Corso di Storia della Fisica A.A. 2005-2006 Lezione 2 - Note sulla fisica del Seicento. Galilei, Cartesio e Newton. Copyright, 2005-2006 © Giulio Peruzzi I resoconti del passato sullo sviluppo dell’attività scientifica di Galileo hanno avuto la tendenza a trasformarsi in analisi della società del tardo Rinascimento nei suoi rapporti con l’antichità, il Medioevo e gli esordi dell’età moderna. All’interno di quello stampo è stata versata la massa fusa dei discorsi di Galileo e si è creduto che la fusione derivatane fosse una statua di Galileo che guarda il passato e indica il futuro. Credo che l’idea di figure simboliche che rappresentano intere società provenga dalla storia convenzionale con le sue schiere di dominatori e generali. […] Oggi gli storici della scienza, ansiosi di sfuggire alla dolorosa riforma cui la storia convenzionale è stata sottoposta un secolo fa, tentano di eliminare le personalità scientifiche guida indicando in esse delle mere espressioni degli obiettivi di vasti gruppi di persone oggi dimenticati o difficilmente associabili alla scienza. Galileo è stato una delle principali vittime di questo processo. Mentre i primi storici supponevano che egli avesse smesso di leggere e riordinare discorsi per rivolgersi direttamente alla natura e misurare i fenomeni del moto, oggi si è soliti supporre che egli abbia letto attentamente i manoscritti medievali o si sia impegnato nell’attività erudita del comporre glosse a Platone. Tra i suoi materiali di lavoro, conservatisi in grande quantità, potremmo ragionevolmente attenderci di trovare almeno qualche breve annotazione a sostegno di quelle opinioni. Non ne ho trovata alcuna. Ho trovato invece alcune pagine in cui sono registrate misurazioni sperimentali e, se la mia ricostruzione delle attività registrate è esatta, misurazioni assai ingegnose e notevolmente precise. Nel complesso, mi sembra quindi evidente che i primi storici erano più vicini alla verità su Galileo; egli non era un filosofo […] bensì uno scienziato in senso ottocentesco. [Stillman Drake, Galileo. Una biografia scientifica, Il Mulino, Bologna 1988, pp. 6-7. Cit. anche Eugenio Garin, Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano, Laterza, Bari 1965 (1993), pp. 121 e ss.] Opere Galileiane • (1605) Dialogo di Cecco Ronchitti da Bruzene in Perpuosito de la Stella Nova (con Girolamo Spinelli) [Caffè Pedrocchi, venerdì 26 maggio 2006, ore 18.30] • (1610) Sidereus Nuncius • (1623) Il Saggiatore • (1632) Dialogo sopra i due massi sistemi del mondo • (1638) Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (la resistenza dei materiali - con le leggi di scale - e il moto) Sulla teoria della conoscenza Per tanto io vi dico che ben sento tirarmi dalla necessità, subito che concepisco una materia o sostanza corporea, a concepire insieme ch’ella è terminata e figurata di questa o di quella figura, ch’ella in relazione ad altre è grande o piccola, ch’ella è in questo o quel luogo, in questo o quel tempo, ch’ella si muove o sta ferma, ch’ella tocca o non tocca un altro corpo, ch’ella è una, poche o molte, né per veruna imaginazione posso separarla da queste condizioni; ma ch’ella debba esser bianca o rossa, amara o dolce, sonora o muta, di grato o ingrato odore, non sento farmi forza alla mente di doverla apprendere da cotali condizioni necessariamente accompagnata: anzi se i sensi non ci fussero scorta, forse il discorso o l’immaginazione per sé stessa non v’arriverebbe già mai. Per lo che vo io pensando che questi sapori, odori, colori etc., per la parte del suggetto nel qual ci par che riseggano, non sieno altro che puri nomi, ma tengano solamente lor residenza nel corpo sensitivo, sì che rimosso l’animale, siano levate e annichilate tutte queste qualità [...] Ma che ne’ corpi esterni, per eccitare in noi i sapori, gli odori e i suoni, si richiegga altro che grandezze, figure, moltitudini e movimenti tardi o veloci, io non lo credo; e stimo che, tolti via le orecchie le lingue e i nasi, restino bene le figure i numeri e i moti, ma non già gli odori né i sapori né i suoni, li quali fuor dall’animale vivente non credo che sieno altro che nomi, come a punto altro che nome non è il solletico e la titillazione, rimosse l’ascelle e la pelle intorno al naso. [Il Saggiatore, XVII e ss., cf XVIII per la cit. di Locke dal Saggio sull’intelletto umano] La filosofia meccanica Come tutti gli ismi anche il termine meccanicismo ha finito per assumere un significato molto vago. ! Bisogna riferirlo al significato di ordigno o macchina presente nel termine originale greco? ! A una visione del mondo che vede l’universo come una grande macchina e eventualmente gli esseri umani come macchine? ! Oppure ci si riferisce al fatto che gli eventi naturali che costituiscono il mondo devono essere interpretati da quel ramo della scienza chiamato meccanica, cioè la scienza dei movimenti? Certo è che nel corso del Seicento, grazie in particolare ai contributi di Galilei, Cartesio, Boyle, Huygens, Hobbes e Locke si chiariranno i fondamenti della visione meccanica del mondo: 1. la natura non è la manifestazione di un principio vivente, ma è un sistema costituito da materia in movimento retto da leggi; 2. tali leggi sono esprimibili in linguaggio matematico; 3. un numero ridotto di tali leggi è sufficiente a spiegare l’universo. [citazioni da Rossi, antologia, cap. 8 “la filosofia meccanica”, pp. 237-276] Nel Seicento si assiste al trionfo della fisica del moto, al progresso delle scienze matematiche e alla spiegazione newtoniana del sistema dei pianeti e delle comete. Accanto a questi innegabili successi si colloca una discussione, che a noi potrebbe oggi apparire ingenua, sulle virtù dell’ambra, sui paradossi dell’ottica, sulle questioni irrisolte della termologia, sui misteri del magnetismo, e su tutta una serie di contraddizioni che animarono la ricerca scientifica nel suo faticoso tentativo di passare all’osservazione di nuovi regni della natura e alla misurazione di grandezze difficili da definire. Quando Lorenzo Magalotti (1637-1712) scrive i suoi Saggi di naturali esperienze erano già presenti i segni di una separazione tra la meccanica, la matematica e l’astronomia da un lato, e il resto dei fenomeni naturali dall’altro, radicata non tanto sulla debolezza di alcuni settori disciplinari ma sulla difficoltà che si incontrava quando si cominciava ad esplorare il “largo pelago” che si apriva di fronte allo scienziato che con occhi “moderni” tentava di indagare i fenomeni relativi all’elettricità dove in realtà ci si confrontava con un oggetto che conteneva in sé tutti i regni della natura. La distinzione tra qualità oggettive e soggettive (presente in Galileo, Cartesio, Hobbes, Mersenne, Gassendi, Pascal) porta con sé la considerazione che i fatti rilevanti per la scienza sono solo quegli elementi del mondo reale raggiungibili attraverso un procedimento di distillazione di carattere teorico. Come afferma Mersenne, fra l’universo dei fisici e quello dell’esperienza quotidiana si è aperto - a opera dell’astrazione caratteristica della nuova fisica - un abisso molto più profondo di quello immaginato dai seguaci dello scetticismo: la realtà di cui parla la scienza è diversa dall’esperienza immediata e da quella del senso comune. Si può anzi dire che il mondo immediato e concreto dell’esperienza quotidiana non è quello reale fatto di materia, spazio e movimenti regolati da leggi determinabili. Il mondo deve essere sottoposto ad analisi (secare naturam), ricondotto a un modello meccanico il più possibile semplice, interpretato matematicamente. Ed è proprio questo che avviene nel corso del Seicento in tutti i settori della filosofia naturale, complice il progresso della matematica (che in larga parte è condizionato dal metodo di analisi della nuova scienza). La dottrina delle qualità primarie e secondarie serve anche a interpretare le qualità secondarie. “Tutte le qualità chiamate sensibili - scrive Hobbes - sono, nell’oggetto che le determina, i vari moti della materia, mediante i quali essa influenza diversamente i nostri organi”. Quindi anche le qualità secondarie sono meccanizzate con riferimento all’oggetto che le determina: ciò che indichiamo con il nome “caldo” è un particolare stato geometrico-meccanico del corpo (legato alla figura, al numero e alla velocità delle particelle). Quello che noi registriamo con i nostri sensi è una “immagine causata dal moto esercitato dalle cose esterne sopra i nostri occhi, orecchi e altri organi analoghi”. E, come dirà Leibniz, il compito della fisica non è tanto quello di dimostrare l’illusorietà della nostra immagine immediata del mondo, ma quello di “ricondurre le qualità confuse dei sensi alle qualità distinte che le accompagnano: numero, grandezza, figura, movimento, solidità”. Fisiologia e psicologia tendono a diventare scienze naturali alle quali applicare gli stessi metodi e le stesse teorie della fisica. Brevi note su Descartes Già nel 1619 Descartes concepiva il progetto di una “scienza affatto nuova”, scriveva infatti a un amico: “vorrei pubblicare una scienza affatto nuova, tale da poter risolvere in generale tutti i problemi che ci possono venir proposti in rapporto a qualsiasi genere di quantità, sia continua sia discontinua”. Il progetto si realizzerà solo molto tempo dopo. I lunghi viaggi (prima in Danimarca e Germania, poi in Austria e Boemia in armi con il duca di Baviera, e poi, lasciate le armi, in Italia, per approdare infine, dal 1628, in Olanda) e una fitta corrispondenza con alcuni dei maggiori scienziati dell’epoca ci rendono l’immagine di un uomo che ha conosciuto gli ambienti colti e mondani dell’Europa dell’epoca. Finalmente nel 1637 esce il Discours de la méthode pour bien conduire sa raison et chercher la vérité dans les sciences la celebre prefazione ai tre scritti Dioptrique, Météores, Géometrie, “che sono saggi di questo metodo”. Tutti i problemi di Geometria - scrive Cartesio all’inizio de La Geometria - possono facilmente esser riportati a termini tali che poi, per costruirli, non c’è da conoscere che la lunghezza di alcune linee rette. ! Cartesio inizia illustrando come rapportare il calcolo aritmetico alle operazioni geometriche, introducendo esplicitamente un’unità di misura dei segmenti e facendo vedere quali sono le semplici costruzioni sui segmenti che corrispondono alle operazioni aritmetiche usuali. ! A questo proposito devo notare che con a2 o b2 o espressioni simili intendo in genere soltanto linee assolutamente semplici, anche se le chiamo, per servirmi dei termini dell’algebra, quadrati, cubi, ecc.: un passo cruciale nella costruzione cartesiana, davanti al quale si erano arrestati esitanti sia gli algebristi del Cinquecento sia Viète, che imponeva di confrontare grandezze della stessa dimensione (una posizione che portava a situazioni imbarazzanti non appena ci si doveva confrontare con esponenti maggiori o uguali a 4). ! L’introduzione di rette cui riferire le posizioni delle altre avviene per stadi: inizialmente sono oblique ma in seguito diventeranno perpendicolari. LA FISICA DI CARTESIO Il “corpuscolarismo” che trasformò la scienza del XVII secolo violava i postulati dell’antico atomismo, ma nondimeno era atomistico. Certo alcuni (tra cui Cartesio) ritenevano che gli atomi fossero indefinitamente divisibili, ma alla fine ammettevano che in realtà si dividevano raramente o non si dividevano mai. Si metteva in dubbio, anche, l’esistenza del vuoto, ma alla fine il fluido etereo con il quale si riempiva lo spazio risultava a tutti gli effetti neutro e inattivo come il vuoto (salvo poi reintrodurne alcuni caratteri per la spiegazione di specifici fenomeni). Comunque tutti concordavano, come si è già detto, sul fatto che le azioni reciproche e le combinazioni di diverse particelle erano governate da leggi imposte ab initio, al momento della creazione, leggi che la nuova scienza doveva scoprire e applicare a un dominio crescente di fenomeni indagabili. Cartesio fu tra i primi ad applicare in modo sistematico il programma meccanico all’universo copernicano. Egli si attendeva di dedurre dalle risposte a poche domande fondamentali l’intera struttura dell’universo copernicano: • Come si muove nel vuoto un singolo corpuscolo? • Come si modifica questo moto libero per urti di altri corpuscoli? Le deduzioni che trasse dalle risposte a queste domande furono tutte intuitive, in larga parte qualitative e anche sbagliate. La cosmologia da lui disegnata si rivelò, però, estremamente plausibile. Essa si presentò come un sistema coerente e armonico del mondo che dominò gran parte della scienza per quasi un secolo, dopo che i suoi particolari vennero per la prima volta pubblicati nel 1644 nei Principia Philosophiae. La risposta alla prima domanda fu da Cartesio elaborata nella forma del moderno principio di inerzia: un corpuscolo non soggetto a forze (urti) o resta in quiete o persevera in uno stato di moto rettilineo e uniforme. Se la costanza della velocità era carattere acquisito, così non si può dire della traiettoria in linea retta. [cit Rossi, pp. 307 e ss.] Per quanto riguarda la risposta alla seconda domanda, Cartesio si rende conto che tutte le particelle o i loro aggregati cambiano continuamente velocità e direzione: questi cambiamenti non possono che essere causate da trazioni e spinte esterne generate da altri corpi. Ecco quindi che il secondo elemento della fisica cartesiana è quello degli urti corpuscolari. Le leggi da lui ricavate sono essenzialmente errate (6 su 7), ma la sua concezione del processo d’urto e le conseguenze di questo processo risultano particolarmente significative: si introduce una relazione concettuale tra forza e variazione della quantità di moto da essa prodotta. Nel procedere dalle sue leggi del moto e dell’urto alla strutturazione dell’universo copernicano, Cartesio introdusse un concetto che in seguito avrebbe offuscato il fondamento corpuscolare della sua cosmologia: l’immagine dell’universo come un plenum. [cf. Kuhn, La rivoluzione copernicana, Einaudi 2000, pp. 303 e ss, in particolare 307] In realtà la materia che riempiva lo spazio vuoto aveva in ogni punto una struttura parcellizzata, e nel determinare i comportamenti di questo spazio pieno parcellizzato Cartesio fa continuamente ricorso all’idea del vuoto. Per poter trattare i moti di molte (infinite) particelle sempre più minute (i costituenti parcellizzati del plenum) egli introdusse i moti vorticosi: ogni particella in moto spinge (urta) la contigua, finché in ultimo per evitare il formarsi di uno spazio vuoto, la spinta viene restituita alla prima particella attraverso un percorso approssimativamente circolare. Il processo quindi dopo aver riempito il vuoto potenziale ricomincia nuovamente. Solo questi moti sono possibili se si assume la continuità (qualunque fosse stata la spinta iniziale creatrice). Da Il mondo o trattato sulla luce,la cui stesura era stata terminata presumibilmente nel 1633 ma la cui pubblicazione avvenne solo nel 1662, a causa della condanna di Galileo. Nuovi caratteri dell’universo cartesiano e pluralità di mondi I due fondamentali ingredienti della fisica cartesiana (rigidamente meccanicistica) sono il movimento e la materia, quest’ultima ridotta e identificata con l’estensione. Esiste quindi identità tra materia e spazio, e i corpi materiali non sono altro che forme dello spazio che possono essere trasportate nei loro moti da un luogo a un altro senza perdere la loro identità. Ecco allora che se spazio e movimento sono gli elementi costitutivi del mondo cartesiano, il suo universo si configura come geometria realizzata. L’identità tra materia e spazio porta con sé una serie di conseguenze, che saranno oggetto di dibattiti nel corso del Seicento: 1. il mondo ha un’estensione indefinita (o infinita); 2. conservazione e infinita divisibilità della materia che lo costituisce; 3. impossibilità e contraddittorietà del vuoto. La disputa sull’universo infinito si connette con quella sulla pluralità e abitabilità dei mondi, non estranea al superamento della visione terrestre e antropocentrica dell’universo sostenuta in parte ancora da Keplero contro ambienti che si rifanno a Bruno e Cusano (questi ultimi si richiamavano alla tradizione epicurea e lucreziana e le loro posizioni si collegheranno, in epoca successiva, al movimento libertino). E così nella sua Apologia pro Galileo, del 1622, Tommaso Campanella si richiama alla pluralità dei mondi. E fra il 1638 e il 1666 vengono stampati testi fondamentali nei quali al tema, che oggi definiremmo “fantascientifico”, dei viaggi sulla Luna o su altri corpi celesti si univano considerazioni astronomiche, filosofiche e morali. The man in the moone di Godwin, la Selenografia di Hevelius, la Description of a new world di Margaret Cavendish, Les Etats et les Empires de la Lune di Cyrano de Bergerac sono tutti esempi di questo filone letterario. (cit. Rossi antologia, p. 227) Keplero (inizialmente incompreso) aveva operato un importante capovolgimento dell’impostazione di Copernico e Galilei: applicare ai moti celesti i moti terrestri violenti e regolati da forze. Su questa linea due altri personaggi spiccano nel passaggio da Galilei a Newton: Giovanni Alfonso Borelli (16081679) e Robert Hooke (16351703). (Kuhn, p. 313, cit. Hooke a p. 324) Isaac Newton (1642 - 1727) Note biografiche • 1642 Nasce a Woolsthorpe nel Lincolnshire. • 1661 Viene ammesso al Trinity College di Cambridge. • 1665 Lascia Cambridge per la peste. • 1665-1666 Studi di ottica, matematica e gravitazione. • 1669 Descrive il telescopio a riflessione, scrive il De Analysi sulla teoria delle flussioni; eletto professore Lucasiano. • 1672 Eletto fellow della Royal Society dove presenta la sua teoria sulla luce e i colori. • 1676 Invia a Leibniz due lettere sul Calcolo • 1679-1680 Corrispondenza con Hooke sul moto dei pianeti. • 1684 Riceve la visita di Halley; inizia a lavorare ai Principia. • 1687 Pubblicazione dei Principia. • 1689 Eletto al Parlamento. • 1696 Eletto Ispettore della Zecca di Londra, città dove va a vivere. • 1699 Inizia la disputa con Leibniz. • 1704 Pubblicazione dell’Opticks e in appendice il De Quadratura, prima pubblicazione completa del calcolo delle flussioni. • 1705 viene nominato Sir dalla regina Anna. • 1707 Pubblicazione dell’Arithmetica universalis. • 1711 Pubblicazioni di vari scritti giovanili sul calcolo e altre opere matematiche. • 1713 Pubblicazione del Commercium epistolicum. Leibniz viene accusato di plagio dalla Royal Society. • 1727 Newton muore il 20 marzo. Nel 1665 la peste lo costringe a lasciare Cambridge: iniziano così due anni di solitario e intenso lavoro. Il metodo delle fluenti (curve generate dal moto di un punto) e flussioni (velocità istantanee del punto che genera la fluente) a partire dalla Geometria di Cartesio e dall’Arithmetica Infinitorum di John Wallis – Generalizzazione dei metodi di Wallis sulle serie infinite e formulazione della serie binomiale: (1+x)! = 1 + !x + (!(!-1)/2!) x2 + (!(!-1)(!-2)/3!)x3 +…+ !!/[(!-r)! r!] xr +… – Applicazione della serie binomiale al calcolo dell’area sottesa alle curve. Per esempio: l’area sottesa all’iperbole y = (1 + x)-1 in [0,x] è ln(1 + x), applicando la serie binomiale a (1 + x)-1 e la proprietà additiva delle aree ottiene l’espressione dell’area sotto forma di serie infinita. Problema. Data la curva determinare la tangente e data la curva determinare l’area. Soluzione. Teorema fondamentale del calcolo: la tangente (flussione) è l’“operazione” inversa dell’integrale (area). Elementi essenziali del metodo sono: > le serie infinite e il teorema del binomio; > l’uso di quantità infinitamente piccole (momenti); > la concezione cinematica delle grandezze (fluenti e flussioni); > la riduzione di problemi geometrici e cinematici ritenuti diversi tra loro, a due classi (tangenti e aree), tutto regolato dal teorema fondamentale del calcolo. È il 1665 ma Newton non pubblicherà quasi nulla fino al 1704. Ipotesi sulla gravità: (A) la terza legge di Keplero: T2 " r3 (B) L’ipotesi sulla forza centripeta: F " v2/r (ottenuta indipendentemente anche da Huygens nel 1673, per la forza centrifuga, e pubblicata nel suo Horologium oscillatorium) (C) Dato che v "2 # r / T (da A, B e C segue) F " 1/ r2 in un orbita circolare Infatti, sostituendo al posto di v2 nella (B) l’espressione di v della (C) (a meno di costanti di proporzionalità come 2 #) si ottiene: F " r2 /(T2 r) . Sostituendo in quest’ultima relazione l’espressione di T2 data dalla (A) si ottiene: F " r2 /(r3 r) = 1/ r2. Forze e moti circolari e ellittici In figura sono schematicamente riassunte le diverse proposte di interpretazione delle “cause” dei moti circolari e ellittici che si susseguono sino alla soluzione proposta da Newton nei Principia. La soluzione proposta da Newton nella forma della legge di gravitazione universale permette non solo di render conto delle leggi di Keplero, ma anche di concludere che esse sono solo approssimate. [T2/r3 " (1/GM)(1/1+m/M)] Le mutue interazioni delle masse nel sistema solare (anche sulla base del cosiddetto terzo principio della dinamica newtoniana) permettono di affrontare problemi come: le precessioni dei perieli, e quella dell’apogeo della luna; i moti delle comete; le maree. La legge di gravitazione universale La legge di gravitazione universale di Newton può essere espressa dicendo che tutti gli oggetti si attraggono reciprocamente con una forza che è direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale alla seconda potenza della loro distanza. (1) In questo modo Newton riusciva a trattare mediante un’unica legge la stragrande maggioranza dei fenomeni osservabili, unificando in una sola teoria la fisica celeste e quella terrestre. (2) Dando un significato fisico alla nozione di gravità (quello che ancora nel Dialogo di Galilei era solo un “nome”), Newton riusciva, tra l’altro, a cogliere l’importanza dell’osservazione di Galileo che il moto di un corpo in caduta libera è indipendente dalla sua composizione o struttura, e a rivelare il significato fisico fondamentale delle leggi di Keplero sui moti dei pianeti. I due fondamentali risultati evidenziano due aspetti che giocano un diverso ruolo nella legge di gravitazione universale e nei suoi successivi sviluppi: quello che oggi viene chiamato il “principio di equivalenza di Galilei” (o “principio di equivalenza debole”) e l’andamento della forza come il reciproco della seconda potenza della distanza. Principio di equivalenza di Galilei Veduto come la differenza di velocità, ne i mobili di gravità diverse, si trova essere sommamente maggiore ne i mezzi più e più resistenti [...] dove che tra palle d’oro, di piombo, di rame, di porfido, o di altre materie gravi, quasi del tutto insensibile sarà la disegualità del moto per aria, ché sicuramente una palla d’oro nel fine della scesa di cento braccia non preverrà una di rame di quattro dita; veduto, dico, questo, cascai in opinione che se si levasse totalmente la resistenza del mezzo, tutte le materie descenderebbero con eguali velocità. Galileo Galilei, Discorsi intorno a due nuove scienze, in Opere, a cura di F. Brunetti, Utet, Torino 19963, Vol. II, p. 644. Galileo era stato condotto a questa conclusione facendo osservazioni sul moto di palle lungo piani inclinati e sul moto dei pendoli. Le sue osservazioni erano state ulteriormente sviluppate, tra gli altri, da Christiaan Huygens (1629-1695). (mi = mg a meno di 1/1000) Newton, facendo leva sull’affermazione galileiana, utilizza la sua seconda legge del moto (il cosiddetto secondo principio della dinamica, F = m a), e ritiene che la forza esercitata dalla gravitazione sia proporzionale alla massa inerziale del corpo sul quale agisce; facendo poi ricorso al terzo principio (il cosiddetto principio di azione e reazione), conclude che la forza è proporzionale anche alla massa gravitazionale del corpo che la esercita. Non era affatto ovvio però, e Newton ne era consapevole, che la massa inerziale che compare nella seconda legge fosse uguale alla massa gravitazionale che compare nella legge di gravitazione universale, anche se solo la loro uguaglianza equivale all’affermazione galileiana che tutti i corpi cadono con la stessa accelerazione in un campo gravitazionale indipendentemente dalle loro masse e dalla loro struttura interna. È però certa l’importanza assegnata da Newton al principio di equivalenza, come emerge chiaramente dal fatto che a esso e alla sua discussione vengono dedicati i paragrafi di apertura dei Principia. E sempre nei Principia Newton riporta i risultati delle sue verifiche sperimentali sull’uguaglianza di massa inerziale e gravitazionale ottenuti da misure sul periodo di oscillazione di pendoli di uguale lunghezza ma con masse diverse. Esperimenti con i pendoli Dalla seconda legge si ha F = mi a, mentre dalla legge di gravitazione si ha F= mg g. Nel caso di mi $ mg si ha: a = (mg / mi)g, e corpi diversi dovrebbero avere valori diversi del rapporto mg / mi. Siccome pendoli di uguale lunghezza e masse diverse hanno periodi di oscillazione proporzionali a (mi / mg )1/2, dalla misura dei periodi si può risalire a un’eventuale disuguaglianza tra massa inerziale e massa gravitazionale. Spazio assoluto e tempo assoluto Newton non accettava l’irriducibilità dell’universo relativistico e, ponendosi il problema di determinare quali sistemi di riferimento fossero sistemi di riferimento inerziali, aveva introdotto le nozioni di spazio assoluto, tempo assoluto e moto assoluto. In quest’ottica i sistemi inerziali erano quelli in quiete o in moto rettilineo uniforme rispetto a questo contenitore spazio-temporale assoluto. La distinzione tra sistemi di riferimento relativi e sistema di riferimento assoluti si può ricavare dai Principia, in particolare dallo Scolio [glossa, annotazione] che segue le definizioni introduttive, e che comincia con la seguente osservazione: Fin qui è stato indicato in quale senso siano da intendere, nel seguito, parole non comunemente note. Non definisco, invece, tempo, spazio, luogo e moto, in quanto notissimi a tutti. Va osservato, tuttavia, come comunemente non si concepiscano queste quantità che in relazione a cose sensibili. Di qui nascono i vari pregiudizi, per eliminare i quali conviene distinguere le medesime quantità in assolute e relative, vere e apparenti, matematiche e volgari. [I. Newton, Principia, pp. 104-105.] Per quanto riguarda il tempo Newton afferma: Il TEMPO ASSOLUTO, vero, matematico, in sé e per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno, scorre uniformemente, e con altro nome è chiamato durata; QUELLO RELATIVO, apparente e volgare, è una misura (esatta o inesatta) sensibile ed esterna della durata per mezzo del moto, che comunemente viene impiegata al posto del vero tempo: tali sono l’ora, il giorno, l’anno. E subito dopo Newton esamina la fondamentale distinzione tra spazio assoluto e spazio relativo: Lo SPAZIO ASSOLUTO, per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno, rimane sempre uguale e immobile; lo SPAZIO RELATIVO è una misura o dimensione mobile dello spazio assoluto, che i nostri sensi definiscono in relazione alla sua posizione rispetto ai corpi, ed è comunemente preso al posto dello spazio immobile; così la dimensione di uno spazio sotterraneo o aereo o celeste viene determinata dalla sua posizione rispetto alla Terra. Lo spazio assoluto e lo spazio relativo sono identici per grandezza e specie, ma non sempre permangono identici quanto al numero. Infatti se la Terra, per esempio, si muove, lo spazio che contiene la nostra aria, e che, relativamente alla Terra, rimane sempre identico, ora sarà una data parte dello spazio assoluto attraverso cui l’aria passa, ora un’altra parte di esso; e così, senza dubbio, muterà incessantemente. Lo Scolio si conclude con la distinzione tra moto assoluto e moto relativo, dove propone la celebre esperienza del secchio rotante: Gli effetti che distinguono il moto relativo da quello assoluto sono le forze di allontanamento dall’asse del moto circolare. Perché non ci sono tali forze in un moto puramente relativo, ma in un moto circolare vero e assoluto, esse sono più o meno grandi, a seconda della quantità del moto. Se un secchio, sospeso ad una lunga corda, viene ruotato ripetutamente in modo che la corda alla fine è fortemente attorcigliata, viene poi riempito d’acqua, e tenuto fermo insieme con l’acqua; e successivamente, sotto l’azione subitanea di un’altra forza, viene messo in rotazione nel senso opposto, e mentre la corda si svolge, il secchio continua per un certo tempo in questo moto; la superficie dell’acqua sarà inizialmente piana, come subito prima che il secchio cominciasse a muoversi: ma il secchio, comunicando gradualmente il suo moto all’acqua, farà sì che essa cominci a ruotare in modo sensibile, e a ritirarsi a poco poco dal centro e salire verso i lati del secchio, assumendo la forma di una figura concava (come io stesso ho sperimentato) e, più il moto diventa veloce, più alta sarà la risalita dell’acqua, fino a quando alla fine, compiendo le sue rivoluzioni insieme al secchio nei medesimi tempi, essa rimane in quiete relativamente ad esso. Questa salita dell’acqua mostra il suo sforzo di recessione dall’asse del suo moto; e il vero e assoluto moto circolare dell’acqua, che è qui direttamente contrario a quello relativo, svela sé stesso, e può essere misurato da questo sforzo. All’inizio, quando il moto relativo dell’acqua nel secchio era massimo, esso non produceva nessuno sforzo di recessione dall’asse; l’acqua non mostrava nessuna tendenza verso la circonferenza, né alcuna ascesa lungo i lati del secchio, ma rimaneva con una superficie piana, e perciò il suo vero moto circolare non era ancora iniziato. Ma in seguito, quando il moto relativo dell’acqua era decresciuto, l’ascesa di questa lungo le pareti del secchio provava il suo sforzo di recedere dall’asse; e questo sforzo mostrava il reale moto circolare dell’acqua che continuamente aumentava, fino a che esso aveva acquistato il suo valore massimo, quando l’acqua rimaneva in quiete relativamente al secchio. E perciò questo sforzo non dipende da alcuna traslazione dell’acqua rispetto ai corpi circostanti, né il vero moto circolare può essere definito da una tale traslazione. Esiste un solo moto circolare reale per ogni corpo rotante [...] mentre i moti relativi, in ogni singolo corpo, sono innumerevoli, a seconda delle varie relazioni che intrattengono con i corpi esterni [...] E perciò nel sistema di coloro che suppongono che i nostri cieli, ruotando sotto la sfera delle stelle fisse, si portano dietro i pianeti; le varie parti di quei cieli e i pianeti, che sono di fatto relativamente in quiete nei loro cieli, si muovono realmente. [I. Newton, Principia, Op. cit., pp. 112-113] Mach - Die Mechanik in ihrer Entwicklung historisch-kritisch dargestellt del 1883 (trad. it. La meccanica nel suo sviluppo storico-critico, Boringhieri, Torino 1977). Consideriamo ora i fatti sui quali Newton ha creduto di fondare solidamente la distinzione tra moto assoluto e moto relativo. Se la Terra si muove con moto rotatorio assoluto attorno al suo asse, forze centrifughe si manifestano su di essa, il globo terrestre si appiattisce, il piano del pendolo di Foucault ruota, ecc. Tutti questi fenomeni scompaiono se la Terra è in quiete, e se i corpi celesti si muovono intorno ad essa di moto assoluto, in modo che si verifichi ugualmente una rotazione relativa. Rispondo che le cose stanno così solo se si accetta fin dall’inizio l’idea di uno spazio assoluto. Se invece si resta sul terreno dei fatti, non si conosce altro che spazi e moti relativi. L’esperimento newtoniano del secchio d’acqua rotante semplicemente ci dà informazioni sul fatto che la rotazione relativa dell’acqua rispetto alle pareti del secchio non produce forze centrifughe percepibili, ma che tali forze sono prodotte dal suo moto relativo alla massa della Terra e agli altri corpi celesti. Non ci insegna nulla di più. Nessuno può dire quale sarebbe l’esito dell’esperimento se le pareti del secchio diventassero sempre più massicce, fino a uno spessore di qualche miglio. Per Newton le nozioni di spazio, tempo e moto assoluti traevano origine sia da ragioni fisiche (giustificare il principio di inerzia e l’esistenza privilegiata di osservatori inerziali), sia da ragioni metafisiche (giustificare la presenza e l’azione di Dio nello spazio e nel tempo). Questa mescolanza di ragioni fisiche e metafisiche era presente, in forme e modi diversi, anche nel pensiero dei suoi principali ispiratori: Francesco Patrizi (1529-1597), Pierre Gassendi (1592-1655) e Henry More (1614-1687). E l’opposizione alla visione newtoniana, emblematicamente rappresentata da Gottfried Leibniz (1646-1716, sostenitore di una concezione che interpretava spazio e tempo solo in relazione agli oggetti fisici), si incentrava su entrambi gli elementi, quello fisico e quello metafisico. La questione venne discussa in particolare, tra il 1715 e il 1716, in un famoso scambio di lettere tra Leibniz e il teologo e filosofo Samuel Clarke (16751729), sostenitore di Newton, e continuò a essere dibattuta da filosofi e scienziati nel Settecento. A favore della concezione di Newton si schierarono personaggi come Leonhard Euler e Immanuel Kant (1724-1804), mentre sul fronte opposto si attestarono, oltre a Leibniz, George Berkeley (1685-1753) e Huygens. [citazione dalla terza lettera di Leibniz a Clarke] NEWTON LEIBNIZ - Gruppo elementare di simmetria (Weyl), gruppo di Lie. -Gruppo cinematico, non è un gruppo di Lie. - Fibrati per definire lo stato di quiete assoluta. - Stessa struttura metrica e causale del gruppo elementare ma senza quiete assoluta. Qual è lo spazio tempo della meccanica newtoniana? -Nonostante vari autori (come Eulero) percepiscano la necessità di chiarire la struttura dello spaziotempo classico, solo nel 1885 (Lange) si comprende la necessità di aggiungere alla struttura causale e metrica l’assunzione che lo spaziotempo è un 4spazio (affine), le cui linee rette di tipo tempo (cioè non contenute in un iperpiano a t=cost.) rappresentano i moti liberi (legge d’inerzia). -Gruppo di Galilei Le questioni dell’Opticks e le lettere a Bentley Questione 1. I corpi non agiscono a distanza sulla luce, e per effetto della loro azione non incurvano i raggi di essa; e questa azione non è (a parità di altre cose) massimamente forte alla minima distanza? Questione 5. I corpi e la luce non agiscono mutuamente uno sull’altro; cioè a dire, i corpi sulla luce durante l’emissione, la riflessione, la rifrazione e l’inflessione di essa, e la luce sui corpi al fine di riscaldarli e di mettere le parti di essi in un moto vibratorio in cui consiste il calore? Questione 6. I corpi neri non sono riscaldati dalla luce più facilmente di quelli di altri colori, per il fatto che cadendo la luce su essi non viene riflessa all’esterno, ma al contrario penetra nei corpi ed è sovente riflessa e rifratta al loro interno, finché viene soffocata e perduta? Questione 13. I diversi tipi di raggi non producono vibrazioni di diverse grandezze, le quali a seconda della loro grandezza eccitano sensazioni di diversi colori, in maniera pressoché analoga a quella delle vibrazioni dell’aria, le quali a seconda delle loro diverse grandezze eccitano le sensazioni dei diversi suoni? […] (cf. anche la 27, 28, 29) Questione 18. Se in due vasi di vetro rovesciati vengono sospesi due piccoli termometri in modo tale da non toccare le pareti, e l’aria viene tolta da uno di questi vasi si nota che trasportandoli da un locale freddo a uno caldo il termometro nel vuoto diventa altrettanto caldo e quasi altrettanto in fretta di quello che non è nel vuoto. Lo stesso avviene se si trasportano i termometri in un luogo freddo: il termometro nel vuoto diventa altrettanto freddo e quasi altrettanto in fretta di quello che non è nel vuoto. Il calore della stanza calda non è trasportato nel vuoto dalle vibrazioni di un qualche mezzo più sottile dell’aria, il quale, dopo che l’aria è stata pompata fuori, rimane nel vuoto? E questo mezzo non è identico a quel mezzo mediante il quale la luce è rifratta e riflessa e per effetto delle cui vibrazioni la luce comunica il calore ai corpi […]? E non contribuiscono le vibrazioni di questo mezzo nei corpi caldi all’intensità e alla durata del loro calore? E i corpi caldi non comunicano il loro calore a quelli freddi contigui mediante la propagazione delle vibrazioni da questo mezzo in quelli freddi? E questo mezzo non è estremamente più rarefatto e sottile dell’aria, ed estremamente più elastico ed attivo? E non penetra facilmente in tutti i corpi? E non è sparso (a causa della sua forza elastica) in tutti i cieli? Questione 31. (sull’azione a distanza) Le parti più piccole dei corpi non hanno certe potenze, virtù o forze per effetto delle quali agiscono a distanza, non solo sui raggi di luce per rifletterli, rifrangerli e fletterli, ma anche le une sulle altre, al fine di produrre una gran parte dei fenomeni della natura? È infatti ben noto che i corpi agiscono l’uno sull’altro per effetto delle attrazioni di gravità, del magnetismo e dell’elettricità; e questi esempi mostrano l’ordine e il corso della natura, e rendono non improbabile che ci possano essere altri poteri attrattivi oltre questi. La natura infatti è molto armonica e conforme a sé stessa. Io qui non esamino come queste attrazioni possano essere prodotte. Ciò che chiamo attrazione può essere prodotto da un impulso o da qualche altro mezzo a me sconosciuto. Uso qui quella parola solo per significare in generale una qualche forza per effetto della quale i corpi tendono l’uno verso l’altro, qualunque ne sia la causa. Infatti, prima di indagare sulla causa efficiente dell’attrazione, dobbiamo apprendere dai fenomeni della natura quali corpi si attraggono a vicenda, e quali sono le leggi e le proprietà dell’attrazione. Le attrazioni di gravità, del magnetismo e dell’elettricità si estendono a distanze molto grandi e pertanto sono state osservate mediante i comuni occhi, ma ce ne possono essere altre che si estendono a distanze talmente piccole da essere sfuggite, fino a ora, all’osservazione; e forse l’attrazione elettrica può estendersi a tali piccole distanze, anche senza essere eccitata per frizione. [Cf. il seguito a p. 591, 595, 596] [Questione 31. segue] […] E come nell’algebra le quantità negative cominciano quando le quantità positive svaniscono e si annullano, così in meccanica deve subentrare la forza di repulsione quando cessa l’attrazione. E che ci sia una tale forza sembra conseguire dalle riflessioni e dalle inflessioni dei raggi luminosi. Perché, in entrambi questi casi, i raggi sono respinti dai corpi senza contatto immediato con il corpo riflettente o inflettente. Sembra che ciò consegua dall’emissione della luce: essendo il raggio lanciato ad enorme velocità, non appena viene espulso dal corpo luminoso a causa del moto vibratorio delle parti del corpo, e non appena oltrepassa la sua sfera di attrazione. Infatti, quella stessa forza che nella riflessione è sufficiente a respingerlo, potrebbe bastare a emetterlo. E sembra che ciò consegua anche dalla produzione dell’aria e del vapore. Le particelle, quando vengono scacciate dai corpi per effetto del calore o della fermentazione, non appena si trovano oltre la sfera di attrazione del corpo, si allontanano da questo e anche le une dalle altre con grande forza, tenendosi a distanza. […] In tal modo l’universo naturale sarà strettamente conforme a sé stesso e semplicissimo, producendo tutti i grandi movimenti dei corpi celesti per effetto dell’attrazione di gravità, che è scambievole tra quei corpi; e quasi tutti i movimenti minori delle loro particelle per effetto di un’altra forza di attrazione e di repulsioone che è scambievole tra le particelle. In un contesto fortemente influenzato dal meccanicismo cartesiano la teoria della gravitazione di Newton aveva suscitato la viva opposizione di quanti vi vedevano un ritorno a tentativi di spiegazione dei fenomeni naturali attraverso cause occulte, virtù attrattive, e cose simili. La legge di gravitazione universale stabilisce che la forza F agente tra un punto materiale di massa m e uno di massa m' posti a distanza r è direttamente proporzionale al prodotto delle masse e inversamente proporzionale alla seconda potenza della distanza. Questa espressione appare indipendente da qualunque processo che, intervenendo nello spazio tra i due corpi, potesse essere considerato responsabile della veicolazione dell'interazione, e indipendente dal tempo necessario alla comunicazione dell'interazione stessa; in altre parole sembrava avere tutti i caratteri di una forza che agiva a distanza e che si comunicava istantaneamente tra corpi in qualsivoglia misura lontani. In una lettera a Bentley (teologo, latinista e grecista) del 1693, Newton così scrive: È inconcepibile che la materia bruta e inanimata possa, senza la mediazione di qualcosa di diverso che non sia materiale, operare ed agire su altra materia senza contatto reciproco, come dovrebbe appunto accadere se la gravitazione nel senso di Epicuro fosse essenziale e inerente alla materia stessa... Che la gravità possa essere innata, inerente ed essenziale alla materia, così che un corpo possa agire su un altro a distanza e attraverso un vuoto, senza la mediazione di qualcosa grazie a cui e attraverso cui l'azione e la forza possano essere trasportate dall'uno all'altro, ebbene tutto ciò è per me un'assurdità così grande che io non credo che un uomo, il quale abbia in materia filosofica una capacità di pensare in modo competente, possa mai cadere in essa. Due filoni di ricerca nella fisica del Settecento Dalla tradizione newtoniana si dipartono e consolidano nel corso del Settecento due filoni di ricerca: 1. Lo sviluppo di una fisica fortemente legata ai dati empirici, sulla cui base avviare poi la matematizzazione di settori nei quali le forze in gioco erano ancora sconosciute; 2. L’approfondimento matematico della meccanica, che con le ricerche tra gli altri di Euler, D’Alembert e Lagrange si avvia a diventare verso la fine del secolo una teoria formalizzata del moto che appare come capitolo della matematica. Esistono già diversi trattati di meccanica, ma lo schema del presente trattato è completamente nuovo. Io mi sono proposto di ridurre la teoria di questa scienza, e l’arte di risolvere i problemi a essa relativi, a delle formule generali il cui semplice sviluppo fornisce tutte le equazioni che sono necessarie per la soluzione di ogni problema. […] Ho diviso l’opera in due parti: la statica, ovvero la teoria dell’equilibrio, e la dinamica, ovvero la teoria del movimento; e ciascuna di queste parti tratterà separatamente dei corpi solidi e di quelli liquidi. Non troverete in quest’opera alcuna figura. I metodi che espongo non richiedono né costruzioni, né ragionamenti geometrici e meccanici, ma unicamente operazioni algebriche che seguono un cammino regolare e uniforme. Coloro che amano l’analisi vedranno con piacere che la dinamica ne diventa un nuovo settore, e mi saranno grati per averne così esteso il dominio. [J.-L. Lagrange, Avvertimento alla prima edizione della meccanica analitica, 1788 ] MODELLI DISCUSSI NEL SETTECENTO ! Modelli CORPUSCOLARI e modelli FLUIDISTICI, intorno alla metà del Settecento, pur costituendo schematicamente le alternative dibattute nell’ambito della caratterizzazione della materia del calore e di quella dell’elettricità, vengono spesso compresi entrambi all’interno delle varie teorie [si confrontino, per esempio, le concezioni “miste” espresse da Nollet nelle sue Leçons de physique expérimentale (1743-8), da Pieter van Musschenbroek negli Elementa physicae (1741) e da Willem Jacob ’s Gravesande nei Physices Elementa Mathematica (1720)] ! Nell’ultimo quarto di secolo si assiste a una prevalenza delle idee fluidistiche che riduce la popolarità sia dei modelli misti sia dei modelli particellari [cf. D. Bernoulli, Hydrodynamica (1738)]. Prevalenza delle teorie basate sulla nozione di calorico (a partire da Lavoisier e Laplace) e di fluidi elettrici e magnetici (Cavendish e Coulomb). [cit. Bellone, Caos e armonia, UTET, Torino 1990, pp. 103 e ss.]