1304 Nasce ad Arezzo Francesco Petrarca. 1309 La sede papale di Clemente V si trasferisce da Roma ad Avignone. 1310 Discesa in Italia dell’imperatore Enrico VII. 1327 Discesa in Italia dell’imperatore Ludovico IV il Bavaro. 1337 Edoardo III sbarca a Calais. Ha inizio la Guerra dei Cento Anni tra Francia e Inghilterra. 1347 Cola di Rienzo viene proclamato tribuno di Roma. 1349 Inizia il governo di Giovanni Visconti a Milano. 1356 Con la Bolla d’oro Carlo IV riserva a sette autorità germaniche il diritto di eleggere l’imperatore. 1374 Petrarca, poco prima di morire, mette mano per l’ultima volta al libro poetico della sua vita, il Canzoniere. 1377 I genovesi assediano Chioggia in territorio veneziano. La curia pontificia lascia Avignone e fa ritorno a Roma con Gregorio XI. 1378 Tumulto dei Ciompi: insorgono i lavoratori salariati fiorentini. Viene eletto papa Urbano VI, ma il clero filo-francese lo disconosce ed elegge come proprio papa Clemente VII, generando lo Scisma d’Occidente. 1381 Pace di Torino: Venezia cede alcuni territori ma mantiene l’indipendenza e il monopolio sull’Adriatico. 1382 La repubblica di Firenze viene retta da un’oligarchia. 1395 L’imperatore Venceslao IV riconosce Gian Galeazzo Visconti duca di Milano. 1402 Muore Gian Galeazzo Visconti e lo Stato regionale milanese si disgrega. 1406 Firenze si espande conquistando anche Pisa. 1414-1418 Concilio di Costanza: la contesa tra papi antagonisti si risolve con l’elezione di Martino V. 1416 Poggio Bracciolini ritrova il codice dell’Institutio oratoria di Quintiliano. 1420 Trattato di Troyes: il re d’Inghilterra Enrico V ottiene il diritto di successione al trono di Francia. 1421 Filippo Maria Visconti occupa Genova e prosegue la ricostituzione del ducato del padre Gian Galeazzo. 1429 L’esercito francese guidato da Giovanna d’Arco libera Orléans. 1431 Giovanna d’Arco è condannata al rogo. 1431-1449 Concilio di Basilea: parte del clero reclama maggiori poteri per i vescovi, ma alla fine prevale la supremazia papale. 1435 Leon Battista Alberti dedica a Filippo Brunelleschi il suo trattato De pictura. 1441 Alberti organizza a Firenze il “Certame coronario”. Nasce a Scandiano Matteo Maria Boiardo. 1450 Il condottiero Francesco Sforza si impadronisce di Milano. 1453 Si conclude la Guerra dei Cento Anni: i francesi tornano in possesso dei loro territori; gli inglesi mantengono un solo presidio a Calais. Caduta di Costantinopoli assediata dai turchi ottomani. 1454 Nasce a Montepulciano Angelo Poliziano. 1455 Ha inizio la Guerra delle Due Rose tra i casati inglesi degli York e dei Lancaster. 1461 Luigi XI sale al trono di Francia. 1469 Il giovane Lorenzo de’ Medici eredita la signoria su Firenze. 1475 Poliziano inizia a comporre le Stanze per la giostra. 1478 Congiura dei Pazzi a Firenze: Lorenzo si salva, il fratello Giuliano viene ucciso. 1479 In Spagna Ferdinando II il Cattolico e la regina Isabella unificano il regno d’Aragona con quello di Castiglia. 1482 Marsilio Ficino pubblica la Theologia platonica de immortalitate animorum. 1483 Viene pubblicato a Reggio l’Inamoramento de Orlando (Orlando innamorato) di Boiardo. 1485 L’incoronazione di Enrico VII della casata dei Tudor pone fine alla guerra civile inglese. 1486 Pico della Mirandola scrive le Conclusiones philosophicae, cabalisticae et teologicae. 1492 Muore Lorenzo il Magnifico. Trionfo della Vanagloria, miniatura tratta dal De viris illustribus di Francesco Petrarca, 1380 circa. Parigi, Bibliothèque nationale de France. 3 Mappa dei contenuti 1 2 3 4 Capitoli Francesco Petrarca Matteo Maria Boiardo Angelo Poliziano Gli umanisti 2 | sezione 3 | Petrarca e la civiltà dell’Umanesimo | La storia europea nei luoghi di Petrarca Introduzione N ell’ottobre del 1350 Francesco Petrarca (13041374) > p. 21 | è diretto a Roma, dove si celebra l’anno del secondo giubileo della storia, indetto da papa Clemente VI cinquant’anni dopo quello proclamato da Bonifacio VIII. Passa prima da Firenze, dove in prossimità delle mura cittadine gli si fa incontro, impaziente di conoscerlo, Giovanni Boccaccio (1313-1375) > Tomo 1.1 |, di nove anni più giovane e suo estimatore: è il loro primo incontro di persona, ricordato con affetto da Petrarca proprio in una sua lettera del 1359 all’amico (Familiares, XXI, 15). In quel momento, alla metà esatta del secolo, l’Europa è ferita, prostrata: la peste propagatasi nel 1348 ha funestato tanto Firenze, portandosi via il padre di Boccaccio e alcuni suoi amici, quanto la Provenza, la regione sud-orientale della Francia in cui Petrarca ha trascorso gran parte della sua vita, dal 1312, e incontrato la donna amata che ispira la sua lirica, Laura, anche lei rimasta vittima della terribile epidemia. |1| L’Italia alla metà del Trecento 1349 1351 1348 1349 1348 VENEZIA COSTANTINOPOLI TREBISONDA SAMARCANDA 1347 DAMASCO BAGHDAD MECCA pellegrinaggi alla Mecca Boccaccio sta componendo il suo Decameron, che completerà nel 1352 e diventerà un’opera fondamentale per la prosa italiana dei secoli a venire; Petrarca è un celebre erudito e letterato e si sta dedicando, fra i tanti progetti, ai Rerum vulgarium fragmenta, l’opera poetica della sua vita, più nota come Canzoniere, che sarà elevata a canone imprescindibile per i poeti successivi. L’Italia del loro tempo è un mosaico di entità territoriali dai confini instabili, soprattutto nella parte centro-settentrionale. Le realtà politiche più solide e destinate a espandersi fino a costituire organismi più ampi, tali da essere considerati Stati regionali, si sviluppano intorno alle città di Milano, Firenze e Venezia. Al centro, le terre assoggettate allo Stato della Chiesa si estendono dall’area tirreniLegenda ca laziale a quella adriatica Aree e date marchigiana e romagnola di diffusione Percorso del contagio passando per la regione umbra. Al sud, dopo la morte di Roberto d’Angiò PECHINO nel 1343 il regno di Napoli via della seta è ereditato dalla nipote Giovanna I, che però ha 1333 soltanto sedici anni e deve affrontare una lunga contesa di potere, mentre la Sicilia e la Sardegna sono in mano agli Aragonesi. |1| La diffusione della peste intorno alla metà del Trecento. | Introduzione | La storia europea nei luoghi di Petrarca | 3 Il potere delle signorie In buona parte delle entità politiche del centro-nord, in pieno Trecento, si è ormai determinato un mutamento istituzionale provocato dalla crisi degli ordinamenti comunali: spesso le magistrature e altri organismi cittadini sono ancora presenti, ma il potere è perlopiù concentrato nelle mani di una singola persona, il signore, che in vari modi ha assunto il governo del territorio comunale: in alcuni casi con la violenza, ma in molti altri per vie formalmente non illegali, come l’investitura imperiale o la delega del potere da parte delle magistrature tradizionali. Come abbiamo già visto a Firenze al tempo di Dante > Introduzione alla sezione 2, tomo 1.1 |, nelle società comunali emergono gravi conflitti tra gli interessi politico-economici delle famiglie nobili, della grande e piccola borghesia, dei diversi mestieri riuniti in corporazioni, dei ceti produttivi su vasta scala oppure locale, e cresce la volontà di rivolta dei contadini, della plebe emarginata. L’insediamento delle signorie è perciò anche visto come una forma di risposta a queste situazioni di ingovernabilità, che avevano portato a feroci scontri interni: il signore si pone come autorità al di sopra delle parti, in grado di riportare l’ordine pubblico e promuovere gli interessi generali dello Stato; un arbitro e moderatore che agisce con risolutezza ma promette giustizia imparziale; e anche un comandante capace di difendere e di espandere i possedimenti territoriali. La curia di Avignone Petrarca |2| assiste personalmente alle attività della corte pontificia in quel periodo unico nella storia della Chiesa in cui il papa non risiede sulle rive del Tevere, bensì su quelle del Rodano: è ancora bambino quando la sua famiglia si trasferisce vicino ad Avignone |3|, che dal 1309 ospita papa Clemente V con tutta la sua curia; e morirà tre anni prima del ritorno del pontefice Gregorio XI a Roma, nel 1377. In questo lungo periodo di lontananza (la cosiddetta “cattività avignonese”), la Chiesa amplia e potenzia le sue strutture amministrative, allo scopo di consolidare la propria autorità indipendente ed esercitare quel potere temporale che non intende lasciare ad altri: anche dalla Francia continua a condurre la propria politica contro gli imperatori germanici e i ghibellini che ne caldeggiano la di- |2| Francesco Petrarca, Galleria degli Uffizi, Firenze. |3| Il Palazzo dei Papi di Avignone in una miniatura francese del XV secolo. scesa in territorio italiano. Ma questo ramificato apparato di funzionari e di interessi economico-politici genera un ragguardevole innalzamento dei costi, cui la curia avignonese può fare fronte soltanto con un ingente aumento del prelievo fiscale presso lo stesso clero, le popolazioni e i potentati dei territori sotto la sua autorità; i quali si vedono privati di sostanziali risorse e ricchezze, portate oltre confine per alimentare le esigenze della corte, comprese una notoria corruzione e una varietà di vizi e abusi che Petrarca può constatare coi propri occhi e contro cui scaglierà durissime accuse in diversi suoi scritti, in particolare nei tre sonetti “anti-avignonesi” del Canzoniere (136138 > p. 90 |). Questo divario sempre più netto tra ciò che la Chiesa avrebbe dovuto rappresentare nell’adempiere la sua missione spirituale e ciò che invece dimostrava di essere nella realtà, perseguendo finalità materiali opposte ai suoi precetti teologici, unitamente all’insofferenza verso le sue ingerenze nello scacchiere politico, porterà a un malcontento diffuso e a una critica sempre più accentuata della sua stessa istituzione, che avrà ricadute significative sulla storia europea e condurrà prima allo Scisma d’Occidente (dal 1378 per la contemporanea presenza di due sedi papali opposte fra loro, infine risolta con l’elezione di Martino V nel 1417) e poi alla Riforma protestante del XVI secolo. Lo Stato della Chiesa L’assenza del papa dalla sua sede romana, intanto, aveva gettato nel disordine e nell’anarchia tutto il territorio dello Stato della Chiesa. Venendo a mancare il fulcro tangibile della sua autorità, l’unica almeno nominalmente riconosciuta da tutti, si erano moltiplicati gli scontri armati tra signori, gruppi e famiglie più potenti. La popolazione viveva nell’insicurezza e nella miseria, a causa della diffusa criminalità, dell’arretratezza della produzione agricola e dello scarso sviluppo delle attività manifatturiere e commerciali. A Roma dominava- 4 | sezione 3 | Petrarca e la civiltà dell’Umanesimo | rapporto di subordinazione rispetto alla no le grandi famiglie nobiliari, su monarchia francese > Tomo 1.1 |. Ma la fortutte quelle dei Colonna e degli Orsini. Nel 1347, tuttavia, una personatuna della sua famiglia e del regno era prelità di origini popolane, Cola di sto destinata a precipitare. Filippo IV muore nel 1314 e nel giro di pochi anni Rienzo (1313-1354) |4|, notaio e abiscompaiono anche i suoi successori; da ulle oratore, si pone alla guida di una timo il figlio Carlo IV nel 1328, con il quaribellione allo strapotere e ai soprusi le si estingue il ramo diretto della dinabaronali, facendosi proclamare dal stia dei Capetingi. Il trono viene allora ripopolo tribuno e liberatore dello stavendicato dal cugino Filippo di Valois e to romano. La sua promessa è quella dal re d’Inghilterra Edoardo III, in quanto di ricostituire a Roma, senza ledere i nipote di Filippo IV. Si riaccende così il diritti della Chiesa, una repubblica conflitto tra i due stati divisi dalla Manica, ispirata alla grandezza della storia che già tra XI e XII secolo avevano combatantica, che ponga fine alle violenze, tuto a più riprese per ragioni feudali e didestini le risorse pubbliche a favore nastiche. dei cittadini e impedisca ai nobili di Nel 1337 Edoardo III sbarca a Calais spadroneggiare con le armi. Per bre|4 | Il monumento a Cola di Rienzo alla con la sua cavalleria e un reparto di arcieri ve tempo il progetto riesce a prendere Cordonata di Campidoglio, Roma. del Galles. Inizialmente la guerra è condotcorpo e vede tra i suoi ferventi sostenitori proprio Petrarca, nonostante fosse stato a lungo al ta soprattutto sul piano economico, poiché un motivo servizio di quella famiglia Colonna che era acerrima an- fondamentale, se non addirittura primario, all’origine tagonista del tribuno. La fortuna dell’impresa è però effi- dello scontro riguardava il controllo del mercato commera, il governo popolare dura solo fino al dicembre merciale delle Fiandre. In seguito si passa a una vera e 1347, avversato dai nobili e dal legato pontificio. Cola è propria guerra armata che vede a lungo prevalere la cacostretto a fuggire, si rifugia tra gli eremiti della Maiella, pacità militare inglese. Anche Petrarca ha modo di osservare le ripercussioni poi riprende l’iniziativa nel 1350: si reca a Praga presso l’imperatore Carlo IV di Lussemburgo per convincerlo a del conflitto sul territorio: per due volte visita Parigi, che intervenire, ma è arrestato come sospetto di eresia e por- già dal Duecento è sede universitaria e noto centro cultutato ad Avignone presso papa Clemente VI. Viene poi li- rale; la prima nel 1333, la seconda nel 1360-1361, quando berato e il nuovo papa, Alessandro VI, cerca di servirsi la città sulla Senna patisce gli stenti della guerra in anni del consenso che Cola può ancora raccogliere inviandolo funestati anche dalle ondate di peste. La società francese, inoltre, è in frequente subbuglio in appoggio del cardinale Egidio d’Albornoz, a cui è affidato il compito di restaurare l’autorità papale a Roma. per le rivolte antifeudali dei contadini (chiamate Nel 1353 Cola assume nuovamente il governo della città, jacqueries) e per le conseguenze della spaccatura in due ma la sua azione politica si dimostra repressiva, arbitra- fazioni nobiliari: gli armagnacchi sostengono i sovrani ria, gravosa a causa di nuovi tributi, al punto che quella di Francia, i borgognoni quelli d’Inghilterra. Dopo una stessa plebe che lo aveva acclamato gli diventa ostile e lunga successione di battaglie e periodi di tregua, con il trattato di Troyes del 1420 sembra realizzarsi il progetto Cola viene ucciso nei pressi del Campidoglio. Il cardinale d’Albornoz, invece, continua con efficaci di unificazione dei due stati sotto la corona inglese nella risultati la sua opera: riconduce i potentati sotto il domi- figura di Enrico V, che ottiene in sposa la principessa nio della Chiesa, concedendo ai signori sufficienti auto- francese. Il sovrano, però, muore di febbre tifoide nel nomie; attua una più oculata politica fiscale e ammini- 1422, lasciando i diritti reali appena acquisiti al figlio strativa e soprattutto riporta l’ordine sul piano legislati- Enrico VI, che è nato soltanto l’anno prima. Comincia la riscossa delle truppe francesi, che alla vo raccogliendo un corpus di norme precedenti insieme ad alcune di nuova regolamentazione nelle cosiddette loro testa vedono una giovane contadina, Giovanna Costituzioni egidiane del 1357, un codice di diritto gene- d’Arco |5|. Nel 1429 l’esercito libera Orléans e Carlo VII rale che, con l’aggiunta di una serie di leggi approvate nel è consacrato nuovo re. Giovanna diventa il simbolo di 1544, verrà rispettato e rimarrà in vigore nello Stato della una guerra fino ad allora feudale che si trasforma in una Chiesa fino al 1816. lotta di liberazione nazionale del popolo francese. Seppure in modo graduale – tanto che inizialmente la stessa La guerra dei Cento Anni (1337-1453) Giovanna viene poco supportata dalla corte, cade nelle tra Francia e Inghilterra mani dei borgognoni ed è ceduta agli inglesi, che la conIl trasferimento della curia pontificia ad Avignone aveva dannano al rogo nel 1431 – la Francia riconquista entro il significato per il re di Francia Filippo IV il Bello una im- 1453 tutti i suoi territori. All’Inghilterra rimane soltanto portante vittoria politica, poiché poneva la Chiesa in un il presidio di Calais. | Introduzione | La storia europea nei luoghi di Petrarca | 5 L’impero Dopo essere stato a Parigi, Petrarca prosegue il suo viaggio del 1333 visitando altre città come Gand nelle Fiandre, Liegi e, nel territorio del Sacro romano impero, Aquisgrana e Colonia, la città sul Reno che lo impressiona per la civiltà della popolazione, l’eleganza delle donne e le suggestioni del legame con l’antica Roma, per essere stata fondata da Agrippa nel 38 a.C. Nel 1327 era fallita la discesa in Italia di Ludovico IV il Bavaro, scomunicato da papa Giovanni XXII poiché la sua nomina a imperatore era avvenuta senza il giudizio pontificio. La legittimità dell’elezione imperiale, infatti, continua a rappresentare una fonte di controversie tra i sovrani germanici e la Chiesa, finché nel 1356 Carlo IV di Lussemburgo promulga la Bolla d’oro, un documento che elimina il vincolo dell’incoronazione da parte del papa e assegna lo statuto di elettori a sette autorità (tre ecclesiastiche e quattro laiche): gli arcivescovi di Magonza, Treviri e Colonia, il re di Boemia, il conte del Palatinato, il duca di Sassonia e il margravio di Brandeburgo. L’impero si configura sempre più come una federazione di Stati (contee, ducati, regni) nella quale i principi esercitano il potere effettivo nel proprio territorio, pur riconoscendo l’imperatore come capo onorario. Carlo IV, inoltre, sposta il centro politico e culturale dell’impero dalle regioni renane all’area più orientale della natia Praga, capitale del regno di Boemia. I decenni seguenti vedranno gli stati germanici impe- gnati in continue e sanguinose guerre, condotte soprattutto contro le popolazioni slave e baltiche nell’Europa orientale, mentre a sud si va costituendo la confederazione dei cantoni svizzeri. Seppur formalmente elettiva, di fatto la carica imperiale si tramanda per via ereditaria all’interno della casa di Lussemburgo: da Carlo IV (1346-1378) ai due figli Venceslao IV (1378-1410) e Sigismondo (1411-1437), che un anno prima di morire designa come suo erede il genero Alberto d’Asburgo, il cui nome familiare è destinato a inaugurare una lunga dinastia di sovrani nell’Europa centro-orientale. Milano Per calarci nuovamente nelle vicende italiane, torniamo alle vite dei nostri due grandi letterati e al loro secondo incontro, pochi mesi dopo quello di Firenze. Questa volta è Boccaccio a fare visita a Petrarca, nel marzo del 1351 a Padova, l’importante sede universitaria che dal 1318 è governata dalla signoria della famiglia da Carrara. La loro amicizia si fa più stretta e continuerà fino alla morte di Petrarca, anche quando quest’ultimo, nel maggio del 1353, decide di lasciare la Provenza e si trasferisce nella Milano guidata dalla famiglia dei Visconti, signoria antagonista della repubblica di Firenze. In quello stesso 1353 Milano sottomette la repubblica di Genova dando ai suoi domini, già estesi nella Val Padana e in porzioni di Emilia e Toscana, anche uno sbocco sul mare. La politica di espansione iniziata con Matteo Visconti, nominato vicario imperiale da Enrico VII nel 1311, prosegue infatti con i suoi successori fino a Giovanni Visconti, che governa dal 1349 al 1354. Dopo la sua morte i domini vengono spartiti, nel 1355, tra i nipoti Bernabò e Galeazzo II. Proprio per quest’ultimo Petrarca svolge missioni diplomatiche in varie città, anche a Parigi e a Praga presso l’imperatore Carlo IV, che si dichiara suo ammiratore. In seguito Galeazzo riesce a ottenere la riconferma del vicariato imperiale e, dal re di Francia Giovanni II, la mano della figlia Isabella di Valois per il proprio primogenito Gian Galeazzo (convincendo il sovrano impoverito dalla guerra dei Cento Anni con una ingente somma di denaro); in questo modo Milano si guadagna i favori sia dell’impero sia della monarchia francese e Galeazzo tenta di dare al dominio visconteo una più efficiente organizzazione centrale. Dopo la morte del padre (1378) e dello zio Bernabò (1385), Gian Galeazzo Visconti |6| estende ancora i confini dello Stato: strappa Verona e Vicenza alla signoria degli Scaligeri (1387) e Padova ai Carraresi (1389), suscitando la crescente preoccupazione di Firenze, che intuisce di essere nelle sue mire di conquista. Nel 1395 l’imperatore Venceslao IV riconosce ai possedimenti |5| Jean-Auguste-Dominique Ingres, Giovanna d’Arco all’incoronazione di Carlo VII, 1854. Reims, Cattedrale di Notre-Dame de Reims. 6 | sezione 3 | Petrarca e la civiltà dell’Umanesimo | viscontei la dignità di ducato. La signoria si trasforma così in principato e il duca di Milano si impossessa in breve anche di Lucca, Pistoia, Pisa, Perugia, Bologna, ma quando sembra sul punto di muovere l’assalto decisivo contro Firenze, Gian Galeazzo muore, forse di peste o malaria, nel 1402. Svanito il suo potere, il ducato, privo di coesione amministrativa, si sgretola: ai Visconti rimane solo un nucleo di domini lombardi, mentre il resto viene spartito tra Firenze, Venezia e il papato. Già dal 1412, tuttavia, il secondogenito Filippo Maria Visconti si lancerà nell’impresa di ricostituire il ducato milanese del padre. Venezia Prima di ritirarsi ad Arquà, sui colli Euganei, Petrarca trascorre a Venezia gli anni tra il 1362 e il 1370. Ormai letterato famoso in tutta Europa, è ospite della repubblica nel palazzo Morlin e anche qui rincontra Boccaccio nel 1363. Venezia non ha subito la trasformazione in signoria e con la Serrata del Maggior Consiglio |7| del 1297 ha riformato le sue istituzioni repubblicane in senso oligarchico. A prendere le decisioni nel suo massimo organo di governo sono le famiglie storicamente più influenti della sua aristocrazia di origine mercantile. Molto più che ai domini e ai mercati sulla terraferma, gli interessi veneziani sono rivolti ai traffici nel Mediterraneo, in particolare con il Medio Oriente e il mondo musulmano da cui s’importano seta e spezie. Per questo fra Duecento e Trecento il principale antagonista di Ve- |6| Gian Galeazzo Visconti. nezia è Genova e la loro lotta per la supremazia commerciale marittima sfocia in diversi scontri navali. Nel 1378 la flotta genovese penetra nella laguna veneziana e assedia la cittadina di Chioggia; la guerra coinvolge una rete di alleanze e si protrae fino al 1381, concludendosi con la Pace di Torino: Venezia cede Treviso e alcuni territori in Dalmazia, ma mantiene la sua indipendenza e il monopolio sul mare Adriatico. È a questo punto che Venezia, per garantirsi maggiore protezione, si convince di dover ampliare i suoi domini sulla terraferma. Riacquista Treviso nel 1388 e soprattutto approfitta della crisi del ducato milanese dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti nel 1402; s’impadronisce di Verona, poi di Vicenza e Padova scacciando la signoria dei da Carrara, conquista una parte del Friuli e nel 1420 anche Udine, dando vita a un esteso Stato regionale. Firenze La crisi economica, le carestie e le epidemie che affliggono l’Italia trecentesca, oltre a far fallire alcune imprese fiorentine come le case bancarie dei Bardi e dei Peruzzi, acuiscono i già accesi conflitti sociali cittadini, che culminano nel tumulto dei Ciompi del 1378: i lavoratori salariati delle Arti, in prevalenza cardatori della lana, scendono in rivolta e prendono il controllo della città, nominando gonfaloniere di giustizia Michele di Lando, ma il loro tentativo di ottenere diritti e rappresentanza politica costituendo tre nuove Arti del popolo minuto (chiamate Arti del Popolo di Dio) viene presto represso nel sangue. Dal 1382 Firenze viene governata da un’oligarchia di imprenditori, mercanti e banchieri, di cui fanno parte le potenti famiglie degli Albizzi e dei Medici. Non si placano le tensioni sociali, ma Firenze riesce comunque a espandersi annettendo Arezzo nel 1384, Pistoia nel 1401 e Pisa nel 1406. |7| Joseph Heintz der Jüngere, Sala Maggior Consiglio, 1668. Palazzo ducale, Venezia. | Introduzione | Il quadro storico dell’Umanesimo nel Quattrocento | 7 Il quadro storico dell’Umanesimo nel Quattrocento A lla crisi del sistema feudale nel corso del Trecento segue un secolo circa di stagnazione economica, fra 1380 e 1480. È un lungo periodo di lotte egemoniche e rivolte sociali su cui si fonda e costruisce il nuovo assetto degli stati europei, superato il quale l’Europa vivrà, soprattutto nel corso del Cinquecento, una nuova fase di espansione commerciale e miglioramento delle condizioni di vita, seppure in un continente dove le guerre non conoscono interruzione. La formazione dei nuovi Stati europei Per la Francia, il rilancio della produzione agricola, del mercato interno e degli scambi internazionali comincia al termine della guerra dei Cento Anni. Re Luigi XI, salito al trono nel 1461, dopo aspre contese con i potentati nobiliari e in particolare con Carlo il Temerario, duca di Borgogna, riesce ad annettere al dominio della monarchia gran parte del territorio francese, compresi tutti i possedimenti della casa d’Angiò. Alla sua morte, nel 1483, lascia il regno nelle mani del figlio Carlo VIII, che come vedremo > p. 249 | sarà protagonista di una discesa in territorio italiano nel 1494 |8|. Nell’Inghilterra sconfitta, invece, si scatenano ricorrenti tumulti, soprattutto in Galles e in Scozia, e dal 1455 ha inizio una lotta dinastica tra due casati del ramo dei Plantageneti che nel loro emblema araldico hanno una rosa: bianca quella degli York, rossa quella dei Lancaster. È la cosiddetta guerra delle due Rose, che si conclude dopo trent’anni di scontri sanguinosi con l’ascesa al trono nel 1485 di Enrico VII, discendente di una terza casata, quella dei Tudor. Entro la fine del Quattrocento, anche grazie all’appoggio dei ceti borghesi e produttivi, in Francia e in Inghilterra si consolida così il regime monarchico. E una svolta nella stessa direzione avviene in Spagna, grazie al matrimonio tra Ferdinando II il Cattolico, re di Aragona, e Isabella, regina di Castiglia, che nel 1479 unificano i due regni sotto la loro monarchia e nel 1492, dopo un lungo assedio alla capitale, conquistano Granada, ultimo regno musulmano nella penisola iberica. Nel vastissimo territorio dell’impero, organizzato invece come una federazione di Stati, i principi che si riuniscono nella dieta germanica (Reichstag) detengono ampie autonomie e tendono a limitare la libertà d’azione dell’imperatore, che non dispone di un apparato amministrativo e finanziario centrale come quello dei sovrani francesi, inglesi e spagnoli. Sempre più importante, a partire dalla fine del Trecento, è poi il piccolo Stato del Portogallo. Governato dalla dinastia anglo-portoghese degli Aviz, questa striscia di territorio apparentemente ai margini del continente è in |8| Francesco Granacci, Carlo VIII fa il suo ingresso trionfale a Firenze il 17 novembre 1494. Firenze, Museo delle Cappelle Medicee. realtà già fra Trecento e Quattrocento al centro di traffici marittimi tra il Nord e il Sud Europa, oltre che un fondamentale alleato per gli inglesi nelle battaglie sui mari durante la Guerra dei Cento Anni; ma soprattutto, grazie alla sua vocazione navale e mercantile, è un centro di sviluppo tecnologico di nuove imbarcazioni, che partono all’esplorazione dell’Africa e, dopo il 1492, si ritroverà con i porti e le navi nella posizione ideale per salpare verso le Americhe. Ai confini orientali, invece, le truppe turche ottomane del sultano Maometto II conquistano Costantinopoli dopo due mesi d’assedio nel 1453. L’evento segna la fine del millenario impero bizantino e rivela la forza dell’impero ottomano, nel secolo successivo destinato a espandersi anche in Grecia, nei Balcani e in Ungheria, oltre che nel Medio Oriente. Le guerre in Italia fino alla Pace di Lodi (1454) Nel 1412, a soli venti anni, Filippo Maria Visconti dà inzio alla rifondazione del ducato paterno. Riconquista i domini lombardi, occupa Genova nel 1421 e le valli di Domodossola e Bellinzona l’anno successivo, si volge alle città romagnole. Tra Milano, Firenze e Venezia, i tre Stati maggiormente in grado di espandersi fino a costituire entità macroregionali, si disputa allora, per tutta la prima metà del Quattrocento, una lotta egemonica che vede coalizzarsi Firenze e Venezia contro il Visconti, per impedire che estenda i propri domini verso la regione veneta e la Toscana; tuttavia, quando è Venezia a minacciare gli equilibri acquisendo ampi territori nel suo retroterra, durante il dogato di Francesco Foscari, Firenze si stacca dall’alleanza e passa dalla parte di Milano, che dal 1450 è nelle mani del condottiero Francesco Sforza (Filippo Maria Visconti muore nel 1447 senza lasciare eredi). La crisi della dinastia angioina, intanto, consente ad Alfonso d’Aragona, già sovrano della Sicilia e della Sardegna, di impossessarsi anche del regno di Napoli nel 8 | sezione 3 | Petrarca e la civiltà dell’Umanesimo | del poema Inamoramento de Orlando, noto anche come Orlando innamorato, che sarà tra i maggiori letterati del Quattrocento insieme, specialmente, al poeta Angelo Poliziano (1454-1494) > p. 174 |, invece legato alla corte di Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico > p. 225 | |10|. regno d’ungheria confederazione svizzera ducato di savoia Milano Torino ducato di milano rep. di genova princ. di massa rep. di lucca duc. di piombino Corsica (Genova) rep. di venezia Mantova Venezia marc. di mantova impero ottomano ducato di ferrara rep. Firenze di firenze Urbino rep. di siena Zara Ancona stato della chiesa Roma Sardegna (Regno di Aragona) Spalato mar Adriatico regno di napoli rep. di ragusa Manfredonia Bari Napoli Salerno mar Tirreno Cagliari Cosenza Palermo Sicilia (Regno di Aragona) mar Ionio Messina Reggio Catania mar Mediterraneo |9| La suddivisione dell’Italia dopo la Pace di Lodi. |10| Niccolò di Forzore Spinelli, medaglia con l’effigie di Lorenzo il Magnifico, 1490 circa. 1442, unificando sotto la sua corona un vasto regno esteso a tutta l’Italia meridionale. I decenni di battaglie, trattati di pace e riprese dei conflitti si concludono infine con la Pace di Lodi del 1454 |9|: i confini tra Milano e Venezia sono fissati al fiume Adda e per mediazione di papa Niccolò V, preoccupato della minaccia ottomana dopo la caduta di Costantinopoli, si stipula fra le tre potenze la Santissima Lega, un’alleanza aperta a tutti gli Stati «intra terminos italicos» (“entro i confini italiani”). L’Italia della seconda metà del Quattrocento I quarant’anni seguenti la Pace di Lodi, sino alla crisi di fine secolo > Introduzione alla sezione 4, p. 244 |, sono di relativa pace e di rinnovata vitalità culturale e artistica. Oltre al regno di Napoli, allo Stato della Chiesa e agli Stati regionali del ducato di Milano, della repubblica di Venezia e della repubblica di Firenze, la mappa politica dell’Italia comprende vari Stati minori, alcuni particolarmente attivi e importanti nel panorama culturale come il ducato di Ferrara amministrato dalla signoria degli Estensi e il marchesato di Mantova guidato dai Gonzaga. Proprio nell’ambiente della corte di Ferrara opera Matteo Maria Boiardo (1441-1494) > p. 155 |, l’autore La signoria dei Medici a Firenze Il passaggio dalla repubblica oligarchica alla signoria avviene in realtà senza evidenti mutamenti istituzionali, almeno sotto il profilo formale. Nel 1434 il malcontento popolare suscitato dagli scarsi risultati, a fronte di gravi perdite, della guerra antiviscontea permette a Cosimo de’ Medici detto il Vecchio, oppositore dell’oligarchia dominante, di imporsi come autorità in grado di risollevare le sorti dello Stato. Pur senza scardinare il regime repubblicano, Cosimo il Vecchio accentra su di sé il potere, nomina funzionari di fiducia e governa per trent’anni gli affari economici e politici di Firenze, riuscendo effettivamente a inaugurare un’epoca di prosperità. Il suo mecenatismo, inoltre, contribuisce ad abbellire Firenze di molte opere artistiche. Alla sua morte, nel 1464, gli succede il figlio Piero de’ Medici detto il Gottoso, che però muore nel 1469 lasciando l’eredità al primogenito Lorenzo, che ha solo vent’anni ma dimostra presto di avere una notevole abilità politica. Salvatosi da una congiura della famiglia rivale dei Pazzi nel 1478, che costa la vita al fratello Giuliano, Lorenzo conduce una politica diplomatica che mantiene gli equilibri fra gli Stati e garantisce a Firenze altri anni di fervore culturale oltre che economico. Egli stesso letterato di formazione umanista, si circonda, come vedremo, di una corte di umanisti, poeti (fra cui Poliziano > p. 174 | e Luigi Pulci > p. 228 |), artisti e filosofi (Marsilio Ficino > p. 213 |). L’Umanesimo di Petrarca P etrarca può essere considerato alle origini di quella corrente culturale che prende il nome di Umanesimo e che raggiungerà il suo acme nel corso del Quattrocento, creando le condizioni del Rinascimento artistico e letterario in Italia e non solo. L’Umanesimo si caratterizza infatti per una sete di riscoperta dei testi classici, specie della latinità (le humanae litterae), fondata innanzitutto su uno studio volto a stabilire l’autenticità e la correttezza dei testi originali, e che porta a una ripresa e attualizzazione, spesso in rapporto dialettico coi princìpi del cristianesimo, di valori antichi e al contempo nuovi, orientati verso la conoscenza della realtà e dell’uomo visti in quanto tali, nella loro immanenza, più che nei loro risvolti e significati (simbolici, allegorici o figurali) trascendenti. In quest’ot- | Introduzione | Scienza e tecnologia | 9 Scienza e tecnologia Le nuove invenzioni per la stampa e l’editoria Nel secolo dell’Umanesimo, un’innovazione tecnica rappresentò nel modo più evidente l’inizio di una nuova era: la stampa a caratteri mobili, un sistema messo a punto da Johannes Gutenberg (1398-1468). L’orefice di Magonza aveva iniziato a studiare la costruzione di punzoni per caratteri verso il 1440 e nel 1453-1455 stampò la Bibbia latina. Iniziava «l’infanzia della tipografia, prima typographiae incunabula», come fu scritto in un trattato sull’arte tipografica due secoli dopo. E incunabolo viene chiamato ogni prodotto editoriale stampato a caratteri mobili nella seconda metà del Quattrocento. Di quel mezzo secolo si conoscono circa 6500 opere stampate in un migliaio di località, per un totale di 35.000 edizioni: le preziosissime “quattrocentine”. Il torchio per la stampa messo a punto da Gutenberg e la procedura per la preparazione e la fusione dei caratteri rimasero sostanzialmente identici per tre secoli. Un miglioramento si trova in un progetto di torchio di Leonardo da Vinci (1452-1519), ma come tante idee di quel genio non ebbe allora realizzazione pratica. Oltre a inventare il modo per la fusione e il montaggio delle singole lettere che dovevano formare la riga e la pagina, Gutenberg realizzò anche un nuovo tipo d’inchiostro: per aderire ai caratteri metallici, infatti, questo doveva avere caratteristiche chimiche diverse da quelle utili nella stampa xilografica (cioè su matrici di legno). Verso la fine del Quattrocento, la stampa a caratteri mobili era diffusa in tutto l’Occidente ed erano attivi grandi stampatori e creatori di caratteri, come Aldo Manuzio (1449-1515, attivo a Venezia dal 1490), che viene considerato il primo editore in senso moderno. Le esplorazioni oceaniche Autore anonimo Ritratto di Johannes Gutenberg, XVII secolo. Keio University Library. Il torchio di Gutenberg in un’antica stampa. Un altro settore in pieno sviluppo nel XV secolo fu l’esplorazione navale oceanica, supportata da alcune innovazioni tecniche. Protagonisti di questa fase furono i portoghesi, sotto l’impulso di Enrico il Navigatore (1394-1460), figlio del re Giovanni I. I navigatori portoghesi in un primo tempo esplorarono la costa africana fino a Capo Verde. Poi, quando l’espansione ottomana rese difficili alcune rotte nel Mediterraneo orientale verso le Indie, tentarono nuove vie per circumnavigare l’Africa. L’impresa riuscì infine a Vasco da Gama, che nel 1498 riuscì a oltrepassare il Capo di Buona Speranza e a raggiungere le coste indiane. Per la navigazione oceanica i Portoghesi poterono disporre di nuovi modelli di nave, introdotti a metà del XV secolo: una (la caracca) di origine mediterranea, forse genovese; l’altra (la caravella) che ne rappresenta un perfezionamento e che fu messa in mare a Lisbona. La caracca era un veliero con tre o quattro alberi, dallo scafo ampio, la poppa rialzata e piana (non rotondeggiante). La cara- vella era più piccola di dimensioni, più leggera e veloce, dotata di due o tre alberi con un sistema di velatura più efficiente. Fu quest’ultima la protagonista delle lunghe esplorazioni e traversate oceaniche tra XV e XVI secolo: Cristoforo Colombo nel 1492 raggiunse il continente americano con due caravelle (la Pinta e la Nina) e una caracca (la Santa Maria). L’archibugio Anche la tecnologia militare fece progressi. Alla metà del Quattrocento va fatta risalire l’invenzione di una nuova arma da fuoco: l’archibugio. I primi reparti di archibugieri furono utilizzati dal re d’Ungheria Mattia Corvino, impegnato a contenere l’assalto degli Ottomani di Maometto II dopo la caduta di Costantinopoli. Era un’arma ancora rudimentale (la gittata non superava i 50 metri), ma fu oggetto di rapidi progressi e fu destinata a largo uso in tutti i conflitti del secolo successivo, a cominciare dalle guerre d’Italia. Nelle attività produttive Altre innovazioni ebbero ricadute significative sulla vita quotidiana. Ne ricordiamo due. Un nuovo modello di filatoio ad aletta, che permetteva la filatura e il simultaneo avvolgimento del filo, è documentato intorno al 1480 e, come moltissime altre invenzioni, fu oggetto di migliorie in un successivo disegno di Leonardo. Intorno al 1430 gli Olandesi misero a punto il wipmolen, che adibirono al drenaggio dei terreni: era un mulino a vento di piccole dimensioni montato su un palo cavo all’interno del quale passava l’albero di trasmissione che collegava le pale al macchinario posto nella parte inferiore. Umanisti scienziati Sono molti gli esempi della fitta trama di contatti fra umanisti, che erano personalità poliedriche e dedite a studi approfonditi di scienze e tecniche. Da questo crogiolo intellettuale escono, per esempio, gli studi sulla prospettiva e l’architettura di Leon Battista Alberti > p. 204 | intorno alla metà del Quattrocento. Fra i personaggi emblematici dell’epoca ricordiamo Nicola Cusano (1401-1464), filosofo, umanista, matematico, astronomo e al tempo stesso uomo politico e cardinale (fu principe-vescovo di Bressanone). Cusano entrò in contatto con molti studiosi dell’epoca; fra l’altro, mise in dubbio l’autenticità della “Donazione di Costantino”, che in seguito Lorenzo Valla > p. 13 | dimostrò falsa. Si occupò di quadratura del cerchio e di riforma del calendario, disegnò la prima carta dell’Europa centro-orientale. I suoi studi di fisica lo portarono, nel 1430 (nel quarto libro dei Dialoghi dell’idiota, dal titolo “Gli esperimenti di statica”), a progettare un modello di igrometro, per misurare l’umidità dell’aria: si basava sulla variazione di peso di una balla di lana al variare dell’umidità. Anche questo strumento fu migliorato dal “solito” Leonardo, che nel 1500 costruì il suo modello di igrometro meccanico. 10 | sezione 3 | Petrarca e la civiltà dell’Umanesimo | ne di Petrarca su se stesso sia stata oggettitica Petrarca può essere considerato un antivata nell’esame di coscienza in forma di cipatore, se non il vero e proprio iniziatore dialogo tra Francesco e Agostino che è il dell’Umanesimo. Secretum > p. 118 |. Fin dai suoi anni giovanili, infatti, egli Del resto Petrarca ebbe chiara coscienmostra una spiccata tendenza ad approfondiza del suo posto nella terra di mezzo della re le esperienze intellettuali e poetiche delle storia della civiltà italiana, come si intuiopere latine, non per inserirle e giustapporle sce da un passo dei suoi Rerum memorandaentro il tessuto ideologico e culturale domirum libri, nel quale, dopo avere aspramennante nel suo tempo, magari rileggendole te giudicato il proprio tempo, colpevole di come anticipazioni “figurali” della storia saavere smarrito i monumenti della cultura cra, ma piuttosto per riallacciare i legami e della saggezza antica, scrive: «Io, posto spezzati con la civiltà romana e per stabilicome sul confine di due popoli, e guardanre con essa un rapporto di continuità. «Il do insieme a quello che mi sta dietro e a nostro animo», scrive il suo amato Seneca quello che mi verrà innanzi, questo giudinelle Lettere a Lucilio, «vorrei che fosse così: zio non ereditato dai padri, volli trasmesso ricco di capacità, di precetti, di esempi di epoai posteri». che diverse, ma fusi armonicamente insieIl legame di Petrarca con la classicità me». Petrarca sembra quasi ignorare, diversaspiega anche l’importanza nella sua opemente da Dante, il grande spartiacque morara della lingua latina, che egli cerca di le e ideologico costituito dalla rivelazione riportare all’antica eleganza e chiarezza cristiana, convinto com’è che la grandezza e senza però imitarla pedissequamente – universalità dell’anima umana possa accocome avrebbero fatto, nel Quattrocento, munare antichi e moderni. In altre parole, la molti puristi emulatori di Cicerone o di sua convinzione che la coscienza morale sia Virgilio –, per farne lo strumento di una alla base di tutta l’umanità lo porta a ricercare nuova cultura. Il suo latino rimane sì peruna sintesi fra il mondo classico e quello meato di elementi medievali ma, come cristiano, nella quale il primo non sia sempli- |11| Vincenzo Foppa, hanno osservato gli studiosi, si rivela più cemente usato in funzione del secondo, cioè, Sant’Agostino, 1465-1470. Milano, Pinacoteca del Castello ricco, vario e flessibile di quello dantesco. in sostanza, della rivelazione cristiana. Le sue Sforzesco. A Dante, peraltro, Petrarca si rapporta con accanite letture e la sua attività di investigalo sguardo di chi appartiene a un mondo tore, raccoglitore e glossatore di testi classici, infatti, non hanno un carattere meramente erudito e anti- diverso e nuovo, giacché il sommo poeta apparteneva alla quario, ma vanno a innervare profondamente la sua vita generazione a lui precedente, quella di suo padre Ser Peintellettuale e la sua attività letteraria, soprattutto le Fa- tacco, che di Dante fu amico e coetaneo. miliares > p. 130 | e, in misura più mediata, il Canzoniere > p. 31 |; le prime epistole di Petrarca sono indirizzate proprio agli autori latini, in particolare ai suoi prediletti Cicerone, Virgilio, Seneca > Focus, p. 148 |. on il termine Umanesimo si usa indicare il moviFra i poeti, oltre a Virgilio, ama specialmente Orazio, mento intellettuale che, dalla seconda metà del Ovidio e Properzio; fra gli storici Tito Livio e Valerio Trecento e lungo tutto il Quattrocento, propone Massimo, oltre a Quintiliano, maestro dell’arte retorica. i valori dell’antichità classica come modello più alto della Anche nelle sue opere più palesemente classicistiche, l’A- formazione dell’uomo. Se il Medioevo offre una visione frica e il De viris illustribus, si attenua progressivamente religiosa della realtà, l’Umanesimo contrappone un monl’intento celebrativo delle grandezza di Roma e si fa strada do laico e antropocentrico in cui l’ideale primario è la in lui una crescente propensione alla penetrazione psi- dignità dell’uomo che si raggiunge attraverso la valorizcologica e morale dei personaggi che resta la cifra fonda- zazione delle sue virtù intellettive. Grazie all’esercizio di mentale della sua poetica e, in definitiva, del suo Umane- queste virtù l’uomo può controllare se stesso e dominare simo cristiano. Da questo punto di vista, uno dei princi- il mondo che lo circonda. Per esprimere le più nobili quapali punti di riferimento è Agostino (354-430) |11|, uomo lità etiche, egli deve dedicarsi agli studia humanitatis e intellettuale di formazione ellenistico-romana e insie- (espressione ciceroniana che significa “studi relativi me biblico-cristiana, vissuto a cavallo fra due epoche e fra all’uomo”), cioè alla conoscenza delle opere greche e latidue mondi, che affrontò il tormento della conversione ne in quanto espressione di una civiltà insuperata. La letattraverso una meditazione e una autoanalisi interiore tura di queste opere non viene piegata a interpretazioni che non aveva eguali in tutta la letteratura precedente. moralistiche e allegoriche, come nell’epoca precedente, Non è un caso se la più appassionata e sincera meditazio- bensì cerca di coglierne il significato originario. In funzio- I caratteri dell’Umanesimo C | Introduzione | I caratteri dell’Umanesimo | 11 ne di questo obiettivo, il testo deve innanzitutto essere collocato nella giusta prospettiva storico-culturale. Si teorizzano così i presupposti metodologici di una nuova scienza tutta umanistica: la filologia, il cui maggiore esponente nel Quattrocento può essere considerato Lorenzo Valla (1407-1457) > p. 13 |. L’Umanesimo non è un fenomeno di pedissequa imitazione dei classici, che sono visti piuttosto come modelli di un’umanità autentica. Imitarli significa calarli nel presente facendo rinascere un sapere antico che, assumendo forma concreta, è ritenuto indispensabile alla formazione dell’uomo. La teoria dell’imitatio trova massima applicazione nell’opera letteraria e filologica del finissimo umanista Angelo Ambrogini detto il Poliziano (14541494) > p. 174 |, che sostiene la necessità di una docta varietas, cioè l’inserimento in opere moderne di elementi desunti dai classici e ricomposti in modi personali, quasi a formare un nuovo mosaico con vecchi tasselli. Con Poliziano entra in polemica l’umanista Paolo Cortese (1465-1510), il quale propone invece un’imitazione più rigida che si ispiri a un solo modello, Cicerone per la prosa e Virgilio per la poesia. L’educazione dell’uomo e la libera ricerca del sapere sono temi centrali del pensiero umanistico; di qui il tentativo di integrare i precetti della fede cristiana con i principi del pensiero classico che rivalutavano la libertà dell’uomo nell’ambito del sapere e della conoscenza. L’umanista non vuole negare il sentimento religioso cristiano, anzi lo abbraccia con fervore, ma rivendica al tempo stesso l’autonomia della realtà: l’uomo si realizza anche nell’esistenza terrena e nella vita sociale che riesce a forgiare grazie alla sua intelligenza e operosità e deve mirare a un ideale di misura razionale degli impulsi che garantisca un giusto equilibrio interiore. Da questo punto di vista, i testi antichi, che valorizzavano il mondo terreno e la capacità dell’uomo di essere l’artefice del proprio destino (homo faber fortunae suae), sono modelli da cui non si deve prescindere. Nella seconda metà del Quattrocento è la filosofia di Platone che sembra essere la più adatta a coniugare classicità e religiosità cristiana: ne scaturisce un cristianesimo profondamente imbevuto di platonismo, soprattutto grazie al pensiero di Marsilio Ficino (1433-1499) > p. 213 | |12|, una delle personalità più influenti del suo tempo. Nel corso del Quattrocento l’Umanesimo si diffonde dall’Italia in tutta Europa. Uno dei più insigni esponenti dell’Umanesimo europeo è Erasmo da Rotterdam (1466-1536) > p. 217 |. Debitore nei confronti della lezione di Lorenzo Valla, Erasmo caldeggia lo studio dei classici perché ritiene che tali opere debbano costituire la base dell’educazione dell’uomo, senza la quale è impossibile una riforma della società nel suo insieme. Quella proposta da Erasmo è una nuova visione umanisticoreligiosa: egli auspica da un lato la riscoperta del cristianesimo delle origini, dall’altro il recupero dei valori del |12| Domenico Ghirlandaio, particolare dell’affresco Apparizione dell’angelo a Zaccaria, con (da sinistra) Marsilio Ficino, Cristoforo Landino, Angelo Poliziano, Demetrio Greco, 1486-1490. Firenze, Santa Maria Novella, Cappella Tornabuoni. mondo classico (a cominciare dal rispetto della dignità dell’uomo e l’uso della ragione) che, a suo giudizio, non solo non contrastano con la dottrina cattolica, ma possono addirittura sostenerla. La lingua dell’Umanesimo italiano ed europeo nella prima metà del Quattrocento è il latino. Il latino è la lingua della cultura per eccellenza, ma lentamente comincia a essere studiato anche il greco, che nel Medioevo era stato trascurato. Studiare il greco, infatti, significa poter leggere in lingua originale i testi di Omero, Luciano, Teocrito, Platone e Aristotele, ovvero fare tesoro di un patrimonio d’inestimabile valore che giunge dall’antichità. Il desiderio di comprendere a fondo testi sino a ora letti soltanto in traduzione latina spinge alcuni umanisti a imparare anche l’ebraico, utile a cogliere il senso più autentico dei testi sacri. Nella seconda metà del secolo cresce però anche la produzione di opere in volgare che affrontano temi propri dei dibattiti umanistici. Il Quattrocento diviene così il secolo del bilinguismo. Ciò avviene soprattutto grazie all’impegno di Leon Battista Alberti (1404-1472) > p. 204 |, che, oltre a scrivere trattati in volgare, nel 1441 si fa promotore a Firenze di una gara di poesia in volgare, il Certame coronario, e di Lorenzo de’ Medici (1449-1492) > p. 225 | |13|, che fa allestire la silloge poetica a più voci nota con il nome di Raccolta aragonese. I centri del pensiero umanistico U no dei fenomeni più caratteristici della civiltà quattrocentesca è il mecenatismo: il signore si circonda di intellettuali e artisti che con le loro opere offrono diletto e danno lustro alla corte. Così le signorie diventano veri e propri centri culturali in cui si praticano le arti, la poesia, la filosofia, le scienze. La letteratura gode di grande considerazione in quanto è ritenuta alla base della formazione dell’individuo, senza la quale non può raggiungere l’elevatezza spirituale ne- 12 | sezione 3 | Petrarca e la civiltà dell’Umanesimo | temi, anch’essi di origine classica, quali la fugacità del tempo e l’instabilità della fortuna (De varietate fortuna, De infelicitate principum, De miseria umane conditionis). Tra Roma e Firenze opera uno dei più grandi interpreti del pensiero umanistico, Leon Battista Alberti, autore degli importanti Libri della famiglia. Alberti si colloca Firenze: dall’Umanesimo civile alla corte in una fase di passaggio della cultura del primo Umanedi Lorenzo il Magnifico simo – in cui predomina lo studio e l’imitazione dei clasIl primo Umanesimo fiorentino tende a conciliare l’atti- sici – verso un’età più matura, coincidente con la fiorituvità filologica di studio dei manoscritti classici con un ra del primo Rinascimento letterario e artistico. Anche attivo impegno civile. I maggiori rappresentanti di que- le sue scelte linguistiche testimoniano questa tendenza: sto “Umanesimo civile” sono tre intellettuali impegna- Alberti inizia a scrivere in latino, come tutti gli umaniti in politica in qualità di cancellieri: Coluccio Salutati sti, ma presto sviluppa una produzione in volgare, lin(1331-1406) e i suoi discepoli Leonardo Bruni (1370- gua che difende strenuamente e che acquisterà dignità 1444) e Poggio Bracciolini (1380-1459) > p. 199 |. sempre maggiore anche nelle dotte disquisizioni filosoSalutati, che ha fra l’altro il merito di scoprire le Let- fiche. Con Alberti ha così inizio la prima stagione deltere familiari di Cicerone, è un grande sostenitore l’“Umanesimo volgare”. dell’impegno dell’intellettuale nell’azione pubblica e Con Lorenzo il Magnifico, mecenate eclettico e grandel primato della volontà sulla ragione; è quindi una de sostenitore di ogni forma culturale e artistica, la corte figura fondamentale del passaggio dal nascente Umane- di Firenze raggiunge il suo massimo splendore. Durante simo a quello maturo del pieno Quattrocento. L’aretino l’età laurenziana la città diviene il polo d’attrazione di tutBruni, traduttore di molti classici greci, è tra i più fervidi ti gli intellettuali italiani e non solo. Legati alla corte meammiratori e divulgatori degli antichi. Si dedica soprat- dicea sono umanisti quali Marsilio Ficino, Poliziano, i tutto alla ricerca storiografica, condotta con grande cui studi filologici diventano presto inappuntabili moscrupolo critico, che sfocia nella pubblicazione delle delli di riferimento, e il suo amico Giovanni Pico della monumentali Historiae fiorentini populi e dei Commentarii Mirandola (1463-1494), stimato da molti intellettuali rerum suo tempore gestarum. Bracciolini, che diviene can- europei, a cominciare da Erasmo da Rotterdam e Tomcelliere della repubblica dopo essere stato al servizio del- maso Moro (1478-1535). la curia pontificia, è scopritore di importanti opere Pico della Mirandola mira a una sorta di ecumenismo antiche, fra cui dieci orazioni di Cicerone, le Silvae di filosofico oltre che religioso, cioè crede in una filosofia Stazio, il De rerum natura di Lucrezio, il De architectura di universale che nasca dall’accordo fra le varie fedi e fiVitruvio. Egli polemizza soprattutto contro l’ozio con- losofie, in quanto tutte accomunate dalla ricerca di una templativo dei religiosi (nell’opera Contro hypocritas) in “sapienza originaria”, come si legge nelle sue Conclusioquanto considera il lavoro espressione della virtù e della nes philosophicae, cabalisticae et teologicae (“Conclusioni fivera nobiltà dell’uomo (De nobilitate). La sua riflessione losofiche, cabalistiche e filosofiche”). Un’altra sua opera assume toni sempre più malinconici, abbracciando degna di nota è l’Oratio de hominis dignitatae (“Discorso sulla dignità dell’uomo”) divenuta quasi un “manifesto” dell’Umanesimo: l’uomo, posto al centro dell’universo, non ha una natura determinata a priori ma, avendo ricevuto da Dio il dono del libero arbitrio, può agire in base alla sua volontà e così “plasmare” la propria esistenza. Presso la corte medicea opera anche il poeta Luigi Pulci (1432-1484) > p. 228 |, autore di uno dei poemi di maggiore successo del secolo, il Morgante. Pulci, tuttavia, occupa una posizione a sé, essendo privo di una formazione rigorosamente umanistica e pure distante dalle suggestioni neoplatoniche che, grazie al magistero di Marsilio Ficino, si vanno affermando nella cerchia laurenziana. Ereditando gli estrosi insegnamenti di uno dei |13| Ottavio Vannini, Lorenzo il Magnifico fra gli artisti, XVII secolo. Firenze, Museo degli Argenti. più rappresentativi poeti giocosi del cessaria alla vita di corte. I letterati costituiscono quindi un gruppo elitario, depositario dei valori alti della civiltà. Questi uomini di lettere sono ammirati e ricercati, per cui spesso viaggiano di corte in corte attraversando vari centri culturali italiani ed europei. | Introduzione | I centri del pensiero umanistico | 13 Quattrocento, il fiorentino Domenico di Giovanni detto il Burchiello (1404-1449) > p. 222 |, Pulci dà voce a una letteratura divertita, di tono popolaresco. Ferrara Tra il Quattrocento e il Cinquecento la corte di Ferrara, sotto il controllo della famiglia degli Estensi, è uno dei principali centri di produzione letteraria e artistica grazie soprattutto al mecenatismo del duca Ercole I. A questa corte saranno legati Boiardo > p. 155 |, Ariosto > p. 499 | e Tasso > p. 621 |. Roma opponendosi alla componente ascetica e piuttosto ispirandosi alla filosofia epicurea. Lo scritto più celebre di Valla è l’opuscolo De falso credita et ementia Constantini donatione (“La falsa donazione di Costantino”, 1440): con un serrata indagine storica e filologica, Valla dimostra che il documento che legittimava il potere temporale della Chiesa in quanto lascito dell’imperatore Costantino è un falso composto in età medievale. Nell’Italia centrale opera un poeta estraneo alle grandi dispute filosofiche umanistiche, che sa però offrire un modello lirico a cui si ispireranno innumerevoli poeti: Giusto de’ Conti (1379 circa-1449) > In digitale |, autore della raccolta di liriche La bella mano modellata sul Canzoniere di Petrarca. Giusto de’ Conti è il primo poeta del secolo a codificare un modello di imitazione petrarchesca che godrà di enorme fortuna nel corso del Quattrocento e soprattutto nel Cinquecento. La Roma dei pontefici è un altro centro importante della nuova cultura umanistica. A corte si impone il tema della conciliazione tra i principi teologici cristiani e i valori laici della classicità. La città annovera numerosi intellettuali e studiosi sia ecclesiastici sia laici: |14| Pinturicchio, Enea Silvio incoronato poeta Enea Silvio Piccolomini (1405- dall’imperatore Federico III, 1502–1507. Siena, Libreria Piccolomini presso la Cattedrale di Siena. 1464) |14|, asceso al soglio pontificio col nome di Pio II, che rende la curia romana un centro culturale di rilievo, Flavio Napoli Biondo (1392-1463) e Lorenzo Valla (1407-1457), uno Nel corso del Quattrocento Napoli, passata dal 1442 sotdei più autorevoli interpreti della cultura umanistica. to il dominio aragonese, è ancora un importante centro Biondo dedica la sua vita alla ricerca archeologica e culturale, benché abbia perduto parte dello splendore storiografica. Il suo obiettivo è quello di restaurare l’an- che aveva raggiunto durante il regno angioino nel Tretico aspetto della città eterna. A lui si deve la pubblica- cento. Nella prima metà del secolo il più rappresentativo zione di tre guide documentate alle rovine dell’antica intellettuale operante a Napoli è Antonio Beccadelli Roma (un pionieristico studio di archeologia) e il primo (1394-1471) detto il Panormita, dalla città di nascita, Pasistematico studio storico sul Medioevo con i 32 libri lermo. Dopo la sua morte emerge un umanista di notevodelle Historiarum ab inclinatione Romanorum imperii deca- le livello, Giovanni Pontano (1429-1503), che dirige l’Acdes (“Le decadi storiche dal declino dell’impero roma- cademia fondata dal Panormita su incarico del re e che da no”), scritto fra il 1448 e il 1458, in cui ricostruisce la lui prenderà il nome di “pontaniana”. Pontano è autore di storia europea dalla caduta dell’Impero romano d’occi- trattati etico-politici, storici e astrologici, ma anche di tedente al Quattrocento. sti letterari. All’interno dell’Accademia pontaniana si Valla, poco più che ventenne, lascia Roma e soggior- forma uno dei maggiori poeti dell’Italia meridionale, Jana a Pavia, Milano, Genova e Firenze; dal 1435 è a Napo- copo Sannazaro (1456-1530) > p. 234 |. E sempre legato a li, dove ricopre il ruolo di segretario presso la corte di Pontano e alla corte aragonese è uno dei più dotati narraAlfonso d’Aragona. Nel 1448 torna a Roma, dove di- tori del secolo, Masuccio Salernitano (1410-1475), autoventa segretario apostolico e insegnante di eloquenza. re di una raccolta di cinquanta novelle dal titolo Novellino. Con Valla la filologia e gli studia humanitatis diventano uno strumento critico indispensabile per la fondazione della moderna storiografia. Il pensiero antico gli offre In digitale una fondamentale chiave di lettura dei valori acquisiti Giusto de’ Conti. della tradizione culturale e teologica cristiana. Valla si La vita e le opere impegna in ogni campo del sapere per indagare la realtà La bella mano in tutti i suoi aspetti a prescindere dai dogmi religiosi, 14 | sezione 3 | Petrarca e la civiltà dell’Umanesimo | Le arti figurative Nel campo delle arti figurative, per Rinascimento si intende la nuova concezione dell’arte che si afferma a Firenze nei primi due decenni del Quattrocento e che, irradiandosi in altri centri della Penisola, raggiunge la sua piena maturità nei primi decenni del Cinquecento. Il termine, che implica un’idea di progresso e di miglioramento, già nella coscienza dei contemporanei si configurava come ritorno allo splendore dell’epoca romana classica dopo la decadenza dei secoli successivi, proprio per questo definiti “medioevo”, cioè “età di mezzo”. In quest’ottica l’arte rinascimentale si manifesta anche come riscoperta dell’antico, delle forme e dei modi dell’arte e dell’architettura classiche. Brunelleschi Nel corso di questo processo gli artisti prendono coscienza del proprio valore sociale e intellettuale, ossia del loro consapevole affrancamento dalle arti dette “meccaniche” a quelle tradizionalmente dette “liberali”. La prima generazione di artisti del Rinascimento è rappresentata soprattutto da Filippo Brunelleschi (1377-1446), Masaccio (1401-1428) e Donatello (1386 ca-1466), rispettivamente nei campi dell’architettura, della pittura e della scultura, insieme ad altre personalità importanti fra cui Jacopo della Quercia (1380 ca-1438) e Lorenzo Ghiberti (1378-1455). Brunelleschi è considerato il padre della vera, grande “invenzione” del Rinascimento, la prospettiva. Grazie ai suoi studi e, più tardi, alla sistematizzazione teorica di Leon Battista Alberti > p. 204 | e di Piero della Francesca, la rappresentazione dello spazio tridimensionale non si basa più sulle intuizioni soggettive del pittore, ma diventa una scienza autonoma, fondata su regole certe stabilite a priori. Dopo gli esordi come scultore, Brunelleschi si reca nel 1402 a Roma, dove, vivamente impressionato dagli edifici della classicità, concentra i suoi interessi sull’architettura. A partire dai primi anni Venti del secolo progetta la colossale cupola del Duomo di Firenze, elaborando una nuova tecnica che gli consente di elevare l’intera cupola senza strutture di sostegno e gettando così le basi dell’architettura rinascimentale. Egli, inoltre, formula le leggi della visione prospettica tridimensionale e, quindi, della corretta e proporzionata collocazione delle figure entro lo spazio che le contiene, disegnando due tavolette con vedute di edifici fiorentini (andate perdute ma descritte dai contemporanei). Grazie a questa visione razionale dello spazio, in cui ogni parte è armoniosamente proporzionata al tutto, nel suo lavoro di architetto si lascia alla spalle il decorativismo tardogotico e realizza opere di grande limpidezza ed equilibrio formale, dal portico dello Spedale degli Innocenti alla Cappella de’ Pazzi in santa Croce, forse l’esempio supremo della sua arte. Masaccio Nel campo della pittura, l’autore più rivoluzionario è Masaccio (soprannome peggiorativo di Tommaso), che pure morì precocemente a soli ventotto anni. Le sue opere dovettero certamente stupire i fiorentini per la solidità costruttiva dello spazio e delle figure, ben lontana dalla grazia delicata e dalle linee fluenti del gotico internazionale e caratterizzata invece da una statuaria solennità, unitamente ad accenti di maggiore sincerità e autenticità umana. Questo si vede ad esempio nella Santissima Trinità (Santa Maria Novella, Firenze), un affresco con la Vergine e san Giovanni ai piedi della Croce, e nel ciclo della Cappella Brancacci (Santa Maria del Carmine, Firenze) dedicato alle Storie di Pietro e al Peccato originale. Gli episodi delle Storie di Pietro sono collocati in tre fasce sovrapposte secondo un’impostazione prospettica “brunelleschiana” che regola anche le cornici e i pilastrini che inquadrano le scene; fra questi episodi, spicca il Pagamento del tributo. La sequenza delle scene va letta dal centro a sinistra e poi a destra, poiché al centro sta la scena di maggiore rilevanza narrativa e religiosa (Cristo, circondato dagli Apostoli e dal gabelliere, ordina a Pietro di pagare il “tributo”, indicandogli dove troverà la moneta). La solidità fisica dei personaggi, l’intensità dei loro sguardi, come pure l’essenzialità del paesaggio unita alla rigorosa costruzione prospettica, mostrano una severità morale e, al contempo, una naturalezza di ascendenza classica che non avevano precedenti nella pittura europea. In questo affresco è da notare anche un aspetto interessante, apparentemente solo tecnico, ma in realtà di grande rilevanza compositiva e simbolica: il punto di fuga verso cui convergono le linee orizzontali (e dove quindi, in sostanza, converge lo sguardo dello spettatore) coincide con il volto di Cristo. Donatello Le opere di Donatello si inseriscono nelle medesima temperie culturale, benché questi tenda, rispetto a Masaccio, a conferire ai personaggi una più spiccata tensione drammatica, come si vede già nel San Giorgio, scultu- | Introduzione | Le arti figurative | 15 Anonimo, Veduta di città ideale, fine del XV secolo. Urbino, Galleria Nazionale delle Marche. Masaccio, Il tributo, 1424-1428. Firenze, Chiesa del Carmine, Cappella Brancacci. ra realizzata per una nicchia di Orsanmichele. Sotto l’apparente compostezza, infatti, la figura del santo guerriero esprime, per la torsione del busto rispetto alle gambe e l’espressione accigliata, una profonda tensione, oltre che una evidente connotazione eroica. Per tali ragioni, il San Giorgio è divenuto una delle “icone” dell’idea di uomo rinascimentale. Su questa linea si possono collocare altre due celebri sculture di Donatello, il David del Bargello, che richiama la statuaria classica, e il monumento equestre del Gattamelata (Padova), ispirato al Marco Aurelio del Campidoglio e primo di una lunga serie di monumenti civili (fra cui un altro capolavoro “equestre”, il Colleoni del Verrocchio, a Venezia) che da allora cominciarono a imporsi nelle piazze d’Italia. Per quanto riguarda invece la rappresentazione dello spazio, altre sue opere possono essere lette come punti di partenza di quella medesima linea evolutiva che abbiamo già visto in Brunelleschi e in Masaccio; fra queste, i bassorilievi Liberazione della principessa dal drago (Orsanmichele, Firenze), il Banchetto di Erode (fonte battesimale, Siena) e il Miracolo per il figlio pentito (basilica di sant’Antonio, Padova). Davvero impressionante, in queste opere, è il modo in cui Donatello è riuscito a creare, in bassorilievi di pochi millimetri di spessore, eccezionali effetti di dilatazione spaziale e di profondità entro organismi coerenti e unitari. Mantegna e Piero della Francesca Fra le grandi personalità artistiche delle generazioni immediatamente successive, vanno ricordati soprattutto – per l’eccellenza delle loro opere e per il ruolo che essi hanno rivestito nel processo evolutivo dell’arte rinascimentale – altri quattro grandi artisti, tutti più o meno legati ad altrettanti centri di produzione culturale quattrocenteschi: Andrea Mantegna (1431-1506) a Padova e a Mantova, Piero della Francesca (1416-1492) a Urbino, Sandro Botticelli (1445 ca-1510) a Firenze, e Giovanni Bellini (1433 ca-1516) a Venezia. Un altro centro di notevole importanza nel Quattrocento è Ferrara, dove operano i pittori della cosiddetta “officina ferrarese”, Cosmè Tura, Ercole de’ Roberti e Francesco del Cossa, nei quali più forte resta il legame con le preziosità decorative tardogotiche. Soffermiamoci, in particolare, su Mantegna e su Piero. Mantegna si forma a Padova nella bottega dello Squarcione, assai rinomata al tempo ed erede di quel gusto antiquario che già nel Trecento aveva caratterizzato la cultura patavina (basti ricordare la presenza di Petrarca) e che si era espresso fra l’altro nella raccolta di anticaglie: medaglie, placchette, calchi, rilievi, statue e così via. Mantegna si forma dunque in questo ambiente e, nella Cappella degli Ovetari (Padova), dipinge le scene della leggenda di San Giacomo (purtroppo in gran parte andate distrutte durante la seconda guerra mondiale). In una di esse, San Giacomo si reca al supplizio, emerge in modo evidente il suo spiccato gusto storico-archeologico: la porta della città, in ardito scorcio prospettico dal basso, è un arco di trionfo romano, i personaggi sono drappeggiati all’antica, i soldati indossano la lorica, la tipica corazza dei legionari romani. La scena è costruita con notevole abilità teatrale: prima del supplizio, il Santo si sofferma a benedire un devoto inginocchiato, mentre un soldato solleva la mano in segno di rispettosa ammirazione e un altro respinge un uomo fra la folla che si accalca. Nel 1460 Mantegna si trasferisce a Mantova, dove diviene presto pittore ufficiale della corte dei Gonzaga e dove, a eccezione di qualche soggiorno in Toscana e a Roma, resterà fino alla morte. Qui egli porta avanti sia la tendenza all’illusionismo prospettico dei toscani, sia il gusto archeologico padovano, fondato su una ricca documentazione visiva e letteraria, piegandole all’intento di celebrare i suoi illustri mecenati. Nascono così la Camera picta, o Camera degli sposi, nella quale una sala del Palazzo Ducale si apre illusionisticamente verso un porticato che a sua volta dà sulla campagna circostante, punteggiata di prati, colline, castelli e torri, e i Trionfi di Cesare, commissionati dal duca Francesco, dove le immagini dei trionfi antico-romani alludono chiaramente a quelle dei Gonzaga. Piero della Francesca, invece, opera a Firenze, ad Arezzo e a Urbino, il centro principale della cultura matematica del tempo. Piero padroneggia in sommo grado l’arte prospettica, tanto da scrivere il più rigoroso manuale quattrocentesco in materia, il De prospectiva pingendi, ma rivela il suo genio anche nel trattamento della luce. Lo si vede bene nel Sogno di Costantino, affresco appartenente al ciclo della Leggenda della vera Croce (Arezzo), dove i chiaroscuri contribuiscono a esaltare l’illusione della profondità. Ma lo si nota anche, sia pure in modi diversi, nella Flagellazione (Urbino): qui la luce chiarissima, di una qualità astratta, non naturale, conferisce all’opera un senso di sospensione temporale, come di un modo sublimato, sacrale. 16 | sezione 3 | Petrarca e la civiltà dell’Umanesimo | Francesco Salviati (attribuito), Ritratto di Giovanni Rucellai, XV secolo. Firenze, Collezione Rucellai. Leon Battista Alberti, facciata della Basilica di Santa Maria Novella, 1458-1460. Firenze. Molti elementi accomunano il mercante fiorentino Giovanni Rucellai e il grande umanista e architetto Leon Battista Alberti > p. 204 |. Entrambi patirono un lungo periodo di malasorte, in quanto membri di famiglie invise ai Medici; ma per questo entrambi ebbero occasione di viaggiare a lungo e fermarsi a Roma, dove poterono visitare le antichità romane e approfondire in modo intelligente e dettagliato la conoscenza delle sue architetture. Tutti e due furono interessati al ruolo civile della famiglia e identificarono in essa il primo nucleo fondante della società e dell’uomo virtuoso. Alberti scrisse in gioventù il trattato in forma di dialogo Della famiglia, mentre Giovanni Rucellai, a partire dal 1457, cominciò a comporre lo Zibaldone Quaresimale, una raccolta di riflessioni, consigli e ammaestramenti per i suoi discendenti, quindi a uso privato. Per tutta la vita Giovanni continuò ad annotare nello Zibaldone ciò che riteneva utile: il governo della famiglia, l’arte del commercio, dettagli sui possedimenti, sulla storia degli antenati, notizie di vita politica fiorentina... Ma anche passi tratti da autori antichi, filosofi, riflessioni morali e descrizioni di edifici (soprattutto quelli dell’antichità visti durante il suo viaggio a Roma). Lo Zibaldone è quindi una raccolta enciclopedica che delinea il ritratto di un grande uomo del suo tempo, mercante e mecenate inserito nella vita della sua città. Così scrive, fra l’altro, in un passo dell’opera: «...due cose principali sono quelle che fanno gl’uomini in questo mondo: la prima lo ‘ngienerare, la seconda l’edificare». E in qualità di figura esemplare di mecenate, Rucellai progettò un programma edilizio di grande prestigio, che mostrasse nella sostanza e nella forma la sua partecipazione alla cultura umanistica e cristiana della Firenze del tempo, la sua adesione alla politica e alle sorti della famiglia medicea (alla quale, nel frattempo, si era legato attraverso il matrimonio del figlio Bernardo con Nannina, figlia di Piero de’ Medici) e la consapevolezza del suo alto contributo alla vita cittadina. Per l’attuazione di questo progetto fu fondamentale l’incontro con Alberti, le cui idee Rucellai condivise pienamente. A lui affidò il compito di progettare il palazzo di famiglia, in via della Vigna, la cappella di famiglia nella vicina chiesa di San Pancrazio, che doveva contenere la replica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, e l’edificazione della facciata della chiesa di Santa Maria Novella, la grande basilica che si trovava nel rione dei Rucellai e che era sede della potente comunità domenicana; qui, pochi anni prima, in occasione del concilio del 1439 tra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente, era stato ospitato papa Eugenio IV, al cui seguito si trovava anche il giovane Alberti, nel ruolo di abbreviatore apostolico (cioè colui che redigeva i discorsi pubblici degli alti prelati, le lettere del papa e le sue disposizioni inviate ai vescovi, dette appunto “brevi”). Alberti godeva quindi di grande fama e prestigio a Firenze, presso letterati e umanisti: tra l’altro, qui aveva istituito, nel 1441, il Certame coronario, una gara di poesia in volgare patrocinata da Piero de Medici; e qui aveva scritto il De familia e il De pictura, prima in latino, poi in volgare. Per tutti e tre gli edifici – il palazzo, il sepolcro e la facciata di Santa Maria Novella – Alberti usa lo stesso geniale linguaggio, adattato alle diverse esigenze. Il palazzo di via della Vigna fu costruito ex novo da Rucellai, comprando diverse case lungo la strada piut- tosto angusta. Alberti parte dal modello illustre e recente di Palazzo Medici, che era diventato il prototipo imprescindibile del palazzo fiorentino, caratterizzato dalla tripartizione in fasce orizzontali, dal cornicione molto aggettante, dall’uso delle bugne come rivestimento, e dall’inserimento del sedile per accogliere i concittadini. Tuttavia trasforma tutti questi “ingredienti” rileggendoli attraverso una continua citazione di modelli antichi: introduce le paraste su tutti e tre i livelli, ornate da capitelli che riprendono gli ordini classici, e le finestre archivoltate, proprio come avviene nel Colosseo e nella Basilica Emilia, che sia Alberti sia Rucellai avevano ammirato a Roma; qui però in forma come appiattita, disegnata. Anche il basamento che sta dietro al sedile è una citazione raffinata della | Introduzione | Il mercante fiorentino Giovanni Rucellai | 17 Leon Battista Alberti, Palazzo Rucellai, 1452. Firenze. Leon Battista Alberti, Tempietto del Santo Sepolcro, 1461-1467. Firenze, Chiesa di San Pancrazio, Cappella Rucellai. muratura ad opus reticulatum romano, in realtà solo inciso sui lastroni di pietra. A differenza di tutti gli altri palazzi fiorentini, Alberti non usa bugne vere, ma disegna un rivestimento che si appoggia sul palazzo, creando un effetto a “incrostazione”, che verrà ripreso nelle sue successive opere per Rucellai e che risulta meno invasivo rispetto alla strada. La cappella funeraria nella chiesa di San Pancrazio fu progettata a partire dal 1448 e conclusa nel 1467, come recita l’iscrizione sul sacello. Oltre alla “replica simbolica” del Tempietto del Santo Sepolcro, doveva contenere il sarcofago di Rucellai. La cappella è un nitido vano rettangolare che ricorda le coeve architetture fiorentine di Brunelleschi; è coperta da una volta a botte delimitata da una cornice in pietra serena, come in pietra serena sono le paraste corinzie che scandiscono le pareti. Al centro della cappella è il sacello, che riprende in modo essenziale le forme del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Alberti struttura la piccola architettura proprio come un tempio in miniatura, e si serve delle proporzioni romane, seppure ridotte. Tuttavia riveste le superfici con incrostazioni marmoree bianche e verdi che richiamano palesemente la tradizione romanica fiorentina del Battistero e di San Miniato. Anche le due iscrizioni incise sul tempietto ricordano le litterae lapidariae dei monumenti romani, ma mentre una è l’iscrizione dedicatoria e celebrativa di Rucellai, l’altra cita un passo del Vangelo di Marco, ricordando come l’opera sia un anelito alla comune resurrezione delle anime, a cui ogni cristiano aspira. Così come le decorazioni delle specchiature marmoree e delle lesene alludono a Salomone. La basilica di Santa Maria Novella, come molte chiese fiorentine, ai primi del Quattrocento non aveva ancora una facciata compiuta. Ciononostante, era il fulcro del grande convento domenicano; aveva ospitato papa Eugenio IV e il suo seguito durante il concilio del 1439; molte nobili famiglie fiorentine avevano lì le loro splendide cappelle, decorate dai più grandi artisti. Giovanni Rucellai nel 1448 destinò le rendite dei suoi possedimenti a Poggio a Caiano per finanziare un progetto ambiziosissimo: completare la facciata della chiesa, «all’onore di Dio, all’onore della città e a memoria di me». Certamente in questa impresa era confortato dall’appoggio dei Medici, in particolare ancora una volta dal “consuocero” Piero, che infatti verrà ampia- mente omaggiato dagli inserimenti delle sue imprese nella decorazione. Alberti dovette affrontare svariati problemi, dovuti alle parti già esistenti su questa facciata e non amovibili, vista la loro valenza storica: innanzi tutto le tombe gotiche di illustri fiorentini, decorate da marmi bianchi e verdi; poi le porte e il grande finestrone circolare. L’idea fu quella di “dominare” tutte queste preesistenze attraverso un’”ossatura” che avrebbe dato unità all’insieme: i due grossi pilastri angolari, decorati a fasce bianche e verdi, richiamavano gli avelli gotici, ma cambiarono le proporzioni della facciata, che fu così inscritta in un quadrato, unità di misura anche per le parti interne; le quattro colonne con capitelli corinzi sono la “spina dorsale” che sostiene un primo cornicione, lungo il quale sfilano le vele rigonfie, impresa araldica dei mercanti Rucellai, baciati dal vento della buona fortuna. Il grande portale al centro evoca archi di trionfo romani, ma anche le piccole architetture del primo Rinascimento fiorentino, come il tabernacolo di Michelozzo a San Miniato al Monte. Le specchiature marmoree della parte superiore richiamano in modo esplicito il Battistero e soprattutto la facciata di San Miniato al Monte, che «tutti i giorni l’Alberti saliva su erto a salutare». La facciata è chiusa in alto da un potente timpano, molto aggettante, sotto il quale scorre l’ambiziosa iscrizione dedicatoria e dentro il quale splende il sole-bambino simbolo tomistico caro ai Domenicani, e, secondo gli scritti di Marsilio Ficino > p. 213 |, richiamo di Cristo bambino figlio di Maria a cui era dedicata la Basilica. La parte superiore con frontone, iscrizione e quattro paraste ricorda poi la fronte del Pantheon a Roma. L’intervento di Alberti per il compimento del progetto di Rucellai va dunque letto alla luce della sua esperienza di grande conoscitore dell’architettura, studioso di testi antichi, interprete innovativo della classicità: «camaleonta» lo definì l’umanista e suo grande amico Cristoforo Landino (1424-1498), capace quindi di risolvere ardui problemi architettonici adattando le forme preesistenti alle nuove esigenze, attraverso il rimando agli illustri esempi della tradizione romanica fiorentina, attraverso l’uso innovativo e dettagliato del linguaggio architettonico antico e l’omaggio al suo committente e al pensiero filosofico e religioso rinascimentale. 18 | sezione 3 | Petrarca e la civiltà dell’Umanesimo | Mappa dei contenuti Petrarca e l’Umanesimo DA PETRARCA AL PRIMO UMANESIMO FRANCESCO PETRARCA (1304-1374) è considerato il grande anticipatore dell’Umanesimo. La sua opera è incentrata sulla riscoperta della cultura della classicità FIRENZE SECONDO UMANESIMO Con LORENZO DE’ MEDICI detto il Magnifico (14491492) Firenze diventa la patria della nuova POESIA IN VOLGARE ROMA La ROMA PAPALE costituisce uno dei terreni più fertili allo sviluppo della cultura umanistica: un fervore di studi che vede protagonisti anche papi e cardinali NAPOLI L’influenza dell’Umanesimo di Petrarca, che frequenta la corte napoletana di Roberto d’Angiò, resta limitata alla fase angioina: l’UMANESIMO NAPOLETANO è aragonese > Polo di attrazione per gli umanisti italiani è la corte di un grande mecenate, ALFONSO V IL MAGNANIMO (1396-1458), il re aragonese insediatosi sul trono di Napoli dopo la cacciata degli angioini nel 1443 UMANESIMO EUROPEO Con qualche ritardo L’UMANESIMO RAGGIUNGE IL RESTO D’EUROPA a partire dai Paesi di area slava e dal mondo bizantino per poi fiorire in Francia, Germania, Inghilterra > Anche l’area bizantina è investita dalle correnti dell’Umanesimo: EMANUELE CRISOLORA (1350-1415), erudito costantinopolitano, è protagonista della rinascita dei classici greci > Petrarca riprende e attualizza le fonti antiche, stabilendo con la letteratura di autori quali Cicerone, Livio, Orazio, Ovidio, Virgilio un rapporto di continuità > > 1300-1370 FRANCESCO PETRARCA (1304-1374) EVENTI I principali eventi storici 1309 La sede papale di Le sue opere latine in dialogo con i classici e la sua ricerca di una lingua poetica su cui fondare il nuovo classicismo volgare rivelano una sensibilità umanistica Le RIME del BURCHIELLO (1404-1449) rappresentano una rinascita della poesia comico-realistica e giocosa Apre la stagione umanistica l’opera monumentale di LORENZO VALLA (1407-1457), che recupera la lezione petrarchesca e dà avvio allo studio filologico sui testi sacri 1300/1400 I principali autori trattati nei prossimi capitoli > 1380 > La storiografia basata sul riscontro documentario trova compiuta espressione grazie all’erudito FLAVIO BIONDO (1392-1463), la cui opera ROMA INSTAURATA apre la via all’antiquaria 1390 1400 POGGIO BRACCIOLINI (1380-1459) LEON BATTISTA ALBERTI (1404-1472) Clemente V si trasferisce da Roma ad Avignone 1337 Ha inizio la Guerra dei Cento Anni tra Francia e Inghilterra 1349 Inizia il governo di Giovanni Visconti a Milano 1356 Bolla d’oro di Carlo IV. 1377 La curia pontificia lascia Avignone e fa ritorno a Roma con Gregorio XI 1378 Tumulto dei Ciompi. Scisma d’Occidente 1381 Pace di Torino: Venezia cede alcuni territori ma mantiene l’indipendenza e il monopolio sull’Adriatico 1395 L’imperatore Venceslao IV riconosce Gian Galeazzo Visconti duca di Milano 1414-1418 Concilio di Costanza | Introduzione | Mappa dei contenuti | 19 A POGGIO BRACCIOLINI (13801459), umanista che percorre l’Europa in qualità di segretario apostolico, si deve il ritrovamento di importanti manoscritti latini (Cicerone, Lucrezio, Quintiliano, Stazio) > Un posto a sé nella corte medicea spetta al poeta LUIGI PULCI (1432-1484), autore del primo poema eroicomico, cui guarderà MATTEO MARIA BOIARDO (1441-1494), attivo alla corte ferrarese degli Estensi, nel comporre il nuovo poema cavalleresco rinascimentale > 1410 In LEON BATTISTA ALBERTI (14041472), uno dei più grandi interpreti del pensiero umanistico ma anche iniziatore dell’Umanesimo volgare, il dialogo serrato con gli antichi diviene vitale e nutre l’intera vicenda creativa > > > A MARSILIO FICINO (1433-1499), che nel 1462 fonda l’Accademia neoplatonica, si deve la formulazione più alta del platonismo e la riscoperta della tradizione ermetica che informano la cultura della corte laurenziana Intorno alla metà del Quattrocento PAPA NICCOLÒ V mette insieme il primo nucleo della Biblioteca Apostolica Vaticana, mentre con il CARDINALE BESSARIONE, che cede la propria biblioteca ricca di testi greci a Venezia, inizia a prendere forma la Biblioteca Marciana > Protagonista del nuovo clima culturale che anima la reggia di Castelnuovo è GIOVANNI PONTANO (1429-1503), che guida il cenacolo dell’Accademia Pontaniana > In area tedesca è attivo NICCOLÒ CUSANO (1401-1464), la cui opera filosofica e scientifica costituisce un momento di sintesi tra sapere medievale e filosofia moderna 1420 BURCHIELLO (1404-1449) > > È l’ultimo sovrano aragonese, FEDERICO (1451-1504), il destinatario della silloge poetica della RACCOLTA ARAGONESE fatta preparare da Lorenzo il Magnifico > L’opera filosofica e poetica di TOMMASO MORO (1478-1535) definisce i termini entro cui fiorisce l’Umanesimo inglese 1430 > > > Angelo Ambrogini detto il POLIZIANO (1454-1494), il maggior poeta e umanista del secondo Quattrocento, elabora la DOCTA VARIETAS, una tecnica compositiva a intarsio di fonti classiche e moderne Umanista di spicco è ENEA SILVIO PICCOLOMINI (14051464), dal 1458 papa PIO II, nella cui opera si pone il tema della conciliazione tra i principi della teologia cristiana e i valori laici della classicità Alla corte di Federico d’Aragona opera il maggiore poeta dell’umanesimo volgare, JACOPO SANNAZARO (1456-1530), autore dell’ARCADIA, il romanzo pastorale che rinnova la poesia bucolica Con ERASMO DA ROTTERDAM (1466-1536) si afferma una nuova visione umanisticoreligiosa: la sua esperienza travalica i confini nazionali e dà all’Umanesimo europeo una fisionomia di movimento corale 1440 1450 1460 LUIGI PULCI (1432-1484 MARSILIO FICINO (1433-1499) MATTEO MARIA BOIARDO (1441-1494) LORENZO DE’ MEDICI (1449-1492) ANGELO POLIZIANO (1454-1494) JACOPO SANNAZARO (1457-1530) ERASMO DA ROTTERDAM (1466/1469-1536) 1420 Trattato di Troyes 1429 L’esercito francese guidato da Giovanna d’Arco libera Orléans 1431 Giovanna d’Arco è condannata al rogo 1431-1449 Concilio di Basilea 1450 Francesco Sforza si impadronisce di Milano 1453 Si conclude la Guerra dei Cento Anni. Caduta di Costantinopoli assediata dai turchi ottomani 1455 Inizio della Guerra delle Due Rose 1461 Luigi XI sale al trono di Francia 1479 Unificazione del regno di Aragona con quello di Castiglia 1485 L’incoronazione di Enrico VII della casata dei Tudor pone fine alla guerra civile inglese