare nel cenacolo che si raccoglieva attorno alla figura di Marsilio Ficino, grande traduttore e divulgatore della sapienza platonica, e al contempo attento studioso del mondo delle stelle. L’interesse di Marsilio è testimoniano in numerose sue opere, ricche di riferimenti astrologici di varia natura, ora relativi al suo oroscopo personale (soprattutto nelle lettere), ora al rapporto tra provvidenza, fato e natura (v. la Theologia platonica), ora agli aspetti diagnostici propri ISSUE VII – NUMBER 1 – SPRING 2015 173 di quest’arte (v. il De vita libri tres). Numerosi, certo, ma non sempre coerenti, almeno in apparenza. Tanto da far pensare che il giudizio di Marsilio nei confronti dell’astrologia non sia rimasto sempre il medesimo. Ragione per cui si è potuto parlare di un’incoerenza e debolezza delle posizioni di Ficino sul tema (v. E. Weil), quando non di una loro vera e propria inconsistenza (v. D. P. Walker). A favorire simili valutazioni sono stati, in particolare, due scritti: l’incompiuta Disputatio contra iudicium astrologorum e la lettera Quid sentiat de Astrologia, indirizzata al Poliziano, testo nel quale lo stesso poeta di Montepulciano era giunto a riconsocere, con certo compiacimento, un ravvedimento di Marsilio (sebbene, come mostra la Faracovi, le parole di Ficino non lascino molto spazio a una simile interpretazione). Per venire a capo di una faccenda tanto complessa, l’autrice sceglie l’unica via percorribile. Quella di una recensione e analisi complessiva dei riferimenti astrologici disseminati nelle opere di Ficino. Operazione che conduce a una conclusione su cui ci sentiamo di concordare pienamente. Quelle che sembrano ipotesi tra loro in contrasto si rivelano, in realtà, il riflesso di una diversa e innovativa applicazione, in sede di analisi degli oroscopi individuali, di una teoria unitaria e coerente, quella plotiniana degli astri-segni. Applicazione che consentirebbe, nei riferimenti astrali «di vedere altrettante cifre dei diversi aspetti dell’anima» (p. 68). Questo approccio, caratterizzato da un intreccio di motivi platonici (quello del demone toccato in sorte a ognuno di noi) e platonicoPHILOSOPHICAL READINGS 174 cristiani (separazione tra piano provvidenziale e piano del fato), trasforma così l’astrologia in un sapere relativo all’anima. Conoscere la propria stella, per un uomo, significa fare più chiarezza su ciò che egli è «predisposto» a compiere. A lui spetta perciò seguirla, perché è solo consacrarando ogni sforzo alla realizzazione del proprio destino che gli sarà possibile superarlo, che gli sarà cioè possibile uscire dall’orizzonte naturale, e trovare così, ormai libero dalle catene del mondo, la vera felicità. Se rettamente «seguita», dunque, la vocazione «fatale» di ognuno si trasforma in un percorso «provvidenziale». Questo il cuore dell’insegnamento astrologico di Marsilio, elaborato nel corso degli anni, ma mai sostanzialmente rigettato. Si passa poi al capitolo che prende le mosse dall’ultima opera di Pico della Mirandola, l’altro filosofo di spicco della Firenze laurenziana. Si tratta del celebre attacco all’astrologia, sicuramente ispirato da Savonarola, lasciato incompiuto, e mandato alle stampe, in seguito a un lavoro di revisione da parte del nipote e di Giovanni Mainardi, nel 1496 (due anni dopo la morte del Mirandolano). Pubblicazione che, causa l’autorevolezza e la fama dell’autore, e la radicalità delle posizioni in essa sostenute, suscitò presto un gran polverone. Lo dimostrano le repentine repliche di Bellanti e del grande umanista Pontano, che criticarono l’opera su più fronti, giudicandola per nulla all’altezza della più promettente delle menti dell’epoca. Evocando questa costellazione di autori ci troviamo già nella temperie del XVI secolo, in cui a caratterizzare il pensiero astrologico, seguendo la Faracovi, sarebbe un prepotente PHILOSOPHICAL READINGS REVIEWS movimento di ritorno a Tolomeo. A una visione, dunque, meno influenzata dalla magia ermetica e dalla mediazione araba, capace sia di allontanarsi dagli eccessi neoplatonici ficiniani, sia di ridonare all’astrologia la sua dignità e razionalità, sottraendola alle mani di indovini e ciarlatani di vario genere. In questo filone si possono annoverare nomi del calibro di Agostino Nifo e di Melantone, del già citato Pontano e di Cardano (cap. VII). Certo, vi furono anche eccezioni. E di grande rilievo. Si pensi ad Agrippa di Nettesheim, e al suo tentativo di legittimare la magia astrale in veste cristiana (p. 122), ma soprattutto a Giordano Bruno (che rifiuterà in toto l’astrologia genetliaca, recuperando invece un diverso aspetto di quest’arte) e a Tommaso Campanella (cap. XI). È proprio al Nolano, a nostro avviso, che sono dedicati i capitoli più affascinanti dell’opera della Faracovi. E forse i più importanti. In essi, infatti, l’autrice riapre una questione oscura del pensiero bruniano, legata sì all’astrologia, ma che presenta ricadute ben più ampie. Quella del significato e dell’esatta valenza delle diverse «immagini» astrali evocate da Bruno in un passo del De umbris idearum (e in seguito a una pagina del De rerum principiis). Rifacendosi all’antica sapienza di Babilonesi e Caldei, il Nolano ne enumera ben 83. 7 sono le immagini che rimandano alle virtù planetarie, 48 quelle che significano invece le virtù dei segni (i 12 segni zodiacali e le 36 figure che identificano le costellazioni extra-zodiacali), 28 quelle relative alle mansioni della luna. Per comprendere correttamente questi riferimenti, la FaISSUE VII – NUMBER 1 – SPRING 2015 REVIEWS racovi propone una preliminare analisi della terminologia tecnica qui adottata – che più di una difficoltà ha presentato agli esegeti moderni –, passo necessario per indirizzare correttamente l’esegesi del testo. Il vocabolo chiave, in questo caso, è quello di imagines, termine da maneggiare con attenzione, dal momento che può sì descrivere, nel senso con cui qui lo usa Bruno, le immagini celesti (imagines coelestes), ovvero quelle figure che racchiudono, nei loro confini, gruppi di stelle fisse collegate tra loro (stabilite affinché nessuna stella «potesse sfuggire alla considerazione scientifica, e tutte potessero essere indicate univocamente, secondo ordine e numero», p. 128), ma anche le immagini astronomiche (imagines astronomicae), ovvero quelle figure «atte a trattenere la virtus impressa dai cieli» (p. 133), utilizzate per pratiche magiche. La confusione tra queste due tipologie di immagini, afferma la Faracovi, si trova alla base di una spesso superficiale ed errata sovrapposizione tra astrologia e magia. Difficile sottolineare abbastanza l’importanza di questa affermazione. Essa, infatti, se tenuta quale presupposto delle ricerche sull’arte della memoria bruniana, consentirà di liberarsi dalle ingenuità di chi, sulla scorta di F. Yates, ha ricondotto quest’arte bruniana della memoria principalmente al campo della magia (p. 135), mancando così di comprendere la sua marcata valenza astrologica. Fatta chiarezza su questo punto, l’autrice passa in rassegna gli altri riferimenti astrologici disseminati nelle opere di Bruno. Analisi che le consente di mettere in luce ciò che contraddistingue l’attitudine del Nolano nei ISSUE VII – NUMBER 1 – SPRING 2015 175 confronti dell’arte di Urania, ossia il suo interesse per quegli aspetti che permettono di decifrare il ritmo della vicissitudine delle cose, di cogliere «la ragione e il principio della virtù e dell’efficacia manifestate da ciascun tempo» (p. 129). Giacché «nella grandiosa prospettiva di un universo nel quale tenebre e luce, morte e vita si susseguono in un processo opposizionale, secondo il fato onnipotente e irrefragabile della mutazione, ciò che conta non è tanto individuare le condizioni di ogni singola esistenza, quanto piuttosto il nesso che collega l’una e l’altra vita, l’una e l’altra singola determinazione»15. Il suo è approccio filosofico, dunque, non scientifico, come spiega bene l’autrice, cui conviene qui lasciare ancora una volta la parola: «Quelle che guidano il suo percorso sono ragioni filosofiche, non astrologiche. Attengono da un lato alla concezione dell’esistenza individuale come momento di una vicissitudo rerum in cui essa perde la centralità assegnatale dai genetliaci; si riportano dall’altro lato alla valorizzazione del significato metafisico della ruota del tempo. Bruno sembra dunque passare in qualche modo attraverso l’astrologia, decostruendola e recuperando schemi più antichi di ordinamento, di successione temporale. Il suo è un cammino a ritroso, verso la fase germinale delle ricerche astrali mesopotamiche ed egizie … Fedele ad una esigenza di ritorno ad una indagine astrale pretolemaica, e forse persino pre-astrologica, ritrovata attraverso il frequente richiamo ai 15 O. POMPEO FARACOVI, Scritto negli astri cit., p. 258. PHILOSOPHICAL READINGS 176 REVIEWS “Chaldaei” ma in verità figlia anche della più antica cultura egizia, in quelle figure celesti Bruno vedeva forse fin dall’inizio in primo luogo qualcosa d’altro: il loro originario essere figure, trasfigurazioni, metamorfosi del tempo» (p. 140). Il volume si chiude con un dono per i cultori, o semplici appassionati d’astrologia. Lo studio degli oroscopi personali di Ficino, Cardano, Bruno e Campanella, in cui l’analisi degli astri diventa parte integrante delle biografie di questi grandi filosofi. A formare una piccola appendice iconografica sono poi quattro immagini. Sezione che si sarebbe desiderata più ampia e comprensiva. In conclusione, il testo può essere accolto come un invito a un approccio allo studio dell’astrologia libero da pregiudizi che hanno viziato le ricerche in proposito, anche quelle condotte dagli studiosi più autorevoli. La speranza è che la sfida venga accolta, e che quest’opera possa rivelarsi, in futuro, quale un passo importante verso uno studio complessivo delle problematiche astrologiche nella cultura occidentale. Raphael Ebgi Institut für Judaistik, Freie Universität Berlin PHILOSOPHICAL READINGS Médicine, astrologie et magie entre Moyen Âge et Renaissance: autour de Pietro d’Abano, textes réunis par Jean-Patrice Boudet, Franck Collard et Nicolas Weill-Parot (Edizioni del Galluzzo: Firenze, 2013). I l volume raccoglie gli atti del convegno internazionale svoltosi all’École Pratique des Hautes Études (IVe section) il 29-30 ottobre 2006, dedicato alla figura e l’opera del medico astrologo Pietro d’Abano. Va detto subito che l’accoglienza all’interno della prestigiosa collana Micrologus’ Library delle recenti acquisizioni su questioni mediche, astrologiche e magiche legate alla speculazione dell’Aponense, mette a disposizione degli studiosi uno strumento utilissimo e indispensabile a chiunque voglia approfondire l’opera e il pensiero di uno dei più stimolanti e problematici pensatori del XIII secolo. Dopo l’esauriente Introduction dei curatori, apre la raccolta un saggio di Graziella Federici Vescovini, con uno studio su L’astrologie comme science théorique, rationelle et autorisèe dans le Lucidator de Pietro d’Abano, volto ad illustrare il senso in cui debba intendersi la scientia astrorum, nelle sue partizioni interne di scientia de motibus e scientia de iudiciis. Conferire statuto epistemologico all’astronomia/astrologia, considerata al contempo come ars, costituisce uno degli obiettivi privilegiati del Lucidator dubitabilium astronomiae del filosofo aponense. La chiave per comprendere le argomentazioni di Pietro va ravvisata – rileva la studiosa – nel ricorso che Pietro fa alla tripartiISSUE VII – NUMBER 1 – SPRING 2015