FABRIZIO DI MARZIO ELEMENTI DEL CONTRATTO E NEGOZIO ILLECITO SOMMARIO: I. I TERMINI DEL PROBLEMA. I.1. Disciplina del mercato, trasformazione del diritto dei contratti e nuove figure di nullità. - I.2. Nullità codicistica, illiceità e nullità protettive nei contratti d’impresa. – I.3. Teoria del contratto illecito ed esigenze di revisione. i) Insufficienza della teoria nella prospettiva storica. ii) Oggetto della ricerca. Teoria del contratto illecito, attività d’impresa e disciplina del mercato. iii) Ambito della ricerca. Teoria del contratto illecito e ricostruzione del diritto dei contratti. iv) Postilla. Legittimità e utilità della categoria contrattuale. - II. ILLICEITÀ DEGLI ELEMENTI, DEL CONTRATTO E DELLA CONDOTTA CONTRATTUALE. II.1. Illiceità contrattuale e codice civile. i) Concezione globale della illiceità quale anomalia funzionale del negozio e configurazioni codicistiche. ii) Codificazione della illiceità come ‘requisito’ di elementi del contratto. Sovrapposizioni e contaminazioni. - II.2. Incertezza dei confini della illiceità nelle strutture del codice. i) Accordo, forma, soggetti e illiceità. ii) Contratto in frode alla legge e funzione illecita. - II.3. Il profilo ricostruttivo. Illiceità come qualificazione della condotta contrattuale. i) Dalla illiceità degli elementi alla illiceità del contratto. ii) Dalla illiceità del contratto alla illiceità della operazione economica. iii) Illiceità come predicato non della operazione ma della prestazione dedotta. iv) Illiceità come predicato non della prestazione ma della condotta contrattuale. v) Importanza delle conclusioni raggiunte. Illiceità e contrattazione diseguale d’impresa sul mercato. III. GIUDIZIO DI ILLICEITÀ E RILEVANZA DELL’ORDINE PUBBLICO. III.1. Incertezza dei confini tra ordine pubblico, buon costume e norme imperative. - III.2. Ordine pubblico e buon costume. i) Ordine pubblico e realtà assiologica dell’ordinamento. ii) Buon costume tra valori sociali e diritto positivo. Rapporti con l’ordine pubblico. iii) Rilevanza dei principi costituzionali. Buon costume come ordine pubblico etico, o non economico. iv) Irripetibilità della prestazione immorale e divieto di abuso del diritto. - III.3. Ordine pubblico e buon costume nella evoluzione dell’ordinamento. i) Riformismo legislativo e sua razionalizzazione nella figura dell’‘ordine pubblico economico’. ii) Ordine pubblico e interessi, generali o individuali, fondamentali. Contratti d’impresa, tutela del contraente debole e disciplina del mercato. iii) Buon costume (ordine pubblico etico) e nuove frontiere del diritto. - III.4. Violazione di norme imperative e ordine pubblico. Ricostruzione critica della dottrina. i) Norme imperative e nullità virtuale. ii) Sui criteri per individuare la nullità virtuale. Natura di ordine pubblico della norma violata. iii) Nullità virtuale e frode alla legge (rinvio). I. I TERMINI DEL PROBLEMA I.1. Disciplina del mercato, trasformazione del diritto dei contratti e nuove figure di nullità. La transizione verso un assetto sufficientemente organico del mercato europeo, svoltasi specialmente attraverso interventi sul contratto, ha generato una produzione legislativa imponente collocata soprattutto nell'ultimo decennio del secolo passato. La formazione dell’ordine sopranazionale determina trasformazione degli ordinamenti interni: in un processo poco controllato (e difficilmente controllabile) che produce in essi grande scompiglio. Per questi interventi legislativi la categoria del contratto non si presenta più in un insieme organico di ‘norme’, come accadde per i codici civili1; si manifesta invece come un assemblaggio precario di elementi di varia provenienza, a volte tra loro 1 Nel codice civile è adoperato il termine ‘norma’. Come è noto, nella teoria del diritto – in ossequio al principio di legalità - si distinguono usualmente le ‘disposizioni’ dalle ‘norme’, indicandosi con le prime le regole generali e astratte poste dagli organi di produzione del diritto e con le seconde le regole concretizzate dalle prime a opera degli organi di interpretazione e di applicazione (cfr., per tutti, G. TARELLO, L’interpretazione della legge, Milano, 1980, p. 102; più di recente, F. VIOLA, in F. VIOLA, G. ZACCARIA, Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, RomaBari, 20045, p. 324). Per comodità espositiva, e in omaggio al codice, anche in questo lavoro si discorre di ‘norme’: da intendersi più propriamente quali disposizioni, o norme in senso lato. 1 reciprocamente estranei se non incompatibili2. Cosicché si è scritto di un decennio che «sconvolse» il contratto3. Il carattere ‘sconvolgente’ dell’innovazione legislativa è dovuto essenzialmente alla sua matrice comunitaria: l'artefice primario delle nuove regole agisce non dentro una tradizione ordinamentale ma all'incrocio di più tradizioni spesso distanti le une dalle altre; opera, per di più, libero da ogni preoccupazione sistematica e nella accumulazione diacronica di normative di diversa estensione e di non sempre agevole armonizzazione; segue, inoltre, un metodo empirico attento all'operazione economica; si avvale, infine, di una terminologia tipica della prassi commerciale (piuttosto che della scienza giuridica)4. Non meraviglia, su questa premessa, che tradizionali capisaldi della nozione di ‘contratto’ versino in una crisi irreversibile. L’evoluzione del diritto eguale borghese nel diritto diseguale neocapitalistico ha determinato una legislazione sollecita della asimmetria di potere (contrattuale) e il superamento della nozione generale e astratta di ‘parte’ del contratto (ma avvisaglie della crisi possono rinvenirsi nella previsione, già nel codice del 1942, della figura dell'aderente nei contratti seriali e – soprattutto - della disciplina differenziata del contratto di lavoro). Ne sono derivate importanti conseguenze: il principio delle forme libere, funzionale alla fase capitalistica culminata nella seconda metà dell'Ottocento, è revocato in dubbio; le clausole generali conoscono una stagione di favore; il divieto di abuso del diritto, tradizionalmente guardato con sospetto, sembra evocato nelle nuove figure introdotte (abuso di posizione dominante, abuso di dipendenza economica e clausole abusive nei contratti dei consumatori)5. 2 Ma, sull’artificio semplificatorio insito nella categoria contrattuale, v. la pagina di P. RESCIGNO, Premessa, in Trattato Rescigno-Gabrielli, I contratti in generale, a cura di E. Gabrielli, Torino, 20062, p. XXVIII s.: «il contratto, come categoria generale contrapposta alle specifiche figure della realtà, sembra il risultato di un’astrazione concettuale che cerca di ridurre ad unità l’estrema ricchezza ed una serie indeterminata di fenomeni concreti». Sul recente processo di elevata singolarizzazione delle figure contrattuali cfr. G. DE NOVA, Contratto: per una voce, in Riv. dir. priv., 2000, p. 636 ss. La categoria è (e resta) nondimeno giustificata nell’ottica della ricostruzione sintetica sensibile al processo storico: come scrisse M. WEBER, Economia e società, III, Sociologia del diritto (1922), Torino, 1980, p. 20 « La caratteristica materiale essenziale della moderna vita giuridica, specialmente privata, di fronte a quella antica, è data soprattutto dall’accresciuta importanza del n e g o z i o giuridico, specialmente del c o n t r a t t o, come fonte di pretese garantite dalla coercizione giuridica». Sulla formazione normativa del mercato europeo attraverso leggi sul contratto cfr. i saggi raccolti in AA.VV., Quale armonizzazione per il diritto europeo dei contratti?, a cura di F. Cafaggi, Padova, 2003. Sulla crisi già accusata dalla ‘parte generale del contratto’, e aggravata da questa legislazione, cfr. i contributi raccolti in AA.VV., Tradizione civilistica e complessità del sistema. Valutazioni storiche e prospettive della parte generale del contratto, a cura di F. Macario e M. Miletti, Milano, 2006. 3 Cfr. V. ROPPO, Il contratto del duemila, Torino, 2002, p. IX. 4 Sulla asistematicità del diritto contrattuale comunitario cfr., per es., i rilievi di A. GAMBARO, ‘Jura et leges’ nel processo di edificazione di un diritto privato europeo, in Europa dir. priv., 1998, p. 1008 ss.; ID., Comprendere le strategie comunicative del legislatore, in Riv. critica dir. priv., 2000, p. 620 s.; U. BRECCIA, Prospettive nel diritto dei contratti, in Riv. critica dir. priv., 2001, p. 177 ss.; V. ROPPO, Sul diritto europeo dei contratti: per un approccio costruttivamente critico, in Europa e dir. priv., 2004, p. 447 s.. Discorre di una armonizzazione del diritto europeo ‘impressionistica’, che investe cioè soltanto aspetti specifici di materie che negli ordinamenti interni assumono una portata alquanto più vasta, e che pertanto produce «attriti all’interno del sistema giuridico nazionale» M.W. HESSELINK, La nuova cultura giuridica europea (2001), Napoli, 2005, p. 63 ss. Cfr. anche le osservazioni di G. TEBEURN, Legal Irritants: Good Faith in British Law or How Unifying Law Ends Up in New Divergences, in MLR, 1998, p. 11 ss.; C. JOERGES, The Impact of European Integration on Private Law: Reductionist Perceptions, True Conflicts and a New Constitutional Perspective, in ELJ, 1997, p. 385. Sulla tendenza del legislatore comunitario a disciplinare l’operazione economica cfr. le considerazioni di A. GENTILI, I principi del diritto contrattuale europeo: verso una nuova nozione di contratto?, in Riv. dir. priv., 2001, p. 25; sui riflessi linguistici di tale scelta cfr. ancora A. GENTILI, I principi, cit., p. 21, e inoltre G. GANDOLFI, Per l’assetto del mercato interno europeo: proposte e prospettive, in Riv. dir. civ., 2003, I, p. 400 s. 5 Per uno sguardo di sintesi, cfr. F. DI MARZIO, Verso il nuovo diritto dei contratti (note sulla contrattazione diseguale), in Riv. dir. priv., 2002, I, p. 721 ss. 2 Si diffonde così l’idea che non assistiamo - semplicemente - a ripetute ‘innovazioni’ nel diritto dei contratti, ma alla formazione di un diritto dei contratti effettivamente ‘nuovo’, diverso da quello riposto nel codice civile e concepibile come categoria non unica ma più modestamente unitaria; se non – addirittura – che siamo testimoni di processi di formazione di più diritti dei contratti: tutti nuovi rispetto al precedente, e ciascuno diverso dall’altro. In quello che è frequentemente individuato come il ‘nuovo diritto dei contratti’ un rilievo centrale è assunto dalla figura profondamente modificata (si giudica: anch’essa ‘sconvolta’) della nullità6. Molteplici sono i motivi di novità che il tema suggerisce. In gran parte essi sono dovuti all’opera del legislatore: che, introducendo fattispecie di nullità testuale in tutti gli ambiti emergenti del diritto contrattuale, produce una vera e propria «inflazione» della figura o addirittura ne cagiona «l'esplosione»7. Altri sono determinati dalla giurisprudenza: che, mossa dalla preoccupazione di rendere operative le novità legislative, utilizza diffusamente figure alquanto discusse come la nullità virtuale e la nullità sopravvenuta8. Altri ancora dipendono dal contributo della dottrina: che dietro le suggestioni di leggi e decisioni riscopre un tema trascurato, e con quello un groviglio di problemi irrisolti9. Soccorrono pertanto buone ragioni per meditare sulle specifiche (e non di rado inedite) caratteristiche della ‘nullità’: al fine di ricondurre a un sufficiente grado di coerenza fattispecie e discipline che appaiono (e in parte sono) tra loro distanti, ma che possono nondimeno ricondursi a una precisa matrice di contratto nullo. I.2. Nullità codicistica, illiceità e nullità protettive nei contratti d’impresa. - Lo scarso interesse della dottrina sul tema della nullità era determinato sia dalla refrattarietà delle regole positive a consolidarsi in un sistema sia dalla classica presentazione dell’istituto, che descrive la nullità come «l'arma più terribile in mano dell'ordinamento giuridico»; come una conseguenza estrema e rigida: alla prova dei fatti inidonea alla tutela effettiva di molti interessi che governa10. Proprio la protezione di interessi superiori costituisce – per comune convinzione - la ragione della severa disciplina codicistica della nullità: tendenziale inefficacia definitiva dell’atto; tendenziale totalità della conseguenza, che oltre alla parte direttamente colpita compromette sovente l’intero contratto; tendenziale inconvalidabilità dell’atto; imprescrittibilità dell’azione; legittimazione tendenzialmente assoluta all’impugnativa dell’atto nullo; rilevabilità di ufficio della causa di nullità. Questa disciplina - aprendo ogni via alla impugnativa e precludendo all’atto qualsivoglia effetto assicura una difesa efficace all’interesse di sistema11. 6 Cfr. V. SCALISI, Contratto e regolamento nel piano d’azione delle nullità di protezione, in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 480, che scrive: «Gli esiti del mutato volto delle nullità sono sconvolgenti sia sul piano del sistema sia su quello della teoria generale del contratto»; e poi G. D’AMICO, Nullità virtuale – nullità di protezione (variazioni sulla nullità), in Le forme della nullità, a cura di S. Pagliantini, Torino, 2009, 2, che scrive della nullità come di «uno degli svolti cruciali del nuovo diritto dei contratti». 7 Così, rispettivamente, A. DI MAJO, La nullità, in Trattato Bessone, XIII, Il contratto in generale, t. 7, Torino, 2002, p. 127; U. BRECCIA, Causa, ivi, t. 3, Torino, 1999, p. 78. Sulla tesi della invalidità come tecnica intrinseca al diritto europeo dei contratti, finalizzata all’affermazione della giustizia nello scambio asimmetrico, cfr. M.W. HESSELINK, Capacity and Capability in European Contract Law, in Europ. Rev. of Priv. Law, 2005, p. 491 ss. 8 Per una rassegna recente, cfr. F. DI MARZIO, La nullità del contratto, Padova, 20082, passim. 9 Una recente sintesi sul fenomeno della nullità nel nuovo diritto dei contratti si legge in E. MANTOVANI, Le nullità e il contratto nullo, in Trattato Roppo, IV, Rimedi-1, a cura di A. Gentili, Milano, 2006, p. 3 ss. 10 Il tutto sulla scia del pensiero di F. FERRARA, Teoria del negozio illecito nel diritto civile italiano, Padova, 1902, p. 24, nota 3 (da cui è tratta la citazione). 11 Per una recente analisi di queste caratteristiche, cfr. M. GIROLAMI, Le nullità di protezione nel sistema delle invalidità negoziali. Per una teoria della moderna nullità relativa, Padova, 2008, p. 219 ss. 3 A constatarlo, tuttavia, il codice non dispone la necessaria inefficacia definitiva dell’atto; la necessaria totalità della nullità; l’indiscussa non convalidabilità; la legittimazione sempre generalizzata all’impugnativa dell’atto nullo e la incondizionata rilevabilità di ufficio. Già negli articoli del codice si dichiara la possibilità dell’alternativa: la regola è severa ma non assoluta, ed è sempre affiancata da uno spazio apprestato per l’eccezione12. L’interesse di sistema, infatti, a volte si organizza in una inusitata complessità, legandosi inestricabilente a interessi particolari la cui tutela impone qualche sbarramento alla impugnativa e una parziale conservazione dell’atto. Lo spazio per l’alternativa è rimasto inutilizzato; questo fatto ha probabilmente contribuito al consolidamento delle idee tradizionali sulla nullità. Da qualche tempo - in ragione di più sofisticate esigenze di tutela - si stratificano nel diritto dei contratti fattispecie numerose di nullità parziale necessaria, ossia insuscettibili della verifica imposta dall’art. 1419, comma 1, c.c. e a volte insensibili all’integrazione disposta dal comma successivo dell’articolo; e fattispecie altrettanto numerose di nullità relativa, molto spesso ulteriormente conformate da una condizionata rilevabilità di ufficio. Le nuove tipologie della nullità hanno arricchito ma anche complicato l’ordinamento, rendendo inutilizzabili consolidate costruzioni dogmatiche. Ricorre perciò la metafora dell’esplosione, del vetro che si infrange per non ricomporsi: dell’ordine costruito che va in mille pezzi13. Eppure, prendendo congedo da consolidate credenze (e in direzione contraria a qualche fortunata moda culturale) può supporsi che le leggi recenti abbiano occupato - per quanto problematicamente - proprio gli spazi messi a disposizione dal codice nella disciplina della nullità. Sembra infatti agevole intravedere alcune caratteristiche salienti del nuovo modo di essere della nullità (che saranno oggetto di indagine nel corso di questo lavoro). Una osservazione preliminare è che le nuove nullità appartengono per lo più alla specie costituita dalle ‘nullità da disvalore’. Nel maggior numero di casi, infatti, la conseguenza disciplinare non discende dalla inosservanza di oneri sulla formazione del contratto ma dalla violazione di obblighi sul contenuto; la legge non reagisce alla imperfezione (come nella specie costituita dalle ‘nullità per mancato assolvimento di oneri’) ma disapprova il contratto completo ed espressivo di interessi in contrasto con gli interessi superiori promossi dall’ordinamento14. Per consolidata acquisizione, la nullità da disvalore è conseguenza della qualificazione di illiceità: che definisce l’atto posto dalle parti contro gli interessi della collettività (e dunque in violazione dell’ordine pubblico, del buon costume o di norme imperative) radicalmente privandolo – per quella conseguenza - di qualsiasi efficacia giuridica15. Nello schema concettuale stanno da un lato Cfr. P. PERLINGIERI, Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, Napoli, 1987, p. 124, che scrive di un regime giuridico «sapientemente costellato da una serie di salvezze»; v. anche U. BRECCIA, Causa, cit., p. 79. 13 Appare significativo che, nella letteratura più attenta degli ultimi anni, pur rifuggendosi da atteggiamenti pragmatisti (maggiormente familiari ai giuristi di common law) alla ricostruzione teorica che tenda a una razionalizzazione del quadro ordinamentale sia preferita la tecnica della elencazione o della catalogazione, come dimostra, nel tema della nullità, il passaggio dal singolare al plurale, e il discorrere così diffuso sulle ‘nuove nullità’: ciascuna diversa dalla nullità codicistica e ciascuna per qualche tratto anche differente dalle altre nullità ‘speciali’. Esemplare, in tal senso, il pensiero di V. SCALISI, Contratto e regolamento, cit., p. 471 ss. che, nel tentativo di tratteggiare una «tipologia normativa di regolamenti di protezione», elenca: nullità ‘efficienti’; regolamenti di protezione ‘preferiti’; regolamenti ‘tollerati’; regolamenti ‘favoriti’; regolamenti ‘imposti’; regolamenti ‘delegati’; regolamenti ‘di equità’. Il che accade per la decisiva e più ampia ragione, che investe tutta la produzione culturale nelle società complesse, che «si costruiscono forme compiute quando si è sicuri della propria identità culturale, e si accumulano elenchi quando ci si trova di fronte a una serie ancora sconnessa di fenomeni all’interno dei quali si cerca questa identità» (U. ECO, Arman e l’elenco, in L’Espresso, 10 novembre 2005, p. 226). 14 Su questa classificazione dogmatica cfr. G. CONSO, Il concetto e le specie di invalidità, Milano, 1955, p. 61 ss. 15 Sull’abbrivio dell’idea del contratto illecito come attacco ai valori di sistema, legislatore dottrina e giurisprudenza hanno costruito un trattamento improntato a criteri di massima severità. Il primo ha disposto che: la prova testimoniale della simulazione è ammessa senza limiti qualora sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato (art. 12 4 gli interessi superiori (propri della collettività) e dall’altro gli interessi particolari (affermati nel contratto illecito in contrasto con i primi). Il senso e la direzione dell’attacco concordato agli interessi generali traspaiono nell’art. 1345 c.c., che attribuisce rilevanza giuridica anche al motivo, se illecito, purché determinante per la conclusione del contratto e purché comune alle parti. Lo schema non è tuttavia universale; piuttosto è relativo al paradigma dogmatico del contratto tra parti formalmente eguali. Non può dunque essere applicato con successo alla realtà del tutto diversa del contratto tra parti sostanzialmente diseguali, ossia al principale fenomeno giuridico di cui si preoccupa - in vari contesti del diritto d’impresa - il legislatore comunitario nella elaborazione della disciplina del mercato. In questo secondo ambito la norma violata è posta nell’interesse immediato di una parte ed è finalizzata ad attribuire un potere di mercato inesistente nei fatti; la qualificazione di illiceità, e la sua conseguenza disciplinare, non potrebbero pregiudicare l’interesse della parte protetta e vittima della condotta contrattuale unilateralmente illecita della parte forte: altrimenti l’ordinamento positivo accuserebbe una aporia teorica e fallirebbe gli obbiettivi pratici. La tutela di interessi singolari impone che la nullità sia disciplinata e intesa non più come conseguenza estrema e drastica (di cancellazione totale del contratto contrapposto all’interesse generale) ma come rimedio duttile: di conformazione del contratto abusivamente deciso da un autore contro l’altro e per ciò stesso contro l’interesse superiore alla piena esplicazione della libertà contrattuale da parte di tutti. Per questa complessificazione dell’interesse tutelato, la nullità non confligge più con l’esigenza di conservazione del contratto, ma asseconda armonicamente il principio. Il vizio non è tanto del contratto, quanto nel contratto: inficia singole clausole ma non compromette il resto dell’autoregolamento. In tal senso la nullità svolge una funzione ignota alla tradizione, plasticamente definita ‘protettiva’. I.3. Teoria del contratto illecito ed esigenze di revisione. – La configurazione protettiva della nullità sembra a molti stridere con la qualificazione dell’atto in termini di illiceità. In questo disagio è rinvenibile, con ogni probabilità, la ragione del disinteresse della dottrina. È comunque un fatto che all’accurata descrizione delle ‘nullità protettive’ copiosamente stratificatasi nell’ultima letteratura solo ora stanno emergendo tentativi di ricostruzione sistematica che possa dare ragione della conseguenza disciplinare e razionalizzare regimi positivi imperfettamente strutturati16. 1417 c.c.); la transazione relativa a un contratto (non semplicemente nullo ma) illecito è nulla ancorché le parti abbiano trattato della nullità di questo (art. 1972, comma 1, c.c.); la nullità del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dalla illiceità dell’oggetto o della causa (art. 2126, comma 1, c.c.). Dottrina e giurisprudenza argomentano, tradizionalmente, che il contratto illecito non sia suscettibile di conversione a norma dell’art. 1424 c.c.: giacché nell’atto illecito la nullità è inerente non allo strumento scelto dalle parti, bensì all'intento pratico da queste avuto di mira, come tale non perseguibile né con quel mezzo né con altri (cfr. Cass. 18 aprile 1953, n. 1036, in Giur. it., 1953, I, 1, p. 870; Cass. 2 febbraio 1956, n. 406, in Foro it., 1957, I, c. 555; Cass. 15 marzo 1983, n. 4827, in Riv. not., 1984, p. 245; Cass. sez. un. 12 novembre 1983, n. 6729, in Giust. civ., 1983, I, p. 1546; Cass. 3 maggio 1996, n. 4070, in Giust. civ. Mass., 1996, 656. Sulla inconvertibilità di un contratto in frode alla legge cfr. Cass. 23 novembre 1985, n. 5841, in Giust. civ. Mass., 1985, f. 11. In dottrina, cr. le pagine di A. AURICCHIO, In tema di conversione del negozio illecito, in Riv. dir. comm., 1954, II, p. 253; F. MESSINEO, Il contratto in generale, II, in Trattato Cicu-Messineo, Milano 1972, p. 388; F. GALGANO, Negozio giuridico, in Trattato Cicu-Messineo-Mengoni, Milano, 20022, p. 351. Per posizioni più articolate, cfr. R. SACCO, in R. SACCO, G. DE NOVA, Il contratto, I, in Trattato Sacco, Torino, 20043, p. 552; nello stesso senso, G. DE NOVA, Conversione. I Conversione del negozio nullo, in Enc. giur., IX, Roma, 1988, p. 2). Anche nell’ambito delle codificazioni colte del nuovo diritto europeo dei contratti la conversione è esclusa per il contratto illecito: cfr. il combinato disposto degli artt. 140, comma 1, lett. a) e 143, comma 1 del Code européen del contrats. Per un commento, v. G. GANDOLFI, La conversione del contratto nullo: novità rilevanti in Italia (e in Europa), in Riv. dir. civ., 2004, II, p. 205 ss. Una nova meditazione del diritto interno alla luce anche del diritto comunitario si loegge nela lavoro di S. PAGLIANTINI, Autonomia privata e divieto di convalida del contratto nullo, Torino, 2007. 16 Cfr., oltre ai citati lavori di Pagliantini e Girolami, A. D’ADDA, Nullità parziale e tecniche di adattamento del contratto, Padova, 2008. 5 Si studia, tuttavia, direttamente la figura di invalidità e non ci si preoccupa della qualificazione a monte. A volte, si propongono qualificazioni alternative e sconosciute alla tradizione (e alla illiceità si preferisce la ‘illegalità’). Riflettere su frammenti normativi senza preoccuparsi della qualificazione che tradizionalmente (e per diritto positivo) li determina e raccoglie in sintesi è tuttavia metodo evidentemente fallace. Per quanto si pregiudichi la comodità dell’interprete, la ricostruzione dogmatica delle variegate discipline della nullità non può trascurare la questione della illiceità, tradizionale e non rimossa qualificazione di quella ‘nullità da disvalore’ che affolla le nuove leggi sul contratto. Sicché appare necessario colmare quella che si manifesta come una lacuna dovuta all’evoluzione del sistema. i) Insufficienza della teoria nella prospettiva storica. - Il primo importante contributo sulla illiceità contrattuale17 è assolutamente conseguente al tempo in cui fu confezionato. La riflessione civilistica si svolgeva in uno scenario dominato dalla ideologia liberale classica (integralmente trasfusa nel diritto della codificazione postunitaria) e dai trionfi del positivismo giuridico. Allo studio esegetico si avvicendava gradualmente la ricostruzione sistematica del diritto dei privati: e dunque la razionalizzazione del tessuto codicistico secondo le istanze valoriali allora imperanti, e nel segno di un convinto statualismo. Il libro di Ferrara è dedicato a una «teoria» (generale) del «negozio illecito» (ovviamente «nel diritto civile italiano»); l’opera è sistematicamente scandita nella costruzione del «concetto» di negozio illecito, nella verifica applicativa della teoria e nello studio degli «effetti» di tale negozio; tra le cause di illiceità è reputata eminente la «contraddizione alla legge». Un secondo contributo18 fu concepito in un momento di passaggio e ridefinizione della griglia etica su cui si basa l’ordinamento. Il ‘nuovo’ codice civile, varato in un ordinamento privatistico già percorso dalle leggi speciali, per il moltiplicarsi di quelle perdeva progressivamente la sua centralità; sulla parola della legge dominava il dettato costituzionale; il positivismo giuridico subiva, oltre alle critiche esterne già espresse dai movimenti antiformalistici, un penetrante processo di rivisitazione interna all’insegna della ‘costituzionalizzazione’ dell’ordinamento (e dunque anche del diritto civile)19. Scritto in quegli anni di crisi matura, il libro di Ferri sulle clausole generali della illiceità nel loro rapporto con la «teoria del contratto» si colloca quale ponte tra il vecchio - che già poteva percepirsi come tale - e la novità incipiente. Negli anni successivi, e soprattutto con l’avvento del diritto di matrice comunitaria, il prodotto di quella profonda novità si sarebbe manifestato in forme inedite e fortemente problematiche, riassumibili nel ‘diritto comunitario dei contratti’. Non soltanto muta il contesto ordinamentale della teoria (non semplicemente il diritto interno, bensì quel diritto nella prospettiva europea) ma, quanto più conta, nel nuovo diritto positivo la regola del contratto è dettata non solo - e come vuole la tradizione per la disciplina della operazione isolata, quanto soprattutto nella prospettiva della regolazione del mercato; funzionalmente essa si delucida, prima ancora che nella forma della ‘regola del contratto’, quale ‘regola del mercato’ (inteso come ordine normativo in costruzione)20. Un effetto considerevole, e decisivo per il tema della illiceità, è che – a differenza di quanto accade nel diritto codicistico - le discipline sopravvenute si incentrano, piuttosto che su caratteri Cfr. F. FERRARA, Teoria, cit. Cfr. G.B. FERRI, Ordine pubblico, buon costume e la teoria del contratto, Milano, 1970. 19 ‘Costituzionalizzazione’ quale assunzione a fondamento dell’ordinamento dei principi costituzionali: cfr. R. GUASTINI, La costituzionalizzazione dell’ordinamento giuridico italiano, in Ragion pratica 11, 1998, p. 185 ss.; ID., Lezioni di teoria costituzionale, Torino 2003, p. 97 ss. 20 Anticipazioni preziose in G. VETTORI, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione fra imprese, Milano, 1983 (l’opera è in effetti sottotitolata Diritto dei contratti e regole di concorrenza, ma all’epoca l’oggetto di studio doveva incentrarsi, per il diritto interno, sull’art. 2598 c.c.). Nell’ultima letteratura, a testimonianza di una maturata sensibilità, cfr. A. ZOPPINI, Autonomia contrattuale, regolazione del mercato, diritto della concorrenza, in A.A.V.V., Contratto e antitrust, cit., p. 94 ss. 17 18 6 dell’atto, sulla condotta dei soggetti del contratto: infatti considerati quali attori del mercato e disciplinati con riguardo all’attività (negoziale) in esso svolta21. L’‘illiceità’, tradizionalmente intesa qualificazione dell’atto (o di suoi elementi) e imbrigliata nella logica della fattispecie, accusa una profonda carenza ricostruttiva. A cui, però, non si rimedia: subisce così una vera e propria emarginazione teorica. Una conseguenza dannosa è – come anticipato - l’insufficiente razionalità delle nuove nullità da disvalore: che si presentano, piuttosto che nel binomio raccomandato dalla dogmatica classica della ‘nullità/illiceità’, come conseguenze solitarie perché disancorate da una qualsivoglia qualificazione e in definitiva prive di una solida giustificazione scientifica. Sorge pertanto la necessità di affrontare una terza fase di razionalizzazione: nella quale la teoria del contratto illecito si svolga non soltanto nella prospettiva statica del ‘contratto’ (quale atto) ma anche nella prospettiva dinamica dell’‘attività’, intesa in duplice accezione: l’attività di cui il contratto consta (dunque: la condotta negoziale) e l’attività in cui il contratto s’inserisce (dunque: l’impresa). E ciò alla luce della disciplina condizionante del ‘mercato’ (inteso come ambito della relazione economica giuridicamente ordinato). La revisione appare non solo necessaria, ma anche urgente, riflettendo che nel nuovo diritto dei contratti non si tratta più di disporre su insufficienze della volontà, quanto di reprimere regolamenti contrattuali nocivi per la concorrenzialità del mercato. Questa esigenza di fondo ha determinato, nel sistema delle invalidità, il declino della figura della annullabilità (di per se stessa concepita a tutela della effettività del volere) e un ricorso senza precedenti alla tecnica della nullità da disvalore (di per se stessa pensata a salvaguardia di valori di sistema); nullità che si presenta, per di più, nelle forme inusuali del rimedio caducatorio. ii) Oggetto della ricerca. Teoria del contratto illecito, attività d’impresa e disciplina del mercato. – Per il mutato contesto ordinamentale in cui insiste oggi il diritto patrimoniale, oggetto privilegiato dell’indagine sul ‘contratto illecito’ dev’essere non il contratto ma, fuori da quell’involucro, l’esercizio della libertà contrattuale. Quest’ultimo colto nello svolgimento della sua storia: con ‘arbitrario’ punto di partenza nella Teoria di Ferrara elaborata sul codice del 1865 – nella quale della figura del ‘contratto illecito’ è sintetizzata la tradizione e disegnata l’evoluzione – termine intermedio nella ‘cultura del codice civile’ ed esito nella legislazione di matrice comunitaria (e nella dottrina e giurisprudenza conseguenti). Nelle prime due fasi della vicenda storica (convenzionalmente classificabili come ‘tradizionali’) l’esercizio della libertà contrattuale è opacizzato dalla considerazione legale e interpretativa dell’atto (cosicché la illiceità può essere colta nella imperfezione della fattispecie); del tutto diversamente, nella terza e attuale fase l’esercizio della libertà contrattuale traspare come vero oggetto di disciplina: attraverso la sanzione dell’atto si mira a rimuovere il prodotto di una condotta disapprovata (per es., predisposizione di clausole abusive nei contratti del consumatore). Il processo storico avverte che il punto di vista prescelto per lo studio dell’esercizio della libertà contrattuale – nel contesto tradizionale e nel contesto attuale – non può essere quello statico del ‘contratto’ ma, necessariamente, quello dinamico della ‘contrattazione’. Cfr. lo studio, ancora attuale, di G. VETTORI, Anomalie e tutele, cit. p. 46 ss.; e le osservazioni di sintesi di C. SCOGNAMIGLIO, Problemi della causa e del tipo, in Trattato Roppo, II, Regolamento, a cura di G. Vettori, Milano, 2006, p. 94 ss. 21 7 Nel richiamare una attività22, il termine ‘contrattazione’ – inteso in senso stretto - vuole innanzitutto definire il processo di azioni e relazioni che costituiscono il contratto (o più ampiamente l’‘operazione economica’) e che ancora vivono in esso, condizionandone liceità validità ed efficacia. Processo di azioni e relazioni che, in senso più ampio – e nell’area dell’attività contrattuale d’impresa supera la chiusa dimensione del ‘contratto’ e della ‘operazione economica’ singolarmente considerati per aprirsi, in un più ampio orizzonte, ad altri fenomeni (fatti, atti, accordi, contratti, operazioni, rapporti) che si svolgono condizionandosi reciprocamente secondo il modo delle ‘relazioni commerciali’23. Proprio in quanto attività, la ‘contrattazione’ offre una angolazione maggiormente idonea di quella concessa dal suo episodico risultato (il ‘contratto’, quale semplice atto o più complessa operazione) per valutare il problema dell’esercizio della libertà contrattuale (dunque, di una condotta) e della illiceità quale connotazione che lo caratterizza (se ne dà dimostrazione in questo e nel secondo capitolo). Riflettendo sulla ‘contrattazione’ in senso stretto è possibile conciliare la qualificazione di illiceità con le discipline sulla nullità che conformano non soltanto le condotte (e gli atti) negoziali degli scambi civili isolati, ma anche e soprattutto le condotte (e gli atti) negoziali nell’esercizio dell’impresa, a cui è diretta la regolazione comunitaria. In questo settore del diritto contrattuale è utile riferirsi anche alla contrattazione intesa in senso allargato: per inglobare nella valutazione interpretativa delle condotta negoziale e dell’atto o operazione – e per il medio della considerazione sintetica dell’attività contrattuale d’impresa - il contesto disciplinare in cui si trovano a essere collocati. La considerazione dell’atto (o operazione) come momento costitutivo dell’attività (d’impresa) induce infatti a prestare attenzione al ‘mercato’, quale contesto normativo più generale e condizionante in cui l’attività si svolge e l’atto accade (così nel capitolo terzo)24. Per autorevole definizione, l’attività è un «insieme di atti di diritto privato coordinati o unificati sul piano funzionale dalla unicità dello scopo» (G. AULETTA, Attività (dir. priv.), in Enc. dir., III, Milano, 1958, p. 982). Questa concezione, pur segmentando (secondo una veduta tradizionale) l’attività in atti, avverte come la prima non si esaurisca nella somma dei secondi e come l’unificazione degli atti nella attività costituisca una sequenza (un processo) in ragione della funzione a cui tutti sono diretti (unicità dello scopo). Il linguaggio comune definisce l’attività come un insieme finalizzato a uno scopo e però costituito non semplicemente di atti, ma anche di comportamenti, operazioni e decisioni. In tale più comprensivo significato, maggiormente aderente alla realtà dei fenomeni giuridici sintetizzati nel termine, esso è usato in questo lavoro. 23 Il termine ‘contrattazione’ ha una solida base dogmatica. La locuzione ‘contrattazioni commerciali’ si rinviene nell’art. 1103, comma 2, c.c. 1865. Nella norma sembra racchiusa l’intuizione ( che troverà attuazione nel codice in vigore per svilupparsi successivamente nella legislazione complementare) che nell’attività d’impresa l’atto non è episodio singolare ma accadimento ripetuto, in un processo che si spiega con l’inserimento dell’atto nell’attività. Cosicché, perlomeno in questo settore decisivo più di ogni altro, il fenomeno contrattuale non appare adeguatamente comprensibile persistendo nella mentalità di mantenere la separatezza tra atto e attività in cui quell’atto si inserisce costitutivamente. Il che è dire che il contratto non può più essere considerato separatamente dall’attività d’impresa che l’organizza e che contribuisce a organizzare (cfr. le osservazioni di G. VETTORI, Contratto e concorrenza, in Riv. dir. priv., 2004, p. 794 ss.) e della quale costituisce «frammento» (V. SCALISI, Contratto e regolamento, cit., p. 481). Già nella dottrina commercialistica classica, del resto, era acquisto il legame tra ‘impresa’ e ‘contratto’, essendo ben chiaro che l’attività d’impresa è soprattutto contrattuale (cfr. L. BOLAFFIO, Il diritto commerciale, Torino, 19253, p. 231; C. VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, IV, Milano, 19265, p. 5). Né è un caso che nella dottrina commercialistica e civilistica contemporanee il termine ‘contrattazione’ sia ripreso da studiosi autorevoli (cfr., sin dal titolo, C. ANGELICI, La contrattazione d’impresa, in AA.VV., L’impresa, a cura di B. Libonati e P. Ferro Luzzi, Milano, 1985, 183 ss.; V. BUONOCORE, Presentazione del Trattato, in Tratt. Buonocore, Torino, 2001, p. 7; P. PERLINGIERI, La contrattazione tra imprese, in Riv. dir. impr., 2007, p. 323 ss.). Medita sulla contrattazione quale «istituzione del contrarre» P. FEMIA, Nomenclatura del contratto o istituzione del contrarre?Per una teoria giuridica della contrattazione, in A.A.V.V., Il terzo contratto, a cura di G. Gitti e G. Villa, Milano, 2008, p. 265 ss. 24 Cfr. l’analisi di A. IANNARELLI, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in Tratt. Lipari, III, 20032, 3 ss. 22 8 Con questo metodo di indagine possono emergere più nettamente i fitti nessi tra disciplina del contratto e disciplina del mercato concorrenziale (e la direzione finalistica assunta dalla prima in dipendenza della seconda). Si tratta di legami da qualche tempo indagati sia dalla dottrina civilistica che dalla dottrina commercialistica: entrambe tese alla ricostruzione dogmatica del fenomeno della ‘contrattazione d’impresa’; il quale costituisce in materia l’unica manifestazione rilevante nel nuovo diritto positivo, dando sostanza a un settore dell’ordinamento che - superati anacronistici steccati culturali - sembra ormai persuasivamente appartenere al diritto privato generale25. Non è puntualizzazione superflua che la qualificazione di illiceità negoziale può essere riferita esclusivamente alla condotta negoziale e al suo prodotto: dunque, al contratto. Solo in tale stretta accezione (esercizio della libertà contrattuale) la contrattazione, quale attività, è suscettibile del giudizio di illiceità rilevante in ambito negoziale. L’accezione allargata di ‘contrattazione’ è invece insuscettibile di tale qualificazione: potendo giudicarsi ‘illecita’ solo nel senso latissimo della riscontrata ‘antigiuridicità’ (e nell’ambito dell’illiceità aquiliana). Perciò, anche al fine di arginare possibili ambiguità del linguaggio, in questo lavoro continua a discorrersi di teoria del ‘contratto’ (illecito) e non della ‘contrattazione’. Dove con il sintagma ‘contratto illecito’ si abbrevia l’espressione ‘condotta negoziale e contratto illeciti’. iii) Ambito della ricerca. Teoria del contratto illecito e ricostruzione del diritto dei contratti. La necessità di revisione meglio si definisce se collocata in una prospettiva metodologica che investe l’intero diritto dei contratti, e in ragione della quale è condotta. Tra i problemi più urgenti posti da questo diritto è quello della armonizzazione delle regole d’importazione con le strutture del diritto interno: le prime scritte all’insegna della relazione di mercato, il secondo nella prospettiva dello scambio isolato; le prime preoccupate di disegnare obbiettivi politici, il secondo impegnato a confezionare modelli rimediali26. La regolazione comunitaria può del resto raggiungere gli obbiettivi affidati soltanto se si riesce a ricostruirla in ‘diritto’, per poi armonizzare questo diritto con il diritto tradizionale, che tuttora costituisce la trama fondamentale degli ordinamenti europei27. Nel diritto interno vanno inoltre considerati il contesto tradizionale e il contesto sopravvenuto: onde verificare ricostruttivamente il grado di differenza e la misura di compatibilità tra il primo e il secondo. In tal modo può favorirsi una più adeguata comprensione non solo delle nuove ma anche delle vecchie regole, nell’auspicio di un soddisfacente funzionamento delle une e delle altre28. Su questa consapevolezza, può concludersi che il crinale su cui deve affinarsi la teoria del contratto sembra essere quello della scelta argomentata tra le accennate alternative: a) delle semplici ‘innovazioni’ nel diritto dei contratti (che rimarrebbe inalterato nella sua sostanza); b) dei sopravvenuti ‘nuovi diritti dei contratti’ (ciascuno altamente singolarizzato da specifici sistemi regolamentari irriducibili non soltanto a unità, ma nemmeno a unitarietà); e - intermedia rispetto alla prime due – c) Come dimostra il rinnovato interesse dei commercialisti (cfr. le monografie di: A. DI AMATO, L’interpretazione dei contratti d’impresa, Napoli, 1999; G. CAPO, Attività di impresa e formazione del contratto, Milano, 2001; L. SAMBUCCI, Il contratto dell’impresa, Milano, 2002. Cfr., inoltre, i contributi di V. BUONOCORE, I contratti d’impresa tra codice e legislazione speciale, in Riv. it. leasing, 1993, p. 469 ss.; ID., Contratti del consumatore e contratti d’impresa, in Riv. dir. civ., 1995, I, p. 1; ID., Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrattuali, Milano, 2000; ID., Le nuove frontiere del diritto commerciale, Napoli, 2006). Per esempi, nell’ultima letteratura, di opere che coniugano contributi di commercialisti e civilisti, cfr. i saggi raccolti in A.A.V.V., Contratto e antitrust, a cura di G. Olivieri e A. Zoppini, Roma-Bari, 2008. 26 Su questi aspetti cfr. l’esauriente contributo di A. GENTILI, Invalidità e regole dello scambio, in Forme della nullità, cit., 217 ss. 27 Su questa linea metodologica cfr. i contributi in A.A.V.V., Manuale di diritto privato europeo, a cura di C. Castronovo e S. Mazzamuto, Milano, 2007. 28 Sulla necessità di una considerazione del quadro preesistente e di quello sopravvenuto che sia finalizzata a una superiore razionalizzazione cfr. C. CASTRONOVO, Il diritto civile nella legislazione nuova. La legge sulla intermediazione mobiliare, in Banca, borsa, 1993, I, p. 301 s. 25 9 del ‘nuovo diritto dei contratti’ (diverso da quello consegnatoci dalla tradizione e tuttavia non irrimediabilmente scisso nella logica interna, pertanto ricostruibile ed evidenziabile). Qualora si ritenesse plausibile l’ultima alternativa e dunque la coerenza delle innovazioni sparpagliate (tutte confluenti verso un nuovo ma sufficientemente unitario diritto dei contratti) occorrerebbe individuarne la matrice accomunante: ma è facile supporre che essa risieda nella asimmetria di forza contrattuale che segna la relazione giuridica ed economica, e che è presupposto costante delle nuove regole infatti dettate in funzione ‘correttiva’ dello squilibrio e a tutela della concorrenzialità del mercato. Si tratterebbe pertanto di indagare le manifestazioni positive di questa matrice nei vari settori disciplinari (e, soprattutto, nei diversi ambiti dei contratti del consumatore e dei contratti asimmetrici tra imprese) per disegnarne confini, tangenze e interferenze29. Nè l’opera sarebbe compiuta; rimarrebbe da verificare la portata effettiva di un dualismo comunque riaffermato: tra ‘vecchio’ e ‘nuovo’ diritto dei contratti. Per vedere quanto, di ciò che possiamo ritenere appartenere al secondo, fosse implicito nel primo; e di come il secondo, nel suo processo di formazione, influenzi il primo. In questa ampia prospettiva metodologica, una riflessione sul contratto illecito appare particolarmente utile. Innanzitutto, favorisce una migliore comprensione della nullità di matrice comunitaria, consentendone un soddisfacente inserimento nella trama ordinamentale. Inoltre, un chiarimento sulle caratteristiche della illiceità quale qualificazione determinante la nullità da disvalore sia nel contesto tradizionale sia nel contesto attuale permette di comprendere in profondità le dinamiche operative di tale nullità in ciascuno di essi. L’indagine può conseguentemente offrire una risposta sulla unitarietà o meno dello statuto della illiceità contrattuale nella considerazione complessiva del contesto tradizionale e di quello attuale. iv) Postilla. Legittimità e utilità della categoria contrattuale. – Infine, qualche nota sulla generale convinzione sottesa al lavoro. Essa si esaurisce nella considerazione che la pur pacifica necessità di elaborare «categorie misurate non sulla stabilità, ma sul mutamento, non sulla staticità ma sul nomadismo»30 non esclude legittimità e utilità della riflessione che insista sulla categoria contrattuale. Riferirsi ancora al ‘contratto’ è metodo preferibile a quello di chi - con atteggiamento minimalista e di congedo dalla dogmatica tradizionale - discorre di ‘contratti’, quali fenomeni non più riconducibli a una categoria (per quanto vasta e lata) ma separati e chiusi ciascuno all'interno della propria cangiante regolamentazione. E a maggior ragione preferibile all’atteggiamento metodologico che nichilisticamente tende a volte a escludere la sussistenza effettiva di ‘contratti’, per censire fenomeni che (sembrerebbero ancora ma) non sarebbero più ascrivibili a una categoria che si suppone in via di esaurimento31. Tentativi in tal senso in V. ROPPO, Parte generale del contratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici, in Riv. dir. priv., 2007, p. 669 ss.; F. DI MARZIO, Contratti d’impresa, in Digesto disc. priv., sez. civ., Aggiornamento, 2007, p. 313 ss.; cfr. inoltre i contributi raccolti in A.A.V.V., Il terzo contratto, cit. 30 Citazione da S. RODOTÀ, Lo specchio di Stendhal. Riflessioni sulle riflessioni dei privatisti, in Riv. critica dir. priv., 1997, p. 18; cfr. anche N. IRTI, Il problema delle ‘Istituzioni di Diritto Privato’, in Giust. civ., 1983, II, 320 s. Sulla crisi della concezione sistematica v., tra i tanti, L. FERRAJOLI, Scienze giuridiche, in AA. VV., La cultura italiana del Novecento, a cura di C. Stajano, Bari, 1996, p. 589 ss. e, più di recente, N. IRTI, Nichilismo giuridico, Roma-Bari, 2004, spec. p. 5 ss. Cfr., inoltre, M. BARCELLONA, Diritto, sistema e senso. Lineamenti di una teoria, Torino, 1996, p. 24 ss.; ID., Critica del nichilismo giuridico, Torino, 2006, p. 7 ss. Per gli influssi del postmoderno (con la conseguente crisi dell'atteggiamento sistematico) nel pensiero giuridico v., tra gli altri, A. ZACCARIA, Il diritto privato europeo nell’epoca del postmoderno, in Riv. dir. civ., 1997, I, p. 367 ss.; P.G. MONATERI, ‘Jumpingon someone else’s train’. Il diritto e la fine della modernità, in Riv. critica dir. priv., 2001, p. 123 ss. Nella letteratura tedesca, v. il contributo di K. LAUDER, Postmoderne Rechtstheorie, Berlin, 1992; per il contesto statunitense cfr. G. MINDA, Teorie postmoderne del diritto (1995), Bologna, 2001. 29 10 Se infatti la legittimità di una prospettiva metodologica dipende dalla sua utilità e se questa si misura con il risultato che l’approccio prescelto consente di ottenere, allora non può negarsi che in contesti determinati dalla complessità (oggi proposta anche come «categoria generale della scienza giuridica»32) il ripudio di ogni pensiero ordinante e l’elogio della frammentazione, favorendo una nuova esegesi su norme scarsamente coerenti, incrementano dannosamente l’entropia del sistema e ne assecondano la ingovernabilità33. II. ILLICEITÀ DEGLI ELEMENTI, DEL CONTRATTO E DELLA CONDOTTA CONTRATTUALE II.1. Illiceità contrattuale e codice civile. – Una caratteristica peculiare del tema della illiceità è data dal problematico rapporto che si istaura tra la concezione consolidata della qualificazione e la sua configurazione disciplinare. A una concezione unitaria, che coglie la illiceità nella prospettiva dell’analisi funzionale dell’operazione negoziale, si contrappone la parcellizzazione strutturale della qualificazione nella disciplina codicistica: dove l’illiceità è riferita non al contratto, ma ad alcuni suoi elementi. Questa scelta positiva è lineare con la tradizionale visione della invalidità in generale e della nullità in particolare come conseguenza della carenza o del difetto strutturale dell’atto. Proprio in questa prospettiva è prevelantemente studiata anche la (nullità da) illiceità34. La difficile conciliabilità tra esigenza di una analisi funzionale dell’operazione - quale metodo appropriato per lo studio della illiceità - e la tradizionale attitudine culturale a un esame strutturale della fattispecie colpita da nullità costituisce la prima causa di difficoltà rinvenibile nella materia. Soprattutto, diviene alquanto discutibile cogliere e arginare in sezioni della struttura contrattuale una qualificazione che invece attiene al finalismo negoziale e che dunque investe, nella formulazione del relativo giudizio, l’intera operazione economica nella sua tensione allo scopo concreto. 31 La crisi che negli ultimi decenni ha investito la categoria contrattuale è ben evidenziata dal dibattito sulla ‘morte’ del contratto (classica la citazione di G. GILMORE La morte del contratto [1974], Milano, 1999) iniziato molti anni fa e tuttora in corso (cfr. per es., A. TRABUCCHI, Il contratto come fatto giuridico. L'accordo. L'impegno, in A.A.V.V., Il contratto. Silloge in onore di Giorgio Oppo, I, Padova, 1992, p. 3; G. BENEDETTI, La categoria generale del contratto, ivi, p. 51; U. BRECCIA, Prospettive nel diritto dei contratti, cit., p. 168; N. IRTI, Scambi senza accordo, in ID., Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Roma-Bari, 20066, p. 163; G. OPPO, Disumanizzazione del contratto?, in Riv. dir. civ., 1998, I, p. 525; in Francia, A.A.V.V., La nuovelle crise du contrat, a cura di C. Jamin, D. Mazeaud, Paris, 2003). Sulla significatività e pregnanza (dovute alla tradizione) del contratto come categoria unitaria v. ancora P. RESCIGNO, Premessa, in Trattato Rescigno-Gabrielli, I contratti in generale, cit.; G.B. FERRI, La ‘cultura del contatto’ e le strutture del mercato, in Riv. dir. comm., 1997, I, p. 843 ss.; E. GABRIELLI, Il contratto e le sue classificazioni, in Trattato RescignoGabrielli, I contratti in generale, cit., p. 43 ss. 32 Così A. FALZEA, Complessità giuridica, in Enc. dir., Annali, I, Milano, 2007, p. 203. 33 Mentre si raccomanda autorevolmente al diritto di «arginare con le sue regole il disordine dissolutorio che nuove e non controllate forme di complessità possono introdurre nella esperienza sociale» (A. FALZEA, Il civilista e le sfide d’inizio millennio, in A.A.V.V., Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, a cura di V. Scalisi, Milano, 2004, p. 5); esortando il civilista persino alla «costruzione del sistema» (R. SACCO, Il problema della riforma. (La conclusione del contratto), in Riv. dir. civ., 2006, Atti del convegno per il cinquantenario della Rivista. Il diritto delle obbligazioni e dei contratti: verso una riforma?, p. 200). In questo ordine di idee, nel presentare il convegno per il cinquantenario della Rivista di diritto civile Cian ammonisce che «è proprio del civilista, più che di ogni altro, l’avvertire l’esigenza di conservare la razionalità e l’organicità del sistema, nella salvaguardia dei suoi valori fondamentali, pur di fronte al continuo modificarsi delle norme provocato dalle sempre nuove esigenze della società che muta». 34 Cfr. l’autorevole ricostruzione di R. SCOGNAMIGLIO, Contributo alla teoria del negozio giuridico, (19692) rist. Napoli, 2008, p. 349 ss. 11 i) Concezione globale della illiceità quale anomalia funzionale del negozio e configurazioni codicistiche. - L'illiceità, secondo l’insegnamento recepito, fissa il limite assoluto alla esplicazione della libertà contrattuale35. È illecito il contratto che riguarda ciò che non è assoggettabile a scambio patrimoniale. In tal senso, l'illiceità discrimina l'attività negoziale con riguardo ai risultati che essa si prefigge; pervade come qualificazione assorbente tutti quei contratti volti a un risultato che possa argomentarsi come contrario a principi-valori riconosciuti e promossi dall'ordinamento. In quanto limite all’esercizio della libertà contrattuale sostanziato da principi-valori condivisi, l’illiceità si definisce nei contenuti sulla base del diritto storicamente rilevante in una determinata organizzazione sociale36. L'opinione comune ritiene che l'essenza della illiceità sia nella anomalia funzionale del negozio, nel suo deviare dalla funzione per la quale è ammesso nell'ordinamento. Nel contratto illecito la funzione è abusata dalle parti, che la strumentalizzano, rivolgendosi per mezzo di esso a obbiettivi vietati all'autonomia privata37. In passato questa consolidata concezione, per così dire ‘globale’, non era vanificata dalla configurazione positiva storicamente assunta dalla illiceità. Benché nel codice del 1865 l'illiceità fosse L’idea dell’urto, del contrasto, tra contratto e ordinamento accompagna da sempre le definizioni via via succedutesi del contratto illecito. Circa i termini e l’oggetto di questo urto (dinamicamente) e di questo contrasto (staticamente) sembra che con l’avvicendarsi degli anni le definizioni si siano enfatizzate, individuando la frizione del contratto illecito prima con gli interessi della società, poi con i suoi valori. F. FERRARA, Teoria, cit., p. 2, che pure suggerì l’immagine forte dell’urto del negozio illecito contro un divieto civile, ne individuò i termini nell’esercizio della libertà contrattuale da un lato e negli interessi della società dall’altro. Anche E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico (1960) Napoli, 1994, p. 114, adoperò una definizione parca, laddove scrisse che «Si qualifica propriamente illecito il negozio riprovato dal diritto, allorché questo strumento dell’autonomia privata viene adoperato a fini antisociali, per attuare un torto, ossia per ledere interessi che l’ordine giuridico di una società storicamente condizionata favorisce e protegge con le sue norme». F. GALGANO, Negozio, cit., p. 282 scrive, invece, di una «contraddizione» tra contratto illecito e ordinamento. In precedenza, F. MESSINEO, Contratto, II, cit., p. 230 aveva affermato che il contratto illecito contrasta «a certi principi che concorrono a costituire la sostanza dell’ordinamento». Anche nella giurisprudenza si ritiene che l’illiceità esprima un contrasto con i principi, giuridici ed etici, fondamentali dell’ordinamento (cfr., tra le più note, Cass. sez. un. 12 novembre 1983, n. 6729, in Giust. civ., 1984, I, p. 1546 ; Cass. sez. un. 3 aprile 1989, n. 1613, in Foro it., 1989, I, c. 1420; Cass. 28 aprile 1999, in Vita not., 1999, p. 803; Cass. 7 marzo 2001, n. 3272, in Diritto e formazione, 2001, p. 163). Può concludersi che per l’opinione invalsa nella dottrina e nella giurisprudenza il contratto illecito non lede semplicemente interessi ma, più intensamente, valori (l’assetto di interessi composto nel contratto contraddice a valori affermati nell’ordinamento). Va tuttavia precisato che il giudizio di illiceità risolve in realtà un conflitto tra valori: precisamente il conflitto tra il valore della libertà negoziale e i valori che essa può compromettere. In questo senso si comprende appieno la concezione della illiceità come limite all’esercizio della libertà contrattuale (e dunque alla espressione, sociale e giuridica, di un valore). Occorre aggiungere che tra i valori che possono essere vulnerati dall’esercizio della libertà contrattuale vi è la libertà contrattuale stessa: come è evidente nel contesto della contrattazione tra parti non eguali (cfr. specificamente il capitolo terzo). 36 Nello studio sul contratto illecito emerge chiaramente la necessità di considerare le regole giuridiche nella loro immersione in uno specifico contesto sociale, storicamente determinato. Questo metodo assicura che tali regole giuridiche corrispondano più compiutamente alla salvaguardia di valori condivisi: cfr. G.B. FERRI, Ordine pubblico, cit., e, più in generale, il saggio di A. FALZEA, Sistema culturale e sistema giuridico, in Riv. dir. civ., 1988, I, p. 4 ss. 37 L’idea, dovuta a F. FERRARA, Teoria, cit., p. 3, che «Il negozio illecito è l’abuso della libertà contrattuale», si è affermata nella dottrina successiva (cfr., tra i molti, M. NUZZO, Negozio giuridico IV. Negozio illecito, in Enc. giur., XX, Roma, 1990, p. 2; R. SACCO, L’abuso della libertà contrattuale, in AA.VV. L’abuso del diritto, in Diritto privato 1997, Padova, 1998, p. 218 ss.; ID., L’abuso e l’esercizio del diritto, in AA.VV., Il diritto soggettivo, in Trattato Sacco, Torino, 2001, p. 309 ss.; A. FEDERICO, Illiceità contrattuale e ordine pubblico economico, Torino, 2004, p. 5 s.). Sulla illiceità come strumentalizzazione della funzione cfr., per tutti, F. MESSINEO, Contratto, II, cit., p. 230, la relazione al codice civile, n. 614 e l'elaborazione di G.B. FERRI, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966. Cfr., inoltre, l’opera di G. PALERMO, Funzione illecita e autonomia privata, Milano, 1970; da ultimo, v. A. FEDERICO, Illiceità contrattuale, cit., p. 5. Il termine ‘funzione’, come già rilevato (da U. BRECCIA, Causa, cit., p. 231) ove riferito alla realtà di uno specifico assetto di interessi, svolge egregiamente il suo servizio nell'indicare il complessivo raggio di effetti del contratto, la sua capacità di produrre mutamenti in specifiche direzioni nella concreta relazione patrimoniale. 35 12 riferita alla causa del contratto38, gli interpreti erano soliti ricondurre altre ipotesi di illiceità entro i confini (oltremodo dilatati) della illiceità della causa; omettendo anche di discorrere di illiceità della causa per riferirsi, onnicomprensivamente, alla illiceità del negozio o del suo contenuto39. Né la scelta del vecchio codice apparve mai arbitraria: infatti, sul piano funzionale - proprio del giudizio di illiceità - nell’elemento causale si esprime l’intero negozio colto nel suo finalismo40. Invece, nella codificazione del 1942 la figura della illiceità perde la sua compattezza, replicandosi dall’ambito della causa quale elemento riferito alla funzione nella sfera di altri elementi costitutivi del contratto41. Accanto alla illiceità della causa – nell’architettura del codice ancora espressione paradigmatica della illiceità stessa42 - stanno infatti l’illiceità dei motivi e l’illiceità dell'oggetto (oltre che della condizione)43. L’area della illiceità quale anomalia della causa-funzione si Cfr. art. 1104: «i requisiti essenziali per la validità di un contratto sono […] una causa lecita per obbligarsi»; art. 1119: «l'obbligazione senza causa, o fondata sopra una causa falsa o illecita non può avere alcun effetto»; art. 1122: «la causa è illecita, quando è contraria alla legge, al buon costume o all'ordine pubblico». 39 Così, per esempio, il massimo studioso del tema: v. F. FERRARA, Teoria, cit., p. 4. Per una approfondita ricostruzione critica del pensiero di Ferrara cfr. G.B. FERRI, Ordine pubblico, cit., p. 126 ss.; v. anche N. IRTI, Problemi di metodo sul pensiero di Francesco Ferrara, in Quaderni fiorentini, 1972, spec. p. 235 ss., ove si evidenzia la componente storicistica nel metodo sistematico apprestato dall’eminente studioso. Sottolinea le influenze di quella concezione sulla codificazione del 1942 A. FEDERICO, Illiceità contrattuale, cit., p. 10 ss. 40 Cfr., nella dottrina classica, R. SCOGNAMIGLIO, Contributo, cit., 245: «mentre il soggetto, la forma, l’oggetto costituiscono di certo elementi essenziali della figura, ma ad essa esterni e dunque indipendentemente da essa suscettibili di concretizzarsi, la funzione fa corpo col negozio, rappresenta un profilo di decisivo interesse dell’intera figura e non può, come tale, concepirsi scissa dalla stessa». Nella dottrina recente, G.B. FERRI, Il negozio giuridico2, Padova, 2004, p. 153, a proposito della causa intesa come funzione, annota che con tale formula si attribuisce all’elemento causale «un ruolo che unifica e riassume tutti gli altri elementi». 41 Il seme di questo processo storico è rinvenibile nel progetto italo francese del Codice delle obbligazioni, che riferendo la illiceità alla causa (artt. 10; 27, comma 1; 29) estendeva il carattere di liceità anche all’oggetto (art. 23). 42 Tanto che si è scritto: «La legge fa, della causa illecita, il coefficiente principale e più comune della illiceità del contratto» (F. MESSINEO, Contratto, II, cit., p. 233). Il che si spiega non solo con l’influenza della tradizione, ma anche con l’idea (invalsa all’epoca della codificazione e dovuta al pensiero di E. BETTI, Teoria, cit., p. 172 ss.) della causa come funzione economico-sociale, strumento di controllo giurisdizionale dell’esercizio dell’autonomia privata, da piegarsi agli scopi superiori dell’ordinamento corporativo (cfr. relazione al c.c., n. 613, e le considerazioni di G.B. FERRI, Tradizione e novità nella disciplina della causa del negozio giuridico (dal cod. civ. 1865 al cod. civ. 1942), in Riv. dir. comm., 1986, I, p. 140 ss.; in giurisprudenza, cfr. per tutte Cass. 14 marzo 1961, n. 565, in Giust. civ., 1961, I, p. 991). In dottrina si osserva che nel giudizio di liceità le corti «a volte senza andare troppo per il sottile nel regolamento di confini con le ipotesi del motivo illecito e con la frode alla legge» concepiscono la causa «come lo strumento per tradurre e valutare da un punto di vista giuridico l’interesse fondamentale che sta alla base del programma negoziale» (A. FEDERICO, Illiceità contrattuale, cit., p. 72 s.). In questo senso la giurisprudenza si è pronunciata definendo la causa ‘strumento naturale’ del giudizio di illiceità, e riservando alla illiceità del motivo e alla frode alla legge il rango di ‘ipotesi sussidiarie’ (Cass. 3 aprile 1970, n. 896, in Giust. civ., 1970, I, p. 1385 ss.). 43 Nelle regole codicistiche sul contratto la liceità è dichiarata come requisito essenziale della causa, che non deve essere illecita (artt. 1343 e 1418, comma 2); del motivo, che allo stesso modo non deve essere illecito (artt. 788 e 1345); dell'oggetto (artt. 1346 e 1418, comma 2) della condizione, che neppure deve essere illecita (art. 1354) e del modo (art. 794). Giova puntualizzare che nel codice la parola ‘requisito’ è utilizzata in due diverse accezioni: «è sinonimo di ‘elemento’ […]., ove la si intenda come entità di cui è richiesta la presenza perché un atto (o un fatto, in generale) abbia esistenza; ha invece, un significato ed un rilievo proprio, ove la si intenda come qualità che ogni elemento deve avere, perché un atto (o un fatto) abbia rilevanza» (G. MIRABELLI, Dei contratti in generale3, in Commentario del codice civile, Torino, 1980, p. 43). Poiché, tuttavia, il codice non trae sempre conseguenze diverse dalla mancanza di elementi o dalla carenza, negli elementi, dei requisiti richiesti (es., la mancanza della volontà, come nell’errore ostativo, è equiparata alla volontà viziata dall’errore in senso proprio) si suggerì di abbandonare la fuorviante distinzione e di considerare i termini come sinonimi. Si portò pure l’esempio della equiparazione della causa mancante alla causa illecita (cfr. L. CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, s.d. ma 1958, p. 108 s.). Invece, proprio sul terreno della illiceità, la distinzione assume una notevole pregnanza: infatti la liceità è considerata, nel codice, sempre come requisito di un elemento; la mancanza del requisito nell’elemento determina conseguenze specifiche, riassumibili nello statuto del contratto illecito (cfr. la ricostruzione di A. FEDERICO, Illiceità contrattuale, cit., p.16 ss.). 38 13 amplia non per processo di espansione unitaria, ma per ripetizione (e perciò segmentazione) negli altri elementi rilevanti. ii) Codificazione della illiceità come ‘requisito’ di elementi del contratto. Sovrapposizioni e contaminazioni. - Benché la dottrina si sia a lungo cimentata in raffinate analisi volte a circoscrivere le aree di incidenza della illiceità causale rispetto alla illiceità degli altri elementi coinvolti, non può dirsi che sia infine riuscita nell’intento. L’insucesso era inevitabile: infatti, tutto ciò che è illecito nel contratto è pur sempre riferibile anche alla causa. Nell’elemento causale struttura e funzione si sovrappongono inseparabilmente. Mentre sul piano strutturale la causa è elemento del contratto, invece sul piano funzionale ne esprime la realtà unitaria e dunque, come si è scritto, anche la sua ‘funzione illecita’44. La distinzione positiva tra illiceità della causa e illiceità dei motivi ha suscitato forti perplessità. Sul presupposto che il motivo rilevante è quello oggettivato nel contratto, si affermò la confluenza del motivo illecito nell’area della causa illecita45. Il dibattito assunse anche i toni della polemica46 e fu segnato dalla convinzione, oggi abbandonata ma un tempo assai diffusa, secondo la quale di ‘illiceità della causa’ possa dirsi solo con riguardo ai contratti atipici e non anche a quelli tipici, dove la causa è posta dalla legge47. L’evoluzione di pensiero che corre dalla concezione della causa accolta dai compilatori del codice (l'astratta funzione sociale ed economica del contratto) alle visioni oggi affermatesi (della causa come funzione economico-individuale del contratto, come suo scopo concreto)48 ha contribuito a Così G. PALERMO, Funzione illecita, cit. che giudica pertanto la codificazione della illliceità «evidentemente imprecisa e fonte di equivoci» (p. 169). La scelta legislativa è anche stata bollata come assolutamente infelice: frutto di un insegnamento tradizionale «codificato in alcuna delle più scolastiche definizioni del codice civile» (F. CARRESI, Il contratto, in Trattato Cicu-Messineo-Mengoni, Milano, 1987, p. 327). 45 E. BETTI, Teoria, cit., p. 384; v. anche F. CARRESI, Il negozio illecito per contrarietà al buon costume, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1949, p. 44; G. MIRABELLI, Contratti, cit., p. 161. Nella giurisprudenza risalente, cfr. Trib. Milano 27 gennaio 1948, in Rep. Foro It., 1948, c. 935, n. 144. 46 Cfr. le critiche mosse alla posizione di Betti da L. CARIOTA FERRARA, Negozio, cit., p. 576, testo e nota 3, e la reazione veemente del primo in Teoria, cit., p. 384, nota 34. 47 Per tutti, oltre all’opera di Cariota Ferrara, cfr. L. CARRARO, Il negozio in frode alla legge, Padova, 1943, p. 58; p. 64; F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1954, p. 166; F. MESSINEO, Contratto, II, cit., p. 234; e v. la ricostruzione di queste vicende dottrinali in R. SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale, in Commentario ScialojaBranca, Bologna-Roma, 1970, p. 302 ss. e, più recentemente, in D. CARUSI, La disciplina della causa, in Trattato RescignoGabrielli, I contratti in generale, cit., p. 591 ss. Cfr. anche le annotazioni di F. CARUSI, La causa dei negozi giuridici e l’autonomia della volontà nel diritto privato italiano, Napoli, 1947, p. 227 ss. che ben colse l’insufficienza della concezione della causa tipica ai fini del giudizio di illiceità. Nella dottrina successiva, ancora attuali le accurate considerazioni di F. GAZZONI, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in Scritti Pugliatti, I, 1, Milano, p. 935 ss. 48 Tappe fondamentali della vicenda culturale nei contributi di G.B. FERRI, Causa e tipo, cit.; M. BESSONE, Adempimento e rischio contrattuale, Milano, 1969 (dello stesso cfr. anche Causa tipica e ‘motivo’ del contratto, dogmi di teoria generale, orientamenti della giurisprudenza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1979, p. 1098). Nella trattatistica cfr. R. SACCO, in R. SACCO, G. DE NOVA, Il contratto, I, in Trattato Sacco, Torino, 20043, p. 777 ss.; C.M. BIANCA, Diritto civile. III. Il contratto, Milano, 20002, p. 447 ss.; U. BRECCIA, Causa, cit. (dello stesso v. anche Morte e resurrezione della causa: la tutela, in AA.VV., Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, a cura di S. Mazzamuto, Torino, 2002, p. 241 ss.). Ampia rassegna critica, anche sugli ultimi sviluppi del dibattito intorno alla causa, in G. ALPA, La causa e il tipo, in Trattato Rescigno-Gabrielli, I contratti in generale, cit., p. 577 ss.; C. SCOGNAMIGLIO, Problemi della causa, cit., p. 86 ss. Nella giurisprudenza resta fondamentale (anche secondo l'opinione dell'autore da ultimo citato: v. p. 232, nota 2) Cass. sez. un. 11 gennaio 1973, n. 76, in Temi, 1976, p. 44; tra le pronunce meno risalenti, v. Cass. 26 gennaio 1995, n. 975, in Contratti, 1995, p. 362; Cass. 19 ottobre 1998, n. 10332, in Guida al diritto, 1998, n. 34, p. 78. Sulla scorta di un insegnamento che può dirsi ampiamente consolidato, si afferma: «Il giudice, nel procedere all'identificazione del rapporto contrattuale, alla sua denominazione ed all'individuazione della disciplina che lo regola, deve procedere alla valutazione ‘in concreto’ della causa, quale elemento essenziale del negozio, tenendo presente che essa si prospetta come strumento di accertamento, per l'interprete, della generale conformità a legge dell'attività negoziale posta effettivamente in essere, della 44 14 offuscare i confini già incerti della distinzione. La progressiva storicizzazione della ragione dello scambio per come obbiettivata nel singolo contratto pone infatti in evidenza le specifiche motivazioni che hanno animato le parti favorendo una chiara assimilazione tra causa e motivi49. Questa dinamica giunge alle estreme conseguenze con la valorizzazione ermeneutica della operazione economica sottesa al contratto o alla serie di contratti che la realizzano giuridicamente. L'attuale diffusa concezione del contratto come espressione o elemento di una più ampia operazione economica50 - da valutarsi con riguardo all’assetto globale degli interessi coinvolti – se permette al giudice un esame maggiormente efficace sulla liceità dei modelli contrattuali, pure accentua la compenetrazione tra causa e motivi: fino a rendere difficile, nel caso concreto, la definizione di spazi autonomi e separati51. quale va accertata la conformità ai parametri normativi dell'art. 1343 c.c. (causa illecita) e 1322, secondo comma, c.c. (meritevolezza di tutela degli interessi dei soggetti contraenti secondo l'ordinamento giuridico)» (Cass. 19 febbraio 2000, n. 1898, in Giust. civ., 2001, I, p. 2481). 49 Cfr. R. SACCO, in R. SACCO, G. DE NOVA, Contratto, I, cit., p. 842; M. NUZZO, Negozio, cit., p. 2; C. SCOGNAMIGLIO, Motivo (del negozio giuridico) in Dig. disc. priv., sez. civ., XI, Torino, 1994, p. 474; V. ROPPO, Il contratto, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, 2001, p. 413. Pertanto si afferma anche che il motivo comune «assorbe in sé nel contratto considerato la causa, vista in concreto» (A. GENTILI, Le invalidità, in Trattato Rescigno-Gabrielli, I contratti in generale, cit. p. 1495); tanto che la contrapposizione tra causa e motivi appare, oggi, ‘stereotipata’: in fin dei conti null'altro che una «antitesi di scuola» (U. BRECCIA, Causa, cit., p. 9 e p. 50); da ultimo, cfr. G. PASSAGNOLI, Il contratto illecito, in Trattato Roppo, II, Regolamento, a cura di G. Vettori, cit., p. 472. 50 Cfr. M. BESSONE, Adempimento e rischio contrattuale, cit., p. 275 ss.; G.B. FERRI, Causa e tipo, cit., p. 256 ss.; P. BARCELLONA, Intervento statale e autonomia privata nella disciplina dei rapporti economici, Milano, 1969, p. 288 ss.; G. BENEDETTI, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969, p. 2; G. PALERMO, Funzione illecita, cit., p. 111 ss.; A. DI MAJO, Causa del negozio giuridico, in Enc. giur., VI, Roma, 1988, p. 8. Sulla figura della ‘operazione economica’, nella dottrina recente si segnala particolarmente la riflessione di E. GABRIELLI, Contratto, mercato e procedure concorsuali, cit., p. 1 ss.; 175 ss.; ID., L’operazione economica nella teoria del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, p. 905; C. SCOGNAMIGLIO, Problemi della causa, cit., p. 165 ss. 51 Cfr., in generale, G. FERRANDO, Motivi, in Enc. giur., Roma, 1990, XX, p. 3 e, con specifico riguardo alla illiceità, L. RICCA, Motivi (dir. priv.), in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, p. 284; G. VETTORI, Anomalie e tutele, cit., p. 88 s. La nuova concezione favorisce e giustifica un uso giurisprudenziale del motivo illecito alquanto disancorato dai presupposti della comunanza e decisività, richiesti da un legislatore preoccupato di tenere fuori dal campo della rilevanza giuridica tutto quanto non fosse oggettivato nel contratto e dipendesse invece da intenzioni soggettive. L'uso è teso a far emergere il senso effettivo della concreta operazione posta in essere con il contratto. La tecnica apprestata è nella valorizzazione delle motivazioni dei contraenti effettuata senza soffrire troppo la lettera della legge: affiancando, soprattutto, al motivo comune anche il motivo unilaterale ma conosciuto dall'altra parte, che ne resta condizionata nell'esprimersi sull'assetto degli interessi (cfr. P. RESCIGNO, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, e ora in L'abuso del diritto, Bologna, 1998, p. 135). «Si pensi al caso della persona che, in cambio di un canone esoso, alloggi un latitante in una casa di campagna. Non sempre sarà ravvisabile un motivo illecito comune, eppure sarà sufficiente l'oggettiva speculazione su quell'interesse proibito che è all'origine della stipulazione strumentale del contratto» (U. BRECCIA, Causa, cit., p. 297). L’esempio prende il posto di quello classico, dove è evidente la comunanza del motivo, della «locazione di una casa perché il locatario vi svolga un’attività contraria alla morale (meretricio)» (L. CARIOTA FERRARA, Negozio, cit., p. 593. In giurisprudenza cfr., per es., Cass. 16 giugno 1986, n. 4001, in Giur. it., 1986, I, 1, c. 1064). La valorizzazione delle concrete motivazioni dei contraenti per come percepibili dall'esame complessivo della operazione posta in essere restituisce al giudizio di illiceità la sua natura assiologica. Nella preoccupazione di evitare giudizi moralistici sulle motivazioni che animano le parti, il legislatore si è curato di limitarne la rilevanza ancorandola ai rigidi caratteri della comunanza e della esclusività. In tal modo ha tuttavia depotenziato il giudizio di illiceità, rischiando di rendere irrilevanti i motivi illeciti pur oggettivati e tuttavia non comuni ma esclusivi, non determinanti ma concorrenti con altri che, in se stessi considerati, si mostrerebbero pienamente leciti. Il tentativo non poteva reggere all'applicazione pratica dell’art. 1345 c.c., comunque condizionata dalla natura del giudizio che quella disposizione esige. La illiceità dei motivi perde, nella pratica applicazione, la sua già sfumata specificità sfociando e disperdendosi prima nello spazio di rilevanza della causa, poi nell’ambito ancora più vasto della operazione economica. Sicché con riguardo all'art. 1345 c.c. si è potuto scrivere: «Alla sterilità delle previsioni legali sembrano accompagnarsi la rarità delle applicazioni giurisprudenziali e il generale disinteresse dei giuristi» (U. BRECCIA, Causa, cit., p. 295). 15 Un discorso molto simile interessa la condizione quale motivo oggettivato in una clausola del contratto. La illiceità che colpisce la condizione, pur assumendosi come distinguibile, si ammette anche come rispondente alla identica ragione che fonda l’illiceità della causa. Si è pertanto sostenuto che, rispetto alla illiceità dei costituenti fondamentali, quella della condizione sarebbe una estensione52: con ciò segnando tuttavia anche una evidente contiguità. Cosicché altri ritengono la illiceità della condizione omogenea all'illiceità della causa53. Allo stesso modo, l'introduzione nella codificazione vigente della illiceità dell'oggetto ha indotto la dottrina a interrogarsi sugli ambiti, eventualmente diversi, della illiceità della causa e della illiceità dell'oggetto. In astratto, la differenza sembra rigorosamente tracciabile: mentre la illiceità della causa concerne la ragione dello scambio, invece la illiceità dell'oggetto concerne (a seconda della concezione che si voglia accogliere) la cosa, o la prestazione, dedotta in contratto54. In concreto, da un lato, pur ribadendo la distinzione tra illiceità della causa e illiceità dell’oggetto si ammette che la illiceità dell’oggetto determina sempre la illiceità della causa55; dall’altro, va riconosciuto che è davvero difficile individuare una ipotesi di causa illecita in cui non sia sostenibile anche la illiceità dell'oggetto e viceversa. Può condividersi che si hanno evenienze in cui l'analisi dell'oggetto già palesa la illiceità del contratto, come nel contratto in cui è dedotta la commissione di un delitto56 e altre in cui l'esame isolato dell'oggetto nulla segnala sulla illiceità del contratto. Si pensa che possa seguirne la conclusione che, mentre nel primo ordine di casi «la causa illecita è un puro doppione», invece nel secondo le reciproche prestazioni sarebbero «lecite nel frammento e illecite nello scambio»57. Si avrebbe illiceità della (sola) causa quando nel contratto fossero comprese prestazioni isolatamente lecite, ma di cui è illecito lo scambio, come nell'esempio classico del contratto di prostituzione: l'attività sessuale è in se stessa lecita; illecito è lo scambio tra di essa e una controprestazione. L’argomentazione è chiaramente fallace. Sull’esempio classico, è facile confutare che l'attività sessuale non può mai essere oggetto di lecito contratto, non essendo suscettibile di integrare secondo Mentre nel primo caso si avrebbe riguardo a una tutela diretta dalla illiceità, che affligge i costituenti del contratto, nel secondo caso ricorrerebbe una tutela indiretta, consistente nella invalidazione di contratti magari in se stessi leciti e tuttavia condizionati a comportamenti in senso lato illeciti (così D’AMICO, Ordine pubblico e illiceità contrattuale, in A.A.V.V., Illiceità, immeritevolezza, nullità. Aspetti problematici dell’invalidità contrattuale, in Quad. Rass. dir. civ., a cura di F. Di Marzio, Napoli, 2004, p. 10, nota 2). Sulla distinzione tra illiceità della causa e illiceità della condizione cfr. inoltre C. MAJORCA, Condizione, in Dig. disc. priv., sez. civ., III, Torino, 1988, p. 295; e poi V. ROPPO, Contratto, cit., p. 613 s. 53 Così A. GENTILI, Le invalidità, cit., p. 1496; cfr. anche D. CARUSI, Condizione e termini, in Trattato Roppo, III, Effetti, a cura di M. Costanza, Milano, 2006, p. 303. 54 Il che, nel contesto della ormai superata dottrina che escludeva la possibilità della illiceità causale nei contratti tipizzati, svolgeva una importante funzione chiarificatrice, giacché si escludeva che «l’illiceità possa configurarsi nei contratti nei quali la causa coincide con la ‘funzione’ del negozio: in questi potrà parlarsi semmai di ‘oggetto’ illecito, allorché la prestazione di una delle parti o di entrambe impedisca la formazione di un valido contratto» (M. GIORGIANNI, Causa (dir. priv.), in Enc. dir., VI, Milano, 1960, p. 572; cfr. pure E. MOSCATI, Pagamento dell’indebito, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 186 ss.). 55 Nella dottrina recente, cfr. A. ALBANESE, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, Napoli, 2003, p. 277 ss. 56 Riferisce alla attività uno dei modi di essere dell'oggetto G.B. FERRI, Capacità e oggetto nel negozio giuridico, in A.A.V.V., Il contratto. Silloge in onore di Giorgio Oppo, I, cit., p. 134. Esempio classico è l'obbligazione del mandatario che, secondo l'opinione prevalente (v. tra i molti, G. BAVETTA, Mandato (dir. priv.), in Enc. dir., XV, Milano, 1975, p. 339 ; U. CARNEVALI, Mandato, in Enc. giur., XIX, Roma, 1990, p. 1; M. GRAZIADEI, Mandato, in Dig. disc. priv., sez. civ., XI, Torino, 1994, p. 160) si sostanzia in una prestazione di fare. Nel caso dell'attività, l’oggetto può apparire illecito in se stesso (come nel fatto di reato) e non esporsi alle obbiezioni sollevate sulla sua neutralità rispetto al giudizio di illiceità. Sembrerebbe che quando oggetto del contratto sia una attività, l'oggetto inteso come realtà materiale ed esterna al contratto e confluente in una condotta in esso dedotta sia immediatamente suscettibile del giudizio di illiceità. Ma v. oltre, nel testo. 57 U. BRECCIA, Causa, cit., p. 137; A. ALBANESE, Violazione di norme imperative, cit., p. 299. 52 16 diritto una prestazione (neppure gratuita)58. Allo stessa conclusione si giunge considerando l’esempio del reato di corruzione propria commesso attraverso il contratto con cui da un lato il privato si obbliga a un esborso, dall’altro il pubblico ufficiale si obbliga al compimento dell’atto conforme ai doveri di ufficio (art. 318 c.p.). Il comportamento doveroso di ufficio non può mai rilevare come lecita prestazione contrattuale. Per cui: o si considera in se stesso, senza alcun riferimento al contratto (e pertanto senza considerarlo oggetto dello stesso) oppure si conviene subito sulla illiceità del contratto (per illiceità non solo della causa, ma anche dell’oggetto). In realtà l'oggetto, quale frammento del contratto, non può mai essere lecito se è illecito il contratto di cui è costitutivo59. Tuttavia, considerando l’oggetto nello statuto suo proprio di oggetto del contratto, non può non riflettersi sui nessi che avvincono oggetto e causa, e dunque illiceità dell’oggetto e illiceità della causa60. Al di là delle dispute dogmatiche, la maggiore insidia per la razionalità del sistema insita nella espressa previsione della illiceità dell'oggetto si coglie compiutamente riflettendo sul problematico rapporto che corre tra oggetto e contenuto del contratto. Nelle opere di teoria generale dei contratti è presente la tendenza a identificare l’oggetto con il contenuto del contratto61. Per l'uso indifferenziato dei due termini – oggetto e contenuto - compiuto dal legislatore62, la discussa nozione di oggetto si trova in letteratura come in giurisprudenza sempre in bilico tra visioni ristrette, che lo identificano nel bene o nel servizio o nella prestazione, e visioni più ampie, che lo assimilano al contenuto63. Cfr. F. GALGANO, Negozio, cit., p. 287; F. CARRESI, Contratto, cit., p. 329; G. VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, Milano, 1993, p. 29; e, icasticamente, M. WEBER, Economia e società, cit., p. 43 il quale, discorrendo della libertà contrattuale sessuale in prospettiva storica e sociologica, constatò: «Un ritorno alla libertà contrattuale in campo sessuale sarebbe oggi più che mai impossibile». 59 In altre parole, dovrebbe convenirsi che l’esame dell’oggetto del contratto non possa mai avvenire a prescindere dal contesto costituito dal contratto stesso. Diverso è considerare l’atto delittuoso o non delittuoso (altro classico esempio: astensione verso corrispettivo dalla commissione di un reato) in se stesso e diverso considerarlo quale prestazione dedotta nel contratto. Soltanto nel primo caso si ha un giudizio di liceità o illiceità (civile e penale) confinato nella esclusiva osservazione del fatto (non ancora dedotto in prestazione); nel secondo, invece, integrando il fatto la prestazione contrattuale, di colpo cade in esame tutto il contratto, senza che questo effetto possa essere evitato: come non può evitarsi di guardare una scritta in una lingua conosciuta senza contestualmente leggere. Il fatto della vita dedotto in contratto rileva come (suo) oggetto proprio in forza di quella deduzione; la considerazione dell'oggetto non può che avvenire nello spazio di significanza giuridica in cui esso oggetto assume il suo statuto, e dunque nel contratto. A ragionare diversamente, e a valorizzare atomisticamente l'oggetto separandolo dal contratto, svanirebbe la sua qualità appunto di oggetto (del contratto) e resterebbero semplicemente un fatto, una cosa, una utilità muti e disarticolati: giuridicamente insignificanti nella loro autoreferenzialità. Per tornare all’esempio: l’atto del pubblico ufficiale conforme ai suoi doveri non è nemmeno reato se considerato isolatamente, e cioè slegato dalla controprestazione (cfr. ancora F. CARRESI, Contratto, cit., p. 328 ss.). 60 Dal punto di vista del giudizio di illiceità, quale giudizio sulla funzione, la distinzione tra oggetto illecito e causa illecita conduce l’interprete a considerazioni astrattizzanti e metodologicamente criticabili. Cfr. le annotazioni di E. GABRIELLI, L’oggetto del contratto, in Commentario Schlesinger, Milano, 2001, p. 81 ss. ID., Storia e dogma dell’oggetto del contratto, in Riv. dir. civ., 2004, I, p. 333; G.B. FERRI, L’‘invisibile’ presenza della causa del contratto, in Europa e dir. priv., 2002, p. 897 ss. Bisognerebbe convenire, in particolare, che esaminare l’oggetto fuori dal contratto sia un controsenso, perché fuori da quello non è più un oggetto (del contratto) ma qualsiasi cosa che non sia un ‘oggetto del contratto’; giacché l’oggetto in tanto rileva come tale in quanto è considerato ai fini dello scambio regolamentato nel contratto. 61 Come riferisce documentamente E. GABRIELLI, Storia e dogma, cit., p. 339 ss.; Id., Il contenuto e l'oggetto, cit., p. 702 ss. Cfr. anche A. FEDERICO, Illiceità contrattuale, cit., p. 34, che ricorda la dottrina di F. MESSINEO, Contratto, II, cit., p. 229 ss.; F. CARRESI, Il contratto, cit., p. 327 ss.; R. SACCO, in R. SACCO, G. DE NOVA, Contratto, II, cit., p. 59 ss.). Sempre E. GABRIELLI, Storia e dogma, cit., p. 346 ss, sottolinea come tale assimilazione sia sintonica con il diritto europeo dei contratti asimmetrici, di matrice sia positiva (ove l’oggetto si identifica con la descrizione, nel documento, del contenuto contrattuale) che colta (ove le caratteristiche legali dell’oggetto sono riferite al contenuto). 62 Nella materia del giudizio di illiceità basta confrontare il testo dell'art. 1322, dove il legislatore usa il termine ‘contenuto’, e il testo degli artt. 1346 e 1418, comma 2, dove ricorre invece al termine ‘oggetto’. 63 Sul primo avviso cfr., tra gli altri, F. MESSINEO, Il contratto in generale, I, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1968, p. 140. Per la seconda veduta cfr., per es., N. IRTI, Oggetto del negozio giuridico, in Noviss. Dig. it., Torino, 1965, XI, 58 17 Ma se si assottigliano i confini tra le due nozioni, ogni pretesa di mantenere distinte illiceità della causa (e anche dei motivi) e illiceità dell'oggetto resta delusa. Infatti, l’indagine sulla illiceità è tesa a verificare la compatibilità funzionale del contratto e del suo contenuto con i valori espressi dall'ordinamento; dal che la ricordata tendenza storica ad assimilare la illiceità della causa alla illiceità del contenuto (a riferire la illiceità, pur attribuita dal legislatore del 1865 alla causa, all'intero contenuto del contratto) 64. A segnare una provvisoria conclusione dell’indagine finora svolta, possono valere le parole di chi affermò: «Impiegati a caratterizzare le componenti morfologiche dell’a f f a r e, gli elementi del n e g o z i o danno vita a concetti la cui congruenza formale, al pari della concreta possibilità di sperimentazione, è quanto mai dubbia. Il loro significato, nella moderna concezione dell’autonomia, più complessa di quella originaria […], sfuma in mere intuizioni»65. II.2. Incertezza dei confini della illiceità nelle strutture del codice. – Alla difficoltà di segnare i confini interni della qualificazione si somma la difficoltà di tracciarne i confini esterni. Rimane incerto se l'illiceità possa riguardare anche altri elementi oltre a quelli previsti come aggredibili dalla qualificazione negativa: e così l'accordo o la forma; o involgere altri aspetti, come le caratteristiche soggettive dei contraenti; oppure se le fattispecie perplesse debbano comunque essere ricondotte a taluna di quelle note (e, specificamente, alla illiceità della causa); e ancora se a tali diverse forme di illiceità corrispondano o meno differenze di disciplina66. Inoltre, specifici problemi pone la ‘reputata’ illiceità del contratto in frode alla legge: interrogandosi la dottrina sulla natura effettiva della frode alla legge, e sulla legittimità di qualificare il contratto che ne è prodotto come ‘illecito’. p. 801; C.M. BIANCA, Diritto civile, cit., p. 315; F. CARRESI, Contratto, cit., p. 210; U. MAJELLO, Essenzialità dell’accordo e del suo contenuto, in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 114 s., nota 2. La vicenda concettuale è ricostruita da G. ALPA e R. MARTINI, Oggetto e contenuto, in Trattato Bessone, XIII, Il contratto in generale, 3, cit., p. 353 ss. i quali, al dichiarato fine di «salvare la nozione codicistica di oggetto» propongono di considerarlo come «parte del contenuto» riferita «ai diritti che si costituiscono, modificando o estinguono in ordine ai beni alle cose, alle prestazioni» (p. 363). Circa il diritto colto, è interessante annotare che l’art. 5, comma 3, del Code européen des contrats contempla tra gli elementi essenziali del contratto non la causa e nemmeno l’oggetto, ma il contenuto. Nessuno stupore, allora, se anche per queste ragioni si diffonde gradualmente la convinzione che tra illiceità della causa e illiceità dell'oggetto «sono intimi i contatti e frequenti le interferenze» (L. CARIOTA FERRARA, Negozio, cit., p. 592); che possono esservi commistioni, influenze e sovrapposizioni (a tal riguardo, v. M. NUZZO, Negozio, cit., p. 2; P. TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, Milano, 2002, p. 192); che ogni ipotesi di illiceità dell'oggetto determini l'illiceità della causa (poiché, si scrive, «l'illiceità dell'oggetto è un mero ossequio ‘storico’ alla teoria delle res extra commercium»: E. RUSSO, Norma imperativa, norma cogente, norma inderogabile, norma indisponibile, norma dispositiva, norma suppletiva, in Riv. dir. civ. 2001, I, p. 581, nota 6; cfr. anche G. MIRABELLI, Contratti, cit., p. 177); che l'illiceità causale sia anche, o resti assorbita nella illiceità dell'oggetto (cfr., F. FERRARA, Teoria, cit., p. 73 e F. GALGANO, Negozio, cit., p. 287; G. GIORGI, Teoria delle obbligazioni nel moderno diritto italiano esposta con la scorta della dottrina e della giurisprudenza , Firenze, 1924, III, p. 616). Si nota anche che «nel tessuto normativo del codice civile permangono i retaggi della sovrapposizione tra i concetti di causa e di oggetto, dato che alcuni requisiti (possibilità e liceità) appaiono riferibili al profilo funzionale, altri (determinatezza e determinabilità) a quello strutturale, dell'operazione economica consacrata nel contratto» (E. GABRIELLI, Il contenuto e l'oggetto, in Trattato Rescigno-Gabrielli, I contratti in generale, cit., p. 730). Infine, che «Si tende, però, a non drammatizzare più del necessario la distinzione tra causa ed oggetto illecito, vista l’identità di conseguenze che derivano da tale qualificazione e cioè, in ogni caso, la nullità del contratto» (A. FEDERICO, Illiceità contrattuale, cit., p. 82). In tal senso si era già espressa la giurisprudenza risalente (cfr. App. Roma, 9 giugno 1959, in Giur. it. rep., 1960, voce Obbligazioni e contratti, n. 192). 64 Cfr. R. SCOGNAMIGLIO, Contributo alla teoria del negozio giuridico, cit., 378, che ricostruisce l’intera categoria della invalidità sotto il segno della contrarietà del contenuto negoziale a norme imperative. 65 G. PALERMO, Funzione illecita, cit., p. 16. 66 Cfr., per es., R. MOSCHELLA, Il negozio contrario a norme imperative, in AA.VV., Legislazione economica (19781979) a cura di F. Vassalli, Milano, 1981, p. 271 ss. Per una ricostruzione della vicenda cfr. G.VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 25 ss. 18 i) Accordo, forma, soggetti e illiceità. - L'art. 1325 c.c. elenca tra i requisiti del contratto (intesi come elementi costitutivi) non solo la causa e l'oggetto, ma anche l'accordo e la forma. Non indica, invece, tra i requisiti (intesi come qualità) di accordo e forma la liceità. Eppure, dall’osservatorio del diritto razionale, non appare seriamente discutibile che un contratto possa essere considerato illecito nell'accordo. Il contratto con causa illecita, o con oggetto o motivo illeciti, o in frode alla legge è il prodotto di un consenso a sua volta necessariamente illecito. Considerato che l'accordo è «un fenomeno della vita sociale disciplinato dal diritto», «elemento centrale» e «il più caratterizzante» del contratto, è nell'accordo (nel consenso) che nasce e si realizza l'illiceità, poi collocabile anche in uno degli altri elementi, e immediatamente nella causa67. Più discutibile è se l'illiceità possa inficiare anche l'elemento della forma. Finora questa eventualità è stata esclusa sulla considerazione che la prescrizione formale si pone non come un obbligo ma come un onere, la cui inottemperanza dà luogo alla nullità del contratto per incompletezza strutturale (art. 1418, comma 2, c.c.). Tuttavia, le leggi in tema di contratti dei consumatori o involgenti taluni settori dei contratti di impresa impongono la forma non come onere, ma quale obbligo, ai fini della trasparenza e dell'informazione e a protezione di categorie di contraenti svantaggiate dalle asimmetrie informative. Se dal punto di vista dei requisiti di completezza del contratto la disattenzione delle prescrizioni di forma si presta a essere letta come mancato assolvimento di un onere, dal diverso punto di vista del rispetto delle norme imperative che quella osservanza prescrivono si presta invece a essere letta come violazione di un obbligo68. In queste ipotesi l’elemento di struttura del contratto acquisisce una collocazione diversa da quella finora descritta dalla sistemazione tradizionale69. Sorge pertanto il problema della liceità come requisito anche della forma70. 67 Citazioni rispettivamente da: C.M. BIANCA, Diritto civile, cit., p. 206; G. BENEDETTI, La categoria generale del contratto, cit., p. 54; V. ROPPO, Contratto, cit., p. 23. F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali, cit., p. 192, nega rilevanza alla distinzione tra contratto e accordo; G.B. FERRI, La nozione di contratto, in Trattato Rescigno-Gabrielli, I contratti in generale, cit., I, p. 14, nota 56, aderisce alla tesi e (nel testo) scrive: «sembra esservi perfetta coincidenza tra l'idea di contratto e quella di accordo». Da ultimo si è pronunciato sul tema, in condivisione agli indirizzi riferiti, U. MAJELLO, Essenzialità dell’accordo, cit., p. 113 ss. G.B. FERRI, Le annotazioni di Filippo Vassalli in margine a taluni progetti del libro delle obbligazioni, Padova, 1990, p. 23 ricorda come l’illustre maestro propose senza successo di sostituire, nella formulazione di quello che sarebbe divenuto l’art. 1325 c.c., la parola ‘accordo’ con la parola ‘consenso’, in quanto l’accordo, che significa ‘contratto’, non può anche significare un suo elemento costitutivo. Nel tradizionale linguaggio giuridico, tuttavia, entrambi i termini definiscono l’incontro di volontà: si tratta di termini sinonimi. 68 Che sempre più spesso è considerato come rispondente a ragioni ordine pubblico (cfr., di recente, G. BONFIGLIO, La rilevabilità d’ufficio della nullità di protezione, in Riv. dir. priv., 2004, p. 892). 69 Cfr. le osservazioni di V. SCALISI, Nullità e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, in AA.VV., Il contratto e le tutele, cit., p. 205. Dal descritto stato di cose discende anche una rilettura critica di soluzioni già accolte nel codice e antesignane, nella tutela degli interessi, a quelle citate: segnatamente, la ‘inefficacia’ delle clausole vessatorie statuita dall'art. 1341, comma 2, c.c., letta in giurisprudenza come nullità per inassolvimento dell'onere formale. 70 Il fenomeno appare spiegabile ove si consideri la stretta connessione, nelle leggi recenti sulla contrattazione diseguale, tra forma e contenuto (da trattare formalmente) spesso analiticamente descritto nelle disposizioni. La compenetrazione tra i due elementi - dovuta alla strategia ordinamentale di tutela della parte svantaggiata dalla ignoranza sua propria e dalla disinformazione eventualmente esercitabile dalla controparte - attenua la tradizionale neutralità riconosciuta all’elemento della forma, perciò usualmente letto come assoggettato a un onere piuttosto che fatto oggetto di un obbligo. Se l'informazione costituisce un dovere della parte ‘professionale’, posto a tutela degli interessi della parte ‘utente’ , ‘cliente’ o ‘consumatore’, si acuisce la difficoltà di considerare la forma, quale privilegiato e più efficace veicolo dell’informazione nel contratto, termine di un semplice onere e si accentua la tendenza a trattarla come dovuta per uno specifico obbligo. Va inoltre considerato che la liceità è qualità di elezione dell'oggetto, e che - per come illustrato in precedenza - nell'ottica della illiceità la nozione e il concetto di oggetto slittino via dalle tradizionali allocazioni per assestarsi gradualmente in sovrapposizione alla nozione, e al concetto, di contenuto. Anche per questo verso, e a causa della compenetrazione tra forma e contenuto, può essere spiegata l'evoluzione delle idee sulla possibile illiceità della violazione dell'obbligo (e non onere) formale nella contrattazione asimmetrica. In generale, cfr. R. LENER, Forma contrattuale e tutela del contraente «non qualificato» nel mercato finanziario, Milano, 1996, spec. p. 13 ss.; U. BRECCIA, La forma, in Trattato Roppo, I, Formazione, a cura di C. Granelli, Milano, 2006, p. 535 ss.; 623 ss.; 671 ss.; S. PAGLIANTINI, Forma e formalismo nel diritto europeo dei contratti, Pisa, 2009, spec. 65 ss. 19 Molto problematico infine il rapporto tra illiceità e condizioni soggettive dei contraenti. In via di principio il codice, mentre tratta le anomalie che attengono alla regola contrattuale con la nullità, invece alle anomalie relative ai soggetti che la pongono in essere riserva il rimedio della annullabilità71. L'illiceità del contratto può nondimeno dipendere anche dalla qualità soggettiva di uno dei contraenti. Un esempio incontroverso è dato dal contratto con cui un dirigente pubblico si impegna a compiere un atto amministrativo oppure si vincola con un privato che ha richiesto un provvedimento a persuadere esponenti della p.a. competenti a emetterlo della legittimità e opportunità del provvedimento stesso. Poiché, nel secondo caso, la stessa attività di lobbying svolta non dal dirigente pubblico ma da altro privato è invece ritenuta pienamente lecita, l'illiceità dipende dalla qualità di una delle parti72. Abbondano nell'ordinamento divieti di contrattare rivolti agli appartenenti a determinate categorie, e con riguardo a specifici settori: si trascorre dalle tradizionali incapacità di acquistare ai divieti che colpiscono il contratto d'opera concluso dal professionista non iscritto all'albo73. In tutti questi casi l'architettura del codice si incrina, perché laddove è prevista la nullità (per es., nell'art. 1471, comma 2 con riguardo ai casi elencati al comma precedente, sub 1 e 2) piuttosto che l'annullabilità (per es., nell'art. 1471, comma 2 con riguardo ai casi elencati al comma precedente, sub 3 e 4) il contratto «sembra essere considerato nella sua unitarietà di regola e di soggetti che l'anno posta in essere». Cosicché a volte la giurisprudenza decide per la illiceità del contratto74. Più in generale, e come già ricordato, la qualità soggettiva delle parti - o se si preferisce il loro status75 o ruolo assunto nel contratto - funziona nella moderna disciplina del contratto e del mercato (del contratto per il mercato) come importante discrimine tra lecito e illecito. Nelle leggi recenti, il soggetto generale e astratto delle precedenti normative è stato sostituito dalle varie figure di soggetti selettivamente legittimati al contratto in quanto attori del mercato76. La regola non appare più Cfr. G. B. FERRI, Introduzione al sistema dell'invalidità del contratto, in Trattato Bessone, XIII, Il contratto in generale, t. 7, cit., p. 18; e anche A. DI MAJO, La nullità, cit., p. 140 ss. 72 L'esempio è proposto da V. ROPPO, Contratto, cit., p. 400. Con riguardo alla carenza di qualità soggettive, sono ricorrenti i casi di esercenti attività sanitarie o di operai che eseguono prestazioni potenzialmente dannose per la salute e l’incolumità pubbliche in mancanza delle prescritte certificazioni amministrative. 73 Sull’incapacità di acquistare si annota: «Si tratta di un istituto che la dottrina sembra sempre aver trattato con parsimonia e sospettosità» (G.B. FERRI, Capacità, cit., p. 126) il che può contribuire a spiegare il ridotto allarme sulla insufficienza delle categorie della illiceità circa dette ipotesi. Sui secondi, definendo il relativo settore contrattuale «ampio», esemplifica R. SACCO, in R. SACCO, G. DE NOVA, Contratto, II, cit., p. 61: «la compravendita fra sindaco e comune, il contratto concluso da chi non è iscritto all'albo, la società di gestione dell'impresa farmaceutica conclusa da chi non è abilitato all'esercizio professionale, il patto di quota lite fra avvocato e cliente, la cessione di quota di patrimonio fra paziente e chirurgo»; cfr. anche G.VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 55. 74 Cfr., G.B. FERRI, Introduzione al sistema dell'invalidità, cit., p. 21 (da cui la citazione). In giusprudenza cfr., tra le altre, Cass. 17 gennaio 1984, n. 372, in Giust. civ. Mass., 1984, f. 1. 75 Dietro le suggestioni suscitate dalla introduzione della tutela contrattuale del consumatore, è stata avanzata la suggestiva tesi sul rilievo dello status dei contraenti nel nuovo diritto dei contratti (cfr. G. ALPA, «Status» e capacità, RomaBari, 1993, spec. p. 205 ss., seguito da altra dottrina, elencata in G. ALPA, G. CHINÈ, Consumatore (protezione del) nel diritto civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., XV, Appendice, Torino, 1997, p. 555). Per una posizione critica cfr. P. BARCELLONA, Soggetti e tutele nel mercato europeo/mondiale, in AA.VV., Diritto privato europeo e categorie civilistiche, a cura di N. Lipari, Napoli, 1998, p. 67. 76 Cfr. le anticipazioni a questo modo di vedere contenute nella proposta teorica di G. VETTORI, Anomalie e tutele, cit., p. 53 ss. e, nella letteratura che è seguita, l’analisi di N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, cit., p. 51. 71 20 considerabile separatamente dai soggetti che la pongono in essere77. Il problema della legittimazione interseca, sul piano dei rimedi, quello della nullità da illiceità. ii) Contratto in frode alla legge e funzione illecita. - Le insufficienze di un approccio strutturale al problema della illiceità emergono ancora più chiaramente nella materia della frode alla legge. La formula di cui si serve il codice nell’art. 1344, secondo cui la causa in frode deve ‘reputarsi’ illecita, ricondotta dagli interpreti ora alla illiceità dei motivi ora alla illiceità in senso stretto della causa78, fa emergere la questione di fondo del percorso che si sta intraprendendo: la funzione reale espressa dal contratto può sfuggire alla semplice considerazione della causa; questa la ragione che fonda il ricorso alla frode: creare una apparenza di liceità. Per diffuso indirizzo, nell’indagine sulla frode l’interprete deve valutare la sussistenza di fattori sufficientemente univoci dai quali possa desumersi la strumentalizzazione del contratto in sé lecito al fine vietato. L’oggetto dell’analisi è dunque la sostanza economica dell’affare maturato con il contratto; l’indagine deve essere principalmente rivolta a verificare se quella ‘sostanza’ corrisponde o meno al risultato economico vietato dalla legge79. Della rilevanza dei ‘contraenti’ nel nuovo diritto dei contratti scrive E. GABRIELLI, I contraenti, in AA.VV., Il diritto europeo dei contratti d’impresa. Autonomia negoziale e regolazione del mercato, a cura di P. Sirena, Milano, 2006, p. 113 ss., precisando come tale rilevanza sia da escludere nella disciplina codicistica, attenta al contratto piuttosto che alla operazione economica (la considerazione della quale soltanto permette di valorizzare il ruolo dei contraenti). S. PATTI, I contratti del consumatore nel BGB, in AA.VV., La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futturo diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti?, Padova, 2004, p. 96 critica a riguardo le codificazioni colte, giacchè il diritto comune europeo (sia nella proposta dei Principles sia nella proposta del Code elaborato dall’Accademia dei Giusprivatisti Europei) scostandosi in ciò dal diritto comunitario, non attribuiscono rilevanza ai ‘contraenti’. 78 Cfr., per tutti, i contributi di L. CARRARO, Il negozio in frode alla legge, cit., passim; L. CARIOTA FERRARA, Negozio, cit., p. 595 s.; E. BETTI, Teoria, cit., p. 378; G. GIACOBBE, Frode alla legge, in Enc. dir., XVIII, Milano, 1968, p. 82; G. MIRABELLI, Contratti, cit., p. 170. Non sembra superfluo sottolineare che, secondo una diffusa concezione, la illiceità ‘reputata’ del contratto in frode alla legge pone quest'ultima come causa autonoma di invalidità, non necessariamente riconducibile alla illiceità della causa (così, sulle orme della dottrina di L. CARRARO, Il negozio in frode alla legge, cit., p. 69 ss., ma con diverse argomentazioni, G. GITTI, Il contratto in frode alla legge: itinerari della giurisprudenza, in Riv. critica dir. priv., 1989, p. 796; ID., Divieto del patto commissorio, frode alla legge, «sale and lease back», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1993, p. 469 ss. Alla tesi aderisce, sostanzialmente, G.VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 35). È stato obbiettato che la frode incide necessariamente la causa, che diviene illecita in quanto oggettivamente strumentalizzata a fini illeciti (così S. PUGLIATTI, Precisazioni in tema di vendita a scopo di garanzia, in ID., Diritto civile. Saggi, Milano, 1951, p. 381 ss.; G. GIACOBBE, La frode alla legge, Milano, 1968, p. 82; U. M ORELLO, Frode alla legge, in Dig. Disc. priv., sez. civ., VIII, Torino, 1992, p. 504, nota 16). Si diffonde l'idea che la causa del contratto sarebbe in se stessa lecita, ma diviene illecita in quanto strumentalizzata per fini vietati alle parti: in quanto abusata (cfr., per tutti, G. D’AMICO, Libertà di scelta del tipo contrattuale e frode alla legge, Milano, 1993, p. 165 ss.). 79 Importante, in tal senso, anche il rinvenimento di indici sintomatici della frode sedimentatisi, per ciascuna delle figure ricorrenti, a seguito dell’elaborazione giurisprudenziale. Ciò che, tuttavia, conta essenzialmente è l’interpretazione dello scopo del divieto e del fine concreto raggiunto con il contratto, nonché la sussistenza o l’insussistenza di un interesse meritevole delle parti all’adozione di quelle particolari modalità negoziali (cfr. U. MORELLO, Frode alla legge, cit., p. 504 ss.). L'apprezzamento della sostanza economica dell'affare alla luce della meritevolezza dell'interesse a servirsi dello specifico schema contrattuale fa oscillare l'indagine dentro e fuori lo spazio della c.d. causa concreta (l'esame della quale potrebbe non essere sufficiente a evidenziare la meritevolezza dell'impiego della modalità contrattuale prescelta; si afferma pertanto che la causa concreta del contratto fraudolento può apparire in se stessa pienamente lecita: cfr. U. BRECCIA, Causa, cit., p. 266) e contribuisce all’emersione del motivo illecito costituito dal comune intento fraudolento. Si prende atto, nella dottrina recente, che il contrasto, così spesso rimarcato tra teorie oggettive e teorie soggettive, «è più che altro teorico»; nemmeno sfugge che la giurisprudenza, nell’indagare la frode, valorizza sia il risultato pratico a cui conduce il contratto e che in esso è oggettivamente perseguito, sia l’intento elusivo che ha animato i contraenti (cfr. G. GITTI, Divieto del patto commissorio, cit., p. 466 ss., da cui la citazione). 77 21 L'indagine sul profilo causale accentua la problematicità del suo risultato quando la frode è consumata attraverso una serie di atti e contratti tra di loro collegati80. In tal caso, infatti, la semplice considerazione delle ragioni del singolo contratto risulta insufficiente a svelare il senso dell'intera operazione realizzata nel procedimento negoziale in frode alla legge. Né, a tal fine, apporta alcuna concreta utilità il mero ricorso alla nozione legislativa di ‘causa’ come elemento del contratto, con la conseguenza che la distinzione tra atto contro la legge e atto in frode alla legge è destinata a rimanere incerta81. II.3. Il profilo ricostruttivo. Illiceità come qualificazione della condotta contrattuale. – La propagazione nel codice vigente rispetto all'abrogato della illiceità dalla causa all'oggetto, ai motivi e alla condizione non ha comportato una maggiore linearità e sistematicità della materia; al contrario, ha determinato un orientamento degli studi verso direzioni lontane da quelle maggiormente raccomandabili al fine di isolare profili significativi del contratto illecito. In primo luogo, la dottrina è stata dissuasa dallo studiare l'illiceità come predicato non di alcuni elementi, ma del contratto in se stesso considerato. Questa attitudine metodologica ha comportato la valorizzazione di approcci astrattizzanti e la svalutazione di visioni invece attente al concreto atteggiarsi del fenomeno contrattuale nella sua interezza: con attenzione alla operazione economica realizzata attraverso l'atto di autonomia e considerando il risultato pratico avuto di mira. In secondo luogo, e per l’effetto, allo studio strutturale e parcellizzato della illiceità è fatalmente sfuggito il carattere originario e fondamentale della qualificazione: di essere riferita non all’atto, ma alla condotta che lo determina. Dunque: non al contratto, ma all’esercizio della libertà contrattuale. Occorre allora concentrare l’indagine su entrambi gli aspetti, così da prospettare l’idea della illiceità come qualificazione non dell’elemento contrattuale e nemmeno del contratto o della operazione, ma - prima di ogni altra cosa - dell’esercizio della libertà contrattuale. i) Dalla illiceità degli elementi alla illiceità del contratto.- Si è illustrato come la possibile alternativa alla irrazionale frammentazione della illiceità trovi riscontro nelle pieghe stesse del codice: e precisamente nell'art. 1344 dove l'equivoco riferimento alla causa non vale a fondare l'indagine sulla frode all'interno di tale requisito, infatti incapace di contenere il senso globale della operazione realizzata. Pure significative appaiono alcune regole sparse, in cui la terminologia tradisce la realtà del fenomeno giuridico descritto, e l'illiceità cessa di essere fissata in alcuni requisiti per essere sinteticamente attribuita al ‘contratto’82. Tanto che, sulla scorta del pensiero di S. PUGLIATTI, Precisazioni in tema di vendita, cit., p. 298 ss., nella dottrina recente la frode è ricostruita come fattispecie di collegamento negoziale: cfr. C. SCOGNAMIGLIO, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, Padova, 1992, p. 450 e, di recente, sin dal titolo, S. NARDI, Frode alla legge e collegamento negoziale, Milano, 2006. 81 Cfr. G. PALERMO, Funzione illecita, cit., p. 69, che giunge alla conclusione all’esito di una accurata disamina del problema con riguardo al trattamento da riservare ai trasferimenti commissori. Delle insufficienze accusate dall'indagine causale nella repressione della frode alla legge fu consapevole in certa misura il legislatore, che giunse alla scrittura dell'art. 1344 dopo molteplici ripensamenti. Nella iniziale formulazione dell'art. 216 del progetto preliminare la norma prevedeva l'illiceità del contratto che, pur avendo causa lecita, costituisce il mezzo per eludere l'applicazione di norme imperative; benché la disposizione menzionasse anche la causa (al fine di chiarire che la sua liceità non è sufficiente a escludere la frode) riferiva la strumentalizzazione all'intero contratto. La disposizione, rielaborata nell'art. 241 del progetto definitivo, contemplò la illiceità del contratto in frode alla legge senza più nessun riferimento alla causa (disponendo che «oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, il contratto è nullo […] quando costituisce il mezzo per eludere disposizioni imperative e proibitive della legge o di norme collettive»). Proprio con esclusivo riguardo alla causa, invece, è stata redatta la norma nella sua formulazione definitiva. 82 Così accade nella norma sul contratto illecito, tale perché determinato da motivo illecito comune, art. 1345; così accade pure nella norma sulla prova della simulazione diretta a far valere l'illiceità del contratto dissimulato, art. 1417; così accade infine nella norma che dichiara la nullità della transazione relativa a un contratto illecito, art. 1972, comma 1. 80 22 Come anche questi indizi positivi dimostrano, «il codice stesso, pur distinguendo i casi, mostra di riferire essenzialmente al contratto il predicato della illiceità». Le allocazioni in cui il legislatore ha disposto l’illiceità non sono dunque determinanti per l’interprete. Se lo ritiene razionale e opportuno, egli non incontra ostacoli effettivi a trarre l’illiceità fuori dal singolo elemento negoziale per osservarla e studiarla nel contesto del contratto come figura generale. Questa opzione metodologica consente nuovamente di conciliare l’«unitario significato della illiceità» con il suo «unitario punto di riferimento […], ravvisabile nel contratto»83. ii) Dalla illiceità del contratto alla illiceità della operazione economica. – Da quando la dottrina sulla frode alla legge ha elaborato a sufficienza l'idea dell'abuso strumentale del modello piegato a fini illeciti, si è dovuto prendere atto che l'esame strutturale non solo dei singoli elementi ma anche del contratto non garantisce risultati soddisfacenti. La frode diviene infatti percepibile soltanto abbandonando ogni punto di vista interno al contratto e assumendo un punto di vista a esso esterno, prendendo posizione nell'osservatorio apprestato, del resto, già dagli artt. 1344 e 1345 c.c. e dalla dottrina sul collegamento negoziale84. Le esigenze evidenziatesi nello studio della frode alla legge hanno così imposto di considerare insieme tutti gli atti e i contratti, per verificare l'effettività del complesso artificio giuridico che li predispone al fine illecito85. Il cambio di prospettiva consente di denunciare e superare quello che è stato definito un «grave vizio di impostazione»86: di assumere a oggetto dell'indagine non l'esercizio dell'autonomia, ma il suo prodotto; non il fine perseguito e il risultato raggiunto, ma la regola predisposta, nonostante il fatto che il giudizio di illiceità non possa che riguardare - per la sua natura - un concreto risultato nella compatibilità che manifesta con l’assetto valoriale espresso dall’ordinamento. Sulla scia di questi progressi, studi recenti sensibili all'esigenza di cogliere il contratto nel suo significato concreto cercano di elaborare una concezione operativa di causa illecita (e di motivo illecito) ricavata dalla osservazione e classificazione delle pronunce giurisprudenziali87. Nella dottrina contemporanea non mancano, inoltre, autori persuasi della opportunità di trattare unitariamente la Citazioni da A. GENTILI, Le invalidità, cit., p. 1494 e 1496. C.M. BIANCA, Diritto civile, cit., p. 617 riferisce l'illiceità, immediatamente, al contratto. Nella dottrina precedente va segnalato il contributo di G. PALERMO, Funzione illecita, cit., dove è proposta una prima unificazione, sotto il concetto di funzione illecita, della illiceità del motivo, della causa, della frode. La persuasività dell’approccio è comprovata dalla unitarietà della nozione di illiceità, dalla difficile distinguibilità in concreto delle varie ipotesi se riferite a elementi separati e dalla identità del rimedio, che, secondo la comune opinione, è sempre la nullità. Si comprende, dunque, perché nella prassi giurisprudenziale invalsa in altri ordinamenti e in alcune recenti codificazioni l'illiceità sia riferita al contratto globalmente considerato (o alla causa intesa però come essenza dell'intera operazione economica posta in essere) piuttosto che alla causa atomisticamente considerata: cfr. le osservazioni di U. BRECCIA, Causa, cit., p. 147, nota 4 che ricorda gli esempi delle codificazioni olandese (art. 3, 40 I e II NBW) e portoghese (art. 280 Codigo Civil); nello stesso senso si pone già la codificazione tedesca, che configura la illiceità senza alcun riferimento alla causa (§§ 134 e 138 BGB). Cfr. anche H. KÖTZ, La invalidità dei contratti per contrarietà alla legge e al buon costume. Appunti di diritto comparato, in Riv. critica. dir. priv., 1995, p. 675, che sottolinea la progressiva perdita di importanza, nelle legislazioni recenti, del requisito della causa. La fondatezza della tesi trova inoltre conferma nel percorso argomentativo di chi, pur dichiarando di dissentire da un orientamento definito ‘diffuso’, per riaffermare invece la razionalità delle parcellizzazioni (cfr. M. LIBERTINI, La causa nei patti limitativi della concorrenza tra imprese, in A.A.V.V., Contratto e antitrust, cit., p. 92, nota 5), riconosce peraltro la coincidenza tra motivo rilevante e causa in concreto (p. 95) e ammette che ogni illiceità dell’oggetto è anche, di norma, illiceità della causa (p. 98). 84 Sulla proficua ricerca della illiceità attraverso la lettura coordinata di tutti gli schemi giuridici utilizzati dalle parti nel realizzare l’affare ancora attuali le riflessioni di C.M. BIANCA, Il divieto del patto commissorio, Milano, 1957, p. 154 ss. e G. PALERMO, Funzione illecita, cit., passim. 85 U. BRECCIA, Causa, cit., p. 307. Cfr. G. GIACOBBE, La frode alla legge, cit., p. 51; G. PALERMO, Funzione illecita, cit., p. 13; M. NUZZO, Negozio, cit., p. 7; G. D’AMICO, Libertà di scelta del tipo contrattuale, cit., p. 171. 86 G. PALERMO, Funzione illecita, cit., p. 128. 87 cfr. G.VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 41 ss. 83 23 questione della illiceità, nella convinzione che la qualificazione si osserva nella sua reale portata solo se oggetto di esame diviene il contratto, inteso anche come elemento di una più complessa operazione economica posta in essere dalle parti88. Questo nuovo modo di pensare recupera la radice concettuale della qualificazione: l'idea della illiceità come deviazione funzionale verso uno scopo concreto vietato dall'ordinamento. Emancipa tuttavia il concetto di funzione dalla figura della causa, in cui l'avevano chiuso la codificazione del 1865 e la tradizione dottrinale, e lo riferisce all'intero contratto ponderato come strumento unitario per il fine illecito. Dà corpo a questo fine cogliendolo nell'affare, nella operazione economica che il contratto permette di realizzare89. Il metodo si mostra non soltanto fruttuoso, ma anche necessitato per una ragionevole valutazione della realtà del contratto soprattutto nell’epoca attuale, dove le discipline sopravvenute incoraggiano a vari effetti una valutazione complessiva del regolamento contrattuale (già imposta da norme classiche, come gli artt. 1447, 1448, 1467 c.c.). E così nella valutazione dello squilibrio significativo nei contratti del consumatore, e nella ponderazione dell’eccessivo squilibrio in alcuni settori della contrattazione di impresa (con riguardo alla disciplina sui ritardi di pagamento, con riferimento all’abuso di dipendenza economica e circa l’abuso di posizione dominante)90. iii) Illiceità come predicato non della operazione ma della prestazione dedotta. - Occorre a tal punto interrogarsi ulteriormente sulle radici della illiceità: sul modo in cui si manifesta nel contratto (e quindi nella operazione economica) come qualificazione pervadente. Fondamentale è la riflessione elaborata nell'ambito dell'oggetto illecito, di cui pure si è dato conto. Occorre adesso aggiungere: poiché l'illiceità è predicato di una condotta - ed esprime la non conformità di essa a un obbligo legale, positivo o negativo – il riferimento al contenuto-oggetto non può limitarsi (come invece ancora si ritiene diffusamente) alla considerazione del bene della vita dedotto in contratto, sia anche individuato in una utilità o in un valore91. Un bene una utilità o un valore non possono contrastare l'ordinamento ma Cfr. E. GABRIELLI, Il contenuto e l'oggetto, cit., p. 750 ss. L’evoluzione dottrinale è parallela all’evoluzione giurisprudenziale. Esemplare la giurisprudenza di legittimità formatasi sul dibattuto contratto di lease back: ritenuto lecito e meritevole in quanto dall’esame della concreta operazione economica possa desumersi la realizzazione di una struttura contrattuale finalizzata a un ragionevole esercizio dell’impresa, illecito in quanto strumentalizzato a fini riprovati, quale quello di comporre una convenzione commissoria: perché soltanto in questo secondo caso in contrasto - diretto o indiretto - con il divieto espresso dall’art. 2744 c.c. Il leading case è costituito, come noto, da Cass. 16 ottobre 1995, n. 10805 - pubblicata, tra l’altro, in Giust civ., 1996, I, p. 1739; Foro it., 1996, I, c. 3492. 90 Si affaccia pertanto il problema del controllo dell’esercizio dela libertà contrattuale. Sotto un primo profilo, la questione si ridefinisce in una prospettiva orizzontale. La libertà di contratto non è più da tutelare conto le interferenze del pubblico potere, ma nell’ambito dei rapporti tra privati (cfr., per tutti, P. RESCIGNO, L’autonomia dei privati, in ID., Persona e comunità, II, Bologna, 1988, p. 425 s.). È ormai consapevolezza acquisita che il contratto si disveli nel suo ruolo di fonte del diritto; nel suo essere espressione di poteri che mettono in discussione non solo l'ordine giuridico dei mercati, ma anche le strutture democratiche della società e, in certe manifestazioni, i suoi fondamenti etici (occorre richiamare, sul punto, le riflessioni storicamente stratificatesi sull’esercizio della libertà contrattuale come espressione di potere - e v., per tutti, L. FERRI, L’autonomia privata, Milano, 1959, p. 4 ss. - potere, come evidenziato dalla prassi delle imprese prevalenti sul mercato, di fissare una norma, che è il contratto: cfr. R. SAVATIER, Les métamorphoses économiques et sociales du droit civil d’aujourd’hui, Paris, 1952, p. 64; V. ROPPO, Contratti standard. Autonomia e contratti nella disciplina delle attività negoziali d’impresa, Milano, 1975, p. 98; G. DE NOVA, La legge tedesca sulle condizioni generali di contratto, in Riv. dir. civ., 1978, I, p. 111 ss.; P. BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, Napoli, 1996, p. 404 ss.). Sotto altro profilo, il contratto si presenta all’osservatore nella sua natura deterritorializzata e globalizzante, scarsamente conciliabile con l'irrinunciabile istanza di sovranità espressa dagli ordinamenti (il rinvio, per tutti, è alla riflesione di N. IRTI, Norma e luoghi, cit.). Sotto entrambi gli aspetti cade in discussione – sia pure in forme nuove - l’esercizio della libertà contrattuale con riguardo alle compatibilità ordinamentali, e si evidenzia nella sua attualità il problema del contratto illecito. 91 Per la dottrina classica il rinvio è, per tutti, a F. MESSINEO, Contratto, cit., I, p. 135; G. STOLFI, Teoria del negozio giuridico, Padova, 1961, p. 14. Nella dottrina recente, cfr. G.B. FERRI, Negozio, cit., p. 152 ss.; ID., Capacità, cit., p. 134 s. Sulle diverse dottrine succedutesi con riguardo alla individuazione dell'oggetto, cfr. N. IRTI, Disposizione testamentaria 88 89 24 soltanto essere lo strumento, il prezzo, il prodotto o il profitto dell'atto (di dare, non dare, fare, non fare o soggiacere) contrattualmente posto in violazione della prescrizione di legge92. Da questo punto di vista, ciò che contrasta l'obbligo di legge non è mai la cosa (il bene, l'utilità, il valore) ma sempre la prestazione (nell’ampia e problematica accezione accolta nello studio non dell'obbligazione ma del contratto93). Si intende: la prestazione non isolatamente considerata ma guardata nel contesto più ampio in cui si inserisce94. Il codice, enucleando l'illiceità della causa, dell'oggetto, dei motivi, della condizione e del modo, non ha fatto altro che descrivere da diverse angolazioni l’illiceità della prestazione95. iv) Illiceità come predicato non della prestazione ma della condotta contrattuale. - Nemmeno il ricorso al concetto di prestazione soddisfa appieno. A esso va riconosciuto il merito di riferire la illiceità a una condotta, quale è certamente la prestazione, dedotta nel contratto. Ma a una più attenta considerazione, si scopre inidonea a cogliere l'essenza del giudizio di illiceità al pari della diversa prospettazione dell'oggetto che lo individua nel bene, nella utilità o nel valore. Infatti, l'illiceità non costituisce termine di un giudizio che possa riguardare la prestazione più di quanto possa riguardare gli altri elementi del contratto, o la qualità dei soggetti che lo pongono in essere. La illiceità è nell’essenza predicato non di un atto o di sue porzioni, ma di una condotta. Va aggiunto: non semplicemente della condotta che integra la prestazione bensì, ancor prima, della condotta tenuta dalle parti nello stabilire il regolamento e nel concludere il contratto. rimessa all'arbitrio altrui, Milano, 1967, p. 128 s. e, da ultimi, E. GABRIELLI, Il contenuto e l'oggetto, cit., p. 702 ss.; G. GITTI, Problemi dell'oggetto, in Trattato Roppo, II, Regolamento, a cura di G. Vettori, cit., p. 4 ss. 92 In questo senso, sulla scorta di precedenti intuizioni (v. D. RUBINO, La compravendita, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1952, p. 77; F. MESSINEO, Contratto, II, cit., p. 268, nota 117) cfr. R. MOSCHELLA, Il negozio contrario a norme imperative, cit., p. 306, nota 133; U. SALVESTRONI, Incommerciabilità dei beni e autonomia negoziale, in Riv. dir. comm., 1988, II, p. 502; G. VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 37; E. GABRIELLI, L’oggetto del contratto, cit., p. 79 s. In giurisprudenza cfr., tra le altre, Cass. 26 aprile 1984, n. 2631, in Riv. giur. ed., 1984, I, p. 666; Cass. 26 giuno 1990, n. 6466, in Rep. Giust. civ., 1990, voce Vendita, n. 59; Cass. 27 aprile 1991, n. 4640, in Rep. Giust. civ., 1991, voce Appalto, n. 2; Cass. 1° marzo 1994, n. 2035, in Foro it., 1995, I, c. 2551; Cass. 8 settembre 1999, n. 9508, in Gius., 1999, p. 2777. 93 Sulla dottrina che individua l'oggetto nella prestazione, e sulle obbiezioni critiche a cui si espone, cfr. le ampie indicazioni (anche bibliografiche) in E. GABRIELLI, Il contenuto e l'oggetto, cit., p. 705; ID., L’oggetto del contratto, cit., p. 28 ss.; ID., Storia e dogma, cit., p. 335 ss. (ove pure si osserva che tale dottrina è quella dominante). 94 Nella giurisprudenza cfr. Cass. 15 dicembre 2003, n 19190 secondo cui l'eventuale non conformità dell'immobile locato alla disciplina edilizia ed urbanistica non determina l'illiceità dell'oggetto del contratto, atteso che il requisito della liceità dell'oggetto previsto dall'art. 1346 c.c., è da riferire alla prestazione, ovvero al contenuto del negozio e non al bene in sé (tra le pronunce precedenti, v. Cass. 28 aprile 1999, n. 4228). V. anche Cass. 9 luglio 2003, n. 10789, per la quale, circa l'accordo amichevole sull'indennità ai sensi dell'art. 26 e ss. l. 25 giugno 1865 n. 2359, non può ipotizzarsi «l’illiceità, o contrarietà a norme imperative, dell'indennità determinata con accordo amichevole (sul presupposto, nella fattispecie, della violazione dei criteri legali di determinazione, per essere stato il suolo oggetto dell'esproprio erroneamente considerato agricolo, mentre era in realtà edificabile), giacché l'indennità, come qualsiasi prestazione pecuniaria non è mai per sua natura illecita, o contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume, rilevandosi l'illiceità di essa dalla controprestazione che assuma i connotati di una condotta contra legem». 95 In tal senso, l'illiceità della causa altro non è che l'illiceità della prestazione con riferimento alla controprestazione; l'illiceità dell'oggetto, l'illiceità della prestazione con riguardo all'oggetto di essa; l'illiceità dei motivi, l'illiceità della prestazione con attenzione alle motivazioni comuni; l'illiceità della condizione, l'illiceità della prestazione evinta dallo scopo soggettivo reso rilevante con tale tecnica; l'illiceità del modo riguarda pur sempre un comportamento illecito assegnato al donatario. Cfr. anche il pensiero di A. CATAUDELLA, Sul contenuto del contratto, Milano, rist. 1974, p. 32, secondo cui la scomposizione del contratto in elementi, «non sta a designare una scissione del contratto in parti che concorrano a formare l’intero, bensì la molteplicità dei profili dai quali è dato considerare l’unità inscindibile rappresentata dall’atto di autonomia». Con ogni probabilità, è proprio sulla base di questa intuibile considerazione che poggia la perdurante fortuna del riferimento, inaugurato nella sua opera da Francesco Ferrara, della illiceità al contenuto del contratto, spesso inteso anche come oggetto (nella sua più lata accezione). 25 La condotta illecita può essere dedotta in prestazione, ma prima di essa rileva un'altra diversa condotta: la deduzione della prima nel contratto. Che la causa debba essere lecita, altro non significa che divieto di stipulare contratti con causa illecita. Lo stesso può dirsi per gli altri elementi e, con evidenza ancora maggiore, per i divieti soggettivi di stipulare. Chiaramente, il giudizio di illiceità sulla condotta inottemperante si conduce in primo luogo sul contratto, che ne è risultato; ma è proprio dall'esame del contratto (del risultato) che si deduce – secondariamente - la illiceità della condotta che lo ha prodotto. Questa conclusione armonizza l’illiceità contrattuale con la concezione generale della illiceità, secondo la quale essa è qualificazione (prima che di una conseguenza di una azione, come è il contratto) di una azione in se stessa considerata. Quando l’azione o - come meglio si puntualizza - il comportamento è negoziale, e consiste nell’esercizio della libertà contrattuale, l’illiceità - pur riferita al contratto - qualifica in effetti quel comportamento96. Per ossequio alla tradizione innervata nel diritto positivo, può ben dirsi ‘contratto illecito’, ma stipulando – e così nelle pagine di questo lavoro - che la formula sia abbrevazione di un’altra: ‘contratto nullo perché discendente da comportamento negoziale illecito’. Il riferimento della ‘illiceità’ al ‘contratto’ vuole designare sinteticamente un preciso statuto normativo dell’atto: la nullità da disvalore. v) Importanza delle conclusioni raggiunte. Illiceità e contrattazione diseguale d’impresa sul mercato. - Nell'ambito della contrattazione tra eguali il riferimento all'esercizio di autonomia piuttosto che al contratto come suo risultato non appare gravido di conseguenze: in quell'ottica il contratto è dato dall'incontro di due manifestazioni di autonomia per principio egualmente libere, e dunque dall'incontro di due prestazioni illecite o (nel comune accordo) di una prestazione illecita a fronte di altra invece in se stessa lecita. Poco importa, nella pratica, distinguere tra: a) condotte convergenti nella formazione di un atto vietato e b) quell’atto. La reazione distruttiva dell’ordinamento (nullità) sottrarrà comunque alla tutela giuridica l’atto: reprimendo efficacemente, e d’un colpo, entrambe le condotte illecite. Nell'ambito della contrattazione diseguale, esercitata dalle imprese sul mercato, la condotta illecita tenuta dalla parte prevalente e costitutiva del contratto può essere classificata come espressione di un abuso contrattuale consumato nei confronti dell'altra parte (e mediatamente concepita come abuso di mercato). Si apprezza comunque una condotta illecita: ma una soltanto. L’illiceità, pur essendone costitutiva, non è predicato dell’atto (non lo descrive compiutamente); piuttosto essa è nell’atto (si insinua in esso). La radicale negazione di efficacia dell’atto, esprimendo una indifferenziata disapprovazione della condotta di abuso e della condotta a essa soggiacente, sarebbe rimedio grossolano e inadeguato. Nella dogmatica classica il contratto è studiato secondo il paradigma della fattispecie. Ma, considerato come fattispecie, l’atto o è o non è illecito: senza possibilità di ulteriori e più sottili distinzioni. Ricercare l’illiceità nella condotta negoziale (e dunque nell’atto) è metodo diverso dal tradizionale, però essenziale per calibrare efficientemente l'estensione del rimedio della nullità: che non può travolgere, senza contrastare la ragione della legge stessa, anche gli interessi della parte che l'ordinamento ha scelto di tutelare. III. GIUDIZIO DI ILLICEITÀ E RILEVANZA DELL’ORDINE PUBBLICO Le categorie dell’atto e del negozio confluiscono in quella più ampia del comportamento, giacché «per abbracciare ogni possibile atteggiamento esterno del corpo umano, ogni atteggiamento corporeo che sia cosciente o incosciente, volontario o involontario, ma sia in ogni caso una ‘iniziativa’ dell’uomo (un libero, non fisicamente determinato, spiegamento di energie umane) occorre costruire una figura notevolmente più ampia: la figura generale del ‘comportamento’» (A. FALZEA, Fatto giuridico, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 945). 96 26 III.1. Incertezza dei confini tra ordine pubblico, buon costume e norme imperative. - Le incertezze dei confini proprie della illiceità non si esauriscono sul piano delle configurazioni, ma investono anche i parametri del giudizio. I fattori che determinano le contaminazioni tra ordine pubblico, buon costume e norme imperative sono molteplici e strettamente interconnessi, ma più di ogni altra causa ha spiegato effetti decisivi l'origine storica delle figure. Il buon costume, parametro classico della illiceità, è sempre stato ritenuto clausola di raccordo tra diritto e società. Con il richiamo al buon costume gli umori, le rivendicazioni etiche e lo stile di vita affermatisi in una determinata comunità in un preciso momento storico entrano nello spazio giuridico e sostanziano limiti inespressi dal legislatore ai movimenti, altrimenti liberi, dell’autonomia privata. Il carattere di storicità (di relatività spaziale e temporale) delle valutazioni etiche, rilevanti per il diritto attraverso la clausola del buon costume, si trasmette all’altra clausola generale in materia: l’ordine pubblico. A chi per primo elaborò la teoria del contratto illecito sembrò che con le clausole dell’ordine pubblico e del buon costume la legge avesse introdotto un vero e proprio «fattore mobile che in analogia alla libera mobilità dell’intenzione delle parti, prestasse una forza d’annullamento sempre pronta ed efficace»97. Nel pensiero di Ferrara sia l’ordine pubblico sia il buon costume ripetono una originaria natura morale98. Questa visione annulla l’autonomia concettuale dell’ordine pubblico che, per di più, viene essenzialmente inteso come un distillato del buon costume accolto nel diritto positivo ed espresso dalle norme imperative99. Pietrificate in un fattore in realtà immobile, suggestioni morali politiche economiche s’irrigidiscono in precetto immutabile. Con ogni probabilità questa idea (sulla quale cfr. il § successivo) era determinata, oltre che dalla prospettiva positivista e statalista da cui lo studioso svolgeva la sua analisi, dalla osservazione di un importante effetto del processo storico di giuridificazione dell’ordine morale. Infatti, le norme imperative si affermano quale parametro della illiceità all’esito di una tappa successiva e conseguente a quella della acquisizione della rilevanza giuridica dei valori morali non solo direttamente e attraverso la clausola del buon costume, ma anche indirettamente e attraverso la clausola dell’ordine pubblico. La sostanza costitutiva delle norme imperative è nei principi del buon costume per come filtrati dalla clausola dell’ordine pubblico. La matrice morale delle norme imperative e la loro derivazione (quali specificazioni positive) dall’ordine pubblico (quale clausola generale di giuridificazione dell’ordine morale) suscita l’idea che l’insieme del diritto imperativo esprima i principi dell’ordine pubblico, di cui costituisce fonte esclusiva. Questo processo di derivazione storica determina una importante coincidenza contenutistica tra le une e le altre figure, come è trasparente nel rapporto che lega ordine pubblico e buon costume (infatti ricompresi, in altri ordinamenti, in formule di sintesi: ‘gute Sitten’; ‘public policy’). La sovrapposizione contenutistica ingenera peraltro un movimento di scomposizione del parametro prevalente al suo interno: come dimostra, a fronte dell'assorbimento parziale del buon costume nell'ordine pubblico e dell’emersione dell’ordine pubblico c.d. ‘etico’, la parallela emersione dell'ordine pubblico ‘economico’, spazio autonomo dell'ordine pubblico nel settore delle relazioni di mercato. F. FERRARA, Teoria, cit., p. 5. Cfr. F. FERRARA, Teoria, cit., p. 5, che definisce buon costume e ordine pubblico «concetti lati, comprensivi, generici che si piegano ad innumerevoli applicazioni, e che mettolo la legislazione alla pari dello sviluppo morale del popolo»; pur precisando, della seconda clausola generale, anche la matrice economica e politica (p. 64). 99 Cfr. F. FERRARA, Teoria, cit., p. 64: «Perché vi sia violazione dell’ordine pubblico (in senso specifico) occorre una legge imperativa, una legge che l’ordinamento giuridico ha sanzionata per far valere gli interessi della generalità di fronte agli interessi dei singoli, e proteggere i fondamenti morali ed economici della vita comune». 97 98 27 Ulteriore conseguenza è l'utilizzazione, soprattutto giurisprudenziale, di alcuni di questi parametri come parametri di secondo grado su altri. Una evidenza è data dall'idea, ricorrente, che determina illiceità non la violazione di qualsiasi norma imperativa ma soltanto la violazione di norme imperative di ordine pubblico100. L’adeguata comprensione delle ragioni sottese alla conformazione normativa della illiceità contrattuale impone la verifica sulla natura eventualmente unitaria o sul grado di effettiva assimilazione dei tre parametri. III.2. Ordine pubblico e buon costume. – Ordine pubblico e buon costume, quali clausole generali della illiceità, costituiscono i parametri sostanziali di quel giudizio e si contrappongono alle norme imperative, che invece ne costituiscono il parametro formale. Questa comune natura, unitamente al dato comparatistico della presenza in altri ordinamenti di una soltanto di tali clausole, consiglia di scrutare innanzitutto i fenomeni di sovrapposizione e contaminazione che storicamente si registrano tra di esse. L’indagine mira a introdurre la domanda sulla effettività o meno di spazi separati di significanza teorica e valenza operativa dell’un parametro rispetto all’altro. Lo scopo è di recuperare un apprezzabile tasso di razionalità al giudizio sul contratto illecito anche sotto l’aspetto dei criteri in base ai quali deve essere condotto. Se la proliferazione delle clausole generali della illiceità non si mostrasse giustificata, o si rivelasse solo parzialmente giustificata, il relativo giudizio potrebbe tendenzialmente ridefinirsi all’insegna di un’unica clausola generale. ii) Ordine pubblico e realtà assiologica dell’ordinamento - La formula ‘ordine pubblico’101 inserita per la prima volta nel codice napoleonico a garanzia dei valori affermati dalla rivoluzione francese102 - esprime per opinione comune i valori fondamentali dell’ordinamento in un determinato Curiosamente, F. MESSINEO, Contratto, II, cit., p. 232, nota 7, si preoccupò di evidenziare che «deve sottintendersi, nel testo dell'art. 1343, un ‘o’, dopo la parola ‘imperative’; ciò a stabilire la disgiunzione tra norme imperative e ordine pubblico; così come, nel testo medesimo, è segnata (mediante l’‘o’) la disgiunzione fra ordine pubblico e buon costume». La puntualizzazione, concentrandosi su un fatto obbiettivamente chiaro, appare sintomatica del disagio effettivamente patito dalla dottrina nel tentativo di tenere nettamente distinte le aree delle norme imperative e dell'ordine pubblico. Questo stato di cose ha indotto, nel diritto colto, la scelta di ricomprendere in una stessa nozione («principi riconosciuti come inderogabili [fundamental] dagli ordinamenti degli Stati dell’Unione europea») il riferimento ai tradizionali parametri della illiceità. Si stima così di evitare le incertezza suscitate dalla «variabilità del concetto di immoralità, contrarietà a norme imperative, interesse pubblico, ordine pubblico e buoni costumi» (commento all’art. 15:101 [sui contratti contrari a principi inderogabili] dei Principles of European Contract Law). 101 Per un sicuro orientamento nella nostra letteratura, cfr. G.B. FERRI, Ordine pubblico, cit. (nonché, dello stesso, la voce sulla Enciclopedia del diritto [vol. XXX, Milano, 1980, p. 1038 ss.]); G. BADIALI, Ordine pubblico e diritto straniero, Milano, 1963; A. GUARNERI, l’ordine pubblico e il sistema delle fonti del diritto civile, Padova, 1974; ID., Ordine pubblico, in Digesto discipline privatistiche, sez. Civ., XIII, Torino, 1995, p. 154; C. DONISI, La nullità del negozio per contrasto con l’ordine pubblico, in ID., Ricerche di diritto civile, Napoli, 1986, p. 289 ss.; G. PANZA, Ordine pubblico, I, Teoria generale, in Enc. giur., XXII, Roma, 1990. Tragli ultimi contributi, cfr. G. D’AMICO, Ordine pubblico, cit., p. 7 ss.; A. FEDERICO, l’ordine pubblico economico e il contratto, ivi, p. 51 ss.; ID. Illiceità contrattuale, cit. 102 Cfr. gli artt. 6 «On ne peut déroger, par des conventions particuliéres, aux lois qui intéressent l’ordre public et les bonnes mœurs» ; 686 «Il est permis aux propriétaries d’étabiblir sur les propriétés ou en faveur de leur propriétés telles servitudes que bon leur semble, pourvu nèanmoins que les services étabilis ne soient imposés ni à la personne, ni en faveur de la personne, mais seulement à un fonds et pour un fonds, et pourvu que ces services n’aient d’ailleurs rien de contraire á l’ordre public» e 1133 «La cause est illicite quand elle est prohibée par la loi, quand elle est contraire aux bonnes mœurs ou á l’ordre public». Per la dottrina francese il richiamo indefettibile è a G. RIPERT, L’ordre économique et la liberté contractuelle, in Études Gény, Paris, 1934, II, p. 347; ID., Le régime démocratique et le droit civil moderne, Paris, 1936, p. 273; L. JULLIOT DE LA MORANDIERE, L’ordre public en droit privè interne, in Études de droit civil à la memorie de H. Capitant, Paris, 1939, p. 390; J. MAULARIE, L’ordre public et le contrat, Reims, 1953; ID., La notion de l’ordre public et des bonnes moeurs dans le droit privé, in Travaux Capitant, Montreal, 1956, p. 756; G. FARJAT, L’ordre public économique, Paris, 1963; ID., Droit économique, Paris, 1971, p. 41; sintesi critica della dottrina sucecsiva in J. CARBONNIER, Droit civil, IV, 100 28 momento storico, ponendosi come limite all’autonomia privata che, nel suo libero esplicarsi, deve comunque rispettare quei valori103. In questo senso, l’ordine pubblico sostanzia il giudizio di liceità che l’ordinamento, tramite il giudice, esprime sui contratti. La politicità e la socialità determinative della clausola generale la caratterizzano nella variabilità storico-spaziale104. Circa i valori di ordine pubblico, si è accennato che un punto essenziale di riferimento è tradizionalmente individuato nello ius cogens; tanto che le indagini classiche sull'ordine pubblico ne appiattivano il concetto sullo stesso diritto imperativo. Emblematica la posizione di Ferrara: che negò qualsiasi autonomia alla clausola generale dell'ordine pubblico, pur rilevante quale parametro della liceità causale nell'art. 1122 del vecchio codice105. La tesi, mossa dalla preoccupazione di preservare la libertà contrattuale dall’arbitrio giudiziale106, ha influenzato a lungo la dottrina successiva107. Questa concezione produceva un duplice effetto. In primo luogo, sconfessava natura e funzione dell'ordine pubblico quale clausola di sensibilizzazione delle regole positive all'evoluzione complessiva dei valori affermati nella società. In secondo luogo, annullava la sua rilevanza di parametro autonomo della illiceità: da affiancarsi alle norme imperative, e non da dedursi semplicemente dalle stesse108. Les Obligations, Paris, 200022, p. 144, e bibliografia a p. 153. Pregevoli ricostruzioni storiche e di diritto comparato si leggono in G.B. FERRI, Ordine pubblico, cit., p. 45 ss.; A. GUARNERI, L’ordine pubblico, cit., p. 5 ss. Da ultimo, v. A. FEDERICO, L’ordine pubblico economico, cit., p. 53 ss. 103 Cfr., P. BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, cit., p. 344, secondo il quale l'ordine pubblico integra «l'insieme dei principi di struttura politica ed economica dell'ordinamento», con ciò riecheggiando il classico insegnamento di F. FERRARA, Teoria, cit., p. 228; v., inoltre, V. ROPPO, Contratto, cit., p. 403, secondo il quale l'ordine pubblico è «la serie dei principi politici, sociali, economici che sono a base dell'ordinamento in un determinato momento storico», con ciò evocando (sulla scia di altri contributi: v. F. CARRESI, Contratto, cit., p. 343) l'idea bettiana dell'ordine pubblico come comprensivo anche dell'ordine sociale (v. E. BETTI, Teoria, cit., p. 388). Non mancano considerazioni con riguardo agli aspetti problematici dello sviluppo tecnico, vagliati anch'essi attraverso l'esame della compatibilità con i principi dell'ordine pubblico: cfr. M. BESSONE, Controllo sociale dell'impresa e ordine pubblico «tecnologico», in Pol. dir., 1973, p. 128 ss. 104 Per questo rilievo unanime, cfr. E. BETTI, Teoria, cit., p. 388; F. MESSINEO, Contratto, II, cit., p. 242. In giurisprudenza, v. l'ancora fondamentale Cass. 21 febbraio 1940, n. 645, in Foro it., 1940, I, c. 393. Queste caratteristiche, che hanno fatto apparire l’ordine pubblico come «un concetto vago, indefinibile, oscillante, che sfugge ad una rigorosa determinazione» (F. FERRARA, Teoria, cit., p. 47) e dunque «un soggetto temerario», un «supplizio per l’intelligenza» (J. MAULARIE, L’ordre public, cit., p. 3) hanno dissuaso i compilatori tedeschi dall’accoglierlo nel BGB (v., per es., G. PANZA, Ordine pubblico, cit., p. 2). 105 Riteneva infatti Ferrara che quella regola dovesse essere interpretata alla luce dell'art. 12 delle disposizioni preliminari al codice, che poneva a limite delle convenzioni private non l'ordine pubblico ma, più ristrettamente, le leggi di ordine pubblico. Ne faceva discendere la concezione che l'ordine pubblico fosse il risultato «dell'ius cogens, cioè di tutto quel complesso indistinto di divieti o comandi con cui è regolata l'organizzazione e la funzione della società, ed a cui non si può derogare senza compromettere l'esistenza del corpo sociale o ferirne i più alti interessi» (F. FERRARA, Teoria, cit., p. 61). 106 Cfr. F. FERRARA, Teoria, cit., p. 63, che giudica «fecondo in conseguenze e salutare per la sicurezza del commercio, che l’interse della società, astratto, non poggiato su un testo positivo di diritto, è senza influenza sulla validità delle convenzioni». 107 Cfr. le osservazioni di A. CATAUDELLA, Il richiamo all'ordine pubblico e il controllo di meritevolezza come strumenti per l'incidenza della programmazione economica sull'autonomia privata, (1971) in ID., Scritti sui contratti, Padova, 1998, p. 64. Cfr., inoltre, G.B. FERRI, Ordine pubblico, cit., p. 127; A. GUARNERI, L’ordine pubblico, cit., p. 86 ss. Questo autore ricorda, nondimeno, come nella evoluzione del pensiero di Ferrara sia da registrare una attenuazione del dogma legalista, e una cauta apertura a una teoria più aperta delle fonti, che riconosce un ruolo maggiormente significativo al formante giurisprudenziale e al diritto per principi fondamentali (si intende: dello Stato): cfr. F. FERRARA, I principi generali dell’ordinamento giuridico, in Scritti giuridici, Milano, 1954, I, p. 3 ss.; ID., Rinnovamento del diritto civile secondo i postulati fascisti, ivi, p. 107 s.; ID., Teoria dei contratti, Napoli, 1940, p. 122 ss. 108 Sul primo aspetto, cfr. F. FERRARA, Teoria, p. 61, ove le leggi di ordine pubblico sono definite come quelle che, «dettate nell'interesse della società, dànno a questa un definitivo ed immutabile assettamento», suscitando il commento di A. GUARNERI, L’ordine pubblico, cit., p. 128, che scrive di un «azzeramento della regola di ordine pubblico nella Teoria del negozio illecito di Francesco Ferrara senior». Sul secondo aspetto, cfr. la ricostruzione storica di A. GUARNERI, L’ordine pubblico, cit., p. 85 ss. e le considerazioni di G. D’AMICO, Ordine pubblico, cit., p. 34 ss. 29 Natura e funzione di clausola generale dell’ordine pubblico sono tuttavia - tranne isolate eccezioni - costantemente sostenute nella letteratura che è seguita al contributo di Ferrara109. Sia pure attraverso passaggi contrassegnati da una evidente gradualità (per il medio della deduzione dell'ordine pubblico dal diritto cogente non solo espresso, ma anche implicito110) e nel confronto tra visioni positivistiche e visioni antiformalistiche, si afferma progressivamente l'idea dell'ordine pubblico quale insieme di valori intransigibili immanenti nell'ordinamento e conseguenti alla evoluzione sociale111. Trattandosi di valori di sistema, sono desumibili in via interpretativa, senza che occorra l'espressa comminatoria di nullità e nemmeno l'indicazione legislativa del comando o del divieto. Il risultato ermeneutico, depurato dalle incrostazioni della ideologia corporativa, è dato acquisito nella dottrina e nella giurisprudenza successive all’entrata in vigore della Costituzione112. All'ordine pubblico è così riconosciuta la funzione di clausola generale di razionalizzazione di principi desumibili anche dalle prescrizioni imperative ma sempre attraverso una robusta costruzione dogmatica condotta nel quadro assiologico della Costituzione113. Oltre ai principi costituzionali rilevano i principi ordinatori del diritto comunitario e del diritto interno: non solo imperativo ma anche dispositivo. Pure importanti le fonti extralegali (etiche ed economiche), le deontologie profesisonali e – riassuntivamente - i principi storicamente elaborati (anche in questo crogiolo) dalla cultura giuridica114. V. per es., il significativo esempio di F. SANTORO PASSARELLI, Il diritto civile nell'ora presente e le idee di Vittorio Polacco, in Saggi di diritto civile, I, Napoli, 1961, p. 42 ss. Per una eccezione cfr. invece il pensiero di E. RUSSO, Norma imperativa, cit. p. 587, assolutamente adesivo alle idee del Ferrara. 110 Così per es., F. MESSINEO, Contratto, II, cit., p. 241; F. CARRESI, Il negozio illecito, cit., p. 33. Non si è mancato di rilevare che «Anche in questo caso, tuttavia, il sospetto che si finisca per condannare, ancora una volta, l’ordine pubblico al ruolo di ‘inutile doppione’ non si dissolve del tutto» (G. D’AMICO, Ordine pubblico, cit., p. 37). In dottrina è stato inoltre opportunamente avvertito che l'ordine pubblico non può desumersi semplicemente dalle norme imperative: poiché non tutte le norme imperative sono di ordine pubblico, bisogna necessariamente possedere a monte un concetto di ordine pubblico che sia indipendente dal diritto imperativo (cfr. G.B. FERRI, Ordine pubblico, cit., p. 130). Rischia di crearsi, infine, un circolo vizioso, giacché se l’essenza dell’ordine pubblico è desumibile soltanto dalla legge, non si vede come l’ordine pubblico possa funzionare da limite ulteriore alla legge stessa (cfr. U. BRECCIA, Causa, cit., p. 168). 111 Un arresto fondamentale è nel pensiero bettiano, lineare alla contingenza politica del tempo e volto a far coincidere l’ordine pubblico con i valori affermati dal fascismo (v. infatti le opere bettiane: Per la riforma del codice civile in materia patrimoniale. Fasi di elaborazione e mete da raggiungere, in Rendiconti dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Milano, 1941, p. 329 e poi [nel mutare di accenti disceso dall’avvenuto tramonto del regime] Teoria, cit., p. 383). Cfr. anche le considerazioni di G.B. FERRI, Ordine pubblico, cit., p. 133 s., e di A. GUARNERI, L’ordine pubblico, cit., p. 99 ss. che ben sottolineano i condizionamenti ideologici che segnarono la figura dell'ordine pubblico all'epoca della codificazione. 112 V., per tutti, R. SCOGNAMIGLIO, Contratti, cit., p. 327 e, tra gli ultimi, V. ROPPO, Contratto, cit., p. 404. In giurisprudenza v. Cass. 5 luglio 1971, n. 2091, in Foro it., 1971, I, c. 2190. L'indirizzo rinviene le sue radici nella giurisprudenza francese dell'Ottocento: come documentatamente riferisce A. GUARNERI, L’ordine pubblico, cit., p. 15. 113 Nel momento attuale, la letteratura sostanzia i principi di ordine pubblico soprattutto nei valori sanciti dalla Costituzione (direttamente o anche indirettamente, ossia attraverso il richiamo a fonti esterne all'ordinamento, come le convenzioni internazionali: cfr., per questa puntualizzazione, M. NUZZO, Negozio, cit., p. 3): diritti inviolabili dell'uomo, doveri inderogabili di solidarietà, uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini, tutela della salute, della libertà e della dignità umana sopra tutti (cfr., riassuntivamente, G. PANZA, Ordine pubblico, cit., p. 4. e poi ID., Buon costume e buona fede, Napoli, 1973, p. 184; G.B. FERRI, Ordine pubblico, cit., p. 194). E li rinviene, inoltre, nelle leggi ordinarie imperative poste in attuazione di quei valori: nel settore civile e anche nel settore penale. Con specifico riferimento alla tutela costituzionale della persona, v. P. PERLINGIERI, La personalità umana, cit., p. 14; ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1991, p. 163 s.; G.B. FERRI, Condizioni generali di contratto, diritto dispositivo e ordine pubblico, in AA.VV., Condizioni generali di contratto e tutela del contraente debole, (Atti della Tavola rotonda tenuta presso l’Istituto di diritto privato dell’Università di Catania, 17-18 maggio 1969) Milano, 1970, ora in Saggi di diritto civile, cit., p. 579. E, nella dottrina straniera, W. LEISNER, Grundrechteund Privatrecht, München-Berlin, 1960, p. 226; K. SIMITIS, Gute Sitten und «Ordre public». Ein kritischen Beiträg zur Anwendung der § 138 Abs. 1 BGB, Marburg, 1960, p. 180. 114 Sulla necessità di rimeditare il concetto di ordine pubblico alla luce del sopravvenuto diritto comunitario cfr. le pagine di P. PERLINGIERI, Autonomia privata e diritti di credito, in ID., Il diritto dei contratti fra persona e mercato. Problemi del diritto civile, Napoli, 2003, p. 27 ss. e, da ultimi, G. PASSAGNOLI, Il contratto illecito, cit., p. 456 ss.; F. ANGELINI, Ordine 109 30 La giurisprudenza rinviene stabilmente i valori di ordine pubblico nella Costituzione. In questo senso, secondo una importante pronuncia, vanno letti i continui riferimenti contenuti nelle sentenze alle «esigenze fondamentali per l’esistenza stessa della società»; ai «principi inderogabili immanenti nei più importanti istituti giuridici» o a quelli «che caratterizzano la struttura etico-sociale della comunità nazionale in un determinato momento storico»115. Ma, se sul piano delle osservazioni generali il dibattito sui contenuti dell'ordine pubblico non appare particolarmente vivo, a conclusioni affatto diverse deve giungersi sul piano delle singole determinazioni contenutistiche. Quando dalla generale elencazione di principi si scende al vaglio della concreta operazione, si ripresentano gli spettri del giudice creatore del diritto e della perdita della certezza. Tranne che nei casi di evidenza scolastica, la clausola generale subisce una paralisi applicativa116. Il disinteresse della pratica – dovuto anche a un perdurante condizionamento culturale di stampo positivistico - si origina soprattutto dalla insufficienza della teoria: sostanzialmente ferma alle acquisizioni di mezzo secolo fa e bisognevole, in un mondo mutato, di profonda revisione. ii) Buon costume tra valori sociali e diritto positivo. Rapporti con l’ordine pubblico. - Il buon costume, secondo l'insegnamento generalmente recepito, sancisce i canoni dell'onestà o della moralità pubblico e integrazione costituzionale europea. I Principi fondamentali nelle relazioni ordinamentali, Padova, 2007. Sulla generale rilevanza dei principi del diritto dispositivo come fonti contenutistiche dell’ordine pubblico cfr., per es., R. SCOGNAMIGLIO, Contratti, cit., p. 328 e, più recentemente, G. D’AMICO, Ordine pubblico, cit., p. 48. Sulle fonti etiche ed economiche dell’ordine pubblico, cfr., per tutti, A. GUARNERI, L’ordine pubblico, cit., p. 43 ss.; 110 ss. Sui diritti fondamentali come parametri valutativi per l’interpretazione e la concretizzazione delle clausole generali (tra cui ordine pubblico e buon costume) in materia di autonomia contrattuale, cfr. L. MENGONI, Autonomia privata e Costituzione, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, I, p. 7 ss. «Detto altrimenti, l’ordine pubblico è preposto a sbarrare la strada non soltanto a quelle pattuizioni private che possano attentare a ‘principi basilari’ di funzionamento delle istituzioni pubbliche […], ma altresì a quelle convenzioni tra privati che possano incidere su principi e valori (etici, economici, politici) sui quali si fonda l’idea di ‘convivenza’ (lo ‘stile di vita’) fatta propria dall’ordinamento in un determinato momento storico» (G. D’AMICO, Ordine pubblico, cit., p. 43 che, a p. 40, si riferisce ai principi-valori richiamando la terminologia usata da E. NAVARRETTA, Complessità dell’argomentazione per principi nel sistema attuale delle fonti del diritto privato, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 779 ss.). L’inclusione dei principi di ordine pubblico nella sfera dei principi-valori spiega, per altro verso, l’evoluzione dalla concezione legalista alle visioni attuali. In assenza della Carta costituzionale, e sotto il condizionamento delle correti positivistiche, si apprezzavano soltanto i principi generali del ‘diritto’ (cfr. art. art. 3, coma 2, prel. c.c. 1865) o, più selettivamente (cfr. art. 12, comma 1, prel., c.c. vigente) i principi generali dell’ordinamento giuridico dello ‘Stato’: principi desunti per astrazione dal corpo della legge (e perciò per lo più impliciti). L’avvento della Costituzione porta alla ribalta i principi fondamentali largamente espressi nelle disposizioni costituzionali, i quali tutto al contrario si pongono prima e sopra le disposizioni della legge, di cui costituiscono parametro. 115 Citazioni da Cass. 15 marzo 1984, n. 2215, in Riv. not., 1986, p. 149. Oltre a questa importante pronuncia cfr., nella giurisprudenza recente, Cass. 19 dicembre 2001, n. 16026, in Mass. giur. lav., 2002, p. 350, secondo la quale «È nullo, in quanto contrastante con l'ordine pubblico costituzionale (artt. 4 e 35 Cost.) il patto di non concorrenza diretto, non già a limitare l'iniziativa economica privata altrui, ma a precludere in assoluto ad una parte la possibilità di impiegare la propria capacità professionale nel settore economico di riferimento». Per la nostra giurisprudenza contrastano con l’ordine pubblico i contratti che limitano la libertà (di espressione, di associazione, di religione, di lavoro) come la vendita del voto elettorale e del posto di lavoro; i contratti dispositivi del diritto alla salute (compravendita di un organo doppio, limitazioni di responsabilità per danni alla salute) e, in generale, aventi a oggetto diritti non disponibili (identità personale, riservatezza, diritto morale d’autore). Per una rassegna di decisioni, cfr. F. DI MARZIO, La nullità, cit., p. 361 ss. Invece, per la giurisprudenza affermatasi precedentemente alla Carta costituzionale, cfr. A. GUARNERI, L’ordine pubblico, cit., p. 61 ss. 116 Sulla indecisione che governa la riflessione sui casi concreti cfr. i rilievi già espressi da G. PASETTI, Parità di trattamento e autonomia privata, Padova, 1970, p. 14 ss. e più recentemente da V. ROPPO, Contratto, cit., p. 404; v. inoltre le notazioni, conseguenti a tale stato di cose, di A. GUARNERI, L’ordine pubblico, cit., p. 155 e di U. BRECCIA, Causa, cit., p. 246 sulla rarità e incoerenza delle pronunce fondate sull'applicazione autonoma dei principi di ordine pubblico. 31 accolti nella società civile: non solo nella sfera delle relazioni sessuali e familiari, costituenti i settori di tradizionale rilevanza, ma anche in tutti gli altri ambiti della vita associata117. Sempre secondo l'opinione pacifica, il buon costume non afferma una tensione positiva verso tali valori, ma i precetti di rispetto minimo delle regole della c.d. morale sociale: segna il confine oltre il quale l’azione giuridicamente rilevante in generale e l’attività contrattuale in particolare, più che non promuovere i valori dell'ordinamento così individuati e più che restare indifferente ad essi, li viola offendendo la morale e il senso di onestà percepibili come diffusi nella organizzazione sociale118. Ricorrente opinione è che anche il buon costume, allo stesso modo dell'ordine pubblico, svolga una funzione conservativa dei valori prevalenti119. Altra caratteristica del buon costume, che lo accomuna all'ordine pubblico, è nella relatività storica e spaziale dei principi che lo sostanziano: nel suo essere, insieme all'ordine pubblico, un ‘fattore mobile’120. Una caratteristica comune finale è data dalla desumibilità (anche) dei principi del buon costume in via interpretativa: a prescindere da una espressa previsione di legge. Le valutazioni di contrarietà al buon costume e all'ordine pubblico possono inoltre coincidere: così quando il canone dell'onestà esprime anche un valore essenziale dell'ordinamento121; di modo che, secondo alcuni, le uniche ipotesi certe di contratti che offendono esclusivamente il buon costume dovrebbero ravvisarsi nei patti sulle prestazioni sessuali e sul gioco122. Il processo di assimilazione muove anche dalle contaminazioni che dal buon costume investono l'ordine pubblico. Una dimostrazione si coglie nel diritto vivente, e nella diffusa idea giurisprudenziale che l'ordine pubblico, allo stesso modo del buon costume, esprima i principi etici fondamentali dell'ordinamento123. Va inoltre considerato che l'evoluzione delle concezioni correnti sulla morale ne determina, da un lato, il progressivo ritiro dai tradizionali territori della famiglia e della sessualità, nei quali le valutazioni etiche subiscono un intenso processo di relativizzazione; dall'altro, la conquista degli spazi Per un disegno sufficinetemnete chiaro, oltre alle opere già citate con riguardo all'ordine pubblico, cfr. F. CARRESI, Il negozio illecito, cit., p. 29; A. TRABUCCHI, Buon costume, in Enc. dir., V, Milano, 1959, p. 700; A. DE CUPIS, Costume, buon costume e diritto, in Giust. civ., 1982, II, p. 486; G.B. FERRI, Buon costume II) Diritto civile, in Enc. giur., V, Roma, 1988; A. GUARNERI, Buon costume, in Dig. Disc. priv., sez. civ., II, Torino, 1988, p. 121 ss. Nella dottrina straniera, v. i contributi classici di G. RIPERT, La règle morale dans les obligations civiles, Paris, 1925; J. SAIGET, Le contrat immoral, Paris, 1939; più recentemente, cfr. H. KÖTZ, La invalidità, cit., p. 675 ss.; T. MAYER-MALY, Was leisten die Gute Sitten? in Arch. civ. Prax., 1994, p. 105 ss. 118 Contratti in violazione del buon costume possono rinvenirsi, secondo le esemplificazioni ricorrenti, nell'accordo di corruzione; nel mutuo concesso al giocatore d'azzardo; nell'accordo di prostituzione; nella disposizione patrimoniale della integrità fisica e morale della persona; nella mediazione matrimoniale onerosa e così via. 119 V. già l'insegnamento di F. FERRARA, Teoria, cit., p. 33 e poi cfr., esemplificativamente, A. TRABUCCHI, Buon costume, cit., p. 700. Anche dal punto di vista sociologico «La funzione più importante di un codice morale è quella di condannare e, se possibile, vietare determinate forme di comportamento» (B. MOORE JR, Aspetti morali dello sviluppo economico [1998], Torino, 1999, p. 4). 120 La famosa locuzione di F. FERRARA, Teoria, cit., p. 5 è ripresa, alla lettera, da F. CARRESI, Il negozio illecito, cit., p. 33 (ma già anticipata da G.P. CHIRONI, Cremazione. Disposizione testamentaria. Validità, in Questioni di diritto civile, Torino, 1890, p. 402). In giurisprudenza, v., per tutte, Cass. 8 luglio 1948, n. 1104, in Giur. compl. Cass. civ., 1948, III, p. 103; Cass. sez. un. 17 luglio 1981, n. 4414, in Giust. civ., 1982, I, p. 2418. 121 Un caso storico di coincidenza delle valtazione è dato dal mercato del voto elettorale, su cui cfr. S. RODOTÀ, Ordine pubblico o buon costume?, in Giur. mer., 1970, I, p. 106 ss. 122 Cfr. V. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 20008, p. 782 s. 123 Cfr., per es., Cass. , sez. un., 8 maggio 1976, n. 1609, in Foro it., 1976, I, c. 1851; Cass. 15 gennaio 1982, n. 255, in Dir. lav., 1983, II, p. 196; Cass. 22 aprile 1983, n. 2779, in Giust. civ., 1984, I, p. 515; Cass. 23 maggio 1987, n. 4681, in Giur. it., 1988, I, 1, c. 60; Cass. 8 giugno 1993, n. 6381, in Vita not., 1994, p. 225. In dottrina, cfr. M. NUZZO, Negozio, cit., secondo il quale tra ordine pubblico e buon costume «si realizza un costante processo di assorbimento e di osmosi» (p. 5). Significativo, inoltre, il considerando n. 39 della direttiva 98/44 CE del 6 luglio 1998 sulla protezione delle invenzioni biotecnologiche: «l’ordine pubblico e il buon costume corrispondono in particolare a principi etici o morali riconosciuti in uno Stato membro». 117 32 del commercio e dei contratti. Il ridimensionamento della rilevanza giuridica delle regole della morale sessuale e familiare e la formazione dell'etica degli affari favoriscono la tendenziale coincidenza tra i precetti della morale sociale e i precetti dell'ordine pubblico124. Queste coincidenze, del resto, rispondono a esigenze di razionalità: che spiegano pure la possibilità dell'uso alternativo delle formule dell'ordine pubblico o del buon costume nei vari ordinamenti al fine di affermare esattamente gli stessi principi. Entrambe le clausole generali sono infatti riferite a valori e richiamano i capisaldi di una data civiltà: politica, sociale, economica e giuridica125. La differenza tra ordine pubblico e buon costume è tuttora tendenzialmente ravvisata nella fonte legale del primo e nella fonte morale del secondo. Il buon costume, quale espressione di norme deontologiche e di opinione, conserverebbe nonostante tutto una separatezza dall'ordine pubblico126. La supposta differenza può tuttavia mantenersi nella misura in cui sia effettivamente sostenibile in via teorica e non paralizzi l’operatività del parametro nella prassi applicativa. Sul primo aspetto, si dovrebbe convenire che il buon costume inteso come espressione di principi morali socialmente condivisi soffra da oltre un secolo di una crisi irreversibile.. Alle soglie del Novecento, Ferrara esortò il giudice ad attingere «il suo criterio di giudizio nella vita, non nella storia, e nella vita attuale, palpitante, che con le sue agitazioni, coi suoi slanci, colle sue tempeste ci dà il riflesso della società moderna»127. Ma già in queste parole, consapevoli della trasformazione incessante dei canoni etici e di costume quale tratto essenziale della modernità, traspariva l’irrealizzabilità del progetto. Negli ultimi decenni – segnati dal fenomeno della globalizzazione - il dibattito culturale si è incentrato sulla crisi degli universali e sul trionfo della differenza nella politica, nella religione e nel costume128. Tutto questo ha determinato il tramonto di idee spesso mitizzate (soprattutto nella comunità Cfr. G. PANZA, Ordine pubblico, cit., p. 2; A. DI MAJO, La nullità, cit., p. 81. Sullo straripamento del buon costume dai territori consueti della sessualità, v. in giurisprudenza Cass. sez. un. 17 luglio 1981, n. 4414, cit.; Cass. 23 marzo 1985, n. 2081, in Riv. not., 1985, p. 1277; Cass. 18 giugno 1987, n. 5371, in Giust. civ., 1988, I, p. 181; sui problematici equilibri in cui stanno tradizione e innovazione con riguardo alla clausola generale del buon costume, cfr. U. BRECCIA, Causa, cit., p. 150. 125 I valori su cui si basa l'ordinamento dichiarano una precisa visione del mondo: non negoziabile perché fondativa del legame sociale. I valori di libertà, solidarietà, laicità, pluralismo affermati nelle democrazie costituzionali contemporanee esprimono la struttura etica dell'ordinamento. Cfr. J. HABERMAS, Morale, Diritto, Politica (1992), Torino, 2001, che ribadisce l'evidenza della natura non solo giuridica ma anche morale dei principi che strutturano il diritto moderno proprio facendo l'esempio del diritto costituzionale. 126 Secondo alcuni autori, infatti, tra buon costume e ordine pubblico permane una differenza ontologica: in quanto «l'uno attiene alla nozione di morale sociale, mentre l'altro attiene ai fondamenti dell'ordinamento» (C.M. BIANCA, Diritto civile, cit., p. 622; nello stesso senso, V. ROPPO, Contratto, cit., p. 406; E. RUSSO, Norma imperativa, cit. p. 589, nota 10); «Attraverso il buon costume […] non si vogliono tanto esprimere quei valori etici che, essendo alla base dell’ordine costituito, rientrano nella nozione di ordine pubblico; ma si vogliono […] esprimere quei valori ulteriori che, in aderenza ai primi, si affermano nella realtà sociale» (G.B. FERRI, Ordine pubblico, cit., p. 209). In sintesi, l'ordine pubblico esprimerebbe anche i valori morali che, attraverso un processo di penetrazione progressiva e di progressiva giuridicizzazione, innervano i fondamenti dell'ordinamento; invece il buon costume custodirebbe altri valori il cui rispetto si impone autonomamente e dall'esterno, sulla base di concezioni morali recepite nel contesto sociale ma non ancora assunte positivamente a fondamento del sistema (così M. NUZZO, Negozio, cit., p. 5). 127 F. FERRARA, Teoria, cit., p. 35. 128 In ambito filosofico, fondamentale il contributo di J.F. LYOTARD, La condizione postmoderna (1979), Milano, 1989. Ma cfr. inoltre, tra i moltissimi, G. VATTIMO, La società trasparente, Milano, 1989. Per una analisi suggestiva, v. J. BAUDRILLARD, La trasparenza del male (1990), Milano, 1991; Z. BAUMAN, Modernità liquida (2000), Roma-Bari, 2002. Nella filosofia morale, v. per es., J. MONOD, Per un'etica della conoscenza (1988), Torino, 1990, p. 93, che annota: «Nessuna società può sopravvivere senza un codice morale basato su valori compresi, accettati e rispettati dalla maggioranza dei suoi membri. Noi non abbiamo più niente del genere»; A. MACINTYRE, Dopo la virtù (1978), Milano, 1988, p. 12 s. che osserva: «ciò che possediamo sono i frammenti di uno schema concettuale […] Ma abbiamo perduto, in grandissima parte, se non del tutto, la nostra comprensione, sia teorica, sia pratica, della morale». Cfr., inoltre, la sintesi di R. BODEI, La filosofia nel 124 33 dei giuristi) come la morale comune o sociale129. La perplessità del giudizio etico esprime nondimeno una valenza assiologica; infatti, la differenza si costituisce in valore. Nella cultura laica delle democrazie occidentali valori come libertà, uguaglianza, dignità, si costituiscono e coesistono nel pluralismo, quale connotazione etica di sintesi130. La stessa etica dell'ordinamento precipita dunque nel sospetto ogni specifica visione etica: che diviene, nelle sue estremizzazioni, immorale131. Un ordine morale postulato ma non immediatamente attingibile nella realtà dei fatti non è effettivamente un ordine morale. Precetti tendenzialmente universali e globalmente condivisi sono certamente rinvenibili, ma al prezzo di così estese generalizzazioni da rivelarsi inutilizzabili nel settore limitato dei contratti. Cosicché, al pari della clausola dell’ordine pubblico, anche la clausola del buon costume soffre di una ridotta prassi applicativa132. iii) Rilevanza dei principi costituzionali. Buon costume come ordine pubblico etico, o non economico. - Sul piano ricostruttivo non deve tuttavia sfuggire che, come si evince dagli esempi riportati in letteratura, sono concordemente ritenuti lesivi del buon costume esclusivamente i contratti che offendono la dignità umana133, ossia un valore costituzionale. Di modo che è parso legittimo affermare che proprio nella Costituzione (che peraltro espressamente lo menziona: cfr., per es., artt. 19 Novecento, Roma, 1997, p. 173: «Si assiste così allo strabismo, alla divergenza tra globalizzazione e frammentazione, al parallelo espandersi dell'isolamento centrifugo e della ‘mondializzazione’ centripeta […] Si crea così una miscela esplosiva di risentimenti verso le potenze egemoni, di orgoglio etnico, di fanatismo religioso, di tradizioni illustri talvolta inventate, di ricerca di vie alternative rispetto ai ‘disvalori globali’ del progresso incessante, del consumismo o dell'individualismo […] È possibile elaborare un codice morale entro cui articolare e rendere compatibili, in modo innovativo, regole e criteri di giudizio tra i più diversi?». Cfr. anche S. RODOTÀ, Repertorio di fine secolo, Roma - Bari, 19992; N. IRTI, Nichilismo giuridico, cit. 129 Cfr. le considerazioni ottimistiche di L. LONARDO, Ordine pubblico, cit., p. 237, sulla perdurante identificabilità di un concetto (condiviso) di morale; v. anche R. SACCO, in R. SACCO, G. DE NOVA, Contratto, II, cit., p. 69 e, in giurisprudenza, Cass. 1° agosto 1986, n. 4927, in Foro it., 1987, I, c. 495, che, nonostante la riconosciuta evoluzione dei costumi, afferma addirittura la immutabilità dei precetti morali socialmente condivisi. Tuttavia, per una anticipazione delle osservazioni svolte nel testo, cfr. G.B. FERRI, Ordine pubblico, cit., p. 266. 130 Riferisce criticamente sul dibattito in corso M. BARBERIS, Etica per giuristi, Roma-Bari, 2006, p. 157 ss. A testimonianza di come questa sensibilità caratterizzi anche prodotti normativi, può ricordarsi come la Carta europea dei diritti fondamentali, proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza affermi, nel preambolo, che i valori indivisibili e universali che fondano il patrimonio spirituale e morale dell'Unione (dignità umana, libertà, uguaglianza e solidarietà) vanno mantenuti e sviluppati nel rispetto della diversità delle culture, delle tradizioni e delle identità nazionali; nell'art. 22 sancisce il rispetto delle diversità culturali, religiose e linguistiche. 131 Infatti, carattere essenziale delle moderne democrazie è la laicità, quale valore ereditato dall’illuminismo (cfr. le osservazioni di T. TODOROV, Lo spirito dell’illuminismo (2006), Milano, 2007, p. 49 ss.). Cosicché il riferimento, un tempo alquanto diffuso, ai valori unificanti della cristianità (per un autorevole esempio cfr. G. RIPERT, La règle morale, cit, p. 71) appare definitivamente superato dall’esigenza di salvaguardare il diritto alla differenza, e di accogliere in controversa misura visioni del mondo non solo lontane, ma anche confliggenti con quella cristiana. 132 Se dunque potrebbe essere condiviso il pensiero di chi sostiene che «dal punto di vista fattuale, le regole assunte dai giuristi a protezione dei buoni costumi sembrano dotate del dono della stabilità» (R. SACCO, in R. SACCO, G. DE NOVA, Contratto, II, cit., p. 69) nondimeno occorre valutarne la effettiva portata, condizionata dalle scarse applicazioni, consumate tutte sul terreno di principi eccessivamente estesi per consentire un più proficuo utilizzo del parametro (tanto che questa stessa dottrina cita i casi autoevidenti del meretricio, della raccomandazione onerosa, della corruzione, della negoziazione di mandati cariche sociali candidature politiche, dei comportamenti ingannevoli o menzogneri) e caratterizzate, come pure questa dottrina riconosce, da incertezze e oscillazioni. Per il comune rilievo sulla rarità delle pronunce fondate sulla clausola del buon costume cfr., per es., U. BRECCIA, Causa, cit., p. 255. Per una rassegna di decisioni, cfr. F. DI MARZIO, La nullità, cit., p. 393 ss. 133 Esplicito sul punto G.B. FERRI, Ordine pubblico, cit., p. 210 ss. Da ultimo, cfr. G. PASSAGNOLI, Il contratto illecito, cit., p. 461. 34 e 21) si ricomprende lo spazio semantico del buon costume, allo stesso modo di quanto accade per i valori di ordine pubblico134. Si dovrebbe pertanto concordare sulla opportunità del riferimento ai valori costituzionali per dare chiara sostanza ai precetti, altrimenti inutilizzabili per eccessiva opinabilità, del buon costume. Le osservazioni esposte muovono dalla convinzione della necessaria giuridicità (che non è, ovviamente, esaurita dal diritto positivo dello Stato) dell'ordine morale, rinvenibile nei valori fondamentali complessivamente accolti nell'ordinamento giuridico. Esse si mostrano difficilmente conciliabili con la visione secondo la quale la fonte del buon costume è invece (non soltanto extrastatuale ed extralegale ma anche) extragiuridica, e va individuata nei valori condivisi nel corpo sociale a prescindere da qualsiasi mediazione politica e giuridica (della cultura giuridica), dei quali valori il giudice deve farsi interprete solitario e sensibile, introducendoli nel mondo del diritto. Pur senza entrare nel merito di scelte di fondo sui rapporti nello spazio pubblico - se necessariamente mediati, per attingere alla giuridicità, dalla scelta politica e ordinamentale oppure no – è facile sostenere che la decisione giuridica, se disancorata da qualsiasi legittimante aggancio ai valori costituzionali, si consegna alla paralisi che affligge la scelta etica nel momento storico attuale135. In conclusione l'opinione più diffusa, secondo la quale il buon costume e l'ordine pubblico si sostanziano entrambi nei valori fondamentali espressi nell'ordinamento, si mostra pienamente condivisibile136. Per la critica ora svolta alla dottrina che tuttavia sostiene il permanere di una diversità essenziale tra le due clausole - fondandosi il buon costume su canoni deontologici e invece l’ordine pubblico su precetti legali - appare ragionevole ritenere che il buon costume non si distingua ma sia ricompreso nello spazio più ampio occupato dall'ordine pubblico137, di cui rappresenta una particolare modalità o connotazione: l'ordine pubblico ‘etico’, o ‘non economico’138. V., per tutti, specialmente, J. MAULARIE, La notion, cit., p. 756; K. SIMITIS, Gute Sitten, cit., p. 180; G. PANZA, Buon costume e buona fede, cit., p. 184. Per la dottrina recente, cfr. G. ALPA, Dignità. Usi giurisprudenziali e confini concettuali, in Nuova giur. civ. comm., 1997, II, p. 416; A. GENTILI, Le invalidità, cit., p. 1504; D. CARUSI, Illiceità del contratto e restituzioni, in Riv. dir. civ., 2000, II, p. 498; B. JORION, La dignité de la personne humaine ou la difficile insertion d’une règle morale dans le droit positif, in Justice, Dalloz, mai 2001, p. 90 ss. e infine le interessanti annotazioni comparatistiche di G. VETTORI, La disciplina generale del contratto nel tempo presente, in Riv. dir. priv., 2004, p. 317 ss., sulla opportunità del metodo casistico nella individuazione delle offese alla dignità (perpetrate attraverso i c.d. contracts déshumanisant: ‘lancio dei nani’ [dwarf throwing]; Peep-Show; esibizionismo sulla Rete ecc.). 135 Preme sottolineare che la struttura etica dell’ordinamento (l’etica giuridicamente rilevante) non è determinata dalla legge, ma dalla Costituzione. Scrive al riguardo P. GROSSI, Il diritto tra potere e ordinamento [senza sede di pubblicazione], 2005, p. 49: «Nella Costituzione, testo ed esperienza, almeno nei ‘principi fondamentali’ e nella ‘parte prima’, vengono a fondersi per aver voluto essere quel testo soltanto lo strumento di identificazione di valori profondi. Siamo nelle estreme propaggini dove l’universo giuridico confina con la morale, la religione, il costume, dove il diritto affonda nella morale, nella religione, nel costume, ma dove – sia ben chiaro – ci troviamo già nel territorio del giuridico» (P. GROSSI, Prima lezione di diritto, Roma-Bari, 20067, p. 90). 136 Né in altri ordinamenti, come quello tedesco, che conosce solo la clausola dei gute Sitten, hanno avuto successo tentativi volti a introdurre spazi autonomi per la clausola dell'ordine pubblico (come proposto da K. SIMITIS, Gute Sitten, cit.): cfr. le considerazioni di U. BRECCIA, Causa, cit., p. 217. 137 Sulla equivalenza contenutistica tra ordine pubblico e buon costume cfr., per tutti, L. JULLIOT DE LA MORANDIERE, L’ordre public, cit., p. 381; K. SIMITIS, Gute Sitten, cit., p. 162; G. BADIALI, Ordine pubblico, cit., p. 71; P. RESCIGNO, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1993, p. 346; da ultimo, D. CARUSI, La disciplina della causa, cit., p. 615 ss. 138 Cfr. in questo senso J. GHESTIN, Les obligations. Le contrat: formation, in Traité de droit civil sous la direction de Jacques Ghestin, Paris, 1988, p. 741. Cfr. anche quanto scrisse P. RESCIGNO, «In pari causa turpitudinis…», in Riv. dir. civ., 1966, e ora in L'abuso del diritto, cit., p. 197, secondo cui l’ordine pubblico acquista «una sua precisa autonomia» rispetto al buon costume limitando la portata della nozione alla sfera dell’ordine pubblico economico; cosicché si è scritto del buon costume come di un ordine pubblico «non economico» (F. DI MARZIO, Il buon costume, in AA.VV., I contratti in generale, a cura di P. Cendon, Torino, 2000, VI, p. 252). A queste tesi aderiscono, da ultimi, G. D’AMICO, L’abuso di autonomia negoziale nei contratti dei consumatori, in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 653, nota 67; G. PASSAGNOLI, Il contratto illecito, cit., p. 461. 134 35 iii) Irripetibilità della prestazione immorale, diseguale turpitudine e divieto di abuso del diritto. - L’ordine pubblico etico (o buon costume) sembra trovare fondamento nei principi assunti nell'ordinamento a sua peculiare caratterizzazione, e apprezzabile nella sua separatezza grazie alla specificità disciplinare racchiusa nell'art. 2035 c.c. Tuttavia, la riflessione sedimentatasi sulla regola della irripetibilità della prestazione immorale dimostra come sia problematico argomentare un fondamento effettivamente autonomo per il buon costume, e tale da separarlo con riflessi anche applicativi dall’ordine pubblico. L’art. 2035 c.c. positivizza una regola che, per quanto tramandata dalla tradizione giuridica europea quale vero e proprio «monumento di storia»139, non cessa di apparire singolare140. Sostiene la dottrina classica: «quando il prestatore od entrambe le parti versano in turpitudine a titolo di pena è esclusa la ripetizione del dato, poiché la giustizia non può aiutare colui che l'ha offesa e si è reso indegno del soccorso giuridico». L'argomento, espressivo di una certa razionalità, ma chiaramente fondato su valutazioni moraleggianti, è sviluppato dalla dottrina successiva in toni di accresciuto moralismo, destinati a comprometterlo141. Anche nella dottrina contemporanea vi è chi condivide l’opportunità di non permettere discussioni su comportamenti immorali142. Tuttavia, quando il concetto stesso di buon costume stenta a delinearsi in modo sufficientemente chiaro, la preoccupazione di evitare che si sollevino scandali nei pubblici giudizi si dimostra superata proprio dal punto di vista etico; e appare essa stessa immorale143. Si sostiene allora che la irripetibilità della prestazione reagirebbe all’adempimento per causa immorale: sarebbe espressione di una sanzione civile indiretta. Questo in sostanza dicono le fonti storiche (nemo potest allegare propriam turpitudinem) la dottrina classica e il copioso filone che parla di immeritevolezza dell’esecutore alla restituzione144. Secondo questa visione, l’irripetibilità sanziona chi ha eseguito il contratto turpe; di riflesso avvantaggia chi ha ricevuto il pagamento (in senso lato). F. FERRARA, Teoria, cit., p. 288. Nel vigore del codice del 1865, si discuteva in dottrina sulla operatività nell’ordinamento della regola romanistica dell’in pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis (oppure: cessat repetitio: infatti, nemo potest allegare propriam turpitudinem). Alcuni consideravano l’irripetibilità della prestazione immorale implicita nell’ordinamento, recezione diretta dei principi romanistici (cfr. F. FERRARA, Teoria, cit., p. 289; R. DE RUGGIERO, F. MAROI, Istituzioni, cit., p. 184); altri avevano difficoltà ad ammettere che un contratto non solo nullo ma addirittura illecito potesse conservarsi negli effetti solo perché incautamente eseguito (cfr. N. COVIELLO, Manuale di diritto civile italiano, I, Parte generale, Milano, 1929, p. 421). In omaggio alla tradizione, la giurisprudenza si dimostrava favorevole al riconoscimento del principio, ricostruendo il fenomeno come adempimento dell’obbligazione naturale (v. Cass. Napoli 24 maggio 1897, in Giur. it., 1897, I, 1, p. 596; Cass. Napoli 10 luglio 1900, in Giur. it., 1901, I, 1, p. 89). Il principio posto dall’art. 2035 c.c. è operativo anche in ordinamenti affini al nostro, sebbene con estensione variabile. In Francia, dove in assenza di una espressa previsione è dedotto dalla dottrina e dalla giurisprudenza esattamente negli stessi termini imposti dalla norma italiana. In Germania, in Svizzera e in Austria, dove è codificata - per ogni forma di illiceità - rispettivamente nel § 817 BGB; nell'art. 66 OR; nel § 1174 ABGB. E così pure nel diritto anglosassone. 141 Cfr. F. FERRARA, Teoria, cit., p. 325. (da cui la citazione). Sulla scia di questo pensiero (cfr. F. FERRARA, Teoria, cit., p. 291) R. DE RUGGIERO, F. MAROI, Istituzioni, cit., p. 185, nota 2 scrivono: «Il principio romano dell’‘in pari causa’, riposa sul concetto fondamentale della taccia, che colpisce chi ha fatto la prestazione per una causa illecita e che lo rende indegno d’invocar l’assistenza del giudice e della legge, anche se della stessa colpa si sia macchiato l’accipiente […] è da ultimo contrario ai fini etici cui deve mirar sempre l’ordine giuridico il permettere, accordando la condictio, di sollevare scandali nei pubblici giudizi col consentire che su fatti turpi o illeciti ormai già avvenuti e fors’anco dimenticati si rialzi il velo che li ricopre». Depurato dal riferimento improprio al contratto illecito ma non immorale (per il quale nessun limite aprioristico alla ripetibilità è, nel nostro ordinamento, operante) il passo chiarisce l’origine e la fortuna del divieto. 142 Per es., F. GAZZONI, Manuale, cit., p. 784; P. TRIMARCHI, Istituzioni, cit., p. 239. In giurisprudenza, cfr. Cass. 1 giugno 1968, n. 1643, in Giust. civ., 1968, I, p. 1400. 143 Così P. RESCIGNO, «In pari causa turpitudinis…», cit., p. 226. 144 Per tutti, F. MESSINEO, Contratto, II, cit., p. 275; G. PANZA, Buon costume e buona fede, cit., p. 365. Invece F. CARRESI, Contratto, cit., p. 636 discorre espressamente di ‘sanzione’. Cfr. anche S. DELLE MONACHE, Il negozio immorale tra negazione dei rimedi restitutori e tutela proprietaria, Padova, 1997, p. 233 ss. 139 140 36 Bisogna riconoscere che anche questa spiegazione è insoddisfacente: non riesce infatti a persuadere del perché chi ha eseguito deve rassegnarsi e chi non ha eseguito può avvantaggiarsi in ogni caso; il meccanismo sembra peccare di una ingiustificabile casualità145. Si propone allora di giustificare la norma nei termini del divieto ‘abuso della pretesa restitutoria’. Argomentando dalla illiceità e incommerciabilità delle prestazioni dedotte, è possibile segnare un discrimine sostenendo che, ove sia stata retribuita una prestazione fuori mercato, non essendo possibile rimuoverla appare coerente negare l’azione di indebito anche alla controparte146; invece, nei casi in cui non si pone nessun problema di abuso della pretesa restitutoria (es., restituzione del sovrapprezzo pagato in violazione di un calmiere) essa può essere vittoriosamente avanzata (si spiegherebbero così le numerose eccezioni alla regola via via sedimentatesi nell’elaborazione dottrinale e nella prassi applicativa). Non sembra inutile precisare che nei casi, già segnalati dalla dottrina più sensibile, di «diseguale turpitudine»147 e dunque – per qualificazione nella materia contrattuale - di abuso unilaterale, consumabile da una parte ai danni dell’altra quand’anche si tratti di prestazioni fuori mercato, sorge l’esigenza di rimuovere la prevaricazione che altrimenti sarebbe stabilizzata negli effetti dalla regola della irripetibilità148. Si avverte così l'esigenza di evitare, anche nell’ambito degli accordi fuori mercato, l'uso strumentale dell'eccezione di irripetibilità da parte del contraente che si è avvantaggiato dell'altrui prestazione. In casi di questo tipo la ripetibilità della prestazione può essere giustificata avventurandosi in incerte calibrazioni delle reciproche immoralità, per constatare che la vittima, pur immorale, lo è meno dell'approfittatore; oppure escludere che l'immoralità possa attribuirsi anche a colui che si piega a eseguire la prestazione subendo il potere di fatto della controparte. Traspare l’incertezza del decidere; per arginarla, si raccomanda «un confronto sistematico fra la ratio sulla quale si fondano le clausole di prevenione delle conseguenze dei patti illeciti e la ratio delle clausole di conrllo degli scambi» anche alla luce del parametro della buona fede149. Dal punto di vista dell’analisi economica del diritto la regola della irripetibilità sembra acquistare razionalità nei limiti in cui appare funzionale a disincentivare l'esecuzione di contratti illeciti. Poiché le parti sanno della immoralità del contratto, sono pure consapevoli della sua invalidità: se entrambe adempiono, lo scambio dannoso per l’interesse generale si consuma lo stesso; ma se una parte adempie, corre il rischio che l’altra si astenga, senza essere costretta nemmeno alla restituzione di quanto ricevuto. Dunque, l’esecuzione è disincentivata; si incentiva, al contrario, la inesecuzione del contratto illecito perché immorale. In quest’ottica si potrebbe giustificare la restrizione della regola della irripetibilità alla sola illiceità che scaturisce dall’offesa del buon costume: le parti possono concludere contratti vietati anche senza avvedersene (perché ignorano, per es., la norma imperativa violata) più difficilmente potrebbero ignorare che un certo contratto sia offensivo dei valori etici minimi esistenti nel contesto sociale in cui si svolge la loro vita (cfr. G. VILLA, Contratto illecito e irripetibilità della prestazione, in Quadrimestre, 1992, p. 45 ss.). La persuasività dell’argomento è direttamente proporzionale alla esistenza e alla estensione di settori di profonda condivisione della c.d. morale sociale. Essa richiede, inoltre, accurate indagini con riguardo alle varie tipologie contrattuali e alle classi di scopi illeciti perseguiti. Non di rado, infatti, la regola della irripetibilità del prestato potrebbe agevolare l'attività illecita in ragione della quale il contratto è stato concluso: valga il noto esempio della compravendita di immobile da adibire a casa di prostituzione, dove escludere la restituzione dell'immobile equivarrebbe a favorire l'attività immorale. Sicché la dottrina recente riconosce che «In questa prospettiva la norma sulla soluti retentio può apparire non solo poco efficiente, ma perfino colpevolmente ipocrita» (D. CARUSI, Illiceità del contratto, cit., p. 512). 146 «Esclusa la ripetizione del solvens nell’ipotesi dello scambio bilateralmente eseguito, è giocoforza, in linea di principio, mantenere la proibizione anche in quello dello scambio attuato solo unilateralmente, per evitare, come già in diritto romano, che sia incentivata l’esecuzione verso corrispettivo patrimoniale dell’attività non commerciabile» (D. CARUSI, Illiceità del contratto, cit., p. 501. L’autore svolge compiutamente la tesi in ID., Contratto illecito e soluti retentio. L’art. 2035 tra vecchie e nuove «immoralità», Napoli, 1995, p. 17 ss.). 147 Per usare le parole di P. RESCIGNO, «In pari causa turpitudinis…», cit., p. 150. 148 Un esempio proposto in dottrina è quello del contratto c.d. di protezione tra sfruttatore e prostituta: escludere la ripetizione di quanto ‘pagato’ al protettore per necessità (violenza o minaccia), significherebbe tutelare un comportamento contrattuale abusivo nei confronti della vittima (cfr. U. BRECCIA, Causa, cit., p. 321). 145 37 Sottesa a questo argomentare è la proposta – già formulata da autorevole dottrina - di valutare la pretesa del destinatario della prestazione alla luce del divieto di abuso del diritto: se quella pretesa, apparentemente avallata dall’ordinamento per mezzo dell’art. 2035 c.c., realizza nella concretezza del fatto un abuso, deve essere disattesa. Accoglierla significherebbe permettere la prevaricazione, ossia contravvenire (all’ordine pubblico e) al buon costume150. I controversi tentativi di razionalizzazione di una norma tanto tradizionale quanto ambigua illustrano bene sia la debolezza degli assetti normativi gettati nel turbine del processo storico sia alcune linee emergenti della illiceità: sempre meno afferrabile come predicato di una regola comune e sempre più rintracciabile, soprattutto nella giustizia del caso concreto, nella prevaricazione di una parte ai danni dell'altra. Testimoniano, questi tentativi, la preoccupazione di modulare i rimedi codicistici anche al di là del dato testuale affinché non si ritorcano, come già fu per il contratto, ai danni del contraente prevaricato. Resta la conclusione che la radice etica del divieto, non più chiaramente rintracciabile, lo precipita in una crisi di razionalità e spinge l'interprete a letture minimizzanti. Da qui l'inarrestabile declino dell'art. 2035 c.c. nella prassi applicativa151. 149 Cfr. U. BRECCIA, Causa, cit., p. 320 ss. (citazione a p. 331). Sul punto cfr. anche l’opinione di D. CARUSI, Ordine pubblico e buon costume, in AA.VV., Clausole e principi generali nell’argomentazione giurisprudenziale degli anni novanta, a cura di L. Cabella Pisu e L. Nanni, Padova, 1998, p. 322, secondo cui «la formula originale prescelta dal codice italiano, con lo specifico collegamento del divieto di ripetizione al perseguimento di uno scopo contrario al buon costume […] manifesta l’intento di non precludere l’applicazione della retentio, e di prevederla tuttavia nei termini di una clausola generale, così da lasciare alla prudenza dei giudici dei margini di discrezionalità». 150 Cfr. P. RESCIGNO, Ripetizione dell'indebito, in Noviss. Dig. it., Torino, 1968, p. 1230; ID., «In pari causa turpitudinis…», cit., p. 215 ss. Significativamente, la dottrina dell’abuso della pretesa restitutoria, ponendosi il problema della prestazione lavorativa effettuata nell’ambito di un contratto immorale e fuori mercato, propone di ammettere la ripetizione a tutela del lavoratore. In tal caso, la norma applicabile sarebbe quella dell’art. 2126, comma 2, c.c., («se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione») qui prevalente rispetto a quella dell’art. 2126, comma 1, c.c. («La nullità o l’annullabilità del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il lavoro ha avuto esecuzione salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa») e anche rispetto a quella dell’art. 2035 c.c. (cfr. D. CARUSI, Illiceità del contratto, cit., p. 513 ss.). 151 La più efficace ricostruzione critica dei limiti all’applicazione dell’art. 2035 c.c. si deve a P. RESCIGNO, «In pari causa turpitudinis…», cit., p. 164 ss. Per esplicitare qualche dettaglio della questione, può in primo luogo rammentarsi l’opinione assolutamente prevalente che ritiene la norma applicabile soltanto a chi ha eseguito una prestazione contraria al buon costume (v. per es., P. RESCIGNO, Ripetizione dell'indebito, cit., p. 1230; R. SCOGNAMIGLIO, Contratti, cit., p. 337; F. MESSINEO, Contratto, II, cit., p. 277; Cass. sez. un. 7 luglio 1981, n. 4414, in Foro it., 1982, I, c. 1679; in senso contrario, R. DE RUGGIERO, F. MAROI, Istituzioni di diritto privato, II, Milano, 1950, p. 184). Il dubbio potrebbe investire l’ipotesi in cui sia eseguito un contratto che urti non solo il buon costume, ma anche l’ordine pubblico, o violi anche norme imperative (di ordine pubblico). Le perplessità di chi sosteneva che, una volta qualificato il negozio come illecito per violazione di norma imperativa o contrasto con l’ordine pubblico, ogni altra qualificazione diviene superflua, e dunque non si ha irripetibilità (così W. BIGIAVI, Ripetibilità del sovrapprezzo pagato al mercato nero, in Dir. giur., 1946, p. 280; F. CARRESI, Il negozio illecito, cit., p. 35; G. STOLFI, Teoria, cit., p. 215; attualmente, F. GAZZONI, Manuale, cit., p. 784) sono superate dall’evidenza della norma, che pone un effetto preciso - l’irripetibilità - e impone in ogni caso l’indagine sulla eventuale violazione (oltre che di norme imperative e/o ordine pubblico) dei principi del buon costume (cfr., per tutti: P. RESCIGNO, Ripetizione dell'indebito, cit., p. 1230; E. MOSCATI, Pagamento dell'indebito, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 320. In giurisprudenza v. Cass. 18 giugno 1987, n. 5371, in Foro it., 1988, I, c. 181). A volte la giurisprudenza ha ritenuto che la contrarietà al buon costume postuli che sia la prestazione sia la controprestazione violino i principi della morale sociale (e dunque, che la immoralità di una di esse non comporti anche la immoralità del contratto): così Cass. pen., sez. un., 18 ottobre 1995, in Giur. it., 1996, II, p. 316. Più dibattuto è se condizioni per l’irripetibilità siano anche la spontaneità dell’adempimento e la piena capacità dell’esecutore (cfr., variamente, F. MESSINEO, Contratto, II, cit., p. 278; P. RESCIGNO, Ripetizione dell'indebito, cit., p. 1230; F. CARRESI, Contratto, cit., p. 636; U. BRECCIA, La ripetizione dell'indebito, Milano, 1974, p. 116; S. DELLE MONACHE, Il negozio immorale, cit., p. 199 ss.; D. CARUSI, Illiceità del contratto, cit., p. 506; e sul pagamento coatto Cass. 29 aprile 1961, n. 985, in Foro it., 1962, I, c. 765). Ancora, secondo l'opinione prevalente l’offesa al buon costume impedisce la ripetizione ma non anche la rivendicazione (in questo senso, v. P. SCHLESINGER, Il pagamento al terzo, Milano, 1961, p. 26; U. BRECCIA, La ripetizione dell'indebito, cit., p. 117; D. CARUSI, Illiceità del contratto, cit., p. 504; 38 III.3. Ordine pubblico e buon costume nella evoluzione dell’ordinamento. – Le difficoltà di cogliere nella loro essenza le clausole generali dell’odine pubblico e del buon costume si acuiscono con lo sviluppo storico del diritto positivo, e con la progressiva attuazione dei precetti costituzionali nella legislazione ordinaria. Per l’ordine pubblico si manifestano nuovi e specifici modi di essere, riassumibili nella formula ‘ordine pubblico economico’. Allo stesso tempo, il nesso tra valori di ordine pubblico e interessi pubblici subisce vistose modificazioni, evidenziandosi - da un lato - gli stretti legami tra tutela di interessi individuali, ma fondamentali, e valori di ordine pubblico e – dall’altro – nuove possibilità di utilizzo della formula del ‘buon costume’ (o, per come argomentato, ‘ordine pubblico etico’) nei territori di frontiera della decisione giuridica, ancora relativamente inesplorati dal legislatore. i) Riformismo legislativo e sua razionalizzazione nella figura dell’‘ordine pubblico economico’. - La figura dell’‘ordine pubblico economico’, da taluno espressamente distinto dall'ordine pubblico c.d. ‘politico’, è di non antica prospettazione. Si concorda che, mentre la caratteristica dell’ordine pubblico in senso ampio (o ordine pubblico ‘politico’) è di porsi come limite negativo alla libera determinazione dei contraenti, invece l’ordine pubblico economico si caratterizza per la sua portata propulsiva distinguendosi in ordine pubblico economico di direzione, espresso dagli interventi legislativi di indirizzo e sviluppo del progresso economico e ordine pubblico economico di protezione, espresso dalle leggi a tutela dei contraenti deboli. Da qui l'opportunità di isolare, nell'ampio genere dell'ordine pubblico, una specie rinvenibile nei principi essenziali che costituiscono l'ordine giuridico della relazione economica (per usare una terminologia attuale, dello scambio di mercato)152. Sulla scorta di queste considerazioni emergerebbe che, se da un punto di vista fattuale l’ordine pubblico economico di direzione (considerato nelle sue manifestazioni più prossime all’interventismo economico dei pubblici poteri) con il tramonto del c.d. Stato-imprenditore ha assunto una connotazione marginale153, invece l’ordine pubblico economico di protezione (considerato in un’ottica ampia e comprensiva dei principi di regolamentazione delle dinamiche del mercato) ha progressivamente guadagnato spazio e rilievo nella recente legislazione. Il modo condizionale, tuttavia, si impone: Non solo non vi è nessuna confluenza di vedute sul punto154, ma nemmeno si rinvengono indagini che ricostruiscano le tecniche rimediali di repressione degli abusi (specie nella contrattazione diseguale) non semplicemente sul piano della generica A. BELLIZZI, Contratto illecito, reato e irripetibilità ob turpe causam, Torino, 1999 p. 62 ss.; ma v. i rilievi critici di S. DELLE MONACHE, Il negozio immorale, cit., p. 301 ss.; D. MAFFEIS, Contratti illeciti o immorali e restituzioni, Milano, 1999 p. 121 ss.). Infine, si propone di escludere l’operatività della regola nei casi di esecuzione non del contratto immorale ma di altro contratto, a esso collegato; di contratto in frode alla legge; di esecuzione del contratto a vantaggio di soggetto diverso dal beneficiario (P. RESCIGNO, Ripetizione dell'indebito, cit., p. 1230). Sulla progressiva disapplicazione della regola in giurisprudenza cfr. le osservazioni di R. SCOGNAMIGLIO, Contratti, cit., p. 336; nello stesso senso P. RESCIGNO, Ripetizione dell'indebito, cit., p. 1230 e da ultimo, D. CARUSI, Illiceità del contratto, cit., p. 504. 152 Nella visione costituzionale del diritto civile, dovrebbero contrastare con l’ordine pubblico economico i contratti in cui è pregiudicato l’ordinato svolgersi dei rapporti economici, e in cui l’abuso contrattuale consumato dalla parte forte ai danni della controparte più debole determina sopraffazione di interessi particolari e, insieme, pregiudizio di interessi generali, quale l’interesse a che tutti possano liberamente sviluppare la propria personalità cogliendo occasioni di crescita culturale, usufruendo di beni e servizi a condizioni contrattuali eque, e infine partecipando effettivamente all’organizzazione sociale, economica e politica del Paese: artt. 2 e 3, comma 2, Cost. 153 Benché, secondo alcuni, la formula si sia rivitalizzata per effetto delle politiche comunitarie di promozione del mercato concorrenziale. G. D’AMICO, L’abuso, cit., p. 653, nota 66, sul rilievo che nell’orizzonte disegnato dal diritto comunitario tutela della concorrenza e tutela della libertà contrattuale si mostrano strettamente connesse, conclude che «bisognerebbe chiedersi quale significato ancora abbia (o possa avere) – almeno nella materia che riguarda direttamente la libertà contrattuale – una netta distinzione tra un ‘ordine pubblico economico di direzione’ e un ‘ordine pubblico economico di protezione’». 39 violazione dei principi dell'ordine pubblico ma anche espressamente nell'ambito della illiceità155. Si rinvengono, piuttosto, notazioni volte a separare gli ambiti dell'ordine pubblico economico e della illiceità, nel senso che non ogni violazione della clausola generale dovrebbe determinare illiceità, aprendo essa le porte alla ‘dannosa’ conseguenza della nullità assoluta156. ii) Ordine pubblico e interessi, generali o individuali, fondamentali. Contratti d’impresa, tutela del contraente debole e disciplina del mercato. - L’affermazione dell’ordine pubblico nella sfera dei rapporti economici ha consentito la chiarificazione dei rapporti tra interesse pubblico e interesse individuale nella composizione della clausola generale. Soprattutto negli studi sulla nullità traspare la concezione che assimila ‘ordine pubblico’ a ‘interesse pubblico essenziale’157: secondo quanto ebbe modo di sostenere Ferrara oltre un secolo fa158. Per questa credenza, le nuove nullità - in quanto poste a tutela di interessi immediatamente riferibili all’individuo (libertà contrattuale, tutela della dignità, ecc.) - sono concepite come strutturalmente diverse dalla nullità(illiceità) codicistica, posta a rimedio degli sconfinamenti dell’interesse privato nell’area di quello pubblico e perciò superiore. Il contratto illecito, siccome derivante dall’offesa all’ordine pubblico, rischia di subire una marginalizzazione teorica e operativa: giacché potrebbe apparire a esso estraneo il vasto mondo nelle nuove nullità, a questo punto non classificabili come dipendenti da illiceità, ma meno enfaticamente da illegalità. Tuttavia, per poco che si rifletta, ci si avvede che l’idea che l’ordine pubblico sia a tutela di interessi esclusivamente pubblici risente di una semplificazione concettuale indotta dalla struttura del diritto tradizionale, organizzato secondo criteri sufficientemente netti di delimitazione tra pubblico e privato e sfornito di una fonte superiore quale la Costituzione, che riconosce e impone il rispetto dei diritti – dunque individuali - fondamentali159. Negli anni successivi all’entrata in vigore della Costituzione e all’avvento del diritto deformalizzato dello Stato sociale, si consolida l’opinione che accanto alle norme imperative «dirette a realizzare superiori esigenze della vita sociale» se ne pongano di altre «che hanno sì efficacia imperativa, ma hanno la funzione di proteggere un altro interesse individuale (si pensi alle norme che tutelano la spontaneità e la libertà del volere, alle norme che si preoccupano di proteggere il contraente più debole di fronte a quello potenzialmente più forte)» 160. Ancorché non manchino affermazioni nel senso del testo: cfr. M. BESSONE, Economia del diritto e ordine pubblico economico a tutela dei consumatori, in Giur. it., 1984, IV, p. 92; V. ROPPO, Contratto, cit., p. 405 s. (Quest'ultimo autore, tuttavia, pur riconoscendo la funzionalità dei principi dell'ordine pubblico [economico] di protezione alla tutela del contraente debole in generale e del consumatore in particolare, ritiene che la relativa protezione sia oggi assicurata dalla copiosa normativa imperativa di settore, «senza troppo bisogno d'invocare un più generico ordine pubblico di protezione»: p. 406). 155 Per una eccezione cfr., nella dottrina recente, il lavoro di G. D’AMICO, L’abuso, cit., p. 651 ss. 156 Cfr. le osservazioni di U. BRECCIA, Causa, cit., p. 175 s. 157 La distinzione, del resto, affonda le radici in quella che tradizionalmente si pone tra nullità (rimedio all’offesa di interessi generali) e annullabilità (trattamento dell’offesa a interessi particolari): cfr., per tutti, V. SCALISI, Inefficacia, in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, p. 332; R. TOMMASINI, Nullità (dir. priv.), ivi, XXVIII, Milano, 1978, p. 870. 158 Cfr. F. FERRARA, Teoria, cit., p. 65: «Tutto ciò che è relativo all’ordine pubblico è d’interesse pubblico, ma non viceversa. L’ordine pubblico è quell’interesse pubblico, che, come essenziale alla vita, alla incolumità e alla prosperità del corpo sociale, è stato ufficialmente riconosciuto e sanzionato dal diritto positivo». 159 Scrisse infatti Ferrara: «L’interesse sociale - giuridicamente riconosciuto e protetto – segna il limite naturale della libertà dei cittadini, i quali come membri del corpo della società devono subordinare i loro privati interessi agli interessi generali di quella. [...] Quindi ogni negozio che è compiuto in dispregio dell’interesse pubblico, sanzionato dalla legge, deve essere colpito dall’inefficacia civile» (F. FERRARA, Teoria, cit., p. 4). 160 R. NICOLÒ, Diritto civile, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, p. 913 s. L’evoluzione di pensiero è anche favorita dalla riconsiderazione del problema del contratto illecito alla luce dell’indagine storica. Grazie a questi studi, emerge a consapevolezza diffusa l’originaria essenza dell’ordine pubblico: cfr. G.B. FERRI, Ordine pubblico, cit., p. 51 ss., che a p. 59 conclude: «L’ordine pubblico, come espressione di un ordinamento sociale che si fonda sulla rivalutazione dell’individuo e 154 40 La tutela normativa del contraente ‘debole’161; le radici assiologiche della stessa, rinvenibili nella protezione costituzionale dell’iniziativa economica rispettosa dell’utilità sociale; il nesso che si delinea tra tutela di determinate categorie di contraenti deboli e tutela del mercato concorrenziale; tutti questi fattori determinano progressivamente la concezione dell’ordine pubblico come presidio di interessi anche, ma non esclusivamente, pubblici: perché anche individuali, purché fondamentali (e tali in quanto la loro tutela risponda alle basi assiologiche dell’ordinamento)162. Si stratifica dunque l’opinione sulla compatibilità tra valori di ordine pubblico e protezione di interessi individuali163. Una precisazione, la cui argomentazione presuppone tuttavia lo sviluppo dell’indagine164, è che l’ordine pubblico non risente, per questa ragione, di una frattura interna: che separi la tutela degli interessi generali da quella degli interessi individuali. Possono infatti dirsi di ordine pubblico, per comune opinione, solo gli interessi pubblici o privati espressivi dei valori fondamentali dell’ordinamento. Per questa stessa considerazione, non sarebbe possibile distinguere ipotesi in cui l’ordine pubblico tutela interessi pubblici da quelle in cui tutela interessi individuali. La salvaguardia di interessi individuali, allorché assurga al rango di ordine pubblico, non è mai tutela di interessi individuali soltanto: ma anche di interessi generali, pertinenti alla organizzazione essenziale dell’ordinamento. Il principio di ordine pubblico o (come molto più spesso accade) la legge di ordine pubblico, può apparire a tutela di interessi individuali o di categoria, ma è sempre a tutela anche di interessi generali: nel senso che la tutela dell’interesse individuale non esaurisce mai la ragione fondamentale del regime protettivo (come mostra, negli ultimi tempi, la protezione del consumatore nel suo inscindibile nesso con la tutela del mercato concorrenziale). Dietro l’idea dell’ordine pubblico come espressione sintetica dei valori su cui si basa l'ordinamento (valori predicati non esclusivamente negli interessi pubblici ma anche negli interessi privati, e sintetizzati negli interessi - pubblici o privati - che possano dirsi fondamentali) si è sviluppata una sensibilità che si sforza di cogliere con realismo le multiformi espressioni dell'ordine pubblico per come variamente si mostrano nella copiosa legislazione imperativa prodotta nelle moderne democrazie costituzionali. Alla cura dei supremi interessi dello Stato messi a repentaglio dai contratti disapprovati e alla idea dell'ordine pubblico politico in senso stretto si affiancano, in queste leggi di origine dei suoi fondamentali diritti, inalienabili e intangibili, trova cioè una caratterizzazione esclusivamente individualistica (perché è l’individuo, con le sue profonde ragioni, a costituire il problema centrale della nuova era) ed è proprio per questa sua caratterizzazione che l’ordine pubblico si pone su un piano diverso dal diritto pubblico». 161 Cfr. la pagina anticipatrice di M. WEBER, Economia e società, cit., p. 192: «con il sorgere dei moderni problemi di classe si cominciano ad additare al diritto aspirazioni materiali che […] rivedicano la necessità di un diritto sociale fondato su postulati etici di intonazione patetica - come la ‘giustizia’ e la ‘dignità umana’ – e ciò sia da una parte degli interessati (specialmente dalla classe lavoratrice), sia dagli ideologi del diritto». 162 Per limitare le citazioni, v. G.B. FERRI, Ordine pubblico, cit., p. 210 ss.; P. BARCELLONA, Intervento statale, cit., p. 17 ss.; M. NUZZO, Utilità sociale e autonomia privata, Milano, 1975, p. 90 ss. 163 Precorritore è stato il pensiero di T. ASCARELLI, Sviluppo storico del diritto commerciale e significato dell’unificazione, in ID., Saggi di diritto commerciale, Milano, 1955, p. 18, che spiegò: il consumatore «è alla fine l’indifferenziato consociato il cui interesse viene considerato come generale». Prima ancora, e con riguardo al problema della tutela della libertà contrattuale nei confronti dell’impresa monopolista, scrisse del singolo direttamente tutelato come esponente della collettività (al cui interesse la tutela è finalizzata) J.W. HENDEMANN, Reichtsgericht und Wirtschaftsrecht, Jena, 1929, p. 75. I legami tra interesse generale e interesse individuale ma fondamentale emergono schiettamente nella elaborazione del diritto del lavoro (per una testimonianza, cfr. lo studio di R. DE LUCA TAMAJO, La norma inderogabile nel diritto del lavoro, Napoli, 1976, p. 25 ss.). Nella dottrina recente, cfr. soprattutto G. PASSAGNOLI, Nullità speciali, cit., p. 123 ss.; e poi S. POLIDORI, Discipline della nullità e interessi protetti, Napoli, 2001, p. 25 ss.; P.M. PUTTI, La nullità parziale. Diritto interno e comunitario, Napoli, 2002, p. 378; G. BONFIGLIO, La rilevabilità d’ufficio, cit., p. 901; G. D’AMICO, L’abuso, cit., p. 657; infine, E. MANTOVANI, Le nullità, cit., p. 41 s. In sintesi, come annota A. GENTILI, De jure belli: l’equilibrio del contratto nelle impugnazioni, in Riv. dir. civ., 2004, II, p. 39, «Certo è che se le ragioni dei consumatori sembrano più giuste di quelle dei professionisti è perché preferirle è nell’interesse generale». 164 Cfr. il capitolo terzo, sez. I. 41 comunitaria, altre preoccupazioni già anticipate: la tutela della libertà contrattuale; la protezione dei valori personalistici; la ricerca della efficienza nei contratti, ma non disgiunta dal valore legittimante della giustizia. Con il movimento del ricorso storico la clausola generale riacquista il carattere originario: di meccanismo elastico di garanzia dei valori personalistici e a tutela della effettiva libertà contrattuale di tutti i soggetti del traffico. L'ordine pubblico perde di conseguenza la sua monoliticità e si scinde in settori plurimi di rilevanza, assumendo all'interno di ciascuno caratteristiche peculiari che, opportunamente tenute in conto, favoriscono nuove possibilità di utilizzo della clausola. Basti pensare alla diversa conformazione che assume la clausola se riferita ai contratti civili o ai contratti commerciali; ai contratti isolati o alla contrattazione standardizzata; ai minuti scambi dell'economia del quotidiano o alle complesse strategie negoziali attuate dalle imprese multinazionali. L'esperienza mostra che il contratto «tende a penetrare tutti gli spazi vitali»; possiamo facilmente constatare che dopo intense e controverse esplorazioni ha di recente occupato nuovi territori, quali quelli degli accordi commerciali sullo sfruttamento del nome e delle vicende esistenziali delle persone celebri, degli atti di disposizione del corpo, della procreazione medicalmente assistita, della genetica e più in generale del biodiritto165. All'ordine pubblico sono pertanto assegnati obbiettivi non pacificati, nella loro essenza, dai risultati del pubblico dibattito: come documenta l'accentuazione del problematico carattere personalista assegnato all'ordine pubblico politico, maggiormente capace di recepire le controverse sollecitazioni rispetto al buon costume. Le generalizzazioni eccessive nuocciono tuttavia alla realistica visione dei fenomeni. La clausola si espone fatalmente alle tentazioni della semplificazione e della strumentalizzazione ideologica; e così alla indecidibilità dei suoi variabili contenuti e alla residualità teorica e applicativa. Ma, quanto sembra ancora più rilevante, i principi di ordine pubblico espressi nel diritto ‘regolatore’ (deputato cioè alla attuazione di programmi politici) si discostano alquanto dalla matrice, comunque anche etica, dell'ordine pubblico nella misura in cui formalizzano «contingenti valutazioni d’indole politica»166. È stato scritto che «Sia le finalità collettive sia i provvedimenti politici d'implementazione sono debitori solo alla ‘forma del diritto’ della loro forza vincolante. In questo senso il diritto si colloca a metà strada tra la politica e la morale. Questo spiega come mai, nel discorso giuridico, gli argomenti attinenti all'applicazione e all'interpretazione della legge si collegano […] per un verso al dibattito sugli obbiettivi politici per l'altro verso ad argomentazioni giustificative di tipo morale»167. L'osservazione si rivela illuminante se riferita al discorso sul contratto illecito, divaricato costantemente tra obbiettivi politici contingentemente fissati, non negoziabili né sacrificabili nella contrattazione (sintetizzati nella clausola dell'ordine pubblico) e principi etici propulsivamente affermati (sempre nella formula dell'ordine pubblico, e nei limiti della eticità della sua matrice) o di cui si impone il rispetto minimo (nella clausola generale del buon costume). Cfr. U. BRECCIA, Causa, cit., p. 178 (ove anche la citazione testuale); cfr., inoltre, F. GALGANO, La categoria del contratto alle soglie del nuovo millennio, in Contratto impresa, 2000, p. 919 ss.; V. ROPPO, Contratto, cit., p. 401. V. SCALISI, Contratto e regolamento, cit., p. 487 annota che nell’epoca attuale «tutto sembra essere divenuto contratto ma al tempo stesso e per ciò stesso nulla sembra essere più contratto». Da questi fatti riemerge in tutta la sua importanza il settore dell'ordine pubblico familiare, esteso fino a lambire i territori di frontiera delle manipolazioni genetiche. Si delinea poi l'ordine pubblico matrimoniale, con tutta l'ampia casistica sugli accordi in vista del matrimonio, in vista del divorzio, in alternativa al matrimonio, che sconfessano definitivamente le classiche visioni refrattarie a cogliere la dialettica sociale degli stili di vita e tese a contenerla dentro formule tranquillanti, essenzialmente fondate sulla famiglia organizzata sul matrimonio e sui conseguenti assetti legalmente predeterminati e per lo più rigidi e, ove negozialmente modulabili, giudizialmente controllati. 166 Così P. RESCIGNO, «In pari causa turpitudinis…», cit., p. 185. 167 J. HABERMAS, Morale, Diritto, Politica, cit., p. 35 s. 165 42 Questo movimento di scissione interno all'ordine pubblico e questa distanza apprezzabile tra ordine pubblico, o parte di esso, e buon costume sono conseguenze del diritto regolatore deformalizzato, giunto alle espressioni ultime nella disciplina del mercato concorrenziale. iii) Decisione giuridica sulla scelta etica: buon costume (ordine pubblico etico) e nuove frontiere del diritto. - Alla complessa articolazione di rapporti constatabile tra ordine pubblico e valori fondamentali dell'ordinamento (l’ordine pubblico assicura non soltanto i valori tradizionali, ma anche quelli promossi dalla scelta politica che diviene legge di ordine pubblico) non segue uno stesso percorso della clausola del buon costume (o, se si preferisce, ordine pubblico non economico) che per la sua rilevanza richiede una sicura legittimazione nei valori di sistema. I rapporti tra etica e diritto, perlomeno nel contesto occidentale, si sono sviluppati in processi di accentuata differenziazione, volti ad assicurare infine il carattere pluralistico delle moderne democrazie costituzionali168. Le influenze etiche, di particolari visioni etiche totalizzanti, sul diritto positivo sono tradizionalmente guardate con grande sospetto. Il sottile collegamento tra i due ambiti è affidato a clausole come quella del buon costume: riferita a valori sicuramente condivisi. Di qui il confino del buon costume nella morale familiare e matrimoniale, fino all'esplosione sociale delle differenze e al loro riconoscimento anche positivo: non solo nei modelli costituzionali pluralistici, ma anche nelle leggi ordinarie (come testimonia la legislazione sul divorzio, sull'aborto, sul transessualismo, sulla procreazione medicalmente assistita, e così via) 169. Si profila tuttavia la concreta possibilità di nuovi rapporti tra etica e diritto. La decisione etica, a cui gli ordinamenti si mostrano refrattari, è imposta dall'evoluzione della tecnica in generale, e delle tecnoscienze in particolare. La decisione sulle possibilità di azione offerte dalla tecnica reclama il riferimento a valori. Sullo sfondo dell'accesissimo dibattito si stagliano ancora le raccolte di principi delle Carte fondamentali. Invece, nel dettaglio, i legislatori sono alquanto restii a effettuare scelte per definizione irreversibili. La stessa convenzione europea sulla bioetica nel preambolo, piuttosto che colmare gli spazi di anomia, esorta e rinvia al pubblico dibattito170. La salvaguardia dei tratti essenziali di civiltà espressi nell'ordinamento resta affidata all'interprete. Se spetta alla elaborazione scientifica e alla decisione giurisprudenziale di proporre modelli teorici e di pronunciare decisioni sulle periferie volutamente ignorate dalla legge, è facile supporre che uno strumento importante di argomentazione e decisione potrebbe risiedere nella clausola del buon costume. La clausola generale potrebbe allora emanciparsi dalla residualità e, ridefinendosi più convincentemente quale ‘ordine pubblico etico’ o ‘non economico’, potrebbe recuperare effettività operativa171. 168 Sui nessi tra morale, diritto e politica, cfr. sempre J. HABERMAS, Morale, Diritto, Politica, cit., che, con riguardo all'elaborazione weberiana, scrive: «Max Weber sosteneva una concezione positivistica del diritto: diritto è per l'appunto ciò che un legislatore politico […] statuisce come diritto secondo una procedura giuridicamente istituzionalizzata. Con questa premessa la forma del diritto non potrà mai trarre la sua forza legittimante da una qualche partentela con la morale. È unicamente in base alle sue proprietà formali che il diritto moderno deve poter legittimare un potere esercitato legalmente» (p. 5). 169 Sembra ovvio che invece lo sviluppo della c.d. etica degli affari non deponga, in senso contrario, per una inaspettata moralizzazione della relazione economica e contrattuale (di per sé problematica fino alla inaccettabilità) ma si limiti a testimoniare nuove modalità di emersione dell'ordine pubblico, secondo i dettami positivi della buona fede, dell'equità, della trasparenza. 170 Nella Convenzione si legge testualmente che gli Stati aderenti riconoscono «l'importance de promouvoir un débat public sur les questions posées par l'application de la biologie et de la médecine et sur les résponses à y apporter». 171 Cfr. le considerazioni di P. RESCIGNO, Prefazione, in ID., L’abuso del diritto, cit., p. 8 s. In giurisprudenza, si segnalano Trib. Monza, 27 ottobre 1989, in Dir. fam., 1990, p. 174; App. Salerno, 25 febbraio 1992, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, p. 179; Trib. Roma, 31 marzo 1992, in Dir. fam., 1993, p. 188; Trib. Palermo, 8 gennaio 1999, in Fam. dir., 1999, p. 52; Trib. Roma 17 febbraio 2000, in Nuova giur. civ. comm., 2000, I, p. 203. 43 III.4. Violazione di norme imperative e ordine pubblico. Ricostruzione critica della dottrina. Le norme imperative costituiscono il parametro formale della illiceità, come tale ontologicamente diverso dai parametri sostanziali integrati dalle clausola generali dell’ordine pubblico e del buon costume. L’incommensurabilità tra norme imperative da un lato e ordine pubblico e buon costume dall’altro cagiona rilevanti problemi ricostruttivi: infatti, il pur unitario giudizio di illiceità resta divaricato (e rischia di scindersi) tra diritto scritto e diritto delle clausole generali. A questa diversità corrisponde poi una differente operatività dei parametri formale e sostanziali: mentre la violazione degli ultimi determina senz’altro illiceità, invece la violazione di norme imperative si sottrae a ogni automatismo negli effetti. Soprattutto, nella decisione sulle questioni della illiceità data dalla violazione di norme imperative non espressamente sanzionate si registra un fenomeno di sovrapposizione tra clausola dell’ordine pubblico e parametro delle norme imperative: con reciproca compromissione della autonoma operatività di entrambi. È l’ultimo ma più rilevante problema sollevato dalla configurazione codicistica della illiceità contrattuale. Questo § è dedicato alla ricostruzione critica delle tesi formatesi sul tema; alla proposta teorica è invece dedicato il capitolo successivo (sezioni I e II). i) Norme imperative e nullità virtuale. - Le norme imperative possono essere individuate, con l'opinione comune, nelle norme cogenti172 poste dalla legge ordinaria o da fonti a essa sovrordinate subordinate o equiparate. Nel diritto dei contratti hanno rilievo le norme imperative poste dalla legge, da atti aventi forza di legge, da norme comunitarie e da fonti regolamentari autorizzate dalla legge173. Funzione delle norme imperative è di strutturare gli spazi entro cui si svolge l’esercizio di autonomia. In via generale, è possibile affermare che nel diritto dei contratti le norme imperative stabiliscono i confini entro i quali l’esercizio dell’autonomia è riconosciuto dalla legge e oltre i quali è privo di tutela (così quando confeziona un contratto genericamente invalido) e a volte oggetto di ‘sanzione’ (in senso ampio e lato: così quando il contratto è illecito)174. In generale, cfr. lo studio di R. DE LUCA TAMAJO, La norma inderogabile nel diritto del lavoro, cit., p. 16 ss. Per una distinzione tra norme imperative e norme cogenti, fondata sulla maggiore ampiezza concettuale delle seconde (sono norme imperative, in questa proposta, le norme cogenti di ordine pubblico o fondate sulla salvaguardia del buon costume) cfr. E. RUSSO, Norma imperativa, cit., p. 586. 173 Tra queste ultime spiccano quelle poste in essere dalle autorità amministrative indipendenti: cfr., per es., E. DEL PRATO, Autorità indipendenti, norme imperative e diritto dei contratti, in Riv. dir. priv., 2001, p. 521 ss. 174 In tale senso ampio e lato il termine ‘sanzione’ è adoperato in questo lavoro. Esso vale a indicare una «conseguenza sfavorevole prevista per l’inosservanza della norma consistente nella privazione […] di un effetto giuridico tutelato». Possono così dirsi invalidatorie «le sanzioni che tendono a privare di efficacia l’atto compiuto in violazione della norma» (C.M. BIANCA, G. PATTI, S. PATTI, Lessico di diritto civile, Milano, 1995, p. 716). Sulla idea della invalidità come sanzione cfr., per tutti, R. SCOGNAMIGLIO, Contributo cit., p. 363 ss. Altri critica l’accostamento dei concetti di invalidità (e nullità) e sanzione. Cfr., per es., N. IRTI, La nullità come sanzione civile, in Contratto impresa, 1987, p. 542, che avverte: «in linea teorica, non attribuirei alla nullità il carattere di sanzione. […] mentre le sanzioni presuppongono un comportamento disapprovato (e mirano a scoraggiarlo) la nullità presuppone un comportamento approvato (purché sia tenuto secondo le modalità stabilite dalla legge). Se queste modalità non sono osservate, lo scopo perseguito non viene raggiunto e l’atto si rivela del tutto inutile. Il comportamento, svolto con modalità difformi, non è disapprovato, ma è soltanto incapace di ottenere il vantaggio sperato». In sintesi: «Le sanzioni (positive o negative) postulano che l’atto sia; l’invalidità esprime, invece, che l’atto non è» (N. IRTI, La perfezione degli atti giuridici e il concetto di onere, in ID., Norme e fatti. Saggi di teoria generale del diritto, Milano, 1984, p. 149). La distinzione si appanna quando entra in gioco l’illiceità. Mentre l’accostamento, anche per comodità espressiva, tra nullità da inosservanza di oneri e sanzione può lasciare perplessi, maggiormente persuasivo è l’accostamento tra nullità da illiceità, e dunque da disvalore, e sanzione (tanto che, sempre per dichiarata comodità espressiva, G. D’AMICO, Ordine pubblico, cit., p. 13 propone, a riguardo, il termine composto di nullità-sanzione; ma v. ancor prima G. PASSAGNOLI, Nullità speciali, cit., p. 90 ss.). Il contratto illecito è in se stesso perfetto, e tuttavia anche disapprovato. Ciò che caratterizza il contratto illecito non è la deficienza strutturale, ma l’urto con i valori accolti nell’ordinamento. La distanza critica tra nullità da illiceità e sanzione si coglie ancora nettamente leggendo l’illiceità nell’ambito della teoria della fattispecie. Il declino di 172 44 La tradizionale visione liberale della economia e del diritto che la regolamenta concepisce queste norme come divieti all’espressione della libertà contrattuale in certe direzioni, in alcuni settori e da parte di specifici soggetti. La categoria più rilevante di tali norme è storicamente individuabile, pertanto, nelle norme proibitive. Secondo una visione liberale più attuale - e conseguente alle scelte dei legislatori di definizione degli spazi di esercizio dell’autonomia non solo in negativo ma anche in positivo - il primato delle norme proibitive non è più scontato poiché emergono, accanto a esse e con crescente importanza, le norme che pongono obblighi in positivo. Alla violazione delle norme imperative è dedicata, nel diritto dei contratti, la norma generale dell’art. 1418, comma 1, c.c., secondo cui il contratto contrario a norma imperativa è nullo a meno che, si precisa con clausola di salvezza, la legge non disponga diversamente. Si è acutamente osservato che la norma svolge una importante funzione sul piano della ricostruzione del sistema: infatti, disponendo in via generale la nullità per violazione di norma imperativa, porta a escludere che l’imperfezione della fattispecie sia sufficiente alla conseguenza invalidatoria (che dunque non ne costituisce conseguenza ‘logica’) per la quale è invece necessaria una previsione che ne statuisca l’antigiuridicità175. Secondo parte della dottrina, quasta norma introduce una figura di illiceità del contratto ignota alla codificazione precedente, che limitava l’illiceità alla (sola) causa. Questa illiceità si caratterizzerebbe per i termini del contrasto con la norma imperativa, giacché quel contrasto involge non la causa (o altri elementi rilevanti ai fini della illiceità) ma il contratto genericamente considerato176. Ne deriverebbe una specie di illiceità diversa da quella tradizionale e riferita ad alcuni qualificati elementi del contratto. Mentre alla prima si applicherebbe la regola della nullità salvo diversa disposizione, invece alla seconda sarebbe riservata la più severa regola che la violazione di norme imperative determina la nullità del contratto, senza possibile salvezza; mentre alla seconda si applicherebbe l’intero apparato rimediale previsto per la illiceità, invece per la prima varrebbero le conseguenze meno drastiche riferite dalla legge non alla illiceità della causa o dell’oggetto (cfr. art. 2126 c.c.) ma alla illiceità del contratto genericamente intesa. Peraltro, in dottrina si ritiene diffusamente che la violazione di norme imperative da parte del ‘contratto’, e non della ‘causa’, non determini una nullità aggravata (da illiceità) ma una nullità semplice: di modo che a questo odine di ipotesi non sarebbe applicabile l’apparato di conseguenze previsto per il contratto illecito. Al momento è necessario soprassedere dalla verifica della fondatezza di queste tesi, e rinviare al prosieguo dell’indagine la soluzione della questione se l’art. 1418, comma 1, c.c. disponendo sul questa visione, tesa a concepire la nullità in termini di carenza strutturale dell’atto e perciò difficilmente rispecchiante, nella sua razionalità astratta dal diritto positivo, il diritto positivo stesso (che invece collega la illiceità al contrasto tra contratto e valori esterni a esso, e nell’ultima legislazione fa dipendere l’illiceità/nullità anche da circostanze rilevanti nel contesto abusivo in cui il contratto si conclude: cfr. A. DI MAJO, La nullità, cit., p. 128 e, in questo lavoro, il capitolo terzo, sez. II) apre nuove possibilità di incontro tra nullità da illiceità e sanzione. Nel contratto illecito ciò che si disapprova è il compiuto esercizio della libertà contrattuale: in definitiva un comportamento, che non contribuisce a un contratto giuridicamente tutelato. Il contratto semplicemente nullo o annullabile può dirsi che non sia (non arrivi a essere un contratto tutelato); il contratto illecito è: esiste anzi per essere contro (pertanto è represso con la negazione di tutela). Indubbiamente, la disapprovazione del contratto illecito si realizza, allo stesso modo di quanto accade per il contratto altrimenti invalido, con la negazione di tutela. Ma ciò dipende dalla natura del contratto quale programmazione di interessi composti in funzione della realizzazione. Dove la nullità semplice da incompletezza manifesta l’inidoneità al risultato tuttavia approvato, la nullità/illiceità esprime la disapprovazione del risultato avuto di mira dalle parti. 175 Cfr. R. SCOGNAMIGLIO, Contributo cit., p. 382 s. 176 Per questa osservazione cfr., nella dottrina recente, G. VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 25 ss.; A. ALBANESE, Violazione di norme imperative, cit., p. 252 ss.; A. FEDERICO, Illiceità contrattuale, cit., p. 64. Essa è tradizionalmente avvalorata dalla opinione dei compilatori. Si legge infatti nella relazione al c.c. (n. 649): «La violazione delle norme imperative della legge è ricordata quale ragione autonoma di nullità del contratto per comprendere anche le ipotesi che potrebbero non rientrare nel concetto di causa illecita». 45 contratto in violazione di norme imperative abbia introdotto una nuova figura di illiceità non assimilabile a quella tradizionale oppure abbia stabilito una nuova causa di nullità, estranea alla nullità da illiceità o infine, e più modestamente, abbia fissato i mobili confini della illiceità per violazione del parametro dato dalle norme imperative. Occorre piuttosto passare in rassegna le opinioni dottrinali e gli indirizzi giurisprudenziali formatisi sulla dibattuta questione della nullità per violazione di norma imperativa imperfetta. All’esito di questa indagine sarà possibile condurre una verifica più approfondita della complessa questione e avanzare una proposta ricostruttiva. L’insegnamento ricorrente spiega che la legge può prevedere per la violazione di una norma imperativa la semplice irregolarità del contratto o conseguenze diverse dalla invalidità; può prevedere, in alternativa, la invalidità del contratto; oppure può tacere. L’assenza di sanzione espressa non comporta l’assenza di sanzione. Poiché la nullità per contrarietà a norme imperative costituisce regola generale, essa opera a prescindere dalla previsione della sanzione nel contesto della specifica norma imperativa violata. Si esplica così la funzione dell'art. 1418, comma 1, c.c.: di chiudere il sistema introducendo, accanto alla nullità testualmente prevista, una forma di nullità inespressa, derivante da una violazione non esplicitamente sanzionata dalla legge civile177. Questa dottrina supera la precedente elaborazione che, riconducendo il concetto di illiceità alla causa contraria a norme imperative ordine pubblico o buon costume, chiudeva lo spazio per una autonoma operatività del disposto dell’art. 1418, comma 1 c.c., a quel punto meramente ripetitivo di una regola enunciata nel comma successivo178. Il principio è stabilmente acquisito in giurisprudenza. L'insegnamento recepito parla di nullità inespressa, ma presente: non testuale179 e dunque – secondo l’espressione invalsa – ‘virtuale’180. Il principio della nullità virtuale è conosciuto nella letteratura classica (benché nel codice previgente mancasse una disposizione di comminatoria generale) ed è fatto risalire al diritto romano181. Cfr., per tutti, A. FEDELE, La invalidità del negozio giuridico di diritto privato, Torino, 1943, p. 175; R. CORRADO, L’illecito penale e l’invalidità del negozio giuridico, in Riv. dir. comm, 1947, II, p. 153; E. BETTI, Teoria, cit., p. 117; G.B. FERRI, Ordine pubblico, cit., p. 159; E. SARACINI, Nullità e sostituzione di clausole contrattuali, Milano, 1971, p. 47; F. MESSINEO, Contratto, II, cit., p. 173; R. MOSCHELLA, Il negozio contrario a norme imperative, cit., p. 271; G. DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, in Riv. critica dir. priv., 1985, p. 435; F. CORSI, Autonomia privata e norme imperative, in Riv. critica dir. priv., 1985, p. 493; S. MONTICELLI, Divieti valutari e autonomia privata, Padova, 1987, p. 37; F. SACCO, in F. SACCO, G. DE NOVA, Contratto, II, cit., p. 78; F. GALGANO, La nullità per contrarietà a norme imperative, in F. GALGANO, F. PECCENINI, M. FRANZONI, D. MEMMO, R. CAVALLO BORGIA , Simulazione. Nullità del contratto. Annullabilità del contratto, in Commentario Scialoja-Branca-Galgano, Bologna-Roma, 1998, p. 79; A. DI MAJO, La nullità, cit., p. 81; M. GIROLAMI, Le nullità di protezione, cit., p. 207 ss.; G. D’AMICO, Nullità non testuale, in Enc. dir., Annali, La regola posta dall’art. 1418, comma 1, è presente in via espressa nell’ordinamento tedesco (anzi la nostra norma è una trasposizione del § 134 BGB) e al riguardo si può leggere, esaustivamente, W. FLUME, Allgmeiner Teil des bürgherlichen Rechts. II Das Rechtsgeshäft, Berlin, Heidelberg, New York, 1979, p. 341 ss. In Francia manca una apposita disposizione, e il contratto contrario a norme imperative è sanzionato con il combinato disposto degli artt. 6 e 1133 del code civil, rispettivamente sulla nullità degli atti contrari all’ordine pubblico e sulla causa illecita. Ricostruzione storica del problema della nullità virtuale in G.VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 1 ss. Sui rapporti tra norme imperative da un lato e norme cogenti, inderogabili e indisponibili dall'altro, cfr. l’elaborazione di E. RUSSO, Norma imperativa, cit., passim. 178 Cfr. le pagine di S. PUGLIATTI, Precisazioni in tema di vendita, cit., p. 298 ss. 179 Cfr. G. D’AMICO, Nullità non testuale, cit., p. ……………. ss. 180 Cfr. V. Cass. 12 dicembre 1966, n. 2892, in Giur. it., 1967, I, 1, p. 1029; Cass. 20 settembre 1979, n. 4828, in Giust. civ., 1980, I, p. 943; Cass. 11 dicembre 1985 n. 6271, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, p. 469; Cass. 7 marzo 2001, n. 3272, cit. In dottrina cfr, per tutti, G. DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, cit., p. 436 s.; G. PASSAGNOLI, Nullità speciali, cit., p. 41 s.; A. GENTILI, Le invalidità, cit., p. 1510 s.; G.B. FERRI, Introduzione al sistema dell'invalidità, cit., p. 18; A. DI MAJO, La nullità, cit., p. 82. 181 Per la letteratura classica, cfr. F. FERRARA, Teoria, cit., p. 3. Ragguagli sul diritto romano in A. MASI, Nullità (storia) in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, spec. p. 859. Circa il diritto colto, cfr. l’art. 15:102 (2) (sui contratti contrari a norme imperative) dei Principles of European Contract Law: «Quando la norma imperativa non prevede espressamente gli effetti della violazione sul contratto, il contratto può essere riconosciuto efficace, parzialmente efficace, inefficace, o soggetto a modificazione». 177 46 Le opinioni dubbiose si mostrano decisamente minoritarie, e oggetto di rivisitazione critica da parte dei loro stessi autori182. ii) Sui criteri per individuare la nullità virtuale. Natura di ordine pubblico della norma violata. - Se la semplice disattenzione di una norma imperativa non testualmente sanzionata può comportare la nullità, potendo essa comportare anche la irregolarità o altre conseguenze ancora o nessuna conseguenza, sorge l’esigenza di individuare un criterio con cui discriminare i due ordini di casi: nullità, non nullità. Varie le soluzioni prospettate in dottrina. a) Data la struttura dell'art. 1418, comma 1, c.c., che fissa la regola della nullità e l'eccezione di un diverso trattamento, si potrebbe ipotizzare la drastica soluzione che la nullità debba essere pronunciata ogni qual volta non vi sia una norma che statuisca espressamente la salvezza degli effetti del contratto contrario a norma imperativa oppure dichiari una sanzione diversa dalla nullità183. Secondo il più articolato monito della dottrina classica «Nel dubbio però dovrà decidersi per il carattere assoluto del divieto e per l'effetto della nullità, giacché è presumibile la normale intenzione del legislatore di annullare ciò che va contro il suo volere»184. L’opinione è ripresa nella relazione al c.c. (n. 649), dove si commenta che l’art. 1418, comma 1, c.c. «risolve altresì la dibattuta questione circa gli effetti della violazione di una norma imperativa in cui non sia espressamente comminata la sanzione di nullità del vincolo: è normale l'effetto dirimente, ma sempre quando la volontà della legge non possa indirizzare a conseguenze diverse». Indubbiamente, adoperando meccanicamente lo schema regola-eccezione, la clausola di riserva dell’art. 1418, comma 1, c.c. perderebbe la sua autonomia, fungendo da inutile ripetizione del principio per cui la regola speciale (di salvezza) deroga alla regola generale (di invalidità). Per rigore di metodo si deve allora ammettere anche una salvezza implicita, di cui occorre individuare i presupposti185. b) Sull’idea che la reazione dell’ordinamento dipende dalla natura dell’interesse violato, la dottrina classica – seguita dalla giurisprudenza e dalla dottrina prevalente - ritiene che per stabilire se la violazione di una norma imperativa non esplicitamente sanzionata comporti l’illiceità del contratto bisogna indagare il fondamento della norma, giacché il contratto è illecito se e solo se essa risponde a ragioni di ordine pubblico186. Cfr. R. SACCO, Il contratto, in Trattato Vassalli, Torino, 1975, p. 526 (i cui ripensamenti successivi sono segnalati da G.B. FERRI, Introduzione al sistema dell'invalidità, cit., p. 17); cfr. anche R. TOMMASINI, Nullità, cit., p. 878. 183 Cfr., per il primo ordine di casi, il combinato disposto degli artt. 3, comma 2 della l. ass. e 2 l. 15 dicembre 1990, n. 386, sulla validità dell'assegno a vuoto la cui emissione è sanzionata amministrativamente. Per il secondo ordine di casi, v. la fattispecie dell'art. 1471 nn. 3 e 4 c.c., dove la violazione della norma imperativa è espressamente sanzionata con la annullabilità. 184 F. FERRARA, Teoria, cit., p. 28, nota 1. 185 Cfr. G. OPPO, Contratti parasociali, Milano, 1942 (e ora anche in Scritti giuridici, II, Diritto delle società, Padova, 1992, p. 29); G. DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, cit., p. 439; G. VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 78. Questa dottrina elabora la visione esposta sulla suggestione del disposto del § 134 BGB, in tema di nullità del negozio per contrasto con norme imperative, a mente del quale un negozio giuridico che viola un divieto stabilito dalla legge è nullo se dalla legge non risulti altrimenti («wenn sich nicht aus dem Gesetz ein anderes ergibt»). 186 V. F. FERRARA, Teoria, cit., p. 23; v. anche L. CARRARO, Negozio in frode alla legge, cit., p. 148; F. MESSINEO, Contratto, II, cit., p. 243; R. SCOGNAMIGLIO, Contratti, cit., p. 327; A. GRAZIANI, Riflessi privatistici dell’art. 2624 c.c., in Dir. giur. 1957, p. 553 ss.; G. DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, cit., p. 441; e, di recente, da E. RUSSO, Norma imperativa, cit. p. 586. In giurisprudenza cfr., tra le moltissime, Cass. sez. un. 21 agosto 1972, n. 2697, in Giust. civ., 1972, I, p. 1914; Cass. 27 novembre 1975, n. 3974, in Foro it., 1976, I, c. 309; Cass. 11 ottobre 1979, n. 5311, in Riv. not., 1980, p. 134, Foro pad., 1979, I, c. 363; Cass. 23 maggio 1987, n. 4681, in Giur. it., 1988, I, 1, p. 60; Nuova giur. civ. comm., 1988, I, p. 75; Foro it., 1987, I, c. 2236; Giust. civ., 1987, I, p. 2529; Cass. 9 luglio 1993, n. 7547, in Giust. civ., 1993, I, p. 2940; Cass. 7 marzo 2001, n. 3272, cit.; Cass. 3 novembre 2001, n. 11351; Cass. 18 luglio 2003, n. 11256, in Contratti, 2004, p. 237. Il criterio della natura di ordine pubblico della norma violata traspare nei Principles: cfr. art. 15:102 (3) che impone all’interprete di indagare, tra l’altro, lo scopo della norma violata e il genere dei soggetti protetti dalla norma. 182 47 Un importante indice sintomatico della natura di norma imperativa di ordine pubblico è dato, per opinione comune, dalla assolutezza dell’obbligo imposto. Se il legislatore, nel dettare la previsione imperativa, non ha previsto l’esenzione di taluni destinatari evidentemente ha considerato che qualsiasi comportamento inottemperante, tenuto da qualsivoglia soggetto, determina una inaccettabile compressione dell’interesse (non solo pubblico ma anche essenziale) assicurato dalla norma187. Si può dare il caso che una norma imperativa stabilisca per la sua violazione sanzioni diverse dalla nullità o, più in generale, dalla invalidità (sanzioni disciplinari o pecuniarie). In presenza di norma imperativa sanzionata ma non con la invalidità secondo la giurisprudenza il contratto non può di norma essere dichiarato nullo o invalido188. Se però l'esigenza perseguita dal legislatore mediante la previsione della specifica sanzione non può essere compiutamente conseguita per mezzo della relativa irrogazione si deve ritenere, inoltre, la nullità189. Il criterio della verifica della natura dell'interesse protetto dalla norma imperativa vanifica l'argomento strutturale desumibile dal rapporto regola-eccezione che corre, nel testo dell'art. 1418, comma 1, c.c., tra nullità e diverso trattamento: poiché la nullità dipende dalla natura della norma violata, non può essere desunta dalla semplice violazione della norma imperativa per la quale non appare apprestata, nemmeno implicitamente, una diversa sanzione. Per lo spazio interpretativo aperto dal criterio sostanziale, la dottrina – mai a suo agio nell’utilizzo delle clausole generali - non demorde dal denunciare l’elasticità del concetto di ordine pubblico, e la pericolosa incertezza applicativa che ne discende190. c) In diversa prospettiva, collegando sillogisticamente il rilievo che la libera esplicazione dell’autonomia privata integra un principio fondamentale dell'ordinamento con la conclusione che tale libertà è suscettibile soltanto di divieti posti in via eccezionale a segnarne il limite funzionale, si è Fortemente critica è l’opinione di A. ALBANESE, Violazione di norme imperative, cit., p. 21 ss. il quale contesta che l’imperatività della norma possa essere desunta dalla natura dell’interesse protetto, ossia da un elemento estrinseco alla norma stessa, e afferma – anche per ragioni di certezza del diritto – che la stessa deve invece argomentarsi sulla base di «un’indagine di stretto diritto positivo volta a ricercare, nella disciplina dell’interesse tutelato, precisi elementi d’indisponibilità, frutto di una scelta certamente discrezionale, ma che in ogni caso è compiuta dal legislatore» (p. 97). Il principale elemento di indisponibilità è dato, ovviamente, dalla previsione testuale della nullità, ma anche altri rimedi sono idonei allo scopo se fanno ritenere l’indisponibilità dell’interesse da parte dei privati. A questa posizione schiettamente positivista, ancorata su un metodo di indagine formale, è stata mossa articolata critica da G. D’AMICO, Nullità non testuale, cit. che rileva, in primo luogo, come l’elemento della nullità testuale sia inutilizzabile il più delle volte, sorgendo il problema della imperatività della norma proprio nelle fattispecie non espressamente sanzionate; e, in secondo luogo, come altre sanzioni, rinvenibili in rami dell’ordinamento diversi da quello civile, non siano decisive per escludere l’indisponibilità (potendo ben accompagnarsi a esse il rimedio civilistico – ancorché inespresso - della nullità). 187 In questo senso Cass. 4 dicembre 1982, n. 6601, in Giust. civ., 1983, I, p. 1172; in dottrina cfr. F. GALGANO, La nullità per contrarietà a norme imperative, cit., p. 82. 188 Cfr., per tutte, Cass. 16 luglio 1946, n. 892, in Foro it., 1947, I, c. 376; Cass. 18 luglio 1991, n. 7983, in Giust. civ., 1992, I, p. 446; Cass. 5 aprile 2003, n. 5372; Cass. 24 maggio 2003, n. 8236. 189 V. Trib. Milano 9 dicembre 1977, in Banca, borsa, tit. cred., 1978, II, p. 481; Cass. sez. un. 2 giugno 1984, n. 1984, in Giur. it., 1985, I, 1, p. 152. In dottrina si è parlato di criterio del minimo mezzo in base al quale «la nullità deve essere esclusa se l’esigenza perseguita dal legislatore mediante la previsione della specifica sanzione (civilistica, penale o amministrativa) sia compiutamente realizzata con la relativa irrogazione, mentre deve essere ammessa in caso contrario» (G. DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, cit., p. 446; v. anche G. VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 130). Cfr. anche l’art. 15:102 (3) dei Principles che impone all’interprete di tenere conto di tutte le sanzioni che possono derivare dalla violazione della norma. Va tuttavia precisato che, allorquando la tutela legislativa segue ragioni di ordine pubblico, nessun rimedio diverso dalla nullità, e che consenta la sopravvivenza del contratto, è idoneo a raggiungere lo scopo: si mostra essere mezzo adeguato. La verifica del minimo mezzo in nulla si differenzia, nella sua concretezza, dall’indagine sul valore di ordine pubblico del precetto violato. 190 Così G. OPPO, Formazione e nullità dell’assegno bancario, in Riv. dir. comm., 1963, I, p. 153; G. DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, cit., p. 442; U. BRECCIA, Causa, cit., p. 157; G. GUIZZI, , Mercato concorrenziale e teoria del contratto, in Riv. dir. comm., 1999, I, p. 92; A. DI AMATO, Contratto e reato, cit., p. 55 ss.; E. MANTOVANI, Le nullità, cit., p. 46. 48 sostenuto che un problema di nullità virtuale si pone soltanto per l’inottemperanza di norme imperative proibitive e non anche per la disattenzione di norme imperative precettive o ordinative o di configurazione191. L'assunto ripete la sua origine storica dal riferimento, contenuto nell'art. 12 delle disposizioni generali del codice del 1865, alle ‘leggi proibitive’. In quella norma, infatti, l'espressione fu usata insieme all'altra di ‘leggi riguardanti in qualsiasi modo l'ordine pubblico ed il buon costume’ per definire il concetto di illecito. È sembrato legittimo concludere che «Nonostante la diversità della formula, quindi, l'espressione ‘norme imperative’ corrisponde esattamente nel contenuto, alla formula ‘leggi proibitive’ già espressa nell'art. 12 delle preleggi del codice civile 1865»192. L'opinione trova sicuro fondamento nelle ipotesi in cui la norma imperativa tutela il buon costume, ponendosi questa clausola generale non come affermazione positiva di valori da perseguire ma come baluardo a difesa di un assetto etico mimimale di cui l'ordinamento pretende il rispetto. La sua generalizzazione alla diversa e molto più estesa area ricoperta dall'ordine pubblico (da norme imperative espressive di valori di ordine pubblico) è però ingiustificata. È facile obbiettare che ogni norma precettiva è convertibile in un divieto; pertanto non si può apprezzare alcuna differenza sostanziale tra norme precettive e norme proibitive: anche la norma precettiva, che pone un comando in positivo, limita l’autonomia privata e si presta a essere trattata con la nullità193. Proprio sul piano logico dell’illiceità del contratto derivante dalla violazione di norme imperative precettive non è fondato dubitare194; la difficoltà incontrata dalla dottrina (che non si avvede della fallacia del suo sillogismo, e scambia per conseguenza logica la scelta ideologica) discende da una precisa idea degli spazi riconosciuti all’autonomia privata e negoziale: per definizione ampi, delimitati soltanto da espresse norme di divieto (portatrici dei valori di ordine pubblico per come percepiti nell'ottica liberale classica). La legislazione di matrice comunitaria ha invece introdotto numerose disposizioni precettive, sanzionandone l’inottemperanza con la nullità. Ha così reso evidente che l’illiceità può essere conseguenza anche della violazione di una norma imperativa che pone un obbligo non negativo ma positivo195. Cfr. G.B. FERRI, Ordine pubblico, cit., p. 160 ss.; M. NUZZO, Negozio, cit., p. 6; v. anche F. GALGANO, La nullità per illiceità, in F. GALGANO, G. PECCENINI, M. FRANZONI, D. MEMMO, R. CAVALLO BORGIA, Simulazione, cit., p. 127; E. RUSSO, Norma imperativa, cit. p. 584. Non è superfluo annotare che per norme imperative ‘precettive’ si vuole intendere, come nell'uso invalso, le norme che pongono un comando in positivo; per norme ‘ordinative’ quelle che configurano gli istituti (cfr. già F. FERRARA, Teoria, cit., p. 24). L'uso degli aggettivi è comunque vario. A volte le norme precettive vengono qualificate come ordinative: cfr., per es., E. RUSSO, Norma imperativa, cit. p. 584. Usualmente si contrappongono le norme ordinative alle norme imperative: cfr., per es., U. BRECCIA, Causa, cit., p. 126, che tuttavia riconosce l'incertezza dei confini tra le due categorie. Poiché la configurazione degli istituti non è derogabile dalle parti, le norme ordinative - in quanto relative a interessi indisponibili dalle parti e inderogabili da patto contrario, e dunque diverse dalle norme usualmente definite dispositive e dalle norme usualmente definite suppletive (cfr. F. GALGANO, La nullità per contrarietà a norme imperative, cit., p. 80) - possono essere integrate nella categoria delle norme imperative, quale terza specie, accanto alle norme proibitive e alle norme precettive. 192 G.B. FERRI, Ordine pubblico, cit., p. 161. L’opinione, già propria della dottrina tradizionale (cfr. F. MESSINEO, Contratto, II, cit., p. 239), risente della tesi di F. FERRARA, Teoria, cit., p. 61, che, nel far derivare comunemente le norme imperative e l'ordine pubblico dal complesso dello ius cogens, poi distingueva le prime dal secondo collegando queste alle leggi proibitive, e invece quello all'insieme delle restanti leggi coattive. In giurisprudenza si richiama, per la significatività, Cass. 18 ottobre 1980, n. 5610, in Arch. civ., 1981, p. 133. 193 Il rinvio è alla riflessione di N. BOBBIO, Norma giuridica, in Noviss. Dig. it., IX, Torino, 1965, p. 331, e poi – nella specifica materia oggetto di questo lavoro - a G. VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 85. 194 E negli ultimi contributi pare data per scontata: cfr. U. BRECCIA, Causa, cit., p. 127 che definisce il contratto illecito come quello il cui contenuto «preveda regole incompatibili con un divieto o con un comando tali da non ammettere patto contrario». 195 Nell'ottica della contrattazione tra uguali la norma imperativa da rispettarsi a pena di illiceità «risulta evidente» (G.B. FERRI, Ordine pubblico, cit., p. 160) come proibitiva: proibitiva di un accordo lesivo dei valori fondamentali su cui si fonda l'ordinamento. Nell'ottica, del tutto diversa, della contrattazione diseguale si manifesta un'evidenza rovesciata. Qui l'illiceità non deriva dall’accordo, ma dall’abuso consumato da una parte ai danni dell’altra. La norma imperativa finalizzata 191 49 d) Altri criteri, come quello costituito dal rango della norma imperativa violata, hanno prodotto risultati modesti (limitati essenzialmente alla considerazione che le fonti diverse dalla legge ordinaria possono incidere sulla validità, ma solo a certe condizioni: la loro immediata precettività nel caso delle norme costituzionali, internazionali o comunitarie; la loro delega a trattare dell’autonomia privata nel caso di fonti secondarie, e così via)196. e) Il criterio alternativo all’indagine sulla natura dell’interesse protetto che sembra godere di maggior credito si fonda sulla distinzione che si ritiene di tracciare tra repressione della regola contrattuale da un lato e repressione del comportamento tenuto da taluni dei contraenti nella stipulazione del contratto dall'altro. L'osservazione fondamentale è che l'art. 1418, comma 1, c.c. disciplina il contrasto tra contratto e norma imperativa e sanziona con la nullità (salvo diversa disposizione di legge) il regolamento di autonomia che perciò è disapprovato in se stesso; non si interessa, questa norma, del comportamento tenuto dalle parti nella conclusione del contratto. Secondo questo avviso, dalla sanzione di un comportamento non discende necessariamente la disapprovazione del contratto che da quel comportamento si origina; per questa conseguenza, contrario alla norma imperativa dev’essere non soltanto il comportamento di una parte, bensì il comportamento di tutte le parti del contratto (cosicché il contratto stesso si pone in contrasto con la norma imperativa). Al di fuori di questa evenienza, la non conformità a norma imperativa del comportamento determinerà sanzioni diverse dalla nullità: quelle, per l'appunto, che hanno a oggetto non un regolamento di interessi, ma una condotta (negoziale): come accade per l'annullabilità e la rescissione197. Il settore di elezione del criterio è quello del contratto in violazione della legge penale, la quale si indirizza tipicamente alle condotte. All'esame del criterio è dedicato il capitolo seguente. Giova tuttavia anticipare che la sua perdurante fortuna si è recentemente incrinata con la riforma del reato di usura, a seguito della quale il contratto (frutto del comportamento unilateralmente abusivo dell'usuraio) è adesso per opinione prevalente disciplinato con la nullità, piuttosto che (per come tradizionalmente opinato in dottrina) con la rescissione. In via di provvisoria conclusione si può allora affermare che l'incertezza sulle ipotesi di nullità virtuale, denunciata dalla dottrina che respinge l’aggancio all'evanescente formula dell'ordine pubblico come criterio discriminante, resta intatta assumendo per qualcuno anche le forme del «dilemma»198. iii) Nullità virtuale e frode alla legge (rinvio). - Il problema della nullità virtuale sembra aggravarsi con riferimento al trattamento del contratto in frode alla legge. È noto che, nonostante la disposizione dell’art. 1344 c.c. - estremamente ambigua e tuttavia apparentemente chiara su un punto: il contratto in frode è illecito - il trattamento del contratto in frode alla legge è fonte di dubbio. E ciò non soltanto per quelle dottrine che ritengono la frode alla legge una causa di invalidità diversa dalla illiceità, ma anche all’interno del filone dottrinale che concorda sulla illiceità del contratto in frode alla legge. È sembrato che il contratto elusivo di una norma imperativa non testualmente sanzionata con la nullità non sia per ciò stesso sempre e comunque nullo; questa conclusione, infatti, consentirebbe un trattamento del contratto fraudolento aggravato rispetto al trattamento del contratto direttamente contrario alla norma imperativa in tutti i casi in cui, all’esito del giudizio sulla nullità virtuale, la norma a scongiurare l'abuso può ben consistere in divieti, ma può anche consistere in obblighi positivi gravanti sulla parte forte e volti a ristabilire artificialmente una condizione di equilibrio contrattuale (e di potere di mercato) non rinvenibile nella realtà dei fatti. 196 V., per tutti, G. VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 112 ss. 197 Cfr. intanto, per tutti, il contributo di G. OPPO, Formazione e nullità dell’assegno bancario, cit. 198 Cfr., per es., G.VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, cit., p. 132; A. DI MAJO, La nullità, cit., p. 82. 50 imperativa imperfetta non potrebbe ritenersi sanzionata con la nullità199. Un simile trattamento non sarebbe giustificabile sulla scorta delle dottrine c.d. soggettive sulla frode alla legge, che valorizzano l’intento fraudolento di un risultato analogo a quello vietato (così da giustificare il trattamento aggravato con l’esigenza di reprimere, ulteriormente, quella intenzione): sia perché l’autonomo rilievo della comune intenzione delle parti farebbe emergere una ipotesi di rilevanza del motivo al di fuori dei casi previsti dalla legge200, sia perché qualora il risultato conseguito con il contratto in frode fosse non identico ma semplicemente analogo, e quindi diverso da quello vietato, il contratto non potrebbe essere giudicato – come invece impone la legge – illecito201. Né, anche a reputare – in conformità all’espressione letterale dell’art. 1344 c.c. - il contratto fraudolento sempre illecito, la qualificazione del contratto in termini di illiceità dovrebbe far necessariamente ritenere la nullità: ciò in quanto è discusso in dottrina che la nullità sia l’unica conseguenza della illiceità202. Qualora non si pensasse che il contratto fraudolento sia sempre e comunque illecito e nullo o si reputasse che un tale contratto, pur essendo sempre illecito, non sia sempre e necessariamente sanzionato con la nullità, il giudizio di nullità virtuale assumerebbe una ulteriore decisiva rilevanza: a discriminare le fattispecie di contratto in frode e nullo in quanto in violazione indiretta di una norma imperativa imperfetta ma da ritenersi – all’esito del giudizio sulla nullità virtuale - sanzionata con la nullità dalle diverse fattispecie in cui il contratto fraudolento è elusivo di una norma imperativa imperfetta che – all’esito di quel giudizio – debba ritenersi non sanzionata con la nullità. Così G. D’AMICO, Libertà di scelta del tipo contrattuale, cit., p. 186, condiviso da A. ALBANESE, Violazione di norme imperative, cit., p. 261 ss. 200 In quanto il motivo rilevante è il motivo illecito ed esclusivo: già previsto nell’art. 1345 c.c.; pertanto, ove il motivo esclusivo fosse ritenuto rilevante anche nel disposto dell’art. 1344 c.c., si addiverrebbe a una interpretazione abrogatrice della norma sulla frode alla legge (così S. PUGLIATTI, Precisazioni in tema di vendita, cit., p. 386); in quanto, inoltre, ove ci si volesse riferire al motivo non esclusivo (come tale non considerato nella formula dell’art. 1345 c.c.) ma condizionante della frode, ci si esporrebbe all’obbiezione che «la valutazione della conformità dell’atto al precetto giuridico è di competenza esclusiva della legge, e compito dell’interprete, non già dell’interessato» (E. BETTI, Teoria, cit., p. 382; nello stesso senso F. CARRESI, Contratto, cit., p. 337). 201 Per la dottrina tradizionale cfr. G. OPPO, Recensione a Carraro. Il negozio in frode alla legge, in Riv. dir. comm., 1944, I, p. 179; di recente, v. A. ALBANESE, Violazione di norme imperative, cit., p. 263, nota 168. 202 Cfr. capitolo secondo, § II.3. 199 51