Sitografia per gli ( aspetti linguistici e traduttivi )

Dipartimento di Lingue, Letterature, Culture Straniere
Corso di Laurea in Lingue e Culture Straniere
Tradurre il linguaggio di settore.
Aspetti teorici e pratici.
Laureanda
Relatore
Patrizia Crimi
Prof. Paola Faini
Anno Accademico 2012-13
1
INDICE
INTRODUZIONE
4
1. Aspetti teorici
1.1 Introduzione agli aspetti testuali, linguistici e terminologici:
definizioni, caratteristiche e analisi
8
1.2 Il problema delle fonti e della ricerca sulla terminologia
e sulla frequenza d’uso degli equivalenti
16
1.3 La psicologia come scienza “inesatta”: le ripercussioni
sul linguaggio medico-psicologico
19
1.4 Problematiche linguistiche nella psicologia: i vari sistemi di
classificazione e la terminologia dei disturbi d’ansia
27
1.5 Esempi significativi di confusione terminologica nel
linguaggio medico-psicologico italiano: la traduzione
dei termini efficacy, effectiveness ed effect size
34
2. Saggio di traduzione
2.1 I disturbi d’ansia: come capirli e curarli in modo efficace
48
2.2 La terapia cognitivo-comportamentale nei disturbi
d’ansia: stato degli studi
xx
2.3 Terminologia e informatica: la scelta dei termini e
il lavoro con il software specifico
xx
2.4 Glossario e schede terminologiche
xx
Bibliografia per gli aspetti linguistici e traduttivi
xx
Bibliografia per gli aspetti scientifici e psicologici
xx
Sitografia per gli aspetti linguistici e traduttivi
xx
2
Sitografia per gli aspetti scientifici e psicologici
xx
APPENDICE 1: Testi originali
xx
APPENDICE 2: Corpus italiano di riferimento
xx
APPENDICE 3: Corpus inglese di riferimento
xx
[Glossario Trilingue] Tabelle relative ai disturbi d’ansia del DSM-IV-TR
(Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali)
e dell’ICD-10 (Classificazione statistica internazionale
delle malattie e dei problemi sanitari correlati)
3
xx
INTRODUZIONE
L’obiettivo che si propone questa tesi, come è facile intuire dal titolo, è quello
di analizzare il linguaggio di settore sia nei suoi aspetti teorici sia da un punto di
vista pratico: si sono considerate le caratteristiche generali dei linguaggi
specialistici
ma
soprattutto
si
sono
analizzate
le
peculiarità
che
contraddistinguono il linguaggio medico-psicologico, di cui sono stati evidenziati
i punti in comune e le differenze rispetto ai linguaggi delle altre scienze.
L’elaborato presenta un’attenta analisi del processo traduttivo messo in atto per la
stesura dei due saggi di traduzione, prestando particolare attenzione all’aspetto
terminologico e, quindi, affrontando il problema delle scelte lessicali, dei
tecnicismi e delle fonti degli equivalenti e delle varianti: in particolare, vengono
discusse le principali difficoltà traduttive e terminologiche caratterizzanti il
linguaggio medico-psicologico. Particolare attenzione viene posta nei confronti
della tipologia testuale e, quindi, del destinatario: ho scelto di selezionare due
articoli appartenenti a tipologie testuali diverse (l’uno divulgativo, l’altro
accademico) per poter mostrare come il diverso atteggiamento del traduttore nei
confronti di testi così differenti lo conduca a scelte linguistiche diverse e per nulla
scontate1. Durante il processo traduttivo bisogna tenere presente molti fattori, uno
dei più importanti è sicuramente l’effetto che il testo vuole avere sul destinatario:
l’effetto del testo di partenza sul pubblico di partenza deve essere mantenuto in
traduzione in modo tale che anche l’effetto del testo di arrivo sul pubblico di
arrivo sia lo stesso, o quantomeno equivalente2. Per poter ottenere questo risultato,
Si veda soprattutto il caso della traduzione del termine “effective”, analizzato nel paragrafo 1.5:
Esempi significativi di confusione terminologica nel linguaggio medico-psicologico italiano: la
traduzione dei termini efficacy, effectiveness ed effect size.
2
Sul concetto di equivalenza ci sarebbe molto di cui discutere. Per riassumere, si tenga presente la
definizione che viene fornita da Delisle et al. (il corsivo e il grassetto sono dell’autore): “Relazione
che viene a stabilirsi nel discorso tra unità di traduzione della lingua di partenza e della lingua
d’arrivo che si estrinseca in un testo, nel quale viene riprodotta nel modo più corrispondente
possibile la funzione del discorso e del testo di partenza” (2002:77).
1
4
spesso è necessario ricorrere a soluzioni diverse a seconda della tipologia testuale
(e quindi del destinatario) che caratterizza il testo preso in esame.
Nei paragrafi centrali del primo capitolo dedicato agli aspetti teorici, si affrontano,
oltre alle questioni traduttive, anche i problemi principali della psicologia e del
suo linguaggio specialistico dovuti, soprattutto, alla sua classificazione come
scienza “inesatta” e alla sua relativa modernità. Un aspetto interessante che
emerge da questo lavoro, infatti, è che il livello traduttivo (pratico) e la questione
linguistica (teorica e pratica) si intrecciano con i livelli teorico e pratico della
psicologia come scienza e come strumento di conoscenza, come disciplina
“astratta” e come metodo concreto di indagine dell’uomo.
Tra gli altri, uno degli obiettivi di questi paragrafi è quello di sottolineare
l’importanza del linguaggio tecnico nelle discipline scientifiche ai fini della
compiutezza della comunicazione specialistica e, viceversa, la necessità di
chiarezza ed organizzazione concettuale delle scienze come punto di partenza per
una corretta organizzazione linguistica (per chiarire e classificare i termini che
formano i loro linguaggi specialistici). Di conseguenza, se da una parte la
terminologia in ambito specialistico è depositaria di un sapere più o meno
organizzato, d’altra parte il linguaggio risulta essere inevitabilmente lo specchio
di tale conoscenza scientifica: nel momento in cui i concetti non sono chiari e ben
definiti, neppure il linguaggio che li esprime potrà essere dotato di chiarezza e
univocità.
Attraverso riflessioni teoriche e procedimenti pratici, si evidenzia la stretta
relazione che intercorre tra le parole (in questo caso i termini tecnici appartenenti
al linguaggio medico-psicologico) e i concetti che esse esprimono (in questo caso
la conoscenza scientifica legata all’ambito della psicologia), dal punto di vista sia
5
del significante3 che del significato4, riprendendo un discorso complesso già
ampliamente analizzato da numerosi linguisti5. Si potrebbe identificare in questo
dualismo intrinseco delle parole il filo conduttore dell’intero elaborato, in quanto
tutti i termini sono stati analizzati dal punto di vista del significante (ad es. per la
ricerca di varianti ed equivalenti) e del significato (ad es. nel caso delle definizioni
presenti nelle schede terminologiche). Al fine di riportare costantemente discorso
e riflessioni ad un piano anche pratico, vengono citati alcuni esempi concreti sulla
gestione della terminologia da parte degli specialisti del settore, valutando la
portata reale delle conseguenze dei diversi usi linguistici di accademici e
professionisti.
Nella traduzione, così come nell’analisi terminologica, teoria e pratica si
intersecano di continuo: quando si svolgono analisi e riflessioni non si può mai
prescindere dalla realtà e dagli usi linguistici effettivi dei parlanti, così come
nell’atto traduttivo non si può mai dimenticare l’impalcatura teorica che sostiene
la pratica della traduzione e ne indirizza le scelte linguistiche.
In ragione di quanto appena detto, nella seconda parte di questo elaborato
vengono mostrati i risultati del processo traduttivo (i due saggi di traduzione) e
dell’analisi terminologica (le schede terminologiche presenti nel glossario). Nel
paragrafo dedicato all’introduzione agli aspetti terminologici, si spiegano il senso
e la portata del lavoro di ricerca e compilazione svolto per la costruzione del
glossario: vengono illustrate le fasi
di elaborazione, descritte le procedure,
mostrate le funzionalità del programma utilizzato per la realizzazione delle
schede, nonché i ragionamenti teorici che hanno guidato l’intero processo.
Per significante si intende il suono che esprime un segno linguistico, “o meglio l’immagine
acustica che ogni parlante ha di quel segno, e che può essere tradotta in suoni o lettere
dell’alfabeto, senza che per questo il segno cessi di essere lo stesso”. (Vallauri, 2011:26)
4
Per significato si intende il concetto che è associato a un segno linguistico.
5
“Questa duplice visione del problema trovò una prima formulazione negli studi di Ferdinand de
Saussure sul linguaggio e sulla cultura” (Faini, 2008:29). Nei paragrafi successivi le teorie di
Saussure e altri approfondimenti sono esposti e analizzati in maniera critica soprattutto nei
confronti del linguaggio medico-psicologico.
3
6
I termini del glossario sono stati analizzati da un punto di vista sia linguistico
(grammaticale, semantico, etc.) che traduttivo (scelta degli equivalenti, presenza
di varianti, etc.), tenendo sempre presente la collocazione all’interno dei due testi
e la diversità della tipologia testuale. Vorrei precisare che la scelta dei termini è
stata obbligatoriamente contenuta a causa dell’impossibilità di trattarli tutti
nell’ambito di questa tesi. Infatti, nei due articoli da me selezionati sono presenti
numerosi altri termini per cui sarebbe valsa la pena svolgere lo stesso lavoro di
analisi e di ricerca: nel paragrafo 2.3 Terminologia e informatica: la scelta dei
termini e il lavoro con il software specifico è stata accennata una veloce analisi
per i termini più significativi che erano rimasti esclusi dalla prima selezione per la
composizione delle schede terminologiche costituenti il glossario, proprio allo
scopo di mostrare come questi testi, e in particolare quello accademico, offrano
ulteriori spunti all’analisi e alla riflessione.
Per quanto concerne l’appendice e, in particolare, la sezione dedicata ai due
corpora italiano e inglese, vorrei sottolineare l’importanza dei testi e degli articoli
da me utilizzati come punti di riferimento (e di partenza) per la preparazione di
questo elaborato. Essi si sono rivelati estremamente utili per approfondire le mie
conoscenze in campo psicologico (disturbi, terapie, etc.) e acquisire i fondamenti
di un sapere scientifico e, conseguentemente, gli aspetti del linguaggio tecnico
della disciplina in questione: due passaggi necessari per poter svolgere in modo
adeguato sia l’analisi terminologica sia le traduzioni. In particolare, i testi in
inglese si sono rivelati utili per i contenuti e per il lavoro svolto attraverso il
software specifico; i testi italiani, invece, sono stati utilizzati per lo studio
quantitativo e qualitativo degli equivalenti e delle varianti: per capire la loro
frequenza d’uso, gli ambiti e le tipologie testuali in cui vengono utilizzati, etc.
7
ASPETTI TEORICI
1.1 Introduzione agli aspetti testuali, linguistici e terminologici: definizioni,
caratteristiche e analisi
Per incominciare, ritengo sia utile fornire alcuni nozioni teoriche fondamentali
sulla terminologia e sulla traduzione. Si definisce “termine” una “denominazione
costituita da una o più parole, che designa un concetto6 in modo univoco
all’interno di un dominio specialistico. […] un termine può essere semplice (es.:
motore) o composto (es.: motore a combustione)” (Delisle et al., 2002:136). Il
libro da cui è stata presa questa definizione riporta come sinonimo “unità
terminologica” e tra le parole correlate si trovano “lingua speciale” e
“terminologia. Seguendo tali rimandi indicati dall’autore, penso sia importante
fornire anche la definizione di questi due termini. Per “lingua speciale” si intende
una “varietà diafasica o situazionale della lingua, detta anche “sottocodice”, che si
contraddistingue per un lessico specialistico afferente a un particolare settore di
conoscenze o a una determinata sfera di attività” (Berruto, 1987:154). Si tenga
presente, comunque, che “la terminologia utilizzata in italiano per designare
questo fenomeno è tutt’altro che univoca, infatti, oltre che di lingua speciale o
sottocodice, si parla anche di “linguaggio speciale” o “specialistico”, “linguaggio
tecnico”,
“lingua”
o
“linguaggio
settoriale”
o
“specialistico-settoriale”,
“tecnoletto” e “microlingua” (Cortelazzo, 1990:5; Sobrero, 1993:238). Per
“terminologia”, invece, si intende l’“insieme dei termini appartenenti a un settore
dell’attività umana, utilizzati da un gruppo di persone” (Delisle et al., 2002:137).
Ovviamente, è necessario distinguere questa accezione da quella di “disciplina che
studia in modo sistematico, in una o più lingue, la denominazione dei concetti
appartenenti a settori dell’attività umana, prendendo in considerazione il
6
Sia in questo caso che nei successivi, il corsivo e il grassetto sono dell’autore.
8
funzionamento sociale dei concetti stessi al fine di soddisfare le esigenze
espressive dei parlanti” (Delisle et al., 2002:137).
Restando in ambito definitorio, vorrei esplicitare anche i due termini presenti nella
definizione della parola “termine” ed evidenziati con il grassetto e il corsivo
dall’autore. Si definisce “dominio” “l’argomento, il settore, la disciplina, l’ambito
specialistico in cui viene utilizzato un concetto” (Delisle et al., 2002:74) mentre si
definisce “concetto” l’“unità astratta che consiste nelle caratteristiche attribuite a
un certo numero di oggetti concreti o astratti oppure a una classe di oggetti, scelte
secondo criteri scientifici convenzionali, specifici e adeguati a un dato dominio”
(Delisle et al., 2002:58).
Si potrebbe proseguire all’infinito nella ricerca delle definizioni di altri termini
correlati, inoltre, riguardo il problema definitorio ci sarebbe molto da
argomentare, tuttavia, tali discussioni non rientrano nell’ambito di questa tesi. Ho
ritenuto opportuno fornire soltanto le definizioni di alcuni dei termini principali
utilizzati tanto in terminologia quanto in traduzione: non perché altri termini
correlati non siano ugualmente importanti (ad esempio, “lingua di partenza” o
“testo di partenza” e “lingua di arrivo” o “testo di arrivo” sono fondamentali in
ambito traduttivo), quanto piuttosto per poter avere un solido punto di partenza su
cui impiantare il discorso dell’analisi testuale, linguistica e terminologica svolta
sui due testi e descritta in questo elaborato nelle pagine successive.
Attraverso questo paragrafo, vorrei evidenziare l’importanza che le definizioni
assumono in ambito scientifico e linguistico. Questo aspetto emerge anche dal
fatto che la prima informazione (dopo il contesto d’uso) che si visualizza nelle
schede terminologiche presenti nel glossario è proprio la definizione del termine
candidato: è il punto di partenza di ogni ulteriore analisi. Generalmente, le
definizioni si trovano alla base di ogni studio perché permettono di circoscrivere i
9
significati e di delimitare l’area di interesse7: anche in questo caso specifico, una
volta forniti gli strumenti linguistici principali e stabiliti i confini d’indagine, è
possibile iniziare la discussione degli aspetti peculiari dei testi e dei termini
tradotti e analizzati in questa tesi.
Per quanto riguarda gli aspetti testuali, si è già fatto presente nell’introduzione che
i testi appartengono a due tipologie diverse. Si può notare facilmente come
l’articolo divulgativo sia dotato di caratteristiche tipiche di tale tipologia: è un
testo breve e semplice e contiene molte informazioni utili ma tutte alquanto
superficiali, di modo che il destinatario possa ampliare la propria conoscenza
senza finire con l’annoiarsi durante la lettura. Chiunque possa desiderare
informazioni aggiuntive riguardo gli argomenti trattati nel depliant, viene invitato
implicitamente a reperirle seguendo i link suggeriti a piè di pagina. Questo tipo di
testo, infatti, è pensato per un pubblico vario, di cui non si conosce livello
culturale né educazione, appartenente a religioni ed etnie diverse, che vive in
differenti zone geografiche, e si rivolge a una fascia d’età molto ampia (dagli
adolescenti agli anziani): l’articolo deve essere fruibile per tutti e l’unico elemento
che accomuna il destinatario è la lingua (l’inglese nel caso del testo di partenza8,
l’italiano per il testo di arrivo9).
Lo stile è semplice, il registro non eccessivamente elevato: è formale ma senza
esagerazioni perché non si vuole mantenere una grande distanza dal pubblico, al
contrario, si percepisce chiaramente il desiderio di coinvolgerlo e motivarlo nel
proseguimento della lettura.
In filosofia si ragiona spesso sull’etimologia della parola “definire”: “lat. DEFINIRE limitare,
circoscrivere, comp. della partic. DE intensiva e FINIRE por fine, terminare, determinare, limitare,
verbo denominat. da FINIS fine, limite, termine” (Dizionario etimologico online, Copyright 20042008). Da ciò si deduce che “de-finire” significa sì fornire un significato ma soprattutto vuol dire
“de-limitare”, cioè tracciare una limitazione, e quindi circoscrivere gli spazi semantici.
Per la teoria del segno linguistico di Saussure si veda il paragrafo 1.5: Esempi significativi di
confusione terminologica nel linguaggio medico-psicologico italiano: la traduzione dei termini
efficacy, effectiveness ed effect size e, in particolare, si faccia riferimento alle note 38 e 39.
8
“Testo a partire dal quale si esegue la traduzione” (Delisle et al., 2002:140).
9
“Testo risultante dall’attività traduttiva” (Delisle et al., 2002:139).
7
10
Per quanto concerne il linguaggio specialistico utilizzato, si può notare che sono
presenti alcuni tecnicismi ma vengono costantemente chiariti evitando di lasciare
zone d’ombra di incomprensione che potrebbero confondere un lettore non
esperto. Per gli stessi motivi, si preferisce evitare l’uso di sigle e cifre, e nei rari
casi in cui sono presenti alcuni acronimi (ad esempio “CBT”) ne viene fornita
immediatamente la spiegazione.
Il testo è disposto in paragrafi brevi e organizzati per aree semantiche, inoltre, tutti
i sottotitoli presentano la forma interrogativa: un’ulteriore dimostrazione della
volontà di coinvolgere il lettore, di immedesimarsi nella sua condizione di persona
non esperta che si avvicina a una disciplina che non conosce e ha bisogno di
informazioni e chiarimenti continui. Infine, a mio avviso, anche la scelta del
colore verde per l’intestazione non è stata lasciata al caso: generalmente, infatti, i
depliant illustrativi, soprattutto quelli di ambito psicologico destinati ad un
pubblico vario e non esperto, sono molto colorati, probabilmente per attirare
l’attenzione e contemporaneamente “rassicurare” il lettore (forse futuro paziente).
Nel mio corpus inglese di riferimento sono presenti alcuni testi divulgativi, in
formato di brochure, redatti dal National Institute of Mental Health (NIMH) sui
disturbi d’ansia (2009) e su disturbi d’ansia specifici come il disturbo ossessivocompulsivo, il disturbo di panico e la fobia sociale (tutti e tre del 2010) che
forniscono un esempio sull’uso del colore associato al testo: lo scopo primario è
quello di invogliare le persone a leggere; quello secondario si manifesta una volta
iniziata la lettura in quanto la presenza di colori rende meno freddo e distaccato il
testo accogliendo il lettore e “rassicurandolo”. Brochure come queste sono state
studiate proprio per avvicinare le persone alla psicologia perché, come è
purtroppo noto, molti nutrono ancora una profonda sfiducia in questa scienza e
hanno pregiudizi radicati nei confronti di qualsiasi approccio metodologico che la
riguardi (basti ricordare che da un gran numero di persone non viene neppure
considerata una vera scienza).
L’unico punto di contatto stilistico o formale tra l’articolo divulgativo e quello
accademico lo si potrebbe individuare nella scelta di dividere il testo in due parti
11
(perché, invece, dal punto di vista contenutistico trattano dello stesso argomento,
cioè dei disturbi d’ansia): l’introduzione (in grassetto e corsivo nel testo di
partenza divulgativo) e il corpo del testo vero e proprio, suddiviso a sua volta in
paragrafi dotati di titoli propri. Tuttavia, anche in questo caso c’è una differenza
importante: nell’articolo accademico non si tratta di una vera e propria
introduzione (presente anch’essa, ma ha struttura e ruolo completamente diversi
rispetto al testo divulgativo) ma di un abstract (in azzurro e corsivo nel testo di
partenza), cioè una sorta di riassunto molto conciso degli scopi della ricerca
descritta nelle pagine successive.
A questo punto, prima di passare all’articolo accademico, vorrei sottolineare come
l’analisi testuale abbia coinvolto inevitabilmente anche quella linguistica e
terminologica: non è possibile scindere completamente questi tre aspetti di un
testo e quando si realizza l’analisi di uno dei tre elementi, necessariamente si deve
tener conto anche degli altri due fattori.
Per quanto riguarda l’articolo accademico, alcune caratteristiche emergono in
maniera immediata: il testo è organizzato in sezioni molto specifiche perché si
tratta della relazione di una ricerca clinica (Abstract, Introduzione, Risultati,
Sommario, Conclusioni, cui si aggiungono i Riferimenti bibliografici alla fine). Il
corpo principale è costituito dalla sezione dei Risultati, infatti, essa è suddivisa a
sua volta in sottosezioni ancora più specifiche in cui i titoli dei paragrafi prendono
il nome delle psicopatologie che vengono di volta in volta analizzate: disturbo di
panico, disturbo d’ansia generalizzata, disturbo d’ansia sociale, disturbo posttraumatico da stress, disturbo acuto da stress e disturbo ossessivo-compulsivo.
L’ultima suddivisione riguarda tali paragrafi perché al loro interno sono stati
separati i risultati dell’efficacy da quelli dell’effectiveness, generando ulteriori
sottoparagrafi il cui sottotitolo prende il nome del tipo di efficacia di cui si
vengono descritti i risultati (per ciascun disturbo viene applicata questa doppia
suddivisione).
12
Questa organizzazione testuale è tipica delle relazioni di ricerche cliniche in
quanto rappresenta una sorta di standard da seguire: lo specialista che si accinge a
leggere un articolo accademico si aspetta di trovarsi davanti un testo diviso in tal
modo, o in una maniera simile, perché è ciò che viene richiesto dal suo settore
specialistico.
Altri aspetti importanti dell’articolo preso in esame sono presenti anche nella
maggioranza dei testi accademici, non necessariamente di ambito psicologico. Ad
esempio, si notino: la presenza di grafici e tabelle, acronimi e cifre (soprattutto
percentuali), l’alto numero di tecnicismi (il cui significato non sempre viene
spiegato, così come spesso non sono esplicitati gli acronimi), infine, la presenza di
note e rimandi intertestuali nonché l’esistenza di una sezione dedicata ai
riferimenti bibliografici a fine dell’elaborato.
Concludendo, pare essere interessante notare che, nonostante la tendenza degli
articoli scientifici sia quella di rispettare una sintassi semplice e lineare e di
limitare il numero delle subordinate preferendo periodi brevi, talvolta il testo può
risultare complesso a causa della presenza di paragrafi molto lunghi e articolati. In
alcuni casi, ciò può essere dovuto a questioni semantiche, cioè alla necessità di
completare il senso di un ragionamento complesso all’interno di un’unica frase: il
periodo che ne deriva, sebbene lungo e articolato, non può essere scisso né
semplificato. In proposito, nei testi settoriali, e principalmente in quelli scientifici,
una caratteristica peculiare sono le ripetizioni: al fine di migliorare la chiarezza
comunicativa gli specialisti preferiscono ripetere i termini tecnici anche a distanza
ravvicinata piuttosto che fare ricorso a pronomi o sinonimi inappropriati10.
Gli aspetti finora analizzati sono giustificati dal fatto che i testi accademici sono
prodotti da esperti e per esperti: sono rivolti a un pubblico di specialisti che può
10
In merito alla questione della sinonimia, si veda il paragrafo 1.2 Il problema delle fonti e della
ricerca sulla terminologia e sulla frequenza d’uso degli equivalenti e, in particolare, la nota
numero 16.
13
contare su conoscenze adeguate in materia, infatti, in un articolo del genere,
risulterebbe superfluo dilungarsi su spiegazioni di tecnicismi o acronimi.
In ultima analisi, in questo paragrafo vorrei esporre le motivazioni della scelta di
utilizzare il termine “linguaggio medico-psicologico” per riferirmi al tecnoletto
della psicologia. In effetti, avrei potuto utilizzare semplicemente il termine
“linguaggio psicologico”, anche in funzione del fatto che presenta una frequenza
d’uso nettamente superiore. Tuttavia, scegliendo l’altra dicitura, ho voluto mettere
in evidenza un aspetto del linguaggio psicologico che, altrimenti, sarebbe andato
perso. La psicologia è una scienza che, per poter operare e per potersi evolvere, si
trova costretta a fare affidamento su altre scienze che studiano l’uomo come la
biologia o la medicina (forse anche a causa del fatto che è una scienza
“inesatta”11). Si potrebbe affermare che la psicologia studia l’uomo come psiche
mentre le altre scienze si occupano dell’uomo biologico ma ciò non è del tutto
vero: la psicologia studia anche l’uomo come essere concreto, vivente, non
soltanto come essere pensante. Basti pensare che gli psichiatri possono
somministrare farmaci e sono abilitati a compilare prescrizioni mediche e che
anche gli psicoterapeuti possono indicare ai pazienti alcuni medicinali che
potrebbero, in alcuni casi, aiutare nel processo terapeutico: in entrambe le
circostanze si sta parlando di cure mediche oltre che psicologiche. Inoltre, gli
studenti di psicologia si cimentano continuamente con esami di biologia e chimica
applicate al corpo umano, si pensi alle neuroscienze e al grande apporto che hanno
dato alla psicologia. Conoscere il cervello e il corpo dell’uomo dal punto di vista
chimico-biologico, conoscere le sue reazioni fisiche, oltre che mentali, a
determinati stimoli può essere fondamentale quando si cerca di capirne la
psicologia e i ragionamenti del pensiero.
Alla luce di quanto suddetto, ho scelto di utilizzare il termine “linguaggio medicopsicologico” proprio per sottolineare la stretta parentela che intercorre tra le due
Riguardo la questione della psicologia come scienza “inesatta” si veda il paragrafo 1.3 La
psicologia come scienza “inesatta”: le ripercussioni sul linguaggio medico-psicologico.
11
14
discipline e per indicare l’importanza che la medicina riveste in ambito
psicologico. Per fare un esempio, basterà scorrere l’articolo accademico: vi si
possono trovare molti termini appartenenti al linguaggio medico, come i sintomi
provocati dai disturbi psicologici (“vertigini”, “nausea”, “parestesia”, “insonnia”,
“palpitazioni”,
etc.)
oppure
“glucocorticoidi”,
“effetti
collaterali”,
“automonitoraggio”, “farmacoterapia”, “lista d’attesa”, “prevenzione di ricadute”,
etc.12 Tuttavia, dovendo effettuare una selezione tra i termini da analizzare per la
compilazione delle schede terminologiche presenti nel glossario, ho scelto di
lasciare da parte alcuni dei termini medici per potermi occupare soprattutto di
quelli psicologici: la decisione è stata guidata dagli obiettivi preposti nell’ambito
di questo elaborato, infatti, se si fosse trattato di analizzare linguaggio medico e
testo medico, avrei utilizzato altri criteri dando la priorità ai termini medici.13
In genere, tutte le scienze “rubano” o, meglio, “prendono in prestito”, termini e
concetti da altre scienze (si pensi alla fisica il cui “strumento” principale di lavoro
è la matematica): un processo analogo avviene in psicologia. In particolare, tale
disciplina si trova spesso a dover ricorrere a termini e concetti provenienti dalla
medicina e dalla statistica, quest’ultima soprattutto nel caso di studi randomizzati
e controllati. Per avvalorare ulteriormente la tesi della stretta relazione tra
medicina e psicologia, si tenga presente che anche il linguaggio medico ricorre
alla stessa terminologia derivata dalla statistica nel caso di test clinici sui farmaci.
Infatti, le ricerche cliniche per verificare l’efficacy e l’effectiveness14 di una
psicoterapia (in ambito psicologico) possono apparire simili, per certi aspetti, a
quelle effettuate per testare i farmaci (in ambito medico)
Per l’analisi di alcuni di questi termini si vedano le relative schede terminologiche presenti nel
glossario.
13
Per un approfondimento sulla questione dei termini esclusi, si veda il paragrafo 2.3
Terminologia e informatica: la scelta dei termini e il lavoro con il software specifico.
14
Per la traduzione di questi due termini si legga il paragrafo 1.5 Esempi significativi di confusione
terminologica nel linguaggio medico-psicologico italiano: la traduzione dei termini efficacy,
effectiveness ed effect size. Inoltre, si vedano le schede terminologiche contenute nel glossario, in
particolare le voci 15 e 16.
12
15
1.2 Il problema delle fonti e della ricerca sulla terminologia e sulla frequenza
d’uso degli equivalenti
In merito alla ricerca sugli equivalenti italiani dei termini, soprattutto nel caso
specifico di quelli appartenenti al linguaggio medico-psicologico, ho ritenuto
opportuno affidarmi a testi autorevoli che vengono utilizzati dagli specialisti del
settore e ai manuali degli studenti di psicologia usati nei corsi universitari. Uno
dei testi che ho trovato particolarmente utile come fonte per la terminologia
ufficiale è quello di P. Carey, Fondamenti di Psichiatria, 4 edizione (2011,
edizione italiana a cura di Chiara Ruffini). Vorrei precisare che, data la relativa
modernità degli studi sulla psicologia e data la loro rapida evoluzione, ho avuto
cura di cercare testi che presentassero date di pubblicazione piuttosto recenti
perché, con il procedere delle scoperte, la terminologia si modifica e alcuni
termini tecnici del passato anche recente possono cadere in disuso ed essere
sostituiti da altri, più appropriati, oppure possono assumere nuovi significati,
finendo con il designare concetti anche diversi rispetto agli anni precedenti.
Definisco “relativa” la modernità degli studi sulla psicologia perché, nonostante
alcuni insistano nel considerare Freud (1856-1939)15 il suo unico vero fondatore,
il pensiero attuale preferisce considerarlo solo come il padre della psicoanalisi
moderna mentre la psicologia in quanto scienza ha radici ben più lontane, risalenti
addirittura ad Ippocrate (circa 2500 anni fa).
Ho preferito selezionare e scegliere gli equivalenti (ovvero la traduzione italiana
dei termini) direttamente dai testi che avevo raccolto, a seguito di una ricerca
elaborata, nel corpus italiano di riferimento, anche nel caso in cui la frequenza
d’uso riscontrata nel web (con tutti i limiti di tale tipo di riscontro) fosse risultata
inferiore (purché non eccessivamente) ad altri termini che avevo preso in esame
ma che non comparivano in nessun testo autorevole. I motivi sono molteplici: in
primo luogo, la frequenza d’uso riscontrata su internet, ad esempio utilizzando un
Per ulteriori approfondimenti si faccia riferimento all’Enciclopedia Italiana Treccani on-line,
Treccani.it.
15
16
motore di ricerca come Google, non fornisce informazioni sulla tipologia testuale
né garanzie riguardo l’affidabilità dei testi in cui i termini sono stati individuati. In
tal modo, la ricerca potrebbe fornire risultati fuorvianti: i testi potrebbero non
essere autorevoli, si pensi al caso di Wikipedia16, oppure potrebbero appartenere
ad un registro diverso da quello preso in esame, di conseguenza l’equivalente
identificato potrebbe non essere adatto alla propria traduzione.
In secondo luogo, si deve tenere presente che i motori di ricerca come Google
tendono a considerare i duplicati di un testo come altri testi indipendenti,
includendoli nel conteggio finale e falsando i risultati della ricerca: uno stesso
articolo inserito in siti internet differenti viene contato ogni volta come se fosse un
articolo diverso, con il risultato che la frequenza d’uso di un termine on-line
appare maggiore di quanto non sia nella realtà.
Per quanto riguarda la questione del registro, su internet è possibile reperire molti
testi divulgativi prodotti da organizzazioni autorevoli. In tali testi, tuttavia, il
linguaggio può essere diverso da quello usato nei testi accademici prodotti dalla
stessa organizzazione o dallo stesso ente. Accade talvolta che la frequenza d’uso
di una parola possa risultare elevata nella ricerca on-line ma solo in funzione del
fatto che essa compare in articoli di tipo divulgativo: i termini tecnici,
generalmente, sono caratterizzati da una frequenza d’uso inferiore perché
compaiono in articoli accademici che, soprattutto su una piattaforma di
comunicazione di massa come internet, sono meno popolari. In fase di traduzione,
per la scelta di un equivalente, potrebbe non essere sufficiente basarsi sulla
frequenza d’uso emersa da una ricerca sul web: potrebbe risultare necessario
effettuare un controllo ulteriore per individuare il registro del testo su cui si è
riscontrato l’uso del termine. Ad esempio, ho notato che alcuni termini italiani
appartenenti al linguaggio medico-psicologico presentano una frequenza d’uso
relativamente bassa nel web. Questo fatto, tuttavia, non può essere discriminante
L’enciclopedia on-line e open-source in cui chiunque ha la possibilità di inserire articoli e di
modificare quelli già pubblicati e su cui non viene effettuato un rigido controllo sui contenuti e
sulla qualità di ciò che viene inserito e pubblicato.
16
17
nella scelta dell’equivalente: la motivazione è che spesso, su internet, si preferisce
sostituire termini specialistici con “sinonimi” che appartengano ad un registro
inferiore per adeguarli a tipologie testuali facilmente fruibili dalle masse. Ho
preferito utilizzare le virgolette per la parola “sinonimi” ricordando la teoria della
quasi impossibilità dell’esistenza di una sinonimia perfetta tra le parole che
formano il vocabolario di un sistema linguistico17. Per questo motivo, si preferisce
considerare il rapporto di sinonimia come un rapporto di equivalenza piuttosto che
di identità perfetta “però di norma la sinonimia non è equivalenza completa” (R.
Jakobsón 1987:429). Nel caso specifico di questa tesi, trattandosi di linguaggi
settoriali e di termini tecnici, la situazione si complica ulteriormente per la natura
stessa della comunicazione specialistica: i termini designano concetti precisi,
definiti, e sono difficilmente sostituibili con dei sinonimi proprio a causa della
loro elevata specificità. Infatti, per Hoffmann (1984), la presenza di tecnicismi è
uno degli undici criteri fondamentali che contraddistinguono i linguaggi
specialistici rispetto alla lingua comune18. Tuttavia, ad oggi, la questione
riguardante i criteri è ancora aperta, come dimostrano teorie discordanti: basti
ricordare che Sobrero (1993) opta per la scelta di due soli criteri, precisione e
neutralità emotiva, mentre Serianni (2003) indica la referenzialità come attributo
primario dei linguaggi specialistici.
Un altro problema collegato all’utilizzo di internet e alla ricerca on-line, è dato dai
traduttori “improvvisati”. Durante le ricerche terminologiche sulla frequenza
d’uso, mi è capitato di incontrare molti articoli apparentemente affidabili che
riportavano una fonte autorevole di origine straniera, come la American
17
Due parole difficilmente possono essere caratterizzate da una sinonimia completa perché si
differenziano quasi sempre per il registro di appartenenza o per una relazione di
genericità/specificità: nell’ultimo caso si può fare ricorso a termini più specifici come “iperonimo”
o “iponimo” al posto del generico “sinonimo” (Serianni, 2008).
Per iperonimo si intende una “parola o termine che entra in una relazione semantica paradigmatica
di tipo gerarchico con un’altra parola o termine dall’estensione semantica più ristretta” (Delisle et
al., 2002:93).
18
Gli undici criteri definiti da Hoffmann sono: 1) esattezza, semplicità e chiarezza; 2) oggettività;
3) astrattezza; 4) generalizzazione; 5) densità di informazione; 6) brevità; 7) neutralità emotiva; 8)
mancanza di ambiguità; 9) impersonalità; 10) coerenza logica; 11) uso di termini/simboli.
18
Psychological Association (APA), collegamento con link diretto al testo di
partenza, ma non davano indicazioni sul traduttore o sulla traduzione italiana.
Nella maggior parte dei casi, questi articoli tradotti erano stati pubblicati da siti
non affidabili e in contesti estremamente divulgativi: in molte occasioni, grazie al
confronto con i testi autorevoli raccolti nel mio corpus italiano di riferimento, ho
avuto modo di riscontrare errori e imprecisioni nelle traduzioni dei termini.
Riprendendo il discorso sulla frequenza d’uso, ho potuto constatare che molti di
questi articoli tradotti grossolanamente da traduttori poco esperti, se non
addirittura improvvisati, venivano riproposti in numerosi siti, probabilmente a
causa del comune fenomeno del “copia-incolla” per cui su internet è possibile
impossessarsi facilmente dei contenuti di qualsiasi sito per ripubblicarli in altri siti
presentandoli come produzioni originali. Di conseguenza, per effetto della
propagazione dell’errore, alcuni termini mal tradotti presentavano una frequenza
d’uso abbastanza elevata ma solo in funzione del fatto che, dal motore di ricerca,
venivano conteggiati ripetutamente testi sempre uguali pubblicati da siti diversi.
In conclusione, quando si svolge una ricerca on-line sulla terminologia e,
soprattutto, sulla frequenza d’uso di termini specialistici, è sempre necessario
effettuare un controllo approfondito sui risultati ottenuti. In caso di indecisione tra
due o più equivalenti per la traduzione di un termine tecnico, ho preferito
scegliere l’equivalente riportato in un testo autorevole e riconosciuto piuttosto che
affidarmi ad internet, anche nel caso in cui la frequenza d’uso registrata nel web
fosse risultata inferiore rispetto ad un altro termine che, però, non risultava in
nessuno dei testi autorevoli appartenenti al mio corpus italiano di riferimento.
1.3 La Psicologia come scienza “inesatta”: le ripercussioni sul linguaggio
specialistico medico-psicologico
19
Nella definizione della parola “scienza” fornita dall’enciclopedia on-line
Treccani19 si legge:
“La conoscenza umana è un intreccio di teorie e di pratiche in continua crescita e
anche il termine scienza ha avuto via via significati mutevoli. […] Se si guarda
oggi l’insieme del labirinto, ci si rende conto che nel corso degli ultimi quattro
secoli siamo passati dal mondo del press’a poco al mondo della precisione, nel
quale prevalgono le scienze matematiche e le scienze esatte”.
Le scienze, prosegue il testo, sono sempre state suddivise, nel corso dei secoli, in
due grandi gruppi: le scienze esatte o naturali e quelle morali o umane. Soprattutto
durante l’Illuminismo, tale distinzione venne mantenuta in funzione del
complesso dibattito sulla superiorità dell’uno o dell’altro gruppo di scienze:
“Il termine tedesco per «scienza» Wissenschaft – ricalcato su scientia in polemica
contro la terminologia corrente tra gli studiosi di scienze esatte e naturali – ritorna
nei titoli degli scritti di logica, metafisica, filosofia dello spirito, nei quali la natura
si ripresenta in forma mistica, come una manifestazione esteriore dell’essere, e le
scienze naturali sono nuovamente assoggettate al primato della pura speculazione
(idealismo). […]
Nella seconda metà del 19° secolo il problema del valore conoscitivo delle scienze
morali rispetto alle scienze naturali aprì un vasto dibattito. Il fondatore del
positivismo Auguste Comte e il teorico della logica induttiva John Stuart Mill
sostennero la superiorità delle scienze esatte, che divenne un dogma in età
positivista”.
L’articolo sulle scienze è a cura di Paolo Casini (Enciclopedia dei ragazzi, 2006),
www.Treccani.it
19
20
In un articolo pubblicato on-line dalla Treccani in un’altra sezione ma sempre alla
voce “scienza”, viene nominata proprio la psicologia, riportata come esempio di
scienza morale assieme alla sociologia:
“Nella seconda metà del 19° sec. il fondatore del positivismo A. Comte e il
teorico della logica induttiva J.S. Mill sostennero la superiorità metodica delle s.
esatte, chiedendosi se s. ‘morali’ come la psicologia e la sociologia avrebbero mai
potuto raggiungere una capacità di predizione dei fenomeni analoga a quelle della
fisica e della meccanica razionale. Dalla teoria dell’evoluzione dei viventi
formulata da Darwin, che distrusse l’antica certezza della superiorità della specie
umana, derivò una completa riformulazione della biologia, delle s. dell’uomo e
della società.
Nel 20° sec. orizzonti fino ad allora imprevedibili sono stati aperti dalla genetica e
dalle neuroscienze, che fanno ricorso a varie discipline e rendono instabili i
confini tra le s. della natura e le s. dell’uomo”.20
Attualmente, le scienze continuano ad essere divise in due grandi gruppi: le
scienze esatte e quelle “inesatte”. Nel passato ci si basava soprattutto su
motivazioni di tipo morali, al punto che le scienze umane venivano chiamate
scienze morali, mentre oggi si tende a considerare fattori più strettamente
scientifici: l’appartenenza di una scienza ad un gruppo piuttosto che all’altro si
collega direttamente alla questione della precisione delle leggi scientifiche, della
prevedibilità degli esiti, con la connessa capacità di effettuare previsioni, e infine,
la ripetibilità degli esperimenti. In parole povere, per “scienza” generalmente si
intende una disciplina che possa basarsi su assiomi, corollari e teoremi (la
matematica), su leggi ed esperimenti (la fisica) e sul normale processo scientifico
basato su ipotesi, tesi e dimostrazione: alla base del metodo scientifico
sperimentale moderno si trovano sia il sistema ipotetico-deduttivo introdotto da
Per ulteriori approfondimenti si legga l’intero articolo dedicato alle scienze nell’Enciclopedia
Italiana Treccani on-line, www.Treccani.it
20
21
Galileo (dal generale al particolare) che quello osservativo-induttivo introdotto da
Bacone (dal particolare al generale). Di conseguenza, si può affermare che le
scienze esatte si basano su un sapere acquisito tramite l’osservazione e/o
l’esperienza empirica e che le esperienze, a loro volta, sono ripetibili
sperimentalmente: date le stesse condizioni iniziali ci si aspettano gli stessi
risultati. In conclusione, una scienza esatta descrive fenomeni della realtà e non
prevede margini di incertezza oppure, come nel caso della fisica e degli errori
sperimentali, li può prevedere ma sono ridotti e quantificabili. Per la psicologia,
così come per le altre scienze inesatte, tutto questo non può essere affermato. Se
per le scienze esatte si ricorre alla matematica, nel caso delle scienze inesatte
diventa necessario fare ricorso alla statistica (si pensi anche all’economia) perché
le variabili che entrano in gioco sono troppo numerose e complesse: nel caso
specifico della psicologia, l’esperienza e i risultati dipendono non solo da variabili
esterne come il nucleo familiare e la società in cui si vive, ma anche da fattori
legati all’interiorità del soggetto stesso, il paziente, che opera nella realtà. In
proposito, pare essere interessante leggere alcune righe estratte dal Manuale di
psicopatologia dell’infanzia (2006:20) a cura di M. Ammaniti:
“in campo psicopatologico non si può parlare di malattie mentali al pari delle
malattie internistiche della medicina, proprio perché si ignorano le cause dei
disturbi […]. Pertanto, è preferibile parlare di sindromi psicopatologiche. […]
mentre i segni costituiscono manifestazioni oggettive, osservabili e riconoscibili
da un osservatore esterno, i sintomi costituiscono manifestazioni soggettive,
avvertite e vissute direttamente dalla persona interessata che ne può parlare, come
gli sati d’ansia o le idee ossessive”.
A livello linguistico, le ripercussioni sono molteplici e interessanti. Nel caso
particolare del linguaggio medico-psicologico, le problematiche sono numerose
perché si collegano sia alla relativa modernità della disciplina sia all’alone di
incertezza che caratterizza alcune questioni fondamentali: ricordo che la
22
psicologia utilizza la statistica (non la matematica) e anticipo21 che i criteri
diagnostici sono molteplici e non concordi (non soltanto a livello linguistico ma
soprattutto concettuale). Nella lingua italiana, il problema risulta ancor più
evidente perché il rapido sviluppo della psicologia si sta realizzando soprattutto
nei paesi anglofoni (Regno Unito e Stati Uniti) e l’Italia non riesce a tenere il
passo con le ultime scoperte, con i neologismi, con le terapie d’avanguardia e con
i nuovi disturbi che continuano ad essere diagnosticati. Al problema linguistico
dovuto alla modernità e all’evoluzione rapida di questa disciplina all’estero, si
aggiunge la tendenza della lingua italiana (o dei parlanti italiani?) ad assimilare le
parole provenienti dalle lingue straniere come prestiti non adattati: spesso non è
possibile individuare un equivalente nella lingua di arrivo. Per tutti questi motivi,
il linguaggio della psicologia presenta una grande quantità di tecnicismi in lingua
inglese e, allo stesso tempo, i termini tecnici italiani che lo costituiscono sono
caratterizzati da un gran numero di varianti più o meno ufficiali.
Per quanto riguarda il primo problema evidenziato, ossia la psicologia come
scienza inesatta, è necessario tenere presente la difficoltà degli argomenti di cui
tratta questa disciplina. Intendo dire che il problema della terminologia non è
dovuto soltanto a una difficoltà linguistica di significante ma soprattutto di
significato. La materia di studio della psicologia è l’uomo in tutta la sua
complessità, da un punto di vista biologico e concreto, mentale e “spirituale”22,
come anche nel suo contesto sociale e nella sua essenza più intima, nelle sue
costruzioni mentali e nei suoi comportamenti razionali, nelle sue reazioni istintive
e nelle sue pulsioni irrazionali. L’alone di incertezza e di variabilità che circonda
una scienza come la psicologia si ripercuote necessariamente nella sua espressione
linguistica e perciò nel suo linguaggio tecnico. Ciò emerge anche dal fatto che
21
Questo aspetto è approfondito nel paragrafo 1.4: Problematiche linguistiche nella psicologia: i
vari sistemi di classificazione e la terminologia dei disturbi d’ansia.
22
Ho preferito utilizzare le virgolette perché il termine “spiritualità” potrebbe rimandare ad altre
argomentazioni filosofico-religiose che non riguardano questa tesi né l’analisi del linguaggio che
qui si vuole considerare.
23
disturbi o terapie che affondano le loro radici su basi solide e su teorie individuate
e stabili possono contare su una terminologia ben definita e riconosciuta a livello
nazionale e internazionale. Nondimeno, la situazione precipita rapidamente mano
a mano che ci si avvicina a territori di studio ancora troppo moderni e per questo
imprecisi e vaghi, come nel caso delle terapie più all’avanguardia o di disturbi
individuati in tempi più recenti.
In tal modo, ci si collega direttamente alla seconda problematica evidenziata, ossia
la relativa modernità della psicologia. Il grande problema è che non esiste ancora
un linguaggio scientifico tecnico e specializzato come, invece, esiste in molte altre
discipline scientifiche, ad esempio in medicina. In ambito psicologico c’è ancora
molta confusione nella terminologia da parte degli stessi specialisti e
professionisti del settore, e non è sempre facile identificare i termini tecnici né le
loro modalità d’uso e neppure i loro significati. Al contrario, nella maggior parte
dei casi, il problema principale è rappresentato dal concetto che i termini tecnici
dovrebbero designare: ci si trova dinnanzi a termini dotati di uno stesso
significante ma significato diverso o, viceversa, caratterizzati da significanti
completamente diversi ma significato esattamente identico. Tali “imprecisioni” in
un linguaggio settoriale non dovrebbero esistere proprio in funzione della
definizione di linguaggio specialistico fornita da molti studiosi della lingua23. La
specificità e la chiarezza dei termini dovrebbero rappresentare la ragion d’essere
di ogni linguaggio settoriale, tuttavia, questo è un dato che non si può riscontrare
in una scienza giovane come la psicologia: il suo linguaggio tecnico deve ancora
essere affinato, molti concetti aspettano di essere chiariti e numerosi termini sono
in attesa di acquisire una stabilità sia nei loro significanti che nei loro significati.
23
In proposito si veda il paragrafo 1.2: Il problema delle fonti e della ricerca sulla terminologia e
sulla frequenza d’uso degli equivalenti, e in particolare la nota numero 4 sui criteri che
contraddistinguono i linguaggi specialistici.
24
Infine, per quanto riguarda la terza problematica sopracitata, ossia il caso
specifico del linguaggio medico-psicologico italiano e quindi l’aspetto traduttivo,
si è già illustrata la situazione attuale e si è fatto presente che la psicologia è una
delle discipline scientifiche che più attinge alle lingue straniere, in particolare
all’inglese. Nei testi italiani che ho preso in esame, comparivano spesso parole in
lingua inglese, sia nei casi in cui sarebbero state facilmente e ovviamente
sostituibili con equivalenti nella lingua di arrivo, sia nei casi di mancata
corrispondenza con un termine italiano. Ho notato che la tendenza in campo
psicologico è quella di mantenere il più possibile i termini inglesi, anche se non è
possibile generalizzare il discorso perché in altri testi autorevoli venivano
privilegiati i corrispettivi italiani. Credo che in parte ci si possa ricollegare ad una
questione interessante sollevata da S. Cavagnoli in merito allo studio del
linguaggio burocratico: l’uso di latinismi, che apparentemente determina un
innalzamento del registro del testo e ne sottolinea l’appartenenza al settore di
specializzazione, purtuttavia,
“è spesso inutile, se non addirittura nocivo […] soprattutto quando le espressioni
possono essere tradotte in italiano senza modificarne il significato” (2007:96).
Nel caso del linguaggio tecnico psicologico si assiste ad un processo analogo che
vede come protagonisti i prestiti inglesi non adattati al posto dei latinismi,
presenti, invece, in quantità molto ridotta. L’utilizzo eccessivo e spropositato
degli inglesismi (o anglicismi) finisce per confondere il destinatario e
compromette la fruibilità del testo per i non specialisti. Per la maggior parte,
infatti, sono gli esperti affermati e gli accademici che tendono ad utilizzare un
linguaggio complesso anche quando non sarebbe necessario e lo fanno più che
altro per sottolineare la propria posizione di superiorità. Al contrario, in genere i
terapisti tendono ad assumere l’atteggiamento opposto per mettere a proprio agio
il paziente e permettergli di capire appieno il significato di ciò che leggono nei
testi psicologici o che ascoltano durante le sedute di psicoterapia.
25
A tal proposito, mi piacerebbe citare un passaggio interessante dal testo di S.
Cavagnoli, stavolta in riferimento al linguaggio giuridico, la cui interpretazione si
presta bene anche al linguaggio medico-psicologico:
“Il problema della chiarezza è un problema di scelta politica; di una maggiore o
minore trasparenza nei contenuti e soprattutto di volontà di coinvolgimento del
cittadino. In fondo si tratta di una questione di democraticità” (2007:100).
Per riassumere, il linguaggio medico-psicologico, almeno dal punto di vista della
specificità e della chiarezza, rappresenta sicuramente un caso particolare rispetto
alle altre scienze. Le radici di tale peculiarità linguistica affondano nelle
caratteristiche stesse della disciplina, nella sua natura di scienza inesatta e nella
modernità dei suoi studi. Tra gli esempi più significativi, secondo quanto ho avuto
modo di constatare lavorando sui miei testi e sulle loro traduzioni, si possono
individuare i termini “disturbo” e “psicoterapia”: le varianti sono davvero
numerose sia in lingua italiana che in lingua inglese. Inoltre, la situazione si
complica se si considera che ognuno di questi due termini si associa a sua volta ad
altre parole dando vita ad altre unità terminologiche che, in traduzione, devono
essere considerate come unità indipendenti e di senso compiuto: basti pensare al
vasto elenco dei disturbi psicologici diagnosticati o alle numerose psicoterapie
esistenti. Come è facile immaginare, queste problematiche linguistiche hanno
ripercussioni enormi in ambito traduttivo, dove la difficoltà viene accentuata dalle
origini estere degli studi più recenti. Considerando che il linguaggio medicopsicologico rappresenta un caso molto particolare di linguaggio tecnicoscientifico, il traduttore che si trova a dover lavorare su questa tipologia testuale
non può sottovalutare la portata di tali problematiche e deve essere consapevole
sia delle peculiarità di questa disciplina sia del suo strumento di comunicazione,
per l’appunto, il suo linguaggio tecnico.
26
Mi piacerebbe concludere il paragrafo relativo a questo aspetto della psicologia
come scienza inesatta, con le parole della scienziata Margherita Hack che, durante
un’intervista condotta dalla psicoterapeuta e sessuologa Giuliana Proietti nel 2003
e pubblicata da Psicolinea nel settembre dello stesso anno, esponeva il suo punto
di vista sulla psicologia:
“[…] la psicologia ha una certa valenza scientifica, ma è una scienza non esatta,
come del resto la medicina, anche se questa sta diventando sempre più una scienza
esatta. La psicologia evidentemente studia non il corpo, ma quella che chiamiamo
‘anima’ e che in realtà credo dipenda solo dal nostro cervello e che è molto più
complessa degli altri organi, quindi è meno ‘scienza’: è più intuizione, è più
rapporto umano, cercare di capire, di conoscere il proprio paziente, cercare di
aiutarlo, capendo le sue difficoltà, la sua psicologia appunto”.
1.4 Problematiche
linguistiche
nella
psicologia:
i
vari
sistemi
di
classificazione e la terminologia dei disturbi d’ansia
In merito alla questione del linguaggio medico-psicologico caratterizzato da
minore chiarezza e specificità rispetto ad altri linguaggi tecnico-scientifici, vorrei
riportare l’esempio della terminologia legata ai disturbi d’ansia. Il problema
principale è legato all’esistenza di due sistemi diagnostici ufficiali in cui la
catalogazione dei disturbi è diversa sia per diversità dei criteri, sia per aspetti
terminologici. Questi sistemi diagnostici, entrambi accettati in ambito accademico
e normalmente utilizzati dagli specialisti, sono il Manuale diagnostico e statistico
dei disturbi mentali (DSM, Diagnostic and Statistical Manual of Mental
Disorders), pubblicato dall’American Psychiatric Association (APA) e la
Classificazione statistica internazionale delle malattie e dei problemi sanitari
correlati
(ICD,
International
Classification
of
Diseases),
pubblicato
dall’Organizzazione mondiale della sanità (WHO, World Health Organization).
27
Durante la stesura di questa tesi, ho dovuto fare ricorso a entrambi i manuali
diagnostici per poter condurre un’adeguata analisi terminologica sui disturbi
d’ansia ma anche per poterli comprendere appieno. Infatti, quando si effettua la
traduzione di un testo scientifico, non è possibile distinguere l’aspetto concettuale
del termine (significato) dall’aspetto puramente linguistico del loro significante.
Intendo dire che se in una traduzione letteraria il significante può essere
importante, ad esempio, a livello fonologico (si pensi alla musicalità caratteristica
dei testi poetici o dello stile di alcuni romanzieri), in alcuni casi, e questo ne è un
esempio, anche nella traduzione scientifica il significante può assumere
un’importanza fondamentale: non si può esprimere lo stesso concetto usando
parole diverse perché i tecnicismi devono essere rispettati e devono essere quelli
ufficiali, riconosciuti e utilizzati da accademici e professionisti. Sull’importanza
della catalogazione scientifica e, quindi, della terminologia tecnica di una
disciplina, mi piacerebbe citare un breve estratto dal testo di M. Ammaniti:
“Ci si può chiedere perché la classificazione sia così importante nel processo
scientifico. La classificazione, si può rispondere, consente di raggruppare i
fenomeni e di organizzarli in modo da rendere possibili generalizzazioni in
rapporto alle osservazioni, come si verifica nel procedimento induttivo.
E’ tuttavia evidente che la costruzione di sistemi nosologici implichi alcune
decisioni: includere o escludere, ad esempio, degli aspetti della realtà dal
momento che i sistemi proposti non sono naturali. Non si tratta di sistemi
oggettivi che riflettono la natura delle cose, si tratta, al contrario, di decisioni e
metodologie umane” (2006:19).
Una volta stabilito un accordo terminologico e concettuale, di significante e di
significato, tra gli accademici e gli specialisti del settore, diventa necessario che
tale accordo venga sempre rispettato anche a livello internazionale. Il rispetto di
questa armonizzazione di convenzioni va ovviamente esteso anche ai traduttori di
testi del settore.
28
Come già detto, la situazione in ambito psicologico è peculiare. I due sistemi
diagnostici non concordano perfettamente sulla terminologia e l’esistenza di vari
termini tecnici per gli stessi disturbi genera necessariamente confusione sia a
livello linguistico nella lingua di partenza (spesso l’inglese, la “lingua madre”
degli sviluppi più recenti della psicologia24) sia a livello traduttivo per la lingua di
arrivo (nel caso specifico di questa tesi, l’italiano). Nel corso della mia analisi
terminologica, è stato spesso necessario ricercare le fonti dei termini, sia italiani
che inglesi, inseriti dagli autori nei testi dei corpora di riferimento italiano e
inglese, per capire se si trattava di termini ufficiali e riconosciuti e, nel caso, per
identificare il sistema diagnostico di provenienza. In sostanza, a seconda di quale
sistema diagnostico si prende in considerazione, la terminologia può variare in
modo non indifferente. Nei due sistemi ufficiali di classificazione ad essere
diverso è esattamente il criterio di fondo, con la conseguenza che la distinzione
non è solo lessicale ma anche e soprattutto concettuale: se le premesse sono
differenti, risultano necessariamente diverse anche le categorie cui i disturbi
d’ansia appartengono e, di conseguenza, la terminologia relativa. Per le mie
traduzioni, ho preferito utilizzare la nomenclatura adottata nel DSM-IV-TR (APA,
2006) e solo in alcuni casi quella dell’ICD-10 (WHO, 2006) perché mi sono
basata soprattutto sull’edizione italiana del testo di P. Carey25 (2011), che riporta
la versione italiana delle tabelle ufficiali dei disturbi d’ansia e alcuni criteri
diagnostici26.
Purtroppo, le problematiche linguistiche e traduttive non sono collegate soltanto
alla coesistenza di due sistemi diagnostici ufficiali (si torna alla questione della
psicologia come scienza “inesatta”), ma anche al dato temporale e al rapido
L’inglese potrebbe essere considerato la lingua madre “adottiva” della psicologia in quanto, a
rigor di logica, la lingua madre “naturale” sarebbe il tedesco: la psicologia moderna ha avuto
origine con le teorie di Freud (anche se, come si è visto nel paragrafo 1.1, la psicologia in quanto
scienza ha radici molto più antiche) ma gli sviluppi recenti si devono soprattutto ai paesi anglofoni
(Regno Unito e Stati Uniti).
25
In merito alla scelta di affidarmi soprattutto a questo testo, si veda il paragrafo 1.2: Il problema
delle fonti e della ricerca sulla terminologia e sulla frequenza d’uso degli equivalenti.
26
Si vedano in appendice le due tabelle: Criteri del DSM-IV-TR per definire un attacco di panico e
Confronto tra le classificazioni ICD-10 e DSM-IV-TR relative ai disturbi d’ansia.
24
29
sviluppo che la psicologia ha avuto nel corso degli ultimi anni (si torna al discorso
della psicologia come scienza moderna). La situazione è aggravata dalla presenza
di una serie di revisioni del DSM originario, in ognuna delle quali compaiono
correzioni e precisazioni riguardo ai contenuti del DSM precedente. Oltre alle
revisioni, vengono pubblicate periodicamente nuove versioni sempre più
aggiornate ed elaborate, proprio allo scopo di eliminare i dubbi e le incertezze
causati dalle classificazioni precedenti, come sottolinea P. Carey (2011:5):
“I vari DSM e ICD sono nati con l’intento di creare un linguaggio comune
codificando quelle che prima venivano considerate supposizioni preliminari e
provvisorie in merito alle categorie diagnostiche. Oggi il DSM-IV e l’ICD-10 si
presentano non come ipotesi circa i modi utili per concettualizzare gli stati mentali
e i comportamenti distorti, ma come il reale fondamento delle nostre ricerche e
della pratica clinica”.
Per capire i problemi relativi agli aspetti sociali, linguistici e scientifici legati alla
stesura di questi manuali diagnostici e alla loro continua revisione, si legga un
estratto dell’articolo della psichiatra G. Proietti (2003), scritto in occasione della
pubblicazione dell’ultima edizione del DSM, il DSM-V. L’ultimo paragrafo, in
particolare per il parallelo tra la medicina e la psicologia, ricorda molto le parole
di M. Ammaniti sopracitate in proposito della psicologia come scienza inesatta27:
“Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, detto anche "la Bibbia
degli Psichiatri", rappresenta il tentativo, da parte del mondo scientifico, di
catalogare tutti i disturbi mentali dell'essere umano, sulla base di dati scientifici.
Il DSM, pubblicato dalla American Psychiatric Association, ha la caratteristica di
avere una influenza internazionale sul trattamento sanitario dei disturbi mentali ed
Si veda il paragrafo 1.3: La psicologia come scienza “inesatta”: le ripercussioni sul linguaggio
medico-psicologico.
27
30
ha notevolissime influenze sociali, dal momento che è attraverso questo manuale
che si decide se una persona è "normale" o è "malata".
Questo spiega naturalmente le controversie e le polemiche che hanno sempre
circondato il DSM. Un esempio su tutti: quando nel DSM-II l'omosessualità fu
definita un disturbo psichico; la definizione fu rimossa, a seguito delle molte
proteste, nel 1973. […]
Il problema è che, in altre branche della medicina, i medici dispongono di
strumenti che permettono esami clinici oggettivi. Le malattie si diagnosticano
infatti con elettrocardiogrammi, radiografie, esami del sangue, TAC, biopsie... Gli
psichiatri invece dispongono solo di conoscenze teoriche e pillole: niente da
esaminare sotto il microscopio, niente su cui cercare dati oggettivi e
incontrovertibili”.
Credo sia opportuno illustrare rapidamente la varie fasi di revisione del DSM,
considerando che è stato uno strumento per me fondamentale in fase di
elaborazione delle mie traduzioni e di questa tesi, sia per l’aspetto terminologico
sia per la comprensione dei disturbi d’ansia.
Negli Stati Uniti, fin dagli anni Trenta del Novecento, l’American Psychiatric
Association aveva cominciato ad elaborare un sistema diagnostico che
permettesse la catalogazione dei disturbi psichici per fare ordine in una scienza
ancora nuova e “disorganizzata”. Nel 1952 è stato pubblicato il primo DSM, con
il nome di DSM-I. Il successo che ebbe questo lavoro di classificazione arrivò
fino in Europa e,
prendendo spunto dall’opera pubblicata dall’APA,
l’Organizzazione mondiale della sanità (WHO) decise di inserire nell’ottava
edizione dell’ICD (1967) una sezione speciale dedicata esclusivamente ai disturbi
mentali. Attualmente, l’edizione più aggiornata di questo sistema diagnostico è la
decima, quella del 2006, che prende il nome di ICD-10. In sostanza, “rispetto al
DSM , il sistema diagnostico ICD fornisce piuttosto delle linee guida che il clinico
può utilizzare in modo più flessibile”. (Ammaniti 2006:20).
31
La seconda edizione del DSM, il DSM-II, risale al 1968 mentre la terza edizione,
il DSM-III, è stata pubblicata nel 1980 e contiene descrizioni dei quadri clinici e
dei criteri diagnostici più specifiche e dettagliate per risolvere i limiti e le
ambiguità dei DSM precedenti.28 Il DSM-IV (1994) costituisce la classificazione
più recente e contiene diagnosi di tipo categoriale “per cui si assume che in base ai
segni e ai sintomi riscontrati il disturbo sia presente o assente” (Ammaniti
2006:23). Successivamente, a luglio del 2000 è stata pubblicata la revisione del
DSM-IV, cui è stato dato il nome di DSM-IV-TR. Infine, dopo undici anni di
lavoro, nel maggio 2013 l’APA ha pubblicato l’ultima edizione aggiornata, il
DSM-V, che però ha suscitato molte critiche in quanto implica dei cambiamenti
radicali rispetto al manuale precedente. In fase di revisione e di correzione della
bozza, quindi prima ancora che l’opera fosse data alle stampe, le decisioni finali
dell’associazione americana su alcuni dei nuovi disturbi e sui cambiamenti relativi
a quelli già classificati sono state oggetto di aspre discussioni tra gli specialisti29.
Molte delle modifiche sono state effettuate per avvicinarsi alle definizioni del
concorrente ICD-10 allo scopo di facilitare la comunicazione fra professionisti e
di risolvere i problemi collegati alla terminologia. La critica principale denunciata
dagli studiosi è l’eccessivo ampliamento: tranne alcune eccezioni di malattie
eliminate (come nel caso del disturbo neuro-cognitivo minore30), la tendenza del
nuovo manuale è verso l’espansione. In primo luogo, è avvenuto l’inserimento di
nuovi disturbi che lasciano perplessi molti specialisti; in secondo luogo, il DSM-V
Tutte le edizioni del DSM sono pubblicate dall’American Psychiatric Association (APA) e il
DSM-III è stato realizzato grazie al lavoro di Robert Spitzer, il quale ha utilizzato strumenti di
indagine come il Mental Status Schedule (Spitzer et al., 1967) e il Psychiatric Status Schedule
(Spitzer et al., 1970), proponendo interviste diagnostiche strutturate al fine di raccogliere
informazioni sistematiche sui segni e sui sintomi.
29
Oltre all’inserimento di nuovi disturbi, il DSM-V ha visto la modifica di molti criteri diagnostici
per i disturbi già classificati nei manuali precedenti: in alcuni casi, le diagnosi rimangono inalterate
anche se cambiano di definizione (ad es. la pedofilia assume il nome di “disturbo pedofiliaco”); in
altri casi vengono aggiunti nuovi criteri diagnostici (ad es. per il disturbo post-traumatico da
stress); in altri ancora i criteri diminuiscono (ad es. nel caso dell’autismo vengono ridotti da tre a
due: disfunzioni nella comunicazione sociale e comportamenti ripetitivi).
30
Secondo il DSM-IV-TR, è un disturbo della memoria nell'età anziana che potrebbe evolversi
in Alzheimer: “questa diagnosi comprende una enorme popolazione di pazienti ogni anno, solo
alcuni dei quali sono a rischio reale di demenza” (dall’articolo di G. Proietti, 2013).
28
32
è caratterizzato da un allargamento o una diminuzione dei criteri per i disturbi già
classificati che costringe ad aumentare il numero delle diagnosi fra i pazienti. Si
possono riportare due esempi concreti: il caso del disturbo di iperattività e deficit
di attenzione (ADHD)31, che prima poteva essere diagnosticato solo ai bambini ed
ora è stato esteso anche agli adulti, e quello del “binge eating”32:
“Se nella passata edizione per ricevere questa diagnosi occorreva cedere
all'abbuffata due volte alla settimana nei sei mesi precedenti, ora i criteri
sembrerebbero ridotti a una volta alla settimana nei tre mesi precedenti. Inoltre, il
disturbo diventa più rilevante, passando dall'appendice del DSM al vero e proprio
manuale. Anche qui, nessuno può sostenere ovviamente che fare abbuffate una
volta alla settimana sia salutare, ma considerarla una malattia, potrebbe davvero
apparire eccessivo” (dall’articolo di G. Proietti, 2013).
Alla luce di queste polemiche, per l’elaborazione della mia tesi ho scelto di
utilizzare il manuale diagnostico precedente, il DSM-IV-TR: primo, perché è il
manuale indicato nel mio testo principale di riferimento; secondo, perché è su
questa edizione che si sono basati gli specialisti del settore fino all’anno corrente
ed è, allo stato attuale degli studi, l’edizione che presenta il numero inferiore di
critiche e di incertezze.
Per un esempio pratico sulla confusione terminologica legata alla questione della
diversa classificazione riportata nei due sistemi diagnostici ed alle successive
ricategorizzazioni dei disturbi all’interno di uno stesso sistema, si vedano le
schede terminologiche contenute nel glossario, in particolare si faccia riferimento
Secondo il DSM-IV-TR, l’ADHD è un disturbo evolutivo dell’autocontrollo che ha una causa
neurobiologica e si caratterizza per la presenza di disattenzione, iperattività ed impulsività, che
compromettono un regolare sviluppo in tutti i contesti di vita del bambino. Questi problemi
derivano sostanzialmente dall’incapacità del bambino di regolare il proprio comportamento in
funzione del trascorrere del tempo, degli obiettivi da raggiungere e delle richieste dell’ambiente.
32
Il binge eater è una persona che mangia molto senza provare senso di colpa (a differenza del
bulimico) ed è in sovrappeso ma non se ne lamenta.
31
33
alle voci 1 “acute stress disorder”, 3 “anxiety disorder”, 22 “hot flush” e 33
“phobia”.
1.5 Esempi significativi di confusione terminologica nel linguaggio medicopsicologico italiano: la traduzione dei termini efficacy, effectiveness ed
effect size
Per quanto concerne l’analisi approfondita di questi due termini, si faccia
riferimento alla sezione “Glossario e schede terminologiche”, in particolare alle
voci 15 e 16. Si tenga comunque presente che l’analisi di questi due termini va
effettuata in modo parallelo a causa della loro stretta relazione semantica.
L’aspetto interessante riguarda la scelta traduttiva del termine “effectiveness”,
nella sua realizzazione come aggettivo “effective”, nel testo Understanding
Anxiety Disorders and Effective Treatment dell’American Psychological
Association (2010). Nel testo in questione compare soltanto il termine
“effective”33 mentre non sono presenti né il sostantivo “effectiveness” né l’altro
termine problematico “efficacy” o il suo aggettivo derivato “efficacious”.
Nell’articolo divulgativo ho scelto di tradurre questo aggettivo con “efficace”
tenendo in considerazione due fattori: la tipologia testuale e la mancata
compresenza di entrambi i termini problematici all’interno del testo, come invece
avviene nell’altro articolo da me tradotto e analizzato, quello accademico.
Rispetto alla tipologia testuale, ho ritenuto che il carattere divulgativo del testo
consentisse una traduzione “imprecisa” del termine tecnico. L’uso delle virgolette
per il termine “impreciso” lo reputo importante per sottolineare che la scelta
dell’equivalente non è stata superficiale o realmente imprecisa, ma è stata dettata
da riflessioni attente che mi hanno portato a optare per un termine semplice,
fruibile al tipo di pubblico cui è destinato l’articolo in questione. Intendo dire che
Le occorrenze del termine “effective” all’interno del testo sono le seguenti: effective treatment;
effective psychological treatment; highly effective; effective approach.
33
34
il termine inglese “effective” non potrebbe essere tradotto semplicemente con
l’aggettivo italiano “efficace” se si trattasse di un testo accademico perché, in tal
caso, sarebbe necessario specificare di quale tipo di efficacia si sta parlando:
efficacia clinica (effectiveness) o efficacia statistica (efficacy). Tuttavia,
trattandosi di un articolo rivolto a un pubblico “laico” tale specifica appare
superflua. Ben diverso è stato il trattamento dello stesso termine nell’articolo
accademico di C. Otte34 : in ambito specialistico, infatti, risulta necessario e
doveroso specificare il tipo di efficacia proprio in funzione della chiarezza e
compiutezza della comunicazione. E’ stato proprio in funzione della stessa
motivazione, ossia della chiarezza e compiutezza della comunicazione se ho
adottato due atteggiamenti differenti e, volendo, opposti, nei confronti di uno
stesso termine, “effective”, ritenendo necessario adeguarmi alla tipologia testuale
e, conseguentemente, al tipo di destinatario del testo da tradurre.
Quanto appena detto mi permette di ricollegarmi al secondo punto che ritengo
opportuno analizzare, ossia la mancata compresenza dei due termini problematici
nell’articolo divulgativo. Dalla lettura e dal confronto dei due testi, appare
evidente che nell’articolo accademico il focus è incentrato sulla contrapposizione
tra efficacia clinica ed efficacia statistica della terapia cognitivo-comportamentale
applicata ai disturbi d’ansia, anche al fine di mostrare la sua validità rispetto ad
altre psicoterapie. Tale opposizione, così rilevante in un testo, appare del tutto
secondaria, se non addirittura assente, nell’altro. Nell’articolo divulgativo
l’attenzione è incentrata sul termine “effective” solo in funzione della
comprensione dei disturbi d’ansia e delle terapie migliori per combatterli e curarli.
L’obiettivo di questo testo è fornire informazioni e rispondere alle domande
frequenti riguardo ai disturbi d’ansia più comuni diagnosticati fino ad oggi. Un
altro scopo, tutt’altro che secondario a mio avviso, è quello di rendere
34
Otte C. (2011), Cognitive behavioral therapy in anxiety disorders: current state of the evidence,
Dialogues in Clinical Neuroscience - Vol 13 . No. 4 (413-421)
35
consapevole la persona affetta da un disturbo d’ansia della possibilità di essere
curato. In ultima analisi, rappresenta una brochure che vuole sì informare ma,
soprattutto, infondere speranza indirizzando coloro che sono affetti da questi
disturbi, o i loro parenti ed amici, sulla giusta via per la ricerca di sostegno e di
cure. E’ un articolo scritto da professionisti che però non si rivolge ad un pubblico
di specialisti ma alle persone comuni che si trovano, probabilmente per la prima
volta, ad affrontare problematiche più o meno gravi legate ai disturbi d’ansia.
Sempre in merito all’analisi di questi due termini particolarmente interessanti,
vorrei aggiungere che, in linea di principio, ho ritenuto opportuno inserire tra
parentesi i termini inglesi “efficacy” ed “effectiveness” nel momento in cui
compaiono per la prima volta all’inizio del testo accademico. La motivazione è
semplice: ancora oggi intorno ad essi esiste molta confusione e neppure gli
specialisti sono concordi sulla scelta degli equivalenti nella lingua italiana, infatti,
non esiste una traduzione univoca. A scanso di equivoci, considerando che i
termini presentano un ventaglio di traduzioni tutte accettabili ed ugualmente
utilizzate anche in ambito accademico, ho scelto di lasciare il termine nella lingua
di partenza quando, all’interno del testo, ne viene spiegato il significato
(inserendolo tra parentesi di seguito all’equivalente italiano). Allo stesso tempo,
ho deciso di tradurli entrambi perché, nonostante le difficoltà, sono consapevole
che nella lingua di arrivo esistono degli equivalenti adeguati e non mi sembrava il
caso di lasciarli come prestiti non adattati35. Tuttavia, non specificare il termine di
partenza
inglese
neppure
all’inizio
del
testo
avrebbe
potuto
causare
fraintendimenti data la non univocità e universalità della traduzione dei termini in
questione.
Vorrei specificare che ho ritenuto opportuno procedere in questo senso solamente
per la traduzione di “efficacy”, “effectiveness” ed “effect size” (ma per l’analisi di
quest’ultimo termine si legga la fine del paragrafo) perché in tutti gli altri casi
35
Si definisce prestito non adattato una parola straniera inserita nel lessico di un'altra lingua senza
significative modificazioni fonologiche o morfologiche.
36
anche se esistono molte varianti (alcune più appropriate di altre) è sempre
possibile arrivare a capire il significato corretto del termine risolvendo
l’ambiguità. Nel caso specifico di questi termini, invece, l’italiano presenta
difficoltà maggiori: nei primi due casi, forse sono dovute anche alla somiglianza
del significante degli equivalenti italiani in quanto la prima porzione di termine,
(“efficacia”), appare identica nella maggior parte delle varianti italiane36 di
“efficacy” ed “effectiveness”, mentre ciò che cambia è la seconda parte del
termine contenente la specifica sul tipo di efficacia37. Nel caso di “effect size”,
invece, in italiano esiste un termine ad esso correlato cui alcuni esperti
attribuiscono lo stesso significante ma che è dotato di significato differente
(“magnitude”). La mancanza di una traduzione univoca per questi termini e
l’esistenza di molte varianti ufficialmente riconosciute provoca confusione
soprattutto nel momento in cui si considera l’idioletto38 di ogni esperto del settore,
che sia uno specialista o un accademico. A questo punto, per poter chiarire meglio
tali riflessioni, credo sia opportuno richiamare alla mente la teoria del segno
linguistico di F. de Saussure39 e uno degli esempi da lui utilizzati per spiegarla: la
Tra le varianti di “effectiveness” si possono trovare anche “efficienza” o “effettività” ma hanno
una frequenza d’uso leggermente inferiore rispetto alla costruzione “efficacia + specificazione del
tipo di efficacia”.
37
Per l’analisi di tutte le varianti si vedano le voci 15 e 16 del glossario.
38
Si definisce idioletto l’“insieme degli usi linguistici propri di un dato parlante” (Delisle et al.,
2002:87). Il carattere unico e individuale dell’idioletto dell’autore di un testo può essere mantenuto
nella traduzione o meno, tenendo conto delle norme di accettabilità (vincoli) della cultura di
arrivo.
39
F. de Saussure elaborò una teoria del segno linguistico, costituito dall’unione indissolubile di
significato e significante, “e insistette sulla arbitrarietà del rapporto fra significante e significato,
cioè sul fatto che la maggior parte delle parole non deve la propria forma alla natura di ciò che
designa. Infatti lo stesso concetto può essere espresso mediante segni linguistici completamente
diversi nelle diverse lingue. […] i diversi modi in cui le diverse lingue categorizzano la realtà […]
sono esempi del fatto che i significanti delle lingue hanno un rapporto largamente arbitrario con i
significati da esprimere” (Vallauri, 2011:26). Inoltre:
“Saussure si rese conto che ogni lingua è un sistema le cui parti sono in relazioni regolari fra loro
[…]. Queste relazioni si dividono per Saussure essenzialmente in due tipi: sintagmatiche e
associative. Le relazioni sintagmatiche sono le relazioni in presenza, che un segno linguistico ha
con gli altri segni che occorrono insieme a lui. […] Le relazioni associative (che più tardi L.
Hjemslev chiamò “paradigmatiche”) sono quelle in assenza, che un segno linguistico ha con gli
altri segni capaci di occorrere al suo posto. Tipicamente con gli altri elementi del suo stesso
paradigma […] ma anche con altri segni meno strettamente connessi, che pure appartengono alla
stessa categoria e quindi potrebbero sostituirlo” (Vallauri, 2011:27).
36
37
concezione della lingua come scacchiera40. Infatti, quando un esperto decide di
utilizzare un termine (tra quelli accettati) per la traduzione di “efficacy” o
“effectiveness” o “effect size”, automaticamente sceglierà di utilizzarne uno
diverso per indicare un altro termine correlato, ad esempio “magnitude”. Al
contrario, altri specialisti potrebbero essere soliti indicare la “magnitude”
attraverso uno dei significanti che esprimono il concetto di “effect size”, di
conseguenza sceglieranno (anche inconsapevolmente) soluzioni alternative per
quest’ultimo termine, e questo perché:
“il significato e la funzione di ogni segno sono definiti proprio dall’insieme di
quelli che ad esso si oppongono sull’asse paradigmatico. […] A definire la
funzione di un segno linguistico non è la sua natura concreta; non è il suo essere
fatto in un certo modo. Bensì, la cosa decisiva è il suo essere diverso dagli
altri41, e in particolare da quelli contigui. La lingua, cioè, è fatta di differenze”
(Vallauri, 2011:28).
Si potrebbe azzardare l’ipotesi per cui nel linguaggio medico-psicologico, a causa
dell’esistenza di numerose varianti e dell’eccessiva arbitrarietà con cui ogni
specialista sceglie i propri termini tecnici, la teoria di Saussure non venga
rispettata oppure venga rispettata solo in parte, cioè nel caso del singolo parlante:
uno specialista eviterà di usare termini ambigui dotati di stessi significanti per
indicare concetti differenti ma tra vari esperti non è sempre detto che ciò accada
(proprio perché dipende dagli usi linguistici di ognuno), ponendo in essere un
“Saussure per spiegare questo concetto usò il paragone dei pezzi degli scacchi: se mi manca un
cavallo, non occorre che io trovi un altro cavallo per poter giocare; potrò sostituirlo con qualsiasi
altro oggetto […] Non ha nessuna importanza come è fatto l’oggetto che userò; ma a una sola
condizione: che sia diverso dagli altri pezzi della scacchiera. […] ciò che definisce il cavallo, e gli
permette di fare la sua funzione, non è tanto il fatto concreto di essere un cavallo: è il fatto
strutturale di non essere [il grassetto è dell’autore] una torre, un alfiere, una regina… Ciò che
conta, appunto, sono le differenze” (Vallauri, 2011:27)
41
Sia in questo caso che nell’altro, il grassetto non è mio ma dell’autore.
40
38
accavallamento di spazi semantici, specialmente nelle aree di conoscenza in cui
non vi è una classificazione universalmente riconosciuta. Si ricordi che:
“Per Saussure i concetti non sono idee date preliminarmente, ma valori
determinati dal sistema. Ogni parola ha per significato lo spazio semantico
lasciato libero dalle altre42” (Vallauri, 2001:186).
In psicologia, a volte ci si ritrova in situazioni di ambiguità elevata in cui un
termine con lo stesso significante assume due significati diversi a seconda dello
specialista che lo sta utilizzando, come se i termini tecnici dipendessero dalle
scelte lessicali di ognuno (come se dipendessero dal proprio idioletto), e non da
una classificazione prestabilita: si ha come la sensazione che possano esistere tanti
linguaggi medico-psicologici quanti sono gli specialisti che li utilizzano (si
potrebbe quasi parlare di traduzione intralinguistica43).
Il seguente estratto si riferisce al sistema lingua in generale, quindi per comunità
linguistica si intende l’insieme dei parlanti di un determinato sistema linguistico
come può essere l’italiano:
“Saussure e gli strutturalisti concentravano la loro attenzione sulla parola/segno,
un tratto linguistico a due facce: significante e significato sono uniti da un legame
che, per quanto arbitrario in quanto scelto dalla comunità linguistica, non può
essere comunque spezzato dal singolo appartenente a tale comunità44” (Faini,
2008:29-30).
Il corsivo non è mio ma dell’autore.
Secondo R. Jakobsón (1987) esistono tre forme di traduzione: 1) intralinguistica o
endolinguistica o riformulazione: l’interpretazione di segni verbali per mezzo di altri segni della
stessa lingua; 2) interlinguistica o traduzione propriamente detta: consiste nell’interpretazione dei
segni linguistici per mezzo di un’altra lingua; 3) intersemiotica o trasmutazione: consiste
nell’interpretazione dei segni linguistici per mezzo di sistemi di segni non linguistici.
44
La distinzione operata da F. de Saussure “tra langue e parole aiuta a individuare i due momenti
del linguaggio, ovvero: 1) la lingua, parte sociale del linguaggio, esterna all’individuo; 2) la
parola, atto individuale di volontà e di intelligenza” (Faini. 2008:29).
42
43
39
Si potrebbe reinterpretare questo passaggio applicandolo al caso specifico del
linguaggio
medico-psicologico,
e
considerando
quest’ultimo
come
un
microsistema contenuto all’interno del macrosistema lingua: in tal caso, per
comunità linguistica si intenderebbe l’insieme degli specialisti che utilizzano il
linguaggio tecnico di tale disciplina (accademici e professionisti, nonché studenti
o persone che abbiano una conoscenza minima della terminologia tecnica).
Effettuando questa sostituzione, appare chiaro come in psicologia l’arbitrarietà del
segno linguistico sia elevata e si trovi in una situazione limite rispetto alla teoria
di F. de Saussure per cui non dovrebbero verificarsi accavallamenti semantici: nel
microsistema del linguaggio medico-psicologico il singolo specialista si trova
molto vicino a spezzare quel legame di cui si parla nell’estratto. Tuttavia, ci tengo
a sottolineare che all’interno degli usi linguistici del singolo specialista (almeno
da quanto emerso dai testi del mio corpus di riferimento) ognuno è coerente con
se stesso e all’interno delle proprie scelte lessicali rispetta la teoria di F. de
Saussure attribuendo ad ogni termine il suo spazio semantico, ed evitando di
utilizzare stessi significanti per indicare concetti differenti.
Alla luce di queste riflessioni, ho scelto di lasciare il riferimento ai termini inglesi
per disambiguare e per permettere una comprensione immediata dei termini
italiani da me scelti nel ventaglio di varianti atte alla traduzione di “efficacy”,
“effectiveness” ed “effect size”. La preferenza di un equivalente rispetto ad altre
varianti esistenti rappresenta una scelta linguistica precisa, arbitraria, che però
deve essere svolta restando fedele ai vincoli del testo e alle soluzioni traduttive
ufficiali fornite dal linguaggio specialistico, tuttavia, nel momento in cui nella
lingua di arrivo si manifestano degli “accavallamenti” semantici, la traduzione
diventa un passaggio ancor più delicato. Inoltre, la mia scelta è stata indirizzata
dal fatto che in alcuni testi presenti nel corpus italiano anche gli autori hanno
preferito riportare i termini inglesi tra parentesi, probabilmente per i motivi
sopraelencati.
40
Tutto ciò, ovviamente, non accade nelle scienze che, a differenza della psicologia,
possono disporre di un linguaggio settoriale chiaro e preciso, reso stabile dall’uso
e dal tempo.
Per chiarire queste considerazioni vorrei riportare degli esempi pratici tratti dal
corpus italiano di riferimento.
Il primo esempio analizza le scelte linguistiche del Dr. P. Migone45 nell’articolo
pubblicato sulla rivista Il Ruolo Terapeutico (2010) in parallelo con le scelte
linguistiche del Dr. A. Valeri46 nell’articolo pubblicato sul sito della Società
Italiana di Medicina Omeopatica (1999).
Nel suo testo, il Dr. P. Migone utilizza i termini “efficacia” ed “efficienza” per
riferirsi rispettivamente a “efficacy” ed “effectiveness”:
“La CBT [Terapia Cognitivo-Comportamentale] è risultata efficace nei bambini
sopra ai 6 anni, ma sappiamo poco dei bambini più piccoli e dell'efficacia di
metodi alternativi, inoltre si sa poco sulla generalizzabilità, cioè sulla "efficienza"
(la "efficacia" si riferisce alla sperimentazione, cioè al laboratorio, mentre la
"efficienza" si riferisce alla pratica clinica reale)”.
Diversamente, il Dr. A. Valeri non soltanto sceglie una variante differente per il
termine “efficienza” ma soprattutto distingue un terzo termine correlato, fornendo
la definizione di tutti e tre:
45
Psichiatra, psicoanalista e docente universitario italiano, nonché autore di numerose
pubblicazioni scientifiche.
46
Docente presso la Scuola Nazionale di Medicina Omeopatica e membro del SIMO homeopathic
teaching group, nonché responsabile dell’Ufficio Stampa della Società Italiana di Medicina
Omeopatica.
41
“Efficacia: il livello secondo il quale uno specifico intervento, procedura, regime,
servizio produce un effetto benefico in condizioni ideali. Idealmente, la
determinazione della efficacia è basata sui risultati di trials clinici randomizzati.
Efficienza: gli effetti o i risultati finali raggiunti in relazione agli sforzi prodotti in
termini di soldi, risorse impiegate, e tempo.
Effettività (effectiveness): è la misura di quanto uno specifico intervento,
procedura, regime, o servizio, quando usato sul campo in circostanze normali, fa
quanto deve fare per una certa popolazione. Il termine va distinto dal concetto di
efficacia e di efficienza”.47
In questo caso, è evidente come il termine “efficienza” possa creare ambiguità e
confusione se, nel testo, non viene specificato che cosa si intende esattamente: P.
Migone e A. Valeri hanno utilizzato due termini differenti che presentano stesso
significante ma significato completamente diverso.
Il secondo esempio d’uso diverso dei termini “efficacia” ed “efficienza” che
merita di essere analizzato si trova nel Manuale di formazione per il governo
clinico pubblicato dal Dipartimento della Programmazione e dell'ordinamento del
Servizio Sanitario Nazionale (2012), in cui si legge:
“L’appropriatezza è una dimensione della qualità dell’assistenza e, data la sua
complessità e multidimensionalità, sono molti i termini ad essa correlati, quali
efficacia, efficienza, equità, necessità clinica, variabilità geografica della pratica
clinica.
Al concetto di efficacia48 è stata dedicata una notevole quantità di letteratura; in
questa sede si riporta una definizione di “efficacia nella pratica clinica”
(effectiveness), espressa come “grado in cui i miglioramenti di salute raggiungibili
Nell’articolo viene specificato che tali definizioni sono state ricavate dalla traduzione delle
definizioni riportate in A dictionary of epidemiology, J. M. Last, Oxford University Press, 1995.
48
Il grassetto per i termini “efficacia” ed “efficienza” è degli autori.
47
42
sono effettivamente raggiunti” e di “efficacia teorica” (efficacy), “l’abilità della
scienza e della tecnologia sanitaria di produrre miglioramenti nella salute quando
usate nelle condizioni più favorevoli”.
[…]
L’efficienza considera il rapporto tra risorse impiegate e intervento erogato,
considerando anche le modalità di applicazione delle risorse”.
Il terzo esempio che vorrei riportare è, in realtà, una raccolta di esempi tratti
sempre dal corpus italiano di riferimento. Mentre P. Migone e A. Valeri hanno
scelto di rendere “effectiveness” con un equivalente che non fosse composto dalla
parola “efficacia”, preferendo disambiguare con “efficienza” o “effettività”, molti
autori degli altri testi presenti nel corpus hanno optato per soluzioni
completamente diverse. Pare essere interessante considerare la scelta fatta dal
team di esperti49 che ha contribuito alla scrittura del libro Psicoanalisi in trincea.
Esperienze, pratica clinica e nuove frontiere in Italia e nel Regno Unito (2012):
questi autori hanno preferito evitare ogni ambiguità optando per l’uso dei prestiti
non adattati “efficacy” ed “effectiveness”. Diversamente, nell’articolo scritto da
A. Pagni50 e C. Manfredi51 pubblicato sulla rivista Professione - Cultura e pratica
del medico d'oggi (2004), si parla di “efficacia ideale” in contrapposizione a
“efficacia pratica”. Un esempio ancora diverso è fornito dall’articolo on-line
pubblicato dalla Società Psicoanalitica Italiana in occasione di un’intervista al Dr.
V. Lingiardi52 (2012), in cui all’“efficacia statistica” viene contrapposta
l’“efficacia clinica”. Infine, nel Manuale pubblicato dal Dipartimento della
Programmazione e dell'ordinamento del Servizio Sanitario Nazionale (2012)
49
Si tratta di V. Lingiardi, F. Gazzillo e F. Genova.
Direttore della rivista La Professione, organo ufficiale della Federazione nazionale dell'Ordine
dei Medici e Chirurghi (di cui è stato anche presidente) e membro del Consiglio Superiore di
Sanità, nonché del Comitato Nazionale di Bioetica.
51
Presidente Ordine dei Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri Massa Carrara e Presidente della
Sottocommissione per la Sperimentazione Clinica.
52
Professore Ordinario di Psicologia Dinamica presso la Facoltà di Medicina e Psicologia
dell'Università di Roma La Sapienza.
50
43
vengono contrapposti i termini “efficacia teorica” ed “efficacia nella pratica
clinica” mentre il Dr. S. Tempestini53 in un articolo pubblicato su Gli Psicologi:
Rivista Online di Psicologia (2010) sceglie di contrapporre due termini ancora
diversi: “efficacia sperimentale” ed “efficacia nella pratica”.
Da quanto emerso in queste ultime righe, vorrei focalizzare l’attenzione sul fatto
che ogni specialista sceglie l’equivalente di questi due termini in completa
autonomia ma sempre rispettando i vincoli del linguaggio medico-psicologico. Ad
esempio, nel caso in cui la scelta cade su “efficacia + specifica del tipo di
efficacia” nessuno degli autori sopracitati utilizza la semplice parola “efficacia”
per la traduzione di “efficacy”; al contrario, nei due casi in cui è stato scelto come
equivalente di “effectiveness” un termine che non prevede il significante
“efficacia”, tale termine può essere assunto come equivalente di “efficacy” anche
senza la specifica del tipo di efficacia cui si fa riferimento perché decade la
necessità di disambiguazione.
Riprendendo un discorso già analizzato all’inizio di questo paragrafo, torno a
sottolineare l’importanza di considerare questi due termini sempre come una
coppia proprio per evitare confusione nella scelta dei rispettivi equivalenti italiani.
Più in generale, è importante prestare attenzione alla scelta del primo equivalente
e, di conseguenza, risulterà necessario scegliere il secondo in base al primo: se il
primo può essere scelto liberamente tra le varianti riconosciute, il secondo deve
essere valutato con più attenzione, tenendo sempre presente la scelta già
effettuata. Inoltre, è importante che i termini eletti siano mantenuti in maniera
coerente nell’intero testo: è assolutamente sconsigliato optare per una variante
all’inizio di una traduzione e poi fare ricorso alle altre man mano che si procede
nel processo traduttivo (anche se tutte le varianti sono universalmente
riconosciute, non possono essere utilizzate in modo scriteriato).
53
Psicologo abilitato e membro della Society for Psychotherapy Research (SPR), nonché docente
presso la Facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Firenze.
44
In ultima analisi, credo sia interessante discutere la situazione analoga che si è
presentata nel caso della traduzione dei termini “effect size” e “magnitude” (si
consultino le voci 14 e 25 del glossario per le definizioni e per gli altri aspetti
linguistici e traduttivi). Vorrei far presente che, in relazione alla loro traduzione,
ho ritenuto opportuno indicare tra parentesi soltanto il termine inglese “effect
size” perché l’ambiguità che caratterizza questi due termini riguarda soltanto
l’occorrenza “magnitude of the effect” e non il termine “magnitude” preso
singolarmente. Il termine “magnitude”, infatti, presenta due varianti nel
linguaggio
medico-psicologico:
“magnitudo”
e
“magnitudine”
(entrambe
utilizzate ed entrambe con una frequenza d’uso piuttosto alta). Solo nei casi in cui
il termine si accompagna a “of the effect” mi è capitato di incontrare soluzioni
alternative come “grandezza dell’effetto” o “ampiezza dell’effetto”. Tuttavia, tali
espressioni in italiano sono utilizzate per indicare l’“effect size”, dunque si
potrebbe generare un’ambiguità difficilmente risolvibile. Ho ritenuto opportuno
tradurre il termine “magnitude” utilizzando l’equivalente “magnitudo” anche
quando è seguita da “of the effect” (“magnitudo dell’effetto): in questo modo ho
potuto differenziare la sua traduzione da quella del termine “effect size” e il
lettore del testo non avrà problemi a capire che con il termine “magnitudo
dell’effetto” si intende esattamente la “magnitude of the effect”. Al contrario, un
lettore che nel proprio idioletto identifichi con le espressioni “grandezza
dell’effetto” o “ampiezza dell’effetto” il termine inglese “magnitude of the effect”
potrebbe fraintendere il testo dal momento in cui la mia scelta traduttiva nei
confronti di “effect size” cadesse proprio su una di quelle due varianti. In
sostanza, scrivendo “magnitudo dell’effetto” non ci sono dubbi che si tratti
proprio della “magnitude”, invece, scrivendo “ampiezza dell’effetto” o
“grandezza dell’effetto” come traduzione di “effect size” si può creare confusione
se si omette il termine inglese tra parentesi la prima volta che si presenta nel testo.
Ad ogni modo, ci tengo a precisare che non ho registrato queste due varianti nella
voce 25 del glossario (quindi come varianti di “magnitude”) per tre ragioni: la
45
prima, perché la frequenza d’uso degli equivalenti “magnitudo” e “magnitudine” è
nettamente superiore; la seconda, perché entrambe queste espressioni sono
utilizzate maggiormente come equivalenti di “effect size”; la terza, perché
entrambe vengono talvolta sostituite a “magnitude” ma soltanto nella sua
occorrenza di “magnitude of the effect”.
46
SAGGIO DI TRADUZIONE
Articolo divulgativo
47
I disturbi d’ansia: come capirli e curarli in modo efficace
Di tanto in tanto tutti soffriamo d'ansia. Situazioni stressanti come il rispetto di
scadenze in tempi stretti o obblighi sociali importanti, spesso ci rendono nervosi o
ci spaventano.
L'ansia lieve può rendere una persona più reattiva e aiutarla ad affrontare più
consapevolmente situazioni pericolose o impegnative.
Tuttavia, chi prova in modo incontrollabile preoccupazione e paura estrema può
soffrire di disturbi d'ansia. La frequenza e l'intensità dell'ansia possono prevalere e
interferire con le attività quotidiane. Fortunatamente, la maggior parte delle
persone
che
soffrono
di
disturbi
d'ansia
migliora
considerevolmente
sottoponendosi a terapie psicologiche efficaci.
Quali sono i principali tipi di disturbi d'ansia?
Ci sono diversi tipi principali di disturbi d'ansia, ognuno con le proprie
caratteristiche.
•
Chi soffre di disturbi d'ansia generalizzata ha paure o preoccupazioni
ricorrenti riguardanti, ad esempio, la propria salute o le condizioni economiche, e
spesso prova la sensazione costante che qualcosa di brutto stia per accadere. Può
essere difficile individuare il motivo alla base del forte senso di ansia. Tuttavia,
paure e preoccupazioni sono molto reali e spesso impediscono di concentrarsi
sulle attività quotidiane.
•
I disturbi di panico comportano una sensazione improvvisa, intensa e
ingiustificata di terrore e paura. Generalmente, chi soffre di questo disturbo
sviluppa forti timori sul dove e quando si manifesterà il prossimo attacco di
48
panico e, di conseguenza, spesso limita le proprie attività.
•
Un disturbo correlato è la fobia, o paura intensa, per determinati oggetti o
situazioni. Fobie specifiche possono includere la paura di imbattersi in determinati
animali o di prendere l'aereo, mentre le fobie sociali comprendono la paura delle
situazioni di socializzazione o dei luoghi pubblici.
•
Il disturbo ossessivo-compulsivo è caratterizzato da sensazioni o pensieri
persistenti, incontrollabili e indesiderati (ossessioni) e da routine o rituali
(compulsioni) utilizzati nel tentativo di scacciare o eliminare tali pensieri. Tra le
compulsioni più comuni figurano: lavarsi le mani o pulire la casa in maniera
eccessiva per paura dei germi, o controllare ripetutamente il lavoro in cerca di
errori.
•
Una persona che ha subito un forte trauma emotivo o fisico legato, ad
esempio, a un disastro naturale, un grave incidente o un crimine, può soffrire di
disturbo
post-traumatico
da
stress.
Pensieri,
sensazioni
e
schemi
comportamentali vengono condizionati in modo significativo da tutto ciò che
ricorda tale evento, a volte mesi o addirittura anni dopo l'esperienza traumatica.
Sintomi quali paura estrema, mancanza di respiro, battito accelerato, insonnia,
nausea, tremori e vertigini sono comuni nei disturbi d'ansia sopraelencati.
Sebbene possano insorgere in qualsiasi momento, spesso i disturbi d'ansia si
manifestano durante l'adolescenza o all'inizio dell'età adulta. E' stato dimostrato
che i disturbi d'ansia ricorrono nelle famiglie; sia i geni sia le prime esperienze di
apprendimento all'interno della famiglia sembrano rendere alcuni individui più
predisposti a soffrire di questi disturbi.
Perché è così importante cercare terapie per questi disturbi?
49
Se non curati, i disturbi d'ansia posso avere conseguenze gravi. Ad esempio,
coloro che soffrono di attacchi di panico ricorrenti, evitano qualsiasi situazione
che temono possa scatenare un attacco. Tale comportamento evitante può creare
problemi entrando in conflitto con esigenze lavorative, obblighi familiari o altre
attività primarie della vita quotidiana.
Chi soffre di un disturbo d'ansia non curato, spesso è affetto anche da altri disturbi
psicologici, come la depressione, ed è più predisposto a fare abuso di alcol e altre
droghe. I rapporti con familiari, amici e colleghi possono diventare molto tesi e le
prestazioni lavorative possono subire un calo.
Esistono terapie efficaci per i disturbi d'ansia?
Assolutamente si. La maggior parte dei casi di disturbi d'ansia può essere curata
con successo da professionisti della salute mentale qualificati quali gli psicologi
abilitati.
Alcune ricerche hanno dimostrato che una forma di psicoterapia chiamata "terapia
cognitivo-comportamentale" (TCC) può essere estremamente efficace per curare i
disturbi d'ansia. Gli psicologi usano la TCC per aiutare gli individui a identificare
e gestire i fattori che contribuiscono alla loro ansia.
La terapia comportamentale comprende l'uso di tecniche per ridurre o bloccare i
comportamenti indesiderati associati a tali disturbi. Un tipo di approccio, ad
esempio, consiste nell’insegnare ai pazienti il rilassamento e le tecniche di
respirazione profonda per contrastare l'agitazione e la respirazione superficiale e
rapida che accompagna determinati disturbi d'ansia.
50
Attraverso la terapia cognitiva, i pazienti imparano a capire in che modo i loro
pensieri alimentano i sintomi dei disturbi d'ansia, e come è possibile modificare
tali schemi di pensiero per ridurre sia le probabilità che l'attacco d'ansia si
manifesti, sia l'intensità della reazione. L'accresciuta consapevolezza cognitiva del
paziente è spesso associata a tecniche comportamentali allo scopo di aiutare
l'individuo a tollerare e affrontare gradualmente situazioni di paura in un ambiente
controllato e sicuro.
Unitamente alla psicoterapia, può rivelarsi utile anche l'uso di farmaci appropriati.
Nei casi in cui vengano somministrati farmaci, più terapisti possono collaborare
alla cura del paziente. E' importante che i pazienti si rendano conto che tutti i
farmaci presentano effetti collaterali che devono essere attentamente monitorati
dal medico che li prescrive.
In che modo gli psicologi abilitati possono aiutare chi è affetto da un disturbo
d'ansia?
Gli psicologi abilitati sono altamente qualificati e addestrati a diagnosticare e
curare persone affette da disturbi d'ansia, usando tecniche basate sulle ricerche più
all'avanguardia.
L'addestramento
completo
degli
psicologi
include
la
comprensione e l'uso di una varietà di psicoterapie, tra cui la TCC.
A volte, oltre alla psicoterapia individuale, gli psicologi utilizzano altri approcci
per una cura efficace. La psicoterapia di gruppo, che in genere coinvolge individui
estranei tra loro ma tutti con disturbi d'ansia, può rappresentare un approccio
efficace per fornire cure e supporto. Inoltre, la psicoterapia familiare può aiutare i
membri di una famiglia a comprendere meglio le ansie dei propri cari e a imparare
nuove modalità di interazione che non rinforzino l'ansia e i comportamenti
disfunzionali associati.
51
Chi soffre di disturbi d'ansia può anche scegliere di rivolgersi a cliniche di salute
mentale o altri programmi di cura specializzati che trattino disturbi d’ansia
specifici come panico o fobie, eventualmente disponibili in zone vicine.
Quanto tempo dura una terapia psicologica?
La grande maggioranza di coloro che soffrono di un disturbo d'ansia, è in grado di
ridurre o eliminarne i sintomi e tornare a una situazione di normalità dopo alcuni
mesi di psicoterapia appropriata. Addirittura, molti notano un miglioramento della
situazione e dei sintomi nel giro di qualche seduta.
Il paziente, sin dall’inizio, dovrebbe sentirsi a proprio agio con lo psicoterapeuta
e, insieme, dovrebbero sviluppare un piano terapeutico appropriato. La
cooperazione del paziente è fondamentale ed è necessario che sia lui sia il
terapista abbiano la sensazione di essere parte di una squadra che collabora allo
scopo di curare il disturbo d'ansia.
Non esiste un solo piano terapeutico efficace per tutti i pazienti. E' necessario che
la terapia sia personalizzata ai bisogni del paziente e al tipo di disturbo, o disturbi,
di cui soffre. Lo psicoterapeuta e il paziente dovrebbero collaborare al fine di
valutare se il piano terapeutico procede come previsto. I pazienti rispondono in
maniera differente alla terapia e a volte è necessario apportare modifiche al piano.
I disturbi d'ansia possono compromettere gravemente le attività di una persona in
ambito lavorativo, familiare e sociale. Tuttavia, sul lungo termine, le prospettive
di recupero sono buone per la maggior parte di coloro che si affidano ad una
terapia professionale appropriata. Coloro che soffrono di disturbi d'ansia possono
lavorare con un professionista della salute mentale qualificato e con esperienza,
come uno psicologo abilitato, che li aiuti a riprendere il controllo dei loro
52
sentimenti e pensieri, nonché delle loro vite.
53
SAGGIO DI TRADUZIONE
Articolo accademico
54
Ricerca Clinica
La terapia cognitivo-comportamentale nei disturbi d’ansia:
stato degli studi
Christian Otte, Dottore in Medicina
Numerosi studi hanno esaminato l’efficacia (efficacy) e l’efficienza (effectiveness)
della terapia cognitivo-comportamentale (TCC) per i disturbi d’ansia negli adulti.
Per esaminare da un punto di vista quantitativo le prove sull’efficacia della TCC
nei disturbi d’ansia, negli ultimi anni sono state condotte alcune meta-analisi,
ciascuna delle quali ha applicato criteri diversi di inclusione di studi, ad esempio,
in base all'uso di condizioni di controllo o di tipi di ambienti di studio. Questa
indagine si propone di riassumere e discutere lo stato attuale delle prove in
relazione all’uso della TCC nei disturbi di panico, di ansia generalizzata, di ansia
sociale, nei disturbi ossessivo-compulsivi e in quelli post-traumatici da stress.
Complessivamente, nella terapia dei disturbi d'ansia negli adulti la TCC dimostra
sia efficacia in studi clinici controllati e randomizzati (efficacy), sia efficienza in
setting naturalistici (effectiveness). Tuttavia, a causa di questioni metodologiche,
attualmente la magnitudo dell’effetto è difficile da valutare. In conclusione, la
TCC sembra essere ad un tempo efficace ed efficiente nel trattamento dei disturbi
d’ansia, ma sono necessari ulteriori studi qualitativamente elevati per poter meglio
valutare la magnitudo dell’effetto.
Introduzione
I disturbi d’ansia sono caratterizzati da paura eccessiva e conseguente evitamento,
generalmente in risposta a un oggetto o situazione specifici e in assenza di un
pericolo reale. I disturbi d’ansia hanno alta prevalenza, con una percentuale del
55
18% circa nei 12 mesi e del 29% circa nell’arco della vita.1,2 La terapia cognitivocomportamentale (TCC) è considerata lo standard di riferimento nei trattamenti
psicoterapeutici dei disturbi d'ansia, e negli ultimi anni sono state pubblicate
numerose meta-analisi e valutazioni dei risultati meta-analitici ottenuti, in merito
all’efficacia e all’efficienza della TCC.3-9
La TCC è definita come:
Un insieme di interventi cognitivi e comportamentali guidati dai principi della scienza
applicata. Gli interventi comportamentali hanno lo scopo di diminuire i
comportamenti maladattivi e di aumentare quelli adattivi modificando i loro
antecedenti e le loro conseguenze, e adottando pratiche comportamentali che
producano nuove conoscenze. Gli interventi cognitivi mirano a modificare le
cognizioni maladattive, le proprie assunzioni o le credenze personali. Il tratto
distintivo della TCC è rappresentato dalle strategie di intervento orientate al problema,
derivanti dai principi della teoria dell’apprendimento [oltre che] della teoria
cognitiva.8,10
Sebbene l’esame delle componenti terapeutiche specifiche della TCC non rientri
propriamente nell'ambito di questo articolo, esse, in genere, comprendono varie
combinazioni dei seguenti elementi: psicoeducazione sulla natura di paura e ansia,
automonitoraggio dei sintomi, esercizi somatici, ristrutturazione cognitiva (ad
esempio, empirismo logico e confutazione), esposizione immaginativa e in vivo a
stimoli temuti con disabitudine a segnali di sicurezza, e prevenzione di ricadute.8
A seconda del disturbo d’ansia specifico, queste tecniche della TCC vengono
bilanciate in maniera diversa durante la terapia.
Numerosi sono gli studi che hanno esaminato l’efficacia della TCC per i disturbi
d'ansia negli adulti. In aggiunta, sono state condotte alcune meta-analisi per
valutare da un punto di vista quantitativo le prove sull’efficacia della TCC nei
disturbi d’ansia.4,6,9,11 Nelle meta-analisi, l’efficacia della terapia è quantificata in
termini di dimensione dell’effetto (effect size). La dimensione dell’effetto indica la
magnitudo di un effetto osservato in un’unità di misura standard. Tuttavia, è
importante comprendere che tipologie diverse di dimensioni dell’effetto possono
56
essere usate per valutare le prove disponibili. Talvolta, ad esempio, le dimensioni
dell’effetto sono classificate come "controllate", in antitesi a "non controllate".
Una dimensione dell’effetto controllata esprime la magnitudo dell’effetto di una
terapia specifica rispetto a terapie alternative o condizioni di controllo. La
maggior parte delle volte, essa viene calcolata a fine terapia sottraendo la media
post-terapia del gruppo di controllo dalla media post-terapia del gruppo di
trattamento e dividendo la differenza per la deviazione standard del gruppo.
Questa dimensione dell’effetto è chiamata d di Cohen.12 Una dimensione
dell’effetto non controllata esprime, all'interno di un gruppo, la magnitudo di
miglioramento da prima della terapia a dopo la terapia. Questa viene calcolata
sottraendo la media post-terapia di un gruppo dalla media pre-terapia dello stesso
gruppo e dividendo il risultato ottenuto per la deviazione standard del gruppo.
Dimensioni dell’effetto non controllate sono meno preferibili rispetto alle
dimensioni dell’effetto controllate, essendo suscettibili di minacce alla validità
interna.4
In genere, gli esami meta-analitici degli studi sulla TCC nei disturbi d’ansia hanno
trovato dimensioni dell'effetto elevate per la maggior parte degli studi sulle
terapie. Di conseguenza, esami recenti, che riassumono i risultati di queste
numerose meta-analisi sulla TCC nei disturbi d'ansia, hanno concluso che la TCC
è altamente efficace.3,4,13
Non capisco se ti sei fermata e manca qualcosa, o se avevamo
deciso di farne solo una parte (o era così breve l’articolo?)
Comunque, i due saggi vanno chiaramente isolati. Non puoi
riprendere, come accade a pag. 58, con il paragrafo 2.3. Nel caso,
sposta i saggi di traduzione alla fine.
57
2.3
Terminologia e informatica: la scelta dei termini e il lavoro con il
software Terminus 2.0
Dopo aver analizzato gli aspetti testuali, linguistici e terminologici dei due
articoli e, più in generale, della psicologia, vorrei approfondire la questione
riguardante il glossario: scelta dei termini, ricerche, analisi, compilazione dei
campi che formano le schede terminologiche e, infine, lavoro con il software
specifico.
In merito alla scelta dei termini, il criterio di selezione ha una base semantica
prima ancora che linguistica. Nei due testi analizzati, sono presenti molti termini
interessanti dal punto di vista linguistico e traduttivo, tuttavia, non sarebbe stato
possibile inserirli tutti nelle schede terminologiche perché il loro numero avrebbe
superato il centinaio. Di conseguenza, trovandomi costretta a operare una
selezione, ho deciso di raggruppare la terminologia in quattro aree semantiche e di
scegliere solamente una decina di termini per ciascuna area, includendo quelli che
presentavano maggiori spunti per l’analisi. Le quattro aree, in realtà, fanno capo
ad un unico settore principale che è quello dei disturbi d’ansia, infatti, entrambi
gli articoli trattano tematiche relative a tali psicopatologie anche se da prospettive
completamente diverse.
Le quattro aree semantiche individuate nei testi sono:
1. Disturbi d’ansia
2. Psicoterapie (per i disturbi d’ansia)
3. Sintomi (dei disturbi d’ansia)
4. Meta-analisi (sull’efficacy e sull’effectiveness delle psicoterapie dei
disturbi d’ansia)
Se si dovesse disegnare un albero concettuale, il punto 1 si troverebbe sulla cima
mentre i suoi rami sarebbero composti dai punti 2, 3 e 4: intendo dire che, ad
esempio, le psicoterapie presenti nelle schede terminologiche non comprendono
tutte quelle esistenti ma soltanto quelle che vengono applicate ai disturbi d’ansia
58
(ovviamente, neanche questo gruppo risulta completo in quanto quelle inserite nel
glossario sono solo quelle nominate in almeno uno dei due articoli tradotti); allo
stesso modo, vengono analizzate le unità terminologiche relative ai sintomi dei
disturbi d’ansia ma non viene analizzata la casistica completa di tutti i sintomi che
tali psicopatologie possono causare (anche in questo caso, si sono analizzati solo i
termini di quelli presenti in almeno uno dei due testi).
La scelta di questi settori semantici è stata indirizzata dalle riflessioni esposte nei
paragrafi costituenti la parte teorica di questa tesi. In particolare, vorrei chiarire
che ho ritenuto opportuno selezionare tutti termini che fossero collegati ai disturbi
d’ansia in quanto è il tema principale trattato in entrambi gli articoli; ho
considerato interessanti i termini sui sintomi perché permettono di riallacciarsi
alla questione della stretta relazione tra medicina e psicologia; infine, per un
motivo analogo, ho scelto termini appartenenti al campo della psicometria54 per
mostrare esempi di interazione tra psicologia e statistica. Riguardo quest’ultima
osservazione, ritengo appropriato far notare come il linguaggio delle meta-analisi
sia proprio quello della ricerca clinica (i termini appartenenti a quest’area sono
stati estratti soltanto dal testo accademico poiché nel testo divulgativo non si parla
in nessun caso di trial clinici randomizzati).
Complessivamente, ho selezionato 39 termini, rispettivamente: 10 per i disturbi
d’ansia; 9 per le psicoterapie; 11 per i sintomi e 9 per le meta-analisi. Com’è
ovvio, sono rimaste escluse un gran numero di unità terminologiche che potevano
presentare aspetti interessanti da analizzare. Tuttavia, come più sopra detto, non
sarebbe stato possibile compilare schede terminologiche per ciascun tecnicismo
presente nei due articoli.
“Termine impiegato per la prima volta nel 1732 dal tedesco C. Wolff, indica l’insieme dei
metodi* quantitativi utilizzati in psicologia* e fa corrispondere alcune proprietà dei numeri con
alcune proprietà dei fatti psichici. Oggi si applica fondamentalmente al metodo dei test” (Doron et
al., 2001:594). In altre parole, la psicometria si potrebbe definire, in un certo senso, come la
statistica applicata alla psicologia.
54
59
In proposito, vorrei dedicare un approfondimento ad un termine che non rientra in
nessuna delle quattro categorie, eppure presenta alcuni aspetti molto interessanti
da analizzare. Si tratta di “self-statements” (l’occorrenza è al plurale nel testo
accademico, il singolare è “self statement”). Come possibile equivalente, a primo
avviso, si potrebbe ipotizzare “asserzioni”, tuttavia, nella terapia cognitivocomportamentale (TCC) esiste un termine molto specifico per indicare lo stesso
concetto, cioè “assunzioni”. Secondo il modello cognitivo su cui si basa la TCC,
esiste una vera e propria gerarchia del pensiero per cui l’essere umano sviluppa
una triade di pensieri a diversi livelli di coscienza, quali: i “pensieri superficiali”,
le “credenze intermedie” e le “credenze profonde”. Questi tre macro-gruppi si
dividono ulteriormente: dei pensieri superficiali fanno parte i pensieri automatici;
delle credenze intermedie fanno parte le assunzioni, che si distinguono in
opinioni, regole e valori; nelle credenze profonde, conosciute anche come core
beliefs o credenze di base, si trovano gli schemi cognitivi. Una categoria a sé
stante, invece, è rappresentata dai pensieri volontari.
La questione terminologica per tutti questi termini è molto complessa a causa
dell’esistenza di numerose varianti55: quando non vi è univocità nelle definizioni
e/o nelle denominazioni, il problema in traduzione si amplifica. Gli psicoterapeuti
possono scegliere di utilizzare termini alternativi rispetto a quelli sopracitati, ad
esempio, alcuni definiscono i core beliefs “convinzioni profonde” o “convinzioni
centrali”; altri associano alle credenze intermedie anche le aspettative assieme a
regole, opinioni e valori; altri ancora specificano con un aggettivo la credenza
intermedia delle regole, preferendo un termine composte da due parole, cioè
“regole implicite”; altri, invece, specificano il termine assunzioni facendo ricorso
anch’essi a un’unità terminologica composta, quale “assunzioni condizionate”; e
così via. Come emerge da questo specchietto, nonostante il gran numero di
varianti esistenti per definire le diverse credenze, il termine “assunzioni” non può
essere sostituito con un sinonimo meno tecnico: con esse si intende una tipologia
Riguardo l’esistenza di un gran numero di varianti per i termini tecnici della psicologia si ricordi
quanto già esposto nei paragrafi 1.3, 1.4 e 1.5.
55
60
esatta di pensieri facente parte delle credenze intermedie, di conseguenza, in
traduzione optare per un termine differente o meno specifico significherebbe
commettere un’imprecisione.
Altri esempi di termini che, pur esclusi dal glossario, presentano interessanti
spunti di riflessione sono i seguenti, divisi per appartenenza alle quattro aree
semantiche. Riguardo la terminologia legata ai disturbi d’ansia in generale: mild
anxiety (ansia lieve), related disorder (disturbo correlato), comorbid conditions
(condizioni di comorbidità), adaptive behavior (comportamento adattivo),
maladaptive behavior (comportamento maladattivo), dysfunctional behavior
(comportamento disfunzionale), cognitive bias (deviazione cognitiva), etc.
Seguono alcuni esempi per le psicoterapie: supportive therapy (terapia
supportiva), nondirective therapy (terapia non-direttiva), pharmacotherapy
(farmacoterapia), cognitive restructuring (ristrutturazione cognitiva), cognitive
defusion (defusione cognitiva), problem-focused intervention strategies (strategie
di intervento orientate al problema), etc.
Al terzo punto, tra i sintomi, si potrebbero aggiungere: recurring fears (paure
ricorrenti), dissociative symptoms (sintomi dissociativi), dissociative amnesia
(amnesia dissociativa), obsessions (ossessioni), compulsions (compulsioni), etc.
Infine, riguardo la terminologia delle meta-analisi: inclusion criteria (criteri di
inclusione), placebo-controlled trials (studi clinici placebo-controllati), attentionplacebo control conditions (interventi di attenzione-placebo), intention-to-treat
analysis (analisi intention-to-treat), research settings (setting di ricerca), clinical
practice setting (setting di pratica clinica), naturalistic settings (setting
naturalistici), small sample size (campioni di numerosità ridotta), [pooled]
standard deviation deviazione standard [del gruppo di controllo], etc.
Si tenga presente che l’elenco potrebbe essere ben più lungo e che per molti di
questi termini esiste almeno una variante ufficiale sia in lingua originale che in
italiano.
61
Il software specifico utilizzato per la compilazione delle schede terminologiche
che compongono il glossario è il programma Terminus 2.0, il progetto del gruppo
di ricerca Iulaterm promosso dall’Universitat Pompeu Fabra di Barcellona in
collaborazione con l’Istituto Universitario di Linguistica Applicata (Institut
Universitari de Lingüística Aplicada, IULA) ed elaborato dallo IULATERM
Research Group.
Questo programma on-line, dotato di molte funzionalità, è una stazione di lavoro
che integra la gestione dei corpora con il lavoro terminologico56: permette la
creazione e il mantenimento di basi di dati, la ricerca, costituzione ed esplorazione
dei corpora, l’estrazione di termini, nonché la gestione di glossari e progetti.
Il programma si articola in diverse sezioni:

Projects: permette di creare un progetto terminologico;

Sources: permette la gestione delle fonti utilizzate nell’ambito di
un progetto terminologico;

Conceptual structure: permette di creare un albero concettuale per
strutturare i termini di un glossario;

Documents: permette di creare un archivio di testi, caricandoli online. Essi andranno a costituire il corpus di lavoro;

Corpus: permette di raggruppare documenti per la costituzione di
corpora;

Corpus analysis: funzionalità utile per l’analisi statistica dei
corpora. Permette di esplorare un corpus per identificare frequenza
d’uso dei termini, concordanze, n-grammi e calcoli di associazioni,
56
La Terminografia può essere definita come la raccolta sistematica e la descrizione dei termini
che costituiscono il lessico delle lingue speciali; la Terminologia invece “potrebbe studiare il
lessico della comunicazione specialistica con l'obiettivo di contribuire alla comprensione della
natura del pensiero scientifico, dei suoi processi creativi e del ruolo svolto in essi dal linguaggio”
(Temmerman 2000:23)
62
inoltre, permette l’estrazione di termini a partire da corpora testuali
specializzati;

Glossaries: permette di creare e gestire i glossari che fanno parte di
un progetto;

Terms: permette di introdurre i dati terminologici nel glossario,
consultarli ed esportarli.
Projects. Per quanto concerne il primo punto, ossia la creazione del progetto, non
è necessario specificare ulteriormente: tale funzione permette di creare numerosi
progetti indipendenti tra loro per mano di uno stesso utente. Nel mio caso, ho
creato un progetto cui ho dato il titolo di A Glossary of Anxiety Disorders and
Meta-analyses, volendo mettere in evidenza i due macro-gruppi che caratterizzano
la terminologia contenuta nelle schede, cioè l’appartenenza delle unità
terminologiche selezionate al linguaggio medico-psicologico e a quello statisticopsicometrico (quest’ultimo potrebbe essere considerato semplicemente un
sottogruppo del primo).
Sources. Sul secondo punto, ossia sulla questione delle fonti, si è già discusso
abbondantemente nel paragrafo 1.2 Il problema delle fonti e della ricerca sulla
terminologia.
Conceptual structure. In merito alla struttura, in questo paragrafo si è data un’idea
dell’impostazione
concettuale
del
lavoro
già
nei
periodi
precedenti:
l’appartenenza dei termini a quattro aree semantiche ben precise o, meglio, ad
un’unica area semantica (terminologia dei disturbi d’ansia) e a tre sotto-aree più
specifiche, contenibili nella prima (terminologia delle psicoterapie, dei sintomi e
delle meta-analisi in relazione ai disturbi d’ansia).
63
Documents. Riguardo i documenti, il discorso è analogo a quello delle fonti: dopo
aver svolto la ricerca di articoli da riviste specialistiche affidabili e di testi
specializzati autorevoli, ho potuto caricare i relativi file nel programma attraverso
questa funzione, prestando attenzione a specificare correttamente la fonte e le
informazioni sui testi (autori, date, titoli, numero della rivista, etc.).
Corpus. In riferimento all’uso dei corpora e alla loro funzione all’interno di
questo progetto di tesi, nei paragrafi precedenti si sono già riportate le
informazioni necessarie. In appendice, si possono trovare i due corpora di
riferimento inglese e italiano utilizzati per acquisire i fondamenti (anche
linguistici) del sapere scientifico-psicologico e, contemporaneamente, per
svolgere le operazioni consentite dalle funzionalità del software. In particolare,
nel programma è stato necessario inserire solamente i testi del corpus inglese in
quanto il glossario doveva risultare monolingue: le operazioni di estrazione e
analisi dei termini, nonché di compilazione delle schede terminologiche sono tutte
state svolte in lingua inglese.
Corpus analysis. La parte di analisi dei corpora è servita essenzialmente per
l’estrazione dei termini dai testi in lingua originale. La possibilità di visualizzare i
risultati dell’estrazione in base alla frequenza d’uso (vi erano altre possibilità, ad
esempio l’ordine cronologico) si è rivelata molto utile dato che ha indirizzato le
mie decisioni in merito all’esclusione di alcuni termini dal glossario (per i motivi
sopracitati). Oltre a considerare gli spunti di riflessione linguistici e traduttivi
offerti dalle unità terminologiche selezionate, infatti, nella scelta dei termini ho
tenuto conto anche della loro frequenza d’uso nei testi del corpus di riferimento.
L’estrazione poteva essere svolta seguendo diversi criteri, nel mio caso ho
preferito utilizzare la funzione degli n-grammi: prima di tutto ho esportato le unità
terminologiche composte da trigrammi (come acute stress disorder, cognitive
behavioral therapy, generalized anxiety disorder, etc.); successivamente ho
esportato i bigrammi (come anxiety disorder, behavioral therapy, cognitive
64
therapy, etc.); infine ho estratto i termini semplici costituiti da unigrammi (come
agoraphobia, avoidance, depersonalization, etc.). Il processo di estrazione
necessita di controlli accurati in quanto il programma estrae, in base ai suoi criteri,
un gran numero di termini ma non tutti rappresentano unità terminologiche oppure
alcuni risultano unità incomplete (ad esempio, tra i bigrammi vengono estratti
alcuni trigrammi incompleti, come “acute stress” invece di “acute stress
disorder”).
Glossaries. Una volta terminata l’estrazione, ho potuto inserire i termini nel
glossario appena creato, cui ho scelto di assegnare lo stesso nome del progetto: A
Glossary of Anxiety Disorders and Meta-analyses. Alla fine di questo processo, è
stato necessario svolgere un lavoro di revisione: ho dovuto accertarmi che non
fossero stati esportati e registrati termini doppi (le varianti ortografiche vengono
considerate autonomamente dal programma) e che la variante registrata come
termine candidato fosse esattamente quella presente in uno dei miei articoli.
Terms. Questa funzione permette di svolgere due operazioni: introduzione di
nuovi termini nel glossario per mezzo di semplici procedure, nel caso in ci si
vogliano aggiungere termini che non siano stati estratti dal corpus, e ricerca di
termini già registrati e salvati, al fine di modificarne i campi contenuti nella
scheda. La scheda terminologica è divisa in vari campi che devono essere
compilati con le informazioni sui termini: il glossario in cui devono essere inseriti,
alcune informazioni di base (lemma, categoria grammaticale, fonti, etc.), altre
categorie aggiuntive selezionabili dall’utente, come contesto, definizione,
equivalenti, varianti, collocazioni e note. In particolare, per i contesti, gli
equivalenti, le varianti, le collocazioni e le note non viene imposto un limite
numerico e possono esserne inseriti a piacimento a seconda delle necessità di
ciascun termine.
Ad ogni modo, tutti i campi che compongono le schede sono visualizzabili nel
glossario presente in questa tesi. Per quanto riguarda le note, ho deciso di inserirvi
65
quelle riflessioni sugli aspetti semantici, linguistici o traduttivi peculiari di ogni
termine, nonché le varianti cadute in disuso (specificandone i motivi). In
particolare, nel caso di varianti ortografiche, dato l’eccessivo numero totale di
varianti per alcuni termini composti, ho registrato la variante rispetto al termine
candidato ma non ho inserito tutte le combinazioni con le altre varianti registrate.
Mi spiego meglio: per unità terminologiche composte come “obsessivecompulsive disorder”57 ho registrato tutte le varianti che sostituiscono “disorder”
con “neurosis”, “syndrome” e “disease” e ho registrato la sola variante ortografica
“obsessive compulsive disorder” (relativa al termine candidato) ma non ho
registrato, a loro volta, tutte le combinazioni tra questa variante e le altre. Ho
eseguito un procedimento analogo anche per “cognitive-behavioral therapy”58, in
cui la situazione appare più complessa a causa dell’esistenza di una duplice
variante ortografica (“cognitive behavioral” e “cognitive-behavioural”).59
L’ultima parte del lavoro con il software consiste nella creazione del file finale
contenente le schede del glossario. Prima di procedere con l’esportazione, è
comunque possibile utilizzare la funzione di ricerca per visualizzare le schede
ogni volta che si vuole. Infatti, una volta che la compilazione è stata effettuata può
rivelarsi molto utile svolgere un lavoro di revisione. In particolare, la revisione
serve a correggere imprecisioni o errori commessi in fase di compilazione: le
schede terminologiche devono essere coerenti e le informazioni in esse contenute
devono aderire ad alcuni principi pre-stabiliti, quali:
“• Entry:
-
Nouns must be entered in singular form, except for lexicalized plural
nouns (please note that lexicalized plural nouns are not common).
-
Verbs must be entered in their bare infinitive form (e.g. recur).
57
Per la scheda completa di questo termine si veda la voce 28 del glossario.
Per la scheda completa di questo termine si veda la voce 6 del glossario
59
Per visualizzare altri esempi su questo procedimento per le varianti ortografiche, si vedano
soprattutto le voci 5, 13, 19, 21, 23 e 36.
58
66
-
Adjectives must include genre flexion, if applicable (e.g. agudo-a in
Spanish).
• Grammatical category:
-
Each term must have the correct grammatical category (e.g. headache
n).
• Definition:
-
Definitions must strictly follow the principles to elaborate definitions
[…].
• Context:
-
The context of use must be complete and contain exactly the same
terminological unit, that is to say, the unit in the context and the entry
of the record must have the same grammatical category.
• Source:
-
Bibliographic references must be systematically presented (i.e. they
must have the same pattern in all the records of the work).
• Equivalents:
-
Equivalents in the different languages must belong to the same
grammatical category as the entry, or must have the same grammatical
function.”60
Questa revisione esaustiva del lavoro terminologico permette di eliminare gli
errori o di completare le informazioni incomplete, inoltre, consente di revisionare
anche il contenuto poiché all’utente viene dato modo di operare un controllo su
ciò che ha scritto: potrebbe ritenersi necessario specificare qualcosa, aggiungere
informazioni oppure eliminare dei contenuti superflui.
Completato il processo di revisione, si può utilizzare la funzione di ricerca dei
termini per visualizzare il lavoro finalmente ultimato. Il programma concede di
IULATERM Research Group (2013), Institute for Applied Linguistics – Universitat Pompeu
Fabra), Workshop: Methodology for Terminology Work, Stage 6 (pp. 2-3).
60
67
utilizzare criteri diversi e differenti opzioni di visualizzazione ed esportazione dei
dati registrati, ad esempio, il lavoro può essere consultato e salvato in diversi
formati: PDF, TXT, HTML o XML. In questa fase, è anche possibile scegliere
quali campi delle schede si desidera mostrare nel glossario finale. A seguito di
aver selezionato il formato prescelto, si può finalmente procedere con
l’esportazione e con il salvataggio del proprio lavoro terminologico, scaricandolo
sul computer personale. I risultati del lavoro svolto nell’ambito di questa tesi sono
mostrati nelle pagine successive.
68
2.4
Glossario: schede terminologiche
Va bene, le puoi inserire
69
Bibliografia generale (aspetti linguistici e traduttivi)

Cavagnoli S. (2007), La comunicazione specialistica, Carocci

Delisle J. et al. (2002), Terminologia della traduzione, ed. it. a c. di Ulrych
M., Hoepli

Faini P. (2008), Tradurre. Manuale teorico e pratico, Carocci

Hornby A. S. et al. (2000), Oxford Advanced Learner's dictionary of
current English, Sixth edition, Oxford University press

Newmark P. (1988), La traduzione. Problemi e metodi, Garzanti, trad. it. di
Frangini F.

Ragazzini G., Biagi A. (2003), Ragazzini-Biagi concise - Dizionario
Interattivo Inglese-Italiano-Inglese, I Dizionari per Sempre - Gruppo
Editoriale l’Espresso Spa, Zanichelli

Ragazzini G., Biagi A. (2004), Dizionario inglese italiano – Italian
English dictionary, terza edizione, Zanichelli

Scarpa F. (2001), La traduzione specializzata, Hoepli

Serianni L. (2008), Italiani Scritti, Il Mulino

Vallauri E. L. (2011), La linguistica in pratica, Il Mulino

IULATERM Research Group (2013), Terminus 2.0 User’s Guide, Institute
for Applied Linguistics – Universitat Pompeu Fabra
Bibliografia specifica (aspetti scientifici e psicologici)

American Psychiatric Association (APA, 2000), Diagnostic And Statistical
Manual Of Mental Disorders, Fourth Edition - Text Revision (DSM-IV-TR)

Ammaniti M. (2006), Manuale di psicopatologia dell’infanzia, Raffaello
Cortina Editore

Carey P., Castle D. J. e Stein D. J. et al. (2011), Fondamenti di Psichiatria
4 edizione, ed. it. a c. di Ruffini C., CG Edizioni Medico Scientifiche
70

Doron R. et al. (2001), Nuovo Dizionario di Psicologia, Borla

World Health Organization (WHO, 2006), The ICD-10 Classification of
Mental and Behavioural Disorders. Clinical descriptions and diagnostic
guidelines
71
Sitografia (aspetti linguistici e traduttivi)

AF, AcronymFinder – http://www.acronymfinder.com/

Dizionario etimologico online – http://www.etimo.it/

Garzanti Linguistica – http://garzantilinguistica.sapere.it

IULA. Specialized knowledge units [online]. In Grup IulaTerm. Online
Postgraduate Course of Introduction to Terminology. Barcelona: IULA.
Universitat Pompeu Fabra, 2011 – http://iulaonline.iula.upf.edu

IULA. Terminology and Specialized Communication [online]. In Grup
IulaTerm. Online Postgraduate Course of Introduction to Terminology.
Barcelona:
IULA.
Universitat
Pompeu
Fabra,
2011
–
and
more
–
http://iulaonline.iula.upf.edu

Memidex,
Free
online
dictionary/thesaurus
http://www.memidex.com/

Oxford Dictionaries – http://oxforddictionaries.com/

Proz.com, The translation workplace – http://ita.proz.com/

Synonyms, the web’s largest resource for Synonyms & Antonyms –
http://www.synonyms.net/

The Free Dictionary – http://www.thefreedictionary.com/

The
Free
Dictionary,
Medical
Dictionary
–
http://medical-
dictionary.thefreedictionary.com/

Thesaurus.com – http://thesaurus.com/

WordReference.com,
Dizionario
Inglese
Italiano
–
http://www.wordreference.com/it/
Sitografia (aspetti scientifici e psicologici)

American
Academy
of
Family
72
Physicians
(AAFP)
–
http://www.aafp.org/home.html

American Medical Association (AMA) – http://www.ama-assn.org/

American Psychiatric Association (APA) – http://www.psych.org/

American Psychological Association (APA) – http://www.apa.org/

AnsiaSociale.it, Informazione e Consulenza Psicologica –
http://www.ansiasociale.it/

Anxiety And Depression Association of America (ADAA) –
http://www.adaa.org/

Anxietycentre.com – http://www.anxietycentre.com/

British Association for Behaviour and Cognitive Psychotherapies
(BABCP) – http://www.babcp.com/

Cambridge
University
Press,
Cambridge
Journals
–
http://journals.cambridge.org/

Centro Cognitivo, centro di diagnosi e trattamento dei disturbi d’ansia e
dell’umore – http://www.centrocognitivotradate.it/

Elsevier, all Journals within Psychology –
http://www.elsevier.com/journals/subjects/psychology

Encyclopedia of Mental Disorders – http://www.minddisorders.com/

Excel At Life LLC, pursuing excellence in Life, Relationships, Sports, and
Career – http://www.excelatlife.com/

Gli Psicologi, Rivista Online di Psicologia – http://www.glipsicologi.info/

HealthCentral.com – http://www.healthcentral.com/

Health Encyclopedia (reviewed by L. J. Vorvick et al.), Saint Luke’s
Health System – https://stg.saintlukeshealthsystem.org/encyclopedia

Hindawi Publishing Corporation – http://www.hindawi.com/

INCHIESTA, Edizioni Dedalo, Quattro Interviste a Margherita Hack –
http://www.inchiestaonline.it/ricerca-e-innovazione/quattro-interviste-amargherita-hack/

Medical News Today (MNT) – http://www.medicalnewstoday.com/
73

Medicitalia+,
il
canale
salute
scelto
da
LaStampa.it
–
http://www.medicitalia.it/

Mens Sana, Assistenza globale per la salute e il benessere mentale –
http://www.mens-sana.biz/

MentalHelp.net – http://www.mentalhelp.net/

Meta-analisi.it – http://www.meta-analisi.it/

Mindfulness-Based Cognitive Therapy – http://www.mbct.com/

National Center for Biotechnology Information (NCBI) –
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/

National Institutes of Healt (NIH) – http://www.nih.gov/

National Library of Medicine U.S. (NLM) – http://www.nlm.nih.gov/

Opsonline, network di Obiettivo Psicologia s.r.l. – http://www.opsonline.it/

Osservatorio Psicologia nei Media –
http://www.osservatoriopsicologia.com/

POL.it, Psychiatry on line Italia – http://www.psychiatryonline.it/

Psiche, Rivista di cultura psicoanalitica –

http://www.psiche-spi.it/Psiche/home.html

Psicoterapeuti in-formazione – http://www.psicoterapeutiinformazione.it/

Psicoterapia.it – http://www.psicoterapia.it/

PsychCentral – http://psychcentral.com/

Psychiatry, Medicine Publishing by Elsevier –
http://www.psychiatryjournal.co.uk/

Psychomedia, Salute Mentale e Comunicazione –
http://www.psychomedia.it/

PubMed.gov – http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed

Rivista di psichiatria – http://www.rivistadipsichiatria.it/

Royal College of Psychiatrists (RC PSYCH) – http://www.rcpsych.ac.uk/

Società Italiana di Medicina Omeopatica – www.omeomed.net

Spiweb, Società Psicoanalitica Italiana – http://www.spiweb.it/
74

Treccani.it, L’Enciclopedia Italiana – http://www.treccani.it/

World Healt Organization (WHO) – http://www.who.int/en/
75
APPENDICE
Testi originali
76
77
1. Corpus italiano di riferimento

Agrusta M., Fresa R. (2013), Dalla Letteratura - Pompe d'insulina e
monitoraggio continuo del glucosio: un aiuto concreto alla terapia
insulinica intensiva?, Giornale Italiano di Diabetologia e Metabolismo, G
It Diabetol Metab 33:41-44

Baker T. B., McFall R. M., Shoham V. (2009), Stato dell’arte e prospettive
future della psicologia clinica. Verso un approccio scientificamente
fondato alla salute mentale e comportamentale, trad. it. a cura di
Ginanneschi S. e Materdomini M., Osservatorio Psicologia nei Media,
pubblicato on-line nel mese di Dicembre

Baiamonte C. e Bastianoni P. (2012), Il disagio psicologico in età
evolutiva, Dispense per l’anno accademico 2012-2013, Università di
Ferrara

Battaglia M. (2007), Ansia, Enciclopedia della Scienza e della Tecnica,
Treccani.it

Bordi S. (1999), Realtà psichica, trauma, difesa, Rivista dell'ASP: Setting
7: 8-25

Borgato M. (2009), Tecniche di gestione della rabbia patologica,
Psicoterapeuti in-formazione (N. 3), pp. 22-39

Bottelli V. (2012), Il caso di Francesca: Disturbo di Panico e Senso di
Colpa del Sopravvissuto, Psicoterapeuti in-formazione (N. 9), pp. 75-87

Bulli F., Melli G. et al. (2010), Mindfulness & Acceptance in psicoterapia:
la
terza
generazione
della
Terapia
Cognitivo-Comportamentale,
(Prefazione: Acceptance e Mindfulness: processi, funzioni, strutture,
contenuti; cap. 1: La psicoterapia cognitivo comportamentale: tra passato,
presente e futuro; cap. 2: Le psicoterapie basate sulla mindfulness - MBSR
e MBCT), pp. 9-74., Collana: Scienze Cognitive e Psicoterapia, Eclipsi

Carli R., Paniccia R. M. et al. (2009), Decostruire e riorganizzare il
78
costrutto di Alleanza Terapeutica, Rivista di Psicologia Clinica n.1 (36-49)

Carreri M. (2009), Il gioco patologico, Psicoterapeuti in-formazione (N.
3), pp. 53-65

Cartabellotta A. (2011), Trial controllato randomizzato: un disegno,
numerose varianti. Il Giornale di AMD, pp. 211-214

Castelnuovo G., Faccio E. et al. (2004), Un’analisi critica degli
“Empirically Supported Treatments” (ESTs) e della prospettiva dei
“fattori comuni” in psicoterapia. Rivista Europea di Terapia Breve
Strategica e Sistemica N. 1, pp. 215-232

Cerritelli F. (2012), Effetto Placebo in Neonatologia: Trial Clinico
Randomizzato, AIOT Accademia Italiana Osteopatia Tradizionale,
pubblicato on-line nel mese di Giugno

Contessa G. (1994), La prevenzione: teoria e modelli di psicosociologia e
psicologia di comunità, (cap. 7: Nuove Frontiere della Prevenzione)
pp.189-193, Città Studi Edizioni

Di Noia M. A. (2009), Disorganizzazione dell’attaccamento. Implicazioni
cliniche in età adulta, Psicoterapeuti in-formazione (N. 3), pp. 3-21

Daga G. A., Quaranta M. et al. (2011), Terapia familiare e disturbi del
comportamento alimentare nelle giovani pazienti: stato dell'arte, Giornale
Italiano di Psicopatologia (7:40-47)

Di Nuovo S. (2008), Cosa significa
«significativo»? Gli usi della
statistica in psicologia clinica, Psicologia Clinica Dello Sviluppo / a. XII,
n. 2, pp. 245-258, Agosto

Direzione Generale della Programmazione Sanitaria (Luglio 2012),
Manuale di formazione per il governo clinico: Appropriatezza (cap. 1:
Background, definizioni, modelli concettuali) pp. 5-13, Dipartimento della
Programmazione e dell'ordinamento del Servizio Sanitario Nazionale

Donato F. (2008), Studio randomizzato controllato, in doppio cieco, per
valutare l'efficacia e la tollerabilità di alcuni preparati erboristici della
79
medicina ayurvedica (Guggulu e Triphala) verso placebo nel trattamento
di soggetti con ipercolesterolemia e in sovrappeso. Rivista: Health
Strategy, leader for chemist (pp 14-25), Gruppo Editoriale Cesil

Fassone G. (2004), Overview. Stato dell'arte della Psicoterapia di Gruppo
Cognitivo-Comportamentale nel Trattamento dei Principali Disturbi
Psichiatrici. Modelli, Metodi, Efficacia. Cognitivismo clinico; 1, 2, 85-107

Feltham C., Dryden W. (2008), Dizionario di Counseling, trad. it. di
Crimini P., (voci: “Terapia Cognitivo-Analitica”, “Terapia Cognitivo
Comportamentale” e “terapia comportamentista”) pp. 287-288, Collana
Psicoterapia e Counseling, Sovera Editore

Gelo O. C. G., Auletta A. F. e Braakmann D. (2010), Aspetti teoricometodologici e analisi dei dati nella ricerca in metodologici e analisi dei
dati nella ricerca in psicoterapia. Parte I: La ricerca sull'esito e la ricerca
sul processo - dagli anni '50 agli anni '80. Ricerca in Psicoterapia /
Research in Psychotherapy; 1 (13): 61-91

Giannone E., Lo Verso G., Sperandeo A. et al. (2009), La psicoterapia e
la sua valutazione - Un confronto internazionale, (Sezione prima: Metodi
di ricerca sulla valutazione del processo terapeutico) pp. 53-60, Franco
Angeli Editore

Hagen R., Turkington D., Berge T. and Gråwe R. W. (2012), Terapia
Cognitivo Comportamentale Delle Psicosi, ed. it. a cura di Nicolò G.,
(cap. 1: Introduzione. Terapia cognitivo comportamentale delle psicosi: un
approccio mirato ai sintomi), pp. 7-16, Collana: Scienze Cognitive e
Psicoterapia, Eclipsi

Herbert C. e Didonna F. (2006), Capire e superare il trauma, (cap.: Cos'è
il Disturbo da Stress Post-Traumatico (DSPT)? e cap.: La terapia basata
sulla mindfulness) pp. 86-90 e pp. 176-179, Casa editrice Erickson

Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e
di formazione (INVALSI, 2010), Rapporto sui Risultati Preliminari sugli
80
Effetti del Programma PON [email protected]

Kirchlechner B. (2008), Trauma e tecniche immaginative. Modelli di
intervento nei disturbi causati da esperienze traumatiche. Rivista:
Psicoterapeuti in-formazione (N. 2), pp. 6-34

Lingiardi V., Gazzillo F., Genova F. (2012), Psicoanalisi in trincea.
Esperienze, pratica clinica e nuove frontiere in Italia e nel Regno Unito
(cap. 11: L'efficacia delle psicoterapie dinamiche: lo stato dell'arte della
ricerca empirica), pp. 263-334, Franco Angeli Editore

Loriedo C., Acri F. (2009), Il setting in psicoterapia. Lo scenario
dell’incontro terapeutico nei differenti modelli clinici di intervento, (par. 7:
Utilizzo del setting come strumento di lavoro del terapeuta) pp. 162-163,
Franco Angeli Editore

Massaro F. (2011), Quando il corpo va in ansia: i sintomi fisici dei
Disturbi d’Ansia, MedicItalia+ - il canale salute scelto da LaStampa.it

Mendelsohn R. (1995), Manuale Enciclopedico della Libera Professione
dello Psicoterapeuta, trad. it. di Garutti Ferracuti M., Madeddu F., Marra
M., Meglio L., Spalletta E., (cap. 31: Gruppi Psicoterapeutici: Esiti
Pratici e Clinici) pp. 441-448, Armando Editore

Migone P. (1996), La ricerca in psicoterapia: storia, principali gruppi di
lavoro, stato attuale degli studi sul risultato e sul processo, Rivista
Sperimentale di Freniatria, CXX (2: 182-238)

Migone p. (2010), Quanto è efficace la psicoterapia per i disturbi d'ansia?
Una revisione della letteratura, Rivista: Il Ruolo Terapeutico, 113: 56-69

MolMed S.p.A (2011), MolMed inizia uno studio clinico randomizzato di
Fase II di NGR-hTNF nel carcinoma dell'ovaio. Comunicato Stampa Milano, 29 luglio

Montano A. (2011), Il Modello Cognitivo, Istituto A. T. Beck per la terapia
cognitivo comportamentale (Allegato n. 5)

Montano A. (2011), Schema gerarchia pensiero, Istituto A. T. Beck per la
81
terapia cognitivo comportamentale (Allegato n. 4)

Mottola M. (2010), Psicoterapia familiare: conversazione con Gennaro
Galdo; Convegno Dalla psicopatologia alla salute. Psychomedia - salute
mentale e comunicazione

Pagni A., Manfredi C. (2004), Le basi della ricerca e della prescrizione
delle cure. Professione - Cultura e pratica del medico d'oggi, Anno XII
numero 1, pp 19-30

Paolemili M. (2010), Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo, Mens Sana –
Assistenza globale per la salute e il benessere mentale, pubblicato on-line
nel mese di Novembre

Pollice R. (2011), Serenamente: Ansia E Paura, Ecco Come Combatterle,
Documento Stampa AbruzzoWeb, pubblicato on-line nel mese di Marzo

Proietti G. (2013), DSM-5: perché dal 2013 saremo tutti più malati
mentali, L’Huffington Post in collaborazione con il Gruppo Espresso,
pubblicato on-line nel mese di Gennaio

Rossi G. (2010), Elementi di Psicometria E2-Riepilogo finale (vers. 1.2),
Dipartimento di Psicologia, Università di Milano-Bicocca

Rossi G. (2011), Elementi di Psicometria 11-Verifica di ipotesi fra due
medie (vers. 1.0a), Dipartimento di Psicologia, Università di MilanoBicocca

Russel M. A., Hill K.D., Day L.M. et al. (2010), Studio randomizzato
controllato sugli interventi multifattoriali di prevenzione delle cadute nella
popolazione anziana afferente ai dipartimenti di emergenza in seguito a
caduta, trad. it. di Crotti E., J AM Geriatric Soc, 58(12):2265-74,
Dicembre

Società Psicoanalitica Italiana e Lingiardi V. (2012) - Intervista
sull'impatto della ricerca empirica e delle neuroscienze sulla psicoanalisi,
Spiweb Società Psicoanalitica Italiana, pubblicato on-line nel mese di
Marzo
82

Spano E. (2004), La psicoterapia individuale dell'adolescente tra
ambulatorio e day hospital. Adolescenza e Psicoanalisi, Anno IV - N° 2,
Maggio

Stefanelli M. et al. (2011), Psicoterapeuti in-formazione, Semestrale a cura
degli studenti della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva e
dell’Associazione di Psicologia Cognitiva (N. 7), pp.1-203

Tarsitani L., Biondi M. (1999), Sviluppo E Validazione Della Scala VRS
(Valutazione Rapida dello Stress), Medicina Psicosomatica Vol.44 (n.3)
pp.163-177, Società Editrice Universo

Tempestini S. (2010), Efficacia delle psicoterapie: efficacia sperimentale
vs efficacia nella pratica. Gli Psicologi - Rivista Online di Psicologia,
pubblicato on-line nel mese di Aprile

Valeri A. (1999), L' 85 % dei pazienti che usa la medicina complementare
ottiene risultati positivi: l'effettività di questa medicina è altissima, Società
Italiana di Medicina Omeopatica, pubblicato on-line nel mese di Dicembre

Vecchiarelli A. (2013), Fobie: origine e trattamento (sez. Disturbi
Psicologici). AnsiaSociale.it, pubblicato on-line nel mese di Aprile

Vico G. (2011), Non mi diverto più! Il gioco d’azzardo patologico, Rivista
di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza (Vol. V – N. 1) Gennaio-Aprile

Zappa L. E., Caslini M., Clerici M. (2011), Le Parole senza Voce - Il
costrutto alessitimico tra disturbi del comportamento alimentare e
dipendenze, pp. 185-190, Franco Angeli Editore
83
2. Corpus inglese di riferimento

American Psychiatric Association (APA, 2013), Highlights of Changes
from DSM-IV-TR to DSM-5, pp. 1-19, American Psychiatric Publishing

American Psychological Association (APA, 2010), Understanding Anxiety
Disorders and Effective Treatment, APA Help Center, June

Barlow J. et al. (2008), Health-led Parenting Interventions in Pregnancy
and Early Years, Research Report, University of Warwick

Bogels S. M. et al. (2010), Social Anxiety Disorder: Questions And
Answers For The Dsm-V, Depression And Anxiety (27 : 168–189)

Brandon A. (2013), Partner-Assisted Interpersonal Psychotherapy (PAIPT): The Power of Two, and S. Lenze, J. Rodgers, & J. Luby, A Case
Series Report of a Novel Intervention for Perinatal Depression,
Conference Abstracts, 5th International ISIPT Conference: Mechanisms,
Modalities, and Moving Ahead, June 13-15

Brannon N. et al. (2000), Comorbid Generalized Anxiety Disorder, Phobia,
and Panic Disorder, Primary Care Companion J Clin Psychiatry 2:4, pp.
141-142, August

Bryant R. A. et al. (2010), A Review Of Acute Stress Disorder In Dsm-5,
Depression And Anxiety (0 : 1–16)

Cooper M., Warthe D. G., and Hoffart I. (2004), Companion Document 2:
Review Of Best Practices In Family And Sexual Violence Programming,
Family and Sexual Violence Sector Review. Review of Best Practices (155) March

Craske M. G.
et al. (2010), Review: DSM-IV Panic Disorder and
Proposals for DSM-V, Depression And Anxiety (0 : 1-20)

Craske M. G. et al. (2009), Treatment for Anxiety Disorders: Efficacy to
Effectiveness to Implementation, Behav Res Ther. November ; 47(11):
931–937
84

Frank M. A. (2000), The Effectiveness Of Cognitive-Behavioral Treatment
For Anxiety Disorders, Excel At Life LLC

Handley R. V., Salkovskis P. M. and Ehlers A. (2009), Treating Clinically
Significant Avoidance of Public Transport Following the London
Bombings?. Behavioural and Cognitive Psychotherapy, Volume 37 / Issue
01, pp 87-93, January

Hoyer J. et al. (2013), Depersonalization/derealization during acute social
stress in social phobia, Journal of Anxiety Disorders 27 (178– 187)

Kaslow N. J. et al. (2012), Family-Based Interventions For Child And
Adolescent Disorders, Journal of Marital and Family Therapy, Vol. 38, No.
1 (82–100) January

Leahy R. L. (2008), The Therapeutic Relationship in Cognitive Behavioral
Therapy. Behavioural and Cognitive Psychotherapy, 36 (pp 769-777)

LeBeau R. T. et al. (2010), Specific Phobia: A Review Of Dsm-Iv Specific
Phobia And Preliminary Recommendations For Dsm-V, Depression And
Anxiety (27 : 148–167)

K. Lee et al. (2010), Distress and avoidance in Generalized Anxiety
Disorder: Exploring the relationships with intolerance of uncertainty and
worry, Cogn Behav Ther. June ; 39(2): 126–136

Lehman J. A. T. (2009), A Clinician’s Guide to Rhemuatic Diseases in
Children, (chapter 20: Reflex Sympathetic Dystrophy, Reflex Neurvascular
Dystrophy, and Complex Regional Pain Syndromes) pp. 256-259, Oxford
University Press

Mula M., Pini S. et al. (2008), Validity and reliability of the Structured
Clinical Interview for Depersonalization–Derealization Spectrum (SCIDER), Neuropsychiatric Disease and Treatment: 4(5) 977–986

National Institute of Mental Health (NIMH, 2009), Anxiety Disorders,
U.S. Department Of Health And Human Services, NIH Publication No. 09
3879
85

National Institute of Mental Health (NIMH, revised 2010), ObsessiveCompulsive Disorder: When Unwanted Thoughts Take Over, U.S.
Department Of Health And Human Services, NIH Publication No. TR 104676

National Institute of Mental Health (NIMH, revised 2010), Panic
Disorder: When Fear Overwhelms, U.S. Department Of Health And
Human Services, NIH Publication No. TR 10-4679

National Institute of Mental Health (NIMH, revised 2010), Social Phobia
(Social AnxietyDisorder): Always Embarrassed, U.S. Department Of
Health And Human Services, NIH Publication No. TR 10-4678

Otte C. (2011), Cognitive behavioral therapy in anxiety disorders: current
state of the evidence, Dialogues in Clinical Neuroscience - Vol 13 . No. 4
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