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LA RITRATTISTICA
Già alcuni secoli fa molti gendarmi, carcerieri
(ma anche carcerati) si dilettavano nel ritratto
di detenuti. Alcune opere erano di importante
rilievo artistico, tanto da dar luogo a un vero e
proprio mercato. Ovviamente, immagini del
genere, seppur potevano avere una qualche
qualità artistica, non avevano alcun valore
scientifico.
La ritrattistica era ampiamente in uso in ambito
psichiatrico sin dall’inizio del ‘700.
L’identificazione di un individuo da parte della
polizia si avvale per secoli dell’opera di
fisiognomisti, che basandosi sul racconto di
testimoni, cercano di creare un ritratto
verosimile a partire da determinate
caratteristiche fisiche. Solo successivamente,
come vedremo nel 1854, si inizia a sfruttare il
mezzo fotografico al fine di imprimere su carta
e diffondere le immagini dei criminali.
DALLA FISIOGNOMICA ALL’ANTROPOLOGIA
CRIMINALE
La fisiognomica nasce come arte dell’interpretazione
dei segni del corpo, con particolare attenzione al volto.
Il padre della fisiognomica può essere considerato
Aristotele; cenni di fisiognomica si trovano anche in
Cicerone, Tacito, Seneca e altri ancora in ambito
romano.
Questa disciplina avrà grande rilevanza in particolare
nella cultura araba, mentre la sua considerazione va
scemando in ambito europeo durante il Medioevo, a
causa delle divergenze con il cristianesimo (in
particolare, saranno le opinioni di Giovanni Buridano a
rifiutare la fisiognomica).
Una riscoperta della fisiognomica avviene nel
Rinascimento; saranno molti piccoli e stampatori
a produrre i testi più importanti dell’epoca. La
figura fondamentale dell’epoca è quella di
Giovanni Battista Della Porta che pubblica in
“De humana physionomia” (1853) una serie di
ritratti umani, comparati a ritratti animali.
Il vero fondatore della moderna fisiognomica è
invece Johann Lavater, con il suo libro (illustrato
da Goethe) “Frammenti fisiognomici”. Dai suoi
studi discende la nascita della frenologia, una
scienza in grado di identificare caratteristiche
correlate a specifici tratti morfologici del cranio.
Parlando di crani, non si può che pensare a
Cesare Lombroso: in buona sostanza, egli
sosteneva l’esistenza di segni indicanti
anormalità e degenerazione, che causano
predisposizione al crimine e a comportamenti
immorali.
A partire da queste basi, Lombroso segnerà la
nascita, nel 1871, dell’antropologia criminale.
Buona parte del successo di Lombroso
si deve alla pubblicazione delle “figurine”
dei criminali, molto diffuse a inizio secolo.
I CARTELLINI SEGNALETICI
La fotografia criminale è frutto sia
dell’evoluzione del mezzo fotografico, che della
fisiognomica e dell’antropologia criminale, della
ritrattistica, ma è anche debitrice nei confronti
dei cartellini segnaletici. Questi erano compilati
dalle forze dell’ordine in relazione all’arresto
dei criminali, e prevedevano una sommaria
descrizione del soggetto attraverso i suoi
caratteri fisici.
“Palermo, 24 settembre 1777, cattura di
Giacomo Santoro figlio di Marco, nativo di
Casalvecchio, terra di Gavozza, di anni 27,
capelli neri, barba del medesimo e molto rara,
bassa statura, fu condannato a servire in
presidio dalla galea di Messina per anni 7 per
causa di furto”.
LA POLIZIA SCIENTIFCA
Sul finire dell’800 in molti dei paesi
industrializzati iniziò a nascere una “nuova”
polizia, ribattezzata sin da subito scientifica.
Questo aggettivo indicava due qualità: una
modalità di svolgimento delle indagini seguendo
criteri che oggi potremmo definire logicomatematici, e al contempo l’utilizzo di
apparecchi, materiali e procedimenti tipicamente
scientifici “al servizio della legge”. Nella seconda
categoria rientrano le macchine fotografiche,
frutto delle innovazioni degli anni ‘40.
Fu attorno agli anni ‘70 del XIX secolo che
avvenne la prima popolarizzazione della
fotografia (seppur relativa, e ben lungi da
quella avvenuta con il passaggio alla fotografia
digitale).
La classe medio-piccolo borghese ebbe per la
prima volta accesso alle apparecchiature
fotografiche, in particolare ai mezzi detti
“poliziotto” o “detective”.
Siamo in un’epoca di uso e abuso del termine
detective: Scotland Yard, Sherlock Holmes...da
qui i nomi delle macchine fotografiche, ma
soprattutto una corsa alla miniaturizzazione e
al camuffamento delle apparecchiature,
inserite anche in elementi inattesi, come borse,
cravatte o pistole.
Il successo di questi strumenti fu grandissimo,
soprattutto perché dava la sensazione a chi la
possedeva di avere tra le mani un’arma di
difesa personale, nonché uno strumento utile
di identificazione del delinquente, qualora,
ovviamente, si fosse riusciti a ritrarlo nell’atto di
compiere il reato. Su questo tasto spingeva
molto la pubblicità dell’epoca, presentando le
fotocamere come strumenti di aiuto alle forze
dell’ordine al fine di cogliere in fragranza il
delinquente.
LE DIVERSE SCUOLE DI POLIZIA SCIENTIFICA
All’inizio del XX secolo esistevano già diverse scuole
di polizia scientifica: inglese, svizzera, francese,
tedesca, russa, italiana, statunitense.
In questo intervento ci occupiamo principalmente
della scuola italiana e in parte di quella francese,
soprattutto in relazione al fatto che la nascita di una
polizia scientifica aleggi per prima proprio in ambito
francese. In Italia buona parte dei meriti possono
essere assegnati a Umberto Ellero, massimo teorico
e pratico di fotografia giudiziaria, inventore delle
“gemelle Ellero”, strumento principe per raccogliere i
ritratti dei delinquenti.
Ellero sosteneva la necessità di mettere a
proprio agio il soggetto attraverso il dialogo, in
modo da ottenere ritratti più spontanei, con il
criminale o il sospetto rilassato di fronte alla
macchina fotografica.
Nell’ottica di una internazionalizzazione della
polizia, fu ben presto evidente la necessità di creare
una vera e propria letteratura criminale
professionale, condivisa a carattere sovranazionale,
per evitare confusione tra stati diversi, ma anche tra
diversi dipartimenti all’interno dello stesso ente.
Tutti gli studiosi e gli addetti ai lavori sono concordi
nel considerare Alphonse Bertillon, capo del
servizio di identificazione della prefettura della
polizia di Parigi, come colui che per primo ha
formulato una teoria scientifica generale per la
descrizione esatta dei criminali.
Una misurazione esatta è quella che viene
fatta con criteri e strumenti matematici: nel
caso dell’uomo, si iniziò a parlare di
antropometria; in particolare, trattandosi
dell’ambito criminale si parla di antropometria
segnaletica.
Tale nuovo metodo si basa sul ritratto
fotografico, di fronte e di lato, accompagnato
da un dettagliato cartellino che riporta le
principali caratteristiche anatomiche del
soggetto.
Il metodo proposto da Bertillon ebbe grandissimo
successo in Francia, grazie anche all’appoggio
governativo, e visse la sua stagione di gloria tra il
1888 e il 1905. Le tecniche furono estese anche al
di fuori dei confini francesi, anche se non
mancarono scontri con alcuni altri personaggi
celebri della criminologia dell’epoca; uno su tutti,
Lombroso: da un lato il francese sosteneva la
peculiarità del singolo criminale, dall’altra l’italiano
che era alla ricerca di teorie fisiognomiche generali
applicabili a intere categorie.
Nel 1905 il metodo detto del “bertollinage” viene
definitivamente abbandonato a favore del sistema
di identità tramite impronte digitali.
Tra le misure, Bertillon ne identifica alcune
costanti, come le impronte digitali o l’impronta
dei piedi, e altre che mutano in funzione del
passare degli anni, primo tra tutti l’aspetto
fisico.
Sulla base dei suoi studi, fu proprio Bertillon a
creare il primo schema ordinato per la
classificazione dei criminali.
Oltre a tutto ciò che andava inserito nella
descrizione, era importante anche l’aspetto
pratico della presa dell’immagine.
Bertillon era convinto che per far assumere un
aspetto più naturale al criminale fotografato, lo
si dovesse far pensare ad altro: aveva perciò
studiato una sedia particolarmente scomoda
su cui posizionare il soggetto. Il soggetto era
talmente scomodo nel muoversi che era quasi
costretto a mantenere la posizione per tutto il
tempo necessario allo scatto.
Per Bertillon l’espressione migliore veniva
acquisita proprio grazie a questa tecnica,
mentre Ellero (il padre della fotografia italiana)
preferiva puntare sul dialogo con il criminale
così da metterlo a proprio agio.
TERMINOLOGIA
- Fotografia giudiziaria: ogni tipo di fotografia utile in
qualsivoglia modo alle indagini delle forze
dell’ordine. All’interno di questa macro categoria si
trova la fotografia criminale, che può documentare
un fatto nel momento della sua esecuzione o
rappresentare successivamente la scena del delitto.
Va poi fatta una distinzione tra ritratto segnaletico e
fotografia segnaletica: il ritratto si riferisce sempre
ad un essere umano, la fotografia può riguardare o
il criminale, l’oggetto rubato o la scena del delitto.
Qui ci occupiamo soprattutto di ritrattistica
criminale, ma è evidente che nel corso della
storia abbia avuto una notevole rilevanza
anche la fotografia della scena del crimine e
della refurtiva. In particolare, ancora oggi la
scena del crimine suscita interesse sia da un
punto di vista fotografico che televisivo, tanto
che spesso vengono fatti collegamenti con gli
inviati proprio nei pressi delle scene del delitto.
E’ grazie alla fotografia che è possibile
documentare nel dettaglio la scena di un
crimine, andando poi a ricostruire passo per
passo, tramite le indagini, quanto accaduto.
Secondo Dick Warrington (Forensic Magazine
USA), l'obiettivo della fotografia forense è
quello di catturare una "registrazione accurata
della scena e delle prove raccolte."
Utilizzando macchine fotografiche specifiche,
obiettivi, luci e riprese da diverse angolazioni,
la fotografia criminale deve catturare schizzi di
sangue, potenziali armi utilizzate, impronte di
scarpe, o lividi su un corpo.
Dato che la scena del crimine andrà poi
ripulita, la fotografia resterà l’unica
testimonianza di quanto avvenuto.
Il fotografo della scena del crimine deve
registrare i dettagli, seguendo tre punti
principali:
- Panoramica/Vista d’insieme: se il reato è
avvenuto all’interno di un edificio, andrà
fotografato l’edifico stesso nel suo insieme,
l’esterno, e ogni stanza che possa essere
correlata con il luogo di interesse; importante è
anche fotografare gli spettatori per ricercare
testimoni o possibili sospettati.
- Il secondo elemento sono le foto a medio
raggio, possono ritrarre un pezzo di prova,
come un coltello, ma a una distanza sufficiente
per mostrare la sua relazione con mobili, una
macchia di sangue o il resto della stanza.
Questa seconda tipologia di immagini (e di
inquadrature) stabiliscono la distanza del
soggetto rispetto agli elementi circostanti.
Il fotografo, come all’esterno, può sfruttare la
fotografia panoramica per avere una visione
d’insieme della scena.
- Infine, il fotografo documenta accuratamente
la prova con primissimi piani.
I primi piani sono segni di riconoscimento
come cicatrici su un cadavere o numeri di serie
su un pezzo insanguinato di apparecchiature
elettroniche. Il fotografo spesso include un
righello nella ripresa per stabilire scala, ma ha
sempre una copia dell'immagine senza il
dispositivo di misurazione.
In tribunale, infatti, la difesa potrebbe
rivendicare che il righello ha coperto qualcosa
di importante, che può cambiare la percezione
della scena.
Una buona fotografia di una scena del crimine deve
soddisfare alcune specifiche tecniche: corretta
esposizione, messa a fuoco nitida e massima
profondità di campo (tutti gli elementi della scena
risultano perfettamente a fuoco).
L'immagine deve inoltre essere esente da distorsioni.
Tali norme tecniche sono previste per produrre foto
che effettivamente aiutino gli agenti nelle indagini.
Altre qualità che rendono una foto ammissibile in
tribunale sono che l’immagine non può alterare la
scena o la prova (luminosità errata o profondità di
campo ridotta). L'immagine dovrebbe essere
composta con precisione tecnica senza richiamo
emotivo.
FOTOGRAFIA CRIMINALE E STAMPA
Un rapporto molto stretto, in cui fu per anni la
rivista Life a farla da padrona: il giornalista
Pulitzer pubblicò per diverso tempo foto
sensazionali di scene del crimine ritratte dalla
polizia e offerte per la prima volta a un
pubblico tanto vaso.
Inoltre, Pulitzer era solito pubblicare ritratti di
criminali e sospetti.
Spesso, però, erano anche i fotografi della
rivista a consegnare le loro immagini alla
polizia, qualora potessero risultare utili alle
indagini.
Il nome più famoso in questo senso è quello di
Weegee, pseudonimo di Arthue Fellig: egli legò
il proprio nome di fotografo alla ripresa di scene
del delitto e di criminali, con un taglio
reportagistico (e non di mera registrazione della
scena).
Sfruttando le amicizie con alcuni poliziotti di
New York, Weegee riusciva spesso ad essere
sul luogo del delitto contemporaneamente, a
volte anche prima, rispetto alle forze dell’ordine.
Egli ha sempre alternato foto dei testimoni e del
pubblico che assiste ad un delitto, con quelle
vere e proprie della scena del crimine.
Il suo intento era sia documentaristico (per la
parte relativa alla scena del crimine) ma
soprattutto voleva mostrare la morbosità
dell’uomo nei confronti dei delitti (il capannello
di pubblico che si forma attorno o vicino ad un
evento tragico).
Ritornando invece ai fotoritratti, prima di Weegee,
a causa del lungo tempo di scatto, la luce non
poteva che essere naturale, anche perché nella
seconda metà dell’800 i flash non erano ancora
un sistema affinato come lo sono oggi.
Viene considerata indispensabile, per la corretta
riuscita della foto, la collaborazione del soggetto
fotografato.
Al contrario di una confessione, una foto
segnaletica non può essergli estorta, se non a
condizione di ottenere qualcosa di lontano dalla
realtà: un volto spaventato o tormentato produce
un’immagine poco riconoscibile.
In principio, come già accadeva per i malati di
mente (o meglio, per coloro che erano rinchiusi
in manicomio) venivano utilizzati mezzi
coercitivi, come le camicie di forza o cinghie
per costringere alla posizione esatta il corpo.
Ma i fotoritratti ottenuti in questa maniera non
potevano dirsi scientifici, né tantomeno
utilizzabili per la futura identificazione.
Per un certo periodo venne utilizzato il
cloroformio: la persona veniva fotografata
svenuta, sorretta per le ascelle da dei pioli che
mantenevano il corpo in posizione verticale.
Data l’inefficacia di questi strumenti, piano
piano prese piede la convinzione che il
fotoritratto per essere realmente tale doveva
prevedere l’attiva collaborazione da parte del
criminale (o del paziente).
Il fotografo dovrà quindi essere in grado di
mettere a proprio agio il soggetto,
convincendolo a fare qualcosa di
controproducente per se stesso!
Solo in questo caso la foto potrà avere una
qualche utilità, e potrà essere considerata a
pieno titolo una foto segnaletica.
In Italia uno dei massimi esponenti della
saggistica riguardo i metodi di raccolta delle
immagini criminali fu Rodolfo Namias, il quale
sosteneva che un ritratto eseguito in maniera
scorretta era in grado di criminalizzare un
volto. “E’ facile trasformare un viso grazioso in
un soggetto orrido: illuminandolo troppo in
faccia, le guance si approfondiscono sotto gli
occhi, il naso diventa troppo largo, gli occhi e
la bocca si sformano brutalmente...”.
Bertillon, nel suo scritto, prevedeva anche la
possibilità di poter confrontare il volto di un
criminale arrestato con quello coperto colto
durante il reato: esistevano varianti di
mascherine in grado di “aggiungere” al
soggetto barba e baffi, piuttosto che un
fazzoletto sul volto in stile Western, o ancora la
parrucca.
CATEGORIE DI SOGGETTI
Inizialmente, i ritratti criminali hanno come
soggetto sospetti e rei di delitti contro la
persona, contro la proprietà e prostitute. Nel
1860 vive la sua stagione di gloria la fotografia
segnaletica dei briganti, mentre i “politici”
(anarchici e socialisti in primis) rappresentano
un must degli anni ‘70.
Inizialmente racchiusi in un album di
complessa consultazione, i ritratti vengono poi
razionalizzati all’interno di archivi.
Per facilitare la ricerca e la catture di soggetti
nascono i manifesti con le immagini dei
ricercati, i cosiddetti Wanted.
Spesso i soggetti e le “piaghe” da loro causate
non erano ritratti dalla polizia, ma da altri
fotografi spesso allo scopo di ingigantire la
figura della piaga di fronte all’opinione
pubblica: succede così di trasformare in tipico
quello che è in realtà un caso limite, viene
proposta come norma il caso.