XII° CONVEGNO NAZIONALE S.I.P.O. LA RIABILITAZIONE IN ONCOLOGIA: INTEGRAZIONE DI SAPERI E DI TECNICHE Brescia, 22 – 23- 24- 25 Novembre 2011 ABSTRACT Salvatore Natoli FUTURO NEGATO, FUTURO POSSIBILE Riflessioni sulla pratica riabilitativa L’esperienza del dolore, come ogni esperienza, ha incarnazioni individuali, variabili e tuttavia vi è in essa un che di comune, un’affinità di specie. La malattia arriva per lo più inattesa e, se grave, conduce alla morte, ma scienza e tecnica ne hanno modificato radicalmente la percezione. Epicuro riteneva che se il dolore è forte è breve, se è debole, ci si abitua a convivere con esso. Oggi il dolore può essere medicalmente contenuto, anche se la malattia, seppur silente, avanza. Il dolore da sintomo si è trasformato in malattia e ridurlo è, dunque, un atto terapeutico obbligato. Ma quando il dolore è sedato – forse proprio per questo ‐ l’ombra della morte si rende più vicina perché più pensabile. Il tempo che resta da vivere appare allora ancora più vuoto e insensato. Tranne che una trama di legami non tenga il sofferente attaccato alla vita. Se il malato ha una relazione vivente con gli altri, se riesce a trovare ancora buone ragioni per impegnarsi può vivere la sua condizione come una sfida. A partire da qui è possibile parlare con senso di riabilitazione è possibile impostare procedure di recupero che integrano gli aspetti strettamente medico‐infermieristici con le dimensioni emotive, affettive, cognitive. Se il paziente non si sente abbandonato, ma è coinvolto nella vita degli altri si sente quasi obbligato a mantenersi fedele ad essa e ad essi. Può dunque divenire capace di affrontare con coraggio le difficoltà in cui si trova, nonostante tutto, costretto e a viverle come fossero una sfida. Perché questo accada, è necessario che medici, infermieri, operatori sanitari siano dotati di qualcosa che nessuna tecnica, da sola, potrà mai dare: è necessario prestare attenzione alla voce degli altri, essere sensibili al loro bisogno di confidenza e di affidamento. Chi soffre per vivere deve potere percepire quanto la sua vita sia preziosa per chi gli sta accanto. E così, quasi per interposta persona, può riempire di senso il tempo che gli resta, può conferire ancora scopi alla sua restante esistenza e vivere perfino la sua stessa morte come un consegnarsi agli altri. Gli parrà così quasi di proseguire la propria vita in loro. Luigi Grassi PSICONCOLOGIA E RIABILITAZIONE L’ambito della riabilitazione ha un ruolo centrale in psico‐oncologia per la concomitanza e la sovrapposizione delle dimensioni inerenti la riabilitazione stessa (se intesa in senso biopsicosociale e non solo fisico) e le dimensioni psicologiche, relazionali, spirituali delle persone colpite da cancro. In questo senso, la psico‐oncologia rappresenta, nella declinazione dei suoi approcci di assessment e di intervento, una componente integrata nei percorsi riabilitativi. Nella presentazione verranno messi a fuoco alcuni concetti di fondo e i dati della letteratura relativamente all’area della riabilitazione psicosociale in oncologia e l’essenzialità dell’orientamento rivolto alla salute mentale per ridurre la disabilità legata al cancro. Maria Rosa Strada RUOLO DELLA RIABILITAZIONE ONCOLOGICA Nell’ultimo decennio della storia dell’oncologia si è registrato un notevole interesse per le tematiche inerenti la riabilitazione del paziente oncologico suscitando una crescente aspettativa sia in ambito medico sia nelle richieste da parte dei pazienti stessi. Il processo delle conoscenze e il miglioramento delle tecniche diagnostico‐terapeutiche hanno consentito di raggiungere ottimi risultati nel trattamento di patologie a prognosi prevalentemente infausta fino agli anni settanta per cui è progressivamente incrementato il numero dei pazienti lungamente sopravviventi portando alla ribalta in maniera prepotente l’attenzione alla qualità di vita dell’uomo e del suo vivere nella realtà quotidiana. Per questo la vera sfida della medicina del futuro sarà la presa in carico delle malattie croniche, prime fra tutte quelle oncologiche, per le quali non basta la cura per l’evento ma richiede sempre una strategia di interventi sanitari e socio assistenziali a medio e lungo termine in cui un ruolo imprescindibile ha la riabilitazione. Rispetto ai decenni precedenti che hanno visto nascere i primi approcci riabilitativi in ambito oncologico e solo successivamente si è assistito allo sforzo di definirne il significato e i compiti, di allargarne le applicazioni nella pratica clinica corrente grazie all’evidenza scaturita dall’esperienza di alcuni centri dove si è fatta ricerca in questo settore, oggi possiamo affermare che il messaggio delle necessità riabilitative del paziente oncologico è ormai una realtà culturale molto forte che chiede sempre maggiore rispondenza nell’offerta sanitaria. Gli elementi cardine su cui si fonda la riabilitazione non sono cambiati: il mantenimento e la salvaguardia dell’integrità psicofisica del soggetto e, ove questo non sia possibile come nel caso delle disabilità permanenti, il raggiungimento del massimo grado di autonomia fisica, funzionale, psicologica e sociale per quella determinata limitazione. Quello che è cambiato nel corso dell’ultimo decennio è fondamentalmente l’atteggiamento del mondo medico e della società. 2 La riabilitazione non è più vista come una “appendice” ai trattamenti oncologici considerati maggiori come la chirurgia, la radioterapia, la chemioterapia, ma un intervento da affiancare costantemente a tutti gli atti terapeutici necessari per la cura del tumore. Per questo si rende opportuna una pianificazione riabilitativa rispondente sia alle esigenze cliniche dei pazienti attraverso la stesura di percorsi terapeutici appropriati e condivisi sulla base delle differenti disabilità, sia alle previsioni di aumentata richiesta per l’incremento vuoi dei pazienti lungamente sopravviventi, vuoi dei pazienti anziani oncologici. Rispetto al recente passato molte sono oggi le conoscenze riabilitative e l’esperienza clinica in merito alla diagnosi e al trattamento delle disabilità più frequenti e su questo ci sembra utile fare il punto della situazione attraverso una ricognizione dello stato dell’arte avendo come obiettivo la verifica dei protocolli di lavoro, l’uniformità sul territorio nazionale, la facilità di accesso dei pazienti alle cure e il grado di soddisfazione degli stessi, ma intanto altre problematiche, a volte del tutto nuove e inaspettate sono alle porte e richiedono attenzione. Le terapie, a volte più della malattia stessa sono, fonte di disabilità e una vera presa in carico globale del paziente non può prescindere dal prendersene cura. I protocolli di trattamento riabilitativo in oncologia, pur essendo costruiti con le regole “classiche” della medicina riabilitativa fondate sull’uso degli indicatori di funzione e sull’evidenza dell’outcome finale in termini di risultato, devono essere “calati” specificatamente nella realtà oncologica, paziente per paziente in maniera personalizzata, con definizione prognostica precisa e parametri di qualità di vita ben identificati. Nel futuro il lavoro di integrazione fra riabilitatori e oncologi (chirurgo, radioterapista, oncologo medico) è necessariamente destinato ad intensificarsi anche in fase preventiva, cioè nella fase in cui si programma il trattamento oncologico stesso in modo che il risultato finale sia radicale per la malattia ma rispettoso dell’integrità del paziente. D’altra parte già da tempo in ambito chirurgico sono in atto strategie altamente conservative dell’organo colpito come nei tumori della mammella, del retto, del polmone, dell’apparato urogenitale, del distretto ORL, etc.. e, ove tale strategia non fosse praticabile al momento della diagnosi per l’estensione della malattia, la possibilità di rivalutare il paziente dopo trattamento primario citoriduttivo (radio e chemioterapia). Anche nel settore della radioterapia si sono registrati netti miglioramenti grazie alle recenti innovazioni tecnologiche di strumenti che consentono una sempre più precisa definizione del campo da irradiare e la protezione dei tessuti circostanti. Non da ultimo, in ambito di terapia sistemica (chemioterapia, ormonoterapia, terapie biologiche), si è progressivamente assistito all’imporsi di terapie altamente personalizzate accompagnate da una grande attenzione alla terapia di supporto e al monitoraggio degli effetti collaterali. In particolare sono sempre più frequenti gli studi che prevedono l’analisi della tossicità a medio e lungo termine nonché gli effetti impattanti più significativamente sulle capacità funzionali del paziente e le sue caratteristiche psico‐sociali. Creare cultura in questo ambito è probabilmente una delle chiavi del futuro della riabilitazione in oncologia: il paziente viene valutato come persona prima che come malato e il trattamento programmato in maniera contestuale rispetto alla tossicità prevista tenendo bene in mente la qualità di vita. Paola Varese IL LIBRO BIANCO SULLA RIABILITAZIONE ONCOLOGICA IN ITALIA Già dalla sua costituzione nel 2003 , FAVO, la Federazione nazionale delle Associazioni di Volontariato in oncologia, che raduna oggi oltre 500 Associazioni in tutta Italia, ha posto la riabilitazione oncologica tra i suoi obiettivi strategici e prioritari. Il Libro Bianco ha segnato una tappa miliare nel panorama nazionale ponendo le basi per il riconoscimento della riabilitazione oncologica quale settore specialistico della riabilitazione della persona con disabilità e il suo successivo inserimento nei LEA. Il Libro Bianco è stato presentato al Senato nell’ottobre 2008 ed è stato il prodotto finale del progetto di ricerca Ministeriale H.O. C.U.R.A ( Health Organization of Cancer Care Units for Rehabilitation) che ha visto coinvolti, oltre a FAVO, ente promotore: l’ INT Milano , come IRCCS Capofila, la Fondazione Maugeri di Pavia , il Regina Elena di Roma , l’IST Genova , la Rete Oncologica Piemonte e Valle d’Aosta, l’Associazione Gigi Ghirotti di Genova. Nell’ambito di H.O.C.U.R.A , grazie al lavoro svolto dalle Associazioni aderenti FAVO, è stato effettuato il primo Censimento nazionale delle strutture di riabilitazione oncologica . Ma nel Libro Bianco si è andati nel merito della definizione di riabilitazione oncologica, intesa come “diritto alla migliore qualità della vita possibile , in tutte le fasi della malattia”, concetto più avanzato rispetto alla precedente considerazione della riabilitazione oncologica come semplice recupero di una funzione lesa. Parlare di qualità di vita ha di conseguenza permesso di mettere in risalto gli aspetti bio‐psico‐sociali del cancro e , come chiaramente scritto nell’introduzione , considerare la psico‐oncologia un tassello irrinunciabile e imprescindibile nella strategia di presa in carico della persona con esperienza di malattia neoplastica. 3 Vittorio Corsetti ‐ Barbara Fiora INDAGINE SUI BISOGNI RIABILITATIVI: I RISULTATI DI 5 CENTRI CAMPIONE La nostra presentazione riporta i risultati di un'indagine sui bisogni riabilitativi in oncologia a Brescia e in alcuni centri del Nord‐Italia. Obiettivo di questa ricerca è indagare se fra i medici il concetto di riabilitazione rientri nell'ottica di una medicina centrata sulla persona e non più solo sull'organo leso. Altro obiettivo è verificare se alla domanda di riabilitazione dei pazienti oncologici corrisponda una percezione di adeguata soddisfazione. A questo proposito è stato appositamente predisposto un questionario per i medici e un intervista semi‐strutturata per i pazienti per indagare la valenza attribuita al concetto di riabilitazione dai due diversi punti di vista. In particolare, nel gennaio 2006 è stata effettuata un'intervista semi‐strutturata rivolta ai direttori sanitari delle strutture di Brescia e provincia per verificare quali strutture sul territorio si occupano di riabilitazione del paziente oncologico. Da Gennaio 2007 a Dicembre 2007 sono state selezionate 5 strutture all'interno delle quali sono stati presi in esame complessivamente 86 medici e 125 pazienti. Dall'Ottobre 2008 all'Ottobre 2009 si è estesa la ricerca all'Italia del nord nelle seguenti regioni: Piemonte (Torino), Veneto (Padova), Liguria (Genova), Friuli (Aviano), Lombardia (Pavia). In ogni regione si è selezionata una struttura che si occupa di riabilitazione del paziente Oncologico. In queste 5 strutture sono stati presi in esame complessivamente 60 medici e100 pazienti. Data la difficoltà di reperire, nel panorama scientifico dei questionari che indagassero il concetto di riabilitazione, abbiamo appositamente predisposto due strumenti di rilevazione. I risultati dell'indagine evidenziano come anche nei medici il concetto della riabilitazione si stia spostando da una valenza prettamente funzionale verso una visione più centrata sulla persona e sul recupero di una buona qualità di vita. Questa direzione concorda con i bisogni dei pazienti intervistati che interpretano la riabilitazione come un recupero della loro identità di ruolo e il ripristino della qualità di vita come era prima dell'insorgere dell'evento malattia. Permangono tuttavia delle aree di criticità. La metà dei medici infatti ritiene la riabilitazione in ambito oncologico poco praticabile nel quotidiano, mentre fra i pazienti il bisogno riabilitativo non sempre trova una risposta e il grado di soddisfazione dei pazienti è tuttora parziale. Paola Luzzatto L'ARTE TERAPIA NELLA RIABILITAZIONE E L'ESPERIENZA MSKCC DI NEW YORK In questa presentazione Paola Luzzatto ripercorre gli anni in cui ha diretto il servizio di arte terapia nel dipartimento di psichiatria, sotto la guida di Jimmie Holland,al Memorial Sloan‐Kettering Cancer Center di New York (dal 1995 al 2005). L’integrazione dei saperi e delle tecniche era un tema costante al MSKCC, dove i pazienti oncologici potevano partecipare a gruppi di sostegno di vario tipo, diretti a) dagli assistenti sociali; b) dagli psico‐oncologi e dagli psichiatri; c) dai terapeuti creativo‐espressivi (arte terapia e musico‐terapia). Verranno delineati i sette interventi di arte terapia che sono stati elaborati nell’arco di quegli anni per accompagnare il paziente in diversi momenti di cura: 1) la sala d’aspetto, 2) le camere di isolamento per il trapianto di midollo; 3) durante le cure di chemioterapia; 4) il periodo dopo le cure; 5) il sostegno ai familiari; 6) il gruppo di mamme con tumore e bambini; 7) le cure palliative. In tutti questi casi l’espressione simbolica dell’arte terapia si è dimostrata particolarmente appropriata. P. Gabanelli; M. Frascaroli; M.R. Strada L’ESPERIENZA DELL’U.O. DI RIABILITAZIONE ONCOLOGICA FONDAZIONE MAUGERI PAVIA Il progetto di riabilitazione oncologica portato avanti dall’Unità Operativa dedicata della Fondazione Maugeri di Pavia, inquadrabile come modello prototipale, si è sviluppato sull’esperienza della lunga tradizione riabilitativa del Nostro Istituto ed è nato dalla volontà di alcuni operatori di ottimizzare l’azione di cura e la qualità di vita dei pazienti attraverso un assistenza globale, capace d’includere quegli ambiti, come il recupero fisico e psicologico o il reinserimento lavorativo, trascurati dalla prassi oncologica tradizionale. La prima parte della relazione focalizzerà pertanto l’attenzione sul contributo che il lavoro di gruppo multidisciplinare, cardine del nostro modello, ha apportato alla qualità della cura e di vita dei pazienti, ma anche alla nostra esperienza lavorativa di operatori, insegnandoci a lavorare per un progetto condiviso e a scoprire, oltre alla frustrazione che il limite della malattia continuamente impone, nuovi, gratificanti orizzonti. Nella seconda parte 4 dell’intervento verrà presentato un caso clinico che, per le peculiarità dei fattori che lo caratterizzano, mostra lo svolgersi del lavoro d’equipe ed evidenzia le differenze di conduzione rispetto al modello classico di tipo consulenziale. M. Ricca, S. Galeri L’ESPERIENZA DI RIABILITAZIONE DELLA FONDAZIONE DON GNOCCHI DI ROVATO Il paziente disabile, portatore di una particolare fragilità, la patologia oncologica, necessità di un approccio riabilitativo globale finalizzato alla presa in carico precoce, interprofessionale, per garantire un Progetto Riabilitativo Individuale individualizzato e fortemente orientato al reinserimento familiare ed ambientale. L’approccio riabilitativo globale prevede la valutazione del paziente con strumenti di misurazione dell’autonomia e la programmazione degli interventi riabilitativi, definiti dal team riabilitativo interprofessionale e interdisciplinare, e la valutazione del paziente con strumenti di misurazione dell’autonomia. Il team riabilitativo del centro è composto da: paziente, medico fisiatra, medico specialista di riferimento (oncologo, ortopedico, internista, endocrinologo…), psicologo clinico, neuropsicologo, medico di medicina generale, infermiere, fisioterapista, terapista occupazionale, tecnico ortopedico, logopedista, dietista. Ruolo del team è l’individuazione dei programmi (e time planning) all’interno del progetto riabilitativo, e degli obiettivi a breve, medio termine, in particolare, il Progetto Riabilitativo in area di riabilitazione oncologica del centro “E. Spalenza” si pone come obiettivo la riduzione della percezione di fatica, dispnea, dolore, oltre al recupero delle disabilità specifiche (obiettivo personalizzato). Il programma riabilitativo individualizzato (ogni intervento specifico necessario alla realizzazione dell’obiettivo) si avvale anche di interventi di psicoterapia e di esercizio/allenamento aerobico, descritti nei protocolli di riabilitazione oncologica del centro. Giovanna Franchi, Alice Martelli, Elisa Grechi L’ESPERIENZA DEL CE.RI.ON. DI FIRENZE Il Ce.Ri.On. è nato a Firenze nell’aprile del 2005 grazie all’integrazione tra un servizio pubblico (ISPO, Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica) e un’associazione no profit (LILT, Lega Italiana per la Lotta Contro i Tumori ONLUS, sezione di Firenze). Partecipa a un progetto regionale supportato dall’Istituto Tumori Toscano e dalla Regione Toscana, che si articola in tre aree con i rispettivi centri “pilota” (Firenze, Livorno e Siena). Ogni anno riceve un fondamentale sostegno finanziario dalla corsa podistica “Corri la Vita”, manifestazione benefica fiorentina, giunta alla IX edizione, realizzata anche grazie al sostegno organizzativo della L.I.L.T. di Firenze. Il volontariato è presente al Centro con il Servizio Donna Come Prima della L.I.L.T. e con l’Associazione “La Finestra”. Dall’apertura del Centro al dicembre 2010 sono stati seguiti oltre 3.000 pazienti con oltre 12.000 visite. Circa un terzo di questi pazienti sono stati seguiti anche dal servizio di Psiconcologia. L’obiettivo del Ce.Ri.On. è quello di mettere insieme il sapere medico ed il sapere psicologico per accompagnare il paziente oncologico in un percorso riabilitativo integrato e individualizzato, grazie alla sinergia tra diverse figure professionali. La solidità organizzativa del lavoro d’équipe è resa possibile da spazi periodici e permanenti di riunione, in cui il paziente è al centro dell’attenzione degli operatori e il cui scopo è quello di individuare per ognuno il percorso riabilitativo appropriato. La riabilitazione avviene a livello fisico, grazie alla presenza di molteplici figure (medici, fisioterapisti, dietista), ed a diverse attività di gruppo tra cui l’Attività Motoria Adattata, il Feldenkrais, l’Acquagym, il Dragon Boat, il Nordic Walking e la Danza Egiziana. La riabilitazione psicologica prevede colloqui individuali ed assistenza ai familiari, consulenza psichiatrica ed attività di gruppo. I pazienti possono partecipare a gruppi introspettivi verbali (gruppo di incontro e gruppo di incontro per giovani donne), a mediazione corporea (rilassamento e yoga) ed a mediazione espressiva, grazie alla collaborazione dell’Associazione “La Finestra”, (arteterapia, musicoterapia, scrittura creativa e teatroterapia). Partendo da un approccio integrato, il servizio diventa un duttile strumento per rispondere alle esigenze riabilitative del paziente oncologico, ai suoi bisogni fisici e sanitari, emotivi, relazionali ed esistenziali, coniugando corpo e mente, sogni e bisogni. Riccardo Torta INDICAZIONI E LIMITI DEGLI PSICOFARMACI IN RIABILITAZIONE Le problematiche che possono interferire su qualsiasi processo di riabilitazione in oncologia sono di tipo fisico, emozionale e cognitivo, necessitando di un riconoscimento causale personalizzato per ogni paziente. 5 Una riabilitazione inficiata da aspetti correlati alla malattia (quali dolore, fatigue, problemi cognitivi) può giovarsi di interventi psicofarmacologici, abitualmente integrati in un contesto anche psicologico supportivo. Ancor più la presenza di aspetti emozionali (ansia, depressione, insonnia), interferenti con il processo riabilitativo, impone una presa in carico psicofarmacologica e psicologica. Fra le classi di psicofarmaci alcune rispondono ad esigenze mirate e temporanee, ad esempio le benzodiazepine nei sintomi acuti di ansia e nel trattamento a breve termine dell'insonnia. Tuttavia tali molecole, ancor più nel paziente oncologico, possono facilitare, in modo dose‐dipendente, la comparsa/persistenza di fatigue e, particolarmente nell'anziano, peggiorare le capacità attentive sovente fondamentali per porre in atto un adeguato percorso riabilitativo. Gli antidepressivi rappresentano i farmaci di prima scelta nel trattamento protratto di depressione ed ansia, dimostrando un ampio spettro di azione, sia sulla componente sintomatologica emozionale che su quella somatica della patologia in atto. Sono infatti in grado di controllare non solamente i sintomi emozionali ma di correggere alterazioni sistemiche (dovute ad ansia, stress e depressione), di tipo ormonale ed immunitario La scelta di un antidepressivo, fra le varie classi disponibili per il trattamento di un paziente in fase riabilitativa, deve confrontarsi non solamente con aspetti di efficacia (attivazione comportamentale, miglioramento dell'adesione al trattamento, riduzione del dolore, etc.) ma, soprattutto, con la sicurezza di impiego che, da paziente a paziente, varia sulla base della patologia in atto e dei potenziali effetti collaterali indotti dalla terapia stessa. Claudia. Borreani OGGI DI TUMORE SI VIVE L’analisi delle curve di sopravvivenza dei pazienti oncologici mostra un significativo cambiamento negli ultimi 30 anni: la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi (per tutti i tipi di tumore) è passata da poco più del 20% al 60% circa. Conseguentemente anche i dati di prevalenza mostrano un incremento del numero di pazienti che vivono dopo aver avuto una esperienza di tumore nel passato. Questa situazione determina una necessaria evoluzione anche nei modelli di presa in carico del disagio psicologico. Il tradizionale modello di accompagnamento del paziente attraverso le diverse fasi di reazione e di adattamento psicologico alla malattia vede una significativa espansione della fase del riorientamento e conseguentemente della domanda di supporto psicologico nel periodo di follow up, in assenza di manifestazioni di malattia. L’approccio al paziente oncologico libero da malattia introduce nuove tematiche che fanno riferimento per lo più alla dimensione esistenziale e spirituale: il bisogno di riflettere sul significato della malattia e dell’esperienza vissuta più in generale nel desiderio di apportare modifiche sostanziali alla propria esistenza. La percezione di un limite possibile, generata dall’esperienza della malattia, diventa un motore di cambiamento importante per il paziente in questa fase. Raramente questo bisogno viene espresso durante la fase “attiva” delle terapie dove prevale un modello di assistenza psicologica centrato sulla crisi, finalizzato a fornire ai pazienti coping skills o semplice supporto per gestire le diverse criticità correlate ai trattamenti ed ai loro effetti collaterali. Il lavoro su base esistenziale implica il superamento e l’elaborazione della fasi precedenti e si basa sul riconoscimento e la valorizzazione delle risorse dei pazienti. Luciana Murru DAL SINTOMO ALLA PROGETTUALITA’ Dal distress alla crescita post‐traumatica. L’intervento psicologico in oncologia può dispiegarsi nel tempo e comprendere interventi che genericamente possono essere riassunti con le parola: support, coping skills e psycho‐spiritual therapy. Si può partire dall’accoglienza del disagio esistenziale coincidente con le prime fasi di malattia e lavorare per una evoluzione della coscienza? L’intervento affronterà il tema della fattibilità di un percorso di questo tipo. M. Antonietta Annunziata LA PERSONA CON UN PASSATO ONCOLOGICO: QUALE RIABILITAZIONE? La riabilitazione è un processo terapeutico di soluzione dei problemi e di educazione, nel corso del quale si porta la persona a raggiungere il migliore livello di vita possibile sul piano fisico, funzionale, emotivo e sociale, e con la minore restrizione possibile delle sue scelte operative. 6 Tradizionalmente, si tende a collocare l’intervento riabilitativo a seguito dell’evento acuto e a farlo coincidere con la rimozione/riduzione degli ostacoli, essenzialmente fisici, che impediscono un “ritorno a standard di vita precedenti alla malattia”. In oncologia, l’obiettivo della riabilitazione è il conseguimento del massimo sviluppo delle potenzialità fisiche, psicologiche, sociali e professionali dell’individuo, compatibilmente con i limiti imposti dalla malattia e dai trattamenti e il raggiungimento dell’autonomia complessiva e della migliore qualità di vita. Alla luce dei profondi cambiamenti psicoemozionali, relazionali e sociali, oltre che fisico‐funzionali, la riabilitazione in oncologia non può coincidere unicamente con qualcosa di oggettivo e misurabile (es.: standard di vita precedenti), ma è un processo che – se pure con un adattamento degli obiettivi – interessa il paziente e la sua famiglia dal momento della diagnosi in poi. Anche la condizione di lungosopravvivenza oncologica, quindi, entra a pieno titolo nel processo riabilitativo per gli effetti – medici e psicosociali – a lungo termine e tardivi, correlati alla malattia e ai trattamenti. Nella relazione si illustreranno le specificità, in termini di bisogni e modalità di intervento, della riabilitazione in questa condizione di vita. Costantini Anna SESSUALITÀ E CANCRO: NON ESISTE RIABILITAZIONE SE NON SE NE PARLA. Dopo una breve revisione dei dati internazionali sulla prevalenza dei disturbi sessuali in oncologia nei diversi tipi di cancro, saranno presentate brevi vignette cliniche e discussi i principali ostacoli nella comunicazione medico paziente relativamente a temi riguardanti la sessualità e la fertilità. Un approfondimento riguarderà anche una prospettiva multiculturale utile a inquadrare bisogni non corrisposti in pazienti provenienti da contesti culturali non occidentali. Particolare attenzione sarà data alla identificazione dei metodi attualmente disponibili in letteratura per affrontare precocemente nel percorso di cura tematiche inerenti la sessualità e a ipotizzare una loro integrazione all’interno dei workshops formativi sulle abilità comunicative. Luigi Valera LA TRADUZIONE DEI BISOGNI DEL PAZIENTE ALL’EQUIPE CURANTE L'istituzione ospedaliera è il luogo nel quale, scrive De Martis, "si attuano in forma drammatizzata sia i conflitti connessi con le angosce più primitive sia, nel contempo, la struttura volta al loro contenimento”. Il nostro compito come terapeuti non può ridursi ad un lavoro di traduzione con e per il paziente, ma si deve allargare anche alla cura dell'istituzione e dei curanti affinché diventi un contenitore adeguato a far transitare la sofferenza del paziente, ad accogliere e recepire quelle emozioni ipersature. Questo con lo scopo di evitare che elementi non digeriti ( beta) della storia personale del malato vengano evacuati dal contenitore istituzionale con modalità espulsiva, il che significa che a farne le spese saranno poi i bisogni dei paziente. L'istituzione è anche il luogo d'incontro del paziente con i suoi curanti, comprensivo dei parametri fondamentali come quelli: costitutivi, ideativi, affettivi, fantasmatici e rappresentativi delle dinamiche che danno vita al percorso di istituzionalizzazione. La conseguenza di quanto detto è un notevole senso di disagio e di sofferenza sia per i pazienti che per gli operatori curanti, dove si evidenzia anche negli ultimi studi sul burn out che la sua insorgenza non è più solo riferita al continuo contatto con la sofferenza dei pazienti, ma soprattutto in rapporto alla dinamiche istituzionali. Alberto Maria Comazzi LA FORMAZIONE PSICODINAMICA DELL’OPERATORE: GRUPPI BALINT “Viene riassunta brevemente la storia dei gruppi Balint. Spiegherò perché la formazione degli operatori non può essere soltanto psicologica ma psicodinamica. Infatti la formazione deve tener conto che non esistono solo aspetti consci bensì inconsci, difficili da riconoscere. Il gruppo Balint che è etero centrato su casi clinici e non auto centrato come nelle psicoterapie di gruppo, si è dimostrato di grande utilità per questo progetto di formazione.” Antonella Varetto, Paolo Leombruni, Riccardo Torta UN MODELLO DI FORMAZIONE PSICONCOLOGICA PER STUDENTI DI MEDICINA La letteratura non ampia sui modelli di insegnamento nelle professioni di cura sottolinea come gli studenti di medicina dimostrino stili cognitivi e di approccio allo studio ed alla vita improntati a grande concretezza e praticità, diversamente da 7 studenti di altre facoltà quali psicologia o architettura che utilizzano approcci cognitivi caratterizzati da maggiore intuizione e flessibilità. Da ciò la riflessione su modalità di formazione che, consentano di meglio armonizzare le diverse componenti di una professione, quella del medico, caratterizzata da un elevato contenuto emotivo oltre che tecnologico. I nuovi approcci educativi sono caratterizzati dalla interprofessionalità e da modalità interattive di insegnamento, con particolare attenzione alle simulazioni, ai role playing ed a tutto ciò che possa stimolare una migliore comprensione dell'identità professionale. Da tali premesse presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Torino abbiamo progettato, realizzato e stiamo valutando l'efficacia di un modello di formazione in Psiconcologia che si pone, fra gli obiettivi didattici, il miglioramento dell'autoconsapevolezza umana ed emotiva legata alla persona del giovane medico, della conoscenza e del rispetto della multidisciplinarietà in ospedale e nei diversi contesti del lavoro sulla salute. Tali competenze vengono sviluppate al fine di facilitare il lavoro del futuro medico in particolar modo nei contesti difficili (la malattia grave, cronica, il fine vita ecc). Il modello didattico comprende, nei primi anni di studi di medicina, la presentazione delle tematiche legate al paradigma bio‐psico‐sociale della medicina, quali, fra le altre, la relazione e comunicazione con il paziente e con l'équipe di lavoro, la conoscenza di sé e delle motivazioni che spingono alla professione i momenti critici nella professione medica. Ampio l'utilizzo di casi clinici, test autosomministrati auto ed etero corretti, video didattici e role play. L'impostazione del corso prevede un incontro di riflessione/rivalutazione dei contenuti dello stesso, a distanza di sei mesi dalla fine delle lezioni. Maria Pia Schieroni QUALI PAZIENTI DA RIABILITARE ? Nella relazione viene illustrata la presa in carico dal punto di vista riabilitativo del paziente affetto da disabilità da patologia oncologica e vengono esposte le complicanze di interesse riabilitativo che presentano i pazienti partendo dalla loro classificazione a seconda del tipo di neoplasia, della sede, della fase di malattia e del tipo di complicanze riportate. Viene pertanto sottolineata l’importanza della collaborazione multidisciplinare e multiprofessionale nell’ambito della cura del paziente oncologico ai fini di potergli garantire la migliore qualità di vita. Fulvia Gariboldi LE FUNZIONI SENSO MOTORIE: PROGRAMMI RIABILITATIVI COSA C’È DI NUOVO ? Nei pazienti affetti da neoplasie, ognuno con un suo specifico profilo, sono frammisti deficit motori e sensitivi dovuti ad esiti post‐chirurgici (demolitivi), post‐attinici (fibrotizzanti) e da antiblastici (neurotossicità). La difficoltà riabilitativa nel promuovere le abilità motorie del paziente oncologico, richiede pertanto interventi diversi e diversificati che consentano di raggiungere la specificità degli obiettivi quali il riequilibrio della postura, il comportamento motorio corretto ed il riapprendimento dei principi motori. Il primo passo per organizzare, riapprendere e raffinare gli schemi motori statici e dinamici è la promozione delle funzioni senso‐percettive. Le tecniche più recenti, “rubate” ad altre specialità riabilitative, ma che si possono bene applicare nel nostro ambito sono la MT (Mirror Therapy), la CIMT (Constraint‐Induced Movement Therapy), l’EAR (External Auditory Rhytms) ed il taping perché bene si integrano ad altri trattamenti ed inoltre sono economiche e di facile esecuzione. Un’ulteriore applicazione, anche se non di recente acquisizione è la metodica Perfetti che ben si presta ai nostri pazienti per le sue caratteristiche di “esperienza percettiva cosciente”. La difficoltà che tutte presentano è la definizione del limite fra propriocezione e nocicezione, le controindicazioni riguardano pazienti che hanno difficolta' a comprendere gli esercizi o che hanno significativi deficit di propriocezione e funzione senso‐ motoria o di apprendimento. Monica Pinto QUALITÀ DI VITA E SCALE DI VALUTAZIONE NELLA RIABILITAZIONE IN ONCOLOGIA La Qualità di Vita è un concetto multidimensionale, influenzato da aspetti molteplici quali la salute, lo stato economico, il livello culturale, l’ambiente familiare e sociale ed in tale ambito la Qualità di Vita correlata alla salute rappresenta l’insieme degli aspetti della vita di una persona correlati alla salute e pertanto modificabili dalla medicina. Nella Riabilitazione della persona con patologia oncologica l’obiettivo principale degli interventi riabilitativi è proprio il raggiungimento ed il mantenimento della migliore Qualità di Vita possibile per ciascun individuo ammalato, nel suo contesto familiare e sociale, attraverso il recupero e /o la limitazione della disabilità intesa nella più recente accezione di limitazione 8 delle attività e della partecipazione secondo il modello biopsicosociale ICF. Nella persona con patologia oncologica una insoddisfacente Qualità della Vita e la disabilità hanno più determinanti, dipendendo non solo dalla patologia neoplastica stessa ma anche dalle terapie seguite (chirurgica,chemioterapia,radioterapia,targhet therapy e terapie innovative), talora ad elevata tossicità ed invasività, e possono manifestarsi con diversità e variabilità dei quadri patologici durante l’intera storia clinica della persona, dalla diagnosi alla guarigione o alla fase terminale. Pertanto l’attenta valutazione delle strutture corporee e delle funzioni corporee, della limitazione delle attività e della partecipazione e della Qualità di Vita rappresenta un momento fondamentale dell’intervento riabilitativo ed è resa possibile dall’utilizzo di appropriate scale di valutazione che garantiscono la confrontabilità e la trasmissibilità delle informazioni sia a fini clinici che di ricerca. In particolare grande attenzione meritano le scale di Qualità dei Vita, quali i questionari della European Organisation for Research and Treatment of Cancer (EORTC) e la classificazione ICF, largamente utilizzati a livello europeo, nonché le scale di valutazione internazionali patologia specifiche. Franco Berrino LE STRADE (ANCORA INTERROTTE) DELLA PREVENZIONE NELLA CLINICA ONCOLOGICA. Lo stile di vita dopo la diagnosi di cancro influenza la prognosi. Numerosi studi in pazienti con tumori mammari (1‐3), colo rettali (4;5), prostatici (6;7), e, recentemente, anche uno studio sui linfomi non‐Hodgkin (8), mostrano che a parità di stadio alla diagnosi e altre caratteristiche biologiche della malattia i pazienti obesi e sovrappeso hanno una minore sopravvivenza totale e libera da malattia. Una sperimentazione preventiva controllata di riduzione del consumo di grasso condotta su 2500 pazienti con carcinoma mammario ha mostrato una significativa riduzione delle recidive (‐24%) associata ad una diminuzione di peso di 2,1 kg in media (9). Poiché una sperimentazione simile ma con disegno isocalorico non ha invece registrato alcun miglioramento prognostico (10) è probabile che il fattore protettivo sia semplicemente una moderata restrizione calorica. Studi su migliaia di pazienti operati di carcinoma della mammella (11;12) e su pazienti con cancro del colon (5;13) mostrano una marcata riduzione delle recidive in chi pratica un moderato esercizio fisico dopo la diagnosi. La riduzione della mortalità specifica per cancro della mammella è confinata ai tumori positivi per recettori estrogeni, ma in questo gruppo la stima della potenzialità preventiva è ben del 50%. Il meccanismo è verosimilmente un migliore equilibrio calorico e una migliore sensibilità insulinica. Il consumo di tabacco e una dieta povera di verdure e frutta peggiorano la prognosi dei pazienti con tumori della testa e del collo (14;15). La prognosi dei pazienti oncologici è significativamente influenzata dalla sindrome metabolica (SM). I pazienti con cancro del colon affetti da SM hanno un’incidenza più che doppia di metastasi epatiche (16) e le pazienti con cancro della mammella con SM hanno un’incidenza più che doppia di recidive o secondi tumori mammari (17). La SM è convenzionalmente definita dalla presenza di tre o più dei seguenti dismetabolismi: adiposità addominale (circonferenza vita maggiore di 88 cm nelle donne e 102 cm negli uomini), ipertensione arteriosa, dislipidemie (trigliceridemia maggiore di 150mg/dL, colesterolo HDL inferiore a 50 mg/dL nelle donne, 40mg/dL egli uomini), iperglicemia (110mg/dL), ma numerose altre definizioni sono state utilizzate nella letteratura scientifica. La SM è inoltre caratterizzata da insulinoresistenza, frequentemente con alti livelli plasmatici di insulina, e da stato infiammatorio cronico, con alti livelli plasmatici di citochine infiammatorie. Nelle pazienti con cancro della mammella lo stato infiammatorio cronico, definito da alti livelli plasmatici di proteina C reattiva, implica una maggiore frequenza di recidive (18). Alti livelli sierici di insulina o C‐peptide sono associati ad una prognosi significativamente peggiore nei tumori della mammella (19) e del colon (20). Nelle pazienti con cancro della mammella la sindrome metabolica è anche associata a più alti livelli sierici di testosterone. L’insulina, infatti, stimola la sintesi di androgeni nell’ovaio. Le pazienti con alti livelli di testosterone hanno un’incidenza marcatamente più elevata di recidive (21) e una sopravvivenza libera da nuovi eventi neoplastici significativamente inferiore: un singolo dosaggio di testosterone predice la prognosi anche a 15 anni di distanza (22). Tutti questi studi hanno accuratamente controllato il potenziale confondimento da stadio del tumore alla diagnosi e da altre variabili prognostiche. Gli studi DIANA per la prevenzione del cancro al seno hanno dimostrato che una dieta basata su ricette mediterranee tradizionali e macrobiotiche è in grado di ridurre l’insulina e la biodisponibilità di ormoni sessuali e fattori di crescita (23;24). Lo studio DIANA‐5, attualmente in corso, è una sperimentazione controllata randomizzata multicentrica su 2000 pazienti operate di carcinoma mammario per saggiare l’ipotesi che l’incidenza di recidive possa essere ridotta da un cambiamento di stile di vita comprendente un aumento dell’esercizio fisico e una dieta basata prevalentemente su cibo di provenienza vegetale con un’ampia varietà di cereali non industrialmente raffinati, legumi, verdure e frutta, secondo le raccomandazioni del Fondo mondiale per la ricerca sul cancro (WCRF, www.dietandcancerreport.org). Studi osservazionali suggeriscono che specifici alimenti vegetali, quali la soia (25) e le crocifere (26) , siano particolarmente utili per la prevenzione delle recidive del carcinoma mammario, specialmente nelle pazienti in trattamento con tamoxifene. La SM dipende da una dieta troppo ricca di grassi saturi e trans, di proteine, di carboidrati raffinati e di sale, cioè dalla dieta tipica di molte popolazioni occidentali, mentre la dieta mediterranea tradizionale è protettiva. Rigorose sperimentazioni cliniche hanno inoltre dimostrato che la dieta mediterranea è in grado di far regredire la SM (27). Uno studio del pattern 9 alimentare dei pazienti operati di carcinoma intestinale che partecipavano ad un trial clinico di chemioterapia adiuvante, quindi uno studio che ha potuto controllare molto accuratamente per variabili cliniche prognostiche, ha mostrato che un alto punteggio di “dieta occidentale” era associato ad una maggiore frequenza di recidive. Gli alimenti che pesavano di più nella definizione del pattern erano formaggi magri, formaggi grassi, condimenti grassi, margarine, dolciumi, carni rosse e conservate (28). Una dieta ricca di carni, latticini e zuccheri e povera di alimenti di provenienza vegetale è anche associata ad una significativamente ridotta sopravvivenza delle pazienti con carcinoma ovarico (29). I piani oncologici nazionali, regionali, e delle aziende sanitarie non fanno cenno di questi studi, non considerano l’opportunità di informarne gli oncologi, e non prevedono di promuovere iniziative per migliorare lo stile di vita dei pazienti oncologici. Una prece! Bibliografia 1. Dawood S, Broglio K, Gonzalez‐Angulo AM, Kau SW, Islam R, Hortobagyi GN, Cristofanilli M. Prognostic value of body mass index in locally advanced breast cancer. Clin Cancer Res 2008;14:1718‐25. 2. Loi S, Milne RL, Friedlander ML, McCredie MR, Giles GG, Hopper JL, Phillips KA. Obesity and outcomes in premenopausal and postmenopausal breast cancer. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev 2005;14:1686‐91. 3. Sestak I, Distler W, Forbes JF, Dowsett M, Howell A, Cuzick J. Effect of body mass index on recurrences in tamoxifen and anastrozole treated women: an exploratory analysis from the ATAC trial. J Clin Oncol 2010;28:3411‐5. 4. Dignam JJ, Polite BN, Yothers G, Raich P, Colangelo L, O'Connell MJ, Wolmark N. Body mass index and outcomes in patients who receive adjuvant chemotherapy for colon cancer. J Natl Cancer Inst 2006;98:1647‐54. 5. Haydon AM, Macinnis RJ, English DR, Giles GG. Effect of physical activity and body size on survival after diagnosis with colorectal cancer. Gut 2006;55:62‐7. 6. Gong Z, Agalliu I, Lin DW, Stanford JL, Kristal AR. Obesity is associated with increased risks of prostate cancer metastasis and death after initial cancer diagnosis in middle‐aged men. Cancer 2007;109:1192‐202. 7. Ma J, Li H, Giovannucci E, Mucci L, Qiu W, Nguyen PL et al. Prediagnostic body‐mass index, plasma C‐peptide concentration, and prostate cancer‐specific mortality in men with prostate cancer: a long‐term survival analysis. 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Vegetable intake is associated with reduced breast cancer recurrence in tamoxifen users: a secondary analysis from the Women's Healthy Eating and Living Study. Breast Cancer Res Treat 2010 (in press). 27. Esposito K, Marfella R, Ciotola M, Di Palo C, Giugliano F, Giugliano G et al. Effect of a mediterranean‐style diet on endothelial dysfunction and markers of vascular inflammation in the metabolic syndrome: a randomized trial. JAMA 2004;292:1440‐6. 10 28. Meyerhardt JA, Niedzwiecki D, Hollis D, Saltz LB, Hu FB, Mayer RJ et al. Association of dietary patterns with cancer recurrence and survival in patients with stage III colon cancer. JAMA 2007;298:754‐64. 29. Dolecek TA, McCarthy BJ, Joslin CE, Peterson CE, Kim S, Freels SA, Davis FG. Prediagnosis food patterns are associated with length of survival from epithelial ovarian cancer. J Am Diet Assoc 2010;110:369‐82. Carla Calabretto APPLICAZIONI PRATICHE DI UN PERCORSO RIABILITATIVO DELLA DONNA OPERATA AL SENO Il linfedema all’arto superiore dopo intervento di mastectomia radicale o quadrantectomia con svuotamento del cavo ascellare e/o successivo trattamento radioterapico per neoplasia mammaria è considerato una condizione patologica cronica evolutiva che comporta conseguenze, spesso gravi, sia fisiche, in termini di menomazioni e disabilità, che psicologiche, le quali compromettono notevolmente la qualità di vita delle pazienti. In relazione allo stadio evolutivo della patologia, gli obiettivi del trattamento del linfedema sono: evitarne l’insorgenza; trattare l’edema il più precocemente possibile, al fine di eliminare la componente fluida iperproteica e, quindi, evitare l’evoluzione in senso fibrotico; mantenere il linfedema stabile, evitando le recidive e la comparsa di complicanze secondarie di tipo infettivo (episodi di linfangite); ridurre la consistenza della componente fibrotica Come descritto dalle Linee Guida della Società Italiana ed Internazione di Linfoangiologia, le terapie riconosciute come utili nel trattamento del linfedema sono rappresentate dal drenaggio linfatico manuale (DLM), dal bendaggio multistrato contenitivo associato all’ attivazione muscolare isotonica e dalla pressoterapia pneumatica. Il percorso riabilitativo all’interno della Clinica Domus Salutis prevede: ‐1° visita specialistica fisiatrica presso ambulatorio linfologico (raccolta anamnestica, valutazione clinica, valutazione della disabilità tramite scale specifiche, esecuzione misurazioni arto superiore, impostazione del progetto e programma riabilitativo) ‐esecuzione del trattamento riabilitativo ‐visita specialistica fisiatrica di controllo dopo due mesi dal termine del trattamento riabilitativo e follow‐up Milena Raimondi IMPLICAZIONI PSICOLOGICHE NEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE DEL MALATO NEOPLASTICO Desidero riportare qui di seguito le impressioni e i dati che derivano dall’esperienza fatta nel seguire le donne ‐ operate per tumore al seno ‐ che partecipano allo studio Diana sulle implicazioni psicologiche nel comportamento alimentare. Lo studio ha come obiettivo la prevenzione della recidiva attraverso l’alimentazione e lo stile di vita. È iniziato nel 2008 ed è tutt’ora in corso. Ne fanno parte 1208 pazienti suddivise in due gruppi: 604 donne compongono il gruppo di intervento che prevede una dieta intensiva associata ad attività fisica; altre 604 costituiscono il gruppo di controllo, queste donne ricevono le informazioni per un corretto stile di vita. Entrambi i gruppi verranno monitorati fino al 2015. Il progetto, per modalità di intervento, si distingue dai classici studi che si svolgono nel mondo scientifico. Infatti in questo, non si testa un farmaco, bensì viene proposto un cambiamento dello stile di vita attraverso un programma che accompagna le persone passo, passo verso la modificazione delle proprie abitudini alimentari. È come prendere per mano qualcuno e guidarlo nel cammino con gli strumenti quali l’informazione e la relazione di fiducia nell’istituzione proponente. Ciò si incontra con la volontà della donna di essere parte attiva nel processo di guarigione. Man mano che l’esperienza procede, il cambiamento dello stile di vita viene supportato, promosso e incoraggiato attraverso varie attività sia sul piano cognitivo, pratico‐comportamentale che affettivo sociale e relazionale. Le donne sono invitate a partecipare ai corsi di cucina e ai pranzi e cene dove – in un rito collettivo – si consuma il pasto. Attorno alla tavola si hanno vissuti diversi, il gusto del cibo e certi piatti fanno affiorare ricordi… ci si scambia ricette e consigli su dove trovare gli alimenti. La preparazione collettiva dei piatti stabilisce una comunicazione che avviene oltre che con la mente anche attraverso i gesti. Si stabilisce un incontro tra il fare quotidiano e la scienza che a livello psichico rafforza nelle donne la competenza. Utilissime le conferenze a tema su come leggere le etichette degli alimenti e come preparare piatti secondo la dieta proposta (macrobiotica e mediterranea) che infondono e rafforzano un senso di sicurezza nelle donne. L’attività fisica che prevede passeggiate insieme nei parchi o nella natura, gite in montagna, gruppi di danza movimento, yoga, pilates, ecc consolida amicizie tra donne che rappresenta un bisogno spesso trascurato nel percorso di cura (vedi la domanda di adesione alle Associazioni, per esempio Attive come Prima, Salute Donna). I gruppi di parola danno un ulteriore aiuto al processo di cambiamento e rappresentano uno spazio collettivo in cui scambiare l’esperienza di malattia ed elicitare le risorse personali. 11 Tutto ciò è reso possibile grazie ad uno stile cooperativo, multidisciplinare e flessibile dei sanitari che a vario livello e secondo le proprie capacità e specializzazioni offrono un esempio di collaborazione e sono una fonte di risorse nell’accogliere le pazienti e proporre loro di vivere bene gli anni futuri. Vengono di seguito riportati i risultati del profilo psicologico delle donne che partecipano al Diana, all’inizio dello studio e ad un anno dall’intervento con i test HADS, BUT E IES. Abbiamo trovato un significativo miglioramento nelle donne che hanno partecipato al gruppo di intervento, rispetto al gruppo di controllo per quanto riguarda la paura della recidiva. Serafina Petrocca CHEMIOTERAPIA E CIBO L'alimentazione può giocare un ruolo importante nella fase della chemioterapia: aiuta a sopportare meglio gli effetti dannosi di questo trattamento e permette che la stessa terapia sia più efficace. Quali le indicazioni: innanzitutto sarebbe bene iniziare a cambiare abitudini alimentari ancora prima di iniziare il trattamento chemioterapico. I cereali integrali, soprattutto il riso ( contiene triciclina, ad azione antiinfiammatoria), pane integrale, ma preparato con la pasta acida, che consente una lievitazione naturale, il tutto accompagnato da verdure è alla base di una dieta antinfiammatoria. Il consumo di prodotti animali va molto limitato. Durante la chemioterapia è bene non consumare prodotti da forno integrali, perché in questo caso l’intestino, fortemente infiammato, potrebbe essere ulteriormente irritato dalla fibra indurita dalla cottura. Vale la pena consumare cereali integrali, ma sottoforma di crema , da cui è stata allontanata la fibra, ma in cui vengono mantenute ancora le parti buone: gli amidi ed i preziosi componenti del germe, tra cui le vitamine B. Anche in questa fase l’inserimento del cibo animale deve essere introdotto con cautela, soprattutto carne e formaggi, che all’inizio potrebbero non creare problemi, ma gli aminoacidi solforati che si trovano in essi possono aumentare lo stato di infiammazione intestinale. Un po’ di pesce ( omega 3, con potere antinfiammatorio) e piccole porzioni di legumi, privi di cuticola ( contengono pochi aminoacidi solforati e sostanze antinfiammatorie) possono essere introdotte nella dieta. Francesco S. Dioguardi SINDROME METABOLICA NEL MALATO NEOPLASTICO: BASI FISIOPATOLOGICHE E POSSIBILI INTERVENTI TERAPEUTICI. Il paziente neoplastico ha un quadro metabolico che molto rapidamente, ed indipendentemente dalla dimensione della neoplasia, è caratterizzato da un elevato consumo di proteine plasmatiche da parte della neoplasia. Il tumore ha una elevatissima pressione di filtrazione, quindi ha difficoltà ad impadronirsi delle micromolecole a scopo nutrizionale. Il tumore, invece, si nutre delle macromolecole che impiegano più tempo a diffondersi attraverso i liquidi extracellulari, e le ingloba per pinocitosi. Quindi, trasportate le macromolecole al reticolo endoplasmico liscio, le proteine sono lisate da una catepsina B, attivando un processo fisiologico. Il compenso a questo consumo aumentato avviene primariamente nel fegato, dove il consumo di aminoacidi circolanti per mantenere integro il patrimonio proteico del corpo aumenta in modo assai elevato, e se questo non è accoppiato ad una elevata introduzione compaiono fenomeni di lisi delle proteine muscolari, con innescasi della sindrome sarcopenia‐wasting‐ cachessia. Diversi studi hanno correlato la mancata risposta alla chemioterapia con il grado di sarcopenia dei pazienti, e a ciò si deve aggiungere che il cuore, che ha un patimento simile a quello del muscolo periferico in queste condizioni, è l’organo bersaglio principale della tossicità dei chemioterapici. È dagli anni 60 dello scorso secolo che non si affronta il problema del nutrire il cancro o nutrire le cellule sane, ma una serie di dati risalenti a quegli studi pioneristici, e le considerazioni che le moderne informazioni raccolte dagli studi sulle modificazioni della espressione genica permettono di fare, consentono di tracciare un primo quadro di cosa sia opportuno fare, e di quali siano le priorità nella ricerca prossima. Inoltre, imparare a diagnosticare precocemente la sarcopenia, e a monitorare l’efficacia della risposta ai provvedimenti terapeutici deve essere considerata una priorità sia dagli specialisti oncologi che dai medici internisti che seguiranno questi pazienti. 12 Maurizio Muscaritoli, Isabella Preziosa PROGETTO ALIMENTAZIONE PER PAZIENTI LUNGOSOPRAVVIVENTI Progetto Italiano PIO 7 ‐“ Interventi riabilitativi per Cancer Survivors” Nel mondo attualmente, vi sono circa 25 milioni di persone Cancer Survivor (CS), cioè persone con pregressa diagnosi di neoplasia, ma liberi da malattia da almeno 5 anni. Molti CS sono fortemente motivati a ricevere informazioni circa le loro scelte alimentari, l’attività fisica, l’utilizzo di supplementi nutrizionali, e terapie complementari, volti al miglioramento della loro qualità di vita e della sopravvivenza. Per questi soggetti lungosopravviventi, un peso corporeo appropriato, una dieta equilibrata e uno stile di vita attivo aiutare a prevenire l’insorgenza di un secondo tumore e altre patologie croniche diventa una priorità. È importante sia per il personale sanitario che per i CS considerare sempre l’aspetto nutrizionale nel contesto della situazione globale individuale. Attualmente in Italia i dati disponibili su questo tipo di popolazione sono scarsi. Il Programma di Ricerca Integrato “interventi Riabilitativi per Cancer Survivors” si propone di indagare la popolazione di CS e di sviluppare una strategia di intervento nazionale per la riabilitazione dei soggetti con pregressa diagnosi di cancro. Nell’ambito del progetto è inserita una sezione dal titolo “Riabilitazione Nutrizionale e metabolica per long‐term Cancer survivors”. Questa sezione del progetto ha lo scopo di: 1) Indagare lo stato metabolico e nutrizionale dei CS in Italia 2) Identificare possibili specifici bisogni per la riabilitazione metabolico‐nutrizionale 3) 3) Prevenire e trattare le possibili sequele metabolico/nutrizionali del cancro nei CS 4) Elaborare raccomandazioni per la riabilitazione e la prevenzione delle sequele metabolico/nutrizionali del cancro e/o dei trattamenti antineoplastici nei CS. Dal 2009 al 2011, 226 soggetti (203 F, 23 M, con una prevalenza di donne survivors per cancro alla mammella) sono stati arruolati, nell’ambito dei centri partecipanti al Progetto Integrato, e intervistati circa il loro stato metabolico e nutrizionale, e i loro consumi alimentari. I risultati hanno mostrato che il 79 % dei soggetti con modificazioni del peso corporeo, è aumentato rispetto al periodo precedente la patologia neoplastica (il 49% dei soggetti intervistati presentava soprappeso o obesità di I grado). Ciò nonostante solo il 31% dei soggetti ha modificato le proprie abitudini alimentari e o solo il 22% ha cambiato stile di vita. Questi dati, se confermati da ulteriori studi, suggeriscono che nella popolazione italiana di CS, la prevalenza di alterazioni metabolico‐nutrizionali è alta, ed evidenziano il bisogno di programmi di riabilitazione con lo scopo di mantenere lo stato di salute attraverso l’adozione di stili di vita sani, dopo l’esperienza del cancro. Bibliografia 1. Stull V.B., Snyder D.C. and Demark‐Wahnefried W. Lifestyle Interventions in Cancer Survivors: Designing Programs That Meet the Needs of This Vulnerable and Growing Population. J. Nutr. 137:243S‐248S,2007 2. Toles M., Demark‐Wahnefried W. Nutrition and the cancer survivor: evidence to guide oncology nursing practice. Seminars in Oncology Nursing, vol 24, n. 3, 2008, pp 171,179 3. Sabatino S., Coates RJ., Uhler RJ., Pollack LA., Alley LA., and Zauderer LJ. Provider Counseling About Health Behaviors Among Cancer Survivors in The United States. J Clin Oncol 25:2100‐2106, 2007 4. Chlebowski RT., Aiello E., McTiernan A. Weight loss in breast cancer patient management. J Clin Oncol. 20:1128‐1143, 2002 5. Irwin ML., Mayne ST. Impact of nutrition and exercise on cancer survival. Cancer J. 14(6):435‐441, 2008 Patrizia Buda BISOGNI RIABILITATIVI DEL PAZIENTE IN FASE TERMINALE DI MALATTIA Partiamo dal significato della parola RIABILITAZIONE Etimologia della parola: dal latino re – restitutivo, habere, possedere Alcune definizioni di riabilitazione La riabilitazione è un processo di soluzione dei problemi e di educazione nel corso del quale si porta una persona a raggiungere il miglior livello di vita possibile sul piano fisico, funzionale, sociale ed emozionale, con la minor restrizione possibile delle sue scelte operative. Bollettino Ufficiale della Regione Campania n. 22 del 03 maggio 2003 2 / 37 L’insieme delle misure mediche e fisioterapiche volte al recupero della piena funzionalità di un arto o di un organo leso; l’insieme delle misure mediche, fisioterapiche e psicologiche volte a migliorare e ripristinare l’efficienza psicofisica di soggetti affetti da minorazioni congenite o acquisite.(De Mauro) È una specialità medica indipendente che è interessata in particolare alla promozione del ‘funzionamento’ fisico e cognitivo, delle attività (compresi i comportamenti), della partecipazione (compresa la qualità della vita) e con la modificazione dei fattori personali e ambientali. (Ph. Medicine and Rehab. 2004) 13 Analizzeremo cosa significa “ri‐avere” per un paziente oncologico nella fase terminale di malattia, cosa come operatori possiamo restituire in termini di speranza realistica, come possiamo adeguatamente leggere la domanda sottesa alla richiesta di riabilitazione in questa fase, come distinguere il volere del paziente e dei familiari. Possiamo in psiconcologia e cure palliative usare il termine riabilitazione? Nicola Fasser LA RIABILITAZIONE NEI DIVERSI SETTING DI ASSISTENZA, SIMULTANEUS CARE Il modello della Simultaneus Care rappresenta il paradigma del moderno approccio alla malattia cronica evolutiva. È la regola che in discipline diverse dall’oncologia che si occupano di malattie croniche evolutive, es. neurologia, pneumologia, cardiologia, la contemporanea attenzione agli eventi acuti, al controllo della/e patologia/e di base e alla palliazione dei sintomi oltre che al trattamento volto alla stabilizzazione e/o recupero delle disabilità accompagnino la triade paziente‐ famiglia‐equipe curante durante tutta la storia clinica ed assistenziale. In oncologia l’affermarsi delle cure palliative non più limitate alla cura di fine vita ma proposte fin dalla fase di trattamento specifico, l’aumento della offerta psicooncologica, l’aumento della sopravvivenza pur senza guarigione, permettono nelle realtà meglio integrate di accompagnare pazienti e famiglia lungo tutto il percorso di malattia, garantendo continuità di cura pur nel rispetto e riconoscimento delle competenze e professionalità dei singoli operatori valorizzandone le peculiarità all’interno del lavoro in equipe. Fulvio P. D’Ostuni LA RIABILITAZIONE NEI DIVERSI SETTING DI ASSISTENZA: DAY HOSPICE Il Day hospice attualmente è un servizio Vidas creato per soddisfare le esigenze di una tipologia di paziente che pur essendo in fase avanzata‐terminale di malattia presenta delle condizioni psicofisiche tali da generare dei bisogni compatibili con un servizio di cura ambulatoriale. Questo servizio richiede la cooperazione di numerose figure professionali allo scopo di condensare in un unico accesso un’adeguata risposta ai vari bisogni del paziente. I professionisti coinvolti sono medici, infermieri, psicologi, fisioterapisti, arteterapisti, assistenti sociali e non ultimi i volontari, vera colonna portante del servizio. I requisiti di accesso al Day hospice sono un Performance status di 1‐2 con casi particolari di PS 3, laddove sia richiesto dal paziente essendo il PS 3 un valore più specifico dell’assistenza domiciliare. Il paziente che accede al servizio è affetto da una patologia non guaribile, non necessariamente oncologica e non necessariamente terminale. La prognosi può essere variabile non essendo limitata ad un numero di giorni prefissati. Il paziente può essere ancora sottoposto a terapia attiva e può essere anche un paziente con una diagnosi ed un percorso di cura in fase non necessariamente conclusiva. All’interno dal servizio ambulatoriale esiste uno spazio per approcci terapeutici più specifici come l’assistenza medica palliativa, la terapia del dolore, le medicazioni di ferite, eventuali trattamenti infusionali e trasfusionali, ma anche uno spazio per la psicoterapia, la fisioterapia e il più ampio concetto di socializzazione attraverso il ruolo dei volontari. Il Day hospice non si limita soltanto a seguire il paziente ma anche la sua famiglia nella gestione del percorso di malattia. Il Day hospice deve essere quindi considerato uno strumento atto ad accompagnare il paziente lungo il percorso di malattia accogliendolo anche in un momento precoce rispetto alla terminalità e conducendolo per mano fino al momento in cui i suoi bisogni diverranno compatibili con un setting diverso come l’assistenza domiciliare o il ricovero in hospice. La riabilitazione quindi di un malato terminale non deve avere come scopo un recupero di capacità fisiche quanto l’adeguamento a vivere nel miglior modo possibile la vita con quello che il corpo mette a disposizione del paziente. Inoltre insieme alla componente clinica vi sono molti ambiti che in una giornata in day hospice possono essere stimolati. Nel day hospice di Casa Vidas è stato avviato il progetto Long Day quale percorso di “cura globale” a pazienti in fase terminale mediante la creazione di un’équipe integrata tra palliativisti e terapisti occupazionali per permettere ai pazienti stessi di riprendere la padronanza del proprio tempo. Il progetto Long‐day della Vidas prevede che i professionisti sanitari, medico, infermiere, fisioterapista, psicologo, assistente sociale, volontari e terapista occupazionale si prendano cura di un gruppo di pazienti in numero variabile da 4 a 8 in una giornata intera dal mattino per circa sei ore allo scopo di fornire loro non solo singole prestazioni sanitarie ma soprattutto uno spirito di gruppo gestito come figura centrale dal terapista occupazionale. I pazienti vengono condotti in un’apposita aula fornita di tutto il materiale necessario per le varie attività. I pazienti rimangono per tutta la mattinata in compagnia del terapista occupazionale e dei volontari. Durante il pranzo invece si uniscono anche tutti gli altri professionisti presenti in day hospice. Nel pomeriggio i pazienti vengono sottoposti alle varie attività professionali programmate come visite mediche ed infermieristiche di controllo, attività di fisioterapia e colloquio psicologico. 14 L’esperienza Long Day del Day Hospice Vidas ha dimostrato come il senso di solitudine del morente possa essere un obiettivo di cura per il palliativista attraverso la condivisione dei malati inseriti in un contesto creato apposta e facilitato dalle figure professionali orbitanti attorno a loro. Questo è il percorso di riabilitazione dell’anima attraverso la difesa del corpo su cui una struttura come il day hospice può e deve lavorare. Flavia Bernardi LA RIABILITAZIONE NEI DIVERSI SETTING DI ASSISTENZA Nell’Unità Complessa di Cure Palliative e Medicina del Dolore (UCCPMD) dell’A.O. “G. Salvini” di Garbagnate Milanese il coinvolgimento della fisioterapista nella Ospedalizzazione Domiciliare del pz oncologico in fase avanzata di malattia è tempestivo, spesso già nelle 48 ore successive alla presa in carico. Questa modalità di intervento serve a prevenire la perdita di autonomia, massimizzando il potenziale funzionale , specialmente in presenza di complicanze neurologiche o ortopediche. Il fisioterapista può contribuire alla prevenzione e controllo delle algie ricercando e insegnando al paziente e ai familiari le posture più confortevoli, le manovre più sicure durante i passaggi posturali e i trasferimenti. Può inoltre individuare gli ausili più appropriati per prevenire la perdita di autonomia nelle Attività di Vita Quotidiane (AVQ). Nel corso del 2010 il nostro servizio ha seguito a domicilio 534 pz oncologici terminali; 190 malati sono stati seguiti anche dalla fisioterapista per un totale di 917 trattamenti. Il 32% dei malati era già allettato alla prima visita della fisioterapista. Il 72,62% dei pazienti ha eseguito meno di 5 sedute; il 16,31% fino a 10; l’11,07% ha ricevuto più di 10 trattamenti. Il 35,78% aveva problematiche riconducibili alla presenza di metastasi ossee; il 29,47 % dei pz aveva problematiche di tipo neurologico; sono state riscontrate miopatie iatrogene nel 1,57% dei malati; nel 36,94% la fisioterapista è stata attivata per addestrare i familiari. L’astenia era un sintomo presente in tutti i pazienti. Il servizio di Ospedalizzazione Domiciliare è attivo 24 ore su 24 per 7 giorni alla settimana. Il tempo medio di presa in carico è stato di 29 giorni. Il Coefficiente di Intensità Assistenziale (CIA) è stato 0.66; il CIA dell’ultima settimana è stato 0.84. Le telefonate notturne sono state 693 a cui sono seguite 179 uscite notturne del medico e/o infermiere. La fisioterapista è inserita nell’équipe e il suo programma d’intervento è concordato da tutte le altre figure professionali e prontamente modificato al mutare delle condizioni cliniche del paziente . Beatrice Pallaroni HA SENSO LA FISIOTERAPIA IN HOSPICE? Se la consideriamo uno strumento a disposizione di una equipe multidisciplinare e multiprofessionale, non tanto per risolvere patologie invalidanti, ma con l’intento di prendersi carico e cercare di dare risposta alla sofferenza globale che investe i malati a fine vita allora, almeno nella nostra esperienza, la risposta è certamente SI. A seconda delle situazioni e ricorrendo agli ausili più adatti, pur in presenza di malattie rapidamente progressive ed a brevissima prognosi, si può ancora incentivare la deambulazione e quando questa non è più possibile, possono trovare impiego esercizi attivi e passivi, limitando il tempo di immobilità trascorso a letto. La fisioterapia è anche il pretesto per convincere i pazienti allettati ad uscire dalla propria camera, per essere accompagnati nella piccola palestra e ricorrendo, quando necessario a presidi quali il sollevatore per poter usufruire almeno di mobilizzazione passiva, di massaggi decontratturanti e rilassanti, nell’atmosfera conviviale che si viene a creare con l’aiuto del gruppo di volontari formati a questo compito e con la presenza dei familiari che desiderano e possono essere presenti. Nei casi in cui la palestra non è gradita, oppure nei casi più gravi in cui questa non è possibile né opportuna, la fisioterapia al letto si è spesso rivelata utile, sia per gli aspetti pratici (massaggi, mobilizzazione passiva, consigli sulla possibilità di posizionamento di cuscini e sul cambio di postura, prevenzione dei decubiti e dolori posturali) sia per l’aiuto sul piano psicologico al malato ma anche ai familiari, contribuendo a dare prospettiva e dignità anche agli ultimi giorni di vita. Eugenia Trotti IL LUTTO ANTICIPATORIO Secondo l’originaria definizione di Lindemann (1944) il lutto anticipatorio è il processo di “lutto che il malato terminale deve sperimentare per prepararsi alla propria definitiva separazione da questo mondo”. L’ampia letteratura sull’argomento ha dimostrato che esso non riguarda solo il malato ma anche i suoi familiari e gli operatori che lo assistono: i processi affettivi, cognitivi e relazionali avviati durante il lutto anticipatorio costituiscono le basi per lo svolgimento del processo di effettiva separazione e di elaborazione del lutto. 15 Benchè possa essere considerato una tappa normale del ciclo vitale, fisiologica e funzionale ad un consapevole avvicinamento alla morte, il lutto anticipatorio può assumere caratteristiche disfunzionali e dare luogo a dolorose forme di sofferenza psicologica e sociale nel malato e nei care‐givers. Al fine di garantire un adeguato percorso di cura e assistenza al morente e ai suoi familiari, la letteratura recente sottolinea l’importanza di considerare il lutto e il cordoglio come un continuum individuando, già a partire dal lutto anticipatorio, gli aspetti critici che predispongono al distress psicologico nel morente e al lutto complicato nei suoi familiari. Chiara Mauri SUPPORTO AL LUTTO Fare il lavoro del lutto ha a che vedere con il fare spazio, con la differenziazione, contrariamente al conformismo che è un modo per non ascoltare, non pensare, non dare un luogo e un senso agli eventi ed alle cose. L’elaborazione del lutto si avvicina molto ad aspetti di insaturità della mente, che vengono richiesti prima di tutto al terapeuta, al non dare subito risposte saturando il campo, ad approcciarsi a stati della mente primitivi e dolorosi per renderli pensabili, a tollerare il senso del limite. Alla luce di queste considerazioni, si può riflettere su come i percorsi di supporto al lutto abbiano potenzialità per permettere alle persone di elaborare l’esperienza della separazione e della perdita, potendola integrare nella propria quotidianità, consentendo il passaggio simbolico da una presenza esterna e tangibile del familiare defunto, ad una presenza internalizzata e mentalizzata; facilitare il processo trasformativo che possa accompagnare i familiari nel percorso psico‐emotivo che parte da un vissuto di perdita subita, alla possibilità di pensare una nuova progettualità ed un reinvestimento affettivo sulla quotidianità, sulle persone, sulla vita. Con il tempo, i pazienti possono iniziare a sperimentare le diverse gamme di emozioni: così come il pianto autentico, anche la possibilità di sorridere. Questo appare nettamente in contrasto con un’evoluzione patologica del lutto in cui le emozioni sono congelate, dove muore con il defunto la capacità di sentire e quindi la potenzialità di pensiero, danneggiando il soggetto che si impoverisce fino a spegnersi mentalmente ed emotivamente. Nel corso dei mesi, ed all’interno di un percorso psicologico di supporto, questi aspetti possono gradualmente essere avvicinati, verbalizzati, condivisi, iniziando un lavoro di pensabilità laddove inizialmente prevalevano elementi concreti e confusivi. Dopo il primo periodo, si può notare come la partecipazione attiva al percorso di supporto aiuti a cambiare parzialmente il punto di vista in merito al proprio congiunto, recuperandone un’immagine sfaccettata e non più esclusivamente idealizzata, potendo gradualmente disinvestirla. Il processo del “far morire” il congiunto (nell’accezione di iperinvestirlo per poi disinvestirlo lasciandolo andare) per farlo poi “rivivere” (nell’accezione di interiorizzarlo come oggetto interno buono) si avvia lentamente e pazientemente. Sulla scia di queste considerazioni, nel 2008 presso l’Hospice dell’ospedale Felice Villa di Mariano Comense ed attualmente presso l’Hospice di Cantù, è attivo un servizio permanente di psico‐oncologia con la specificità del supporto al lutto denominato Ambulatorio del Lutto e promosso dall’Associazione “Il Mantello”. Il servizio si avvale della competenza di due psicologhe specializzate in psicoterapia e psico‐oncologia, con esperienza nel settore delle cure palliative. L’Ambulatorio aperto al territorio, ad accesso gratuito, ha la funzione di creare uno spazio ed un tempo in cui i familiari possano incontrare un professionista, pensare insieme e verbalizzare i vissuti relativi alla fase del lutto, impostando percorsi di supporto ed elaborazione (in caso di lutto naturale, o lutto complicato/ patologico). I servizi offerti dall’Ambulatorio del Lutto sono: - Telefonate di cordoglio: svolte da volontari opportunamente formati che contattano i familiari dei pazienti seguiti all’Hospice o al domicilio circa due mesi dopo il decesso (allo scopo di confrontarsi sulle condizioni attuali e di ricordare le attività dell’Ambulatorio del Lutto, qualora sentissero la necessità di accedervi). - Colloqui di primo supporto per i familiari dei pazienti in Hospice (nella circostanza di lutto appena avvenuto, se il familiare ne evidenzia la necessità). - Colloqui di supporto al lutto individuali ai familiari dei pazienti seguiti presso l’Hospice, presso il domicilio ed inviati dal territorio (approccio psicodinamico e relazionale). - Percorsi di supporto al lutto individuali attraverso il metodo emdr (desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari), nei casi di lutto traumatico. - Gruppo terapeutico per l’elaborazione del lutto: condotto da una psicoterapeuta di gruppo; è aperto ed eterogeneo ed il modello di riferimento è quello del piccolo gruppo a conduzione analitica, improntato ad un lavoro sugli aspetti profondi dei partecipanti. - Progetti nelle scuole (dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado) per sensibilizzare gli insegnanti gli studenti ed i genitori sui temi del lutto, della perdita, della separazione. In questi anni di lavoro sul lutto, si è potuto constatare come ciascuna persona si separi dal congiunto amato così come ha costituito dei legami nella propria vita: in base alla propria storia ed alla propria struttura di personalità. La condizione di lutto mette la persona di fronte ad un disagio globale in cui l’unità corpo‐mente appare particolarmente inscindibile e coinvolta nel malessere. Le persone incontrate, manifestano una sintomatologia somatica (perdita dell’appetito, secchezza della bocca, palpitazioni, emicrania, dolori muscolari, insonnia), accanto a quella psichica (ansia, ipocondria, ottundimento e 16 incredulità, smarrimento, amarezza, sfiducia, rabbia e senso di colpa, dolore e disperazione, sentimenti ambivalenti, senso di solitudine), a seconda delle diverse fasi del lutto che stanno vivendo. Nell’intraprendere percorsi di elaborazione del lutto con pazienti che accedono all’Ambulatorio, è fondamentale poter valutare durante i primi colloqui se il lutto che stanno vivendo è “naturale” (per tempi, modalità, caratteristiche), oppure complicato e patologico, per poter offrire a ciascuno il migliore approccio ai fini dell’elaborazione della perdita. Possiamo ritenere situazioni di lutto “naturale” quelle che perdurano per circa un anno, in cui il disagio psico‐fisico descritto è presente in vari modi. Questo tipo di lutti sono caratterizzati da meccanismi sani di difesa e riabilitazione come la riparazione (iperinvestimento e successivo disinvestimento energetico dall’”oggetto”) ed il reinvestimento (l’energia si sgancia dall’”oggetto” e viene reinvestita su altro). Nel lutto complicato/patologico, invece, si osserva come la sintomatologia si protragga dopo un anno e si strutturi nella personalità generando identificazione con il defunto (l’”ombra dell’oggetto ricade sull’Io”), congelamento, tentativo di “riunione patologica” (incorporazione di aspetti dell’”oggetto”), sintomi: ansia, angoscia, depressione. I fattori di rischio che possono indurre la persona a vivere il proprio lutto in maniera patologica sono: storie caratterizzate da lutti precedenti inelaborati, la presenza di patologie psichiatriche familiari, di suicidi in famiglia, situazioni di fragilità sociali. Per questa tipologia di lutti è spesso indicato far intraprendere al paziente un percorso di supporto gruppale al fine di creare uno spazio ed un tempo in cui i familiari possano incontrarsi, confrontarsi, pensare insieme e verbalizzare gli intensi e complessi vissuti che stanno sperimentando in questa fase. Molte persone che si sono fatte accompagnare nei percorsi di supporto al lutto in questi anni, sono giunte al raggiungimento di una più profonda consapevolezza di sé e della propria situazione, che mi pare sia espressa molto chiaramente nel libro di M. Mazzantini Non ti muovere attraverso un’emblematica frase detta dal protagonista: “…io non so dove vanno le persone che muoiono, so dove restano”. Nadia Crotti, Valentina Broglia LA RIABILITAZIONE PSICOLOGICA DEL GIOVANE ADULTO CON CANCRO Il cancro è una malattia lunga e dolorosa e spesso sconvolge i ritmi di vita della persona, determinando un notevole cambiamento non solo nelle proprie abitudini, ma anche in quelle dell’intero sistema familiare. La storia del malato si trasforma così in storia familiare, ed è estremamente importante che la famiglia si adatti a tale evento, sia da un punto di vista pratico, che da un punto di vista psicologico ed emotivo. Per molti pazienti risulta difficile rivelare le proprie preoccupazioni e le proprie angosce ai famigliari, con la convinzione di proteggerli dalla sofferenza. Questo atteggiamento ha spesso come effetto quello di aumentare le tensioni all'interno della famiglia e di impedire che si crei quell'atmosfera di sostegno e comprensione, che invece è preziosissima sia per il paziente che per i suoi cari. Quando in famiglia sono presenti dei bambini, l'atteggiamento comunemente adottato dai genitori è quello di estrometterli da ciò che accade intorno a loro, nella convinzione di preservarli da un dolore troppo grande da sopportare. In realtà, i bambini soffrono al pari degli adulti, e negare questa loro capacità di percepire le tensioni e le sofferenze altrui è soltanto un mezzo per rassicurare se stessi. Tale atteggiamento, che può essere definito di "buio comunicativo", però, viene fortemente contraddetto dalla comunicazione . non verbale dei genitori, che invece tradisce tensione e preoccupazione I genitori dovrebbero aiutare il bambino a capire e dovrebbero accompagnarlo passo dopo passo attraverso le tappe della malattia che si è insinuata all’interno della famiglia; dovrebbero dare il giusto peso a domande e a comportamenti che potrebbero sottintendere angosce di abbandono e condividere con lui la malattia. Proteggere non significa negare la verità, ma coinvolgere adeguatamente i figli. Eleonora Capovilla, Annalisa Anni RIABILITAZIONE E MEDICAL HUMANITIES L’aumento delle possibilità di cura dei tumori ottenuto negli ultimi decenni ha spinto discipline quali l’oncologia, la psicologia, la psichiatria e l’assistenza sociale e infermieristica a un crescente interesse per le problematiche psicologiche e di qualità della vita, connesse alla sopravvivenza e alla riabilitazione. Conseguentemente è emersa la necessità di un approccio psicosociale al cancro finalizzato a favorire il corso della malattia e a migliorare le capacità di adattamento dei pazienti. In questo quadro, obiettivo principale della attuale psiconcologia è la sperimentazione di specifici interventi psicosociali, strutturati sull’integrazione dei saperi e delle varie professionalità, in un ottica di collaborativa multidisciplinarietà, finalizzati alla considerazione dei bisogni globali dei pazienti affetti da cancro, in tutte le fasi della malattia, compresa quella riabilitativa. In seno a questa esigenza le Medical Humanities nascono come risposta, anche pratica, ad una medicina sempre più impersonale, aprendo l’ambito di interesse anche ad altre figure che lavorano in campo sanitario, ad esempio gli infermieri, ma anche a tutti coloro che, a vario titolo, si interessano di quest’argomento, come ad esempio psicologi, antropologi, filosofi, letterati ed artisti. 17 Il movimento delle medical humanities nasce primariamente come Committee on medical education and theology che successivamente, appoggiata anche dai medici, diventa Society for health and human values. Questa società ha il grande merito di aver diffuso le Medical Humanities nelle varie facoltà di medicina degli Stati Uniti, introducendone dei corsi all’interno del percorso di studi [Spinsanti, 2006]. Le modalità di intervento attualmente utilizzate dalle Medical Humanities nei contesti oncologici sono, la scrittura creativa (Allan, Petrone, Kirklin, 2001), la pittura (Soranzo Barbieri, Ragana, 2010), la Mindfulness (Capovilla et altri, 2009a, Capovilla et altri, 2009b, Capovilla et altri, 2010), il mandala terapia (Respini, 2010), etc. Per quanto riguarda il ruolo dello psicologo nell’umanizzazione delle cure, è stata recentemente condotta presso l’Istituto Oncologico Veneto‐ I.R.C.C.S. di Padova una ricerca di tipo qualitativo (Anni et al., 2011). Secondo gli intervistati, la figura dello psicologo è la più adeguata sia per comprendere gli aspetti, imprescindibili, della cura e del “prendersi cura”, sia per poterli trasmettere a medici ed infermieri, tramite un intenso lavoro d’équipe e la necessità di una formazione psicologica agli operatori, più volte espressa dagli intervistati, perché le cure vengano rese più umane da parte di tutti gli operatori, non solo per opera dello psicologo. Tale ruolo è imprescindibile alla cura stessa proprio perché intesa come “prendersi cura” della persona del malato. In ambito riabilitativo oncologico, le Medical Humanities possono essere di grande aiuto. Bibliografia − Allan H., Petrone M., Kirklin D. (2001). Fostering the creativity of medical students, in Kirklin, Richardson (Eds.) Medical Humanities. A practical introduction, (pp. 43‐60). London: Royal College of Physicians. − Anni A., Cascarilla R., Cason E., Armezzani M., Capovilla E. (2011). Can Psychology give a contribution to medicine?, Atti International Council of Psychologists, Padova 26‐27 Luglio. In press. − Capovilla E., Cason E., Guglieri I. Progetto medical Humanities in Psiconcologia. In Abstract Book XI Congresso Nazionale SIPO Professionalità ed Innovazioni in Psiconcologia. Senigallia (AN) 1‐3 Ottobre 2009. − Capovilla E., Cason E., Giommi F. Mindfulness in psiconcologia: un percorso di consapevolezza. In Abstract Book XI Convegno SIPO Professionalità ed innovazioni in Psiconcologia. Senigallia (AN), 1‐3 Ottobre 2009. − Capovilla E., Cason E., Anni A., Giommi F. Interventi di Mindfulness in pazienti in fase di follow up. In Abstract Book IX Convegno Nazionale “L’umanizzazione delle cure in oncologia”. “Psiconcologia: interventi oncologici evidence‐based e medical humanities” Padova, 26‐27 Maggio 2010. − Respini D. (2010). Il mandala contro il cancro. Roma: Mediteranee Edizioni. − Soranzo Barbieri M. P., Ragana V. (2010). IOVart, La stanza dei giochi. In Abstract Book, IX Convegno Nazionale L’umanizzazione delle cure in oncologia. Psiconcologia: interventi oncologici evidence‐ based e Medical Humanities, 26/27 Maggio 2010. − Spinsanti S. (2006). Una prospettiva storica. In Bucci (Eds.), Manuale di Medical Humanities (pp. 15‐41). Roma: Zadigeditore. Relatori Salvatore Natoli Ordinario di Filosofia Teoretica Università degli Studi di Milano Bicocca Luigi Grassi Professore Ordinario di Psichiatria e Direttore Dipartimento Discipline Medico‐Chirurgiche Comunicazione e Comportamento, Università di Ferrara, Presidente SIPO e Chair Federation Psycho‐Oncology Society Maria Rosa Strada Oncologo Medico Direttore U.O. Riabilitazione Oncologica Maugeri IRCCS di Pavia Paola Varese Direttore Medicina a Indirizzo Oncologico ASL AL Piemonte Presidio Ovada, Direttore Scientifico Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia Vittorio Corsetti Medico Centro Raphael di Calcinato Brescia Barbara Fiora Psicologa Psicoterapeuta U.O. di Pneumologia Azienda Spedali Civili di Brescia, LILT Sez di Brescia Hania Menhart Institut und Poliklinik für Medizinische Psychologie, Zentrum für Psychosoziale Medizin Universitätsklinikum Hamburg‐Eppendorf Paola Luzzatto Ph.D. Arte Terapeuta (Londra, New York), Docente e Supervisore, Art Therapy Italiana, Bologna Paola Gabanelli Psicologa Psicoterapeuta Maugeri IRCCS, di Pavia, Consigliere SIPO Lombardia, Associazione PRIAMO Silvia Galeri Medico Fisiatra Responsabile Servizio di Fisiatria Riabilitazione Centro Ettore Spalenza di Rovato Fondazione Don Gnocchi Onlus Mauro Ricca Direttore Sanitario Ospedale Riabilitativo Ettore Spalenza di Rovato Fondazione Don Gnocchi Onlus Elisa Grechi Psicologa Psicoterapeuta LILT Sez di Firenze, Servizio di Psiconcologia Ce.Ri.On. ISPO Firenze Giovanna Franchi Psicologa Psicoterapeuta LILT Sez di Firenze, Responsabile Servizio di Psiconcologia Ce.Ri.On. ISPO Firenze Alice Maruelli Psicologa Psicoterapeuta LILT Sez di Firenze Servizio di Psiconcologia Ce.Ri.On. ISPO Firenze Riccardo Torta Professore Aggregato di Neuroscienze, Direttore Struttura Complessa di Psicologia Clinica e Oncologia ASO San Giovanni Battista e Università di Torino, Segretario SIPO Nazionale Maria Antonietta Annunziata Psicologa Psicoterapeuta, Responsabile SOSD di Psicologia Oncologica IRCCS Claudia Borreani Psicologa, Responsabile Struttura Semplice Dipartimentale di Psicologia irccs Istituto Nazionale dei Tumori Milano 18 Luciana Murru Psicologa Psicoterapeuta Struttura Semplice Dipartimentale di Psicologia irccs Istituto Nazionale dei Tumori Milano, Consigliere SIPO Lombardia, Associazione PRIAMO Anna Costantini Psicologa Psicoterapeuta, Direttore UOD Psiconcologia, Azienda Ospedaliera S. Andrea, Facoltà di Medicina e Psicologia Sapienza Università di Roma, Tesoriere SIPO Nazionale Alberto Maria Comazzi Neuropsichiatra, Consulente irccs Istituto Nazionale dei Tumori Milano, Membro SPI Antonella Varetto Dirigente Psicologo Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni Battista di Torino Luigi Valera Psicologo Psicoterapeuta VIDAS di Milano, Consigliere SIPO Lombardia, Consigliere SIPO Nazionale, Associazione PRIAMO Maria Pia Schieroni Coordinatore Sezione Nazionale Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa Riabilitazione in Oncologia, Segretario Regionale Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa Piemonte e Valle d’Aosta, Direttore Dipartimento Riabilitativo ‐ Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni Battista di Torino Rosa Maria Converti Fisiatra Responsabile DAT Fondazione Don Gnocchi Onlus di Milano Fulvia Gariboldi Medico Fisiatra Servizio di Fisiatria S.C. Cure Palliative (Terapia del dolore e Riabilitazione) IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori Milano Monica Pinto Fisiatra, Responsabile della Struttura Semplice Dipartimentale Riabilitativa, Istituto Nazionale dei Tumori di Napoli,RCCS G. Pascale Carla Calabretto Medico Fisiatra Domus Salutis Brescia Franco Berrino Dirigente S.C. Epidemiologia Eziologica e Prevenzione irccs Istituto Nazionale dei Tumori Milano Milena Raimondi Psicologa Psicoterapeuta S.C. Epidemiologia e Prevenzione IRCCS Istituto dei Tumori di Milano, Associazione PRIAMO Serafina Petrocca Nutrizionista, Specialista in Scienza dell'Alimentazione, Torino Presidente Associazione Prevenzione Insieme ONLUS, Associazione PRIAMO Francesco Dioguardi Dipartimento di Medicina Interna Università degli Studi di Milano Isabella Preziosa Dirigente Medico Dipartimento di Medicina Clinica Sapienza Università di Roma Patrizia Buda Psicologa Psicoterapeuta, Supervisore Equipe Rimini, Consigliere SIPO Nazionale Mauro Montermini Fisioterapista VIDAS Milano Nicola Fasser Medico Hospice Domus Salutis di Brescia, Associazione PRIAMO Fulvio D’Ostuni Medico Palliativista Responsabile Day Hospice VIDAS di Milano Flavia Bernardi Fisioterapista UOCPMD Azienda Ospedaliera Salvini di Garbagnate Paolo Beatrice Pallaroni Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche Ostetriche Pio Albergo Trivulzio Milano Socia Associazione Infermieri Transculturali Chiara Mauri Psicologa Psicoterapeuta Associazione il Mantello Cantù, Associazione Oncologica di MultiMedica di Sesto San Giovanni Eugenia Trotti Medico Specialista in Psicologia Clinica, Psicoterapeuta, Ricercatrice di Psicologia Clinica Università degli Studi dell'Insubria di Varese Eleonora Capovilla Psicologa Psicoterapeuta, Responsabile U.O.S. di Psiconcologia, Istituto Oncologico Veneto ‐IRCCS‐ Padova. Consigliere Nazionale SIPO, Coordinatrice del Comitato Nazionale SIPO per le Medical Humanities Nadia Crotti Psicologa Psicoterapeuta, Istituto Scientifico per lo Studio e la Cura dei Tumori di Genova 19