1304 Nasce ad Arezzo Francesco Petrarca. 1309 La sede papale di

1304
Nasce ad Arezzo
Francesco Petrarca.
1309
La sede papale di
Clemente V si trasferisce
da Roma ad Avignone.
1310
Discesa in Italia
dell’imperatore Enrico VII.
1327
Discesa in Italia
dell’imperatore Ludovico
IV il Bavaro.
1337
Edoardo III sbarca a Calais.
Ha inizio la Guerra dei
Cento Anni tra Francia
e Inghilterra.
1347
Cola di Rienzo viene
proclamato tribuno di
Roma.
1349
Inizia il governo di Giovanni
Visconti a Milano.
1356
Con la Bolla d’oro Carlo IV
riserva a sette autorità
germaniche il diritto di
eleggere l’imperatore.
1374
Petrarca, poco prima di
morire, mette mano per
l’ultima volta al libro
poetico della sua vita,
il Canzoniere.
1377
I genovesi assediano
Chioggia in territorio
veneziano.
La curia pontificia lascia
Avignone e fa ritorno a
Roma con Gregorio XI.
1378
Tumulto dei Ciompi:
insorgono i lavoratori
salariati fiorentini.
Viene eletto papa Urbano
VI, ma il clero filo-francese
lo disconosce ed elegge
come proprio papa
Clemente VII, generando lo
Scisma d’Occidente.
1381
Pace di Torino: Venezia
cede alcuni territori ma
mantiene l’indipendenza e
il monopolio sull’Adriatico.
1382
La repubblica di Firenze
viene retta da
un’oligarchia.
1395
L’imperatore Venceslao IV
riconosce Gian Galeazzo
Visconti duca di Milano.
1402
Muore Gian Galeazzo
Visconti e lo Stato
regionale milanese si
disgrega.
1406
Firenze si espande
conquistando anche Pisa.
1414-1418
Concilio di Costanza: la
contesa tra papi
antagonisti si risolve con
l’elezione di Martino V.
1416
Poggio Bracciolini ritrova il
codice dell’Institutio
oratoria di Quintiliano.
1420
Trattato di Troyes: il re
d’Inghilterra Enrico V
ottiene il diritto di
successione al trono di
Francia.
1421
Filippo Maria Visconti
occupa Genova e
prosegue la ricostituzione
del ducato del padre Gian
Galeazzo.
1429
L’esercito francese guidato
da Giovanna d’Arco libera
Orléans.
1431
Giovanna d’Arco è
condannata al rogo.
1431-1449
Concilio di Basilea: parte
del clero reclama maggiori
poteri per i vescovi, ma alla
fine prevale la supremazia
papale.
1435
Leon Battista Alberti
dedica a Filippo
Brunelleschi il suo trattato
De pictura.
1441
Alberti organizza a Firenze
il “Certame coronario”.
Nasce a Scandiano Matteo
Maria Boiardo.
1450
Il condottiero Francesco
Sforza si impadronisce di
Milano.
1453
Si conclude la Guerra dei
Cento Anni: i francesi
tornano in possesso dei
loro territori; gli inglesi
mantengono un solo
presidio a Calais.
Caduta di Costantinopoli
assediata dai turchi
ottomani.
1454
Nasce a Montepulciano
Angelo Poliziano.
1455
Ha inizio la Guerra delle
Due Rose tra i casati
inglesi degli York e dei
Lancaster.
1461
Luigi XI sale al trono di
Francia.
1469
Il giovane Lorenzo de’
Medici eredita la signoria
su Firenze.
1475
Poliziano inizia a comporre
le Stanze per la giostra.
1478
Congiura dei Pazzi a
Firenze: Lorenzo si salva,
il fratello Giuliano viene
ucciso.
1479
In Spagna Ferdinando II
il Cattolico e la regina
Isabella unificano il regno
d’Aragona con quello di
Castiglia.
1482
Marsilio Ficino pubblica la
Theologia platonica de
immortalitate animorum.
1483
Viene pubblicato a Reggio
l’Inamoramento de Orlando
(Orlando innamorato) di
Boiardo.
1485
L’incoronazione di
Enrico VII della casata dei
Tudor pone fine alla guerra
civile inglese.
1486
Pico della Mirandola
scrive le Conclusiones
philosophicae, cabalisticae
et teologicae.
1492
Muore Lorenzo il
Magnifico.
Trionfo della Vanagloria, miniatura tratta
dal De viris illustribus di Francesco
Petrarca, 1380 circa. Parigi, Bibliothèque
nationale de France.
3
Mappa dei contenuti
1
2
3
4
Capitoli
Francesco Petrarca
Matteo Maria Boiardo
Angelo Poliziano
Gli umanisti
2 | sezione 3 | Petrarca e la civiltà dell’Umanesimo |
La storia europea nei luoghi
di Petrarca
Introduzione
N
ell’ottobre del 1350 Francesco Petrarca (13041374) > p. 21 | è diretto a Roma, dove si celebra
l’anno del secondo giubileo della storia, indetto
da papa Clemente VI cinquant’anni dopo quello proclamato da Bonifacio VIII. Passa prima da Firenze, dove in
prossimità delle mura cittadine gli si fa incontro, impaziente di conoscerlo, Giovanni Boccaccio (1313-1375)
> Tomo 1.1 |, di nove anni più giovane e suo estimatore: è
il loro primo incontro di persona, ricordato con affetto
da Petrarca proprio in una sua lettera del 1359 all’amico
(Familiares, XXI, 15). In quel momento, alla metà esatta
del secolo, l’Europa è ferita, prostrata: la peste propagatasi nel 1348 ha funestato tanto Firenze, portandosi via il
padre di Boccaccio e alcuni suoi amici, quanto la Provenza, la regione sud-orientale della Francia in cui Petrarca
ha trascorso gran parte della sua vita, dal 1312, e incontrato la donna amata che ispira la sua lirica, Laura, anche
lei rimasta vittima della terribile epidemia. |1|
L’Italia alla metà del Trecento
1349
1351
1348
1349
1348
VENEZIA
COSTANTINOPOLI
TREBISONDA
SAMARCANDA
1347
DAMASCO
BAGHDAD
MECCA
pellegrinaggi alla Mecca
Boccaccio sta componendo il suo Decameron, che completerà nel 1352 e diventerà un’opera fondamentale per
la prosa italiana dei secoli a venire; Petrarca è un celebre
erudito e letterato e si sta dedicando, fra i tanti progetti,
ai Rerum vulgarium fragmenta, l’opera poetica della sua
vita, più nota come Canzoniere, che sarà elevata a canone
imprescindibile per i poeti successivi. L’Italia del loro
tempo è un mosaico di entità territoriali dai confini instabili, soprattutto nella parte centro-settentrionale. Le
realtà politiche più solide e destinate a espandersi fino a
costituire organismi più ampi, tali da essere considerati
Stati regionali, si sviluppano intorno alle città di Milano, Firenze e Venezia. Al centro, le terre assoggettate
allo Stato della Chiesa si
estendono dall’area tirreniLegenda
ca laziale a quella adriatica
Aree e date
marchigiana e romagnola
di diffusione
Percorso del contagio
passando per la regione
umbra. Al sud, dopo la
morte di Roberto d’Angiò
PECHINO
nel
1343 il regno di Napoli
via della seta
è ereditato dalla nipote
Giovanna I, che però ha
1333
soltanto sedici anni e deve
affrontare una lunga contesa di potere, mentre la Sicilia e la Sardegna sono in
mano agli Aragonesi.
|1| La diffusione della peste
intorno alla metà del Trecento.
| Introduzione | La storia europea nei luoghi di Petrarca | 3
Il potere delle signorie
In buona parte delle entità politiche del
centro-nord, in pieno Trecento, si è ormai determinato un mutamento istituzionale provocato dalla crisi degli ordinamenti comunali: spesso le magistrature e altri organismi cittadini sono ancora presenti, ma il potere è perlopiù
concentrato nelle mani di una singola
persona, il signore, che in vari modi ha
assunto il governo del territorio comunale: in alcuni casi con la violenza, ma
in molti altri per vie formalmente non
illegali, come l’investitura imperiale o
la delega del potere da parte delle magistrature tradizionali. Come abbiamo già
visto a Firenze al tempo di Dante > Introduzione alla sezione 2, tomo 1.1 |, nelle
società comunali emergono gravi conflitti tra gli interessi politico-economici
delle famiglie nobili, della grande e piccola borghesia, dei diversi mestieri riuniti in corporazioni, dei ceti produttivi
su vasta scala oppure locale, e cresce la
volontà di rivolta dei contadini, della
plebe emarginata. L’insediamento delle
signorie è perciò anche visto come una
forma di risposta a queste situazioni di
ingovernabilità, che avevano portato a
feroci scontri interni: il signore si pone
come autorità al di sopra delle parti, in
grado di riportare l’ordine pubblico e
promuovere gli interessi generali dello
Stato; un arbitro e moderatore che agisce con risolutezza ma promette giustizia imparziale; e anche un comandante
capace di difendere e di espandere i possedimenti territoriali.
La curia di Avignone
Petrarca |2| assiste personalmente alle
attività della corte pontificia in quel periodo unico nella
storia della Chiesa in cui il papa non risiede sulle rive
del Tevere, bensì su quelle del Rodano: è ancora bambino quando la sua famiglia si trasferisce vicino ad Avignone |3|, che dal 1309 ospita papa Clemente V con
tutta la sua curia; e morirà tre anni prima del ritorno del
pontefice Gregorio XI a Roma, nel 1377. In questo lungo periodo di lontananza (la cosiddetta “cattività avignonese”), la Chiesa amplia e potenzia le sue strutture
amministrative, allo scopo di consolidare la propria autorità indipendente ed esercitare quel potere temporale
che non intende lasciare ad altri: anche dalla Francia
continua a condurre la propria politica contro gli imperatori germanici e i ghibellini che ne caldeggiano la di-
|2| Francesco Petrarca, Galleria degli Uffizi, Firenze.
|3| Il Palazzo dei Papi di Avignone in una miniatura
francese del XV secolo.
scesa in territorio italiano. Ma questo
ramificato apparato di funzionari e di
interessi economico-politici genera un
ragguardevole innalzamento dei costi,
cui la curia avignonese può fare fronte
soltanto con un ingente aumento del
prelievo fiscale presso lo stesso clero,
le popolazioni e i potentati dei territori
sotto la sua autorità; i quali si vedono
privati di sostanziali risorse e ricchezze, portate oltre confine per alimentare le esigenze della corte, comprese
una notoria corruzione e una varietà
di vizi e abusi che Petrarca può constatare coi propri occhi e contro cui scaglierà durissime accuse in diversi suoi
scritti, in particolare nei tre sonetti
“anti-avignonesi” del Canzoniere (136138 > p. 90 |). Questo divario sempre
più netto tra ciò che la Chiesa avrebbe
dovuto rappresentare nell’adempiere
la sua missione spirituale e ciò che invece dimostrava di essere nella realtà,
perseguendo finalità materiali opposte ai suoi precetti teologici, unitamente all’insofferenza verso le sue ingerenze nello scacchiere politico, porterà a
un malcontento diffuso e a una critica
sempre più accentuata della sua stessa istituzione, che avrà ricadute significative sulla storia europea e condurrà
prima allo Scisma d’Occidente (dal
1378 per la contemporanea presenza
di due sedi papali opposte fra loro, infine risolta con l’elezione di Martino V nel 1417) e poi alla
Riforma protestante del XVI secolo.
Lo Stato della Chiesa
L’assenza del papa dalla sua sede romana, intanto, aveva
gettato nel disordine e nell’anarchia tutto il territorio
dello Stato della Chiesa. Venendo a mancare il fulcro
tangibile della sua autorità, l’unica almeno nominalmente riconosciuta da tutti, si erano moltiplicati gli
scontri armati tra signori, gruppi e famiglie più potenti.
La popolazione viveva nell’insicurezza e nella miseria, a
causa della diffusa criminalità, dell’arretratezza della
produzione agricola e dello scarso sviluppo delle attività manifatturiere e commerciali. A Roma dominava-
4 | sezione 3 | Petrarca e la civiltà dell’Umanesimo |
rapporto di subordinazione rispetto alla
no le grandi famiglie nobiliari, su
monarchia francese > Tomo 1.1 |. Ma la fortutte quelle dei Colonna e degli Orsini. Nel 1347, tuttavia, una personatuna della sua famiglia e del regno era prelità di origini popolane, Cola di
sto destinata a precipitare. Filippo IV
muore nel 1314 e nel giro di pochi anni
Rienzo (1313-1354) |4|, notaio e abiscompaiono anche i suoi successori; da ulle oratore, si pone alla guida di una
timo il figlio Carlo IV nel 1328, con il quaribellione allo strapotere e ai soprusi
le si estingue il ramo diretto della dinabaronali, facendosi proclamare dal
stia dei Capetingi. Il trono viene allora ripopolo tribuno e liberatore dello stavendicato dal cugino Filippo di Valois e
to romano. La sua promessa è quella
dal re d’Inghilterra Edoardo III, in quanto
di ricostituire a Roma, senza ledere i
nipote di Filippo IV. Si riaccende così il
diritti della Chiesa, una repubblica
conflitto tra i due stati divisi dalla Manica,
ispirata alla grandezza della storia
che già tra XI e XII secolo avevano combatantica, che ponga fine alle violenze,
tuto a più riprese per ragioni feudali e didestini le risorse pubbliche a favore
nastiche.
dei cittadini e impedisca ai nobili di
Nel 1337 Edoardo III sbarca a Calais
spadroneggiare con le armi. Per bre|4 | Il monumento a Cola di Rienzo alla
con la sua cavalleria e un reparto di arcieri
ve tempo il progetto riesce a prendere Cordonata di Campidoglio, Roma.
del Galles. Inizialmente la guerra è condotcorpo e vede tra i suoi ferventi sostenitori proprio Petrarca, nonostante fosse stato a lungo al ta soprattutto sul piano economico, poiché un motivo
servizio di quella famiglia Colonna che era acerrima an- fondamentale, se non addirittura primario, all’origine
tagonista del tribuno. La fortuna dell’impresa è però effi- dello scontro riguardava il controllo del mercato commera, il governo popolare dura solo fino al dicembre merciale delle Fiandre. In seguito si passa a una vera e
1347, avversato dai nobili e dal legato pontificio. Cola è propria guerra armata che vede a lungo prevalere la cacostretto a fuggire, si rifugia tra gli eremiti della Maiella, pacità militare inglese.
Anche Petrarca ha modo di osservare le ripercussioni
poi riprende l’iniziativa nel 1350: si reca a Praga presso
l’imperatore Carlo IV di Lussemburgo per convincerlo a del conflitto sul territorio: per due volte visita Parigi, che
intervenire, ma è arrestato come sospetto di eresia e por- già dal Duecento è sede universitaria e noto centro cultutato ad Avignone presso papa Clemente VI. Viene poi li- rale; la prima nel 1333, la seconda nel 1360-1361, quando
berato e il nuovo papa, Alessandro VI, cerca di servirsi la città sulla Senna patisce gli stenti della guerra in anni
del consenso che Cola può ancora raccogliere inviandolo funestati anche dalle ondate di peste.
La società francese, inoltre, è in frequente subbuglio
in appoggio del cardinale Egidio d’Albornoz, a cui è affidato il compito di restaurare l’autorità papale a Roma. per le rivolte antifeudali dei contadini (chiamate
Nel 1353 Cola assume nuovamente il governo della città, jacqueries) e per le conseguenze della spaccatura in due
ma la sua azione politica si dimostra repressiva, arbitra- fazioni nobiliari: gli armagnacchi sostengono i sovrani
ria, gravosa a causa di nuovi tributi, al punto che quella di Francia, i borgognoni quelli d’Inghilterra. Dopo una
stessa plebe che lo aveva acclamato gli diventa ostile e lunga successione di battaglie e periodi di tregua, con il
trattato di Troyes del 1420 sembra realizzarsi il progetto
Cola viene ucciso nei pressi del Campidoglio.
Il cardinale d’Albornoz, invece, continua con efficaci di unificazione dei due stati sotto la corona inglese nella
risultati la sua opera: riconduce i potentati sotto il domi- figura di Enrico V, che ottiene in sposa la principessa
nio della Chiesa, concedendo ai signori sufficienti auto- francese. Il sovrano, però, muore di febbre tifoide nel
nomie; attua una più oculata politica fiscale e ammini- 1422, lasciando i diritti reali appena acquisiti al figlio
strativa e soprattutto riporta l’ordine sul piano legislati- Enrico VI, che è nato soltanto l’anno prima.
Comincia la riscossa delle truppe francesi, che alla
vo raccogliendo un corpus di norme precedenti insieme
ad alcune di nuova regolamentazione nelle cosiddette loro testa vedono una giovane contadina, Giovanna
Costituzioni egidiane del 1357, un codice di diritto gene- d’Arco |5|. Nel 1429 l’esercito libera Orléans e Carlo VII
rale che, con l’aggiunta di una serie di leggi approvate nel è consacrato nuovo re. Giovanna diventa il simbolo di
1544, verrà rispettato e rimarrà in vigore nello Stato della una guerra fino ad allora feudale che si trasforma in una
Chiesa fino al 1816.
lotta di liberazione nazionale del popolo francese. Seppure in modo graduale – tanto che inizialmente la stessa
La guerra dei Cento Anni (1337-1453)
Giovanna viene poco supportata dalla corte, cade nelle
tra Francia e Inghilterra
mani dei borgognoni ed è ceduta agli inglesi, che la conIl trasferimento della curia pontificia ad Avignone aveva dannano al rogo nel 1431 – la Francia riconquista entro il
significato per il re di Francia Filippo IV il Bello una im- 1453 tutti i suoi territori. All’Inghilterra rimane soltanto
portante vittoria politica, poiché poneva la Chiesa in un il presidio di Calais.
| Introduzione | La storia europea nei luoghi di Petrarca | 5
L’impero
Dopo essere stato a Parigi, Petrarca prosegue il suo viaggio del 1333 visitando altre città come Gand nelle Fiandre, Liegi e, nel territorio del Sacro romano impero,
Aquisgrana e Colonia, la città sul Reno che lo impressiona per la civiltà della popolazione, l’eleganza delle donne
e le suggestioni del legame con l’antica Roma, per essere
stata fondata da Agrippa nel 38 a.C.
Nel 1327 era fallita la discesa in Italia di Ludovico IV
il Bavaro, scomunicato da papa Giovanni XXII poiché la
sua nomina a imperatore era avvenuta senza il giudizio
pontificio. La legittimità dell’elezione imperiale, infatti, continua a rappresentare una fonte di controversie tra
i sovrani germanici e la Chiesa, finché nel 1356 Carlo IV
di Lussemburgo promulga la Bolla d’oro, un documento
che elimina il vincolo dell’incoronazione da parte del
papa e assegna lo statuto di elettori a sette autorità (tre
ecclesiastiche e quattro laiche): gli arcivescovi di Magonza, Treviri e Colonia, il re di Boemia, il conte del Palatinato, il duca di Sassonia e il margravio di Brandeburgo.
L’impero si configura sempre più come una federazione di Stati (contee, ducati, regni) nella quale i principi esercitano il potere effettivo nel proprio territorio, pur
riconoscendo l’imperatore come capo onorario. Carlo IV,
inoltre, sposta il centro politico e culturale dell’impero
dalle regioni renane all’area più orientale della natia
Praga, capitale del regno di Boemia.
I decenni seguenti vedranno gli stati germanici impe-
gnati in continue e sanguinose guerre, condotte soprattutto contro le popolazioni slave e baltiche nell’Europa
orientale, mentre a sud si va costituendo la confederazione dei cantoni svizzeri. Seppur formalmente elettiva, di fatto la carica imperiale si tramanda per via ereditaria all’interno della casa di Lussemburgo: da Carlo IV
(1346-1378) ai due figli Venceslao IV (1378-1410) e Sigismondo (1411-1437), che un anno prima di morire designa come suo erede il genero Alberto d’Asburgo, il cui
nome familiare è destinato a inaugurare una lunga dinastia di sovrani nell’Europa centro-orientale.
Milano
Per calarci nuovamente nelle vicende italiane, torniamo
alle vite dei nostri due grandi letterati e al loro secondo
incontro, pochi mesi dopo quello di Firenze. Questa volta è Boccaccio a fare visita a Petrarca, nel marzo del 1351
a Padova, l’importante sede universitaria che dal 1318 è
governata dalla signoria della famiglia da Carrara. La
loro amicizia si fa più stretta e continuerà fino alla morte
di Petrarca, anche quando quest’ultimo, nel maggio del
1353, decide di lasciare la Provenza e si trasferisce nella
Milano guidata dalla famiglia dei Visconti, signoria antagonista della repubblica di Firenze.
In quello stesso 1353 Milano sottomette la repubblica
di Genova dando ai suoi domini, già estesi nella Val Padana e in porzioni di Emilia e Toscana, anche uno sbocco
sul mare. La politica di espansione iniziata con Matteo
Visconti, nominato vicario imperiale da Enrico VII nel
1311, prosegue infatti con i suoi successori fino a
Giovanni Visconti, che governa dal 1349 al 1354. Dopo
la sua morte i domini vengono spartiti, nel 1355, tra i nipoti Bernabò e Galeazzo II. Proprio per quest’ultimo
Petrarca svolge missioni diplomatiche in varie città, anche a Parigi e a Praga presso l’imperatore Carlo IV, che
si dichiara suo ammiratore. In seguito Galeazzo riesce a
ottenere la riconferma del vicariato imperiale e, dal re di
Francia Giovanni II, la mano della figlia Isabella di
Valois per il proprio primogenito Gian Galeazzo (convincendo il sovrano impoverito dalla guerra dei Cento
Anni con una ingente somma di denaro); in questo modo
Milano si guadagna i favori sia dell’impero sia della monarchia francese e Galeazzo tenta di dare al dominio visconteo una più efficiente organizzazione centrale.
Dopo la morte del padre (1378) e dello zio Bernabò
(1385), Gian Galeazzo Visconti |6| estende ancora i
confini dello Stato: strappa Verona e Vicenza alla signoria degli Scaligeri (1387) e Padova ai Carraresi (1389),
suscitando la crescente preoccupazione di Firenze, che
intuisce di essere nelle sue mire di conquista. Nel 1395
l’imperatore Venceslao IV riconosce ai possedimenti
|5| Jean-Auguste-Dominique Ingres, Giovanna
d’Arco all’incoronazione di Carlo VII, 1854. Reims,
Cattedrale di Notre-Dame de Reims.
6 | sezione 3 | Petrarca e la civiltà dell’Umanesimo |
viscontei la dignità di ducato. La signoria si
trasforma così in principato e il duca di
Milano si impossessa in breve anche di
Lucca, Pistoia, Pisa, Perugia, Bologna,
ma quando sembra sul punto di muovere l’assalto decisivo contro Firenze, Gian Galeazzo muore, forse di
peste o malaria, nel 1402. Svanito il
suo potere, il ducato, privo di coesione amministrativa, si sgretola: ai
Visconti rimane solo un nucleo di
domini lombardi, mentre il resto
viene spartito tra Firenze, Venezia e
il papato. Già dal 1412, tuttavia, il secondogenito Filippo Maria Visconti
si lancerà nell’impresa di ricostituire il
ducato milanese del padre.
Venezia
Prima di ritirarsi ad Arquà, sui colli Euganei, Petrarca
trascorre a Venezia gli anni tra il 1362 e il 1370. Ormai
letterato famoso in tutta Europa, è ospite della repubblica nel palazzo Morlin e anche qui rincontra Boccaccio nel 1363.
Venezia non ha subito la trasformazione in signoria
e con la Serrata del Maggior Consiglio |7| del 1297 ha
riformato le sue istituzioni repubblicane in senso oligarchico. A prendere le decisioni nel suo massimo organo di governo sono le famiglie storicamente più influenti della sua aristocrazia di origine mercantile. Molto più che ai domini e ai mercati sulla terraferma, gli
interessi veneziani sono rivolti ai traffici nel Mediterraneo, in particolare con il Medio Oriente e il mondo
musulmano da cui s’importano seta e spezie. Per questo
fra Duecento e Trecento il principale antagonista di Ve-
|6| Gian Galeazzo Visconti.
nezia è Genova e la loro lotta per la
supremazia commerciale marittima sfocia in diversi scontri navali.
Nel 1378 la flotta genovese penetra nella laguna veneziana e assedia la cittadina di Chioggia; la
guerra coinvolge una rete di alleanze e si protrae fino al 1381, concludendosi con la Pace di Torino:
Venezia cede Treviso e alcuni territori in Dalmazia, ma mantiene la sua
indipendenza e il monopolio sul mare
Adriatico.
È a questo punto che Venezia, per garantirsi maggiore protezione, si convince di dover
ampliare i suoi domini sulla terraferma. Riacquista Treviso nel 1388 e soprattutto approfitta della crisi del ducato milanese dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti
nel 1402; s’impadronisce di Verona, poi di Vicenza e
Padova scacciando la signoria dei da Carrara, conquista una parte del Friuli e nel 1420 anche Udine, dando
vita a un esteso Stato regionale.
Firenze
La crisi economica, le carestie e le epidemie che affliggono l’Italia trecentesca, oltre a far fallire alcune imprese fiorentine come le case bancarie dei Bardi e dei Peruzzi, acuiscono i già accesi conflitti sociali cittadini,
che culminano nel tumulto dei Ciompi del 1378: i lavoratori salariati delle Arti, in prevalenza cardatori della lana, scendono in rivolta e prendono il controllo della
città, nominando gonfaloniere di giustizia Michele di Lando, ma il loro tentativo
di ottenere diritti e rappresentanza politica costituendo tre nuove Arti del popolo
minuto (chiamate Arti del Popolo di Dio)
viene presto represso nel sangue.
Dal 1382 Firenze viene governata da
un’oligarchia di imprenditori, mercanti
e banchieri, di cui fanno parte le potenti
famiglie degli Albizzi e dei Medici. Non si
placano le tensioni sociali, ma Firenze riesce comunque a espandersi annettendo
Arezzo nel 1384, Pistoia nel 1401 e Pisa
nel 1406.
|7| Joseph Heintz der Jüngere, Sala Maggior Consiglio,
1668. Palazzo ducale, Venezia.
| Introduzione | Il quadro storico dell’Umanesimo nel Quattrocento | 7
Il quadro storico dell’Umanesimo
nel Quattrocento
A
lla crisi del sistema feudale nel corso del Trecento segue un secolo circa di stagnazione economica, fra 1380 e 1480. È un lungo periodo di lotte
egemoniche e rivolte sociali su cui si fonda e costruisce il
nuovo assetto degli stati europei, superato il quale l’Europa vivrà, soprattutto nel corso del Cinquecento, una nuova fase di espansione commerciale e miglioramento delle
condizioni di vita, seppure in un continente dove le guerre non conoscono interruzione.
La formazione dei nuovi Stati europei
Per la Francia, il rilancio della produzione agricola, del
mercato interno e degli scambi internazionali comincia
al termine della guerra dei Cento Anni. Re Luigi XI, salito
al trono nel 1461, dopo aspre contese con i potentati nobiliari e in particolare con Carlo il Temerario, duca di Borgogna, riesce ad annettere al dominio della monarchia
gran parte del territorio francese, compresi tutti i possedimenti della casa d’Angiò. Alla sua morte, nel 1483, lascia
il regno nelle mani del figlio Carlo VIII, che come vedremo > p. 249 | sarà protagonista di una discesa in territorio
italiano nel 1494 |8|.
Nell’Inghilterra sconfitta, invece, si scatenano ricorrenti tumulti, soprattutto in Galles e in Scozia, e dal 1455
ha inizio una lotta dinastica tra due casati del ramo dei
Plantageneti che nel loro emblema araldico hanno una
rosa: bianca quella degli York, rossa quella dei Lancaster.
È la cosiddetta guerra delle due Rose, che si conclude
dopo trent’anni di scontri sanguinosi con l’ascesa al trono
nel 1485 di Enrico VII, discendente di una terza casata,
quella dei Tudor.
Entro la fine del Quattrocento, anche grazie all’appoggio dei ceti borghesi e produttivi, in Francia e in Inghilterra si consolida così il regime monarchico. E una svolta
nella stessa direzione avviene in Spagna, grazie al matrimonio tra Ferdinando II il Cattolico, re di Aragona, e
Isabella, regina di Castiglia, che nel 1479 unificano i due
regni sotto la loro monarchia e nel 1492, dopo un lungo
assedio alla capitale, conquistano Granada, ultimo regno
musulmano nella penisola iberica.
Nel vastissimo territorio dell’impero, organizzato invece come una federazione di Stati, i principi che si riuniscono nella dieta germanica (Reichstag) detengono ampie
autonomie e tendono a limitare la libertà d’azione dell’imperatore, che non dispone di un apparato amministrativo
e finanziario centrale come quello dei sovrani francesi,
inglesi e spagnoli.
Sempre più importante, a partire dalla fine del Trecento, è poi il piccolo Stato del Portogallo. Governato dalla
dinastia anglo-portoghese degli Aviz, questa striscia di
territorio apparentemente ai margini del continente è in
|8| Francesco Granacci, Carlo VIII fa il suo ingresso trionfale a Firenze il
17 novembre 1494. Firenze, Museo delle Cappelle Medicee.
realtà già fra Trecento e Quattrocento al centro di traffici
marittimi tra il Nord e il Sud Europa, oltre che un fondamentale alleato per gli inglesi nelle battaglie sui mari durante la Guerra dei Cento Anni; ma soprattutto, grazie alla
sua vocazione navale e mercantile, è un centro di sviluppo tecnologico di nuove imbarcazioni, che partono all’esplorazione dell’Africa e, dopo il 1492, si ritroverà con i
porti e le navi nella posizione ideale per salpare verso le
Americhe.
Ai confini orientali, invece, le truppe turche ottomane
del sultano Maometto II conquistano Costantinopoli
dopo due mesi d’assedio nel 1453. L’evento segna la fine
del millenario impero bizantino e rivela la forza dell’impero ottomano, nel secolo successivo destinato a espandersi anche in Grecia, nei Balcani e in Ungheria, oltre che
nel Medio Oriente.
Le guerre in Italia fino alla Pace di Lodi (1454)
Nel 1412, a soli venti anni, Filippo Maria Visconti dà inzio alla rifondazione del ducato paterno. Riconquista i
domini lombardi, occupa Genova nel 1421 e le valli di
Domodossola e Bellinzona l’anno successivo, si volge alle
città romagnole.
Tra Milano, Firenze e Venezia, i tre Stati maggiormente in grado di espandersi fino a costituire entità macroregionali, si disputa allora, per tutta la prima metà del Quattrocento, una lotta egemonica che vede coalizzarsi Firenze e Venezia contro il Visconti, per impedire che estenda i
propri domini verso la regione veneta e la Toscana; tuttavia, quando è Venezia a minacciare gli equilibri acquisendo ampi territori nel suo retroterra, durante il dogato di
Francesco Foscari, Firenze si stacca dall’alleanza e passa
dalla parte di Milano, che dal 1450 è nelle mani del condottiero Francesco Sforza (Filippo Maria Visconti muore nel 1447 senza lasciare eredi).
La crisi della dinastia angioina, intanto, consente ad
Alfonso d’Aragona, già sovrano della Sicilia e della
Sardegna, di impossessarsi anche del regno di Napoli nel
8 | sezione 3 | Petrarca e la civiltà dell’Umanesimo |
del poema Inamoramento de Orlando, noto anche come
Orlando innamorato, che sarà tra i maggiori letterati del
Quattrocento insieme, specialmente, al poeta Angelo
Poliziano (1454-1494) > p. 174 |, invece legato alla corte
di Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico > p. 225 | |10|.
regno d’ungheria
confederazione
svizzera
ducato
di savoia
Milano
Torino
ducato
di milano
rep.
di genova
princ. di massa
rep. di lucca
duc. di piombino
Corsica
(Genova)
rep. di venezia
Mantova
Venezia
marc.
di mantova
impero ottomano
ducato
di ferrara
rep. Firenze
di firenze
Urbino
rep.
di siena
Zara
Ancona
stato
della chiesa
Roma
Sardegna
(Regno di Aragona)
Spalato
mar
Adriatico
regno
di napoli
rep.
di ragusa
Manfredonia
Bari
Napoli
Salerno
mar
Tirreno
Cagliari
Cosenza
Palermo
Sicilia
(Regno di Aragona)
mar
Ionio
Messina
Reggio
Catania
mar
Mediterraneo
|9| La suddivisione dell’Italia dopo la Pace di Lodi.
|10| Niccolò di Forzore Spinelli, medaglia con
l’effigie di Lorenzo il Magnifico, 1490 circa.
1442, unificando sotto la sua corona un vasto
regno esteso a tutta l’Italia meridionale.
I decenni di battaglie, trattati di pace e riprese
dei conflitti si concludono infine con la Pace di Lodi
del 1454 |9|: i confini tra Milano e Venezia sono fissati al
fiume Adda e per mediazione di papa Niccolò V, preoccupato della minaccia ottomana dopo la caduta di Costantinopoli, si stipula fra le tre potenze la Santissima
Lega, un’alleanza aperta a tutti gli Stati «intra terminos
italicos» (“entro i confini italiani”).
L’Italia della seconda metà del Quattrocento
I quarant’anni seguenti la Pace di Lodi, sino alla crisi di
fine secolo > Introduzione alla sezione 4, p. 244 |, sono di relativa pace e di rinnovata vitalità culturale e artistica.
Oltre al regno di Napoli, allo Stato della Chiesa e agli Stati regionali del ducato di Milano, della repubblica di Venezia e della repubblica di Firenze, la mappa politica
dell’Italia comprende vari Stati minori, alcuni particolarmente attivi e importanti nel panorama culturale come
il ducato di Ferrara amministrato dalla signoria degli
Estensi e il marchesato di Mantova guidato dai Gonzaga. Proprio nell’ambiente della corte di Ferrara opera
Matteo Maria Boiardo (1441-1494) > p. 155 |, l’autore
La signoria dei Medici a Firenze
Il passaggio dalla repubblica oligarchica alla signoria avviene in realtà senza evidenti mutamenti istituzionali,
almeno sotto il profilo formale. Nel 1434 il malcontento
popolare suscitato dagli scarsi risultati, a fronte di gravi
perdite, della guerra antiviscontea permette a Cosimo de’
Medici detto il Vecchio, oppositore dell’oligarchia dominante, di imporsi come autorità in grado di risollevare
le sorti dello Stato. Pur senza scardinare il regime repubblicano, Cosimo il Vecchio accentra su di sé il potere, nomina funzionari di fiducia e governa per trent’anni gli
affari economici e politici di Firenze, riuscendo effettivamente a inaugurare un’epoca di prosperità. Il suo mecenatismo, inoltre, contribuisce ad abbellire Firenze di
molte opere artistiche. Alla sua morte, nel 1464, gli succede il figlio Piero de’ Medici detto il Gottoso, che però
muore nel 1469 lasciando l’eredità al primogenito Lorenzo, che ha solo vent’anni ma dimostra presto di avere una notevole abilità politica. Salvatosi da una congiura
della famiglia rivale dei Pazzi nel 1478,
che costa la vita al fratello Giuliano,
Lorenzo conduce una politica diplomatica che mantiene gli equilibri fra
gli Stati e garantisce a Firenze altri
anni di fervore culturale oltre che economico. Egli stesso letterato di formazione umanista, si circonda, come vedremo, di una corte di umanisti, poeti (fra cui
Poliziano > p. 174 | e Luigi Pulci > p. 228 |), artisti e filosofi (Marsilio Ficino > p. 213 |).
L’Umanesimo di Petrarca
P
etrarca può essere considerato alle origini di quella
corrente culturale che prende il nome di Umanesimo e che raggiungerà il suo acme nel corso del
Quattrocento, creando le condizioni del Rinascimento
artistico e letterario in Italia e non solo.
L’Umanesimo si caratterizza infatti per una sete di riscoperta dei testi classici, specie della latinità (le humanae litterae), fondata innanzitutto su uno studio volto a
stabilire l’autenticità e la correttezza dei testi originali, e
che porta a una ripresa e attualizzazione, spesso in rapporto dialettico coi princìpi del cristianesimo, di valori antichi e al contempo nuovi, orientati verso la conoscenza della realtà e dell’uomo visti in quanto tali, nella
loro immanenza, più che nei loro risvolti e significati
(simbolici, allegorici o figurali) trascendenti. In quest’ot-
| Introduzione | Scienza e tecnologia | 9
Scienza
e tecnologia
Le nuove invenzioni per la stampa e l’editoria
Nel secolo dell’Umanesimo, un’innovazione tecnica rappresentò nel modo più evidente l’inizio di una nuova era:
la stampa a caratteri mobili, un sistema messo a punto
da Johannes Gutenberg (1398-1468). L’orefice di Magonza aveva iniziato a studiare la costruzione di punzoni
per caratteri verso il 1440 e nel 1453-1455 stampò la
Bibbia latina. Iniziava «l’infanzia della tipografia, prima
typographiae incunabula», come fu scritto in un trattato
sull’arte tipografica due secoli dopo. E incunabolo viene
chiamato ogni prodotto editoriale stampato a caratteri mobili nella seconda metà del Quattrocento. Di quel
mezzo secolo si conoscono circa 6500 opere stampate
in un migliaio di località, per un totale di 35.000 edizioni:
le preziosissime “quattrocentine”.
Il torchio per la stampa messo a punto da Gutenberg e la procedura per la preparazione
e la fusione dei caratteri rimasero sostanzialmente identici per tre secoli. Un miglioramento si trova in un progetto di torchio di
Leonardo da Vinci (1452-1519), ma come
tante idee di quel genio non ebbe allora realizzazione pratica. Oltre a inventare il modo
per la fusione e il montaggio delle singole
lettere che dovevano formare la riga e la pagina, Gutenberg realizzò anche un nuovo tipo
d’inchiostro: per aderire ai caratteri metallici,
infatti, questo doveva avere caratteristiche
chimiche diverse da quelle utili nella stampa
xilografica (cioè su matrici di legno).
Verso la fine del Quattrocento, la stampa a
caratteri mobili era diffusa in tutto l’Occidente ed erano attivi grandi stampatori e creatori
di caratteri, come Aldo Manuzio (1449-1515, attivo a
Venezia dal 1490), che viene considerato il primo editore
in senso moderno.
Le esplorazioni oceaniche
Autore anonimo Ritratto
di Johannes Gutenberg,
XVII secolo. Keio
University Library.
Il torchio di Gutenberg
in un’antica stampa.
Un altro settore in pieno sviluppo nel XV secolo fu l’esplorazione navale oceanica, supportata da alcune innovazioni tecniche. Protagonisti di questa fase furono
i portoghesi, sotto l’impulso di Enrico il Navigatore
(1394-1460), figlio del re Giovanni I. I navigatori portoghesi in un primo tempo esplorarono la costa africana
fino a Capo Verde. Poi, quando l’espansione ottomana
rese difficili alcune rotte nel Mediterraneo orientale
verso le Indie, tentarono nuove
vie per circumnavigare l’Africa.
L’impresa riuscì infine a Vasco
da Gama, che nel 1498 riuscì
a oltrepassare il Capo di Buona
Speranza e a raggiungere le coste indiane.
Per la navigazione oceanica i
Portoghesi poterono disporre
di nuovi modelli di nave, introdotti a metà del XV secolo: una
(la caracca) di origine mediterranea, forse genovese; l’altra
(la caravella) che ne rappresenta un perfezionamento e che
fu messa in mare a Lisbona.
La caracca era un veliero con
tre o quattro alberi, dallo scafo
ampio, la poppa rialzata e piana
(non rotondeggiante). La cara-
vella era più piccola di dimensioni, più leggera e veloce,
dotata di due o tre alberi con un sistema di velatura più
efficiente. Fu quest’ultima la protagonista delle lunghe
esplorazioni e traversate oceaniche tra XV e XVI secolo:
Cristoforo Colombo nel 1492 raggiunse il continente
americano con due caravelle (la Pinta e la Nina) e una
caracca (la Santa Maria).
L’archibugio
Anche la tecnologia militare fece progressi. Alla metà del
Quattrocento va fatta risalire l’invenzione di una nuova
arma da fuoco: l’archibugio. I primi reparti di archibugieri
furono utilizzati dal re d’Ungheria Mattia Corvino, impegnato a contenere l’assalto degli Ottomani di Maometto
II dopo la caduta di Costantinopoli. Era un’arma ancora
rudimentale (la gittata non superava i 50 metri), ma fu
oggetto di rapidi progressi e fu destinata a largo uso in
tutti i conflitti del secolo successivo, a cominciare dalle
guerre d’Italia.
Nelle attività produttive
Altre innovazioni ebbero ricadute significative sulla vita
quotidiana. Ne ricordiamo due. Un nuovo modello di filatoio ad aletta, che permetteva la filatura e il simultaneo
avvolgimento del filo, è documentato intorno al 1480 e,
come moltissime altre invenzioni, fu oggetto di migliorie
in un successivo disegno di Leonardo. Intorno al 1430
gli Olandesi misero a punto il wipmolen, che adibirono
al drenaggio dei terreni: era un mulino a vento di piccole
dimensioni montato su un palo cavo all’interno del quale
passava l’albero di trasmissione che collegava le pale al
macchinario posto nella parte inferiore.
Umanisti scienziati
Sono molti gli esempi della fitta trama di contatti fra
umanisti, che erano personalità poliedriche e dedite a
studi approfonditi di scienze e tecniche. Da questo crogiolo intellettuale escono, per esempio, gli studi sulla
prospettiva e l’architettura di Leon Battista Alberti
> p. 204 | intorno alla metà del Quattrocento. Fra i
personaggi emblematici dell’epoca ricordiamo Nicola
Cusano (1401-1464), filosofo, umanista, matematico,
astronomo e al tempo stesso uomo politico e cardinale
(fu principe-vescovo di Bressanone). Cusano entrò in
contatto con molti studiosi dell’epoca; fra l’altro, mise in
dubbio l’autenticità della “Donazione di Costantino”, che
in seguito Lorenzo Valla > p. 13 | dimostrò falsa. Si occupò di quadratura del cerchio e di riforma del calendario, disegnò la prima carta
dell’Europa centro-orientale.
I suoi studi di fisica lo portarono, nel 1430 (nel quarto
libro dei Dialoghi dell’idiota,
dal titolo “Gli esperimenti
di statica”), a progettare un
modello di igrometro, per
misurare l’umidità dell’aria:
si basava sulla variazione
di peso di una balla di lana
al variare dell’umidità. Anche questo strumento fu
migliorato dal “solito” Leonardo, che nel 1500 costruì
il suo modello di igrometro
meccanico.
10 | sezione 3 | Petrarca e la civiltà dell’Umanesimo |
ne di Petrarca su se stesso sia stata oggettitica Petrarca può essere considerato un antivata nell’esame di coscienza in forma di
cipatore, se non il vero e proprio iniziatore
dialogo tra Francesco e Agostino che è il
dell’Umanesimo.
Secretum > p. 118 |.
Fin dai suoi anni giovanili, infatti, egli
Del resto Petrarca ebbe chiara coscienmostra una spiccata tendenza ad approfondiza del suo posto nella terra di mezzo della
re le esperienze intellettuali e poetiche delle
storia della civiltà italiana, come si intuiopere latine, non per inserirle e giustapporle
sce da un passo dei suoi Rerum memorandaentro il tessuto ideologico e culturale domirum libri, nel quale, dopo avere aspramennante nel suo tempo, magari rileggendole
te giudicato il proprio tempo, colpevole di
come anticipazioni “figurali” della storia saavere smarrito i monumenti della cultura
cra, ma piuttosto per riallacciare i legami
e della saggezza antica, scrive: «Io, posto
spezzati con la civiltà romana e per stabilicome sul confine di due popoli, e guardanre con essa un rapporto di continuità. «Il
do insieme a quello che mi sta dietro e a
nostro animo», scrive il suo amato Seneca
quello che mi verrà innanzi, questo giudinelle Lettere a Lucilio, «vorrei che fosse così:
zio non ereditato dai padri, volli trasmesso
ricco di capacità, di precetti, di esempi di epoai posteri».
che diverse, ma fusi armonicamente insieIl legame di Petrarca con la classicità
me». Petrarca sembra quasi ignorare, diversaspiega anche l’importanza nella sua opemente da Dante, il grande spartiacque morara della lingua latina, che egli cerca di
le e ideologico costituito dalla rivelazione
riportare all’antica eleganza e chiarezza
cristiana, convinto com’è che la grandezza e
senza però imitarla pedissequamente –
universalità dell’anima umana possa accocome avrebbero fatto, nel Quattrocento,
munare antichi e moderni. In altre parole, la
molti puristi emulatori di Cicerone o di
sua convinzione che la coscienza morale sia
Virgilio –, per farne lo strumento di una
alla base di tutta l’umanità lo porta a ricercare
nuova cultura. Il suo latino rimane sì peruna sintesi fra il mondo classico e quello
meato di elementi medievali ma, come
cristiano, nella quale il primo non sia sempli- |11| Vincenzo Foppa,
hanno osservato gli studiosi, si rivela più
cemente usato in funzione del secondo, cioè, Sant’Agostino, 1465-1470.
Milano, Pinacoteca del Castello
ricco, vario e flessibile di quello dantesco.
in sostanza, della rivelazione cristiana. Le sue Sforzesco.
A Dante, peraltro, Petrarca si rapporta con
accanite letture e la sua attività di investigalo sguardo di chi appartiene a un mondo
tore, raccoglitore e glossatore di testi classici,
infatti, non hanno un carattere meramente erudito e anti- diverso e nuovo, giacché il sommo poeta apparteneva alla
quario, ma vanno a innervare profondamente la sua vita generazione a lui precedente, quella di suo padre Ser Peintellettuale e la sua attività letteraria, soprattutto le Fa- tacco, che di Dante fu amico e coetaneo.
miliares > p. 130 | e, in misura più mediata, il Canzoniere
> p. 31 |; le prime epistole di Petrarca sono indirizzate proprio agli autori latini, in particolare ai suoi prediletti Cicerone, Virgilio, Seneca > Focus, p. 148 |.
on il termine Umanesimo si usa indicare il moviFra i poeti, oltre a Virgilio, ama specialmente Orazio,
mento intellettuale che, dalla seconda metà del
Ovidio e Properzio; fra gli storici Tito Livio e Valerio
Trecento e lungo tutto il Quattrocento, propone
Massimo, oltre a Quintiliano, maestro dell’arte retorica. i valori dell’antichità classica come modello più alto della
Anche nelle sue opere più palesemente classicistiche, l’A- formazione dell’uomo. Se il Medioevo offre una visione
frica e il De viris illustribus, si attenua progressivamente religiosa della realtà, l’Umanesimo contrappone un monl’intento celebrativo delle grandezza di Roma e si fa strada do laico e antropocentrico in cui l’ideale primario è la
in lui una crescente propensione alla penetrazione psi- dignità dell’uomo che si raggiunge attraverso la valorizcologica e morale dei personaggi che resta la cifra fonda- zazione delle sue virtù intellettive. Grazie all’esercizio di
mentale della sua poetica e, in definitiva, del suo Umane- queste virtù l’uomo può controllare se stesso e dominare
simo cristiano. Da questo punto di vista, uno dei princi- il mondo che lo circonda. Per esprimere le più nobili quapali punti di riferimento è Agostino (354-430) |11|, uomo lità etiche, egli deve dedicarsi agli studia humanitatis
e intellettuale di formazione ellenistico-romana e insie- (espressione ciceroniana che significa “studi relativi
me biblico-cristiana, vissuto a cavallo fra due epoche e fra all’uomo”), cioè alla conoscenza delle opere greche e latidue mondi, che affrontò il tormento della conversione ne in quanto espressione di una civiltà insuperata. La letattraverso una meditazione e una autoanalisi interiore tura di queste opere non viene piegata a interpretazioni
che non aveva eguali in tutta la letteratura precedente. moralistiche e allegoriche, come nell’epoca precedente,
Non è un caso se la più appassionata e sincera meditazio- bensì cerca di coglierne il significato originario. In funzio-
I caratteri dell’Umanesimo
C
| Introduzione | I caratteri dell’Umanesimo | 11
ne di questo obiettivo, il testo deve innanzitutto essere
collocato nella giusta prospettiva storico-culturale. Si
teorizzano così i presupposti metodologici di una nuova
scienza tutta umanistica: la filologia, il cui maggiore
esponente nel Quattrocento può essere considerato Lorenzo Valla (1407-1457) > p. 13 |.
L’Umanesimo non è un fenomeno di pedissequa imitazione dei classici, che sono visti piuttosto come modelli di
un’umanità autentica. Imitarli significa calarli nel presente facendo rinascere un sapere antico che, assumendo forma concreta, è ritenuto indispensabile alla formazione dell’uomo. La teoria dell’imitatio trova massima applicazione nell’opera letteraria e filologica del finissimo
umanista Angelo Ambrogini detto il Poliziano (14541494) > p. 174 |, che sostiene la necessità di una docta varietas, cioè l’inserimento in opere moderne di elementi
desunti dai classici e ricomposti in modi personali, quasi
a formare un nuovo mosaico con vecchi tasselli. Con Poliziano entra in polemica l’umanista Paolo Cortese
(1465-1510), il quale propone invece un’imitazione più
rigida che si ispiri a un solo modello, Cicerone per la
prosa e Virgilio per la poesia.
L’educazione dell’uomo e la libera ricerca del sapere
sono temi centrali del pensiero umanistico; di qui il tentativo di integrare i precetti della fede cristiana con i
principi del pensiero classico che rivalutavano la libertà
dell’uomo nell’ambito del sapere e della conoscenza. L’umanista non vuole negare il sentimento religioso cristiano, anzi lo abbraccia con fervore, ma rivendica al tempo
stesso l’autonomia della realtà: l’uomo si realizza anche nell’esistenza terrena e nella vita sociale che riesce a forgiare grazie alla sua intelligenza e operosità e
deve mirare a un ideale di misura razionale degli impulsi che garantisca un giusto equilibrio interiore. Da questo punto di vista, i testi antichi, che valorizzavano il
mondo terreno e la capacità dell’uomo di essere l’artefice del proprio destino (homo faber fortunae suae), sono
modelli da cui non si deve prescindere. Nella seconda
metà del Quattrocento è la filosofia di Platone che sembra essere la più adatta a coniugare classicità e religiosità
cristiana: ne scaturisce un cristianesimo profondamente
imbevuto di platonismo, soprattutto grazie al pensiero
di Marsilio Ficino (1433-1499) > p. 213 | |12|, una delle
personalità più influenti del suo tempo.
Nel corso del Quattrocento l’Umanesimo si diffonde
dall’Italia in tutta Europa. Uno dei più insigni esponenti dell’Umanesimo europeo è Erasmo da Rotterdam
(1466-1536) > p. 217 |. Debitore nei confronti della lezione di Lorenzo Valla, Erasmo caldeggia lo studio dei classici perché ritiene che tali opere debbano costituire la
base dell’educazione dell’uomo, senza la quale è impossibile una riforma della società nel suo insieme. Quella
proposta da Erasmo è una nuova visione umanisticoreligiosa: egli auspica da un lato la riscoperta del cristianesimo delle origini, dall’altro il recupero dei valori del
|12| Domenico Ghirlandaio, particolare dell’affresco Apparizione
dell’angelo a Zaccaria, con (da sinistra) Marsilio Ficino, Cristoforo Landino,
Angelo Poliziano, Demetrio Greco, 1486-1490. Firenze, Santa Maria
Novella, Cappella Tornabuoni.
mondo classico (a cominciare dal rispetto della dignità
dell’uomo e l’uso della ragione) che, a suo giudizio, non
solo non contrastano con la dottrina cattolica, ma possono addirittura sostenerla.
La lingua dell’Umanesimo italiano ed europeo nella
prima metà del Quattrocento è il latino. Il latino è la lingua della cultura per eccellenza, ma lentamente comincia a essere studiato anche il greco, che nel Medioevo era
stato trascurato. Studiare il greco, infatti, significa poter
leggere in lingua originale i testi di Omero, Luciano,
Teocrito, Platone e Aristotele, ovvero fare tesoro di un
patrimonio d’inestimabile valore che giunge dall’antichità. Il desiderio di comprendere a fondo testi sino a ora
letti soltanto in traduzione latina spinge alcuni umanisti a imparare anche l’ebraico, utile a cogliere il senso
più autentico dei testi sacri.
Nella seconda metà del secolo cresce però anche la
produzione di opere in volgare che affrontano temi propri dei dibattiti umanistici. Il Quattrocento diviene
così il secolo del bilinguismo. Ciò avviene soprattutto
grazie all’impegno di Leon Battista Alberti (1404-1472)
> p. 204 |, che, oltre a scrivere trattati in volgare, nel 1441
si fa promotore a Firenze di una gara di poesia in volgare,
il Certame coronario, e di Lorenzo de’ Medici (1449-1492)
> p. 225 | |13|, che fa allestire la silloge poetica a più voci
nota con il nome di Raccolta aragonese.
I centri del pensiero umanistico
U
no dei fenomeni più caratteristici della civiltà
quattrocentesca è il mecenatismo: il signore si
circonda di intellettuali e artisti che con le loro
opere offrono diletto e danno lustro alla corte. Così le
signorie diventano veri e propri centri culturali in cui
si praticano le arti, la poesia, la filosofia, le scienze. La
letteratura gode di grande considerazione in quanto è
ritenuta alla base della formazione dell’individuo, senza
la quale non può raggiungere l’elevatezza spirituale ne-
12 | sezione 3 | Petrarca e la civiltà dell’Umanesimo |
temi, anch’essi di origine classica, quali la fugacità del
tempo e l’instabilità della fortuna (De varietate fortuna,
De infelicitate principum, De miseria umane conditionis).
Tra Roma e Firenze opera uno dei più grandi interpreti del pensiero umanistico, Leon Battista Alberti, autore degli importanti Libri della famiglia. Alberti si colloca
Firenze: dall’Umanesimo civile alla corte
in una fase di passaggio della cultura del primo Umanedi Lorenzo il Magnifico
simo – in cui predomina lo studio e l’imitazione dei clasIl primo Umanesimo fiorentino tende a conciliare l’atti- sici – verso un’età più matura, coincidente con la fiorituvità filologica di studio dei manoscritti classici con un ra del primo Rinascimento letterario e artistico. Anche
attivo impegno civile. I maggiori rappresentanti di que- le sue scelte linguistiche testimoniano questa tendenza:
sto “Umanesimo civile” sono tre intellettuali impegna- Alberti inizia a scrivere in latino, come tutti gli umaniti in politica in qualità di cancellieri: Coluccio Salutati sti, ma presto sviluppa una produzione in volgare, lin(1331-1406) e i suoi discepoli Leonardo Bruni (1370- gua che difende strenuamente e che acquisterà dignità
1444) e Poggio Bracciolini (1380-1459) > p. 199 |.
sempre maggiore anche nelle dotte disquisizioni filosoSalutati, che ha fra l’altro il merito di scoprire le Let- fiche. Con Alberti ha così inizio la prima stagione deltere familiari di Cicerone, è un grande sostenitore l’“Umanesimo volgare”.
dell’impegno dell’intellettuale nell’azione pubblica e
Con Lorenzo il Magnifico, mecenate eclettico e grandel primato della volontà sulla ragione; è quindi una de sostenitore di ogni forma culturale e artistica, la corte
figura fondamentale del passaggio dal nascente Umane- di Firenze raggiunge il suo massimo splendore. Durante
simo a quello maturo del pieno Quattrocento. L’aretino l’età laurenziana la città diviene il polo d’attrazione di tutBruni, traduttore di molti classici greci, è tra i più fervidi ti gli intellettuali italiani e non solo. Legati alla corte meammiratori e divulgatori degli antichi. Si dedica soprat- dicea sono umanisti quali Marsilio Ficino, Poliziano, i
tutto alla ricerca storiografica, condotta con grande cui studi filologici diventano presto inappuntabili moscrupolo critico, che sfocia nella pubblicazione delle delli di riferimento, e il suo amico Giovanni Pico della
monumentali Historiae fiorentini populi e dei Commentarii Mirandola (1463-1494), stimato da molti intellettuali
rerum suo tempore gestarum. Bracciolini, che diviene can- europei, a cominciare da Erasmo da Rotterdam e Tomcelliere della repubblica dopo essere stato al servizio del- maso Moro (1478-1535).
la curia pontificia, è scopritore di importanti opere
Pico della Mirandola mira a una sorta di ecumenismo
antiche, fra cui dieci orazioni di Cicerone, le Silvae di filosofico oltre che religioso, cioè crede in una filosofia
Stazio, il De rerum natura di Lucrezio, il De architectura di universale che nasca dall’accordo fra le varie fedi e fiVitruvio. Egli polemizza soprattutto contro l’ozio con- losofie, in quanto tutte accomunate dalla ricerca di una
templativo dei religiosi (nell’opera Contro hypocritas) in “sapienza originaria”, come si legge nelle sue Conclusioquanto considera il lavoro espressione della virtù e della nes philosophicae, cabalisticae et teologicae (“Conclusioni fivera nobiltà dell’uomo (De nobilitate). La sua riflessione losofiche, cabalistiche e filosofiche”). Un’altra sua opera
assume toni sempre più malinconici, abbracciando degna di nota è l’Oratio de hominis dignitatae (“Discorso
sulla dignità dell’uomo”) divenuta quasi
un “manifesto” dell’Umanesimo: l’uomo,
posto al centro dell’universo, non ha
una natura determinata a priori ma, avendo ricevuto da Dio il dono del libero arbitrio, può agire in base alla sua volontà e
così “plasmare” la propria esistenza.
Presso la corte medicea opera anche il
poeta Luigi Pulci (1432-1484) > p. 228 |,
autore di uno dei poemi di maggiore successo del secolo, il Morgante. Pulci, tuttavia, occupa una posizione a sé, essendo
privo di una formazione rigorosamente
umanistica e pure distante dalle suggestioni neoplatoniche che, grazie al magistero di Marsilio Ficino, si vanno affermando nella cerchia laurenziana. Ereditando gli estrosi insegnamenti di uno dei
|13| Ottavio Vannini, Lorenzo il Magnifico fra gli artisti, XVII secolo. Firenze, Museo degli Argenti. più rappresentativi poeti giocosi del
cessaria alla vita di corte. I letterati costituiscono quindi un gruppo elitario, depositario dei valori alti della
civiltà. Questi uomini di lettere sono ammirati e ricercati, per cui spesso viaggiano di corte in corte attraversando vari centri culturali italiani ed europei.
| Introduzione | I centri del pensiero umanistico | 13
Quattrocento, il fiorentino Domenico di Giovanni detto il Burchiello (1404-1449) > p. 222 |, Pulci dà
voce a una letteratura divertita, di
tono popolaresco.
Ferrara
Tra il Quattrocento e il Cinquecento la corte di Ferrara, sotto il controllo della famiglia degli Estensi, è
uno dei principali centri di produzione letteraria e artistica grazie
soprattutto al mecenatismo del
duca Ercole I. A questa corte saranno legati Boiardo > p. 155 |,
Ariosto > p. 499 | e Tasso > p. 621 |.
Roma
opponendosi alla componente
ascetica e piuttosto ispirandosi
alla filosofia epicurea. Lo scritto
più celebre di Valla è l’opuscolo
De falso credita et ementia Constantini donatione (“La falsa donazione di
Costantino”, 1440): con un serrata
indagine storica e filologica, Valla
dimostra che il documento che legittimava il potere temporale della Chiesa in quanto lascito dell’imperatore Costantino è un falso
composto in età medievale.
Nell’Italia centrale opera un
poeta estraneo alle grandi dispute
filosofiche umanistiche, che sa
però offrire un modello lirico a
cui si ispireranno innumerevoli
poeti: Giusto de’ Conti (1379 circa-1449) > In digitale |, autore della
raccolta di liriche La bella mano
modellata sul Canzoniere di Petrarca. Giusto de’ Conti è il primo poeta del secolo a codificare un
modello di imitazione petrarchesca che godrà di enorme fortuna nel corso del Quattrocento e
soprattutto nel Cinquecento.
La Roma dei pontefici è un altro
centro importante della nuova cultura umanistica. A corte si impone
il tema della conciliazione tra i
principi teologici cristiani e i valori laici della classicità. La città
annovera numerosi intellettuali e
studiosi sia ecclesiastici sia laici: |14| Pinturicchio, Enea Silvio incoronato poeta
Enea Silvio Piccolomini (1405- dall’imperatore Federico III, 1502–1507. Siena, Libreria
Piccolomini presso la Cattedrale di Siena.
1464) |14|, asceso al soglio pontificio col nome di Pio II, che rende la
curia romana un centro culturale di rilievo, Flavio Napoli
Biondo (1392-1463) e Lorenzo Valla (1407-1457), uno Nel corso del Quattrocento Napoli, passata dal 1442 sotdei più autorevoli interpreti della cultura umanistica.
to il dominio aragonese, è ancora un importante centro
Biondo dedica la sua vita alla ricerca archeologica e culturale, benché abbia perduto parte dello splendore
storiografica. Il suo obiettivo è quello di restaurare l’an- che aveva raggiunto durante il regno angioino nel Tretico aspetto della città eterna. A lui si deve la pubblica- cento. Nella prima metà del secolo il più rappresentativo
zione di tre guide documentate alle rovine dell’antica intellettuale operante a Napoli è Antonio Beccadelli
Roma (un pionieristico studio di archeologia) e il primo (1394-1471) detto il Panormita, dalla città di nascita, Pasistematico studio storico sul Medioevo con i 32 libri lermo. Dopo la sua morte emerge un umanista di notevodelle Historiarum ab inclinatione Romanorum imperii deca- le livello, Giovanni Pontano (1429-1503), che dirige l’Acdes (“Le decadi storiche dal declino dell’impero roma- cademia fondata dal Panormita su incarico del re e che da
no”), scritto fra il 1448 e il 1458, in cui ricostruisce la lui prenderà il nome di “pontaniana”. Pontano è autore di
storia europea dalla caduta dell’Impero romano d’occi- trattati etico-politici, storici e astrologici, ma anche di tedente al Quattrocento.
sti letterari. All’interno dell’Accademia pontaniana si
Valla, poco più che ventenne, lascia Roma e soggior- forma uno dei maggiori poeti dell’Italia meridionale, Jana a Pavia, Milano, Genova e Firenze; dal 1435 è a Napo- copo Sannazaro (1456-1530) > p. 234 |. E sempre legato a
li, dove ricopre il ruolo di segretario presso la corte di Pontano e alla corte aragonese è uno dei più dotati narraAlfonso d’Aragona. Nel 1448 torna a Roma, dove di- tori del secolo, Masuccio Salernitano (1410-1475), autoventa segretario apostolico e insegnante di eloquenza. re di una raccolta di cinquanta novelle dal titolo Novellino.
Con Valla la filologia e gli studia humanitatis diventano
uno strumento critico indispensabile per la fondazione
della moderna storiografia. Il pensiero antico gli offre
In digitale
una fondamentale chiave di lettura dei valori acquisiti
Giusto de’ Conti.
della tradizione culturale e teologica cristiana. Valla si
La vita e le opere
impegna in ogni campo del sapere per indagare la realtà
La bella mano
in tutti i suoi aspetti a prescindere dai dogmi religiosi,
14 | sezione 3 | Petrarca e la civiltà dell’Umanesimo |
Le arti figurative
Nel campo delle arti figurative, per Rinascimento si intende la nuova concezione dell’arte che si afferma a
Firenze nei primi due decenni del Quattrocento e che, irradiandosi in altri centri della Penisola, raggiunge la sua
piena maturità nei primi decenni del Cinquecento. Il termine, che implica un’idea di progresso e di miglioramento, già nella coscienza dei contemporanei si configurava
come ritorno allo splendore dell’epoca romana classica
dopo la decadenza dei secoli successivi, proprio per questo definiti “medioevo”, cioè “età di mezzo”. In quest’ottica
l’arte rinascimentale si manifesta anche come riscoperta
dell’antico, delle forme e dei modi dell’arte e dell’architettura classiche.
Brunelleschi
Nel corso di questo processo gli artisti prendono coscienza del proprio valore sociale e intellettuale, ossia del loro
consapevole affrancamento dalle arti dette “meccaniche” a quelle tradizionalmente dette “liberali”. La prima
generazione di artisti del Rinascimento è rappresentata
soprattutto da Filippo Brunelleschi (1377-1446), Masaccio (1401-1428) e Donatello (1386 ca-1466), rispettivamente nei campi dell’architettura, della pittura e della
scultura, insieme ad altre personalità importanti fra cui
Jacopo della Quercia (1380 ca-1438) e Lorenzo Ghiberti
(1378-1455).
Brunelleschi è considerato il padre della vera, grande
“invenzione” del Rinascimento, la prospettiva. Grazie
ai suoi studi e, più tardi, alla sistematizzazione teorica
di Leon Battista Alberti > p. 204 | e di Piero della Francesca, la rappresentazione dello spazio tridimensionale
non si basa più sulle intuizioni soggettive del pittore,
ma diventa una scienza autonoma, fondata su regole
certe stabilite a priori. Dopo gli esordi come scultore,
Brunelleschi si reca nel 1402 a Roma, dove, vivamente
impressionato dagli edifici della classicità, concentra i
suoi interessi sull’architettura. A partire dai primi anni
Venti del secolo progetta la colossale cupola del Duomo di Firenze, elaborando una nuova tecnica che gli
consente di elevare l’intera cupola senza strutture di
sostegno e gettando così le basi dell’architettura rinascimentale. Egli, inoltre, formula le leggi della visione
prospettica tridimensionale e, quindi, della corretta e
proporzionata collocazione delle figure entro lo spazio che le contiene, disegnando due tavolette con vedute di edifici fiorentini (andate perdute ma descritte
dai contemporanei). Grazie a questa visione razionale
dello spazio, in cui ogni parte è armoniosamente proporzionata al tutto, nel suo lavoro di architetto si lascia
alla spalle il decorativismo tardogotico e realizza opere
di grande limpidezza ed equilibrio formale, dal portico
dello Spedale degli Innocenti alla Cappella de’ Pazzi in
santa Croce, forse l’esempio supremo della sua arte.
Masaccio
Nel campo della pittura, l’autore più rivoluzionario è
Masaccio (soprannome peggiorativo di Tommaso), che
pure morì precocemente a soli ventotto anni. Le sue
opere dovettero certamente stupire i fiorentini per la
solidità costruttiva dello spazio e delle figure, ben lontana dalla grazia delicata e dalle linee fluenti del gotico
internazionale e caratterizzata invece da una statuaria
solennità, unitamente ad accenti di maggiore sincerità
e autenticità umana. Questo si vede ad esempio nella
Santissima Trinità (Santa Maria Novella, Firenze), un affresco con la Vergine e san Giovanni ai piedi della Croce,
e nel ciclo della Cappella Brancacci (Santa Maria del Carmine, Firenze) dedicato alle Storie di Pietro e al Peccato
originale. Gli episodi delle Storie di Pietro sono collocati
in tre fasce sovrapposte secondo un’impostazione prospettica “brunelleschiana” che regola anche le cornici e
i pilastrini che inquadrano le scene; fra questi episodi,
spicca il Pagamento del tributo. La sequenza delle scene va letta dal centro a sinistra e poi a destra, poiché
al centro sta la scena di maggiore rilevanza narrativa e
religiosa (Cristo, circondato dagli Apostoli e dal gabelliere,
ordina a Pietro di pagare il “tributo”, indicandogli dove troverà la moneta). La solidità fisica dei personaggi, l’intensità dei loro sguardi, come pure l’essenzialità del paesaggio
unita alla rigorosa costruzione prospettica, mostrano una
severità morale e, al contempo, una naturalezza di ascendenza classica che non avevano precedenti nella pittura
europea. In questo affresco è da notare anche un aspetto
interessante, apparentemente solo tecnico, ma in realtà di grande rilevanza compositiva e simbolica: il punto
di fuga verso cui convergono le linee orizzontali (e dove
quindi, in sostanza, converge lo sguardo dello spettatore)
coincide con il volto di Cristo.
Donatello
Le opere di Donatello si inseriscono nelle medesima temperie culturale, benché questi tenda, rispetto a Masaccio, a conferire ai personaggi una più spiccata tensione
drammatica, come si vede già nel San Giorgio, scultu-
| Introduzione | Le arti figurative | 15
Anonimo, Veduta di città
ideale, fine del XV secolo.
Urbino, Galleria
Nazionale delle Marche.
Masaccio, Il tributo,
1424-1428. Firenze,
Chiesa del Carmine,
Cappella Brancacci.
ra realizzata per una nicchia di Orsanmichele. Sotto
l’apparente compostezza, infatti, la figura del santo
guerriero esprime, per la torsione del busto rispetto
alle gambe e l’espressione accigliata, una profonda
tensione, oltre che una evidente connotazione eroica.
Per tali ragioni, il San Giorgio è divenuto una delle “icone”
dell’idea di uomo rinascimentale. Su questa linea si possono collocare altre due celebri sculture di Donatello, il
David del Bargello, che richiama la statuaria classica, e il
monumento equestre del Gattamelata (Padova), ispirato
al Marco Aurelio del Campidoglio e primo di una lunga
serie di monumenti civili (fra cui un altro capolavoro
“equestre”, il Colleoni del Verrocchio, a Venezia) che da
allora cominciarono a imporsi nelle piazze d’Italia.
Per quanto riguarda invece la rappresentazione dello spazio, altre sue opere possono essere lette come
punti di partenza di quella medesima linea evolutiva
che abbiamo già visto in Brunelleschi e in Masaccio; fra
queste, i bassorilievi Liberazione della principessa dal drago (Orsanmichele, Firenze), il Banchetto di Erode (fonte
battesimale, Siena) e il Miracolo per il figlio pentito (basilica di sant’Antonio, Padova). Davvero impressionante,
in queste opere, è il modo in cui Donatello è riuscito a
creare, in bassorilievi di pochi millimetri di spessore, eccezionali effetti di dilatazione spaziale e di profondità
entro organismi coerenti e unitari.
Mantegna e Piero della Francesca
Fra le grandi personalità artistiche delle generazioni
immediatamente successive, vanno ricordati soprattutto – per l’eccellenza delle loro opere e per il ruolo
che essi hanno rivestito nel processo evolutivo dell’arte
rinascimentale – altri quattro grandi artisti, tutti più o
meno legati ad altrettanti centri di produzione culturale
quattrocenteschi: Andrea Mantegna (1431-1506) a Padova e a Mantova, Piero della Francesca (1416-1492)
a Urbino, Sandro Botticelli (1445 ca-1510) a Firenze, e
Giovanni Bellini (1433 ca-1516) a Venezia.
Un altro centro di notevole importanza nel Quattrocento è Ferrara, dove operano i pittori della cosiddetta
“officina ferrarese”, Cosmè Tura, Ercole de’ Roberti e
Francesco del Cossa, nei quali più forte resta il legame
con le preziosità decorative tardogotiche.
Soffermiamoci, in particolare, su Mantegna e su Piero.
Mantegna si forma a Padova nella bottega dello Squarcione, assai rinomata al tempo ed erede di quel gusto
antiquario che già nel Trecento aveva caratterizzato
la cultura patavina (basti ricordare la presenza di Petrarca) e che si era espresso fra l’altro nella raccolta di
anticaglie: medaglie, placchette, calchi, rilievi, statue
e così via. Mantegna si forma dunque in questo ambiente e, nella Cappella degli Ovetari (Padova), dipinge
le scene della leggenda di San Giacomo (purtroppo in
gran parte andate distrutte durante la seconda guerra
mondiale). In una di esse, San Giacomo si reca al supplizio, emerge in modo evidente il suo spiccato gusto
storico-archeologico: la porta della città, in ardito scorcio prospettico dal basso, è un arco di trionfo romano, i
personaggi sono drappeggiati all’antica, i soldati indossano la lorica, la tipica corazza dei legionari romani. La
scena è costruita con notevole abilità teatrale: prima
del supplizio, il Santo si sofferma a benedire un devoto inginocchiato, mentre un soldato solleva la mano in
segno di rispettosa ammirazione e un altro respinge
un uomo fra la folla che si accalca. Nel 1460 Mantegna
si trasferisce a Mantova, dove diviene presto pittore
ufficiale della corte dei Gonzaga e dove, a eccezione di
qualche soggiorno in Toscana e a Roma, resterà fino
alla morte. Qui egli porta avanti sia la tendenza all’illusionismo prospettico dei toscani, sia il gusto archeologico padovano, fondato su una ricca documentazione
visiva e letteraria, piegandole all’intento di celebrare
i suoi illustri mecenati. Nascono così la Camera picta,
o Camera degli sposi, nella quale una sala del Palazzo
Ducale si apre illusionisticamente verso un porticato
che a sua volta dà sulla campagna circostante, punteggiata di prati, colline, castelli e torri, e i Trionfi di Cesare,
commissionati dal duca Francesco, dove le immagini
dei trionfi antico-romani alludono chiaramente a quelle
dei Gonzaga.
Piero della Francesca, invece, opera a Firenze, ad Arezzo e a Urbino, il centro principale della cultura matematica del tempo. Piero padroneggia in sommo grado l’arte
prospettica, tanto da scrivere il più rigoroso manuale
quattrocentesco in materia, il De prospectiva pingendi,
ma rivela il suo genio anche nel trattamento della luce.
Lo si vede bene nel Sogno di Costantino, affresco appartenente al ciclo della Leggenda della vera Croce (Arezzo),
dove i chiaroscuri contribuiscono a esaltare l’illusione
della profondità. Ma lo si nota anche, sia pure in modi
diversi, nella Flagellazione (Urbino): qui la luce chiarissima, di una qualità astratta, non naturale, conferisce
all’opera un senso di sospensione temporale, come di un
modo sublimato, sacrale.
16 | sezione 3 | Petrarca e la civiltà dell’Umanesimo |
Francesco Salviati
(attribuito), Ritratto
di Giovanni Rucellai,
XV secolo. Firenze,
Collezione Rucellai.
Leon Battista Alberti,
facciata della Basilica di
Santa Maria Novella,
1458-1460. Firenze.
Molti elementi accomunano il mercante fiorentino
Giovanni Rucellai e il grande umanista e architetto
Leon Battista Alberti > p. 204 |. Entrambi patirono un
lungo periodo di malasorte, in quanto membri di famiglie invise ai Medici; ma per questo entrambi ebbero
occasione di viaggiare a lungo e fermarsi a Roma, dove
poterono visitare le antichità romane e approfondire
in modo intelligente e dettagliato la conoscenza delle
sue architetture.
Tutti e due furono interessati al ruolo civile della famiglia e identificarono in essa il primo nucleo fondante
della società e dell’uomo virtuoso. Alberti scrisse in
gioventù il trattato in forma di dialogo Della famiglia,
mentre Giovanni Rucellai, a partire dal 1457, cominciò
a comporre lo Zibaldone Quaresimale, una raccolta di
riflessioni, consigli e ammaestramenti per i suoi discendenti, quindi a uso privato. Per tutta la vita Giovanni continuò ad annotare nello Zibaldone ciò che
riteneva utile: il governo della famiglia, l’arte del commercio, dettagli sui possedimenti, sulla storia degli
antenati, notizie di vita politica fiorentina... Ma anche
passi tratti da autori antichi, filosofi, riflessioni morali
e descrizioni di edifici (soprattutto quelli dell’antichità
visti durante il suo viaggio a Roma). Lo Zibaldone è
quindi una raccolta enciclopedica che delinea il ritratto
di un grande uomo del suo tempo, mercante e mecenate inserito nella vita della sua città. Così scrive, fra
l’altro, in un passo dell’opera: «...due cose principali
sono quelle che fanno gl’uomini in questo mondo: la
prima lo ‘ngienerare, la seconda l’edificare».
E in qualità di figura esemplare di mecenate, Rucellai
progettò un programma edilizio di grande prestigio,
che mostrasse nella sostanza e nella forma la sua
partecipazione alla cultura umanistica e cristiana della
Firenze del tempo, la sua adesione alla politica e alle
sorti della famiglia medicea (alla quale, nel frattempo,
si era legato attraverso il matrimonio del figlio Bernardo con Nannina, figlia di Piero de’ Medici) e la consapevolezza del suo alto contributo alla vita cittadina.
Per l’attuazione di questo progetto fu fondamentale
l’incontro con Alberti, le cui idee Rucellai condivise pienamente. A lui affidò il compito di progettare il palazzo
di famiglia, in via della Vigna, la cappella di famiglia
nella vicina chiesa di San Pancrazio, che doveva contenere la replica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, e
l’edificazione della facciata della chiesa di Santa Maria
Novella, la grande basilica che si trovava nel rione dei
Rucellai e che era sede della potente comunità domenicana; qui, pochi anni prima, in occasione del concilio
del 1439 tra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente,
era stato ospitato papa Eugenio IV, al cui seguito si
trovava anche il giovane Alberti, nel ruolo di abbreviatore apostolico (cioè colui che redigeva i discorsi
pubblici degli alti prelati, le lettere del papa e le sue
disposizioni inviate ai vescovi, dette appunto “brevi”).
Alberti godeva quindi di grande fama e prestigio a Firenze, presso letterati e umanisti: tra l’altro, qui aveva
istituito, nel 1441, il Certame coronario, una gara di
poesia in volgare patrocinata da Piero de Medici; e
qui aveva scritto il De familia e il De pictura, prima in
latino, poi in volgare.
Per tutti e tre gli edifici – il palazzo, il sepolcro e la
facciata di Santa Maria Novella – Alberti usa lo stesso geniale linguaggio, adattato alle diverse esigenze.
Il palazzo di via della Vigna fu costruito ex novo da
Rucellai, comprando diverse case lungo la strada piut-
tosto angusta. Alberti parte dal modello illustre e recente di Palazzo Medici, che era diventato il prototipo
imprescindibile del palazzo fiorentino, caratterizzato
dalla tripartizione in fasce orizzontali, dal cornicione
molto aggettante, dall’uso delle bugne come rivestimento, e dall’inserimento del sedile per accogliere i
concittadini. Tuttavia trasforma tutti questi “ingredienti” rileggendoli attraverso una continua citazione
di modelli antichi: introduce le paraste su tutti e tre i
livelli, ornate da capitelli che riprendono gli ordini classici, e le finestre archivoltate, proprio come avviene
nel Colosseo e nella Basilica Emilia, che sia Alberti sia
Rucellai avevano ammirato a Roma; qui però in forma come appiattita, disegnata. Anche il basamento
che sta dietro al sedile è una citazione raffinata della
| Introduzione | Il mercante fiorentino Giovanni Rucellai | 17
Leon Battista Alberti,
Palazzo Rucellai, 1452.
Firenze.
Leon Battista Alberti,
Tempietto del Santo
Sepolcro, 1461-1467.
Firenze, Chiesa di San
Pancrazio, Cappella
Rucellai.
muratura ad opus reticulatum romano, in realtà solo
inciso sui lastroni di pietra. A differenza di tutti gli altri palazzi fiorentini, Alberti non usa bugne vere, ma
disegna un rivestimento che si appoggia sul palazzo,
creando un effetto a “incrostazione”, che verrà ripreso
nelle sue successive opere per Rucellai e che risulta
meno invasivo rispetto alla strada.
La cappella funeraria nella chiesa di San Pancrazio
fu progettata a partire dal 1448 e conclusa nel 1467,
come recita l’iscrizione sul sacello. Oltre alla “replica
simbolica” del Tempietto del Santo Sepolcro, doveva
contenere il sarcofago di Rucellai. La cappella è un nitido vano rettangolare che ricorda le coeve architetture fiorentine di Brunelleschi; è coperta da una volta a
botte delimitata da una cornice in pietra serena, come
in pietra serena sono le paraste corinzie che scandiscono le pareti. Al centro della cappella è il sacello,
che riprende in modo essenziale le forme del Santo
Sepolcro di Gerusalemme. Alberti struttura la piccola
architettura proprio come un tempio in miniatura, e
si serve delle proporzioni romane, seppure ridotte.
Tuttavia riveste le superfici con incrostazioni marmoree bianche e verdi che richiamano palesemente la
tradizione romanica fiorentina del Battistero e di San
Miniato. Anche le due iscrizioni incise sul tempietto
ricordano le litterae lapidariae dei monumenti romani,
ma mentre una è l’iscrizione dedicatoria e celebrativa
di Rucellai, l’altra cita un passo del Vangelo di Marco,
ricordando come l’opera sia un anelito alla comune
resurrezione delle anime, a cui ogni cristiano aspira.
Così come le decorazioni delle specchiature marmoree
e delle lesene alludono a Salomone.
La basilica di Santa Maria Novella, come molte chiese fiorentine, ai primi del Quattrocento non aveva
ancora una facciata compiuta. Ciononostante, era il
fulcro del grande convento domenicano; aveva ospitato papa Eugenio IV e il suo seguito durante il concilio
del 1439; molte nobili famiglie fiorentine avevano lì le
loro splendide cappelle, decorate dai più grandi artisti.
Giovanni Rucellai nel 1448 destinò le rendite dei suoi
possedimenti a Poggio a Caiano per finanziare un progetto ambiziosissimo: completare la facciata della
chiesa, «all’onore di Dio, all’onore della città e a memoria di me». Certamente in questa impresa era confortato dall’appoggio dei Medici, in particolare ancora una
volta dal “consuocero” Piero, che infatti verrà ampia-
mente omaggiato dagli inserimenti delle sue imprese
nella decorazione.
Alberti dovette affrontare svariati problemi, dovuti alle
parti già esistenti su questa facciata e non amovibili,
vista la loro valenza storica: innanzi tutto le tombe gotiche di illustri fiorentini, decorate da marmi bianchi e
verdi; poi le porte e il grande finestrone circolare.
L’idea fu quella di “dominare” tutte queste preesistenze attraverso un’”ossatura” che avrebbe dato unità
all’insieme: i due grossi pilastri angolari, decorati a fasce bianche e verdi, richiamavano gli avelli gotici, ma
cambiarono le proporzioni della facciata, che fu così
inscritta in un quadrato, unità di misura anche per le
parti interne; le quattro colonne con capitelli corinzi
sono la “spina dorsale” che sostiene un primo cornicione, lungo il quale sfilano le vele rigonfie, impresa
araldica dei mercanti Rucellai, baciati dal vento della
buona fortuna.
Il grande portale al centro evoca archi di trionfo romani,
ma anche le piccole architetture del primo Rinascimento fiorentino, come il tabernacolo di Michelozzo a San
Miniato al Monte.
Le specchiature marmoree della parte superiore richiamano in modo esplicito il Battistero e soprattutto
la facciata di San Miniato al Monte, che «tutti i giorni
l’Alberti saliva su erto a salutare». La facciata è chiusa in
alto da un potente timpano, molto aggettante, sotto il
quale scorre l’ambiziosa iscrizione dedicatoria e dentro
il quale splende il sole-bambino simbolo tomistico caro
ai Domenicani, e, secondo gli scritti di Marsilio Ficino
> p. 213 |, richiamo di Cristo bambino figlio di Maria a
cui era dedicata la Basilica. La parte superiore con frontone, iscrizione e quattro paraste ricorda poi la fronte
del Pantheon a Roma.
L’intervento di Alberti per il compimento del progetto di
Rucellai va dunque letto alla luce della sua esperienza
di grande conoscitore dell’architettura, studioso di
testi antichi, interprete innovativo della classicità:
«camaleonta» lo definì l’umanista e suo grande amico
Cristoforo Landino (1424-1498), capace quindi di risolvere ardui problemi architettonici adattando le forme
preesistenti alle nuove esigenze, attraverso il rimando
agli illustri esempi della tradizione romanica fiorentina,
attraverso l’uso innovativo e dettagliato del linguaggio
architettonico antico e l’omaggio al suo committente e
al pensiero filosofico e religioso rinascimentale.
18 | sezione 3 | Petrarca e la civiltà dell’Umanesimo |
Mappa dei contenuti
Petrarca e l’Umanesimo
DA PETRARCA
AL PRIMO
UMANESIMO
FRANCESCO PETRARCA
(1304-1374) è considerato
il grande anticipatore
dell’Umanesimo. La sua
opera è incentrata sulla
riscoperta della cultura
della classicità
FIRENZE
SECONDO
UMANESIMO
Con LORENZO DE’
MEDICI detto il
Magnifico (14491492) Firenze
diventa la patria della
nuova POESIA IN
VOLGARE
ROMA
La ROMA PAPALE costituisce
uno dei terreni più fertili allo
sviluppo della cultura
umanistica: un fervore di studi
che vede protagonisti anche
papi e cardinali
NAPOLI
L’influenza dell’Umanesimo di
Petrarca, che frequenta la
corte napoletana di Roberto
d’Angiò, resta limitata alla fase
angioina: l’UMANESIMO
NAPOLETANO è aragonese
>
Polo di attrazione per gli
umanisti italiani è la corte di un
grande mecenate, ALFONSO V
IL MAGNANIMO (1396-1458),
il re aragonese insediatosi sul
trono di Napoli dopo la cacciata
degli angioini nel 1443
UMANESIMO
EUROPEO
Con qualche ritardo
L’UMANESIMO RAGGIUNGE IL
RESTO D’EUROPA a partire
dai Paesi di area slava e dal
mondo bizantino per poi fiorire
in Francia, Germania,
Inghilterra
>
Anche l’area bizantina è
investita dalle correnti
dell’Umanesimo: EMANUELE
CRISOLORA (1350-1415),
erudito costantinopolitano, è
protagonista della rinascita dei
classici greci
>
Petrarca riprende e
attualizza le fonti antiche,
stabilendo con la
letteratura di autori quali
Cicerone, Livio, Orazio,
Ovidio, Virgilio un
rapporto di continuità
>
>
1300-1370
FRANCESCO PETRARCA (1304-1374)
EVENTI
I principali
eventi storici
1309 La sede papale di
Le sue opere latine in
dialogo con i classici e la
sua ricerca di una lingua
poetica su cui fondare il
nuovo classicismo
volgare rivelano una
sensibilità umanistica
Le RIME del
BURCHIELLO
(1404-1449)
rappresentano una
rinascita della poesia
comico-realistica e
giocosa
Apre la stagione umanistica
l’opera monumentale di
LORENZO VALLA (1407-1457),
che recupera la lezione
petrarchesca e dà avvio allo
studio filologico sui testi sacri
1300/1400
I principali
autori trattati
nei prossimi
capitoli
>
1380
>
La storiografia basata sul
riscontro documentario trova
compiuta espressione grazie
all’erudito FLAVIO BIONDO
(1392-1463), la cui opera
ROMA INSTAURATA apre la via
all’antiquaria
1390
1400
POGGIO BRACCIOLINI (1380-1459)
LEON BATTISTA ALBERTI (1404-1472)
Clemente V si
trasferisce da Roma
ad Avignone
1337 Ha inizio la
Guerra dei Cento Anni
tra Francia e
Inghilterra
1349 Inizia il governo
di Giovanni Visconti a
Milano
1356 Bolla d’oro di
Carlo IV.
1377 La curia pontificia
lascia Avignone e fa
ritorno a Roma con
Gregorio XI
1378 Tumulto dei
Ciompi. Scisma
d’Occidente
1381 Pace di Torino:
Venezia cede alcuni
territori ma mantiene
l’indipendenza e il
monopolio
sull’Adriatico
1395 L’imperatore
Venceslao IV riconosce
Gian Galeazzo Visconti
duca di Milano
1414-1418 Concilio di
Costanza
| Introduzione | Mappa dei contenuti | 19
A POGGIO BRACCIOLINI (13801459), umanista che percorre
l’Europa in qualità di segretario
apostolico, si deve il
ritrovamento di importanti
manoscritti latini (Cicerone,
Lucrezio, Quintiliano, Stazio)
>
Un posto a sé nella corte medicea spetta al poeta
LUIGI PULCI (1432-1484), autore del primo
poema eroicomico, cui guarderà MATTEO MARIA
BOIARDO (1441-1494), attivo alla corte ferrarese
degli Estensi, nel comporre il nuovo poema
cavalleresco rinascimentale
>
1410
In LEON BATTISTA ALBERTI (14041472), uno dei più grandi interpreti del
pensiero umanistico ma anche iniziatore
dell’Umanesimo volgare, il dialogo serrato
con gli antichi diviene vitale e nutre
l’intera vicenda creativa
>
>
>
A MARSILIO FICINO (1433-1499),
che nel 1462 fonda l’Accademia
neoplatonica, si deve la formulazione
più alta del platonismo e la riscoperta
della tradizione ermetica che
informano la cultura della corte
laurenziana
Intorno alla metà del Quattrocento PAPA
NICCOLÒ V mette insieme il primo nucleo
della Biblioteca Apostolica Vaticana,
mentre con il CARDINALE BESSARIONE,
che cede la propria biblioteca ricca di testi
greci a Venezia, inizia a prendere forma la
Biblioteca Marciana
>
Protagonista del nuovo clima
culturale che anima la reggia
di Castelnuovo è GIOVANNI
PONTANO (1429-1503), che
guida il cenacolo
dell’Accademia Pontaniana
>
In area tedesca è attivo NICCOLÒ
CUSANO (1401-1464), la cui opera
filosofica e scientifica costituisce
un momento di sintesi tra sapere
medievale e filosofia moderna
1420
BURCHIELLO (1404-1449)
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È l’ultimo sovrano aragonese,
FEDERICO (1451-1504), il
destinatario della silloge poetica
della RACCOLTA ARAGONESE
fatta preparare da Lorenzo il
Magnifico
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L’opera filosofica e
poetica di TOMMASO
MORO (1478-1535)
definisce i termini
entro cui fiorisce
l’Umanesimo inglese
1430
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Angelo Ambrogini detto il
POLIZIANO (1454-1494), il
maggior poeta e umanista del
secondo Quattrocento, elabora la
DOCTA VARIETAS, una tecnica
compositiva a intarsio di fonti
classiche e moderne
Umanista di spicco è ENEA
SILVIO PICCOLOMINI (14051464), dal 1458 papa PIO II,
nella cui opera si pone il tema
della conciliazione tra i principi
della teologia cristiana e i valori
laici della classicità
Alla corte di Federico d’Aragona
opera il maggiore poeta
dell’umanesimo volgare, JACOPO
SANNAZARO (1456-1530), autore
dell’ARCADIA, il romanzo pastorale
che rinnova la poesia bucolica
Con ERASMO DA ROTTERDAM
(1466-1536) si afferma una
nuova visione umanisticoreligiosa: la sua esperienza
travalica i confini nazionali e dà
all’Umanesimo europeo una
fisionomia di movimento corale
1440
1450
1460
LUIGI PULCI (1432-1484
MARSILIO FICINO (1433-1499)
MATTEO MARIA BOIARDO (1441-1494)
LORENZO DE’ MEDICI (1449-1492)
ANGELO POLIZIANO (1454-1494)
JACOPO SANNAZARO (1457-1530)
ERASMO DA ROTTERDAM (1466/1469-1536)
1420 Trattato di Troyes
1429 L’esercito
francese guidato da
Giovanna d’Arco libera
Orléans
1431 Giovanna d’Arco
è condannata al rogo
1431-1449 Concilio di
Basilea
1450 Francesco Sforza
si impadronisce di
Milano
1453 Si conclude la
Guerra dei Cento Anni.
Caduta di
Costantinopoli
assediata dai turchi
ottomani
1455 Inizio della
Guerra delle Due Rose
1461 Luigi XI sale al
trono di Francia
1479 Unificazione del
regno di Aragona con
quello di Castiglia
1485 L’incoronazione
di Enrico VII della
casata dei Tudor pone
fine alla guerra civile
inglese