BOOK IN PROGRESS UN LIBRO SCRITTO DAGLI INSEGNANTI PER GLI STUDENTI SCIENZE della TERRA VERSIONE ACCESSIBILE Questo book è frutto del lavoro e della collaborazione di: Giordano Rini e Dario Romito Istituto Tecnico Industriale Statale "ETTORE MAJORANA" - Brindisi Francesco Forte Istituto Tecnico Commerciale “ENRICO TOSI” - Busto Arsizio (VA) Stefania Giannoni e Lucia Zoppis Istituto Tecnico Statale “MARIA LETIZIA CASSATA” - Gubbio (PG) Patrizia Panunzio, Elisabetta Rusconi, Dino Ticli, Giovanni Valsecchi Istituto Statale di Istruzione Superiore “GIOVANNI BERTACCHI” - Lecco Impaginazione a cura di Elisabetta Rusconi Agosto 2012 INDICE INTRODUZIONE - IL METODO SCIENTIFICO SCIENZA E METODO SCIENTIFICO FACCIAMO UN ESEMPIO IL METODO SCIENTIFICO LEGGI E MODELLI TEORIE SCIENTIFICHE CONDIVISIONE E COMUNICAZIONE VERIFICA E AUTOCORREZIONE LA COSTRUZIONE DEL SAPERE SCIENTIFICO I LIMITI DELLA SCIENZA MODULO A - DOVE SIAMO? A.1 - IL NOSTRO UNIVERSO A.2 - LE GALASSIE A.3 - LA NOSTRA GALASSIA A.4 - NEBULOSE E AMMASSI STELLARI A.4.1 - LE NEBULOSE A.4.2 - GLI AMMASSI STELLARI A.5 - LE COSTELLAZIONI A.5.1 - LE COSTELLAZIONI SONO FORMATE DA STELLE VICINE TRA LORO? A.5.2 - UTILITÀ DELLE COSTELLAZIONI A.5.3 - I NOMI DELLE COSTELLAZIONI A.5.4 - I NOMI DELLE STELLE NELLE COSTELLAZIONI A.5.5 - LE COSTELLAZIONI NEL CORSO DELL’ANNO A.5.6 - LE COSTELLAZIONI ZODIACALI A.5.7 - ZODIACO E OROSCOPO A.5.8 - LE OBIEZIONI DELLA SCIENZA ALL’ASTROLOGIA A.6 - LE STELLE A.6.1 - FORMAZIONE DELLE STELLE. A.6.2 - STRUTTURA DELLE STELLE A.6.3 - L’ENERGIA DELLE STELLE A.6.4 - LA FINE DELL’IDROGENO A.6.5 - STADI FINALI DI STELLE PICCOLE A.6.6 - STADI FINALI DI STELLE GRANDI A.6.7 - LA LUMINOSITÀ DELLE STELLE A.6.8 - IL COLORE DELLE STELLE 1 1 2 2 3 4 4 5 6 6 7 7 8 9 10 10 10 11 11 11 11 11 12 12 13 13 15 15 16 16 16 16 17 18 19 A.6.9 - IL DIAGRAMMA DI HERTZSPRUNG-RUSSEL MODULO B - CASA NOSTRA. IL SISTEMA SOLARE. B.1 - IL SISTEMA SOLARE B.1.1 - ORIGINE DEL SISTEMA SOLARE B.1.2 - ORIGINE DEL SOLE E DEI PIANETI B.1.3 - L’ACCENSIONE DEL SOLE B.2 - IL SOLE B.3 - I PIANETI B.3.1 - CLASSIFICAZIONE DEI PIANETI B.3.2 - GLI OGGETTI TRANSNETTUNIANI B.3.3 - MOTI DEI PIANETI B.3.4 - PIANETI EXTRASOLARI B.3.5 - DISTANZA DEI PIANETI DAL SOLE B.4 - LE LEGGI DI KEPLERO. B.5 - GLI ASTEROIDI B.6 - LE COMETE B.7 - METEOROIDI, METEORE, METEORITI B.8 - SATELLITI ARTIFICIALI MODULO C - LA TERRA E LA LUNA NEL SISTEMA SOLARE C.1 - IL SISTEMA TERRA-LUNA C.2 - I MOVIMENTI DELLA TERRA E LE LORO CONSEGUENZE C.2.1 - IL MOTO DI ROTAZIONE C.2.1.1 - Il moto di rotazione: velocità angolare e velocità lineare C.2.1.2 - Il periodo del moto di rotazione C.2.2 - LE CONSEGUENZE DEL MOTO DI ROTAZIONE C.2.2.1 - L’alternanza tra dì e notte C.2.2.2 - Il moto apparente da Est a Ovest dei corpi celesti C.2.2.3 - Lo schiacciamento polare C.2.2.4 - La forza di Coriolis C.2.3 - IL MOTO DI RIVOLUZIONE C.2.3.1 - Distanza tra Sole e Terra C.2.3.2 - Velocità orbitale della Terra C.2.3.3 - Il periodo di rivoluzione C.2.4 - LE CONSEGUENZE DEL MOTO DI RIVOLUZIONE C.2.4.1 - L’alternanza delle stagioni C.2.4.2 - L’alternanza delle costellazioni nel cielo notturno C.2.5 - I MOTI SECONDARI DELLA TERRA C.2.5.1 - Il moto doppio conico dell’asse terrestre C.2.5.2 - La variazione dell’inclinazione dell’asse terrestre C.3 - LA LUNA: CARATTERISTICHE E MOVIMENTI 19 22 22 22 22 23 23 24 24 25 25 26 26 26 28 28 30 31 34 34 34 34 35 36 36 36 37 38 38 39 39 39 39 40 40 43 43 44 44 45 C.3.1 - DATI GENERALI SULLA LUNA C.3.2. - MOTI DELLA LUNA C.3.3 - LE FASI LUNARI C.3.4 - CALENDARIO C.3.5 - LE ECLISSI MODULO D - L’ORIENTAMENTO GEOGRAFICO INTRODUZIONE D.1. - ORIENTARSI DURANTE IL DI’ D.1.2 - UN METODO PRATICO DI ORIENTAMENTO: IL METODO DEL PALETTO. D.2. - ORIENTARSI DI NOTTE: L’OSSERVAZIONE DELLE STELLE D.3. - OSSERVARE E ORIENTARSI CON STRUMENTI: LA BUSSOLA D.4. - IL RETICOLATO GEOGRAFICO D.4.1 - L’ASSE TERRESTRE D.4.2 - I POLI GEOGRAFICI D.4.3 - I MERIDIANI D.4.4 - I PARALLELI D.4.5 - IL RETICOLATO GEOGRAFICO D.4.6 - LATITUDINE E LONGITUDINE D.5. - STRUMENTI PER DETERMINARE LA PROPRIA POSIZIONE D.5.1 - DISPOSITIVI G.P.S. D.5.2 - GOOGLE MAPS D.5.3 - CARTE D 6 - LE COORDINATE POLARI MODULO E - LA TERRA PIANETA AZZURRO, TERZO DAL SOLE E.1 - ORIGINE DELL’ACQUA PRESENTE SULLA TERRA E.2 - I GRANDI SERBATOI D’ACQUA E.3 - IL CICLO DELL’ACQUA O CICLO IDROLOGICO E.3.1 - FORME DI ACQUA E.3.1.1 - Forme di acqua presenti nell’atmosfera E.3.1.2 - Forme di acqua caratteristiche delle terre emerse E.3.1.3 - Forme di acqua caratteristiche degli oceani E.3.2 - I PASSAGGI DI STATO E.3.3 - I FLUSSI DI ACQUA E.3.3 1 - Spostamento verso l’alto del vapore. E.3.3.2 - Spostamento orizzontale di masse d’aria carica di nuvole. E.3.3.3 - Spostamento verso il basso dell’acqua di precipitazione. E.3.3.4 - Scorrimento superficiale e profondo. E.3.3.5 - Scorrimento interno agli oceani. E.3.4 - IL MOTORE DEL CICLO DELL’ACQUA E.3.4.1 - Processi indotti dal calore solare. 45 46 47 49 49 54 54 54 55 55 55 56 56 56 57 57 57 58 59 59 59 59 59 61 61 62 62 62 63 63 63 63 64 64 64 65 65 65 65 66 E.3.4.2 - Processi indotti dalla forza di gravità. MODULO F - OCEANI E MARI 66 69 F.1 - LE ACQUE OCEANICHE F.2 - LA SALINITÀ F.3 - IL MOTO ONDOSO 69 70 70 F.3.1 - FORMAZIONE DELLE ONDE F.3.2 - CARATTERISTICHE DELLE ONDE F.3.3 - LE ONDE DIVENTANO FRANGENTI F.3.4 - L’EROSIONE COSTIERA F.3.5 - LE FALESIE F.3.6 - L’AZIONE DI DEPOSITO OPERATA DAL MARE 71 71 71 72 72 73 F.4 - LE MAREE 74 F.4.1 - LE MAREE NON SONO TUTTE UGUALI 74 F.5 - LE CORRENTI OCEANICHE E MARINE 75 F.5.1 - CLASSIFICAZIONE DESCRITTIVA F.5.2 - LA CORRENTE DEL GOLFO 75 75 F.6 - LA CIRCOLAZIONE TERMOALINA 76 F.6.1 - GENESI DELLA CIRCOLAZIONE TERMOALINA F.6.2 - LA FORZA MOTRICE DELLE CORRENTI OCEANICHE MODULO G - I GHIACCIAI G.1 - FORMAZIONE DEL GHIACCIO G.1.1 - TRASFORMAZIONE DELLA NEVE IN GHIACCIO G.1.2 - INFORMAZIONI DALLO STUDIO DEI GHIACCIAI G.2 - DISTRIBUZIONE DEI GHIACCIAI G.3 - IL LIMITE DELLE NEVI PERENNI G.4 - CLASSIFICAZIONE DEI GHIACCIAI G.4.1 - GHIACCIAI CONTINENTALI G.4.2 - GHIACCIAI MONTANI G.5 - I GHIACCIAI COME CORPI DINAMICI G.5.1 - IL MOVIMENTO DEI GHIACCIAI G.5.2 - LA MORFOLOGIA SUPERFICIALE: CREPACCI E SERACCHI G.5.3 - I GHIACCIAI: CORPI IN EQUILIBRIO DINAMICO G.6 - IL MODELLAMENTO DEL PAESAGGIO OPERATO DAI GHIACCIAI G.6.1 - PROCESSI EROSIVI SVOLTI DAI GHIACCIAI G.6.2 - TRASPORTO E DEPOSITO G.8 - LE ACQUE DI FUSIONE. G.9 - IL MODELLAMENTO DEL PAESAGGIO. MODULO H - LE ACQUE SOTTERRANEE H.1 - IL DESTINO DELLE PRECIPITAZIONI 76 77 79 79 79 79 80 80 80 81 81 82 82 82 83 83 83 84 85 85 88 88 H.1.1 - L’INFILTRAZIONE H.1.2 - IL DEFLUSSO SUPERFICIALE H.1.3 - L’EVAPO-TRASPIRAZIONE 88 88 88 H.2 - DISTRIBUZIONE DELL’ACQUA NEL SUOLO 88 H.2.1 - LA ZONA DI SATURAZIONE H.2.2 - LA ZONA DI AERAZIONE 88 89 H.3 - L’INFILTRAZIONE DELL’ACQUA IN PROFONDITÀ 89 H.3.1 - LA PERMEABILITÀ DEL SUOLO H.3.2 - PERMEABILITÀ E TIPI DI TERRENO 89 89 H.4 - FALDE ACQUIFERE 90 H.4.1 - TIPI DI FALDE H.4.2 - IMPORTANZA DELLE FALDE PER L’UOMO 90 90 H.5 - I FENOMENI CARSICI - GENERALITÀ 90 H.5.1 - CHIMICA DEL CARSISMO H.5.2 - CONDIZIONI PER IL MANIFESTARSI DEL CARSISMO H.5.3 - SVILUPPO DEL CARSISMO H.5.4 - LE CONCREZIONI MODULO I - LE ACQUE SUPERFICIALI I.1 - RUSCELLAMENTO E SCORRIMENTO INCANALATO I.1.1 - IL RUSCELLAMENTO I.1.2 - LO SCORRIMENTO INCANALATO: I CORSI D’ACQUA I.2 - CARATTERISTICHE DEI CORSI D’ACQUA I.2.1 - IL BACINO IDROGRAFICO I.2.2 - IL PROFILO I.2.3 - LA PORTATA I.2.4 - IL REGIME I.2.5 - LA VELOCITÀ I.2.6 - IL CARICO I.3 - TORRENTI E FIUMI I.4 - MORFOLOGIA FLUVIALE I.5 - LA FOCE DEI CORSI D’ACQUA I.5.1 - FOCE A DELTA I.5.2 - FOCE A ESTUARIO I.6 - L’AZIONE DEI CORSI D’ACQUA SUL TERRITORIO CIRCOSTANTE I.6.1 - L’AZIONE EROSIVA I.6.2 - L’AZIONE DI TRASPORTO I.6.3 - L’AZIONE DI DEPOSITO I.7 - I LAGHI I.8 - TIPI DI LAGHI 91 91 92 92 95 95 95 95 96 96 96 96 96 97 97 98 98 99 99 99 100 100 100 100 101 102 I.8.1 - LAGHI DI ESCAVAZIONE GLACIALE 102 I.8.3 - LAGHI DI ORIGINE MARINA 102 I.8.4 - LAGHI TETTONICI 103 I.8.5 - LAGHI VULCANICI 103 I.8.6 - LAGHI DI SBARRAMENTO 103 I.8.7 - LAGHI ARTIFICIALI 103 MODULO J - L’ATMOSFERA 106 J.1 - L’ATMOSFERA 106 J.1.1 - E SE NON CI FOSSE L’ATMOSFERA? 107 J.2 - CARATTERISTICHE DELL’ATMOSFERA 107 J.2.1 - LA TEMPERATURA 108 J.2.2 - L’UMIDITÀ 108 J.2.3 - LA DENSITÀ 108 J.2.4 - LA PRESSIONE ATMOSFERICA 108 J.3 - MOVIMENTI DELL’ARIA NELLA TROPOSFERA 109 J.3.1 - NELLA TROPOSFERA LA TEMPERATURA DECRESCE CON LA QUOTA 109 J.3.2 - IL CALORE SOLARE SI DISTRIBUISCE IN MANIERA DIFFERENZIATA SULLA SUPERFICIE TERRESTRE 109 J.4 - LA CIRCOLAZIONE GENERALE DELLA TROPOSFERA 110 J.4.1 - LA CELLA DI HADLEY 110 J.4.2 - LA CELLA DI FERREL 110 J.4.3 - LA CELLA POLARE 110 J.4.4 - ALCUNI DETTAGLI IMPORTANTI 111 J.5 - CICLONI E ANTICICLONI 111 J.5.1 - ZONE DI ALTA E BASSA PRESSIONE: CICLONI E ANTICICLONI 111 J.5.2 - LO STATO DEL TEMPO 112 J.5.3 - L’ORIGINE DEI VENTI 112 MODULO K - TEMPO E CLIMA 114 K.1 - ALCUNE CONSIDERAZIONI INIZIALI 114 K.2 - IL SISTEMA CLIMA 115 K.3 - TEMPO E CLIMA 115 K.4 - IL TEMPO ATMOSFERICO 116 K.4.1 - L’UMIDITÀ DELL’ARIA. 116 K.4.2 - UMIDITÀ ATMOSFERICA E PUNTO DI RUGIADA 116 K.4.3 - LE NUVOLE E LA NEBBIA 117 K.4.4 - TIPI DI NUVOLE 117 K.4.5 - LE PRECIPITAZIONI 118 K.4.6 - “COLPI DI FULMINE” 120 K.4.7 - VENTI E BREZZE 121 K.5 - IL CLIMA 123 K.5.1 - FATTORI GEOGRAFICI K.5.2 - CLASSIFICAZIONE DEI CLIMI K.6 - IL CAMBIAMENTO CLIMATICO K.6.1 - BILANCIO ENERGETICO DELLA TERRA ED EFFETTO SERRA K.6.2 - I GAS SERRA K.6.3 - TIPI DI GAS SERRA K.6.4 - L’AUMENTO DELL’EFFETTO SERRA K.7 - COSA STIAMO RISCHIANDO MODULO L - LA TERRA UN PIANETA DINAMICO: I TERREMOTI L.1 - LA LITOSFERA L.2 - CARATTERISTICHE DELLE ROCCE L.3 - TIPI DI FAGLIA. L.4 - I TERREMOTI. L.4.1 – IPOCENTRO ED EPICENTRO L.4.2 - LE ONDE SISMICHE L.5 - COME MISURARE I SISMI L.5.1 - MAGNITUDO E INTENSITÀ EMERGENZA” L.6 - EFFETTI DEI TERREMOTI L.6.1 - MAREMOTI O TSUNAMI L.6.2 - CROLLI DI COSTRUZIONI L.6.3 - FRANE E VALANGHE L.6.4 - LIQUEFAZIONE DEL SUOLO L.6.5 - INCENDI L.7 - TRA LEGGENDE E VERITÀ MODULO M - LA TERRA UN PIANETA DINAMICO:VULCANI M.1 - LE ERUZIONI VULCANICHE M.2 - TIPI DI MAGMA E DI VULCANISMO M.2.1 - MAGMA MAFICO O BASICO M.2.2 - MAGMA INTERMEDIO O NEUTRO M.2.3 - MAGMA FELSICO O ACIDO M.3 - COSA ESCE DA UN VULCANO. M.4 - FENOMENI CONNESSI ALLE ATTIVITÀ VULCANICHE. M.5 - CARATTERISTICHE DEGLI EDIFICI VULCANICI M.5.1 - STRATOVULCANI M.6 - QUANDO UN VULCANO È “SUPER”. M.7 - MANIFESTAZIONI TERMO-FREATICHE M.8 – DISTRIBUZIONE DEI VULCANI SUL PIANETA M.9 - I PUNTI CALDI O HOT SPOT M.10 – EFFETTI DI LUNGO PERIODO DELL’ATTIVITÀ VULCANICA 123 124 125 125 126 126 127 129 132 132 133 134 135 136 136 137 137 138 138 138 140 140 140 141 141 146 146 147 148 148 148 149 149 151 151 153 155 155 156 156 IO CREDO CHE... TUTTI DICONO CHE È COSÌ SE È STATO COSÌ FINO AD OGGI CI SARÀ UN MOTIVO L’HA DETTO LA TV MIO PADRE È CONVINTO CHE SIA COSÌ ERA SCRITTO SUL GIORNALE L’HA DETTO LA MIA MAESTRA L’HO VISTO IN INTERNET SI SA DA SEMPRE ERA SCRITTO SUL LIBRO LO DICE LA MIA MAMMA IO CI CREDO LO STESSO ANCHE IL MIO AMICO CHE FA L’UNIVERSITà CI CREDE L’HO LETTO SULL’OROSCOPO INTRODUZIONE - IL METODO SCIENTIFICO SCIENZA E METODO SCIENTIFICO Secondo una definizione abbastanza tradizionale, la scienza si occupa di descrivere tutto ciò che è materiale e osservabile e di trovare le spiegazioni di fenomeni e processi tipici del mondo naturale. L’aggettivo materiale significa che l’oggetto di studio della scienza sono oggetti e fenomeni relativi alla materia, ossia a qualcosa che possiede una massa e occupa un volume. Oggi sappiamo che materia ed energia sono due realtà che possono trasformarsi l’una nell’altra, quindi di fatto la scienza si occupa di indagare le caratteristiche e i processi riguardanti la materia e l’energia . L’aggettivo osservabile significa che per poter condurre un’indagine scientifica gli oggetti, i fenomeni e i processi si devono poter osservare in qualche modo, utilizzando i cinque sensi o qualche tipo di strumento elaborato nel tempo dagli scienziati. Esempi di tali strumenti sono i microscopi, i telescopi, e tutti quei macchinari che vengono usati nei laboratori, compresi i più avanzati strumenti di indagine della medicina moderna. Studiando i contenuti di questo testo noterete che spesso compaiono delle proposizioni evidenziate con il grassetto oppure collocate in riquadri messi in rilievo. Tali proposizioni costituiscono delle conclusioni a cui i diversi scienziati, che si sono occupati dei particolari fenomeni descritti, sono giunti dopo un lungo, paziente e talvolta ripetitivo lavoro di osservazione, di raccolta dati, di elaborazione e di interpretazione degli stessi. 1 FACCIAMO UN ESEMPIO Per capire meglio, anche se in maniera intuitiva, che cosa si intende con indagine scientifica, consideriamo il seguente esempio, tratto dalla vita quotidiana. ✤ Tutte le mattine, andando a scuola, nei pressi dell’edicola incontro un signore che tiene in mano sempre lo stesso quotidiano. ✤ Col tempo, mi faccio un’idea - mi costruisco un pensiero in merito a ciò che osservo (senza che me ne accorga sto formulando un’ipotesi su un fatto osservato). ✤ Il mio pensiero (che mette in relazione due elementi: il signore che vedo vicino all’edicola tutte le mattine e il quotidiano che egli tiene in mano) è il seguente: “a quel tizio piace leggere tutti i giorni quel quotidiano”. ✤ Tale ipotesi potrebbe essere una corretta spiegazione del fatto osservato, ma in fondo la cosa non è così importante: non ci si può certo occupare seriamente di tutto ciò che accade attorno a noi. ✤ Tuttavia un giorno potrei scoprire qualcosa di nuovo: per esempio che quel signore tutte le mattine compra quel giornale per un suo vicino di casa, costretto per motivi di salute all’immobilità. ✤ Questo fatto nuovo fa sì che io debba rivedere la mia idea iniziale: evidentemente il giornale non piace a lui, ma al suo vicino di casa. In ambito scientifico si procede, almeno per certi versi, in modo simile; tuttavia il modo di operare è molto più rigoroso, poiché il ruolo della scienza è quello di indagare e spiegare il mondo naturale. In buona sostanza, la differenza rispetto all’esempio trattato è che in quel caso il mio interesse era relativamente scarso, mentre l’interesse degli scienziati è molto grande, poiché l’obiettivo del loro lavoro è quello di scoprire come avvengono i fenomeni e i processi naturali. Inoltre, le conclusioni a cui si giunge con questo tipo di indagine hanno spesso delle implicazioni notevoli. Tutti abbiamo visto almeno una volta in televisione una delle serie dove la polizia scientifica lavora in collaborazione con altri settori investigativi per trovare il colpevole di un crimine, oppure abbiamo scoperto con stupore o disappunto che la soluzione di un caso reale di omicidio non è così semplice né veloce da raggiungere. In ogni caso, la procedura che viene seguita prevede sempre la raccolta di molti dati, prove concrete o testimonianze, la formulazione di un’ipotesi sulla identità dell’omicida, la ulteriore acquisizione di prove che, a volte, confermano l’ipotesi iniziale, altre volte la mettono totalmente in discussione, altre ancora la stravolgono completamente. In una fiction televisiva, tutto ciò avviene in tempi brevi; nella realtà i tempi sono enormemente dilatati, mesi oppure anni. Il modo di procedere è lo stesso anche per uno studioso che si occupi di Scienze della Terra, di Chimica, di Biologia o di Fisica. IL METODO SCIENTIFICO Il metodo scientifico è l’insieme delle procedure utilizzate dagli scienziati per raggiungere i loro obiettivi: quelli di spiegare il funzionamento del mondo reale. Normalmente tale procedura viene scomposta in alcuni stadi: l’osservazione, la formulazione di un’ipotesi, la verifica dell’ipotesi con ulteriori osservazioni ed esperimenti, il perfezionamento e la validazione dell’ipotesi iniziale o la ricerca di ipotesi alternative. 2 Primo stadio: l’osservazione. Il primo stadio è sempre l’osservazione del fenomeno che interessa. L’osservazione di un fenomeno nuovo o - più probabilmente - di un fenomeno già studiato da altri ma ancora non del tutto compreso suscita normalmente negli scienziati molte domande e molte riflessioni. Secondo stadio: la formulazione di un’ipotesi. Di fatto la gente comune e, a maggior ragione, gli scienziati tendono spontaneamente e spesso in breve tempo a farsi un’idea di come stanno le cose. La formulazione di un’ipotesi è proprio questo: immaginare una possibile spiegazione di quanto osservato. Terzo stadio: la sperimentazione. Quella che normalmente si definisce sperimentazione, in realtà è condotta in modi anche molto diversi: eccone di seguito alcuni esempi. Se il fenomeno è riproducibile in laboratorio vengono realizzati accurati esperimenti. Se il fenomeno non si può riprodurre i laboratorio, come per l’astronomia, la geologia o la meteorologia, vengono effettuate ripetute osservazioni in natura. Nel contempo si attua una minuziosa raccolta di dati. Vengono effettuate precise misurazioni e registrati vari parametri: i dati, poi, vengono elaborati, cioè interpretati e messi in relazione tra di loro. Con i moderni strumenti informatici, ormai da tempo vengono impostate simulazioni al computer, inserendo tutti i parametri noti: sarà il computer, in questo caso, ad aiutare gli scienziati a elaborare possibili modelli. Quarto stadio: la validazione dell’ipotesi iniziale. Nel corso della sperimentazione emergono progressivamente una serie dati che aiutano gli scienziati a fare chiarezza sulla validità dell’ipotesi iniziale. Il punto chiave è la coerenza tra i dati raccolti e la spiegazione formulata inizialmente: • se vi è perfetta coerenza con i dati ottenuti, allora l’ipotesi iniziale è confermata in toto; • più spesso l’ipotesi iniziale deve essere in parte rivista, alla luce di nuovi elementi emersi; • talvolta l’ipotesi iniziale deve essere scartata, in quanto è contraddetta dagli esiti della sperimentazione: in questo caso occorre formulare una nuova spiegazione, coerente con i dati osservati. LEGGI E MODELLI Una legge scientifica è la formulazione precisa, di regolarità osservate in natura: sono più spesso caratteristiche della Fisica e della Chimica. Una legge fisica o chimica si può spesso esprimere anche con simbologia matematica. In questo caso una legge è una relazione matematica che lega, mediante operazioni e coefficienti numerici, due o più grandezze fisiche. Come tutte le acquisizioni scientifiche, le leggi sono valide fino a prova contraria, cioè fino a quando non sono smentite da osservazioni o sperimentazioni. Questo significa che le leggi della Fisica e della Chimica che vengono studiate normalmente dagli alunni di scuola superiore o dell’Università non sono mai state finora smentite. Un modello è una descrizione semplificata di un sistema complesso esistente in natura. Ad esempio, in Geologia si studia che l’interno della Terra è suddiviso in crosta, mantello e nucleo: questo è l’attuale modello dell’interno terrestre. 3 Anche la validità dei modelli viene messa continuamente alla prova. Un modello si ritiene corretto finché si mantiene coerente con gli esiti di osservazioni e sperimentazioni condotte successivamente alla sua formulazione. TEORIE SCIENTIFICHE Il termine ‘teoria’ deriva dal greco “θεωρείν” che significa “osservare, considerare per comparazione”. Una teoria è un insieme d’idee, modelli, leggi collegate coerentemente tra loro a costituire un sistema complesso di conoscenze che spiega le relazioni esistenti tra gli elementi e le variabili caratteristiche di un vasto insieme di fenomeni e processi e che consente di fare previsioni nel caso in cui i fenomeni studiati si ripetano. In Geologia, l’esempio migliore è la teoria della tettonica globale (o tettonica delle placche litosferiche), che è in grado di comprendere e spiegare processi apparentemente molto diversi tra loro come la genesi e la distribuzione di terremoti e vulcani, la formazione di catene montuose e l’apertura o l’espansione dei bacini oceanici. In Biologia, l’esempio più caratteristico è la teoria dell’evoluzione biologica, che spiega la biodiversità attualmente osservabile nel mondo vivente, l’incredibile capacità dei viventi di colonizzare gli ambienti più disparati, adattandosi ad essi, la storia della vita, a partire dagli organismi che popolavano gli oceani più di 3,5 miliardi di anni fa, spiegando in dettaglio i meccanismi con cui avvengono tali cambiamenti. Occorre notare che il termine teoria ha un significato diverso nel linguaggio scientifico rispetto al linguaggio normale. Così, mentre nel linguaggio quotidiano una teoria è qualcosa di ipotetico ancora da verificare, in campo scientifico è una visione di insieme molto ampia e potente, confermata da innumerevoli osservazioni e sperimentazioni condotte in campi anche molto diversi. Per questo motivo, è assai difficile che le attuali teorie scientifiche relative a campi del sapere indagati e approfonditi possano subire grandi stravolgimenti in futuro. È assai probabile, invece, che esse possano essere perfezionate ed arricchite di ulteriori dettagli riguardanti aspetti che sono ancora oscuri o non perfettamente spiegati. OSSERVAZIONE - INDIVIDUAZIONE DELLA PROBLEMATICA - IPOTESI - PREVISIONE DA VERIFICARE - ESPERIMENTI PER VERIFICARE LA PREVISIONE - RISULTATI INTERPRETAZIONE E CONCLUSIONI. Se l’ipotesi non è confermata: si ricomincia e si formula un’altra ipotesi. Se l’ipotesi è confermata: ULTERIORI ESPERIMENTI SUGGERITI DAI RISULTATI - SVILUPPO DI UNA TEORIA. Condivisione e comunicazione Una caratteristica degna di nota delle sperimentazioni condotte dagli scienziati è la condivisione dei saperi. A meno che non si tratti di ricerche in campo militare o di sperimentazioni su prodotti coperti da brevetto commerciale, gli esiti della ricerca scientifica sono riportati in modo chiaro su riviste scientifiche, pubblicate tradizionalmente su carta, ma disponibili anche on-line. La lingua comunemente usata in queste riviste è l’Inglese. 4 Scopo di questi articoli - nel linguaggio tecnico sono definite pubblicazioni - è quello di comunicare quanto scoperto o studiato agli altri gruppi di scienziati che nel mondo si occupano di un dato argomento. Le pubblicazioni devono essere scritte con linguaggio chiaro e lineare; in esse devono essere descritte dettagliatamente le modalità con cui sono state condotte osservazioni e sperimentazioni e devono essere riportati estesamente i risultati di quanto realizzato. Tutto ciò ha lo scopo di permettere ad altri scienziati di ripetere le osservazioni e le sperimentazioni effettuate, così da verificarne la correttezza. VERIFICA E AUTOCORREZIONE Un altro aspetto importante della ricerca scientifica è la continua verifica delle nuove scoperte e acquisizioni condotta da diversi gruppi di ricercatori che operano in Università e Istituzioni di ricerca presenti in tutti i Paesi del mondo. Questo fa sì che eventuali errori commessi accidentalmente possano essere scoperti e corretti in tempi abbastanza brevi. Un esempio: la velocità dei neutrini L’esempio è relativo alla velocità di piccole particelle conosciute con il nome di neutrini. Nell’ambito dell’esperimento Opera, condotto in collaborazione tra scienziati del Laboratorio del Gran Sasso, facenti capo all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare ed altri scienziati del CERN, l’Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare, era emerso a settembre 2011 che la velocità di queste particelle, misurata con estrema precisione, era superiore a quella della luce. Questa osservazione aveva sollevato molto scalpore e molte discussioni, poiché la velocità della luce è considerata insuperabile nell’ambito della Teoria della relatività formulata da Einstein e tuttora considerata valida in quanto, fino ad allora, tutte le previsioni della teoria sono state confermate dalle ricerche. Successivamente, altri gruppi di ricerca avevano conseguito risultati in contraddizione con la scoperta. Infine, a maggio 2012, con altri quattro esperimenti condotti in parte dallo stesso gruppo di ricerca, la scoperta è stata smentita: i neutrini NON sono più veloci della luce. Il dato falsato era dovuto a un un errore nella misurazione della velocità di tali particelle, causato dal malfunzionamento di uno dei macchinari utilizzati. L’errore è stato comunicato alla comunità scientifica e poi all’opinione pubblica. In conseguenza di tale risultato, il fisico italiano Antonio Ereditato si è dimesso da coordinatore del progetto Opera. "Si tratta - ha commentato il direttore di ricerca del Cern, Sergio Bertolucci - di quello che, in fondo, ci si aspettava. La vicenda ha catturato l'immaginazione pubblica e le ha dato l'opportunità di vedere il metodo scientifico in azione: un risultato inaspettato è stato reso noto per essere esaminato e risolto grazie alla collaborazione di esperimenti che sono, normalmente, in concorrenza fra loro. Questo è il modo in cui la scienza si muove". "È motivo di grande soddisfazione - ha detto Lucia Votano, direttore dei Laboratori Infn del Gran Sasso - che quattro diversi esperimenti del Laboratorio Infn del Gran Sasso abbiano potuto misurare con grande precisione la velocità del neutrino su una distanza di 730 chilometri, trovando tutti risultati tra loro coerenti e compatibili con la teoria della relatività". Questa abitudine al confronto e alla verifica fa sì che la scienza riesca a individuare e a smascherare anche vere e proprie truffe, condotte da scienziati singoli o riuniti in team per desiderio di fama e di fondi per le proprie ricerche, o finanziati da gruppi di pressione motivati da forti interessi economici. 5 Due esempi al riguardo sono relativi alle industrie del tabacco, che in passato hanno finanziato gruppi di ricerca per negare gli effetti nocivi per la salute umana del fumo di sigaretta e alle multinazionali del petrolio, alcune delle quali hanno finanziato istituti di ricerca per negare gli effetti negativi del cambiamento climatico. *MATERIALE SUL WEB IN ITALIANO http://www.marcoscan.com/2012/03/le-migliori-strategie-per-manipolare-la-scienza-parte-1.html http://www.ilgiornale.it/esteri/scienziati_pagati_negare_danni_fumo_passivo/europa-attualitfumo_passivo_cancro/25-05-2012/articolo-id=589579-page=0-comments=1 http://www.comune.scandicci.fi.it/rassegne/bancadati/20120504/SB55009.PDF http://www.lanuovaecologia.it/view.php?id=11517&contenuto=Notizia* LA COSTRUZIONE DEL SAPERE SCIENTIFICO Procedendo come descritto nei paragrafi precedenti, si può affermare che, basandosi sul metodo scientifico teorizzato da Galileo Galilei (1564-1642), ma già applicato da molti uomini di scienza dell’epoca e successivamente da generazioni di studiosi, l’insieme degli scienziati contemporanei - la cosiddetta comunità scientifica - ha costruito nel tempo l’attuale sistema di conoscenze verificabili e condivise che riguardano le varie parti del mondo sensibile. Questo insieme di saperi è destinato ad ampliarsi nel tempo sempre di più, man mano che vengono perfezionati nuovi e/o più potenti strumenti di indagine, che permetteranno di osservare ciò che ad oggi ancora non è osservabile. Se guardiamo alla storia passata, le cosiddette rivoluzioni scientifiche hanno spesso portato più che alla cancellazione di quanto affermato in passato, al suo ampliamento ad ambiti più vasti: un esempio è la fisica relativistica di Einstein, che include la tradizionale fisica newtoniana. La conoscenza scientifica del mondo naturale è quindi un processo progressivo, cioè che si sviluppa nel tempo, e inclusivo, ossia che include progressivamente al proprio interno ambiti che, prima di essere osservabili, ne erano esclusi. I LIMITI DELLA SCIENZA È chiaro che questo modo di indagare e di comprendere il mondo può continuare a lungo nel tempo, ma non può estendersi ad ogni ambito della conoscenza, date le condizioni cui deve sottostare: la “materialità” e l’osservabilità. Così, ad esempio, la scienza non potrà mai occuparsi di indagare o dimostrare l’esistenza o la non esistenza di alcuna divinità, poiché Dio o gli Dei non sono entità materiali. Allo stesso modo, la scienza non potrà mai dimostrare l’eventuale esistenza di altri universi disgiunti dall’Universo in cui ci troviamo, in quanto essi - se pure esistono - non sono in alcun modo osservabili. 6 MODULO A - DOVE SIAMO? A.1 - IL NOSTRO UNIVERSO L’Universo. Tutto ciò che esiste e che ci è noto fa parte del nostro Universo. Si tratta di una enorme regione di spazio-tempo in evoluzione, che ha una sua storia e una sua origine. Il Big Bang. Secondo le teorie più accreditate, coerenti con i dati osservativi in possesso della comunità scientifica, l’Universo si originò con una sorta di grande esplosione, il Big Bang, avvenuta tra 13 e 14 miliardi di anni fa. Questa esplosione generò materia, energia, spazio e tempo. * Secondo il modello del Big Bang, l’Universo iniziò a espandersi da uno stato iniziale estremamente denso e caldo e continua ad espandersi oggi. Una comune analogia spiega che lo spazio stesso si sta espandendo, trascinando con sé le galassie, come le uvette nell’impasto di un panettone che lievita. Questa immagine è una rappresentazione artistica che illustra l'espansione di una porzione di un universo piatto.* L’espansione dell’Universo. A partire da quel momento iniziale l‘Universo continuò ad espandersi: l’espansione prosegue ancora oggi, come testimoniato dall’osservazione del reciproco allontanamento delle galassie a noi visibili.La composizione dell’Universo. Terminati i primi 300.000 mila anni di esistenza, le minuscole particelle di materia generate con il Big Bang si organizzarono a formare enormi quantità di atomi di Idrogeno, quantità molto inferiori di atomi di Elio e tracce di atomi di Litio: questa è ancora oggi la composizione a noi nota della materia che forma l’Universo. La struttura dell’Universo. Come conseguenza dell’esplosione iniziale e della successiva rapidissima espansione, la materia e l’energia formate si suddivisero in grandi aggregati separati da spazio vuoto. Le conseguenze di tale processo sono evidenti ancora oggi. In base ai dati osservativi, l’Universo ha una struttura a “spugna” o a “schiuma”: enormi “bolle” di spazio vuoto delimitate da materia osservabile organizzata in galassie, raggruppate in ammassi di galassie, a loro volta riuniti in superammassi. OSSERVIAMO IL CIELO Quando si parla di astronomia, in generale, si pensa a una disciplina difficile, riservata a pochi eletti tra gli scienziati. Invece sarebbe bello renderci conto che può essere affrontata anche da dilettanti, e non per questo è meno affascinante. Tutti, in realtà, possiamo godere dello spettacolo che il CIELO ci regala, lo spettacolo che colpì Galileo e altri astronomi famosi. Anche uno studente potrebbe, per primo, scorgere una cometa, o effettuare precise osservazioni di una stella variabile. Oltre alla curiosità, all’interesse, alla pratica dell’osservazione, occorre però anche uno studio specifico, per acquisire alcune competenze scientifiche. Cosa si può osservare a occhio nudo? Molte meraviglie del cielo sono osservabili anche senza binocolo o cannocchiale. Si possono osservare: ★ le costellazioni, ★ alcuni ammassi stellari aperti, 7 ★ le eclissi, ★ alcune comete, ★ la posizione mutevole del Sole, della Luna e dei pianeti più luminosi (i pianeti si vedono a occhio nudo fino a Saturno), ★ le stelle cadenti (meteore), ★ alcuni satelliti artificiali. A.2 - LE GALASSIE Le galassie sono grandi aggregati di stelle e nebulose, enormi ammassi di materiale disperso, formato da gas e polveri. * Video in inglese “Piercing the sky” http://hubblesite.org/explore_astronomy/piercing_the_sky/* Il numero delle galassie. In base alle osservazioni condotte con moderni telescopi posti sulla superficie terrestre e nello spazio, si sa che nell’Universo vi sono almeno 100 miliardi di galassie. La forma. La loro forma è abbastanza varia, ma si può ricondurre a poche tipologie: galassie a spirale, galassie a spirale barrata, galassie ellittiche e galassie irregolari. Il movimento. Tutte le galassie ruotano lentamente su se stesse: solo in questo modo, infatti, la forza centrifuga legata alla rotazione può opporsi alla reciproca attrazione gravitazionale delle stelle e delle nebulose che le costituiscono; da sola, quest’ultima tenderebbe a far collassare su se stessa tutta la materia della galassia. Le dimensioni. Le dimensioni delle galassie variano da alcune decine di migliaia di anni-luce fino ad alcuni milioni di anni-luce. la nostra Galassia ha un diametro di circa 100.000 anni-luce. Le distanze. Le distanze tra galassie normalmente sono molto maggiori rispetto alle loro dimensioni: se una galassia media può avere un diametro di 100.000 anni-luce, la distanza tra l’una e l’altra normalmente è almeno 10 volte maggiore. Ad esempio, la distanza tra noi e la galassia più vicina, Andromeda, è di poco maggiore a 2 milioni di anni luce. L’anno-luce. Espressa con le consuete unità di misura, la distanza tra la Via Lattea e Andromeda sarebbe pari a 21.000.000.000.000.000.000 km, un numero troppo grande da scrivere e da leggere: per questo motivo si utilizza l’anno-luce, cioè la distanza che la luce percorre in un anno. La luce viaggia nello spazio a una velocità di circa 300.000 Km/sec, quindi in un anno può percorrere circa dieci trilioni di km. Un anno luce corrisponde a circa 9.500 miliardi di chilometri Nel caso citato, questo significa che la luce che oggi riceviamo da Andromeda è partita più di due milioni di anni fa. 8 *PER I PIÙ CURIOSI Consulta i seguenti siti per capire meglio cosa è l’ASTRONOMIA, quale è oggi il suo campo di indagine, di quali strumenti si avvale: ASA associazione salentina astrofili www.deepspace.it, www.pd.astro.it, www.gruppoastronomicotradatese.it, http://hubblesite.org .* Osserviamo il cielo. Nel cielo è possibile osservare ad occhio nudo solo due galassie satelliti della nostra: le due Nubi di Magellano. Si tratta di due piccole galassie di forma irregolare, osservabili nei cieli dell’emisfero Sud del nostro pianeta. *Video in inglese “Quanto è grande la nostra galassia” http://www.videojug.com/film/how-big-is-the-galaxy* A.3 - LA NOSTRA GALASSIA Dal nostro punto di osservazione sulla Terra, le moltissime stelle che si possono osservare a occhio nudo appartengono alla nostra Galassia (si noti la “G” maiuscola). Il termine Galassia deriva dal greco (“gala” in greco significa latte), perché nell’antica Grecia si pensava che la striscia bianca che appare di notte nel cielo (vedi più avanti) fosse il latte che la dea Era o Giunone perse, allattando Ercole. La Galassia ha un diametro di 100.000 anni luce, ha la forma di un disco schiacciato un po’ più spesso al centro, con numerosi bracci: si tratta di una galassia a spirale. Nella zona centrale della Galassia vi è un nucleo con uno spessore di circa 15.000 anni luce; esso contiene, in una regione di spazio abbastanza ristretta, la maggior parte delle stelle. Tali stelle non sono a noi visibili poiché sono nascoste dalla presenza di nubi scure. La nostra galassia “danza”: i suoi bracci ruotano intorno al nucleo e a questo movimento prendono parte tutte le stelle in essa presenti, compreso il Sole con i suoi pianeti e satelliti. Al Sistema solare sono necessari circa 250 milioni di anni, un anno cosmico, per compiere una rivoluzione completa attorno al centro. Il Sole, con il Sistema solare, non è al centro della Galassia ma è posto in periferia: si trova a circa 30.000 anni luce dal centro, in uno dei bracci della spirale, quello di Orione. La Galassia è circondata da un alone galattico formato da materiale molto rarefatto e da ammassi globulari, cioè aggregati sferici comprendenti numerosissime stelle. * Una curiosità All’interno della Via Lattea, il Sole si muove alla velocità di 20 km/sec verso la costellazione di Ercole.* 9 A.4 - NEBULOSE E AMMASSI STELLARI All’interno delle galassie, quindi anche entro la nostra Galassia, le stelle sono spesso raggruppate in ammassi. Inoltre, osservando le galassie, si notano enormi regioni scure o chiare dette nebulose. Vediamo di che si tratta. A.4.1 - LE NEBULOSE In alcuni punti della nostra galassia ci sono anche le nebulose: si tratta di enormi ammassi di gas e polveri. La composizione chimica di tali nebulose rispecchia la composizione generale dell’intero universo: vi è grande prevalenza di idrogeno, seguito dall’elio e poi da atomi di altri elementi presenti in tracce. *La nebulosa Barnard 68 è una nebulosa oscura, che assorbe completamente la luce dei corpi celesti che si trovano dietro di essa. Ai margini si osservano alcune stelle con luce che vira al rosso a causa dell’assorbimento solo parziale.* Le nebulose sono definite la “culla delle stelle” poiché dalla loro contrazione gravitazionale e conseguente aumento di temperatura si originano protostelle, le quali evolvono poi in stelle. Le stelle nascono all’interno di questi ammassi di gas e polveri, e vivono finché hanno a disposizione del “combustibile” che alimenta le reazioni nucleari che avvengono al loro interno. Osserviamo il cielo Una grande nebulosa osservabile a occhio nudo è quella di Orione. Si tratta di una gigantesca nebulosa luminescente, costituita di gas e polveri posta a 1.300 anni luce dal nostro pianeta. Le sue dimensioni reali appaiono essere di circa quindici anni luce di diametro. La nebulosa è visibile a occhio nudo come una tenue luminescenza nell’omonima costellazione, poco al di sotto della cintura di Orione. A.4.2 - GLI AMMASSI STELLARI All’interno della nostra galassia, alcuni ammassi stellari sono di tipo “aperto”, formati da decine o centinaia di stelle vicine tra loro, legate debolmente le une alle altre dalla reciproca attrazione gravitazionale. Osserviamo il cielo Tra tali ammassi stellari aperti, uno dei più noti è quello delle Pleiadi (Pleiades), l’ammasso stellare più brillante e famoso di tutto il cielo, visibile d’inverno a occhio nudo e citato in ogni tempo, da Omero a D’Annunzio. Il nome è di origine greca e deriva da “plein”, cioè navigare, oppure da “pleios” cioè molti. A occhio nudo, sopra la costellazione di Orione in alto nei cieli invernali, si possono vedere sette stelle, ma l’ammasso ne conta molte di più. 10 A.5 - LE COSTELLAZIONI Consideriamo ora le stelle visibili di notte a occhio nudo: i gruppi di stelle correlate da una particolare configurazione, riconducibile a forme note all’occhio umano (animali, oggetti, ecc), sono le costellazioni. Il raggruppamento delle stelle in costellazioni varia da cultura a cultura e nel corso del tempo. A.5.1 - LE COSTELLAZIONI SONO FORMATE DA STELLE VICINE TRA LORO? Nella maggior parte dei casi, la vicinanza e la relazione tra le stelle di una stessa costellazione sono solo apparenti: l’uomo, infatti, non è in grado di cogliere la profondità, cioè la distanza tra le stelle lungo la linea che congiunge l’osservatore alle stelle. nello spazio tridimensionale. Si può quindi affermare che, in generale, tra le stelle di qualsiasi costellazione non esiste alcun legame, date le enormi distanze che quasi sempre separano stelle solo in apparenza vicine. *Video interattivo “La costellazione dell’Orsa maggiore” http://astro.unl.edu/classaction/animations/coordsmotion/bigdipper.html* A.5.2 - UTILITÀ DELLE COSTELLAZIONI Nonostante questo, può essere utile riferirsi alle costellazioni per orientarsi nel cielo. In proposito, l’Unione Astronomica Internazionale (UAI) definisce nel cielo ottantotto costellazioni ufficiali: a ciascuna di esse corrisponde una differente zona di cielo circostante la figura individuata dalle stelle stesse. A.5.3 - I NOMI DELLE COSTELLAZIONI Gli astronomi hanno attribuito a tali configurazioni dei nomi propri, la maggioranza dei quali di origine greca, araba o latina. Alcune di esse, come Orione e lo Scorpione, sono frequentemente identificate con stessa denominazione in diversi popoli e civiltà del passato. Le costellazioni visibili da luoghi situati nell’emisfero settentrionale sono state studiate e denominate dalla civiltà dell’antica Grecia; i loro nomi sono riferibili a personaggi della mitologia. Quelle visibili da luoghi situati nell’emisfero australe, che sono state studiate soprattutto da scienziati nell’età illuministica, dopo le grandi esplorazioni del XVI secolo, prendono i loro nomi dalle invenzioni del periodo come “Orologio” e “Microscopio”. A.5.4 - I NOMI DELLE STELLE NELLE COSTELLAZIONI Alle stelle più luminose o più importanti di ciascuna costellazione è stato dato, generalmente dagli antichi, un nome mitologico o di fantasia: così, ad esempio nella costellazione dei Gemelli, troviamo che le due stelle più luminose sono chiamate Castore e Polluce, nella costellazione di Orione due tra le stelle principali sono denominate Betelgeuse e Rigel e la stella che individua la punta della coda nella costellazione dell’Orsa Minore si chiama Stella Polare. 11 Nell’ambito di ciascuna costellazione, le diverse stelle sono indicate con una lettera dell’alfabeto greco, seguita dal nome latino della costellazione cui appartengono; l’ordine delle lettere corrisponde all’ordine di luminosità in senso decrescente. Ad esempio α Ursae Minoris è la stella più luminosa della costellazione dell’Orsa Minore. *Video in inglese “Cos’è una costellazione” http://www.videojug.com/film/what-is-a-constellation “Guida alle costellazioni” http://www.youtube.com/watch?v=uKXBtWHExwQ&feature=related* A.5.5 - LE COSTELLAZIONI NEL CORSO DELL’ANNO In periodi diversi dell’anno, nel cielo notturno si possono osservare costellazioni differenti. Questo fatto è dovuto alle diverse posizioni che la Terra assume nel suo moto di rivoluzione attorno al Sole rispetto alla volta celeste: così, se in un certo periodo dell’anno durante la notte sarà visibile una parte di cielo con le sue costellazioni, nel corso di un periodo differente, sarà accessibile all’osservazione un’altra parte di cielo. Ne consegue la suddivisione stagionale delle costellazioni: si parla, infatti, di costellazioni estive, autunnali, invernali, primaverili a seconda della stagione in cui è possibile osservarle nel cielo notturno. A.5.6 - LE COSTELLAZIONI ZODIACALI Alcune costellazioni si trovano a cavallo dell’eclittica, la linea immaginaria che si ottiene dall’intersezione tra la volta celeste e il piano definito dal percorso della Terra intorno al Sole. Nella tradizione se ne individuano dodici, che fanno parte dello zodiaco. Lo zodiaco - il termine deriva dal greco e significa "immagine di uomini o animali - è una fascia della volta celeste che si estende all'incirca per 8° a Sud e a Nord rispetto all'eclittica. Si tratta di una regione utile da definire per le osservazioni pratiche: tutti i pianeti e la maggior parte degli altri corpi celesti del sistema solare sono visibili e compiono il loro moto apparente avendo come sfondo la fascia dello zodiaco. *Una curiosità Facendo un torto alla botanica, nessuna costellazione dei due emisferi ha il nome di una pianta o di un fiore!* *Video in inglese “Le costellazioni zodiacali” http://www.youtube.com/watch?v=eeQwYrfmvoQ&feature=related* 12 A.5.7 - ZODIACO E OROSCOPO Che legame esiste tra costellazioni zodiacali e oroscopi? In astronomia, appartengono allo zodiaco le costellazioni presenti in quella fascia celeste che interseca l’eclittica. L'astrologia, termine greco che significa "discorso sulle stelle", si propone di fare previsioni sul destino degli uomini, delle popolazioni, delle comunità, degli stati e dei personaggi pubblici in base a presunti influssi che le costellazioni zodiacali avrebbero sulla Terra in relazione ad eventi particolari o sui singoli individui, in base alle posizioni di Sole, Luna e pianeti nelle varie costellazioni della fascia dello zodiaco. Nei tempi precedenti a Copernico, l’astrologia godeva di molto credito, anche poiché astronomia e astrologia erano trattate come unica branca. Oggi l’astrologia è considerata dagli scienziati una disciplina priva di fondamento. Nonostante questo, le persone sovente ritengono credibili le previsioni contenute negli oroscopi. Questa fiducia viene data in maniera acritica e senza controlli successivi sull’effettivo realizzarsi di quanto previsto. Occorre inoltre notare che molto spesso le descrizioni relative alle caratteristiche di ciascun segno zodiacale e le previsioni sono così generiche, che chiunque può trovare elementi di coincidenza con la propria personalità e la propria vita. Tuttavia, per chi vuole affrontare la vita con approccio scientifico, è importante, saper distinguere tra astronomia (scienza) e astrologia (pseudoscienza). *PER I PIU’ CURIOSI Visita il sito www.cicap.org in particolare la sezione sull’astrologia http://www.cicap.org/new/articolo.php?id=200263* A.5.8 - LE OBIEZIONI DELLA SCIENZA ALL’ASTROLOGIA Le motivazioni che portano la scienza a escludere ogni possibile relazione tra posizioni degli astri nel cielo e destino degli uomini sono numerose: Le costellazioni della volta celeste sono 88. Per quale motivo le costellazioni zodiacali dovrebbero contare più delle altre? In effetti, a parte la posizione sulla volta celeste, nulla distingue le costellazioni zodiacali da tutte le altre e non vi è alcun valido motivo per pensare diversamente. Perché, per esempio, non dovrebbe contare la costellazione che si trovava allo zenit (nel punto più alto nel cielo) al momento della propria nascita? In questo modo si potrebbe dire davvero di “essere nati sotto il segno di...”. Le costellazioni zodiacali hanno ampiezza diversa nel cielo. Contrariamente alle credenze comuni, le costellazioni zodiacali hanno ampiezze anche molto diverse: la più estesa è la Vergine, la più ridotta quella dello Scorpione. Se l’ampiezza occupata sulla volta celeste dalle costellazioni zodiacali è diversa da caso a caso, il Sole non può impiegare lo stesso tempo a percorrerle: esso resta 44 giorni nella costellazione della Vergine e solo 7 giorni in quella dello Scorpione. Questo comporta che le suddivisioni dell’anno in dodici periodi di uguale durata, dal 21 di un mese al 20 del successivo, non abbiano alcun significato. 13 Le costellazioni zodiacali sono 13. Se si osserva il cielo, ci si rende conto che nella fascia dello zodiaco, si trovano 13 costellazioni e non 12. Oltre a quelle che danno il nome ai segni zodiacali, Ariete, Toro, Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Bilancia, Scorpione, Sagittario, Capricorno, Acquario e Pesci, ve n’è una tredicesima, la costellazione dell’Ofiuco, o Serpentario. Quindi non vi è corrispondenza tra i 12 segni zodiacali e le 13 costellazioni poste nella fascia dello zodiaco. La tredicesima costellazione occupa uno spazio nella volta celeste posto tra quelli occupati dallo Scorpione e dal Sagittario. Il Sole entra ed esce dalle costellazioni zodiacali in periodi diversi da quelli dei corrispondenti segni. La causa è la precessione degli equinozi. La corrispondenza tra i periodi in cui il Sole permane in una data costellazione zodiacale e i diversi periodi dell’anno venne stabilita più di tremila anni fa. A causa del moto doppio conico dell’asse, l’ingresso e l’uscita del Sole da ciascuna costellazione zodiacale sono posticipati di circa un mese rispetto a quanto stabilito dalla ripartizione dell’anno nei vari segni zodiacali. Nella tabella sono mostrati i periodi effettivi in cui il Sole, nell’anno 2000, ha percorso le varie costellazioni zodiacali. SEGNO DATE ASTROLOGICHE DATE ASTRONOMICHE ARIETE 21 marzo - 20 aprile 19 aprile - 13 maggio TORO 21 aprile - 20 maggio 14 maggio - 19 giugno GEMELLI 21 maggio - 21 giugno 20 giugno - 20 luglio CANCRO 22 giugno - 22 luglio 21 luglio - 9 agosto LEONE 23 luglio - 23 agosto 10 agosto - 15 settembre VERGINE 24 agosto - 22 settembre 16 settembre - 30 ottobre BILANCIA 23 settembre - 22 ottobre 31 ottobre - 22 novembre SCORPIONE 23 ottobre - 22 novembre 23 novembre - 29 novembre OFIUCO 30 novembre - 17 dicembre SAGITTARIO 23 novembre - 21 dicembre 18 dicembre - 18 gennaio CAPRICORNO 22 dicembre - 20 gennaio 19 gennaio - 15 febbraio ACQUARIO 21 gennaio - 19 febbraio 16 febbraio - 11 marzo PESCI 20 febbraio - 20 marzo 12 marzo - 18 aprile 14 Osserviamo il cielo Dove si trovano le costellazioni zodiacali? Sulla volta celeste, l’eclittica è l’intersezione tra il piano dell’orbita terrestre e la sfera celeste. Poiché i principali corpi celesti del Sistema solare hanno il piano orbitale quasi coincidente con il piano dell’eclittica, ne segue che il cammino apparente del Sole e dei cinque pianeti osservabili a occhio nudo, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, si troverà nei pressi dell’eclittica. Le costellazioni attraversate da questi corpi celesti sono quelle dello zodiaco. In momenti diversi dell’anno si osserveranno costellazioni differenti: se il Sole a ottobre si trova nella costellazione della Vergine, questa sarà impossibile da osservare durante quel mese, ma si potrà vedere nel cielo di aprile, sei mesi dopo. Allo stesso modo, Toro e Gemelli, due costellazioni molto riconoscibili, saranno osservabili in pieno inverno, poiché sono percorse dal Sole in estate. Per osservare le varie costellazioni zodiacali occorre dotarsi di un Astrolabio. Nelle librerie si possono acquistare astrolabi di cartone e plastica che possono servire bene allo scopo. Anche internet ovviamente è un valido strumento. Buona ricerca... A.6 - LE STELLE Le stelle sono corpi celesti di forma sferica che brillano di luce propria. Si tratta di ammassi di gas caldissimi, principalmente idrogeno ed elio, all’interno dei quali avvengono processi fortemente esoenergetici, responsabili della continua emissione di energia. Le stelle sono corpi celesti prodotti dall’equilibrio tra forze contrapposte. Esse si mantengono stabili per periodi di tempo anche molto lunghi a causa dell’equilibrio tra la pressione diretta verso il centro dovuta alla forza di gravità e la cosiddetta “pressione di radiazione” diretta verso l’esterno, prodotta dall’energia che si genera al loro interno. Anche utilizzando i più potenti telescopi, le stelle appaiono puntiformi poiché si trovano a distanze enormi dal nostro sistema solare . A.6.1 - FORMAZIONE DELLE STELLE. Le stelle si originano dalla contrazione di nebulose di grandi dimensioni, formate da gas e polveri. Una sola nebulosa può originare decine o centinaia di stelle, a seconda della sua dimensione originaria. Per azione della forza di gravità, i materiali che costituiscono la nube si comprimono, aumentando la propria temperatura. L’inizio del processo di contrazione può avvenire per interferenze gravitazionali di altri corpi o a causa di altri fenomeni, come esplosioni molto violente di stelle molto grandi che avvengano nelle vicinanze: le particelle di gas e polveri, investite dall’onda d’urto dell’esplosione, si avvicinano tra loro a sufficienza per innescare il processo di formazione stellare. Il materiale diffuso della nebulosa si frammenta così in porzioni distinte, che andranno a generare numerose stelle, destinate di solito ad allontanarsi nel tempo le une dalle altre. Alcune, tuttavia, restano legate da una forza di tipo gravitazionale e ruotano attorno a un baricentro comune: all’osservazione con il telescopio appaiono doppie, o anche triple. * La nebulosa dell’Aquila. Si tratta di un’enorme nebulosa di gas e polveri all’interno della quale si stanno formando migliaia di stelle.* 15 A.6.2 - STRUTTURA DELLE STELLE La superficie esterna di una stella è definita fotosfera, e può avere temperature che variano tra i 4.000 e i 30.000 gradi a seconda della massa della stella: stelle più grandi sono caratterizzate da temperature più alte. Le stelle sono corpi celesti con una struttura a strati: al di sotto della fotosfera vi sono strati di gas che trasmettono verso l’esterno l’energia che si genera nella parte più interna, il nucleo. Nel nucleo, la zona più calda, la temperatura è tale da dar luogo ai processi che generano energia. A.6.3 - L’ENERGIA DELLE STELLE I processi che avvengono all’interno delle stelle sono reazioni di fusione nucleare. Nel corso della maggior parte dell’esistenza di una stella, i nuclei degli atomi di idrogeno fondono insieme generando nuclei più grandi di elio. Il rapporto numerico tra idrogeno consumato ed elio prodotto è di 4 a 1. Poiché 4 nuclei di idrogeno hanno una massa leggermente maggiore di un nucleo di elio, durante il processo la massa si riduce, in un certo senso “scompare”. Tuttavia, in natura nulla può sparire del tutto: la massa mancante in realtà si converte in energia. Questi processi di fusione nucleare possono avvenire solamente a pressioni elevatissime e a partire da temperature di circa 10.000.000 gradi Kelvin, condizioni che si verificano nella parte più interna delle stelle, nel nucleo appunto. Queste pressioni e temperature sono tali da superare la forza di repulsione elettrostatica tra i nuclei di idrogeno, particelle con cariche dello stesso segno. * Video animazione “Le reazioni di fusione dell’idrogeno in elio” http://astro.unl.edu/classaction/animations/sunsolarenergy/fusion01.html* A.6.4 - LA FINE DELL’IDROGENO Quando l’idrogeno presente nel nucleo termina, le stelle vanno incontro a squilibri e cambiamenti durante i quali la loro dimensione aumenta enormemente e si riduce la temperatura superficiale: si formano così le cosiddette giganti e supergiganti rosse. In questo stadio, buona parte della loro massa viene dispersa nello spazio circostante e va ad alimentare le nebulose eventualmente presenti nelle loro vicinanze. Il destino finale delle stelle dipende unicamente dalla loro massa iniziale. A.6.5 - STADI FINALI DI STELLE PICCOLE Le stelle più piccole (quelle con massa iniziale inferiore a 8 volte quella del Sole) si spengono lentamente e tranquillamente. Buona parte del loro materiale si compatta in piccoli corpi celesti detti nane bianche, destinate lentamente a spegnersi nel corso di miliardi di anni; la parte restante viene espulsa verso lo spazio esterno e forma nubi sferiche in espansione, dette nebulose planetarie; i gas che formano queste nebulose sono luminosi a causa dell’energia emessa dalla nana bianca posta al centro. 16 Il diametro delle nane bianche è pari a qualche migliaio di chilometri, molto inferiore a quello delle stelle originarie e dello stesso ordine di grandezza dei pianeti più piccoli. La temperatura superficiale si attesta inizialmente attorno ai 10.000 K. * Video in inglese “The death of stars” http://www.spacetelescope.org/videos/hubblecast52a/* *La nebulosa planetaria Ring ha al centro una stella una nana bianca: è ciò che resta della stella originaria.* A.6.6 - STADI FINALI DI STELLE GRANDI Le stelle più grandi (massa iniziale maggiore di 8 masse solari) attraversano stadi esplosivi. Nel corso di queste esplosioni, in brevissimo tempo queste stelle emettono enormi quantità di energia e scagliano nello spazio circostante gran parte della materia di cui sono formate. In questo stadio tali stelle divengono luminosissime e sono definite supernove. Il materiale disperso forma nubi luminose in rapidissima espansione, di forma caotica e sfilacciata, come la nebulosa del Granchio. Quel che resta dell’esplosione si contrae in maniera catastrofica, originando corpi celesti molto piccoli e densi: stelle di neutroni o buchi neri. Le stelle di neutroni, come dice il termine, sono costituite da soli neutroni, in quanto l’elevatissima forza di gravità ha spinto gli elettroni a fondersi con i protoni dei nuclei atomici. Poiché il volume degli atomi è dato soprattutto da quello della zona orbitale, mentre il volume del nucleo è migliaia di volte inferiore, questo processo determina una grande riduzione del volume del corpo celeste: le stelle di neutroni hanno, infatti, diametri di qualche decina di chilometri. Esse inoltre ruotano velocissimamente su se stesse, poiché con la contrazione la velocità di rotazione viene grandemente accelerata. I buchi neri sono strani corpi celesti molto piccoli, qualche chilometro di diametro, di cui si sa poco, se non che la gravità è così forte che nemmeno l’energia eventualmente da essi generata può allontanarsi da essi in forma di luce o altro tipo di radiazione. Così a una certa distanza dal centro vi è una superficie sferica detta orizzonte degli eventi, al di là del quale non è possibile spingersi con le osservazioni. * La nebulosa del Granchio è ciò che resta dell’esplosione in forma di supernova di una stella di massa molto grande.* Data la grande intensità del loro campo gravitazionale, essi sono inoltre in grado di attrarre a sé con molta efficacia eventuale materiale presente nello spazio circostante. Da queste due caratteristiche deriva il nome dato ad essi dagli scienziati: il termine “buco” fa riferimento al fatto che qualsiasi materiale si avvicini troppo, ne viene attratto senza possibilità di allontanarsi e “cade” dentro di esso come in una sorta di voragine cosmica; il termine “nero” si riferisce all’impossibilità di emettere direttamente radiazione nello spazio esterno: un corpo che non emette radiazione è nero. Ma se non sono visibili, come si può essere certi della loro esistenza? In effetti, se è vero che è impossibile osservare direttamente un buco nero, se ne possono osservare gli effetti nel caso che vi siano altri corpi celesti nelle vicinanze. Se ad esempio un buco nero si trova vicino a 17 una stella, esso è in grado di risucchiarne progressivamente il materiale costituente: dalla superficie della stella si forma così un flusso di gas incandescente diretto verso il buco nero. Man mano che si avvicina, la velocità e la temperatura di questo gas aumenta ed esso emette radiazione sempre più intensa fin a un istante prima di sparire alla vista al momento del suo ingresso oltre l’orizzonte degli eventi. * Multimedia in inglese “Black holes” http://hubblesite.org/explore_astronomy/black_holes/ video in italiano “Vita e morte di una stella” History channel parte 1 - http://www.youtube.com/watch?v=Kbrbz90GuJc parte 2 - http://www.youtube.com/watch?v=-GeL2Jvcae8 parte 3 - http://www.youtube.com/watch?v=c-hboIk4Fzw* A.6.7 - LA LUMINOSITÀ DELLE STELLE Le stelle non appaiono tutte uguali, alcune sono più luminose di altre: la differenza si vede anche a occhio nudo, senza utilizzare alcuno strumento. L’intensità della luce emessa da una stella così come ci appare dalla Terra, è detta magnitudine apparente e si indica con “m”. La magnitudine apparente dipende da due parametri: la luminosità intrinseca della stella, cioè la quantità di luce che essa emette, e dalla distanza tra la stella e la Terra. La magnitudine si indica con un numero preceduto da un segno: le stelle più luminose sono quelle con valori negativi più alti (vedi la Tabella 2). Gli astronomi, per confrontare tra loro stelle e anche altri corpi celesti, considerano anche la magnitudine assoluta (M): una grandezza fisica che non dipende dalla distanza della stella ma solo dalla quantità di energia emessa e quindi permette il confronto delle luminosità delle varie stelle. La magnitudine assoluta si può ricavare solo per le stelle di cui è nota la distanza dalla Terra. Osserviamo il cielo A cosa è dovuto lo scintillio delle stelle? L’emissione di luce da parte delle stelle è costante, salvo i casi di stelle variabili, la cui luminosità può variare nell’arco di giorni o mesi, ma non da un istante all’altro. Lo scintillio delle stelle è causato della presenza dell’atmosfera terrestre e dai suoi movimenti. Quando le stelle sono alte in cielo, tremolano meno poiché lo strato di atmosfera che la luce attraversa prima di giungere ai nostri occhi è più sottile. MAGNITUDINE APPARENTE MAGNITUDINE ASSOLUTA COLORE m = - 26,8 M = 4,9 giallo BETELGEUSE m = 0,4 M = 0,4 rosso RIGEL m = 0,14 M = - 6,8 bianco m = 11 M = 15,4 rosso STELLA SOLE PROXIMA CENTAURI 18 * Nella tabella sono indicate la magnitudine apparente “m” e assoluta “M” di alcune stelle. Si può notare l’elevata magnitudine apparente del Sole e la sua scarsa magnitudine assoluta: è molto vicino alla Terra e quindi ci appare molto luminoso, pur essendo una stella non particolarmente significativa in termini assoluti. N.B. Betelgeuse e Rigel fanno parte della costellazione di Orione e si possono osservare a occhio nudo nelle serate limpide invernali. Proxima centauri è la stella più vicina a noi: dista “solo” 4,3 anni luce, cioè 40.880 miliardi di km.* *Video in inglese - “Perché le stelle scintillano?” http://www.videojug.com/film/why-do-the-stars-twinkle* A.6.8 - IL COLORE DELLE STELLE Il colore di una stella dipende dalla temperatura dello strato di gas più superficiale, la fotosfera. Le stelle rosse e arancio sono le più fredde, con temperature superficiale tra i 3.000 e i 4.000 Kelvin, le stelle gialle hanno temperatura tra 5.000 e 6.000 gradi, le stelle bianche hanno temperatura attorno ai 10.000 gradi, mentre quelle azzurre, le più calde hanno temperature superficiali intorno ai 20.000 °C. La temperatura superficiale del Sole, una stella gialla, è di 5.500 °C. Osserviamo il cielo Perché la luce delle stelle ci appare bianca? Osservando di notte un bel cielo terso se avessimo pazienza di contare le stelle, finiremmo per stancarci e forse riusciremmo a distinguerne fino a qualche migliaio. Esse ci appaiono tutte come punti di luce bianca, nonostante le loro caratteristiche possano essere assai diverse. Sappiamo infatti che la temperatura della fotosfera è diversa per stelle di dimensioni differenti e, dato che corpi incandescenti con temperature differenti assumono colore diverso, anche le stelle dovrebbero apparirci colorate. Non a caso abbiamo utilizzato il verbo apparire. Osservando con più attenzione, magari con la coda dell’occhio, o utilizzando un binocolo, o prendendo una fotografia con fotocamere particolarmente sensibili, le stelle appaiono effettivamente di colori diversi: alcune bianche, altre azzurre, altre rossastre. A.6.9 - IL DIAGRAMMA DI HERTZSPRUNG-RUSSEL Nella prima parte del ventesimo secolo due astronomi, Hertzsprung (danese) e Russell (americano) concepirono indipendentemente l’uno dall'altro uno schema capace di mettere in relazione i diversi parametri riguardanti le stelle. Questo schema risulta una “istantanea” dell'Universo, con rappresentati gli innumerevoli corpi stellari così come ci appaiono oggi, non solo a diversi stadi di sviluppo, ma anche riferiti a età variabili. Sono riportate in un grafico bidimensionale le temperature e le luminosità assolute delle varie stelle disponendo un indicatore di temperatura (colore o/e classe spettrale) sull'asse delle ascisse con i valori decrescenti verso destra e un indicatore di luminosità assoluta sull'asse delle ordinate (ponendo per il sole il valore 1 e riportando gli altri valori in potenze di 10). 19 A ciascuna stella viene fatto corrispondere un punto su tale diagramma, a seconda dei valori delle due proprietà. Tali punti non risultano distribuiti a caso, ma formano dei gruppi di stelle di cui il più evidente risulta quello della sequenza principale, contraddistinto da stelle poste tutte in prossimità di una linea che attraversa il grafico dalla parte in basso a destra (nane rosse, le più longeve) alla parte in alto a sinistra (giganti azzurre, le più rapide a consumarsi). Anche il Sole appartiene a questo gruppo e si trova nella zona delle stelle nane gialle. Un gruppo meno numeroso è collocato in alto a destra ed è rappresentato dalle giganti rosse, mentre un altro modesto gruppo è in basso a sinistra ed è contraddistinto da stelle piccole ma molto luminose, le nane bianche. Questi ultimi due gruppi rappresentano momenti evolutivi diversi di una stella durante la sua esistenza. Gli studi teorici sulle reazioni nucleari stellari, basati sulle diverse masse coinvolte in questi fenomeni hanno chiarito il significato del diagramma H-R che è oggi un potente strumento per tracciare le tappe fondamentali dell'evoluzione dei vari tipi di stelle. Nella sequenza principale sono presenti quelle stelle in equilibrio dinamico che stanno trasformando Idrogeno (H) in Elio (He), rimangono in questo stadio evolutivo per la maggior parte della loro esistenza e per un periodo che dipende dalla massa iniziale (stelle più piccole ci restano per tempi più lunghi); tra le giganti rosse si trovano stelle in “rapida” evoluzione che hanno già abbandonato la sequenza principale e che si accingono a consumare Elio (He) come “combustibile” nucleare per produrre Carbonio (C); tra le nane bianche invece troviamo gli ultimi stadi di esistenza di stelle con dimensioni originali simili al Sole, costituite da materiali in contrazione ed ad altissima densità. DOMANDE PER IL RIPASSO MODULO A 1. Si dice che il nostro Universo sia in evoluzione, cioè che esso cambi nel tempo. In cosa consiste il principale cambiamento? 2. In che cosa consiste una galassia? 3. Per quale motivo le galassie ruotano lentamente su se stesse? 4. Di cosa sono formate le nebulose? 5. Qual è l’unità di misura corrente per esprimere le distanze nell’universo? In che cosa consiste? Per quale motivo non si utilizzano i chilometri? 6. In cosa consiste una costellazione? 7. Cos’hanno di speciale le costellazioni zodiacali? 8. In che cosa consistono le stelle? 9. In che cosa consiste il processo che genera l’energia che le stelle emettono in continuazione 10.Qual è il parametro che influenza in maniera determinante gli stadi finali dell’esistenza di una stella? 11. In che cosa consiste una supernova? 12.Per quale motivo le stelle di neutroni sono più piccole delle nane bianche? 20 CACCIA ALL’ERRORE MODULO A 1. Le galassie sono enormi aggregati sferici di stelle e nebulose. 2. Le nebulose sono enormi ammassi di vapore. 3. L’anno-luce è il tempo necessario affinché la luce percorra una distanza pari a 9.500 miliardi di chilometri. 4. Le costellazioni sono gruppi di stelle vicine tra loro nello spazio. 5. Le costellazioni zodiacali sono 12, pari ai 12 segni zodiacali dell’oroscopo. 6. Nelle stelle avviene la combustione dell’idrogeno. 7. Il destino finale di una stella dipende dalle sue dimensioni iniziali. 8. Un buco nero è un corpo celeste cavo, avvolto da un guscio sferico detto orizzonte degli eventi. 21 MODULO B - CASA NOSTRA. IL SISTEMA SOLARE. B.1 - IL SISTEMA SOLARE Il Sistema solare è l’insieme dei corpi celesti legati al Sole dalla forza di gravità. Esso ha un’estensione di circa 12x109 km. Il Sole è è una stella. Si tratta del corpo celeste di massa maggiore nel Sistema solare: da solo comprende più del 99% della sua massa complessiva; per questo è il corpo attorno al quale orbitano (cioè ruotano) tutti gli altri. Gli altri corpi celesti presenti nel sistema orbitano intorno al Sole e ne riflettono la luce. I corpi che ne fanno parte vengono classificati in corpi maggiori, i pianeti, e corpi minori, asteroidi, comete, meteoroidi. Quando un corpo è in movimento attorno ad un altro, la forza di gravità che lega i due corpi ha in primo luogo l’effetto di curvare la traiettoria del moto in una linea chiusa detta “orbita”: i pianeti e i corpi minori del sistema solare percorrono ciascuno una propria orbita intorno al Sole. *Video ”Il sistema solare” http://www.videojug.com/film/the-planets-explained* B.1.1 - ORIGINE DEL SISTEMA SOLARE Il nostro Sistema solare si è originato circa 5 miliardi di anni fa da una enorme nube di gas e polveri che ruotava lentamente su se stessa. Il fenomeno che, secondo le teorie più accreditate, ha dato inizio alla formazione del Sistema solare è stato l’esplosione di una stella vicina, forse una supernova. In seguito a tale esplosione, la perturbazione dello spazio ha innescato una serie di squilibri che hanno determinato la progressiva contrazione della nebulosa originaria. Tale processo viene comunemente definito collasso gravitazionale. La progressiva riduzione di volume ha determinato un graduale aumento della velocità di rotazione: la nebulosa ha così progressivamente assunto la forma di un disco, rigonfio al centro. B.1.2 - ORIGINE DEL SOLE E DEI PIANETI Un’altra conseguenza del collasso gravitazionale è stato il progressivo innalzamento della temperatura, molto più accentuato nel rigonfiamento centrale. Questa zona, che comprendeva la stragrande maggioranza del materiale originario della nebulosa, si è progressivamente trasformata in una protostella, un corpo celeste molto caldo ma ancora incapace di emettere luce: si era formato il Protosole Anche nelle zone periferiche della nebulosa, l’aumento della concentrazione di materia favorì la condensazione della materia interstellare: si originarono in questo modo i pianeti e gli altri corpi minori. La forza centrifuga associata alla rotazione della nube e la diminuzione della temperatura dal centro verso la periferia hanno fatto sì che i materiali della nebulosa originaria si distribuissero in modo 22 diverso: nel Sistema solare la composizione chimica dei vari pianeti è legata alla loro posizione rispetto al centro. Man mano che i pianeti aumentavano di massa e dimensioni, aumentava anche la forza di gravità, che tratteneva particelle orbitanti nello spazio circostante: attorno ad alcuni pianeti si è formata in questo modo un’atmosfera di gas. B.1.3 - L’ACCENSIONE DEL SOLE La fase “finale” di completamento della formazione del Sistema solare così come lo conosciamo oggi è avvenuta 4,7 miliardi di anni fa. Nel Protosole la temperatura interna ha raggiunto i 10 milioni di gradi Kelvin, sufficienti per l’innesco delle reazioni di fusione nucleari: l’enorme quantità di energia sviluppata ha originato in breve un intenso vento solare, che ha progressivamente allontanato gas e polveri residue dallo spazio compreso tra i pianeti. B.2 - IL SOLE Il Sole è una stella di dimensioni medio-piccole, con una fotosfera di colore tra bianco e giallo, con una temperatura attorno ai 6.000 gradi Kelvin. Il suo raggio misura 700.000 chilometri, più di 100 volte quello terrestre. La fotosfera è la superficie incandescente della nostra stella; ha un aspetto granulare, in quanto è formata dagli apici di celle convettive di gas molto caldo che proviene dall’interno. La parte centrale di ogni granulo, più luminosa, è costituita dal gas più caldo che sale; esso poi si raffredda, irradiando energia nello spazio, e si distribuisce verso i margini, un poco più scuri. Sulla fotosfera, con un periodo di circa 11 anni, compaiono e scompaiono macchie scure, singole o a gruppi. Si tratta di zone depresse e più fredde rispetto alle zone circostanti; la loro formazione è dovuta a campi magnetici localizzati. Esternamente alla fotosfera, il Sole presenta una corona solare, formata da gas rarefatto che si allontana nello spazio circostante. Essa si rende visibile durante le eclissi totali di Sole (vedi sezione C). Osserviamo il cielo Non è impossibile osservare il Sole, ma occorre mettersi nelle condizioni di non subire danni alla retina: quindi non bisogna assolutamente guardarlo senza un’adeguata protezione. In alternativa, si possono contattare gruppi di astrofili che ne guideranno l’osservazione in piena sicurezza. In questi casi, l’osservazione è compiuta su una lastra di materiale bianco su cui si proietta l’immagine del Sole. È possibile allora distinguere con chiarezza la granulazione della fotosfera e le macchie eventualmente presenti sulla sua superficie. *Video “Cos’è il Sole” http://www.videojug.com/film/what-is-the-sun 23 “SDO Year one” http://www.youtube.com/watch?v=U_MKL_fjDLo* B.3 - I PIANETI I pianeti sono corpi celesti di forma sferica, che orbitano attorno a stelle e brillano di luce riflessa. La forma sferica è propria di tutti gli oggetti celesti che possiedono una massa sufficientemente grande da far sì che la gravità ne annulli in gran parte le irregolarità. Il fatto che non emettano luce propria ma si limitino a riflettere la luce delle stelle attorno alle quali orbitano dipende dall’assenza di reazioni di fusione nucleare al loro interno. Un’altra caratteristica dei pianeti è che la traiettoria che essi compiono intorno alla propria stella è libera da altri corpi celesti di dimensioni paragonabili. I pianeti sono corpi celesti sferoidali che orbitano attorno ad una stella; attorno al Sole ne troviamo otto I pianeti del Sistema solare sono otto. Allontanandosi progressivamente dal Sole si trovano Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno. *I pianeti nell’ordine con cui si succedono intorno al Sole: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno; ‘pianetini’ è sinonimo di ‘asteroidi’: tali corpi minori sono collocati per lo più (ma non solo) tra l’orbita di Marte e quella di Giove.* Osserviamo il cielo Se osserviamo con continuità un pianeta sulla volta celeste, ci accorgiamo che la sua posizione muta tra le stelle delle costellazioni nel corso di settimane o mesi, mentre le stelle sono fisse: questo lento cambiamento di posizione è stato osservato e descritto anche dagli antichi. Per individuarne la posizione esatta nei cieli, si cerchi in internet sui siti dei vari gruppi di astrofili. *Curiosità I pianeti sono visibili ad occhio nudo fino a Saturno: pertanto essi sono noti fin dall’antichità, quando cannocchiali e telescopi non erano ancora stati inventati.* B.3.1 - CLASSIFICAZIONE DEI PIANETI I primi quattro pianeti, Mercurio, Venere, Terra e Marte, sono più piccoli e rocciosi, come la Terra: per questo motivo sono anche definiti pianeti terrestri. Essi sono costituiti in gran parte da rocce e metalli e hanno una struttura interna molto simile: la parte centrale è occupata da un nucleo metallico costituito in buona parte da ferro, attorno al quale si trova una porzione più sviluppata, formata da rocce silicatiche, detta mantello. In generale, questi pianeti hanno un’atmosfera molto ridotta rispetto alle loro dimensioni; Mercurio ne è privo e infatti la sua superficie appare costellata di crateri da impatto. Osserviamo il cielo I pianeti interni, avendo un’orbita più piccola rispetto a quella terrestre, non si discostano mai troppo dal Sole e sono osservabili solamente al mattino verso Est o alla sera verso Ovest. 24 Inoltre, mentre i pianeti esterni sono sempre osservabili, almeno con un binocolo, come piccoli dischi, i pianeti interni non ci presentano mai tutta la superficie illuminata, ma appaiono alla vista con la parte illuminata rivolta verso il Sole. Gli altri quattro pianeti sono dei giganti gassosi; Giove e Saturno sono formati per lo più da idrogeno ed elio allo stato aeriforme, mentre Urano e Nettuno sono più ricchi in ghiacci (metano, acqua e ammoniaca). Poiché Giove è il più grande, essi sono definiti pianeti gioviani. Quando si osservano questi pianeti, sembra di vederne la superficie; in realtà si vede la superficie superiore degli strati più esterni di nubi, così come da un aereo, con tempo nuvoloso, si osserva la superficie superiore delle nuvole del nostro pianeta. I pianeti vengono anche classificati in base alla posizione della loro orbita rispetto a quella terrestre: in questo senso Mercurio e Venere si definiscono pianeti interni, mentre gli altri, da Marte a Nettuno, sono detti pianeti esterni. Nell’elenco dei pianeti non compare Plutone, a lungo considerato l’ultimo dei pianeti. * Grafico interattivo in inglese “Caratteristiche dei pianeti” http://astro.unl.edu/classaction/animations/solar/solarsystemproperties.html Video scherzoso per bimbi “La canzone del Sistema solare” http://www.youtube.com/watch?v=BZ-qLUIj_A0&feature=related* B.3.2 - GLI OGGETTI TRANSNETTUNIANI Dal 2006 la IAU (International Astronomic Union) non considera più Plutone come pianeta: questo è dovuto al fatto che oltre l’orbita di Nettuno non si trova solo lo stesso Plutone, ma una fascia di corpi celesti detti trans-nettuniani, cioè posti oltre Nettuno, in orbita anch’essi attorno al Sole. Il numero di questi oggetti celesti è elevato, attualmente stimato oltre il migliaio e Plutone è uno dei rappresentanti più grandi. Altri oggetti trans-nettuniani sferoidali di notevoli dimensioni sono Haumea, Makemake ed Eris. Questi, insieme a Plutone, sono anche detti pianeti nani, mentre non sono considerati tali altri oggetti trans nettuniani non sferoidali (cioè di forma irregolare). Si definisce pianeta nano un corpo celeste di forma sferoidale che si muove attorno ad una stella descrivendo un’orbita nella quale sono presenti altri oggetti di dimensioni confrontabili che ne perturbano il movimento. B.3.3 - MOTI DEI PIANETI I pianeti compiono due movimenti: ๏ ruotano su se stessi attorno a una linea immaginaria, detta asse di rotazione; questa linea può essere perpendicolare ma nella maggior parte dei casi è più o meno inclinata rispetto al piano dell’orbita; ๏ ruotano intorno al Sole lungo un’orbita leggermente ellittica. Ogni pianeta del Sistema solare ha un suo distinto piano orbitale, ma i vari piani orbitali sono poco inclinati fra loro rispetto all’orbita terrestre: l’inclinazione massima tra i vari piani orbitali è inferiore a 5°: questo è tra i più chiari indizi della loro origine comune. 25 B.3.4 - PIANETI EXTRASOLARI I pianeti del Sistema solare non sono gli unici pianeti conosciuti: attualmente infatti sono noti oltre quattrocento pianeti “extrasolari”, cioè in orbita intorno ad altre stelle! Ed il loro numero sembra destinato a salire. E’ ormai evidente e dimostrato che i pianeti sono un ricorrente “sottoprodotto” della formazione delle stelle. * Due pianeti extrasolari: Kepler 20e ha diametro di poco inferiore a Venere, e Kepler 20f ha diametro di poco superiore alla Terra.* B.3.5 - DISTANZA DEI PIANETI DAL SOLE La nostra Terra è il terzo pianeta dal Sole, da cui dista in media 150 milioni di km; tale valore è usato dagli astronomi che studiano il sistema solare come unità di misura: è detta infatti unità astronomica (U.A.). Spesso le distanze degli altri pianeti sono riportate in frazioni o multipli di questa unità di misura. Un esempio: Nettuno dista dal Sole 30 volte la distanza Terra – Sole, 30 U.A. L’unità di misura utilizzata per le distanze dei corpi celesti all’interno del Sistema Solare. Corrisponde alla distanza media Terra-Sole, l’unità astronomica 1 U.A. =149.600.000 km NETTUNO È IL PIÙ LONTANO distanza media in km 4497 milioni di km = 4 miliardi e 497 milioni di km distanza media in U.A. 4497/150 = 30 U.A. MERCURIO È IL PIÙ VICINO distanza media in km 57 milioni di km distanza media in U.A. 57/150 = 0,38 U.A. B.4 - LE LEGGI DI KEPLERO. Il moto dei pianeti attorno al Sole è detto moto di rivoluzione ed è descritto dalle 3 leggi di Keplero, l’astronomo tedesco che perfezionò la teoria eliocentrica, introducendo due grosse novità rispetto al passato: 1. l’orbita dei pianeti non è circolare (il cerchio era ritenuta la figura geometrica perfetta, immagine della perfezione divina), 2. la velocità orbitale dei pianeti non è costante. Il suo lavoro è oggi riassunto in tre enunciati, noti come leggi di Keplero. 26 Prima legge di Keplero. Numerose e ripetute osservazioni riguardanti il moto della Terra e degli altri pianeti del Sistema solare attorno al Sole hanno portato a individuare con chiarezza la forma delle loro orbite. La prima legge di Keplero riguarda proprio la forma delle orbite dei pianeti: in tutti i casi, i pianeti descrivono orbite lievemente ellittiche intorno al Sole; in tutti i casi considerati, il Sole occupa uno dei due fuochi dell’ellisse. Il punto di maggior vicinanza tra Sole e pianeta è detto perielio, quello di maggior lontananza è detto afelio. *L’orbita della Terra è quasi circolare, diversamente da quanto riportato su molte altre immagini. E’ anche indicato il verso di rivoluzione del pianeta intorno al Sole: data l’origine comune dei pianeti, esso è lo stesso per tutti: antiorario.* *Johannes Kepler 1571-1630 Astronomo, matematico e musicista tedesco.* Seconda legge di Keplero. In ragione della forma ellittica della sua orbita, la distanza tra il Sole e il pianeta varia continuamente: è minore in prossimità del perielio e maggiore in prossimità dell’afelio. A distanze minori corrispondono valori più elevati della forza di attrazione gravitazionale e viceversa: pertanto, la velocità orbitale è maggiore quando il pianeta è più vicino e minore quando il pianeta è più lontano. Nel caso della Terra, ad esempio, la velocità orbitale al perielio è pari a 30 km/sec, all’afelio è di 29 km/sec. Questa variazione si può esprimere con la seguente legge, nota come seconda legge di Keplero: il raggio vettore, cioè il segmento immaginario che unisce un pianeta al Sole, descrive aree uguali in tempi uguali. Terza legge di Keplero. Pianeti posti a diverse distanze dal Sole si muovono con velocità differenti. I pianeti più vicini, sottoposti a un’attrazione gravitazionale più elevata, si muovono più velocemente, mentre quelli più lontani si muovono più lentamente. Questo comporta che il tempo necessario affinché un pianeta compia per intero il suo moto di rivoluzione (periodo) è diverso da caso a caso: in particolare, esso è via via minore, man mano che ci si allontana dal Sole. Anche questo fatto può essere espresso mediante una relazione matematica: essa è nota come terza legge di Keplero e si può esprimere come segue: il quadrato del periodo di rivoluzione di un pianeta è proporzionale al cubo della sua distanza media dal Sole. * Video interattivo in inglese “Le leggi di Keplero” http://astro.unl.edu/naap/pos/animations/kepler.html* Facciamo un semplice calcolo. Forse non sembra, ma la velocità con cui la Terra orbita intorno al Sole è elevatissima! Trasformiamola in km/ora, una unità più familiare. Un’ora si compone di 60 min, ognuno fatto di 60 sec: i secondi in un’ora sono quindi 60 x 60 = 3.600. A 30 km/sec, la Terra in un’ora percorre: 30 x 3.600 = 108.000 km. 27 Quindi la Terra viaggia nello spazio a 108.000 km/ora!! Si lascerebbe dietro una Ferrari … e noi ci siamo sopra. Prova ora a calcolare quanta strada percorre il nostro pianeta in 365 giorni, cioè in un anno, il tempo impiegato a completare una orbita intorno al Sole. B.5 - GLI ASTEROIDI Gli asteroidi sono un gruppo di piccoli corpi celesti, rocciosi e metallici che ruotano attorno al Sole internamente all’orbita di Giove. La maggior parte degli asteroidi si trova in una zona, chiamata fascia principale, compresa tra le orbite di Marte e Giove. I più grandi tra di essi, quelli con diametro superiore a 120 km, si pensa si siano formati per progressivo accrescimento durante le prime fasi della formazione del Sistema solare, mentre i corpi più piccoli sarebbero i frammenti degli innumerevoli urti tra corpi più grandi preesistenti. Gli asteroidi sono oggetti di natura rocciosa o metallica, di dimensioni molto più piccole rispetto ai pianeti Gli asteroidi sono detti anche pianetini; essi ruotano intorno al Sole in tempi lunghi dai tre ai sei anni. Vi sono diversi gruppi di asteroidi nel Sistema solare più interno, di cui i principali sono i seguenti: Cintura degli Asteroidi: si tratta di milioni di piccoli oggetti, che orbitano in una regione di spazio compresa tra l’orbita di Marte e quella di Giove; Troiani: si tratta anche in questo caso di milioni di asteroidi, che condividono l’orbita del pianeta Giove; sono suddivisi in due gruppi, l’uno precede e l’altro segue il pianeta a una distanza angolare di 60°; Asteroidi vicini alla Terra: si tratta di qualche migliaio di oggetti con diametro inferiore ai 30 km; sono in gran parte di asteroidi della Cintura, deviati dalla loro orbita dall’interferenza gravitazionale del pianeta Giove; le orbite di alcuni di essi intersecano quella terrestre, quindi essi possono costituire un serio rischio per il nostro pianeta in caso di collisione. B.6 - LE COMETE Le comete sono piccoli corpi celesti formati da polveri, frammenti rocciosi e ghiacci (acqua, anidride carbonica, metano e ammoniaca allo stato solido); la forma è irregolare e il loro diametro è compreso tra poche centinaia di metri e alcune decine di chilometri. Le comete sono corpi ghiacciati, con all’interno intrappola in sé anche particelle solide e pulviscolo cosmico. Si pensa che vi sia un gran numero (migliaia di miliardi) di corpi di questo tipo in una grande regione di forma sferica esterna all’orbita di Nettuno, detta Nube di Oort. Quando si avvicinano al Sole, a causa della radiazione solare e del flusso di particelle (vento solare) che il Sole emette nello spazio circostante, il materiale ghiacciato sublima e genera un sottile temporaneo velo di gas, detto chioma, attorno al nucleo solido e una lunga coda di materiale gassoso e di particelle solide. Sovente si formano due code distinte, l’una, di colore bluastro, formata da gas ionizzati, l’altra, di colore bianco, costituita da polveri e materiale roccioso, che riflette la luce del Sole. La conseguenza è che ad ogni passaggio vicino al Sole, le comete periodiche perdono massa e diventano più piccole 28 A causa di interferenze gravitazionali con i pianeti esterni, alcune di esse si avvicinano al Sole. Le comete vengono classificate in base alla forma della loro orbita. Comete periodiche: si tratta di comete con orbite chiuse a forma di ellissi molto eccentriche, cioè molto schiacciate: in questo caso le comete restano nel sistema solare, rispettando le leggi di Keplero e si avvicinano periodicamente al Sole. Le comete periodiche ad ogni passaggio vicino al Sole perdono massa e diventano più piccole. L’esempio più classico è la cometa di Halley, che si avvicina al Sole ogni 76 anni circa. Essa fu individuata come periodica nel 1682 e passò l’ultima volta vicino al Sole, rendendosi visibile dalla Terra, nel 1986. Tornerà di nuovo dalle nostre parti nel 2061. Comete aperiodiche: si tratta di comete con orbite aperte di tipo iperbolico: in questi casi la cometa è destinata ad effettuare un solo passaggio attorno al Sole, per poi allontanarsene indefinitamente. Un esempio di cometa aperiodica è la cometa Hale-Bopp: scoperta nel 1995, essa si rese ben visibile, anche a occhio nudo, nell’aprile del 1997. *La cometa Hale-Bopp ha una parte centrale più luminosa e due scie di colore diverso. Le code delle comete possono estendersi per molti milioni di Km, sebbene il loro nucleo ne misuri solo qualche decina o centinaia in diametro.* Alcune comete collidono col Sole o con i pianeti del Sistema solare, andando incontro a definitiva distruzione. Osserviamo il cielo Le code delle comete sono rivolte sempre in direzione opposta al Sole e talvolta sono ben visibili anche a occhio nudo. Ogni mese almeno due o tre comete solcano i nostri cieli notturni, ma sono visibili solo con gli strumenti, telescopi o binocoli; solo a volte si rendono visibili a occhio nudo. Finché sono nel sistema solare esterno, le comete non sono osservabili da Terra per via delle loro dimensioni ridotte. * Video in inglese “Cosa sono le comete” http://www.videojug.com/film/what-is-a-comet* (APPROFONDIMENTO LE COMETE di Dino Ticli Le comete appaiono in cielo come astri luminosi poi a mano a mano che passa il tempo si allungano e mostrano una caratteristica coda; infine tornano a rimpicciolirsi e a scomparire nel giro di pochi mesi. Esse provengono da una regione molto lontana nello spazio ai confini del Sistema Solare, quella che gli astronomi chiamano “nube di Oort”. Alcune passano vicine al sole con una certa regolarità; altre invece fanno la loro comparsa una sola volta e poi scompaiono per sempre. Una cometa non è altro che una palla “di neve sporca” o di “fango ghiacciato”, cioè un aggregato irregolare di ghiaccio, di vari gas, di metalli, di rocce e polveri. Può avere dimensioni comprese tra qualche centinaio di metri fino a decine di km e ruota su se stessa. 29 Ad una distanza di circa 450 milioni di km dal sole (circa tre volte la distanza del nostro pianeta), parte del ghiaccio vaporizza a causa della radiazione solare diventata sufficientemente forte. Si osserva allora un’espulsione di gas e polveri in tutte le direzioni, che forma un involucro di forma tondeggiante, detto "chioma". Le sue dimensioni vanno da 3 a 10 volte quelle della Terra. Infine si forma la straordinaria "coda", cioè una lunghissima striscia di gas, polvere e ioni, che si estende per decine di milioni di km, e in alcuni casi fino addirittura a 100 milioni di km. La coda, durante l'orbita della cometa, è sempre rivolta in direzione opposta al Sole, infatti quando la cometa se ne allontana ha la coda rivolta in avanti. Essa viene infatti spinta lontana dal Sole dalla pressione della radiazione e del vento solare. Dall'analisi della chioma si è dedotto che una cometa deve essere costituita in gran parte da composti dell'idrogeno, del carbonio, dell'ossigeno e dell'azoto. Durante la fase di massima attività, vengono espulse da una cometa anche un milione di tonnellate di vapore acqueo e mezzo milione di tonnellate di polveri ogni giorno! Ad ogni passaggio vicino al Sole, quindi, una cometa rilascia una parte consistente di questo suo materiale che si disperde nello spazio. Dopo un certo numero di passaggi, la cometa è destinata a disintegrarsi completamente. La Terra, durante il suo moto, attraversa periodicamente questi detriti abbandonati dalle comete. Essi entrano nella sua atmosfera producendo delle vere e proprie piogge meteoritiche, le famose “stelle cadenti” che ovviamente non sono stelle; esse si ripresentano con intensità e regolarità in alcuni periodi dell'anno, come in agosto e in novembre. Alcune comete, soprattutto nel passato, sono state attratte dai pianeti del sistema solare e sono cadute sulla loro superficie. È quindi probabile che li abbiano arricchiti con l’acqua e tutte le altre sostanze. Tuttavia è anche possibile che qui sulla Terra le più grosse siano state proprio la causa delle varie estinzioni come quella dei dinosauri di fine Cretaceo. Quindi possiamo considerare le comete portatrici di vita (acqua), ma anche di morte (estinzioni).) B.7 - METEOROIDI, METEORE, METEORITI Le dimensioni di questi corpi celesti sono inferiori a quelle degli asteroidi: vanno da quelle di un granello di polvere ad alcune centinaia di metri: il peso varia tra 10-9 e 107 kg. I meteoroidi sono considerati i residui rimasti dalla condensazione della nebulosa da cui si formò il Sistema solare; alcuni di essi, tuttavia, sono costituiti da frammenti di asteroidi o di comete. Questi corpi celesti possono entrare in contatto con l’atmosfera terrestre. Quando ciò accade, a causa dell’elevata velocità con cui si muovono, compresa tra 11,2 e 72,8 km/sec, essi si surriscaldano per l’attrito che si sviluppa con i gas dell’atmosfera. In pochi istanti divengono incandescenti, perdendo materiale in forma di polveri e diminuendo progressivamente di massa. Questa perdita di materiale dalla superficie di un meteoroide viene chiamata ablazione. Due sono le possibili conseguenze per il meteoroide. Nel primo caso, esso si consuma completamente in breve, producendo una scia luminosa visibile per pochi istanti, formata dalle polveri e dai gas che si generano dalla sua disgregazione: in questi casi si parla di meteora. Queste scie luminose sono percepibili dall’occhio umano e sono note nel linguaggio comune come “stelle cadenti”. Nel secondo caso, pur perdendo parecchio materiale, il meteoroide non si consuma completamente e la sua parte più interna raggiunge la superficie del pianeta: in questi casi si parla di meteorite. *A volte, se si è fortunati, si vedono meteoriti id grandi dimensioni la cui scia persistente è osservabile anche per un minuto.* Tra le meteoriti di grande interesse ritrovate negli ultimi tempi sul nostro pianeta c’è ALH84001, il meteorite che, secondo alcuni scienziati, contiene la prima prova dell'esistenza di forme di vita fuori dalla Terra. 30 I meteoroidi più grandi, quelli di alcune centinaia di tonnellate, durante il passaggio nell’atmosfera non subiscono una sensibile riduzione della velocità e, giungendo al suolo, possono formare dei crateri. Probabilmente l'impatto sulla Terra di una cometa o di un asteroide gigante è considerato il responsabile dell'estinzione dei dinosauri avvenuta 65 milioni di anni fa. Tale impatto che avvenne nei pressi di Chicxulub, nella Penisola dello Yucatan in Messico, formò un cratere con un diametro di 180 km, ora sepolto sotto la giungla. Le conseguenze dell’impatto di un asteroide con la Terra dipendono dall’energia sviluppata e quindi dalle sue dimensioni. Lo studio degli asteroidi suggerisce che dovremmo aspettarci l’impatto di un asteroide con la Terra circa ogni 100 milioni di anni. Non è così raro che qualche oggetto di dimensioni osservabili colpisca la superficie del nostro pianeta. Tuttavia, trovare sulla Terra i meteoriti è un'operazione difficile e, in molti casi, legata al caso o alla fortuna. Luoghi favorevoli alla caccia di meteoriti sono le superfici ghiacciate dell’Antartide, dove essi spiccano anche a causa del contrasto dei loro colori con il bianco della neve circostante. Si stima che ogni giorno cadano sulla nostra Terra non meno di 400 tonnellate di pulviscolo cosmico e granuli interplanetari, solo una piccola parte dei quali può essere osservata, poiché molti sono troppo piccoli per produrre la scia. Osserviamo il cielo Perché le “stelle cadenti” si possono osservare proprio la notte di San Lorenzo? Le meteore possono presentarsi con due modalità: come meteore isolate, sporadiche, oppure come vera e propria pioggia di stelle cadenti, come nel caso della notte di San Lorenzo. In ogni notte serena si possono osservare stelle cadenti. Tuttavia, in alcune notti particolari nel corso dell’anno si possono osservare vere piogge di stelle cadenti, in gran numero e di discreta intensità. Queste piogge ricorrenti e intense sono chiamate sciami meteorici periodici. I più noti e facilmente osservabili sono i seguenti ★ Perseidi: da fine Luglio a tutto Agosto con un picco il 12 Agosto, ★ Leonidi: picco il 17 novembre, ★ Geminidi: dal 3 al 19 dicembre, con un picco il 13 dicembre, ★ Quadrantidi: 1-5 gennaio. In questi periodi dell’anno, la Terra, nel suo movimento attorno al Sole, attraversa zone ricche di detriti cometari che, a contatto con l'atmosfera terrestre, danno origine al fenomeno delle stelle cadenti. *Video in inglese “Cosa sono i meteoroidi” http://www.videojug.com/film/what-is-a-meteor* B.8 - SATELLITI ARTIFICIALI I satelliti artificiali sono oggetti che l’uomo ha messo in orbita intorno alla Terra. 31 Possono essere collocati in orbita geostazionaria, cioè intorno all’Equatore e con periodo di rivoluzione pari a quello di rotazione della Terra oppure in orbita polare, cioè intorno ai Poli, a 90° rispetto all’equatore. Il satellite geostazionario si vede come un puntino luminoso fermo nel cielo; quello in orbita polare si vede in movimento regolare, tutti i giorni se il cielo non è coperto da nuvole.Gli scopi per cui viene messo in orbita un satellite sono diversi: ๏ per la ricerca scientifica, ๏ ๏ ๏ ๏ ๏ per le telecomunicazioni, per il telerilevamento, es. GPS, per il rilevamento meteo, per scopi militari, stazioni orbitanti. DOMANDE PER IL RIPASSO MODULO B 1. Da che cosa sono legati i corpi celesti orbitanti intorno al Sole? 2. Quale percentuale di massa è rappresentata dal Sole nell’intero sistema solare? 3. Quanto tempo fa si è originato il nostro Sistema solare? Da che cosa si è originato? 4. Che cosa è un collasso gravitazionale? 5. Come si può chiamare un corpo celeste molto caldo ma ancora incapace di emettere luce? 6. Come si è formata l’atmosfera che riveste quasi tutti i pianeti del Sistema solare? 7. Quali condizioni hanno reso possibile l’inizio di una vera e propria fusione nucleare nel Protosole? 8. Come può essere definito il nostro Sole? Quale tipo di dimensioni presenta rispetto alle altre stelle? 9. Come si chiama la superficie del Sole? A quali temperature arriva? 10. Cosa sono le macchie solari? Dove compaiono? E con quale periodo? 11. Che cosa presenta il sole esternamente alla fotosfera? Quando è ben osservabile questa struttura? 12. Come si possono definire i pianeti? Quanti corpi celesti sono degni di questo nome nel nostro Sistema solare? 13. Elenca i pianeti del Sistema solare in ordine a partire dal più vicino al Sole. 14. Qual è l’unità di misura utilizzata per le distanze all’interno del Sistema solare? 15. Quali sono i pianeti terresti? Quali caratteristiche hanno? 16. Che cosa sono gli oggetti trans-nettuniani? Plutone appartiene a questi? 17. Quali due movimenti importanti compiono i pianeti? 18. Qual è l’indizio più chiaro che chiarisce l’origine comune dei pianeti? 19. Abbiamo prove di esistenza di pianeti extrasolari? 32 20. Quali importanti novità ha introdotto Keplero nella descrizione del moto di rivoluzione dei pianeti intorno al Sole? 21. Che cosa tratta la prima legge di Keplero? 22. Cosa afferma la II legge di Keplero? Cosa accade in perielio? E in afelio? 23. Prova ad esprimere a parole la III legge di Keplero. 24. Per quale motivo tutti i corpi celesti del Sistema solare ruotano attorno al Sole? 25. Cosa sono gli asteroidi? Dove ne troviamo numerosi? 26. Cosa sono le comete ? Quali caratteristiche hanno quelle periodiche? 27. Che cosa sono i meteoroidi? Di quali due tipi si parla spesso? 28. Per quali scopi vengono messi in orbita i satelliti artificiali? CACCIA ALL’ERRORE MODULO B 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. Secondo la prima legge di Keplero, la Terra descrive un’orbita curva aperta attorno al Sole. La seconda legge di Keplero, in pratica, afferma che la Terra ruota su se stessa con velocità variabile. Un osservatore sulla Terra vede le stelle nella notte muoversi con un moto con velocità di 15 gradi all’ora perché questa è la velocità con cui le stelle si muovono intorno al Sole. La velocità lineare di rotazione di un punto posto sopra la superficie terrestre dipende dal giorno dell’anno considerato. Nel nostro emisfero la posizione del Sole a mezzogiorno indica la direzione del Sud soltanto nel giorno in cui cade il solstizio d’estate. Il dì e la notte in un dato punto della superficie terrestre (per esempio nella località dove abiti) hanno durata crescente in primavera ed estate, decrescente in autunno e inverno. Alba (prima del sorgere del Sole) e crepuscolo serale (dopo il tramonto del Sole) fanno parte la prima del dì, il secondo della notte. La durata del dì inizia ad aumentare in primavera. La velocità angolare del moto di rotazione terrestre è pari a 1688 chilometri orari all’equatore. Il moto di rivoluzione della Terra attorno al Sole avviene lungo un’orbita circolare chiamata eclittica. La distanza angolare che la Terra copre in tre mesi nel suo moto di rivoluzione intorno al Sole è pari a circa 30 gradi. Se la Terra non ruotasse intorno al Sole rimarrebbe ferma in una posizione e continuerebbe a ruotare intorno al proprio asse. 33 MODULO C - LA TERRA E LA LUNA NEL SISTEMA SOLARE C.1 - IL SISTEMA TERRA-LUNA Nel nostro Sistema solare vi è un unico caso di pianeta doppio: si tratta del sistema Terra-Luna. Il fatto che si debba parlare di pianeta doppio, anziché di un pianeta - la Terra - e del suo satellite -la Luna - è legato all’attrazione gravitazionale tra Sole, Terra e Luna: se si determinano le influenze gravitazionali che agiscono sulla Luna, ci si accorge, infatti, che essa risente maggiormente dell’attrazione gravitazionale del Sole, che risulta poco più che doppia rispetto a quella esercitata dalla Terra. Questo fa sì che, a rigore, la Luna NON si possa considerare un semplice satellite della Terra. Rispetto alla loro origine, si può affermare con certezza che la Terra si sia originata, insieme agli altri corpi del Sistema solare, da una nebulosa di gas e polveri in rotazione su se stessa. La Luna, secondo l’ipotesi più accreditata da dati sperimentali e osservativi, pare essersi originata a seguito dell’impatto tra la Terra in formazione e un altro corpo celeste di dimensioni rilevanti, simili a quelle di Marte. Il materiale proiettato nello spazio in conseguenza dell’urto, proveniente in parte dalla fusione del materiale che costituiva questo corpo celeste e in parte dall’antico mantello terrestre, si sarebbe distribuito attorno alla Terra, formando un disco di detriti. In breve tempo, i detriti si sarebbero aggregati a formare la Luna. Inizialmente essa si trovava molto più vicina alla Terra, rispetto ad oggi, e il suo periodo orbitale era assai più breve, dell’ordine di pochi giorni. Questa ipotesi spiega le somiglianze tra la composizione chimica delle rocce lunari e quella del mantello terrestre. L’età delle rocce più antiche prelevate dalla superficie lunare nel corso delle missioni Apollo, negli anni ‘80 del secolo scorso, sono databili a 4,5 miliardi di anni fa e indicano che in quel periodo la Luna aveva già una crosta solida. C.2 - I MOVIMENTI DELLA TERRA E LE LORO CONSEGUENZE I principali moti della Terra sono le conseguenze della storia evolutiva della nebulosa che ha originato il sistema solare e il nostro pianeta. Il moto di rotazione della Terra su se stessa e quello di rivoluzione della Terra attorno al Sole rispecchiano infatti la rotazione generale del disco protoplanetario della nebulosa protosolare, che ha dato origine ai pianeti. La Terra, inoltre, è caratterizzata da altri moti di lungo periodo, detti moti millenari. C.2.1 - IL MOTO DI ROTAZIONE Il moto di rotazione consiste nel movimento che la Terra compie ruotando su se stessa, attorno ad una linea retta immaginaria, detta asse terrestre. Tale asse è inclinato di 66° e 33’ rispetto al piano dell’orbita terrestre o, il che è lo stesso, di 23° e 27’ rispetto alla perpendicolare al piano dell’eclittica. *La Terra con l’asse di rotazione e l’equatore. L’asse forma con il piano dell’orbita un angolo di 66°33’. L’asse, prolungato idealmente nello spazio, individua sulla volta celeste un punto, il polo Nord celeste, occupato da una stella: la ‘stella polare’. Essa è visibile solo nel nostro emisfero e indica il Nord.* 34 Il moto avviene in senso antiorario se osserviamo il nostro pianeta dall’alto, al di sopra del Polo Nord. Il periodo di rotazione, ossia il tempo necessario affinché la Terra compia per intero il moto è pari a circa 24 ore. C.2.1.1 - Il moto di rotazione: velocità angolare e velocità lineare Per descrivere compiutamente il moto di rotazione è necessario definire velocità angolare e velocità lineare. *VELOCITÀ La velocità è lo spazio percorso nell’unità di tempo. V=S/t esempio V = km/h* La velocità angolare di rotazione della Terra è l’angolo descritto da un piano che contenga l’asse terrestre in un dato intervallo di tempo. La relazione matematica che esprime la velocità angolare è la seguente ω = φ / t [gradi/s] oppure [rad / s ] oppure [ giri /s] dove ω è la velocità angolare e φ l’angolo descritto dal raggio nel tempo t. Poiché la Terra compie una rotazione completa, pari a 360°, in circa 24 ore, la velocità angolare ω è costante ed è approssimativamente pari a 360/24, cioè a 15 gradi l’ora. Questo valore è uguale in qualunque punto della superficie terrestre ci si trovi. velocità angolare = 360°/24h La velocità lineare di rotazione della Terra è la distanza percorsa da un punto qualsiasi della superficie terrestre in un dato intervallo di tempo. Ogni punto della superficie terrestre si muove con una velocità definita, diversa da punto a punto a seconda della sua posizione: la velocità lineare è massima all’equatore e si riduce progressivamente spostandosi verso i poli, ove la velocità lineare è pari a zero. velocità lineare equatoriale 1674,4 km/h - 465,1 km/sec velocità lineare ai poli = 0 Anche se la velocità lineare può essere assai elevata, il movimento non è percepito da chi si trovi sulla superficie terrestre: al moto partecipa infatti non solo la parte solida del pianeta ma anche le acque superficiali e l’atmosfera. E’ per questo che non ci accorgiamo di essere in movimento con tutto il pianeta. Per avere conferma del moto di rotazione della Terra dobbiamo... guardare fuori dall’atmosfera: in passato lo studio della posizione del Sole, delle stelle, dei pianeti o della Luna hanno contribuito a farci conoscere e “percepire” il movimento della Terra nello spazio. Peraltro, una serie di esperienze condotte nel tempo da scienziati e acuti osservatori avevano già dimostrato da tempo che era la Terra a ruotare su se stessa e non la volta celeste a ruotarci attorno. 35 Per capire meglio Quando ci spostiamo in auto, in treno o in aereo, al nostro moto partecipa anche l’aria contenuta nel mezzo su cui stiamo viaggiando: se il viaggio è confortevole, senza scossoni o altro, per capire se ci stiamo muovendo dobbiamo guardare fuori dal finestrino. Se invece il nostro mezzo di trasporto è un motorino allora la percezione del movimento è decisamente più elevata, in quanto l’aria che ci circonda non partecipa al nostro moto. C.2.1.2 - Il periodo del moto di rotazione Il giorno è il tempo impiegato dal nostro pianeta per compiere un giro completo su se stesso. Il periodo di tempo necessario affinché un qualsiasi punto della Terra compia una rotazione completa di un angolo giro (360°) è pari a 23 ore e 56 minuti. Si giungerebbe allo stesso valore se si prendesse come riferimento un corpo celeste posto al di fuori del Sistema solare, ad esempio una stella lontana. Si definisce pertanto giorno sidereo il periodo di tempo compreso tra due successive culminazioni di una stella lontana rispetto ad un osservatore posto su un dato punto della superficie terrestre. Se invece di una stella lontana si considera come riferimento la nostra stella per analogia si può definire giorno solare il periodo di tempo compreso tra due culminazioni successive del Sole rispetto ad un osservatore posto su uno stesso punto della superficie terrestre; tale periodo è pari a 24 ore (più o meno 40 secondi). La differenza di circa 4 minuti tra i due periodi è dovuta allo spostamento in avanti lungo l’orbita terrestre che la Terra compie mentre ruota su se stessa. In un giorno la Terra compie poco meno di un grado sui circa 360 complessivi del suo moto di rivoluzione, pertanto, affinché il Sole possa culminare sullo stesso punto della superficie terrestre, occorre che la Terra ruoti di ancora di circa 1°. Il tempo necessario a consentire questa rotazione aggiuntiva è infatti circa pari a 4 minuti. Poiché i ritmi della vita e delle attività umane sul nostro pianeta sono governati dall’alternanza del dì e della notte, quindi dal fatto che il Sole si trovi sopra o sotto l’orizzonte, nella vita comune si fa riferimento al giorno solare medio e non al giorno sidereo: tale periodo è suddiviso in 24 ore, suddivise a loro volta in minuti e secondi. C.2.2 - LE CONSEGUENZE DEL MOTO DI ROTAZIONE Vi sono quattro principali conseguenze del moto di rotazione terrestre: ๏ l’alternanza del dì e della notte, ๏ il moto apparente dei corpi celesti da Est a Ovest, ๏ lo schiacciamento polare, ๏ la forza di Coriolis. C.2.2.1 - L’alternanza tra dì e notte Tra le conseguenze della rotazione terrestre, l’alternanza tra le ore di luce e le ore di buio, legata al moto apparente del Sole nella volta celeste, è la più evidente. Il dì è il periodo durante il quale, in una data località, il Sole si trova sopra l’orizzonte, mentre la notte è il periodo nel corso del quale il Sole si trova sotto l’orizzonte. Se ci si trova in mare o nell’oceano, questa definizione non dà problemi; nelle località poste sulla terraferma, il problema è dato dall’eventuale presenza di rilievi, il cui effetto non va considerato: 36 pertanto, in queste situazioni, l’inizio e la fine del dì coincidono con i momenti in cui il Sole sorgerebbe e tramonterebbe in assenza di rilievi. Nel linguaggio comune, il dì è spesso chiamato giorno o giornata. Il primo termine è fuorviante, poiché nel linguaggio scientifico il giorno è dato dal dì più la notte, mentre il secondo è più accettabile poiché non dà luogo a fraintendimenti. Ogni giorno il Sole sorge e tramonta, percorrendo nel cielo un arco orientato genericamente da Est verso Ovest; il momento in cui il Sole si trova nel punto più alto nel cielo, detto culminazione, corrisponde al mezzodì (definito comunemente ed erroneamente mezzogiorno). Sul nostro pianeta, il passaggio dal dì alla notte e viceversa non avvengono all’improvviso: vi sono due periodi, detti crepuscoli, durante i quali la luce progressivamente cresce di intensità prima del sorgere del Sole e diminuisce di intensità dopo il tramonto. I crepuscoli, che per come sono stati definiti fanno parte a tutti gli effetti della notte, sono dovuti alla presenza dell’atmosfera: la miscela di gas che la costituisce è infatti in grado di diffondere, attraverso il fenomeno della rifrazione, una parte della luce solare, anche in zone non direttamente illuminate dal Sole, prima dell’alba e dopo il tramonto. C.2.2.2 - Il moto apparente da Est a Ovest dei corpi celesti Il Sole non è l’unico corpo celeste a compiere un moto apparente nella volta celeste: anche la Luna, i pianeti e le stelle sorgono da Est e tramontano verso Ovest, seppure con ritmi più o meno sfasati rispetto al Sole. Anche in questi casi si tratta di moti apparenti dovuti alla rotazione terrestre. Lo sfasamento rispetto al moto regolare del Sole sopra e sotto l’orizzonte è dovuto al sommarsi degli effetti dei moti della Terra e di quelli propri della Luna e degli altri pianeti. Il Sole e gli altri corpi celesti (Luna, pianeti, stelle) sorgono da oriente e tramontano verso occidente ogni giorno. Il moto apparente delle stelle. Riguardo alle stelle e al loro moto apparente nella volta celeste, occorre distinguerne due gruppi: le stelle occidue e le stelle circumpolari. Osservando il cielo per una notte intera si può notare che alcune stelle sono visibili solamente per una parte della notte, poiché anch’esse, come il Sole, sorgono da Est e tramontano verso Ovest: queste sono definite stelle occidue. Altre sembrano compiere un percorso circolare completo intorno al Polo Nord celeste, indicato dalla stella Polare: queste sono definite stelle circumpolari. Tra le stelle circumpolari vi sono quelle che compongono la costellazione del Grande Carro. Se ci si sposta sulla superficie terrestre lungo i meridiani, dall’equatore ai poli, cambia la proporzione tra stelle occidue e stelle circumpolari; ai poli tutte le stelle sono circumpolari: esse non sorgono né tramontano ma compiono percorsi circolari nel cielo, mantenendo la stessa altezza rispetto all’orizzonte; all’equatore, al contrario, tutte le stelle sono occidue: esse, infatti, sorgono e tramontano quotidianamente. Se non ci fosse l’atmosfera, le stelle sarebbero visibili anche di giorno: in cielo avremmo il Sole e le altre stelle su sfondo nero, così come avviene sulla Luna, che non ha atmosfera. La radiazione blu della luce solare, che è costituita da un insieme di radiazioni di colori diversi, è l’unica ad essere diffusa in tutte le direzioni dai gas atmosferici (‘scattering’). Di conseguenza le radiazioni di colore blu giungono ai nostri occhi da ogni direzione: ecco perché il cielo ci appare di colore blu. 37 Anche la Luna sorge e tramonta (si leva e cala): il suo percorso nel cielo non è sempre lo stesso, ma cambia di giorno in giorno: ogni giorno sorge e tramonta con un ritardo di poco meno di un’ora rispetto al giorno precedente. Ne parleremo a proposito delle fasi lunari. C.2.2.3 - Lo schiacciamento polare Per via della rotazione “a trottola” su se stessa, la Terra si deforma. Quando un corpo ruota, la rotazione genera una forza detta centrifuga. Il termine centrifugo significa “fuga dal centro”, e infatti tale forza è diretta verso l’esterno, in direzione perpendicolare rispetto all’asse di rotazione. Tale forza è, inoltre, tanto più intensa, quanto maggiore è la distanza del punto in movimento rispetto all’asse di rotazione. Nel caso del nostro pianeta, la forza centrifuga si esercita quindi in misura crescente dai poli (valore nullo) all’equatore (valore massimo). La conseguenza è che la Terra si schiaccia ai poli e si espande all’equatore. Il raggio polare quindi è minore del raggio equatoriale, anche se di poco. Dunque la Terra non sarebbe una sfera perfetta, ma un “ellissoide” di rotazione: un solido prodotto dalla rotazione di un’ellisse attorno al suo asse minore. raggio polare = 6.357 km raggio equatoriale = 6.378 km Lo schiacciamento polare, cioè il valore numerico determinato dividendo la differenza tra i due raggi per il raggio equatoriale, è circa pari a 1/298. Le cose sono in realtà ancora un poco più complesse: la Terra non è, infatti, un corpo omogeneo, ma presenta al suo interno disomogeneità laterali che ne alterano la superficie. Pertanto, la Terra ha una forma più irregolare rispetto all’ellissoide di rotazione: la forma reale della Terra si definisce geoide. C.2.2.4 - La forza di Coriolis La forza di Coriolis è legata al valore crescente della velocità lineare di rotazione terrestre man mano che ci si sposta dai poli all’equatore. Questa forza influenza il moto di masse d’aria o di acqua in movimento dai poli verso l’equatore e viceversa. Anche il moto di corpi non vincolati alla superficie terrestre è deviato da questa forza: di questo fatto occorre tener conto nel programmare la rotta di aerei e navi, ma anche di razzi o proiettili inviati a lunghe distanze. Per comprenderne con chiarezza gli effetti, occorre pensare che qualsiasi corpo che si sposta sulla superficie terrestre è caratterizzato da un dato valore di velocità lineare rivolta a Est, dovuta alla rotazione terrestre. Occorre ricordare, inoltre, che la direzione, il verso e il valore di tale velocità tendono a mantenersi costanti nel tempo anche se il corpo si muove sulla superficie terrestre. Quindi, se il corpo si muove verso l’equatore, esso si sposta in zone caratterizzate da una velocità lineare verso Est via via maggiore. Ne segue che il corpo “resterà indietro”, spostandosi di fatto verso Ovest, cioè verso destra nell’emisfero Nord e verso sinistra nell’emisfero Sud. Nel caso di moto dall’equatore verso i poli, la situazione sarà opposta: il corpo tenderà a spostarsi “in avanti” verso Est, cioè verso destra a Nord dell’equatore e verso sinistra a Sud dell’equatore. 38 C.2.3 - IL MOTO DI RIVOLUZIONE La Terra compie un moto di rivoluzione attorno al Sole. Tale moto, in accordo alla prima legge di Keplero, avviene lungo una linea curva chiusa di forma ellittica, chiamata eclittica, di cui il Sole occupa uno dei due fuochi. *L’eclittica in km 940.000.000 km* C.2.3.1 - Distanza tra Sole e Terra Data la forma dell’orbita, la distanza Terra-Sole non è costante. La distanza Terra-Sole in perielio è pari a poco più di 147 milioni di chilometri (147.098.070 km), mentre in afelio essa raggiunge un valore poco superiore ai 152 milioni di chilometri (152.097.700 km). Poiché la distanza tra Terra e Sole varia continuamente da un minimo a un massimo, si ricorre spesso alla distanza media, pari a circa 149,6 milioni di chilometri (149.597.871 km). Questo valore prende il nome di unità astronomica, e si utilizza come unità di misura per esprimere le distanze all’interno del Sistema solare. Da un punto di vista geometrico, perielio e afelio sono dati dall’intersezione tra l’ellisse descritta dalla Terra nel suo moto di rivoluzione e il suo asse maggiore, detto anche linea degli apsidi. Il perielio è il punto di intersezione più vicino al fuoco occupato dal Sole, mentre l’afelio è il punto di intersezione più lontano dal fuoco occupato dal Sole. Contrariamente a quanto noi - abitanti dell’emisfero Nord - potremmo pensare, la Terra raggiunge il perielio durante l’inverno e l’afelio durante la stagione estiva: più precisamente il perielio è raggiunto tra il 2 e il 5 gennaio (nel 2013 alle cinque del mattino del 5 gennaio) e l’afelio tra il 3 e il 7 luglio (nel 2013 alle tre del pomeriggio del 5 luglio). Questo dimostra che le stagioni non dipendono dalla distanza tra il Sole e la Terra, ma da altri fattori che verranno considerati a breve. C.2.3.2 - Velocità orbitale della Terra In accordo alla seconda legge di Keplero, la Terra si muove lungo la sua orbita con velocità variabile, maggiore in prossimità del perielio e minore in vicinanza dell’afelio: in afelio la velocità del nostro pianeta è pari all’incirca a 29,3 km/sec, in perielio è di circa 30,3 km/sec; il suo valore medio è, pertanto, di poco inferiore a 30 km/sec, pari a circa 107.300 chilometri orari, un valore più di 300 volte maggiore rispetto a una Ferrari lanciata a 300 all’ora sul rettilineo di un circuito di formula uno! Ci si potrebbe chiedere come mai in conseguenza di questa velocità folle l’atmosfera non venga spazzata via... Per trovare una risposta, occorre pensare che questo moto avviene in uno spazio praticamente quasi vuoto, quindi non c’è nulla che possa “soffiare via” l’atmosfera dal nostro pianeta. C.2.3.3 - Il periodo di rivoluzione Come per il moto di rotazione, anche per quello di rivoluzione il periodo è diverso a seconda del sistema di riferimento che si considera. Si definisce anno sidereo il periodo di tempo necessario affinché la congiungente Sole-Terra descriva un angolo giro (360°). Anche in questo caso - come per il giorno sidereo - si giungerebbe allo stesso valore se si prendesse come riferimento un corpo celeste posto al di fuori del Sistema solare, ad esempio una stella lontana. Tale periodo corrisponde a 365 giorni, 6 ore, 9 minuti e 10 secondi. 39 L’anno solare è, invece, il periodo di tempo necessario affinché la Terra si trovi nella stessa posizione relativa rispetto al Sole: se si considera l’equinozio di primavera, l’anno solare è il tempo che intercorre tra un equinozio di primavera e il successivo. L’anno solare dura 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi. L’anno solare dura un po’ meno rispetto all’anno sidereo poiché, a causa del moto doppio conico dell’asse terrestre, equinozi e solstizi, ovvero i momenti che scandiscono l’anno solare, cadono ogni anno un poco prima che la Terra abbia compiuto una rotazione completa di 360°. * ANNO è il tempo impiegato dalla Terra per compiere un giro completo attorno al Sole.* I calendari considerano l’anno di 365 giorni esatti e non tengono conto delle sei ore aggiuntive: pertanto, ogni quattro anni si accumulano 6 x 4 = 24 h, pari a un giorno intero. Ecco che ogni 4 anni si aggiunge al calendario un giorno in più: il 29 febbraio. Questo spiega il motivo per cui esistono gli anni bisestili. Tuttavia nel determinare gli anni bisestili, si escludono gli anni multipli di 100 che non siano anche multipli di 400: così il 2000 è stato bisestile e tale sarà il 2400, ma NON saranno bisestili il 2100, il 2200, il 2300. L’anno civile quindi dura 365 o 366 giorni. C.2.4 - LE CONSEGUENZE DEL MOTO DI RIVOLUZIONE Le principali conseguenze del moto di rivoluzione attorno al Sole sono le seguenti: ๏ alternanza delle stagioni; ๏ alternanza di costellazioni nel cielo notturno. C.2.4.1 - L’alternanza delle stagioni La conseguenza più evidente del moto di rivoluzione della Terra attorno al Sole è la regolare alternanza di periodi più freddi e periodi più caldi e la continua variazione della durata del dì e della notte. *L’alternarsi delle stagioni è una conseguenza del moto di rivoluzione.* Tuttavia, il solo fatto che la Terra orbiti attorno al Sole non è sufficiente a determinare l’alternarsi delle stagioni. Tale fenomeno è dovuto infatti ad altre due condizioni che riguardano l’asse di rotazione terrestre: ✓ il fatto che l’asse terrestre non sia perpendicolare al piano dell’orbita, ma abbia una particolare inclinazione ✓ il fatto che esso, durante l’orbita annuale della Terra attorno al Sole, si mantenga parallelo a se stesso. Se l’asse terrestre fosse perpendicolare al piano dell’orbita, avremmo un pianeta che, nel suo moto di rivoluzione attorno al Sole, non sarebbe soggetto all’alternarsi delle stagioni. In qualunque punto dell’orbita, il dì e la notte avrebbero la durata di 12 ore ciascuno, poiché in entrambi gli emisferi la parte in ombra sarebbe perfettamente equivalente a quella illuminata dal Sole. Invece, l’asse terrestre è inclinato di 23° e 27’ rispetto alla normale al piano dell’eclittica, pari a 66°33’ rispetto al piano dell’orbita. Vediamo ora le conseguenze del moto di rivoluzione. 40 Equinozi e solstizi L’anno solare è in effetti scandito da quattro momenti particolari, denominati equinozi e solstizi. Gli equinozi sono i momenti dell’anno in cui, in ciascuno dei due emisferi, l’area direttamente illuminata dal Sole e quella in ombra sono esattamente uguali e il circolo di illuminazione passa per i due poli. Questi momenti cadono in due precisi giorni dell’anno: il 20 o 21 marzo e il 22 o 23 settembre. Nell’emisfero boreale, il primo è definito equinozio di primavera e il secondo equinozio d’autunno; l’opposto accade per l’emisfero australe. In questi due istanti, per un osservatore che si trovi all’equatore, il centro del disco solare raggiunge lo zenit, ossia il punto della volta celeste posto sulla verticale dell’osservatore; negli stessi istanti il Sole si trova nel punto di intersezione tra l’equatore celeste e l’eclittica. I solstizi sono i momenti dell’anno in cui, in ciascuno dei due emisferi, si ha la massima differenza tra l’area direttamente illuminata dal Sole e quella in ombra; il circolo di illuminazione è tangente ai due circoli polari. Questi momenti cadono in due precisi giorni dell’anno: il 20 o 21 giugno e il 21 o 22 dicembre. Nell’emisfero boreale, il primo è definito solstizio d’estate e il secondo solstizio d’inverno; l’opposto accade per l’emisfero australe. Con riferimento all’emisfero Nord, in corrispondenza del solstizio d’estate il centro del disco solare raggiunge lo zenit per osservatori che si trovino al Tropico del Cancro, mentre in corrispondenza del solstizio d’inverno il centro del disco solare raggiunge lo zenit per osservatori posti sul Tropico del Cancro. Con riferimento all’emisfero boreale, nel corso del tempo si susseguono di tre mesi in tre mesi 4 situazioni: ๏ equinozio di primavera, dì e notte hanno circa la stessa durata: si verifica il 20 o 21 marzo (per il 2013 il 20 marzo a mezzogiorno e 2 minuti, ora italiana), ๏ solstizio d’estate, la durata della giornata è massima e quella della notte è minima: si verifica il 20 o 21 giugno (per il 2013, il 21 giugno alle 6:09 del mattino, ora italiana), ๏ equinozio d’autunno, dì e notte hanno circa la stessa durata: si verifica il 22 o 23 settembre (per il 2013, il 22 settembre alle 21:44, ora italiana), ๏ solstizio d’inverno, la durata della giornata è minima e quella della notte è massima: si verifica il 21 o 22 dicembre (per il 2012, il 21 dicembre alle 18.11, ora italiana). Ne consegue che nell’emisfero boreale la durata del dì (o la lunghezza delle giornate, che dir si voglia) aumenta tra il 21/22 dicembre e il 20/21 giugno e diminuisce dal 20/21 giugno al 21/22 dicembre; ne consegue anche che i dì sono più lunghi delle notti tra il 20/21 marzo e il 22/23 settembre e viceversa tra il 22/23 settembre e il 20/21 marzo. Nell’emisfero australe accade ovviamente il contrario rispetto a quanto descritto. * Video interattivi in inglese. “Illuminazione della Terra nel corso dell’anno” http://astro.unl.edu/classaction/animations/coordsmotion/sunsrays.html Cambiamento di posizione del sole all’orizzonte all’alba e al tramonto. http://astro.unl.edu/classaction/animations/coordsmotion/horizon.html* “Altezza del Sole a mezzogiorno” http://astro.unl.edu/classaction/animations/coordsmotion/sunpaths.html 41 “Movimento apparente del Sole nel corso dell’anno” http://astro.unl.edu/classaction/animations/coordsmotion/sunmotions.html* * Sfatiamo i luoghi comuni “Il giorno più corto che ci sia” non cade il 13 dicembre, Santa Lucia, ma il 21 dicembre, santa Francesca Cabrini o il 22 dicembre, San Pietro Canisio* Stagioni astronomiche In base alla regolare successione di solstizi ed equinozi, nell’emisfero Nord si definiscono le stagioni astronomiche. ๏ Primavera astronomica: periodo compreso tra l’equinozio di primavera e il solstizio d’estate (dal 20 marzo al 21 giugno per il 2013). ๏ Estate astronomica: periodo compreso tra il solstizio d’estate e l’equinozio d’autunno (dal 21 giugno al 22 settembre per il 2013). ๏ Autunno astronomico: periodo compreso tra l’equinozio d’autunno e il solstizio d‘inverno (dal 22 settembre al 21 dicembre per il 2013). ๏ Inverno astronomico. periodo compreso tra il solstizio d’inverno e l’equinozio di primavera (dal 21 dicembre al 20 marzo per il 2014). Come è ovvio, le stagioni astronomiche sono invertite rispetto al periodo dell’anno nell’emisfero Sud. Sappiamo bene, tuttavia, che le differenze tra periodo estivo e periodo invernale non sono riconducibili alle sole ore di luce e di buio. Un altro parametro essenziale per definire le stagioni è la temperatura. Come è noto, le temperature più elevate si verificano quando le giornate sono più lunghe e quelle più basse quando le giornate sono più brevi. Ecco il motivo di tale situazione: il 21 giugno, il giorno del solstizio d’estate, i raggi solari cadono perpendicolarmente sul Tropico del Cancro, posto 23 gradi e 27 primi a Nord dell’equatore. Quindi l’emisfero Nord, oltre ad essere esposto per più di 12 ore al giorno alla luce e al calore solare, riceve questa radiazione in maniera più diretta, essendo il Sole più alto nel cielo. Stagioni meteorologiche Se consideriamo il tempo atmosferico e le temperature, ci accorgiamo il loro andamento non segue perfettamente il succedersi delle stagioni così come sono state definite. L’inerzia termica dell’atmosfera fa sì che debba trascorrere un certo periodo di tempo di esposizione a lunghe ore di luce e calore solare prima che la temperatura dell’aria raggiunga i valori massimi; viceversa, i valori minimi si raggiungono quando le giornate si stanno già allungando. Per questo motivo, i valori massimi e minimi delle temperature nel corso dell’anno non corrispondono esattamente ai periodi in cui è più elevato il numero di ore di luce e calore, ma vi è un ritardo di circa un mese: così, il mese più caldo non è giugno, ma luglio e il mese più freddo non è dicembre, ma gennaio. Il fenomeno si ripete in maniera analoga nel corso di un qualsiasi giorno sereno: le temperature massime si raggiungono nel primo pomeriggio, tra una e due ore dopo il mezzodì e le temperature minime si raggiungono alcune ore dopo la mezzanotte. 42 Per questo motivo, oltre alle stagioni astronomiche, si definiscono anche le stagioni meteorologiche (sempre riferite all’emisfero Nord). * Video interattivi in inglese “Simulazione delle stagioni” http://astro.unl.edu/classaction/animations/coordsmotion/eclipticsimulator.html “Numero delle ore del dì” http://astro.unl.edu/classaction/animations/coordsmotion/daylighthoursexplorer.html* * Sfatiamo i luoghi comuni. La distanza tra la Terra e il Sole ha poco a che fare con le stagioni! Infatti, il perielio, punto in cui la distanza Sole-Terra è minima, cade all’inizio di gennaio, nel corso dell’inverno boreale, mentre l’afelio, punto in cui la distanza Sole-Terra è massima, cade all’inizio di luglio, nel pieno dell’estate boreale.* ๏ Primavera meteorologica: dal 1° marzo al 31 maggio. ๏ Estate meteorologica, dal 1° giugno al 31 agosto. ๏ Autunno meteorologico, dal 1° settembre al 30 novembre. ๏ Inverno meteorologico, dal 1° dicembre al 28 (o 29) febbraio. Anche in questo caso nell’emisfero Sud la situazione è esattamente invertita. C.2.4.2 - L’alternanza delle costellazioni nel cielo notturno Una seconda conseguenza del moto di rivoluzione della Terra attorno al Sole, evidente solo a chi ha qualche dimestichezza con l’osservazione del cielo notturno, è il progressivo cambiamento della posizione nel cielo delle costellazioni visibili, se osservate alla stessa ora. La Terra, infatti, orbitando intorno al Sole alla velocità di quasi 108.000 chilometri orari, assume giorno dopo giorno posizioni diverse; ogni giorno essa compie 1/365 della sua orbita ellittica attorno al Sole e quindi, notte dopo notte, si osserva il cielo da un punto di vista leggermente diverso rispetto a quello della notte precedente. Di conseguenza, una data stella sorge quattro minuti prima ogni notte, fino ad arrivare a sorgere … di giorno, quando c’è ancora il Sole. Con il passare dei mesi cambia progressivamente l’aspetto del cielo notturno: si osservano così costellazioni diverse da una stagione all’altra. C.2.5 - I MOTI SECONDARI DELLA TERRA La Terra è anche soggetta a dei moti di periodo molto lungo, che per completarsi richiedono migliaia di anni, e che sono perciò detti millenari. Sono generalmente dovuti all’attrazione del Sole e della Luna sulla Terra (cioè a forze esterne) e sono: ๏ il moto doppio-conico dell’asse terrestre (periodo pari a 26.000 anni); ๏ le variazioni di inclinazione dell’asse, anche se di scarsa entità (periodo pari a 40.000 anni); ๏ variazioni di eccentricità dell’orbita (periodo pari a 92.000 anni). 43 C.2.5.1 - Il moto doppio conico dell’asse terrestre Tra i moti millenari, il più importante è il moto doppio-conico dell’asse. L’asse di rotazione terrestre, mantenendo nel tempo la propria inclinazione rispetto al piano dell’eclittica, ruota lentissimamente in senso orario, descrivendo nello spazio due coni immaginari e simmetrici, con i vertici coincidenti con il centro della Terra. *Nel moto doppio conico le due estremità dell’asse terrestre descrivono ciascuna un cono nello spazio; il vertice di questo doppio-cono si colloca nel centro del pianeta.* Il periodo, ossia il tempo necessario affinché il moto si compia per intero, è pari a circa 26.000 anni. Le conseguenze più rilevanti di questo moto sono descritte nei paragrafi seguenti. *Video “Il moto doppio conico” http://www.youtube.com/watch?v=Onc9dT_X40A&feature=related* Precessione di equinozi e solstizi Il moto doppio conico dell’asse in senso orario comporta un lento e costante spostamento indietro nel tempo del momento in cui si verificano equinozi e solstizi; questa situazione si definisce in termini tecnici come precessione degli equinozi. La conseguenza è il progressivo anticipo, nel lungo periodo, del succedersi delle stagioni: in pratica, tra 13.000 anni (mezzo giro) le stagioni nei due emisferi saranno esattamente invertite rispetto alla situazione attuale. Questo è anche il motivo per cui la durata dell’anno solare è di poco inferiore a quella dell’anno sidereo - la differenza è pari a circa 20 minuti: 20 minuti corrispondono a circa 50,3 secondi di arco. Spostamento del polo Nord celeste Il moto doppio conico dell’asse ha una terza conseguenza: il lento e progressivo spostamento del Polo Nord celeste, ossia dell’intersezione tra l’asse terrestre e la volta celeste. In sostanza, con il passare del tempo il Polo Nord celeste, ora occupato dalla Stella polare, si verrà a trovare in posizioni diverse nel cielo boreale. tra 13.000 anni (mezzo giro) l’asse terrestre punterà verso la stella Vega, della costellazione della Lira, che diventerà così la nuova ‘stella polare’, mentre tra circa 26.000 anni la stella polare tornerà a indicare il Nord. C.2.5.2 - La variazione dell’inclinazione dell’asse terrestre La caratteristica di rilievo di questa oscillazione periodica è la sua modesta entità, limitata a circa 1 grado e mezzo. Questo fatto è dovuto alla presenza della Luna, che, esercitando la sua attrazione gravitazionale in maniera più accentuata sul rigonfiamento equatoriale del nostro pianeta, fa sì che l’asse non possa cambiare di molto la sua inclinazione. Senza la Luna, l’entità di tale oscillazione sarebbe molto maggiore, con variazioni climatiche molto accentuate: infatti, maggiore è l’inclinazione dell’asse, più marcate sono le differenze nei parametri climatici delle diverse stagioni. Il nostro satellite ci garantisce così una stabilità climatica importantissima che ha permesso alle forme viventi di sopravvivere anche in condizioni estreme quali le glaciazioni. Infine ricordiamo che la Terra, assieme agli altri pianeti, segue il Sole nel suo percorso attorno al centro della galassia, poiché essa stessa è in rotazione. *Video “I moti della Terra” http://www.youtube.com/watch?v=XQL2VJHMvqk&feature=endscreen* 44 *UNA CURIOSITÀ. Tra le tante notizie che si leggono riguardo alla fine del mondo nel dicembre 2012, ci sono anche l’allineamento di tutti i pianeti nello spazio e l’allineamento prospettico del Sole con la Terra e col centro galattico, raggiunto per via del suo lento spostamento attorno ad esso. In realtà nessuno dei due allineamenti avrà luogo.* C.3 - LA LUNA: CARATTERISTICHE E MOVIMENTI La Luna è il corpo celeste a noi più vicino e finora anche l’unico ad essere stato visitato dall’uomo. Come detto in precedenza, la Luna costituisce con la Terra un sistema doppio di pianeti. Essi ruotano attorno al comune centro di gravità. Poiché comunque la Terra è molto più grande e massiccia rispetto alla Luna, il centro di gravità si trova al di sotto della superficie terrestre, a quasi 1650 chilometri di profondità. Immaginando, per approssimazione, che sia la Luna a ruotare intorno alla Terra, possiamo dire che essa percorre un’orbita ellittica intorno a essa. Anche per l’orbita della Luna è possibile individuare un punto di maggior vicinanza ed uno di maggior lontananza rispetto alla Terra: questi due punti sono detti rispettivamente perigeo e apogeo. In perigeo la distanza Terra-Luna è pari a 356.000 km, in apogeo è di 407.000 km: la distanza media risulta quindi di 380.000 km. Il piano dell’orbita lunare è inclinato di 5° rispetto a quello dell’orbita terrestre. Di conseguenza, l’orbita lunare taglia il piano dell’eclittica in due punti, detti nodi, la cui importanza verrà discussa oltre * Senza la Luna le forme di vita sulla Terra sarebbero state molto diverse dalle attuali per adattarsi ai continui cambiamenti delle condizioni di insolazione. Dobbiamo la nostra esistenza anche alla Luna.* *Video “Cos’è la Luna” http://www.videojug.com/film/what-is-the-moon* C.3.1 - DATI GENERALI SULLA LUNA Il raggio lunare è pari a poco più ¼ rispetto a quello terrestre: esso misura circa 1740 km. La massa è 1/81 rispetto a quella della Terra: di conseguenza la Luna esercita una forza di gravità così modesta da non riuscire a trattenere attorno a sé un’atmosfera. Sempre a causa della gravità limitata, i corpi hanno un peso corrispondente a un sesto rispetto al peso che avrebbero sulla Terra. Se si divide il proprio peso per 6, si ottiene il peso che avremmo sulla Luna. Fino a poco tempo fa si riteneva che la mancanza di una atmosfera sulla Luna le avesse impedito anche di trattenere dell’acqua sulla sua superficie: di recente è stata invece confermata la presenza di acqua sul fondo di crateri posti in prossimità dei suoi poli (missione sonda LCROSS, ottobre 2009), forse portata da comete. La Luna è un corpo roccioso in orbita attorno al nostro pianeta, con una particolarità: ci rivolge sempre la stessa faccia, che quindi è l’unica che è possibile osservare dalla Terra. Ad occhio nudo si notano aree chiare ed aree scure: le prime sono dette terre, le seconde mari, anche se non contengono acqua (è un nome attribuito in passato). 45 Come si può osservare nelle foto, sia le terre sia i mari sono costellati da numerosi crateri di svariate dimensioni, con diametri da poche decine di metri fino a oltre 200 km. I crateri più grandi sono detti circhi. Tali crateri sono quasi tutti da impatto, cioè originati dai corpi che si sono schiantati sulla superficie della Luna dopo la sua formazione. Nei mari i crateri sono meno numerosi; questo ha a che fare con l’origine di queste grandi depressioni. Secondo le ipotesi più accreditate, i mari si sono formate per impatto di grossi corpi celesti che, a causa della massa e dell’elevata velocità, sono sprofondati al di sotto della superficie lunare. Il calore liberato dall’impatto ha fuso la roccia basaltica dell’interno lunare, che si è successivamente riversata in superficie, espandendosi lateralmente fino a rivestire il fondo della depressione causata dall’impatto e cancellando ogni traccia della antica superficie lunare. Poiché i basalti sono rocce scure e poco riflettenti, i mari risultano più scuri all’osservazione. Ai mari sono stati assegnati nomi latini di fantasia: 1. = Mare Imbrium 2 = Mare Serenitatis 3 = Mare Tranquillitatis 4 = Mare Fecunditatis 5 = Mare Crisium 6 = Mare Crisium 7 = Oceanus Procellarum 7 = cratere Tycho (in onore di Tycho Brahe, astronomo): il più spettacolare esempio di cratere raggiato. Nel Mare Tranquillitatis l’uomo è sceso per la prima volta sulla Luna, nell’estate del 1969. C.3.2. - MOTI DELLA LUNA La Luna compie tre moti principali: rotazione attorno al proprio asse; rivoluzione attorno alla Terra (attorno al comune centro di gravità); traslazione con la Terra attorno al Sole. A questi si aggiungono dei moti secondari complessivamente detti ‘librazioni’. I due moti di rotazione e rivoluzione. Sia nel caso della rotazione su se stessa, sia nel caso della rivoluzione attorno alla Terra, il verso è antiorario, come quello dei due moti principali del nostro pianeta. La particolarità dei moti lunari è che rotazione e rivoluzione hanno la stessa durata: quasi un mese terrestre. Come per il periodo del moto di rotazione terrestre, anche il periodo della rotazione e rivoluzione lunare cambia a seconda del sistema di riferimento. Si definisce mese sidereo il periodo di tempo necessario affinché la Luna compia una rotazione completa su se stessa di un angolo giro (360°). Il mese sidereo è pari a circa 27 giorni, 7 ore e 45 minuti; tale valore coincide con quello che si otterrebbe prendendo come riferimento una stella lontana. Si definisce mese sinodico il periodo di tempo necessario affinché la Luna si riallinei nuovamente nello stesso modo con la Terra e il Sole, ossia affinché la Luna, la Terra e il Sole si ritrovino esattamente nelle stesse posizioni reciproche. Il mese sinodico dura 29 giorni, 12 ore e 45 minuti circa. 46 Il mese lunare è anche noto come lunazione e corrisponde quasi al mese del calendario. Perché questa differenza? Poiché al termine di un giro orbitale attorno alla Terra, la Luna si è anche spostata attorno al Sole insieme alla Terra; per questo motivo il nostro satellite deve percorrere un tratto supplementare di orbita per tornare nella stessa fase, cioè nella stessa posizione rispetto al Sole e alla Terra e questo allunga i tempi di quasi due giorni. In altri termini, un giro orbitale ricolloca Terra e Luna com’erano tra loro, rispetto alla sfera celeste, ma non rispetto al Sole: essendosi spostate entrambe intorno ad esso, sono necessari altri due giorni affinché la Luna sia di nuovo allineata con il Sole e la Terra e quindi si venga a trovare nella stessa fase lunare. La perfetta coincidenza dei periodi del moto di rotazione e rivoluzione comporta il fatto che la Luna rivolga verso la Terra sempre la stessa faccia. Le conseguenze della rivoluzione lunare attorno al nostro pianeta sono due: ✓ la successione delle fasi lunari; ✓ le eclissi solari e lunari; ✓ le maree. C.3.3 - LE FASI LUNARI Sappiamo tutti che la Luna si presenta illuminata dal Sole in maniera diversa di sera in sera e che il fenomeno è ciclico, poiché dopo un certo tempo (un mese sinodico) la rivediamo nelle stesse condizioni di illuminazione. Se la si osserva ogni giorno, si può notare che la superficie illuminata dal Sole rivolta verso di noi cresce e descresce periodicamente e che essa sorge e tramonta sempre più tardi di giorno in giorno. Dapprima la si vede sorgere come una sottile falce appena visibile nella tarda mattinata, dopo il Sole, anche se è più facile osservarla appena dopo il tramonto, quando il cielo si fa più scuro. Passati alcuni giorni, essa sorge verso mezzogiorno e appare illuminata per circa metà della sua superficie visibile. Successivamente essa sorge via via più tardi e appare sempre più illuminata fino a presentarsi in forma di cerchio luminoso. In seguito, col passare del tempo, essa sorge sempre più tardi nella notte e l’area illuminata si riduce sempre più, fino a sparire del tutto alla vista per qualche giorno. Con un po’ di pazienza, la si vede ricomparire al pomeriggio in forma di falce sottile: il ciclo si è completato. Le diverse condizioni di illuminazione ora descritte dipendono dalla posizione della Luna in rapporto alla Terra e al Sole. Le fasi lunari descrivono il diverso aspetto che la Luna assume in quattro momenti particolari della sua orbita attorno alla Terra: nei due momenti in cui Sole, Terra e Luna sono allineati e nei due momenti in cui le congiungenti Sole-Terra e Terra-Luna assumono un valore di 90°. Nell’ordine in cui si succedono, sono dette Luna nuova, primo quarto, Luna piena, ultimo quarto. Luna nuova - Novilunio Sole, Terra e Luna sono allineati, con la Luna posta tra il Sole e la Terra. 47 Dal nostro punto di vista, posto sulla Terra, la Luna sta dalla stessa parte del Sole e la faccia della Luna rivolta verso di noi non è illuminata dal Sole: in queste condizioni la Luna non è visibile in cielo. Questa fase è anche detta novilunio e sui calendari è indicata con un dischetto nero. Primo quarto. Le linee congiungenti Sole-Terra e Terra-Luna sono perpendicolari e, per un osservatore posto sulla Terra, la Luna si trova a Est rispetto al Sole. In queste condizioni, la Luna sorge circa a mezzogiorno, e tramonta circa a mezzanotte: pertanto è facile osservarla in cielo nel tardo pomeriggio e nel corso della serata. La parte illuminata è rivolta verso Ovest e sui calendari è indicata con un dischetto diviso in due parti: la parte nera posta a sinistra e la parte chiara posta a destra. Luna piena - Plenilunio Sole, Terra e Luna sono allineati, con la Terra posta tra il Sole e la Luna. Dal punto vista di noi terrestri, la Luna sta dalla parte opposta rispetto al Sole e la faccia della Luna rivolta verso di noi è completamente illuminata dal Sole. In queste condizioni la Luna sorge nel tardo pomeriggio e tramonta di primo mattino: pertanto essa si osserva nel cielo di sera e di notte. Questa fase è anche detta plenilunio e sui calendari è indicata con un dischetto chiaro. Ultimo quarto. Le congiungenti Sole-Terra e Terra-Luna sono perpendicolari e, per un osservatore posto sulla Terra, la Luna si trova a Ovest rispetto al Sole. In queste condizioni, la Luna sorge circa a mezzanotte, e tramonta attorno a mezzogiorno; pertanto è facile osservarla in cielo di primo mattino. La parte illuminata è rivolta verso Est e sui calendari è indicata con un dischetto chiaro a sinistra e nero a destra. Poiché l’intervallo di tempo necessario affinché la Luna si ripresenti nella stessa posizione rispetto al Sole e alla Terra è pari a 29 giorni e 12 ore, si può dedurre che ogni fase è separata dalla successiva da un periodo pari a poco più di 7 giorni. Naturalmente il passaggio da una fase alla successiva è graduale, con una illuminazione progressivamente crescente, fino al plenilunio, o decrescente fino al novilunio. Si parla infatti di Luna crescente nel periodo compreso tra Luna nuova e Luna piena e Luna calante in quello compreso tra Luna piena e Luna nuova. * La Luna cambia fase ogni 7 giorni circa.* Occorre notare che la Luna è piena solo per una notte, anche se sembra che lo sia per due o tre notti di seguito! *Gobba a Ponente, Luna crescente, Gobba a Levante, Luna calante. Sapresti commentare questo proverbio?* 48 *Video interattivi “Fasi lunari” http://astro.unl.edu/classaction/animations/lunarcycles/moonphases.html http://astro.unl.edu/classaction/animations/lunarcycles/lunarapplet.html* * RIFLETTI Dunque è difficile avere due fasi lunari uguali nello stesso mese! Se ciò accade per la luna piena, allora la seconda luna piena di quel mese è detta ‘blue moon’. Per ovvie considerazioni numeriche, una blue moon non potrà comunque aversi a febbraio, neanche negli anni bisestili: esso è sempre più breve di una lunazione! E se ci rechiamo nell’emisfero sud? In tal caso saremmo sottosopra rispetto a come osserviamo dal nostro emisfero, per cui destra e sinistra apparirebbero invertite: la fase è sempre la stessa, ma al primo quarto vedremmo la Luna illuminata nella sua metà sinistra e viceversa all’ultimo quarto! Cioè l’opposto di quel che si vede dal nostro emisfero!* (APPROFONDIMENTO FASI LUNARI E FESTE MOBILI PER I CRISTIANI Le fasi lunari condizionano le feste mobili, cioè le feste religiose la cui data varia di anno in anno: Pasqua, Pentecoste e Corpus Domini. La data di Pasqua coincide con la prima domenica successiva al primo plenilunio di primavera; poiché la primavera inizia il 21 marzo, la Pasqua cade sempre dopo questa data. La Pentecoste cade 50 giorni dopo e la festa del Corpus Domini 60 giorni dopo la Pasqua.) C.3.4 - CALENDARIO L’astronomia ci ha fornito il calendario: giorni, settimane, mesi e anni sono, infatti, scanditi dai moti della Terra e della Luna: • il giorno è pari al periodo di rotazione della Terra su se stessa, tenendo come riferimento il Sole (giorno solare); • la settimana è circa pari al periodo di tempo tra una fase lunare e la successiva; • il mese coincide grosso modo con il periodo del moto di rivoluzione della Luna attorno alla Terra (mese lunare); • l’anno corrisponde al tempo necessario affinché la Terra compia per intero il suo moto di rivoluzione attorno al Sole. * giorni, mesi ed anni altro non sono che le durate dei moti di Terra e Luna nello spazio.* C.3.5 - LE ECLISSI Il termine eclissi significa scomparsa, sparizione. Le eclissi sono fenomeni che si verificano quando Sole Terra e Luna sono perfettamente allineati, in maniera tale che la Terra o la Luna facciano ombra l’una all’altra, intercettando la luce solare. In particolare, si possono verificare: 49 ✴ eclissi di Luna, quando la Terra si interpone tra Sole e Luna e quest’ultima entra nel cono d’ombra della Terra; questo fenomeno può accadere solo durante la fase di Luna piena, o plenilunio ✴ eclissi di Sole, quando la Luna, nel suo moto attorno alla Terra, si sovrappone al Sole, proiettando la sua ombra sulla superficie terrestre; questa situazione si può verificare solo durante la fase di Luna nuova, o novilunio; * L’eclissi di Sole dell’agosto 1999 ripresa da Graz, in Austria: la Luna copre interamente il Sole e l’alone circostante è la “corona solare”* Se si riflette un istante, ci si rende conto, tuttavia, che non avvengono eclissi in corrispondenza di ogni plenilunio e novilunio: per avere un’eclissi, occorre infatti che la Luna si trovi in uno dei nodi, cioè in uno dei due punti in cui l’orbita lunare interseca il piano dell’eclittica. Diversamente, i tre corpi non sono perfettamente allineati nello spazio e non si verifica alcuna eclisse: in un plenilunio normale, l’allineamento tra Sole, Terra e Luna non è preciso, l’ombra terrestre non si proietta sulla Luna ma nello spazio e l’eclisse non avviene. Ovviamente le eclissi di Sole sono diurne, mentre quelle di Luna sono osservabili nelle ore notturne. Eclissi di Sole Poiché la Luna è più piccola della Terra, il cono d’ombra lunare copre solo una piccola parte della superficie terrestre illuminata dal Sole. Di conseguenza l’eclisse di Sole è osservabile come totale solo da alcune località, mentre si osserverà come parziale dalle località adiacenti, che ricadono nel cono di penombra lunare. Dalle località poste al di fuori di ombra e penombra, non si osserverà alcuna eclisse. Inoltre, a causa del rapido spostamento della Luna, il fenomeno dura pochi minuti per ciascuna località. Le eclissi totali di Sole sono consentite dal fatto che le dimensioni apparenti di Sole e Luna sono circa le stesse. (RIFLETTI Com’è possibile che il disco lunare appaia grande esattamente quanto quello solare, ricoprendolo perfettamente? Eppure i due corpi hanno dimensioni nettamente differenti! Qui entra in gioco una singolare coincidenza: il Sole è 400 volte più grande della Luna, ma è anche 400 volte più lontano della Luna da noi, per cui appare in cielo con le stesse dimensioni apparenti della Luna. Difatti proviamo a moltiplicare la distanza media Terra – Luna per 400 e vediamo cosa otteniamo: 380.000 km x 400 = 152.000.000 Km , cioè la distanza Terra –Sole! Ora moltiplica tu il diametro lunare (3.400 km) per 400 e vedi se ottieni il diametro solare, anche se con approssimazione.) Eclissi di Luna. Poiché il cono d’ombra terrestre è abbastanza grande da contenere la Luna, una eclisse lunare è visibile da tutti i punti della Terra in cui è notte e dura più a lungo rispetto ad un’eclissi di Sole. 50 Finché la Luna è immersa nella penombra, la sua luminosità non è completamente oscurata, ma solo indebolita. Successivamente, quando la Luna si porta per intero nel cono d’ombra terrestre, essa non si oscura completamente, ma si colora di rosso scuro. Questo fenomeno è dovuto alla rifrazione dei raggi solari da parte dell’atmosfera terrestre: una parte della luce solare è quindi deviata e va a proiettarsi sulla superficie lunare. Ecco perché la Luna appare rossastra. *Eclisse lunare totale del 9 novembre 2003. La colorazione rossastra che la Luna assume durante il fenomeno è dovuta alla deviazione dei raggi solari operata dall’atmosfera terrestre. Sono maggiormente deviati quelli della luce rossa, che va a colpire la superficie lunare. Una eclisse lunare può anche essere parziale, come quella dell’agosto 2008. * Eclisse di Luna del 12 agosto 2008. La Luna è entrata solo in parte nel cono d’ombra della Terra, per cui si è verificata un’eclisse parziale. La parte in ombra diviene rossastra.* (Osserviamo il cielo Il Sole e la Luna assumono colorazione rossastra anche quando sono bassi all’orizzonte (alba e tramonto). In entrambi i casi l’arrossamento è dovuto alla presenza dell’atmosfera terrestre. Quando sono bassi sull’orizzonte, la luce solare e lunare viene filtrata maggiormente dall’atmosfera: la luce blu diffonde in tutte le direzioni (scattering, il motivo per cui il cielo è blu), la luce rossa la attraversa senza subire invece diffusione, per cui Sole e Luna appaiono rossastri.) * Non tutti sanno che … l’allineamento di un’eclisse può ripetersi esattamente identico a se stesso. Ciò avviene dopo 18 anni e 10 giorni: cioè un’eclisse si ripete uguale dopo tale periodo di tempo; l’eclisse del 2008 si verificherà di nuovo nel 2026, ma con dieci giorni di ritardo! Questo periodo è detto ciclo saros o “della ripetizione delle eclissi” ed è stato scoperto dagli astronomi di 2500 anni fa …* DOMANDE PER IL RIPASSO MODULO C 29.Spiega perché i raggi solari giungono, ogni giorno sulla superficie terrestre, con inclinazione diversa 30.Spiega perché il giorno solare ha una durata maggiore del giorno sidereo 31.Qual è la differenza tra velocità angolare e lineare della Terra nel suo moto di rotazione? 32.Perché non possiamo dire in senso assoluto che il moto di rotazione terrestre avviene in senso antiorario? 33.Quali sono le conseguenze del moto di rotazione terrestre? 34.Argomenta perché si verifica l'alternanza delle stagioni. 51 35.Quali sono le conseguenze del moto di rivoluzione della Terra? 36.Il versante sud delle nostre montagne è sicuramente più soleggiato di quello esposto a nord: nell'emisfero australe è lo stesso o è più soleggiato il versante nord? 37.Quali conseguenze si verificherebbero se l’asse terrestre fosse perpendicolare al piano dell’eclittica? 38.Perché le estati dell’emisfero australe sono più brevi e più fresche di quelle del nostro emisfero? 39.Cosa si intende per inerzia termica dell’atmosfera? Quali effetti determina? 40.Quali sono i moti secondari delle Terra? Quali le relative conseguenze? 41.Quali movimenti compie la Luna? 42.Perché il mese sidereo è più breve del mese lunare? 43.Quali sono le conseguenze dei moti della Luna? 44.Cosa succederebbe se il moto di rotazione della Luna fosse più veloce di quello attuale? 45.Descrivi il fenomeno delle eclissi. 46.Perché non si verificano una eclissi di luna e una di sole ogni mese? 47.Perché le eclissi di Sole sono visibili soltanto da alcune zone della superficie terrestre, mentre quelle di Luna da tutti i punti della superficie terrestre per i quali è notte? 48.Perché la Luna sorge ogni giorno con circa 50 minuti di ritardo rispetto al giorno precedente? CACCIA ALL’ERRORE MODULO C 1. La Terra, nel corso del suo moto di rivoluzione intorno al Sole, si muove con velocità costante. 2. L’orbita della Luna interseca il piano dell’eclittica lungo una linea retta. 3. L’orbita della Luna interseca l’orbita terrestre in due punti. 4. Il circolo di illuminazione può sovrapporsi perfettamente a un meridiano in coincidenza con i solstizi. 5. In coincidenza con gli equinozi, l’asse terrestre e il circolo di illuminazione sono entrambi ortogonali rispetto al piano dell’eclittica. 6. In coincidenza con gli equinozi, il circolo di illuminazione è perpendicolare al piano dell’eclittica e l’equatore è parallelo al piano stesso. 7. Sulla volta celeste, alle nostre latitudini (45° a Nord dell’equatore) le costellazioni zodiacali si possono trovare allo zenit in ogni giorno dell’anno. 8. Il baricentro del sistema Terra-Luna si trova esattamente a metà della linea che congiunge i baricentri dei due corpi celesti. 52 9. La stella polare si trova all’intersezione tra l’asse terrestre e il piano dell’orbita terrestre. 10.Se l’asse terrestre fosse perpendicolare al piano dell’orbita terrestre le stagioni sarebbero invertite. 11. I raggi del Sole colpiscono tutti i punti della Terra nello stesso modo per tutto l'anno 12.Durante il solstizio i raggi solari giungono perpendicolari all'equatore terrestre 13.Il Sole nasce sempre esattamente a est 14.L'asse di rotazione della Terra è perpendicolare al piano dell'orbita 15.Il moto di rivoluzione terrestre è causa dell'alternarsi del dì e della notte 16.Il circolo di illuminazione non passa mai dai poli 17.I circoli polari sono i paralleli più lontani dall'Equatore in cui è possibile avere il Sole allo zenit 18.Nel nostro emisfero è estate quando la Terra è più vicina al Sole 19.Secondo la prima legge di Keplero, che la Terra descrive un’orbita curva aperta attorno al Sole. 20.La seconda legge di Keplero, in pratica, afferma che la Terra ruota su se stessa con velocità variabile. 21.La velocità lineare di rotazione di un punto posto sopra la superficie terrestre dipende dal giorno dell’anno considerato. 22.La distanza angolare che la Terra copre in tre mesi nel suo moto di rivoluzione intorno al Sole è pari a circa 30 gradi. 23.Se la Terra non ruotasse intorno al Sole rimarrebbe ferma in una posizione e continuerebbe a ruotare intorno al proprio asse. 24.Le varie costellazioni, zodiacali e non, ad esclusione di quelle circumpolari, ogni giorno sorgono qualche minuto dopo rispetto del giorno precedente. 53 MODULO D - L’ORIENTAMENTO GEOGRAFICO INTRODUZIONE Per alcune categorie di lavoratori, il navigatore satellitare è ormai uno strumento indispensabile. Ma se questo è attualmente la migliore applicazione tecnologica per l’orientamento geografico, in passato i popoli antichi si sono orientati prima con l’osservazione di ciò che gli stava intorno e poi con l’ausilio di altri strumenti. Partiamo dall’osservazione. Non è sufficiente osservare: bisogna saper osservare e poi collegare quanto visto con i fenomeni naturali che regolano la vita sulla Terra. *ORIENTARSI VUOL DIRE ✓ stabilire la posizione dei punti cardinali ✓ individuare la direzione da percorrere, riferita ad essi* In passato, l’orientamento si è basato sull’osservazione del cielo. Dopo aver svolto l’unità sui moti della Terra, ciascuno dovrebbe essere in grado di orientarsi nel modo più semplice, ovvero sapere in che direzione è rivolto il proprio sguardo. D.1. - ORIENTARSI DURANTE IL DI’ Per potersi orientare con l’osservazione del cielo, è indispensabile avere chiara consapevolezza del cammino apparente del Sole nella volta celeste e dei momenti caratteristici di questo moto: l’alba, la culminazione e il tramonto. Alba: corrisponde al momento in cui il Sole appare all’orizzonte; come già detto nella sezione precedente, per indicare l’ora del sorgere del Sole in una data località della terraferma non si tiene conto dell’effetto dei rilievi eventualmente presenti; Culminazione: è il momento in cui il Sole raggiunge la massima altezza rispetto all’orizzonte Tramonto: corrisponde al momento in cui il Sole scompare all’orizzonte; anche in questo caso sulla terraferma non si considera l’effetto dei rilievi. A questi tre momenti particolari, relativi al moto apparente del Sole, non è difficile associare una direzione: nel nostro emisfero, l’alba si verifica tra Nord-Est e Sud-Est, la culminazione in direzione Sud, il tramonto tra Sud-Ovest e Nord-Ovest (Tabella 1). Nell’emisfero Australe, la culminazione del Sole indica il Nord. Pertanto, in base al moto apparente del Sole è possibile individuare tutti i punti cardinali: il Sud è la direzione in cui avviene la culminazione del Sole; il Nord si trova dalla parte opposta rispetto al Sud, quindi esattamente alle proprie spalle; se ci si rivolge a Sud, l’Est si trova esattamente a sinistra e l’Ovest esattamente a destra. Occorre notare che la direzione indicata dal Sole in corrispondenza di alba e tramonto corrispondono esattamente all’Est e all’Ovest solo nei giorni degli equinozi: 20/21 marzo e 22/23 settembre; nel periodo di tempo compreso tra il solstizio d’inverno e il solstizio d’estate i punti in cui il Sole sorge e tramonta si spostano sempre a Nord, per contro, nel periodo che intercorre tra il solstizio d’estate e il solstizio d’inverno tali punti si spostano progressivamente più a Sud. I punti cardinali sono rappresentati nella rosa dei venti: si tratta di una rappresentazione schematica su un piano dei quattro punti cardinali principali - Nord, Sud, Est e Ovest - posti ai vertici di una stella a 54 quattro punte; le punte sono separate le une dalle altre da angoli di 90°. Tra le punte principali è possibile inserire altre punte che rappresentano le direzioni intermedie (NE, NO, SE, SO). * il Sole sorge esattamente a Est e tramonta esattamente a Ovest solo il 20/21 marzo e il 22/23 settembre, giorni in cui si verificano gli equinozi di primavera e d’autunno.* D.1.2 - UN METODO PRATICO DI ORIENTAMENTO: IL METODO DEL PALETTO. I punti di riferimento particolari del paesaggio, memorizzati con precedenti osservazioni, sono senz’altro d’aiuto quando dobbiamo muoverci sul territorio. Ma in mancanza di punti di riferimento come bisogna comportarsi? Quale risorsa è possibile sfruttare per non perdersi e arrivare a destinazione? Il metodo del paletto sfrutta la rotazione del Sole, ossia il suo moto apparente. Si tratta di un metodo molto semplice, che deve essere eseguito attorno a mezzogiorno. È necessario scegliere una piccola area pianeggiante e conficcare un picchetto nel terreno, perpendicolarmente alla sua superficie. Dopo questa operazione, a intervalli regolari si segna sul terreno il punto in cui è proiettata l’ombra dell’apice del paletto. La lunghezza dell’ombra raggiunge un valore minimo quando il Sole culmina a Sud: pertanto, in questo momento della giornata, l’ombra indica la direzione Nord. Tracciando una linea perpendicolare a quella appena individuata e guardando verso Sud, tale linea a sinistra indica l’Est e a destra l’Ovest. D.2. - ORIENTARSI DI NOTTE: L’OSSERVAZIONE DELLE STELLE I metodi finora descritti riguardano l’orientamento nel corso del dì e sono basati sul moto apparente del Sole. Una volta che il Sole è tramontato, per orientarsi durante la notte si passa all’osservazione delle stelle. Anche le stelle, come il Sole, sono caratterizzate da un moto apparente: nel nostro emisfero molte di esse, le cosiddette stelle occidue, sorgono a Est, culminano Sud e tramontano a Ovest. Nel cielo possiamo osservare anche stelle che non tramontano, ma descrivono traiettorie circolari chiuse sulla volta celeste, restando sempre sopra il piano dell’orizzonte: si tratta delle stelle circumpolari (vedi modulo C). Se il moto apparente delle stelle occidue è in grado di fornirci un’indicazione di massima della direzione, le costellazioni del grande e piccolo carro, dette anche Orsa maggiore e Orsa minore, ci indicano esattamente il Nord, a partire dal quale si possono poi ricavare gli altri punti cardinali. Tra le stelle circumpolari, l’unica stella che rimane fissa nella propria posizione è la stella polare e tale posizione, visibile solo nell’emisfero boreale, coincide con il punto della volta celeste corrispondente al prolungamento dell’asse terrestre in direzione Nord, pertanto essa indica il Nord geografico. Per localizzare la stella polare, occorre dapprima individuare l’Orsa maggiore, o Gran carro, una grande costellazione facilmente visibile nel cielo boreale. Successivamente, occorre tracciare nel cielo una linea immaginaria che congiunga le due ultime stelle del carro: prolungandola per una distanza circa pari a cinque volte quella che le separa, si giunge alla stella polare. D.3. - OSSERVARE E ORIENTARSI CON STRUMENTI: LA BUSSOLA È probabilmente superfluo ricordare che, qualora il cielo sia nuvoloso, non è possibile osservare la traiettoria del Sole o individuare la posizione delle stelle. Di conseguenza, in mancanza di precisi punti 55 di riferimento, anche l’orientamento diventa impreciso e poco attendibile. In questi casi bisogna ricorrere a strumenti utilizzabili a prescindere dallo stato del cielo. La bussola è uno strumento per l’orientamento relativamente semplice. E’ costituita da un quadrante, entro il quale è imperniato un ago magnetico libero di ruotare. L’ago si orienta naturalmente verso il Nord magnetico, poiché subisce l’influenza del campo magnetico terrestre. Tuttavia, il Nord magnetico non coincide con il Nord geografico: se seguissimo la direzione indicata dalla bussola, non giungeremmo al Polo Nord geografico poiché l’asse del campo magnetico non coincide con l’asse di rotazione terrestre. Il polo Nord magnetico cambia lentamente la sua posizione sulla superficie terrestre. Nel 2005, secondo stime effettuate in quell’anno, esso si trovava a Ovest dell’arcipelago canadese delle isole Ellesmere (latitudine 82°42’N, longitudine 114°24’W). Il polo Sud magnetico, anch’esso in lento movimento sulla superficie terrestre, si trovava nel 2005, secondo stime di quell’anno, nei pressi delle costa della Terra di Adelia, in Antartide (latitudine 64°32’S, longitudine 137°51’E), poco all’esterno del circolo polare antartico. Quindi, per evitare di giungere in un luogo diverso da quello desiderato, è necessario effettuare una correzione che tenga conto di tale differenza. L’angolo di declinazione magnetica permette questa correzione e in pratica riallinea il meridiano magnetico indicato dalla bussola con il meridiano geografico. Già nel 1700 le carte geografiche, oltre ai meridiani geografici, riportavano le linee isogone che correggevano i valori indicati dalla bussola. D.4. - IL RETICOLATO GEOGRAFICO La precisione e il dettaglio che caratterizzano le attuali carte geografiche sono il risultato di un continuo aggiornamento, sostenuto da tecniche di rappresentazione e da strumenti di misura sempre più affidabili. Con una carta geografica, o con altri strumenti simili, è possibile individuare la posizione di ogni singolo punto della superficie terrestre, ma ciò presuppone un sistema di riferimento comune a tutti. Il sistema di riferimento universalmente valido, di facile lettura e semplice da usare, è costruito a partire dall’asse di rotazione terrestre. D.4.1 - L’ASSE TERRESTRE L’asse terrestre è il primo e principale elemento geometrico e geografico; esso è definito dal moto di rotazione. A partire dall’asse terrestre vengono individuati sulla superficie terrestre e sulla sfera celeste una serie di elementi derivati: i poli, i meridiani e i paralleli. Tutti questi elementi sono determinati dall’intersezione tra la superficie terrestre o la sfera celeste e linee e piani in vario modo legati all’asse terrestre. D.4.2 - I POLI GEOGRAFICI Il polo Nord e il polo Sud terrestri sono individuati dall’intersezione tra la superficie terrestre e l’asse di rotazione della Terra. Si tratta degli unici punti della superficie terrestre in cui la velocità lineare di rotazione è pari a zero. I corrispondenti poli celesti si ottengono intersecando la sfera celeste con l’asse terrestre. 56 * I due poli sono gli unici punti della superficie terrestre con velocità lineare uguale a zero* D.4.3 - I MERIDIANI I meridiani sono semi-circonferenze individuate dall’intersezione tra la superficie terrestre e gli infiniti semi-piani che si originano dall’asse terrestre. I meridiani sono semi-circonferenze che uniscono i poli, hanno uguale ampiezza e lo stesso raggio e suddividono la superficie terrestre in aree fusiformi; dal punto di vista astronomico, ogni meridiano è la linea costituita da tutti i punti che hanno il mezzogiorno nello stesso momento. I principali meridiani sono detti meridiani di grado, e sono individuati da semipiani che comprendono angoli dell’ampiezza di un grado sessagesimale; pertanto è possibile individuare sul globo terrestre 360 diversi meridiani di grado. In realtà si parla generalmente di 180 meridiani e 180 antimeridiani. I meridiani celesti si individuano in modo analogo ai meridiani terrestri, intersecando la volta celeste con i semipiani che si originano dall’asse terrestre. D.4.4 - I PARALLELI I paralleli sono circonferenze individuate dall’intersezione tra la superficie terrestre e gli infiniti piani perpendicolari all’asse terrestre compresi tra i due poli. I paralleli sono circonferenze tutte parallele tra loro, perpendicolari all’asse terrestre e con il centro su di esso L’equatore è il parallelo con la massima lunghezza e ampiezza; esso suddivide idealmente la superficie terrestre in due calotte sferiche uguali: l’emisfero Nord o Boreale e l’emisfero Sud o Australe I poli si possono considerare come i paralleli di ampiezza nulla, con raggio pari a zero, dal punto di vista geometrico essi costituiscono i punti di contatto tra la superficie terrestre e i due piani perpendicolari all’asse ad essa tangenti. Gli altri paralleli sono circonferenze di raggio progressivamente minore, man mano che ci si sposta dall’equatore verso i poli. In maniera analoga ai meridiani, è possibile individuare i paralleli di grado: si tratta di 90 paralleli a Nord dell’equatore e 90 paralleli a Sud dell’equatore, con distanza angolar pari a un grado. I paralleli celesti sono costituiti dalla proiezione dei paralleli terrestri sulla volta celeste; il punto da cui si effettua la proiezione è il centro della Terra. D.4.5 - IL RETICOLATO GEOGRAFICO Meridiani e paralleli costituiscono il reticolato geografico: si tratta di un insieme di linee immaginarie circolari che si intersecano ad angolo retto sulla superficie terrestre e sulla sfera celeste. I meridiani sono tutti uguali tra loro, quindi è stato individuato un meridiano di riferimento per convenzione tra gli addetti ai lavori. Fu con la Conferenza Internazionale per il Meridiano di Washington (1884) che si stabilì come meridiano fondamentale di riferimento quello passante dall’osservatorio astronomico di Greenwich. 57 In tale occasione si stabilì anche che, rispetto a Greenwich, i meridiani assumono valore positivo in direzione Est e valore negativo in direzione Ovest. Il meridiano fondamentale ha quindi valore di longitudine uguale a 0°, mentre tutti gli altri hanno valori compresi fra 0° e 180° Est o Ovest. Infine, il meridiano a 180° da Greenwich è detto antimeridiano e coincide con la linea del cambiamento di data. Meridiani particolarmente utili sono quelli posti a distanze angolari dal meridiano di Greenwich pari a multipli di 15 gradi. Con riferimento a questi meridiani, la superficie terrestre viene suddivisa in 24 sezioni fusiformi, corrispondenti alle 24 ore in cui è suddiviso il giorno solare medio. Il parallelo di riferimento è l’equatore, ottenuto dall’intersezione tra la superficie terrestre e il piano perpendicolare all’asse terrestre passante per il centro della Terra. D.4.6 - LATITUDINE E LONGITUDINE Costruito il reticolo geografico, il passaggio successivo riguarda la modalità di individuazione di un punto qualsiasi all’interno del reticolo stesso. La posizione di ciascun punto è determinata in maniera univoca indicando la distanza angolare rispetto al meridiano e al parallelo di riferimento. Analogamente al piano cartesiano che usa l’ascissa e l’ordinata, anche con il reticolo geografico si usano due valori: questi valori sono quelli che corrispondono alla latitudine e alla longitudine; si tratta in breve delle distanze angolari tra il punto di cui si vuol determinare la posizione e il meridiano e il parallelo di riferimento. La latitudine corrisponde all’arco di meridiano compreso fra il parallelo che passa per il punto P e l’equatore. Evidentemente, tutti i punti che costituiscono un parallelo hanno la stessa latitudine. Ad eccezione dell’equatore, assieme al valore della latitudine deve essere indicata la direzione - Nord oppure Sud - poiché solo così è possibile sapere se il punto si trova nell’emisfero boreale oppure in quello australe. La longitudine corrisponde all’arco di parallelo compreso fra il meridiano che passa per P e il meridiano di Greenwich. Anche per la longitudine occorre indicare la direzione. Per convenzione internazionale i punti a destra del meridiano di Greenwich fino alla linea del cambiamento di data (antimeridiano di Greenwich) sono in direzione Est (E), mentre quelli a sinistra sono in direzione Ovest (W). Con la latitudine e la longitudine ora siamo in grado di attribuire la posizione assoluta di un punto sulla superficie terrestre e solo in questo momento siamo nelle condizioni per poterla determinare e la conseguente scelta di direzione sarà pertanto corretta. Per individuare latitudine e longitudine di un punto sulla superficie terrestre, si può ricorrere a: ✓strumenti ✓carte geografiche ✓misurazioni 58 D.5. - STRUMENTI PER DETERMINARE LA PROPRIA POSIZIONE D.5.1 - DISPOSITIVI G.P.S. Esistono in commercio diversi dispositivi, più o meno sofisticati, concepiti sul principio di funzionamento del Global Positioning System. D.5.2 - GOOGLE MAPS Una soluzione meno costosa è l’uso di Google Maps: si digita l’indirizzo e, oltre alla mappa del luogo richiesto, sono indicate le coordinate di latitudine e longitudine. Consapevoli del significato dei valori forniti, è un metodo veloce e pratico che però ha un limite: non consente di sapere la posizione cercata quando non si dispone di un computer. D.5.3 - CARTE Durante un’escursione, la carta geografica è forse lo strumento più accessibile e utilizzato. Premesso che la lettura e l’uso delle carte geografiche sono oggetto della disciplina geografia, verranno di seguito richiamati solo gli elementi essenziali. Ogni carta geografica riporta i valori di latitudine e longitudine entro i quali si trova la superficie terrestre rappresentata sulla carta stessa. Inoltre, quando si dispone di una carta topografica, sulla rappresentazione è sovrapposto il reticolato chilometrico dove il lato del quadrato corrisponde a un chilometro. Ciò agevola il calcolo e la determinazione delle coordinate di qualsiasi punto riportato sulla carta. Per trovare le coordinate di qualsiasi punto al suo interno, si procede per interpolazione e i valori ottenuti saranno più o meno precisi a seconda della scala di riduzione. Il punto di cui si vuole conoscere le coordinate, se non si trova direttamente su un dato parallelo o meridiano, è all’interno del reticolato geografico e pertanto dalla lettura dei valori presenti sulla carta, possiamo già stabilire la coppia di valori entro cui andremo a determinare la latitudine e la longitudine incognita. D 6 - LE COORDINATE POLARI Fin qui abbiamo visto come si determina la posizione di un punto della superficie terrestre rispetto ad un sistema di riferimento univoco come è il reticolo geografico che usa la latitudine e la longitudine. Quando lo spostamento avviene all’interno di un’area di superficie limitata, come per esempio quella rappresentata da una carta topografica, usare le coordinate geografiche non è molto pratico ed è preferibile ricorrere alle coordinate polari. Con le coordinate polari saremo in possesso dei dati che occorrono per spostarsi all’interno di un territorio: l’angolo di direzione da seguire e la distanza da percorrere per giungere a destinazione. Infatti, le coordinate polari sono le coordinate di un punto P, posto su un piano, definite da un vettore. Il vettore in questione ha origine nel punto in cui ci troviamo ed è identificato con una direzione, l’angolo azimutale, e una distanza, di solito espressa in metri. L’angolo azimutale, o azimut, di un punto Q rispetto al punto P in cui ci troviamo è l’angolo fra la direzione PQ e la direzione del Nord. È un angolo che ha valore compreso fra 0° e 360°, escluso, ed è sempre in senso orario. Gli strumenti necessari per ricavare l’azimut sono la bussola e la carta geografica. Che la bussola si orienti con il suo ago a Nord è risaputo, ma va aggiunto che anche le carte geografiche sono costruite con l’orientamento 59 a Nord, indicato in alto e, convenzionalmente, le linee verticali del reticolo geografico sono dirette appunto a Nord. Una volta appoggiata la bussola sulla carta geografica e allineato l’ago con il nord della carta stessa, si deve leggere l’angolo che ha come vertice il centro della bussola e come lati la direzione Nord e la direzione PQ. L’angolo azimutale trovato indicherà l’esatta direzione che sarà seguita e controllata passo dopo passo con la bussola. Dalla carta geografica ricaviamo poi, con l’aiuto di un righello, la distanza del punto P da Q. DOMANDE PER IL RIPASSO MODULO D 1. Definisci l'alba, la culminazione e il tramonto del Sole 2. Motiva la differenza fra polo nord magnetico e polo nord geografico 3. Spiega l'utilità del reticolato geografico 4. Spiega cosa sono i poli geografici e perché sono stati scelti proprio loro 5. Da cosa è formato il reticolato geografico? 6. Definisci la latitudine e la longitudine 7. Perché l'unità di misura della latitudine e della longitudine è il grado? 8. Nell'emisfero boreale, perché la stella polare è stata scelta ad indicare il Nord? 9. Argomenta perché durante gli equinozi e i solstizi è possibile determinare i punti cardinali e orientarsi 10.Spiega perché, in ogni emisfero, i paralleli sono tutti diversi tra loro. 11. Spiega perché i meridiani sono uguali tra loro. 12.Perché la latitudine non può essere maggiore di 90° N o S? CACCIA ALL’ERRORE MODULO D 1. La lunghezza dei paralleli è sempre uguale. 2. Le coordinate geografiche si misurano in gradi centigradi. 3. La latitudine si misura lungo i paralleli. 4. La longitudine si misura lungo i meridiani. 5. La longitudine è la distanza di un punto dall'equatore 6. I circoli polari sono i paralleli più lontani dall'Equatore 7. La latitudine di un luogo indica la distanza dal meridiano fondamentale. 8. Un parallelo è la circonferenza con massimo diametro che divide la Terra in due emisferi 9. Tutti i punti con la stessa longitudine appartengono allo stesso parallelo. 10.Nel nostro emisfero la posizione del Sole a mezzogiorno indica la direzione del Sud soltanto nel giorno in cui cade il solstizio d’estate. 11. La stella polare si trova all’intersezione tra l’asse terrestre e il piano dell’orbita terrestre. 60 MODULO E - LA TERRA PIANETA AZZURRO, TERZO DAL SOLE Osservando le foto del nostro pianeta ottenute da EOS, ”Earth Observing System” (componente importante della Divisione di Scienze della Terra della NASA per l'osservazione della Terra dallo spazio che utilizza una serie di satelliti artificiali e di strumenti scientifici posti in orbita attorno al pianeta), esso ci appare come una massa marmorea di colore blu: Blue Marble, un blocco la cui superficie è costituita principalmente da grandi masse d’acqua interconnesse - gli oceani - uniti a distese acquose di dimensioni inferiori e poste tra i continenti, chiamate mari. Nonostante sia consuetudine distinguere tre bacini oceanici (Pacifico: 179.679.000 km2, Atlantico: 106.441.500 km2, Indiano: 74.917.000 km2), essi sono tra loro collegati senza soluzioni di continuità, costituendo un’unica enorme massa d’acqua salata all’interno della quale si collocano le masse continentali. Pertanto, con i loro 361.000.000 km2, gli oceani rappresentano il 70,8% della superficie del nostro pianeta (510.100.000 km2). ATTENZIONE! Dobbiamo assolutamente evitare un errore di valutazione: i dati precedenti riguardano solo la distribuzione di oceani e terre emerse sulla superficie terrestre, infatti la massa d’acqua totale corrisponde a 1,4 x 1021 t contro 5974,2 x 1021 t dell’intera massa terrestre, e rappresenta quindi solo lo 0,0235% in peso! Anche le misure dei volumi ci rivelano l’enorme differenza: le acque occupano un volume di 1.332.000.000 km3 (1,332 x 109 km3), contro 1.080.759.292.185 km3 (1.080 x 109 km3) dell’intero pianeta, pari solamente allo 0,123% in volume. Se volessimo rappresentare su una pagina di questo libro una sezione del nostro pianeta, dal polo Sud al polo Nord (12.756 km), in scala 1:100.000.000, il diametro misurerebbe 12,756 cm, mentre la fossa delle Marianne, il luogo di massima profondità oceanica con i suoi quasi 11 km, avrebbe uno spessore di 0,011 cm, praticamente non disegnabile. Senza dimenticare che gli oceani hanno una profondità media di solo 3.682,2 metri. *Video “Pianeta blu” http://public.sos.noaa.gov/extras/blue_planet/media/BluePlanetFLV/blue_planet.swf* E.1 - ORIGINE DELL’ACQUA PRESENTE SULLA TERRA La Terra primordiale, ancora calda anche in superficie, non possedeva acqua così come la conosciamo oggi. Sulla Terra era sicuramente presente dell’acqua endogena, in forma di vapore acqueo derivante in parte dalle rocce stesse, all’interno dei cui minerali era contenuta in forma di acqua di cristallizzazione. Tuttavia, si ritiene che grandi quantità di acqua esogena possano essere giunte sul nostro pianeta direttamente dallo spazio, come effetto del bombardamento meteorico e di comete. Le comete sono aggregati irregolari di ghiaccio, di vari gas, di metalli, di rocce e polveri, con dimensioni comprese tra qualche centinaio di metri fino a decine di chilometri. Si stima che la HaleBopp (vedi Modulo B) contenga da sola migliaia di miliardi di tonnellate di acqua. Sarebbero quindi sufficienti 28.000 impatti con altrettante comete come la Hale-Bopp per portare sulla Terra l’acqua presente negli oceani. 61 In realtà, è stato rilevato che la composizione dell’acqua presente nel nucleo delle comete non è del tutto confrontabile con quella dell’acqua presente negli oceani terrestri. Tuttavia, a sostegno dell’ipotesi dell’origine esogena di una parte dell’acqua terrestre vi sono alcune interessanti osservazioni effettuate grazie al satellite artificiale Polar (1996 - 2008). È accertato che corpi ghiacciati, con masse comprese fra 16 e 36 tonnellate e dimensioni simili a quelle di una piccola casa, entrino continuamente nell’atmosfera terrestre, con una frequenza compresa tra 5 a 30 volte al minuto. Essi si disintegrano (sublimano e vaporizzano) ad altezze comprese fra 26.000 e 8.000 chilometri, riversando in atmosfera enormi quantità di vapor d’acqua, che cadono lentamente sulla Terra in forma di pioggia. Tale apporto di acqua potrebbe compensare quella che affonda nel mantello terrestre e che non riesce a ritornare in superficie attraverso i vulcani. L’ipotesi esogena porta con sé anche interessanti considerazioni sull’origine della vita sulla Terra. Le analisi effettuate da sonde, come la Giotto dell’ESA, hanno rivelato che le comete contengono importanti molecole organiche simili a quelle che stanno alla base di ogni essere vivente: da queste potrebbe aver avuto inizio la storia biologica. Qualche scienziato si azzarda anche a ipotizzare che le comete potrebbero trasportare o aver trasportato spore batteriche, quindi vita già formata anche se allo stato latente, pronta a riprendere tutte le attività metaboliche, se poste nelle giuste condizioni ambientali E.2 - I GRANDI SERBATOI D’ACQUA Come ormai più volte sottolineato, il nostro è il pianeta azzurro per eccellenza, ricco d’acqua nelle sue diverse forme. Gli oceani e mari rappresentano il più grande serbatoio di acqua, ovviamente salata, pari al 97,2% del totale presente sulla Terra. Seguono i ghiacciai (calotte polari e ghiacciai continentali) con il 2,1%. Le acque sotterranee sono il terzo serbatoio con lo 0,6%. Laghi, fiumi e altri corsi d’acqua arrivano a un totale di soli 0,03%. L’ultimo serbatoio, a lunga distanza, è l’atmosfera, con un misero 0,0003%. Se volessimo calcolare l’acqua totale presente negli esseri viventi, arriveremo forse allo 0,00004%. E.3 - IL CICLO DELL’ACQUA O CICLO IDROLOGICO Il ciclo dell’acqua è l’insieme di tutti i processi che riguardano l’acqua presente sulla Terra e che comportano la trasformazione di una forma d’acqua in un’altra e il trasferimento di acqua da un comparto a un altro sulla superficie del nostro pianeta. E.3.1 - FORME DI ACQUA In ragione della sua distanza dal Sole, della presenza di atmosfera e della sua composizione chimica, le temperature caratteristiche della superficie terrestre consentono la presenza di acqua in tutti e tre i possibili stati fisici: lo stato solido, lo stato liquido e lo stato aeriforme. Le diverse forme con cui l’acqua si presenta sono elencate di seguito, suddivise in base al comparto in cui sono presenti. 62 E.3.1.1 - Forme di acqua presenti nell’atmosfera Tre sono le principali forme di acqua presenti nell’atmosfera: vapore acqueo: si forma per evaporazione diretta dell’acqua presente sulla superficie terrestre ed è particolarmente abbondante nella troposfera, la porzione più bassa dell’atmosfera, ossia quella che si trova a diretto contatto con la superficie terrestre; * Gli spazi di atmosfera sgombri da nuvole non sono privi di acqua, ma caratterizzati dalla presenza di vapore acqueo, che risulta invisibile, in quanto si tratta di acqua allo stato aeriforme.* goccioline di acqua liquida e microcristalli di ghiaccio: si formano per condensazione o brinamento in atmosfera e, mescolati all’aria, formano le nubi in essa presenti e la nebbia, che si forma a contatto con la superficie terrestre. E.3.1.2 - Forme di acqua caratteristiche delle terre emerse Sulla superficie delle terre emerse e nel sottosuolo si ritrovano diverse forme di acqua in differenti stati fisici: ghiaccio compatto continentale: si forma per compattazione della neve caduta ed espulsione dell’aria atmosferica nelle zone in cui la fusione estiva non riesce a smaltire la neve caduta durante l’inverno; è particolarmente abbondante nelle regioni polari, in forma di ghiacciai e calotte glaciali, ed è presente nelle zone montane a tutte le latitudini; * La calotta glaciale che ricopre l’Antartide: alle alte latitudini, i ghiacciai giungono fino al mare.* * Il ghiacciaio dell’Aletsch. nelle Alpi Bernesi è il più esteso ghiacciaio alpino. Si origina a 3.800 metri e la sua lingua termina a circa 1600 metri di quota.* * Il ghiacciaio Furtwangler, posto nei pressi della cima del Kilimangiaro a quasi 6.000 metri di quota in Tanzania.* copertura nevosa: si forma durante la stagione invernale per accumulo della neve nelle regioni polari, temperate e nelle zone montane ed è costituita da cristalli di ghiaccio mescolati in diverse proporzioni all’aria intrappolata tra i cristalli di neve; acqua liquida: si forma direttamente a partire dalla pioggia o per fusione di neve e ghiacciai e scorre sulla superficie terrestre in forma di corsi d’acqua - torrenti, fiumi e laghi - o all’interno del suolo e del sottosuolo del nostro pianeta, formando le falde acquifere. E.3.1.3 - Forme di acqua caratteristiche degli oceani Le principali forme di acqua caratteristiche delle aree marine e oceaniche sono le seguenti: acqua liquida: si raccoglie per accumulo gravitativo nelle grandi depressioni o bacini che caratterizzano la superficie terrestre formando i mari e gli oceani; banchisa o pack: è costituita da ghiaccio galleggiante e si forma nelle zone prossime ai poli sulla superficie di mari e oceani per solidificazione diretta dell’acqua marina . E.3.2 - I PASSAGGI DI STATO Lungo il ciclo dell’acqua, avvengono tutti i passaggi di stato. In ordine di importanza decrescente si possono considerare: 63 • l’evaporazione (dallo stato liquido allo stato aeriforme) dell’acqua dalla superficie terrestre, principalmente dagli oceani e - in misura minore - dalle terre emerse; attraverso questo processo, enormi masse di vapore entrano quotidianamente nell’atmosfera; • la condensazione (dallo stato aeriforme allo stato liquido) del vapore atmosferico che genera le minuscole goccioline d’acqua liquida che formano le nubi e la nebbia; queste goccioline possono unirsi a formare gocce più grandi che, nell’insieme, generano le precipitazioni piovose; sul terreno, per condensazione del vapore acqueo atmosferico, si forma la rugiada • il brinamento (dallo stato aeriforme allo stato solido), responsabile della formazione dei cristalli di ghiaccio che formano le nubi quando la loro temperatura è inferiore a zero, la neve, ma anche - sul terreno e sugli oggetti posti vicino al suolo - la brina e la galaverna; • la fusione (dallo stato solido allo stato liquido), che ogni anno porta grandi quantità di neve e ghiacci presenti sulla superficie terrestre e su quella delle acque superficiali a generare grandi masse di acqua liquida; • la solidificazione (dallo stato liquido allo stato solido), responsabile, durante la stagione invernale, della formazione di ghiaccio sulla superficie libera di oceani, mari e laghi; i fenomeni più rilevanti riguardano la formazione annua della banchisa o pack, che supera i tre metri di spessore • la sublimazione (dallo stato solido allo stato aeriforme), che riguarda piccole quantità di ghiaccio che passa direttamente allo stato di vapore. E.3.3 - I FLUSSI DI ACQUA I principali flussi riguardanti il ciclo dell’acqua sono descritti di seguito. E.3.3 1 - Spostamento verso l’alto del vapore. Enormi masse di aria cariche di vapore si muovono verso l’alto in forma di correnti ascensionali dell’atmosfera. Questi moti sono indotti dal calore solare, e riguardano principalmente le masse d’aria poste sopra gli oceani, i mari e i grandi bacini lacustri presenti nelle zone temperate e intertropicali del nostro pianeta. Masse d’aria calda e umida si innalzano anche al di sopra delle terre emerse umide e coperte di vegetazione, in particolare da quelle caratterizzate da clima temperato o caldo. E.3.3.2 - Spostamento orizzontale di masse d’aria carica di nuvole. Le nuvole che si formano in quota sono trasportate passivamente all’interno di grandi masse d’aria in movimento al di sopra della superficie del pianeta. Esse possono percorrere centinaia o migliaia di chilometri prima di dissolversi, dando luogo alle precipitazioni. E’ importante rilevare che, dal punto di vista quantitativo, è maggiore il flusso di acqua che si sposta in questa forma dagli oceani verso le aree continentali rispetto al flusso che si muove in direzione opposta. 64 E.3.3.3 - Spostamento verso il basso dell’acqua di precipitazione. A causa dell’attrazione gravitazionale terrestre, enormi masse d’acqua in forma di precipitazione (pioggia e neve, ma anche grandine e nevischio), generate all’interno delle nuvole, si spostano verso il basso. Anche in questo caso occorre notare che la quantità complessiva di acqua che che cade sopra le terre emerse in forma di precipitazioni è maggiore dell’acqua che evapora direttamente da esse. E.3.3.4 - Scorrimento superficiale e profondo. Come già rilevato, sulle terre emerse cade più acqua di quanta ne evapori e la quantità di nubi che si sposta dagli oceani alle terre emerse è maggiore di quella che si muove in senso opposto. Come è ovvio, in termini quantitativi, la differenza è esattamente la stessa. Ma dove va a finire tutta quest’acqua in più? L’acqua che cade e non rievapora costituisce quella grande quantità di acqua dolce che continuamente scorre in superficie (corsi d’acqua) e in profondità (falde acquifere) dalle zone poste a quote più elevate, i rilievi, verso le parti più basse, le depressioni, raggiungendo infine di nuovo mari e oceani. Da questa forma di acqua dolce dipende per intero l’umanità, con tutte le sue attività, dall’uso potabile e igienico-sanitario, all’uso agricolo, all’utilizzo nel campo dell’industria e della produzione di energia. E.3.3.5 - Scorrimento interno agli oceani. Normalmente, parlando di ciclo dell’acqua non si fa cenno ai movimenti interni agli oceani, poiché ci si concentra su quanto accade sulle terre emerse. Tuttavia, enormi flussi di acqua tiepida (superficiale) e fredda (profonda), le correnti oceaniche, caratterizzano gli oceani e determinano il lento rimescolamento dell’intera massa d’acqua che li costituisce. Questi flussi, insieme con le correnti atmosferiche, sono responsabili della distribuzione del calore sulla superficie terrestre, dalle zone intertropicali, maggiormente irradiate dal Sole, verso le zone polari, colpite da quantità molto inferiori di calore solare. Se non vi fossero correnti d’aria e correnti oceaniche, la differenza di temperatura tra le zone più fredde e le zone più calde del nostro pianeta sarebbero molto maggiori. E.3.4 - IL MOTORE DEL CICLO DELL’ACQUA Qualsiasi ciclo necessita di energia perché possa svolgersi, da quelli organici a quelli inorganici. Anche quello idrologico non fa eccezione: a livello planetario esso è strettamente connesso ai grandi flussi di energia solare che raggiunge la superficie terrestre, per un totale di circa 6,15x1020 Kcal per anno (615 miliardi di miliardi). Il principale motore del ciclo dell’acqua è costituito quindi dal calore solare. La radiazione termica emessa dal Sole attraversa in gran parte l’atmosfera e raggiunge con facilità la superficie terrestre, determinando il riscaldamento delle terre emerse e delle acque superficiali. Queste, a loro volta, riemettono il calore assorbito verso l’alto. 65 Date le diverse temperature della superficie radiante del Sole (circa 6000°C) e della superficie terrestre (inferiore a 100°C), il calore emesso dalla Terra possiede caratteristiche differenti rispetto a quello inviatoci direttamente dal Sole. La differenza più importante sta negli effetti sull’atmosfera: essa è infatti in grado di assorbire maggiormente il calore proveniente dalla superficie terrestre rispetto a quello proveniente direttamente dal Sole. Questo fa sì che in pratica l’atmosfera venga riscaldata dal basso: quindi, in generale, l’atmosfera a diretto contatto con la superficie terrestre è più calda di quella posta a quota maggiore. La presenza del campo gravitazionale terrestre fa sì che le masse di aria si muovano in base alla densità: le masse d’aria più calde e meno dense tendono a spostarsi verso l’alto, mentre quelle più fredde e più dense tendano a spostarsi verso il basso. Data la distribuzione delle temperature della troposfera, maggiori a livello del suolo rispetto a quelle in quota, l’atmosfera si trova in una situazione di perenne instabilità che ne determina un rimescolamento continuo. Sono proprio le masse d’aria che salgono e scendono in continuazione a determinare lo spostamento laterale, sia in quota, sia a livello del suolo, di altre masse d’aria, quelle che noi chiamiamo venti. I moti verticali e orizzontali dell’atmosfera sono a loro volta responsabili dei movimenti del vapore, generalmente verso l’alto, e delle nubi, prevalentemente in senso orizzontale, da un luogo all’altro della superficie terrestre. E.3.4.1 - Processi indotti dal calore solare. Il calore solare è responsabile di diversi processi, elencati di seguito. Il primo processo è l’evaporazione di gigantesche quantità d’acqua; da solo, il processo di evaporazione utilizza circa il 23% dell’energia che il Sole invia sulla Terra e la quantità di acqua che ogni anno evapora da mari e oceani è pari a circa 320 mila miliardi di tonnellate (320x1018 g/anno). Questa gigantesca quantità di acqua in forma di vapore finisce nell’atmosfera, dove si stima in circa 1,3 x 1013 m3 (13.000 km3). È interessante rilevare che il 99% dell'acqua atmosferica proviene dall'evaporazione, mentre il rimanente 1% dalla traspirazione prodotta dalle piante. Si stima, inoltre, che il contenuto d'acqua atmosferica venga rinnovato circa 30 volte all'anno; il che significa che il tempo medio di permanenza dell'acqua nell'atmosfera è di circa 12 giorni. Un secondo processo indotto dal calore solare è lo spostamento di enormi masse d’aria da un luogo all’altro della superficie terrestre. Questo imponente movimento è dovuto alla diversa intensità della radiazione solare a diverse latitudini e in diverse stagioni; a loro volta, queste differenze sono responsabili della formazione di aree di alta e bassa pressione, che mettono in moto l’aria atmosferica; Un terzo processo causato dal calore solare è lo spostamento di grandi quantità di acque oceaniche, imputabile anch’esso a un riscaldamento differenziale tra diverse porzioni della superficie oceanica, in base alla latitudine e al periodo dell’anno. E.3.4.2 - Processi indotti dalla forza di gravità. La forza di gravità è responsabile anch’essa di due tipi di processi. Il primo processo consiste nella caduta delle precipitazioni, ossia la discesa verso la superficie del nostro pianeta dell’acqua in forma solida o liquida. Mediamente ogni anno 107.000 km3 d’acqua precipitano sui continenti e 398.000 km3 ricadono sugli oceani. 66 Il secondo processo indotto dalla forza di gravità è lo scorrimento superficiale e profondo di acqua in gran parte liquida (corsi d’acqua e acqua sotterranea) e in piccola parte solida (ghiacciai), dalle zone poste a quota maggiore (rilievi) verso quelle poste a quota inferiore (depressioni). La presenza di un campo gravitazionale è corresponsabile, in ultima analisi, anche dei movimenti verticali di masse d’acqua e d’aria. E’ solo grazie alla gravità terrestre, infatti, che masse d’aria fredda e più densa, di solito presenti in quota, possono sprofondare verso il basso prendendo il posto di masse d’aria calda e meno densa, solitamente presenti vicino al suolo, che si spostano verso l’alto. *Video in inglese “Impatto del ciclo dell’acqua” http://www.montereyinstitute.org/noaa/lesson07.html* DOMANDE PER IL RIPASSO MODULO E 12.Come appare il nostro pianeta osservandolo dallo spazio ? 13.Come sono articolati i vari oceani ? 14.Nonostante la loro grande estensione, quanto occupano le acque salate rispetto al volume dell’intero pianeta? 15.Qual è la profondità massima e quella media degli oceani? 16.Che cosa si intende con i termini acqua endogena ed acqua esogena? 17.Quali ipotesi porta con sé l’origine endogena dell’acqua terrestre? 18.Quali sono le percentuali di acqua salata e acqua dolce sulla Terra? 19.Quale è il secondo grande serbatoio di acque dopo quelle salate degli oceani? 20.Quali sono i grandi motori del ciclo dell’acqua sul nostro pianeta? 21.Sinteticamente che cosa si intende con il ciclo dell’acqua? 22.In quali forme si presenta l’acqua sulla Terra? Dove si presenta in forma solida? 23.In quali forme si trova essenzialmente l’acqua nell’atmosfera? 24.Dove si trova principalmente l’acqua sul nostro pianeta in forma di ghiaccio compatto continentale? 25.Che cosa si intende con i termini di banchisa o pack? 26.Tra i vari passaggi di stato dell’acqua quale si verifica in modo copioso ogni giorno in ordine di importanza? 27.Quali sono gli altri passaggi di stato dell’acqua importanti e dove avvengono? 28.Che cosa significa condensazione? E sublimazione? 29.Che cosa permette un grande spostamento verso l’alto di grandi masse di aria umida? In quali zone terrestri questo accade più copiosamente? 30.Dal punto di vista quantitativo, quale è il flusso orizzontale maggiore di acqua che si sposta in forma di vapore? Verso quali zone? 31.Come si muovono in superficie e in profondità le acque che arrivano sulle terre emerse attraverso le precipitazioni? 32.Quali sono gli effetti dei flussi di acqua all’interno degli oceani? E come sono chiamati? 67 CACCIA ALL’ERRORE MODULO E 1. Gli oceani rappresentano il 70,8% della intera massa del nostro pianeta. 2. Rappresentare in scala la massima profondità degli oceani su un mappamondo risulta abbastanza agevole. 3. La maggior parte dell’acqua terrestre arriva ed è arrivata in superficie dalle eruzioni vulcaniche. 4. Una discreta quantità di acqua è sospesa come vapore nell’atmosfera terrestre. 5. Praticamente gli oceani sono caratterizzati solamente dalla presenza di acqua liquida. 6. La quantità complessiva di acqua che cade sopra le terre emerse in forma di precipitazioni è minore dell’acqua che evapora direttamente da esse. 7. Per mezzo delle correnti oceaniche vengono continuamente rimescolate le acque e spesso acque fredde corrono in superficie e acque tiepide in profondità 68 MODULO F - OCEANI E MARI Noi chiamiamo Terra il nostro pianeta, ma forse sarebbe più corretto chiamarlo Oceano vista l’estensione superficiale delle acqua salate che, come abbiamo detto, è pari al 70,8% del totale. L’unico Oceano presente sulla superficie terrestre è stato convenzionalmente suddiviso in 5 porzioni: ✓ l’Oceano Pacifico, che separa l’Asia e l’Oceania dalle Americhe, ✓ l’Oceano Atlantico, che separa le Americhe da Europa e Africa, ✓ l’Oceano Indiano, che bagna la parte meridionale dell’Asia e separa l’Africa dall’Australia, ✓ l’Oceano Artico, che bagna le coste settentrionali dell’Eurasia e del Nordamerica, ✓ l’Oceano Antartico, che costituisce la parte più meridionale degli oceani Pacifico, Atlantico e Indiano e circonda l’Antartide. L’uomo nutre da sempre un forte interesse per gli oceani, dai quali dipende per l’acqua e il clima, per la pesca, per il trasporto, per le risorse energetiche fossili (petrolio e metano), ma anche per l’enorme energia che contiene e che a volte si sprigiona con violenza devastante. F.1 - LE ACQUE OCEANICHE L’acqua di mari e oceani è una soluzione di sostanze varie, principalmente sali, i cui componenti si sono mantenuti relativamente stabili per un tempo considerevole (Tabella 1). Il componente principale, come è noto, è il cloruro di sodio; seguono altri sali solubili, principalmente cloruri e solfati, di sodio, magnesio, calcio e potassio. Tra i componenti minori, va sicuramente ricordato il bicarbonato di calcio (0,40/00), Ca(HCO3)2, che viene utilizzato come materiale per la costruzione di gusci e scheletri da parte dei molluschi, dei coralli e di altri microrganismi marini. Oltre ai sali, nelle acque oceaniche sono disciolti anche gas; i principali sono l’anidride carbonica, l’ossigeno, l’azoto, il metano e il solfuro di idrogeno. Essi provengono in buona parte dall’atmosfera, ma sono anche prodotti dagli organismi viventi: in particolare, l’ossigeno è prodotto in superficie dall’attività fotosintetica di piante e alghe, l’anidride carbonica è prodotta dalla respirazione cellulare degli organismi e microrganismi aerobi, metano e solfuro di idrogeno sono sottoprodotti della decomposizione nei fondali fangosi operata da batteri anaerobi. Ioni disciolti Cloruro (Cl-) Sodio (Na+) Solfato (SO42-) Magnesio (Mg2+) Calcio (Ca2+) Potassio (K+) Bicarbonato (HCO3-) Bromuro (Br-) Borato (BO33-) Stronzio (Sr2+) Concentrazione relativa, espressa in percentuale rispetto alla massa totale 55,03% 30,59% 7,68% 3,68% 1,18% 1,11% 0,41% 0,19% 0,08% 0,04% 69 Ioni disciolti Altri costituenti Cloruro (Cl-) Concentrazione relativa, espressa in percentuale rispetto alla massa totale 0,01% * Tabella 1 - La composizione media dell’acqua degli oceani.* F.2 - LA SALINITÀ La salinità è definita come la quantità complessiva di sali disciolta in una massa totale di 1000 g di acqua. Il contenuto di ioni disciolti in un litro di acqua varia a seconda che le acque siano oceaniche o continentali. La salinità media delle acque oceaniche è pari a circa il 35‰, mentre per le acque continentali si aggira attorno al 5‰. In generale, le rispettive concentrazioni dei vari ioni rimangono abbastanza costanti, tuttavia, la salinità può variare per vari fenomeni e può subire fluttuazioni stagionali o locali. Può crescere in seguito a forti evaporazioni, come all’equatore, o a solidificazioni dell’acqua, come nelle regioni polari; in entrambi i casi è solo l'acqua che cambia stato fisico, mentre le particelle del soluto restano nella fase liquida, all’interno della quale la loro concentrazione aumenta. Se, invece, si hanno forti apporti di acqua dolce, ecco che il valore della salinità può calare rispetto alla media; in prossimità della foce dei grandi fiumi o in regioni soggette a forti precipitazioni stagionali, come in quelle monsoniche, il valore della salinità può scendere anche a valori vicini a quello delle acque continentali. Negli oceani, i massimi livelli di salinità si osservano tra 20º e 30º latitudine Nord e Sud, in concomitanza con le aree di massima evaporazione e di ridotte precipitazioni. Intorno all'equatore la salinità diminuisce attorno a 35‰ a causa delle abbondanti precipitazioni che diluiscono le acque. Un gradiente di salinità si osserva inoltre, a parità di latitudine, dalle coste verso il largo. Le acque costiere vengono, infatti, maggiormente diluite dagli apporti fluviali e dalle precipitazioni rispetto alle altre acque marine. Esistono mari ad elevata salinità, come il Mediterraneo (38-39‰) e il Mar Rosso (40‰), caratterizzati da scarsa comunicazione con gli oceani adiacenti e da un elevato tasso di evaporazione. Tra gli oceani, il più salato è l'Oceano Atlantico (37,9‰ ) e, al suo interno, il Mar dei Sargassi, un'area di circa 2 milioni di miglia quadrate, localizzata 2.000 miglia a Ovest delle Isole Canarie. La sua maggiore salinità è dovuta alla più elevata temperatura dell'acqua, e quindi al più alto tasso di evaporazione, oltre al basso apporto di acque dolci data la distanza dalla terraferma di questa porzione di Oceano Atlantico. * A causa dell’intensa evaporazione, il Mediterraneo è uno dei mari più salati.* Valori bassi di salinità caratterizzano invece gli oceani polari, dove l’evaporazione è scarsa. Anche mari chiusi, ma caratterizzati da un elevato apporto d'acque dolci dalla terraferma, possono avere bassi valori di salinità. Il Mar Baltico ad esempio ha una salinità che varia tra 5 e 15‰ e ugualmente il Mar Nero non oltrepassa in genere il 20‰. * Il mar Baltico, in Finlandia. Dato il clima freddo e la bassa evaporazione, pur essendo un mare interno ha una bassa salinità.* F.3 - IL MOTO ONDOSO Il principale movimento delle acque è la turbolenza naturale che si manifesta sotto forma di onde, principalmente dovuta al vento e secondariamente a movimenti interni che si generano in 70 corrispondenza di superfici di contatto tra acque con temperatura, densità o salinità diverse, ad esempio presso le foci dei fiumi. Le onde sono perturbazioni della superficie di uno specchio d’acqua (oceani, mari, laghi...) in grado di propagarsi per lunghe distanze. F.3.1 - FORMAZIONE DELLE ONDE Per capire meglio il meccanismo di generazione delle onde, dobbiamo immaginare lo strato superficiale dell’acqua suddiviso in sottili straterelli orizzontali in grado di scorrere l’uno sull’altro. Il vento, spingendo per attrito il sottile strato d'acqua superficiale, gli cede parte della sua energia, fornendolo di una velocità superiore allo strato d'acqua sottostante; ogni sottile strato d'acqua trasmette questo movimento allo straterello sottostante più lento e al tempo stesso ne viene rallentato. Come conseguenza, se le onde non sono alimentate nel tempo, tendono a dissiparsi; è il caso, ad esempio delle onde generate da un sasso gettato in acqua: le onde divengono via via più basse fino a sparire a una certa distanza dal punto in cui il sasso ha perturbato la superficie dell’acqua. Al passaggio di un’onda, la superficie dell’acqua si alza e si abbassa, ma in generale non si assiste a uno spostamento netto di materia. Le singole particelle d’acqua si spostano compiendo movimenti circolari, sempre meno ampi man mano che si scende in profondità, fino alla calma assoluta: anche il più violento tra i moti ondosi non scende al di sotto dei 150 metri dalla superficie libera dell’acqua. Capita spesso, al mare in particolare, di osservare la presenza di onde in assenza di vento. Si parla in questo caso di moto ondoso residuo: le onde sono state prodotte dal vento in altre zone del mare e si sono propagate fino all’osservatore. F.3.2 - CARATTERISTICHE DELLE ONDE La superficie dell’acqua, quando è percorsa dalle onde, assume in sezione una forma sinusoidale, con alternanza regolare di porzioni più alte e porzioni più basse in movimento. Le principali caratteristiche di un’onda sono le seguenti: la cresta, la parte più alta dell’onda, il ventre, la parte più bassa, l’altezza, il dislivello fra un ventre e una cresta, la lunghezza, la distanza tra due creste o due ventri il periodo, il tempo che una cresta impiega per percorrere uno spazio pari alla lunghezza dell’onda la velocità, il rapporto tra lunghezza e tempo. *Video “Il moto ondoso” “Impatto del moto ondoso” http://oceanexplorer.noaa.gov/edu/learning/player/lesson09.html* F.3.3 - LE ONDE DIVENTANO FRANGENTI Quando le onde si avvicinano alla costa, l’attrito con il fondo ne cambia le caratteristiche: viene perturbato il movimento delle particelle, che assume un andamento alternato avanti e indietro, aumenta 71 l’altezza e la ripidità delle onde, esse diventano più sottili, fino a trasformarsi in frangenti, che si abbattono sulla costa cadendo in avanti. F.3.4 - L’EROSIONE COSTIERA Le onde possono avere effetti di erosione, soprattutto in caso di mare grosso, quando raggiungono la costa e si rompono, formando i frangenti. * Le onde del mare in burrasca possono esercitare una rilevante azione erosiva quando si infrangono su coste rocciose.* Lungo le coste rocciose, la forza di gravità e l’abrasione marina sono responsabili di tutte quelle forme conosciute come incisioni, nicchie, grotte, scogli, promontori. Ovviamente, tanto più tenere ed erodibili sono le rocce dei litorali, tanto maggiore sarà l’azione demolitiva operata direttamente dalle onde. F.3.5 - LE FALESIE Un particolare tipo di forma erosiva è la falesia. Una falesia è una scarpata, in forte pendenza, con andamento verticale o subverticale, posta nella zona di contatto tra la terraferma e il mare o, più in generale, al contatto tra la terra e una distesa di acqua (mare, lago o fiume). In queste zone, la forza di gravità, unita all’azione di altri fattori, determina nel tempo il crollo delle pareti rocciose. * La costa nella zona delle Cinque Terre (SV) è ricca di insenature, grotte, scogli. In queste zone sono spesso visibili nicchie di distacco e accumuli di materiale franato: il principale fattore erosivo è la gravità.* Azione prevalente della gravità. Gli ammassi rocciosi sono naturalmente caratterizzati dalla presenza di fratture: si tratta di sottili spaccature che possono penetrare anche in profondità. Nel caso delle pareti rocciose, queste fratture ne minano la stabilità: è quindi molto frequente che porzioni di queste pareti semplicemente franino verso il basso per azione della forza di gravità. In questi casi l’azione del moto ondoso interviene successivamente, spostando e rimuovendo il materiale caduto . In situazioni di questo tipo è possibile osservare lungo le coste le forme caratteristiche delle frane: nicchie di distacco nelle pareti rocciose e accumuli di materiale crollato ai piedi di tali nicchie. Azione della gravità, del moto ondoso e di altri fattori. Quando la parete rocciosa è esposta direttamente all’urto delle onde, la loro azione può essere assai efficace. Su ogni tratto di costa si abbattono in media 14.000 onde al giorno, sottoponendo i litorali rocciosi a un’enorme forza d’urto. Quando le pareti rocciose sono costituite da rocce piuttosto tenere e le coste sono esposte a frequenti burrasche, l’azione del moto ondoso può essere molto efficace: l’acqua, scagliata con violenza, comprime l’aria nelle fessure alla base di queste coste; al ritiro dell’onda, l’aria si espande con altrettanta violenza, producendo fratture e nicchie sempre più ampie. Non va dimenticato che le onde scagliano sulle pareti rocciose la sabbia e i ciottoli che trasportano, aumentando la loro forza erosiva. 72 Un altro fattore importante per l’erosione costiera è l’alterazione chimica operata dall’acqua. Questo tipo di alterazione riguarda la fascia di roccia che viene esposta all’aria durante la bassa marea e quella che viene raggiunta dagli spruzzi delle onde. L’esposizione alternata all’aria e all’acqua modifica chimicamente alcuni componenti delle rocce e può determinarne il progressivo sgretolamento. Si può formare in questo modo una rientranza, detta solco di battigia. In questa zona si fa sentire anche l’azione degli organismi marini che popolano le rocce, in particolare quelle calcaree. La superficie rocciosa in corrispondenza del bagnasciuga è infatti ricoperta da una patina di alghe e batteri, che sono in grado di penetrare nella roccia per pochi millimetri. Molti molluschi, come chitoni, gasteropodi e patelle vivono “pascolando” su questo strato superficiale ricco di vita. Essi sono dotati di una “radula”, una sorta di linguetta dentellata, con cui asportano lo strato superficiale di roccia, ricca di alghe e batteri, che viene successivamente ingoiata. Una volta digeriti gli alimenti, i piccoli frammenti rocciosi sono emessi con gli escrementi. Con questo meccanismo, nelle situazioni più favorevoli vengono asportati 1 o 2 millimetri l’anno di roccia. Quando le fratture, le nicchie e i solchi formati in questa zona ad opera del moto ondoso, dell’alterazione chimica e degli organismi viventi non sono più in grado di sostenere la parete soprastante, essa crolla, facendo arretrare il fronte della falesia stessa. F.3.6 - L’AZIONE DI DEPOSITO OPERATA DAL MARE Laddove i mari sono meno profondi, oppure nelle insenature e nei golfi riparati, con acqua a bassa energia, è possibile che si depositino quantità rilevanti di sedimenti grossolani o fini, prodotti dall’erosione marina o dall’apporto dei corsi d’acqua. Si formano in questo modo i depositi caratteristici delle coste basse. Questi depositi danno vita alle spiagge, così conosciute e sfruttate dall’uomo. Nell’entroterra, a causa del vento, è possibile che si formino dei cordoni costieri formati da successioni di dune sabbiose. Le dune così formate sono spesso colonizzate dalla vegetazione, che tende a stabilizzarle nel tempo: si sono formate in questo modo le fasce costiere coperte da pinete, caratteristiche di molti tratti del litorale italiano. In caso di bassi fondali e di elevati apporti di sedimenti fini da parte dei corsi d’acqua, si possono formare depositi marini anche a una certa distanza dalla costa: si tratta di cordoni sabbiosi, normalmente disposti parallelamente al litorale. I tratti di mare compresi tra il litorale e questi depositi possono divenire col tempo delle vere e proprie lagune costiere, che comunicano con il mare aperto attraverso delle bocche; se le bocche nel tempo si ostruiscono, si assiste alla formazione dei cosiddetti laghi costieri. (APPROFONDIMENTO DA CHE COSA DIPENDE IL COLORE DEI GRANDI BACINI D’ACQUA?La maggior parte di noi, associa al mare il colore blu. Basta però osservare il mare in un giorno in cui il cielo è coperto di nubi o immergersi in esso, per constatare che il suo colore cambia con continuità: da grigio, a trasparente fino a perdere ogni colorazione, già alla profondità di 15 metri. Il colore assunto dall'acqua di mare dipende dalle sue caratteristiche chimico-fisiche e dalle particelle solide in sospensione, oltre che dalle condizioni di luminosità del cielo che vi si riflette. La luce del sole, o radiazione luminosa, è formata da onde elettromagnetiche, che costituiscono, nel loro insieme, il cosiddetto spettro elettromagnetico; esso comprende radiazioni di diversa frequenza che, ordinate in senso decrescente, sono: raggi gamma, raggi x, ultravioletti, luce visibile, infrarossi, 73 microonde e radioonde. Le radiazioni visibili sono percepite dall’occhio umano con colori differenti che, sempre in ordine decrescente sono: violetto, indaco, blu, verde, giallo, arancione, rosso. La tonalità azzurro-blu è determinata dal fatto che le molecole d'acqua diffondono le radiazioni a breve lunghezza d'onda, quelle percepibili dal nostro occhio come colori azzurro, blu; viceversa l’acqua assorbe quelle di lunghezza d'onda superiori, come il rosso. La tinta azzurra dominante può essere però più o meno alterata dall'assorbimento operato dai materiali in sospensione (residui organici, argille, ecc.) e dalle colonie di organismi planctonici. Inoltre, le molecole di acqua assorbono i raggi luminosi in funzione della profondità: man mano che si scende in profondità, aumenta la colonna di acqua sopra di noi, gli altri colori spariscono in successione, secondo l’ordine dello spettro visibile. È interessante evidenziare che la Terra primordiale deve proprio a questa capacità dell’acqua di assorbire le radiazioni elettromagnetiche la nascita dei primi esseri viventi, le cui delicatissime molecole organiche sono state protette dall’azione devastante dei micidiali raggi UV.) F.4 - LE MAREE Le maree sono fenomeni naturali consistenti in movimenti alterni del livello marino legati a fenomeni di natura astronomica, che si verificano nel tempo con buona regolarità. Il livello del mare si innalza e si abbassa giornalmente in seguito al mutare della forza di attrazione reciproca soprattutto tra la Terra e la Luna e in misura minore tra la Terra e il Sole. In uno stesso punto della Terra, il livello delle acque si innalza e si abbassa due volte al giorno; più precisamente due volte ogni 24 ore e 50 minuti, il tempo necessario affinché la Luna venga a trovarsi per due volte di fila sul meridiano di un dato luogo della Terra. Nelle variazioni del livello delle acque marine e oceaniche, si possono distinguere due fasi: alta marea e bassa marea. L’alta marea corrisponde al livello massimo raggiunto dalle acque, la bassa marea al livello minimo; entrambe presentano la stessa durata, pari a 6 ore e un quarto circa. F.4.1 - LE MAREE NON SONO TUTTE UGUALI L’entità dell’innalzamento delle acque (cioè l’intensità dell’alta marea) dipende dalla posizione del nostro satellite rispetto alla Terra e al Sole. Al riguardo, si possono individuare due casi estremi: maree sigiziali: si verificano quando Sole, Terra e Luna si trovano allineati (congiunzione e opposizione); in questi casi le forze di attrazione che i due corpi celesti esercitano sulle acque si sommano e si raggiunge il dislivello massimo tra alta e bassa marea; maree di quadratura: si verificano quando Sole, Terra e Luna sono disposti a formare un angolo retto (quadratura); in questi casi le forze di attrazione che i due corpi celesti esercitano sulle acque si oppongono l’una all’altra e si raggiunge il dislivello minimo tra alta e bassa marea. *Alta e bassa marea in Bretagna (Francia). In alcune zone del Canale di Bretagna, la differenza tra alta e bassa marea è di 12 metri in 6 ore.* *video interattivo “Simulatore delle maree” http://astro.unl.edu/classaction/animations/lunarcycles/tidesim.html Guarda il video “Alta e bassa marea” 74 http://oceanservice.noaa.gov/education/kits/estuaries/media/supp_estuar01b_movies.html “Maree” http://www.montereyinstitute.org/noaa/lesson10.html “Effetti delle maree” http://www.montereyinstitute.org/noaa/lesson10.html F.5 - LE CORRENTI OCEANICHE E MARINE Oltre al moto ondoso, le acque di oceani e mari sono caratterizzate da altri tipi di movimenti, detti correnti oceaniche o correnti marine; si parla di correnti oceaniche se tali correnti sono presenti nei mari aperti; le correnti marine sono quelle che riguardano i mari interni. Le correnti oceaniche sono giganteschi flussi di acqua interni agli oceani che mettono in comunicazione bacini anche molto lontani, determinando un continuo e lento rimescolamento superficiale e profondo delle acque oceaniche e contribuendo alla distribuzione del calore solare sul nostro pianeta. Questi flussi di acqua restano separati dalla massa d’acqua circostante in quanto possiedono densità diversa. La densità dell’acqua dipende da due parametri: la temperatura e la salinità. Effetto della temperatura: al di sopra dei 4°C, al crescere della temperatura, la densità dell’acqua diminuisce, in quanto aumenta la distanza media tra le particelle; a temperature più elevate, quindi, una stessa quantità di acqua occupa un volume maggiore rispetto a quello occupato a temperatura inferiore, quindi è meno densa e tende a galleggiare se si trova sopra una massa d’acqua più fredda. Effetto della salinità: gli ioni disciolti in acqua rendono l’acqua più densa e l’effetto aumenta all’aumentare della concentrazione di sali disciolti; questo fatto è evidente se pensiamo alla diversa capacità che possiede l’acqua del mare di sostenere il nostro corpo, rispetto all’acqua dolce di un lago, di un fiume o di una piscina. Pertanto, masse d’acqua a salinità elevata tenderanno a sprofondare rispetto ad acque più diluite. F.5.1 - CLASSIFICAZIONE DESCRITTIVA Le correnti oceaniche possono essere orizzontali o verticali, superficiali o profonde, calde o fredde,. Le correnti orizzontali, superficiali e profonde, consistono in masse di acqua che scorrono parallelamente alla superficie marina e mettono in comunicazione parti di oceano distanti anche migliaia di chilometri; le correnti verticali sono flussi d’acqua ascendenti e discendenti, che raccordano correnti orizzontali poste a profondità diverse. Una corrente si dice calda o fredda, a seconda che la sua temperatura sia più alta o più bassa rispetto a quella delle acque circostanti. Le correnti calde si spingono dalle zone poste tra i due tropici, soggette a intensa radiazione solare, verso le regioni polari. Si tratta generalmente di correnti superficiali, in quanto l’acqua calda è meno densa di quella fredda. Le correnti fredde si dirigono dai poli verso le regioni equatoriali, muovendosi a diverse profondità, a seconda della temperatura e della salinità. F.5.2 - LA CORRENTE DEL GOLFO Tra esse, è ben nota la Corrente del Golfo: si tratta di una corrente calda che dal Golfo del Messico si dirige verso Nord-Est, dalla Florida fino a Terranova, in Canada, dirigendosi successivamente verso le 75 coste dell’Europa occidentale, giungendo a lambire la Gran Bretagna e l’Irlanda, la Scandinavia e le isole orientali del mare Glaciale Artico. Essa ha un’ampiezza massima di circa 80 km e una profondità di 640 metri; in superficie la temperatura è di circa 25°C e la velocità in superficie al largo delle coste degli Stati Uniti raggiunge i 9 km orari. Più a Nord la corrente si allarga gradualmente, fino a raggiungere i 480 km. La quantità di acqua trasportata è superiore a quella di tutti i fiumi della Terra. La corrente del Golfo ha una grande importanza per il clima delle zone costiere dell’Europa occidentale, che in ragione della sua influenza mitigatrice, è molto più mite e umido rispetto a quello delle coste orientali del Nordamerica poste alla stessa latitudine. Più in particolare, le temperature medie dell’Irlanda e delle coste occidentali della Gran Bretagna sono superiori di circa due gradi rispetto a quelle delle coste orientali; inoltre, i venti occidentali indotti dalla corrente del Golfo fanno sì che le coste occidentali della Norvegia settentrionale, molto prossime al circolo polare artico, restino per gran parte dell’anno libere da ghiacci e neve. * video animazione “Le correnti superficiali” http://www.youtube.com/watch?v=4CxA4VNApXw&feature=related Guarda i video “Correnti superficiali nel mediterraneo” http://svs.gsfc.nasa.gov/vis/a000000/a003800/a003820/med_03_final_30fps_ipod.m4v “Correnti marine” Video “Impatto delle correnti marine” http://oceanexplorer.noaa.gov/edu/learning/player/lesson08.html* F.6 - LA CIRCOLAZIONE TERMOALINA La circolazione termoalina è una circolazione di acqua oceanica estesa a livello globale, che raccorda le varie correnti superficiali descritte in precedenza. Essa è mantenuta attiva grazie all’azione congiunta dei venti che spirano sulla superficie degli oceani e delle variazioni di densità dell’acqua stessa che si verificano in zone particolari del pianeta e che spingono verso l’alto o verso il basso grandi masse d’acqua. F.6.1 - GENESI DELLA CIRCOLAZIONE TERMOALINA Masse d’acqua più densa, destinata a muoversi verso le profondità degli oceani, si formano continuamente nel Nordatlantico e attorno all’Antartide, in particolare nella baia di Weddel. Questi fenomeni sono determinati dall’aumento di salinità dovuta principalmente ai due fattori di seguito descritti. Il primo fattore è l’evaporazione superficiale piuttosto intensa, malgrado le basse temperature di queste zone del pianeta, causata dai venti freddi e secchi che spirano con continuità sull’oceano dalle zone polari. Il secondo fattore è la formazione, nella stagione invernale, della banchisa sulla superficie del mare, che, essendo costituita da acqua dolce, determina un ulteriore aumento della salinità delle acque sottostanti. 76 Nel Atlantico settentrionale, questi fenomeni determinano la formazione di una corrente d’acqua fredda e profonda diretta verso Sud nelle profondità dell’Atlantico. Nell’oceano Antartico gli stessi meccanismi spingono grandi masse di acqua fredda e profonda verso Nord nell’oceano Pacifico, nell’oceano Indiano e nello stesso oceano Atlantico, ancor più in profondità rispetto alla corrente fredda proveniente da Nord. A seguito di un lento e progressivo riscaldamento, due di questi flussi tornano in superficie in due zone particolari poste l’una nell’oceano Pacifico, l’altra nell’oceano Indiano. In superficie, i grandi flussi sono spinti dai grandi venti costanti (alisei) o stagionali (monsoni) caratteristici delle zone intertropicali. F.6.2 - LA FORZA MOTRICE DELLE CORRENTI OCEANICHE In ultima analisi, quindi, il motore della circolazione delle acque oceaniche è sempre l’energia del Sole. Come è noto, la radiazione solare si distribuisce sulla superficie terrestre in maniera disomogenea, massima nella zona compresa tra i due tropici e minima nelle zone polari: tale differenza induce il movimento di questi enormi flussi di acqua che tendono così a redistribuire in maniera più omogenea sul pianeta l’energia che giunge dal Sole, in maniera analoga a quanto accade con la circolazione generale dell’atmosfera. * video “Le correnti oceaniche” http://www.youtube.com/watch?v=NZgH2f0KEOk* DOMANDE PER IL RIPASSO MODULO F 1. Qual è la percentuale dell’acqua del nostro pianeta contenuta negli oceani? 2. Calcola la percentuale di acqua dolce contenuta nei ghiacciai sul totale complessivo di acqua dolce. 3. Cos’è la salinità? Quali sono i valori di salinità media delle acque dolci e delle acque salate? 4. Quali fenomeni possono aumentare o diminuire la salinità delle acque marine? 5. In quali zone e in quali fasce climatiche la salinità i mari e oceani è più alta? 6. Cosa sono le onde? A cosa sono dovute? Quali sono le parti di un’onda? 7. Fino a quale profondità si fa sentire l’effetto delle onde che si propagano lungo la superficie di mari e oceani? Per quale motivo il movimento delle particelle non giunge fino ai fondali? 8. In che cosa consistono le maree? A cosa sono dovute? 9. Cosa sono le correnti oceaniche/marine? 10.Quali parametri influenzano la densità dell’acqua in mari e oceani? Come agiscono questi parametri? 11. Quali sono gli effetti della Corrente del Golfo? Quali sono le zone del pianeta che se avvantaggiano? 77 12.Quali sono i fattori che determinano l’aumento della salinità delle acque oceaniche? Quali sono le conseguenze di questo aumento? In quali zone del pianeta si verificano questi fenomeni? CACCIA ALL’ERRORE MODULO F 1. I sali contenuti nelle acque marine sono diversi tipi di cloruri. 2. Soltanto le acque salate contengono i sali. 3. L’acqua marina, come l’acqua dolce, solidifica a 0°C. 4. A causa delle precipitazioni più abbondanti, l’acqua degli oceani è meno salata lontano dalle coste. 5. Al passaggio di un’onda, le particelle d’acqua si spostano solo verticalmente ma non orizzontalmente. 6. La densità dell’acqua aumenta all’aumentare di temperatura e salinità. 7. Le correnti calde si originano durante i mesi estivi nell’emisfero maggiormente esposto alla radiazione solare e si dirigono verso l’emisfero opposto. 8. La Corrente del Golfo è una corrente profonda. 9. Le correnti marine si muovono solo in senso orizzontale. 10.Poiché la banchisa è formata d’acqua dolce, nelle zone dove essa si forma le acque marine tendono a mantenersi in prossimità della superficie. 78 MODULO G - I GHIACCIAI I ghiacciai sono delle masse naturali compatte di ghiaccio il quale, quando costituisce spessori superiori ai 60 m, non si comporta più in modo rigido, ma plastico ed è pertanto soggetto a un lento movimento che ne permette l’espansione su una più ampia superficie o lo spostamento verso il basso, secondo la forza di gravità. Le condizioni necessarie perché si formi una massa così consistente da costituire un vero e proprio ghiacciaio si realizzano quando le precipitazioni nevose invernali superano la quantità di neve che fonde e sublima. L’insieme dei fenomeni che comportano la perdita di acqua da un ghiacciaio durante le stagioni più calde è definita ablazione dai glaciologi. G.1 - FORMAZIONE DEL GHIACCIO La trasformazione di neve in ghiaccio è un processo lento e graduale. La differenza tra neve e ghiaccio è notevole e riguarda principalmente la compattezza e la densità: la neve ha infatti una densità inferiore a un quinto di quella del ghiaccio, essendo ricca di spazi vuoti riempiti di aria. G.1.1 - TRASFORMAZIONE DELLA NEVE IN GHIACCIO La neve accumulata, pertanto, subisce diverse trasformazioni, in parte differenti a seconda del clima. Per i ghiacciai posti alle medie e basse latitudini, il principale processo che determina la trasformazione di neve in ghiaccio è la fusione diurna della neve posta in superficie, l’infiltrazione dell’acqua così formatasi negli spazi vuoti degli strati sottostanti e il suo successivo rigelo nelle ore più fredde. La fusione della neve è determinata dalla radiazione solare diretta e dal calore ceduto alla neve direttamente dall’atmosfera, quando la sua temperatura sia superiore agli 0°C. A seguito di questi processi, la neve diviene dapprima granulare, per poi trasformarsi, dopo la prima estate, in nevato o firn, un ghiaccio granuloso; quindi, anche a causa della pressione degli strati soprastanti sempre più massicci, con il passare del tempo (ci vogliono almeno 5 anni) il firn diviene ghiaccio compatto e cristallino. * Il ghiaccio di un ghiacciaio è molto compatto: alle nostre latitudini, esso si forma per successive fasi di fusione e rigelo della massa e per la pressione legata al peso del ghiaccio.* Per i ghiacciai posti alle alte latitudini, ove la temperatura dell’aria si mantiene permanentemente al di sotto di 0°C e i raggi solari giungono quasi radenti alla superficie, il processo che determina la trasformazione di neve in ghiaccio è la progressiva compattazione della neve con espulsione dell’aria inclusa. In ogni caso occorrono anni e spessori di alcuni metri affinché la neve si trasformi in ghiaccio compatto. G.1.2 - INFORMAZIONI DALLO STUDIO DEI GHIACCIAI È importante notare che la densità del ghiaccio di ghiacciaio è inferiore a quello che si forma per solidificazione diretta di acqua liquida, poiché racchiude al suo interno piccole bolle d’aria. L’analisi dell’aria imprigionata nei ghiacciai e, in particolare, nei ghiacci polari dell’Antartide ha consentito di ricostruire le variazioni della composizione dell’atmosfera negli ultimi 420.000 anni! 79 * Carote di ghiaccio prelevate nella base antartica russa di Vostok. Dall’analisi dell’aria in esse intrappolata si può ricostruire la storia passata dell’atmosfera terrestre.* G.2 - DISTRIBUZIONE DEI GHIACCIAI Durante i periodi delle glaciazioni del Neozoico, i ghiacciai erano i protagonisti della scena terrestre, occupando più del 30% delle terre emerse. Oggi la maggior parte di essi si trova nelle zone polari, principalmente in Antartide, coperta dal ghiaccio per 13 milioni di chilometri quadrati, e in Groenlandia: nell’insieme i ghiacci di questi due vasti territori costituiscono il 99% dei ghiacciai presenti sul pianeta. Grandi ghiacciai si trovano anche in Islanda e in Asia, nel Pamir e nella catena dell’Himalaya. In queste regioni la lunghezza dei ghiacciai raggiunge spesso le decine di chilometri. Anche in Europa ci sono ghiacciai, soprattutto in Svizzera, nell’area alpina italiana, in Scandinavia, in Spagna. Attualmente i ghiacciai ricoprono circa il 10% delle terre emerse e costituiscono il più grande serbatoio di acqua dolce della superficie terrestre: circa un terzo della popolazione globale, collocata principalmente in India e Cina, dipende dai ghiacciai per l’approvvigionamento di acqua dolce. In Italia i ghiacciai contribuiscono al rifornimento estivo dei corsi d’acqua che scendono dalle Alpi e si gettano nel Po. G.3 - IL LIMITE DELLE NEVI PERENNI I ghiacciai sono ovviamente più frequenti alle alte latitudini, dove il clima è più rigido, ma si trovano anche a basse latitudini. Esiste una quota differente per le diverse latitudini oltre la quale la fusione estiva è inferiore alla quantità di neve che cade sul territorio durante l’inverno: si tratta del limite delle nevi perenni. Nelle zone comprese tra i due tropici tale limite corrisponde a quote di 5.000 metri, sugli Appennini esso si trova a circa 3.000 metri e sulle Alpi sopra ai 2.500 metri. Nelle zone polari, a causa della limitata irradiazione solare, il limite delle nevi perenni si trova al livello del mare. Quindi un ghiacciaio che si trova a basse latitudini ha il limite delle nevi perenni a quote elevate L’altitudine corrispondente al limite delle nevi perenni dipende, oltre che dalla latitudine, anche dai venti dominanti, dall’entità delle precipitazioni nevose, dalla pendenza del suolo, dall’esposizione dei versanti dei ghiacciai al Sole.. Il colore dominante dei ghiacciai è il grigio e la superficie è scabra e sovente coperta parzialmente o in toto da detriti provenienti dai versanti circostanti. G.4 - CLASSIFICAZIONE DEI GHIACCIAI I ghiacciai assumono varie forme e dimensioni che permettono di classificarli in due categorie principali: ghiacciai continentali e ghiacciai montani. 80 G.4.1 - GHIACCIAI CONTINENTALI Sono definiti anche calotte polari o inlandsis: si tratta di coperture glaciali di forma arcuata che coprono regioni estesissime, dell’ordine di migliaia di chilometri quadrati (inlandsis antartico e artico groenlandese), riempiendo completamente le depressioni presenti in queste regioni. Lo spessore delle calotte è molto rilevante: in media 2000 metri, fino a superare nell’Antartide i 3500 metri; l’età delle parti più antiche e profonde di queste calotte è stimata attorno alle decine di milioni di anni. In queste regioni è molto comune che dai margini di questi “scudi” di ghiaccio si dipartano lingue glaciali che si spingono fino al mare. * I colori del ghiaccio. Il ghiacciaio del Miage nel Gruppo del Monte Bianco (AO). La superficie della lingua glaciale è interamente coperta da rocce di dimensioni e origini diverse. Al centro in basso, si nota la morena laterale destra, in parte coperta da vegetazione.* * L’aspetto superficiale del ghiacciaio Fellaria, in Valmalenco (SO). Anche qui sono visibili i detriti che nel tempo sono caduti dai versanti sovrastanti* In tal caso, dalla loro fronte si staccano iceberg grossi blocchi di ghiaccio galleggianti che vagano nelle acque oceaniche fino ad arrivare a latitudini più basse, fondendo progressivamente. Nella regione polare artica e nell’oceano che circonda l’Antartide è presente un crostone di ghiaccio dello spessore di alcuni metri che ricopre le acque marine, detto banchisa. A differenza della calotta polare antartica, che poggia sulla terraferma, la banchisa è costituita da ghiaccio galleggiante. G.4.2 - GHIACCIAI MONTANI I ghiacciai montani sono quelli che si sviluppano sulle principali catene montuose del pianeta (Himalaya, Ande, Alpi, ecc.), al disopra del limite delle nevi perenni. Vi sono diversi tipi di ghiacciai montani: i principali sono elencati e descritti di seguito. Ghiacciai vallivi semplici (o di tipo alpino): si sviluppano entro le valli, hanno forma allungata, con un bacino di raccolta chiamato circo da cui parte una lingua di ghiaccio che si insinua verso valle, dove termina con una fronte. Sulle Alpi sono presenti in gran numero. Ghiacciai vallivi composti (di tipo himalayano): sono formati da più ghiacciai vallivi semplici posti in valli confluenti le cui lingue glaciali si uniscono, formandone una più grande, in cui tuttavia sono ancora distinguibili le singole colate. Il più noto nelle Alpi è il Ghiacciaio dei Forni in alta Valtellina (SO) (vedi la foto di inizio modulo) o il ghiacciaio de La Lex Blanche in alta Val Veny, gruppo del Bianco (AO). Ghiacciai di altopiano (o di tipo scandinavo): essi occupano aree pianeggianti presenti sulla sommità di massicci montuosi e possono dare origine a più colate glaciali su differenti versanti. Il più famoso, nonché il più esteso delle Alpi italiane è il ghiacciaio dell’Adamello-Brenta. Ghiacciai di nicchia (o pirenaici): si tratta di piccoli ghiacciai di forma circolare o semicircolare che occupano depressioni sui fianchi delle montagne o circhi e rappresentano ciò che resta di sistemi glaciali più sviluppati. Un esempio è il piccolo ghiacciaio del Sobretta, in Alta Valtellina (SO). 81 * Il ghiacciaio de La Lex Blanche (AO) è di tipo vallivo composto. Sono presenti due lingue che si uniscono in basso a formare un unico ghiacciaio.* Ghiacciai pedemontani: sono il risultato dell’unione di più ghiacciai vallivi allo sbocco delle rispettive valli, dove si allargano nelle area di pianura. G.5 - I GHIACCIAI COME CORPI DINAMICI I ghiacciai vallivi e le lingue glaciali dei ghiacciai di altopiano e delle calotte glaciali si muovono lentamente verso valle sotto l’azione della forza di gravità. G.5.1 - IL MOVIMENTO DEI GHIACCIAI Contrariamente a quanto si può immaginare, i ghiacciai non si muovono come corpi rigidi, quindi la velocità con cui si muovono le varie parti di un ghiacciaio non è uniforme. Se si ponesse un allineamento di rocce trasversalmente sulla superficie di un ghiacciaio, il movimento di quest’ultimo deformerebbe l’allineamento in una curva parabolica. Questo fatto indica che, in senso trasversale, la velocità di scorrimento, è massima al centro e diminuisce gradatamente verso i lati. Si osserva una riduzione della velocità anche scendendo in profondità, a causa dell’attrito tra il ghiaccio e il substrato roccioso. La velocità con cui i ghiacciai scorrono varia tra le decine e le centinaia di metri all’anno, fino ad arrivare a 3-5 metri al giorno, valori misurati in alcune zone della Groenlandia. Un’altra caratteristica dei movimenti dei ghiacciai è la diversa risposta del ghiaccio superficiale e profondo alle deformazioni. La parte superficiale di un ghiacciaio, per uno spessore di circa 60 metri, è piuttosto fragile e tende a rompersi facilmente, mentre la parte sottostante, continuamente sottoposta a forte pressione, si comporta e scorre come un materiale plastico. Questo fatto determina una serie di conseguenze che caratterizzano l’aspetto della sua superficie. G.5.2 - LA MORFOLOGIA SUPERFICIALE: CREPACCI E SERACCHI Nei caso dei ghiacciai vallivi, quando il ghiaccio supera la soglia della zona di circo, la massa in eccesso inizia a scorrere verso valle. Nello spostamento verso valle l’accentuarsi della pendenza provoca sia l’aumento della velocità del movimento del ghiacciaio, sia la sua deformazione. Poiché, come detto, il ghiaccio in superficie è rigido e fragile, in esso si aprono crepacci. * Il ghiacciaio del Rutor, in Val d’Aosta. Le parti più chiare sulla superficie del ghiacciaio evidenziano la presenza di crepacci in cui è presente ancora la neve, nonostante sia il mese di agosto * Si tratta di spaccature più o meno profonde, disposte perpendicolarmente al movimento della massa di ghiaccio, che presentano una sezione a V, aperta verso l’alto. *Nei crepacci si nota la differenza tra il colore del ghiaccio superficiale, bianco grigiastro, e quello del ghiaccio profondo, azzurrino.* In ragione del comportamento plastico del ghiaccio in profondità, i crepacci tendono a chiudersi verso il fondo: oltre i 50/60 metri di profondità, il ghiaccio si deforma senza fratturarsi seguendo l’andamento del fondo roccioso. 82 Quando il ghiacciaio cambia direzione, a causa delle tensioni interne del ghiaccio sottoposto a flessione laterale si possono formare in superficie crepacci con andamento diverso. Quando la pendenza del fondo aumenta bruscamente, la massa rigida si spezza in più parti, sia in direzione trasversale che longitudinale originando blocchi di ghiaccio separati da crepacci, detti seracchi. *Le zone del ghiacciaio in forte pendenza sono caratterizzate da seracchi, grossi blocchi di ghiaccio separati da crepacci.* Inoltre, l’acqua che deriva dalla fusione di parte del ghiaccio ad opera di tali fattori, penetra nelle fratture, rigela e genera delle spinte laterali. G.5.3 - I GHIACCIAI: CORPI IN EQUILIBRIO DINAMICO Nel suo insieme, un ghiacciaio forma un sistema che raggiunge col tempo un equilibrio dinamico. In questo stadio, la quantità di ghiaccio che si forma nella parte superiore, detta zona di accumulo o bacino collettore, è controbilancia da quella che si perde nella parte sottostante, detta zona di ablazione. L’equilibrio, e quindi la dimensione di un ghiacciaio, può essere facilmente modificato dalle variazioni delle quantità annue di alimentazione e/o di ablazione. I ghiacciai sono inoltre estremamente sensibili ai cambiamenti climatici: negli ultimi 150 anni si assiste a un generale arretramento delle fronti di quasi tutti i ghiacciai del pianeta, in risposta all’aumento della temperatura globale. Questo andamento, più rapido negli ultimi 30 anni e in via di ulteriore accelerazione, sta comportando delle conseguenze di vario genere. Oltre a costituire un cambiamento paesaggistico assai rilevante, il ritiro dei ghiacciai mette a repentaglio la stabilità dei versanti e comporta la variazione del regime dei corsi d’acqua da essi alimentati. Dal punto di vista socio-economico, la progressiva minore disponibilità di acqua dolce comporta seri rischi riguardanti l’approvvigionamento idrico per una buona fetta dell’umanità. G.6 - IL MODELLAMENTO DEL PAESAGGIO OPERATO DAI GHIACCIAI I ghiacciai esercitano un’azione di modellamento del paesaggio, operando secondo differenti modalità: da un lato essi erodono le rocce sopra le quali si trovano a scorrere, asportandone frammenti di diverse dimensioni e trascinandoli lontano; dall’altro questi stessi frammenti vengono deposti a formare accumuli di varia morfologia. G.6.1 - PROCESSI EROSIVI SVOLTI DAI GHIACCIAI Due sono i principali processi erosivi operati dai ghiaccia mentre scorrono sul substrato roccioso: estrazione ed esarazione. L’estrazione è dovuta principalmente all’acqua che penetra nelle fessure presenti nelle rocce. Cicli alternati di gelo e disgelo, con la conseguente alternanza di espansione e contrazione tendono a disgregare la roccia in frammenti. Questi frammenti, fini o grossolani, vengono strappati dal substrato roccioso, inglobati nella massa di ghiaccio in movimento e trascinati a valle. L’esarazione è l’azione abrasiva operata dal ghiacciaio sul substrato roccioso sottostante ad opera degli innumerevoli frammenti rocciosi che trasporta. 83 Un ghiacciaio si comporta quindi come un cilindro avvolto da carta vetrata che modella le superfici su cui scorre producendo grandi quantità di materiali fini generati dalla polverizzazione delle rocce. Questi materiali vengono poi trascinati via dalle acque di fusione: la presenza di limo glaciale, generato in questo modo rende torbidi i corsi d’acqua che si liberano in corrispondenza della fronte dei ghiacciai. *In un torrente glaciale il colore dell’acqua è dovuto alla presenza di particelle di limo e argilla che il ghiacciaio ha eroso dal fondo.* Quando un ghiacciaio si ritira, quest’azione abrasiva operata sulle rocce del substrato diventa evidente: si osservano superfici levigate, ricoperte di striature e di solchi profondi anche diverse decine di centimetri; il senso di tali solchi indica la direzione di scorrimento dell’antico ghiacciaio. Il fondo roccioso, assume spesso forme tondeggianti e levigate: queste formazioni sono chiamate rocce montonate, perché ricordano la schiena curva dei montoni. G.6.2 - TRASPORTO E DEPOSITO Come i venti e i corsi d’acqua, anche i ghiacciai sono potenti agenti di trasporto. Tuttavia, data la loro fluidità elevata, i venti e corsi d’acqua sono agenti di trasporto selettivi, in quanto sono in grado di trasportare solamente materiale di dimensioni medio fini (i corsi d’acqua) e fini (il vento). Al contrario, i ghiacciai sono agenti di trasporto non selettivi: essi portano con sé - al loro interno o in superficie frammenti rocciosi di qualsiasi dimensione. Di conseguenza, i depositi glaciali sono caratterizzati da grande eterogeneità dimensionale: vengono definiti con il termine tecnico di tilliti e con il termine più comune di morene. Esse appaiono come lunghe strisce di colore scuro e sono costituite da masse caotiche allungate costituite da detriti depositati ai lati o alla fronte delle lingue glaciali. I frammenti che le costituiscono sono levigati, spesso striati, eterogenei dal punto di vista della granulometria e spesso anche del tipo di roccia: infatti, tanto maggiore è la lunghezza di un ghiacciaio, tanto più alta è la probabilità che esso attraversino territori caratterizzati da substrati rocciosi di origine differente. Si riconoscono quattro diversi tipi di morene: ✓morene frontali o terminali: sono quelle che si accumulano alla fronte del ghiacciaio; sul territorio antistante il ghiacciaio sovente si individuano distinte cerchie moreniche relative a diverse fasi di ritiro del ghiacciaio stesso; al contrario, quando un ghiacciaio avanza, esso sposta e rimescola i materiali delle cerchie moreniche eventualmente deposte in precedenza; ✓morene laterali: sono quelle che si accumulano ai lati della lingua glaciale; anche in questo caso, se il ghiacciaio si sta ritirando sarà possibile osservare ad altezze decrescenti sui versanti del solco vallivo le morene laterali via via più recenti; ✓morene centrali o mediane: non sono sempre presenti, in quanto si formano quando due o più ghiacciai confluiscono, dando origine a uno più grande; a due a due, le loro morene laterali si uniscono, formando una o più massicce morene mediane; ✓morena di fondo: è costituita da tutto il materiale che viene prodotto e trascinato al di sotto della massa glaciale e che viene lasciato sul territorio quando il ghiacciaio si ritira.. Grazie alla loro possente massa, i ghiacciai possono trasportare lontano dal loro luogo di origine anche massi solitari, grandi centinaia di metri cubi, detti massi erratici. 84 * Il monumento naturale regionale del Sasso di Preguda è un masso erratico (7 metri di altezza) posto a quota 647 m slm, 450 metri circa sopra il livello delle acque del Lago di Lecco. La roccia di cui è formato, granito ghiandone, è originaria della Valmasino, che si trova a una distanza di circa km 70. Il masso ha percorso questa distanza sulla lingua glaciale ed è stato deposto sul versante al ritiro del ghiacciaio.* G.8 - LE ACQUE DI FUSIONE. La porzione di acqua di fusione dei ghiacciai che non evapora fuoriesce dalla parte frontale, dando vita a torrenti glaciali che possono diventare più impetuosi con ritmi giornalieri e stagionali, in ragione della variazione delle temperature ambientali. Può capitare che la loro portata aumenti all’improvviso, alimentata dall’apporto di piccoli bacini d’acqua di fusione precedentemente imprigionati sul ghiacciaio. A differenza dei depositi tipicamente glaciali, i sedimenti trasportati da questi corsi d’acqua si depositano in modo più ordinato e selezionato e vengono chiamati depositi fluvio-glaciali. G.9 - IL MODELLAMENTO DEL PAESAGGIO. L’azione erosiva dei ghiacciai può essere imponente, ma nel tempo è stata sicuramente sovrastimata. Ghiacciai e corsi d’acqua, infatti, sovente si impostano su linee di debolezza strutturale determinate da cause tettoniche presenti nelle rocce che affiorano in superficie. In questi casi i ghiacciai sono in grado di operare un ingente opera di modellamento, generando le ampie vallate dal tipico profilo a U, cioè con il fondo allargato e i fianchi ripidi (si veda il disegno a pag. 161): in questi casi, i ghiacciai nel tempo asportano frammenti di rocce già fratturate in conseguenza di movimenti tettonici. * L’alta Val Veny (AO) ha un profilo a U, piatta sul fondo e con le pareti laterali ripide. L’andamento quasi perfettamente pianeggiante del fondovalle e la presenza di zone paludose indica che un tempo questa piana era occupata da un piccolo lago, formatosi a monte dello sbarramento morenico del ghiacciaio del Miage* Nei territori recentemente abbandonati dai ghiacciai, è abbastanza frequente la presenza di laghi nelle depressioni da essi lasciate. Si tratta spesso di piccoli specchi d’acqua di durata effimera, destinati in pochi decenni ad essere riempiti di sedimenti. Anche il ritiro dei grandi ghiacciai che scendevano dalle Alpi fino in pianura al termine dell’ultima epoca glaciale ha lasciato depressioni più o meno ampie occupate da specchi d’acqua. Questi laghi si trovano numerosi nei territori posti allo sbocco delle valli alpine verso l’alta pianura: si tratta di bacini di una certa ampiezza, più stabili nel tempo. * Il Lago di Annone (CO), suddiviso in due bacini comunicanti dalla penisola di Isella. Il lago occupa una delle numerose depressioni lasciate ai piedi delle Prealpi dai ghiacciai alpini al termine dell’ultima epoca glaciale (tra 12.000 e 10.000 anni fa)* La penisola scandinava non più gravata dalle enormi masse di ghiaccio, si sta ancora sollevando lentamente; i solchi vallivi che scendono verso il mare, percorsi in passato da grandi lingue glaciali, al loro ritiro si sono via via riempiti di acqua marina, producendo le caratteristiche e profonde insenature con pareti verticali e a picco sull’acqua, denominate fiordi. Il riscaldamento progressivo del nostro pianeta, che gli scienziati stanno rilevando, specialmente in questi ultimi anni, al quale contribuisce anche l’effetto serra provocato dalle elevate immissioni nella nostra atmosfera di anidride carbonica, è un fattore di grande rischio per la fusione dei ghiacciai e per il loro ritiro o scomparsa. 85 A questo proposito, occorre notare che il regime dei grandi fiumi alpini del Nord Italia è regolarizzato dalla presenza dei ghiacciai e dalla loro ablazione estiva. La disponibilità delle loro acque costituisce un’importante risorsa per l’agricoltura irrigua della Pianura padana. La scomparsa dei ghiacciai alpini sarebbe pertanto un grave danno, non soltanto dal punto di vista paesaggistico, ma anche da quello economico. DOMANDE PER IL RIPASSO MODULO G 1. Cosa sono i ghiacciai? Quali sono i meccanismi di trasformazione della neve in ghiaccio? 2. Quali sono le due zone del pianeta sulle quali è massima la presenza di ghiacciai? 3. In quali zone del pianeta i ghiacciai sono importanti per l’approvvigionamento di acqua dolce? 4. In che cosa consiste il limite delle nevi perenni? 5. Secondo te, nell’emisfero boreale il limite delle nevi perenni è più alto o più basso nei versanti esposti a Nord? Motiva la risposta. 6. Cos’è un iceberg? Come si forma? 7. Per quale motivo non si formano iceberg nelle regioni temperate del pianeta? 8. Qual è la differenza principale tra ghiacciai vallivi composti e ghiacciai di altopiano? 9. Com’è distribuita la velocità nelle varie parti di un ghiacciaio? 10.Per quale motivo i ghiacciai non si muovono come corpi rigidi? 11. Spiega perché in un ghiacciaio si formano i crepacci. 12.Descrivi la formazione delle morene. 13.In che cosa consiste il processo di estrazione? È operato direttamente dal ghiacciaio? 14.Come si definiscono i depositi glaciali? Quali sono le loro caratteristiche principali? CACCIA ALL’ERRORE MODULO G 1. Un ghiacciaio si forma nelle zone in cui la quantità complessiva di neve e pioggia è superiore alla fusione estiva. 2. In tutti i ghiacciai, la neve si trasforma in ghiaccio quando l’acqua di fusione proveniente dalla superficie riempie gli spazi vuoti tra i fiochi di neve. 3. La neve è più leggera del ghiaccio: anche per questo resta in superficie (2 errori). 4. In prossimità delle zone costiere il limite delle nevi perenni è ovunque piuttosto elevato poiché l’effetto mitigante delle acque marine impedisce che si verifichino precipitazioni nevose. 5. La superficie dei ghiacciai d’inverno è coperta di neve ma d’estate si presenta liscia e scivolosa. 86 6. I ghiacciai che si trovano attorno al Polo Nord formano un’unica gigantesca calotta di ghiaccio. 7. I ghiacciai non si muovono perché costituiti da acqua allo stato solido. 8. I ghiacciai si muovono esclusivamente scivolando sulla superficie delle rocce sottostanti. 9. La zona di accumulo di un ghiacciaio è la zona dove le precipitazioni nevose sono più abbondanti. 10.La zona di ablazione è quella parte del ghiacciaio che scivola più velocemente verso valle. 11. I crepacci sono crepe profonde nel ghiaccio che si allargano verso il fondo. 12.I crepacci si formano negli strati più profondi e successivamente si aprono poi in superficie. 13.Nei ghiacciai, i crepacci si formano quando la velocità di scorrimento aumenta. 14.Le morene glaciali sono accumuli di materiale formato da ghiaccio e rocce grossolane. 15.Le morene mediane si formano quando sopra un ghiacciaio vallivo cade materiale dalle pareti rocciose circostanti. 16.I massi erratici sono grossi frammenti di roccia che scivolano sulla superficie dei ghiacciai fino a giungere a valle. 17.Le rocce montonate sono modellate direttamente dal ghiaccio nella parte profonda dei ghiacciai. 87 MODULO H - LE ACQUE SOTTERRANEE H.1 - IL DESTINO DELLE PRECIPITAZIONI L’acqua che cade sulla superficie delle terre emerse sotto forma di precipitazioni può subire diversi destini: infiltrazione nel suolo e discesa nel sottosuolo, deflusso superficiale a formare i corsi d’acqua, evapo-traspirazione e conseguente ritorno in atmosfera. H.1.1 - L’INFILTRAZIONE Gran parte dell’acqua viene assorbita per infiltrazione dalla quasi totalità dei suoli naturali, che si comportano come vere e proprie spugne. Questa capacità è dovuta alla presenza di lacune o pori naturali tra le particelle che costituiscono il suolo stesso; possono esservi anche aperture più ampie come fessure causate dal gelo e dal disgelo, crepe di disseccamento, buchi di animali limivori, come i vermi, o scavate da altri animali, cavità lasciate dalla decomposizione di radici. La presenza di un letto di foglie e altro materiale in decomposizione attenua la forza delle gocce che cadono e aiutano a mantenere pervie tali aperture. H.1.2 - IL DEFLUSSO SUPERFICIALE Se la quantità di acqua che cade con le precipitazioni o che si genera con la fusione delle nevi e dei ghiacci non viene completamente assorbita, si genera il cosiddetto deflusso superficiale, costituito dall’insieme delle acque che scorrono sulla superficie terrestre nella direzione della pendenza del terreno. H.1.3 - L’EVAPO-TRASPIRAZIONE Una parte dell’acqua che si è infiltrata nel terreno - di solito, quella presente nei primi 30 cm di suolo può ritornare in atmosfera per evaporazione diretta; questo processo è caratteristico dei terreni nudi ed è molto più intenso e profondo nei deserti e nelle zone aride. Nelle zone coperte da vegetazione, sono le piante a riportare in atmosfera rilevanti quantità di acqua, che viene prelevata con le radici anche dalle parti più profonde del suolo: questo processo è definito traspirazione. Si usa il termine evapotraspirazione per indicare l’insieme dei due processi sopra descritti. H.2 - DISTRIBUZIONE DELL’ACQUA NEL SUOLO Nel profilo di un suolo, partendo dal basso verso l’altro, si trovano nell’ordine la zona di saturazione, la zona di aerazione, la frangia capillare H.2.1 - LA ZONA DI SATURAZIONE La zona di saturazione è quella zona del terreno nella quale ogni spazio vuoto è completamente occupato dall’acqua. La zona di saturazione di un suolo coincide con quella che viene definita falda freatica (vedi più avanti). 88 H.2.2 - LA ZONA DI AERAZIONE Al di sopra di essa si trova la zona di aerazione, nella quale l’acqua non satura completamente i pori. Essa è suddivisa in due porzioni: • la frangia capillare è la parte più profonda a contatto con la zona di saturazione; in questa zona l’acqua risale nel terreno per capillarità, occupando gli spazi più sottili, • il terreno propriamente detto, che contiene l’acqua tellurica, trattenuta in sottilissime pellicole che aderiscono alle singole particelle; questa è utilizzata dalle piante che la assorbono attraverso le radici. Può accadere che questa zona superficiale di aerazione si riduca o scompaia del tutto in quei luoghi dove la falda freatica raggiunge la superficie del suolo, formando zone acquitrinose. Dal punto di vista quantitativo, le acque presenti nel suolo e nel sottosuolo sono più di 36 volte superiori a quelle di laghi e corsi d’acqua nel loro insieme. H.3 - L’INFILTRAZIONE DELL’ACQUA IN PROFONDITÀ L’acqua che si infiltra nel suolo durante le piogge e non ritorna in superficie scende nel terreno per gravità attraverso i pori del terreno e le fratture presenti nella roccia sottostante. La ripartizione tra acqua che scorre in superficie e acqua che penetra nel suolo dipende dalla permeabilità del suolo stesso. H.3.1 - LA PERMEABILITÀ DEL SUOLO La permeabilità del suolo si può definire come la sua capacità di lasciarsi attraversare dall’acqua. Minore è il tempo che l’acqua impiega a passare attraverso una determinata sezione, maggiore è la permeabilità del materiale che la costituisce. Due sono i fattori che contribuiscono a rendere permeabile un suolo: ๏ la granulometria, cioè le dimensioni dei granuli che lo compongono; come è intuibile, tanto più grandi sono i granuli, tanto maggiore è la dimensione degli spazi vuoti compresi tra di essi; ๏ la porosità, cioè il volume degli spazi vuoti presenti nel terreno, espresso in percentuale rispetto al volume totale della porzione di suolo considerata. Come vedremo, il fattore principale è la granulometria. H.3.2 - PERMEABILITÀ E TIPI DI TERRENO I terreni ricchi di ghiaie e sabbie, costituite da granuli grossolani o non troppo fini, sono piuttosto permeabili: gli ampi spazi vuoti presenti tra granulo e granulo consentono all’acqua di penetrare e di scendere facilmente in profondità. I terreni ricchi di limo, formati da granuli piuttosto fini, sono meno permeabili: l'acqua filtra con molta più difficoltà, poiché anche gli interstizi presenti tra le particelle che li compongono sono molto piccoli: in questi casi l’acqua tende ad aderire a ogni granulo con una pellicola che resiste alla sollecitazione di gravità per mezzo della forza detta tensione superficiale. I terreni argillosi, formati da granuli molto fini, malgrado la loro elevata porosità, sono invece praticamente impermeabili: l’acqua contenuta nei loro sottilissimi pori aderisce con forza ai granuli e non risente in alcun modo dell’azione gravità. 89 Nel caso in cui in superficie affiori roccia compatta, la permeabilità varia a seconda della quantità e delle dimensioni delle fratture e dalla comunicazione tra queste fratture. H.4 - FALDE ACQUIFERE Le falde acquifere sono costituite da strati di materiale incoerente - di solito sabbie o ghiaie - in cui gli spazi vuoti tra granulo e granulo sono occupati completamente dall’acqua. Questi strati sono normalmente disposti sopra a strati di materiali argillosi, praticamente impermeabili, che impediscono all’acqua di scendere più in profondità Le falde vengono alimentate dall’acqua che s’insinua nel terreno e si sposta nel sottosuolo fino ad incontrare strati di terreno impermeabile. Nelle pianure alluvionali, formate dai sedimenti deposti dai corsi d’acqua in occasione di esondazioni e alluvioni, il sottosuolo è spesso formato da strati alternati di materiali grossolani e materiali più fini: in questi casi il numero di falde presenti nel sottosuolo può essere anche molto elevato. H.4.1 - TIPI DI FALDE Si definisce falda freatica o falda libera la falda acquifera più vicina alla superficie. Esistono inoltre falde artesiane, dette anche falde in pressione o imprigionate: si tratta di falde che si trovano racchiuse tra due strati, l’uno inferiore e l’altro superiore, entrambi impermeabili. Nella maggior parte dei casi le falde acquifere sono caratterizzate da una certa pendenza, magari anche molto limitata, pertanto l’acqua in esse contenuta scorre lentamente verso il basso per l’azione della forza di gravità. Vi sono tuttavia anche casi in cui lo strato impermeabile che sostiene la falda è di forma concava: in questo caso l’acqua non può scorrere via e può capitare che resti intrappolata anche per tempi molto lunghi. In varie porzioni del deserto del Sahara vi sono falde di questo tipo, dette anche falde fossili; l’acqua si è accumulata in questi bacini sotterranei in periodi in cui quelle zone erano molto più umide rispetto ad oggi. H.4.2 - IMPORTANZA DELLE FALDE PER L’UOMO Le falde acquifere costituiscono preziose riserve di acqua dolce per le popolazioni umane. L'acqua contenuta in tutti i tipi di falda può essere estratta tramite escavazione di pozzi e uso di pompe. Nel caso delle falde artesiane, una volta scavato un pozzo che attraversi lo strato impermeabile che le delimita superiormente, l’acqua può risalire spontaneamente fino alla superficie: in questo caso il pozzo viene detto pozzo artesiano. H.5 - I FENOMENI CARSICI - GENERALITÀ Il termine carsismo deriva dalla regione del Carso nelle Alpi Orientali, tra Italia, Slovenia e Croazia. Le rocce calcaree di quel territorio sono particolarmente ricche di fenomeni di dissoluzione epigei e ipogei. Tra i primi si possono citare campi solcati e carreggiati, doline e uvala. I campi solcati sono superfici rocciose incise dal passaggio dell’acqua nel corso di periodi molto lunghi; le doline sono depressioni grosso modo circolari, prodotte dal cedimento del soffitto di cavità 90 ipogee poste poco al di sotto della superficie del suolo; gli uvala, sono aree abbastanza vaste o altipiani ondulati occupati da doline presenti in gran numero. * Uvala, ampia area caratterizzata dalla presenza di un gran numero di doline, nei pressi del massiccio calcareo del Gran Sasso (AQ)* Tra i fenomeni ipogei, assumono grande rilevanza pozzi, inghiottitoi e grotte, cavità sotterranee a sviluppo verticale, inclinato o suborizzontale, determinate dalla dissoluzione delle rocce carbonatiche da parte delle acque meteoriche infiltratesi in profondità. *Altopiano presso Santo Stefano di Sessanio (AQ). In questa zona non sono presenti corsi d’acqua superficiali, pertanto l’acqua si infiltra in profondità lungo fratture presenti nel sottosuolo.* H.5.1 - CHIMICA DEL CARSISMO Il carsismo si sviluppa esclusivamente su rocce calcaree e gessose. Si tratta di un insieme di fenomeni legati alla dissoluzione del carbonato o solfato di calcio da parte dell’acqua arricchita di anidride carbonica. L’arricchimento in anidride carbonica avviene direttamente in atmosfera, dove la concentrazione di questo gas è superiore allo 0,03%, ma diviene più accentuato quando l’acqua meteorica attraversa il terreno, ricco di anidride carbonica per l’attività respiratoria delle radici delle piante, degli animali e della microflora del suolo. A contatto con quest’acqua acidulata, il carbonato di calcio viene trasformato in bicarbonato, solubile in acqua, secondo la seguente reazione: CaCO3 + H2O + CO2 → Ca(HCO3)2 In ragione della sua solubilità, il bicarbonato di calcio passa in soluzione e viene asportato dall’acqua. *Quando si fa bollire a lungo l’acqua che proviene da zone calcaree, si può facilmente osservare una patina biancastra di carbonato di calcio depositata sulle pareti del contenitore. Acque di questo tipo vengono definite dure e sono proprio quelle che producono incrostazioni calcaree agli elettrodomestici come ferri da stiro, lavatrici e lavastoviglie.* H.5.2 - CONDIZIONI PER IL MANIFESTARSI DEL CARSISMO Il carsismo si manifesta nelle regioni il cui sottosuolo è costituito da rocce calcaree e nei massicci montuosi calcarei. Le condizioni migliori affinché si generino estesi e profondi sistemi carsici sono date da una consistente fessurazione delle rocce, che facilita la penetrazione dell’acqua, e da una conformazione costituita da altipiani. Le regioni montuose, formatesi a seguito di processi di orogenesi che hanno sollevato e deformato le rocce preesistenti, sono sempre caratterizzate da massicci rocciosi fratturati. I massicci calcarei sono comuni in quelle catene montuose la cui formazione ha portato in superficie rocce sedimentarie di piattaforma carbonatica, formatesi per accumulo di scheletri di molluschi e coralli su fondali non troppo profondi di mari caldi. Un altro fattore indispensabile al manifestarsi di fenomeni carsici è la presenza di precipitazioni: in assenza di pioggia non è infatti possibile la trasformazione del carbonato di calcio in bicarbonato e la successiva dissoluzione e asportazione di quest’ultimo. 91 Un terzo fattore molto importante è la temperatura: in presenza di elevate temperature tutti i processi chimici, compresa la dissoluzione del carbonato di calcio, procedono più rapidamente. Il carsismo si sviluppa pertanto in modo molto rapido nella fascia intertropicale del nostro pianeta, caratterizzata da clima caldo-umido. Altre regioni interessate da ingenti fenomeni carsici sono le zone in cui sono presenti catene montuose in via di sollevamento: le enormi frizioni che interessano le masse rocciose determinano notevoli innalzamenti delle temperature che, a loro volta, scaldano le acque che circolano in profondità. Queste acque termali sono molto efficaci nel dissolvere il carbonato di calcio dei massicci calcarei, generando estesissimi sistemi carsici in tempi geologici anche molto brevi *Castelluccio di Norcia (Perugia). I Piani di Castelluccio sono formati dal Pian Grande, dal Pian Piccolo e dal Pian Perduto, si trovano a 1350 m e coprono una superficie di 15 km2. Come molti altri altipiani appenninici, anch’essi si sono formati grazie a processi tettonici, avvenuti durante il sollevamento dell’Appennino. Tuttavia, essendo costituiti in gran parte da rocce calcaree, i fenomeni carsici sono assai sviluppati. Il Pian Grande un tempo era sommerso da un lago che, prosciugandosi, ha lasciato terreni fertili.* H.5.3 - SVILUPPO DEL CARSISMO Con i requisiti sopra descritti, rocce fratturate, clima umido, temperature elevate, a causa della sempre maggiore quota di acqua che si infiltra in profondità un territorio perde rapidamente la circolazione idrica superficiale. Contemporaneamente, all’interno dei massicci rocciosi si sviluppano cavità interconnesse sempre più grandi ed estese, che drenano l’acqua meteorica. Si assiste così alla formazione di veri e propri corsi d’acqua e bacini lacustri ipogei più o meno estesi, all’interno di grotte il cui sviluppo può svilupparsi per decine e decine di chilometri. * Il Buco del nido, grotta carsica a Pian dei Cavalli, Valchiavenna (SO), ha uno sviluppo suborizzontale di 3600 metri.* Col passare del tempo, queste cavità sotterranee si ampliano a tal punto da provocare cedimenti e crolli delle parti superficiali, con la distruzione lenta e progressiva dei massicci calcarei. H.5.4 - LE CONCREZIONI Le concrezioni sono i diversi tipi di strutture e incrostazioni che si formano nelle cavità prodotte dai fenomeni carsici. La condizione necessaria affinché si formino concrezioni è la presenza di cavità non completamente occupate dall’acqua. Al loro interno, si producono concrezioni carbonatiche di tutte le fogge: stalattiti che pendono dall’alto e stalagmiti che sorgono dal basso in corrispondenza del gocciolamento dalle fessure poste sui soffitti delle grotte, ma anche colate e cortine calcaree. Le concrezioni si formano in conseguenza del seguente processo chimico: Ca(HCO3)2 → CaCO3 + H2O + CO2 Come è evidente, si tratta del processo opposto rispetto a quello responsabile del carsismo. Questo processo avviene in acque sotterranee soprassature di bicarbonato di calcio che giungono a contatto con l’aria che circola nelle cavità carsiche. In queste condizioni, il bicarbonato disciolto in queste acque si ritrasforma in carbonato di calcio, che si deposita sulle pareti nei punti in cui l’acqua fuoriesce da esse: se questi punti si trovano sul soffitto, si formano le stalattiti (le stalagmiti si formano 92 sul pavimento nei punti in cui le gocce toccano il terreno); se l’acqua fuoriesce sulle pareti, allora si formeranno incrostazioni su di esse, nelle zone in cui l’acqua si trova a scorrere. Le acque che fuoriescono dai massicci carsificati, sotto forma di fiumi più o meno consistenti, sono ancora molto ricche di bicarbonato di calcio che può essere depositato, soprattutto lì dove si formano specchi d’acqua, dando vita a depositi carbonatici denominati travertini. *Lago di Doberdò (GO), esempio di lago carsico, privo immissari ed emissari superficiali. Le acque affluiscono in esso attraverso delle risorgive e fiumi sotterranei oltre all'apporto pluviale; il deflusso viene invece garantito da cavità sotterranee e dall’evaporazione. Superficie 0,36 Kmq, profondità massima 10 metri.* DOMANDE per il ripasso modulo H 1. Qual è il destino delle acque di precipitazione? 2. In cosa consiste la permeabilità di un suolo? Quali sono le caratteristiche del suolo che la determinano? 3. La roccia compatta può essere permeabile? A quali condizioni? 4. Sono maggiormente permeabili terreni formati da granuli piuttosto grossolani o da granuli molto fini? Motivare la risposta. 5. In che cosa consiste una falda acquifera? 6. Qual è la principale differenza tra falde libere e falde in pressione? 7. In quale dei due casi in un pozzo scavato artificialmente l’acqua può risalire fino alla superficie? Motivare la risposta. 8. Qual è la principale differenza tra la zona di saturazione e la zona di aerazione? 9. Cos’è il carsismo? Si tratta di un processo fisico o chimico? 10.Quale tra i vari gas atmosferici ha un’importanza fondamentale nello sviluppo di fenomeni carsici? Qual è il suo effetto quando esso si scioglie in acqua? 11. Quanto è sviluppata la circolazione idrica superficiale nelle zone carsiche? Per quale motivo? 12.Cosa sono le concrezioni? Dove si formano? Per quale motivo? 93 CACCIA ALLL’ERRORE modulo H 1. La permeabilità è tanto maggiore quanto più piccoli sono i granuli che formano il suolo. 2. Una falda acquifera è formata da piccole cavità sotterranee entro le quali l’acqua è libera di scorrere. 3. Le falde acquifere sono poggiate su strati rocciosi impermeabili. 4. Le falde artesiane sono costituite da acqua ferma da lungo tempo, imprigionata com’è tra strati impermeabili. 5. Nella zona di aerazione, gli spazi vuoti tra le particelle del suolo sono interamente occupate, come suggerisce il nome, dall’aria, quindi il terreno è asciutto. 6. Il carsismo è il frutto della capacità dell’acqua di produrre solchi sulle superfici rocciose e cavità dentro gli ammassi rocciosi, qualunque sia il tipo di roccia. 7. Nelle zone carsiche l’acqua scorre abbondante in superficie ma può sparire improvvisamente, se viene inghiottita da una cavità sotterranea. 8. Le doline sono profonde cavità sotterranee collegate con la superficie mediante pozzi. 9. I polje sono vasti altipiani pianeggianti caratteristici delle zone carsiche. 10. Stalattiti e stalagmiti si formano nelle cavità sotterranee quando l’acqua fredda presente nelle rocce viene a contatto con l’aria più calda presente nelle grotte. 94 MODULO I - LE ACQUE SUPERFICIALI I.1 - RUSCELLAMENTO E SCORRIMENTO INCANALATO Le acque superficiali possono scorrere per ruscellamento o per scorrimento incanalato. I.1.1 - IL RUSCELLAMENTO Il ruscellamento, è lo scorrimento delle acque di pioggia sulla superficie del terreno. Questo processo si verifica quando la quantità di acqua caduta è maggiore rispetto a quella che il terreno può assorbire. Il ruscellamento si manifesta con la formazione di sottili lamine o piccoli rivoli d’acqua che scorrono sul terreno, ma in caso di precipitazioni molto intense si possono formare veri e propri ruscelli su superfici di terreno anche molto estese. Il ruscellamento può manifestarsi con evidenza sul terreno nudo, ossia privo di vegetazione, determinando lo sviluppo di solchi anche profondi; se non viene ostacolato in alcun modo, si possono attivare processi erosivi, anche ingenti. *Calanchi in Appennino. I calanchi si formano in conseguenza di processi di ruscellamento su terreno con ridotta vegetazione e substrato roccioso tenero e facilmente erodibile.* Il ruscellamento può verificarsi anche su terreno coperto da vegetazione: in un prato può risultare intenso anche se non particolarmente visibile; in un bosco, il cui suolo è ricoperto da materiale in decomposizione, il ruscellamento è nascosto sotto questo strato ed è quindi invisibile. I.1.2 - LO SCORRIMENTO INCANALATO: I CORSI D’ACQUA Le acque incanalate si differenziano da quelle di ruscellamento in quanto occupano un alveo, cioè un solco da loro stesse inciso, delimitato da due sponde o rive. Solo in questi casi si può parlare di veri e propri corsi d’acqua. Un corso d’acqua, quindi, è una massa d’acqua che scorre per gravità in un alveo presente sulla superficie terrestre. I corsi d’acqua possono essere alimentati dalle precipitazioni piovose, dalle acque di fusione di neve o ghiacciai o dalle acque sotterranee. Sono caratterizzati da uno sviluppo lineare più o meno lungo e sono spesso organizzati in reti idrografiche: tutti i corsi d’acqua di una rete che confluiscono direttamente o indirettamente nel corso d’acqua principale si definiscono affluenti. Le caratteristiche dei corsi d’acqua variano con l’andamento dei fenomeni meteorologici nel corso dell’anno, con le caratteristiche topografiche delle superfici su cui scorrono e con le caratteristiche geologiche del substrato roccioso. Normalmente il destino finale di un corso d’acqua è quello di sfociare in un altro corso d’acqua, in un lago, in un mare o nell’oceano. Talvolta può capitare che l’acqua venga semplicemente assorbita dal terreno o si asciughi completamente. *Video “Fiume Po” http://www.youtube.com/watch?v=O9550_bSINM* 95 I.2 - CARATTERISTICHE DEI CORSI D’ACQUA Di seguito vengono elencate e descritte le principali caratteristiche comuni ai corsi d’acqua. I.2.1 - IL BACINO IDROGRAFICO Il bacino idrografico è la porzione di territorio che drena l’acqua verso il corso d’acqua considerato: la sua forma è grossolanamente ellittica. * Il bacino idrografico di un corso d’acqua è compreso tra due linee spartiacque. Un bacino idrografico è la porzione di territorio che “porta” le acque verso il rispettivo corso d’acqua. Ha una caratteristica forma ad albero, dove il tronco è formato dal corso d’acqua principale e i rami dai suoi vari affluenti.* Bacini idrografici adiacenti sono separati da linee spartiacque, che corrono sulle creste e sommità dei rilievi circostanti i bacini stessi. All’interno di ogni bacino, le acque fluiscono verso un unico corso d’acqua principale, da cui il bacino stesso prende il nome; ciascuno dei corsi d’acqua minori ha un suo bacino, formato da una porzione di quello complessivo. Normalmente, il bacino idrografico ha un aspetto ad albero ramificato, caratterizzato da forme esili a monte, che divengono sempre più consistenti a mano a mano che si procede verso valle. I.2.2 - IL PROFILO Il profilo longitudinale è l’andamento della quota dell’alveo di un corso d’acqua lungo tutto il suo percorso dalla sorgente alla foce. Nel tempo, esso tende ad assumere la forma di una curva iperbolica, più ripida nelle parti a monte, più dolce nelle parti a valle: tale curva si definisce profilo di equilibrio. I.2.3 - LA PORTATA La portata di un corso d’acqua è la quantità di acqua che passa attraverso una sezione perpendicolare alla direzione della corrente in un dato tempo; essa si misura si misura in metri cubi al secondo. La portata generalmente varia nel tempo durante l’anno, in base alla disponibilità di acqua per l’approvvigionamento del corso d’acqua. Nei periodi meno piovosi dell’anno, la portata si riduce al minimo e il corso d’acqua viene detto in magra; la portata minima si definisce portata di magra. Si parla di secca, quando l’alveo è completamente privo di acqua. Nei periodi in cui le precipitazioni sono più abbondanti, la portata può diventare molto grande e il corso d’acqua viene detto in piena: la portata massima è denominata portata di piena. In caso di piene particolarmente abbondanti, il corso d’acqua può esondare, cioè uscire dal proprio letto: in questo caso l’acqua invade il territorio circostante. I.2.4 - IL REGIME Il regime di un corso d’acqua è la variazione della sua portata nel corso dell’anno. Se la portata non varia di molto e non si riduce mai a zero si parla di regime fluviale. Se la portata varia molto e addirittura per alcuni periodi dell’anno il corso d’acqua va in secca, si parla di regime torrentizio. Le variazioni della portata di un corso d’acqua dipendono da vari fattori: le condizioni geologiche del luogo, la presenza più o meno ampia di vegetazione, che tende a regolarizzare la portata, l’entità e la distribuzione delle precipitazioni, la presenza di una falda idrica che può eventualmente alimentare il 96 corso d’acqua nei periodi di magra, la presenza di ghiacciai nel bacino idrografico che possono fornire acqua anche in periodi con scarse precipitazioni. I.2.5 - LA VELOCITÀ La velocità della corrente di un corso d’acqua è il rapporto tra la distanza percorsa da una particella o porzione di acqua e il tempo impiegato per percorrerla. Se l’alveo è sufficientemente regolare, la velocità è massima al centro e in superficie; l’attrito con il letto fa sì che la velocità dell’acqua diminuisca gradualmente spostandosi verso le rive e verso il fondo. La velocità dipende da vari fattori, legati alla portata, alle caratteristiche dell’alveo, alla pendenza. Essa varia da monte verso valle: ✓ nel tratto più a monte i corsi d’acqua sono spesso abbastanza impetuosi a causa della pendenza accentuata; lungo il loro corso sono sovente presenti gole, cascate e rapide; ✓ procedendo verso la pianura, le modalità di scorrimento tendono a regolarizzarsi: l’alveo è meno ripido, le acque sono più calme ma anche più abbondanti, anche per l’apporto di numerosi affluenti. *In un torrente si notano il moto turbolento dell’acqua e i materiali che il torrente ha trasportato. Il moto “disordinato” e turbolento tende a limitarne la velocità* *I fiumi in pianura sono all’apparenza calmi e lenti ma le acque scorrono molto veloci, a causa dell’attrito ridotto delle acque con l’alveo e delle portate abbondanti.* Quindi, contrariamente al senso comune, la velocità di un corso d’acqua in linea generale tende ad aumentare da monte verso valle. A una prima osservazione questo non appare evidente: dato il tipo di moto - ordinato e lineare in pianura, vorticoso e turbolento nelle zone più elevate - sembra infatti che la corrente sia rapida in montagna e lenta in pianura. Ciò che cambia in realtà sono le modalità con cui avviene lo scorrimento dell’acqua: nelle zone caratterizzate da pendenza maggiore e alveo irregolare, l’energia dell’acqua viene dissipata dall’attrito interno e dall’attrito dell’acqua con la superficie dell’alveo; nelle zone a pendenza inferiore l’alveo è spesso più regolare e la portata maggiore: questo fa sì che il moto sia più ordinato, con notevole riduzione degli attriti e aumento della velocità. I.2.6 - IL CARICO Il carico di un corso d’acqua è l’insieme dei materiali trasportati dal flusso di acqua corrente. Vi sono tre tipi di carico: carico di fondo, carico in sospensione, carico disciolto. Il carico in sospensione è costituito da particelle abbastanza piccole da restare sospese nell’acqua e comprende la maggior parte del carico complessivo. La dimensione massima di queste particelle cresce all’aumentare della velocità e della turbolenza. Gran parte di queste particelle si deposita quando la velocità della corrente decresce o si annulla, come nei laghi, nei mari e negli oceani. Il carico di fondo è l’insieme dei frammenti che saltano, rotolano e strisciano sul fondo; esso costituisce fino a 1/5 del carico complessivo. I frammenti - detti clasti - si muovono in maniera discontinua per scivolamento o rotolamento, ma quando il flusso aumenta tendono a muoversi per saltazione. Il carico disciolto è l’insieme degli ioni disciolti in acqua. 97 Il carico di fondo e quello in sospensione aumentano al crescere della portata, della velocità e della turbolenza delle acque e raggiungono valori massimi durante le piene. I.3 - TORRENTI E FIUMI La distinzione tra fiumi e torrenti non è così chiaramente definita da un punto di vista scientifico, ma si riferisce tradizionalmente a caratteristiche come la pendenza, le caratteristiche dell’alveo, la portata, il regime, ecc. Si definisce torrente un corso d’acqua caratterizzato da una portata molto variabile nel corso d’anno, con periodi di secca completa. Queste caratteristiche sono dovute a un approvvigionamento idrico irregolare. Dal punto di vista della portata, in Italia vi sono torrenti con portate anche molto differenti, sia ridotte, sia molto abbondanti. *Video “Torrente” http://www.youtube.com/watch?v=t96EpCas0kA* Se consideriamo il bacino idrografico del Po, una parte dei corsi d’acqua che scendono dagli Appennini è costituita da torrenti: la loro portata può ridursi a valori molto bassi, di solito nei mesi estivi, per la scarsità di precipitazioni e per l’assenza di ghiacciai nei loro bacini idrografici. Per gli stessi motivi, anche molti dei corsi d’acqua che dagli Appennini scendono direttamente al mare sono considerati torrenti. Si indica invece con il termine fiume, un corso di acqua con variazioni di portata più ridotte rispetto ai torrenti e assenza di periodi di secca. Per le sue caratteristiche, il tratto montano di un fiume ha spesso caratteristiche torrentizie. In Italia i fiumi sono numerosi al Nord e scendono principalmente dalle Alpi (Po, Ticino, Adda, Oglio, Mincio, Adige, ecc.); la loro portata non si riduce mai a zero a causa della piovosità estiva che nelle zone alpine può essere anche abbondante, a causa della fusione estiva dei ghiacciai alpini, che riforniscono d’acqua i fiumi anche nel caso di precipitazioni ridotte e a causa della presenza, nel sottosuolo della Pianura padana di abbondanti falde idriche. Vi sono fiumi importanti anche in altre zone d’Italia, che scendono dagli Appennini (Tevere, Arno); in questo caso la portata è garantita dall’ampiezza del bacino idrografico: è abbastanza difficile che in un bacino molto ampio le precipitazioni siano ovunque così scarse da non garantire una portata d’acqua anche minima. I.4 - MORFOLOGIA FLUVIALE I corsi d’acqua possono avere andamento rettilineo o sinuoso. L’andamento sinuoso è molto diffuso; l’andamento rettilineo è limitato generalmente alle zone di montagna dove il letto è delimitato dall’andamento del rilievo circostante. Nelle zone a pendenza poco accentuata e sedimenti costituiti da ghiaie e sabbie i corsi d’acqua possono assumere una morfologia detta “a canali intrecciati”: il corso principale si suddivide in diversi rami separati da piccole isole. Questo accade generalmente in prossimità delle aree montane e pedemontane, dove il carico di sedimenti è molto abbondante e la portata presenta ampie variazioni annue. 98 * Il medio corso del Tagliamento presenta una morfologia a canali intrecciati. Questa morfologia è tipica delle aree di alta pianura poste allo sbocco delle regioni montuose; in queste zone il materiale detritico è molto abbondante.* Nelle zone caratterizzate da pendenza molto limitata e sedimenti fini, ossia nelle aree pianeggianti, un corso d’acqua sovente diviene sinuoso e divaga, formando meandri, cioè anse che il fiume modifica nel tempo per erosione e rideposizione. * Meandri formati da un corso d’acqua montano nella piana che occupa il fondo di un antico lago in alta Val Masino (SO). Ai lati della piana sono presenti le tracce di antichi percorsi del torrente. Verso il fondo della piana c’è lo sbarramento morenico che, al ritiro del ghiacciaio, aveva dato origine all’antico lago.* * Un’ansa del fiume Adda, in Valtellina. Nella sponda destra non c’è vegetazione ma i materiali che il fiume con il tempo ha depositato; a sinistra la sponda ricca di vegetazione che, invece, viene progressivamente erosa.* L’erosione si sviluppa nella parte esterna del meandro, dove la corrente è più rapida, mentre la deposizione riguarda l’interno, dove il flusso è più lento: in questo modo i meandri tendono a diventare via via più marcati. *Progressivo sviluppo dei meandri. Nei punti dove la corrente è più rapida, l’acqua asporta materiale, che viene depositato sull’altro lato. In questo modo la curvatura dell’ansa si accentua. Con il passare del tempo si può assistere al taglio del meandro: il corso del fiume cambia e l’ansa viene isolata, trasformandosi in una lanca.* I.5 - LA FOCE DEI CORSI D’ACQUA Al termine del suo percorso, il corso d’acqua può confluire in un altro corso d’acqua di cui è affluente, può sfociare in un lago di cui è immissario, può sfociare in mare o nell’oceano. In zone caratterizzate da climi caldi e secchi un corso d’acqua può immettersi in un bacino chiuso, dove l’acqua evapora, o anche venire assorbito completamente dal suolo. Nel caso in cui esso sfoci direttamente in un lago o nel mare, la foce può assumere due principali morfologie. I.5.1 - FOCE A DELTA Si parla di foce a delta quando il tratto terminale del fiume si ramifica più volte e questi rami individuano un territorio a forma di ventaglio con il vertice rivolto verso l’entroterra e la parte allargata rivolta verso il mare. La foce a delta si forma nei casi in cui l’apporto dei sedimenti fluviali è consistente e il lago o il mare non riesce a disperderli: le acque del fiume si mescolano a quelle calme del bacino di arrivo, per cui rallentano la loro velocità e depositano sabbia e sedimenti fini. L’alveo risulta quindi ostruito da tali materiali e le acque straripano e cercano altre strade, dividendosi in diversi rami. I.5.2 - FOCE A ESTUARIO Si parla di foce a estuario quando il corso d’acqua sfocia direttamente a mare senza suddividersi in canali minori, ma allargandosi leggermente nella sua parte terminale in una sorta di imbuto con la svasatura rivolta verso il mare. 99 La foce a estuario si forma quando il corso d’acqua si getta in un lago o mare aperto, e le correnti non permettono ai sedimenti di depositarsi. I.6 - L’AZIONE DEI CORSI D’ACQUA SUL TERRITORIO CIRCOSTANTE Nel loro scorrere sulla superficie terrestre, i corsi d’acqua esercitano un potente e continuo modellamento del territorio circostante, che si esplica mediante le tre diverse azioni di erosiva, l’azione di trasporto e l’azione di deposito. I.6.1 - L’AZIONE EROSIVA L’azione erosiva di un corso d’acqua consiste nell’asportazione di materiale da un dato territorio. A livello globale, l’azione erosiva dei corsi d’acqua è più diffusa e marcata rispetto a quella dei ghiacciai: questi ultimi, infatti, seppur più massicci, sono molto meno diffusi. La fase erosiva risulta più marcata nelle zone più a monte, dove i dislivelli sono maggiori e l’azione della gravità più intensa; anche il moto turbolento della corrente, legato alle pendenze accentuate, contribuisce al potere erosivo: l’esito è la frequente formazione di tipiche e strette valli a V. I fianchi di queste valli possono essere soggetti a smottamenti e frane, soprattutto quando la vegetazione è scarsa. * Una valle a V. La folta vegetazione boschiva che copre i versanti li stabilizza, rendendoli meno soggetti a frane e smottamenti.* I.6.2 - L’AZIONE DI TRASPORTO Il trasporto avviene generalmente durante tutto il tragitto del fiume: tanto più rapida e/o turbolenta è la corrente, tanto maggiore è la sua azione di trasporto. Un corso d’acqua muove diversi tipi di materiali e con diversi meccanismi. I materiali più grossolani, come massi, sassi o ghiaia grossa, sono trasportati dall’acqua nei tratti con pendenza più accentuata, e con moto turbolento. La dimensione dei materiali trasportati aumenta anche con la portata: un fiume in piena è in grado di trasportare materiali anche molto grossolani, come massi, alberi e manufatti. Questi materiali sono generalmente spinti e trascinati sul fondo dell’alveo per attrito con l’acqua. Materiali più fini, come ghiaia fine e sabbia, sono trasportati per saltazione, per trascinamento sul fondo o direttamente in sospensione. I materiali più fini, come limo e argilla, formati da granuli di dimensioni estremamente ridotte, sono trasportati in sospensione anche molto lontano dal luogo dove sono stati prelevati dall’acqua. Essi si depositano solamente in acque ferme o quasi ferme. I materiali in soluzione sono trasportati fino al bacino finale che riceve le acque al termine del percorso del corso d’acqua: generalmente il mare o l’oceano. I.6.3 - L’AZIONE DI DEPOSITO L’azione di deposito consiste nel rilascio dei materiali trasportati da un corso d’acqua e nella loro deposizione su un dato territorio. Grandi quantità di materiali vengono depositati in laghi, mari e oceani in corrispondenza o in prossimità delle foci. 100 Secondo l’energia decrescente delle acque correnti, avviene prima il deposito dei materiali più grossolani e pesanti, quindi quello dei materiali più fini. Quelli molto fini, come argille e limi, e i materiali in soluzione, raggiungono la foce e si depositano nei bacini di destinazione. Questi materiali vengono chiamati nel loro insieme depositi alluvionali. * La Pianura Padana è una pianura alluvionale, formata nel tempo dai sedimenti deposti dal Po e dai suoi affluenti in occasione di innumerevoli esondazioni.* * La Valtellina è caratterizzata da un fondovalle alluvionale formato da successive esondazioni dall’Adda.* Le pianure alluvionali come la Pianura padana e i fondivalle alluvionali delle grandi valli alpine sono formate da strati successivi di sedimenti deposti nel tempo dai corsi d’acqua. In occasione di piene molto abbondanti un corso d’acqua può straripare, producendo le cosiddette esondazioni o alluvioni. In caso di esondazione, l’acqua carica di sedimenti esce dall’alveo in uno o più punti e invade le zone circostanti. Nelle aree invase dall’acqua, la velocità del flusso si riduce rapidamente con la distanza fino ad annullarsi: di conseguenza, i sedimenti progressivamente si depositano. I sedimenti più grossolani si depositano a breve distanza dall’alveo, quelli più fini a distanza maggiore. Questo è il meccanismo di formazione delle pianure alluvionali. Altre forme di deposito fluviale sono i conoidi di deiezione. Si tratta di accumuli di materiale che si formano allo sbocco di una valle laterale in una pianura o in una valle più grande. Questi depositi hanno forma grossolanamente a ventaglio con l’apice a monte e la parte allargata aperta verso il basso. La forma caratteristica è ancora più evidente se la valle laterale sfocia in un lago: la maggior parte dei paesi rivieraschi dei maggiori laghi prealpini sono edificati su conoidi di deiezione. * Il paese di Bellano, sul Lago di Como, è stato costruito sul conoide del torrente Pioverna, che attualmente scorre nel centro del paese. Al termine dell’ultima glaciazione, grandi quantità di detriti sono stati portati a valle dai torrenti che sfociavano nel lago, andando a formare questi depositi.* I.7 - I LAGHI I laghi possono essere definiti come masse d’acqua che hanno riempito depressioni naturali di origine diversa. Dal punto di vista geologico si tratta di strutture effimere, cioè di breve durata, destinate a essere colmate in tempi diversi in base alla loro estensione e profondità e all’apporto di detriti inorganici e organici che si depositano sui loro fondali. In genere i laghi sono alimentati dai corsi d’acqua loro immissari, dalle precipitazioni, dalle sorgenti e dalle acque sotterranee. A valle, è generalmente presente un emissario, che emunge le acque del lago stesso. Un buon esempio è il Lago di Como. Esso è alimentato da un buon numero di corsi d’acqua minori e da due fiumi principali, l’Adda e il Mera, che percorrono rispettivamente la Valtellina e la Valchiavenna e si immettono nel lago a Nord, presso Colico; vi è un unico emissario, ancora l’Adda, che dal lago fuoriesce a Sud, presso Lecco. I laghi sono importanti per il clima, che viene mitigato dalla loro azione (i laghi sono grandi serbatoi di calore), per la purificazione delle acque degli immissari, che depositano i propri sedimenti sui loro fondali, per l’economia della regione in cui si trovano, essendo spesso ricchi di pesce ed essendo fonte di turismo. 101 Il lago più grande del pianeta è sicuramente il Mar Caspio con i suoi 371.000 km2 di superficie; in Europa, il più vasto è il Làdoga con 18.400 km2, mentre in Italia è il lago di Garda (370 km2). Nel loro complesso, i laghi coprono una superficie di circa 1.700.000 km2. Il lago più profondo del mondo è il Baikal, con 1741 metri; in Italia il più profondo è il Lario che raggiunge i 410 metri, 212 dei quali sono al di sotto del livello del mare. I.8 - TIPI DI LAGHI I bacini lacustri vengono classificati in base alle loro diverse origini. Vediamo di seguito i tipi principali. I.8.1 - LAGHI DI ESCAVAZIONE GLACIALE Nel passato, i ghiacciai hanno occupato e scavato profonde valli ora libere. Nonostante la loro primitiva origine sia da collegarsi all’iperescavazione fluviale durante la crisi di salinità del Mediterraneo, è possibile affermare che i laghi prealpini come il Lario, il lago Maggiore, il Lago di Garda e il Lago d’Iseo debbano parte della loro origine alle enormi masse di ghiaccio che hanno percorso le loro valli durante i periodi glaciali; per questo è possibile considerare mista la loro origine. * Il Lago di Como, un lago di origine mista. Nella zona dl centro-lago c’è la penisola di Bellagio: a sinistra il ramo di Lecco, a destra il ramo di Como, in basso a destra il conoide di Menaggio.* Sono definiti laghi di circo quei bacini di forma approssimativamente circolare che si formano nelle zone di alimentazione di antichi ghiacciai, dette appunto di circo. Laghi di questo tipo sono abbondanti nelle Alpi e negli Appennini in zone un tempo occupate dalla parte alta di ghiacciai ormai completamente scomparsi. Con i loro depositi morenici frontali e laterali, i ghiacciai formano talora dei massicci sbarramenti. Una volta che questi ghiacciai si ritirano, nei territori a monte di queste cerchie moreniche si possono accumulare masse d’acqua definite laghi morenici. I laghi carsici si formano nelle regioni calcaree soggette a fenomeni carsici che generano bacini in genere non particolarmente grandi, il cui fondo risulta impermeabilizzato da depositi argillosi, prodotti dalla degradazione chimica dei calcari stessi. Questo tipo di laghi ha spesso durata breve, poiché occasionalmente il fondo di questi bacini si libera dalle argille impermeabilizzanti, permettendo all’acqua di infiltrarsi e scomparire completamente nel profondo delle masse rocciose carsificate. In Italia due esempi sono il lago di Doberdò in Friuli Venezia Giulia (Gorizia) e il lago di Piediluco in Umbria (Terni). I.8.3 - LAGHI DI ORIGINE MARINA I laghi di origine marina sono bacini contenenti acqua salata o salmastra e possono avere origini diverse. I meno estesi si originano quando porzioni di mare costiero vengono separate dal mare aperto dalla deposizione di barre o cordoni di sedimenti sabbiosi. In questo caso sono definiti anche laghi costieri o di sbarramento. 102 In Italia ne sono esempi i laghi di Sabaudia in Lazio (Latina) e i laghi di Lesina e Varano in Puglia (Foggia). Quelli di più grandi dimensioni, come il Mar Caspio, si originano invece quando un braccio di mare viene isolato da un mare più ampio o da un oceano per sollevamento di una vasta porzione di territorio ad opera delle forze tettoniche che agiscono all’interno del nostro pianeta. I.8.4 - LAGHI TETTONICI I laghi tettonici si formano quando aree anche molto vaste di un territorio continentale sono interessate da grandi fratture: in questi casi si possono formare depressioni facilmente riempite dalle acque dolci. I laghi Vittoria, Tanganica, Malawi in Africa o il Bajkal nella Siberia meridionale ne sono un esempio perfetto. *Il lago Tanganika ripreso dallo spazio. Si trova nell’Africa orientale ed è il secondo lago africano per estensione. Si tratta di un lago di origine tettonica. Il lago Bajkal, nella Siberia meridionale, è stato dichiarato dall’UNESCO patrimonio dell’umanità dal 1996. Anche questo lago è di origine tettonica.* I.8.5 - LAGHI VULCANICI I laghi vulcanici hanno spesso forma rotondeggiante in quanto si formano all’interno di crateri o di caldere di vulcani per lo più spenti. * Lago vulcanico in Islanda. Il laghetto con l’acqua di colore chiaro ha una temperatura maggiore di 20°C.* In Italia, sono famosi i laghi di Albano, Bolsena, Bracciano e Nemi. I.8.6 - LAGHI DI SBARRAMENTO I laghi di sbarramento si originano quando una frana ostruisce il corso di un fiume vallivo: si forma in questo modo una diga naturale che determina a monte la formazione di un lago. Le dimensioni sono variabili in funzione dell’ampiezza della valle e del volume del detrito che si è accumulato. In Italia un esempio è il lago di Alleghe, in Trentino Alto Adige (provincia di Belluno), che si è formato a causa di una frana che nel 1771 bloccò il corso del torrente Cordevole. Un altro esempio è il lago di Poschiavo, nel Cantone svizzero dei Grigioni. (PER I PIÙ CURIOSI Dove si trova il lago di Alleghe? Cerca informazioni sulla frana che l’ha formato.) I.8.7 - LAGHI ARTIFICIALI Anche l’uomo è causa dell’origine di laghi artificiali, prodotti per sbarramento di corsi d’acqua con dighe di ogni tipo. I laghi artificiali hanno funzione di contenere acqua per le necessità umane acquedotti e irrigazione - e per la produzione di energia elettrica. 103 DOMANDE PER IL RIPASSO MODULO I 1. Cosa si intende dire quando si afferma che i laghi sono strutture geologiche effimere? Quali sono i motivi di questa caratteristica? 2. Quali sono le possibili origini di un lago? 3. Cos’è un corso d’acqua? 4. In quali condizioni il ruscellamento è maggiormente osservabile? In quali altre condizioni è praticamente quasi impossibile da rilevare? 5. Quali sono le possibili conseguenze di un intenso ruscellamento sulla superficie di un terreno sgombro da vegetazione? 6. In quale tratto del corso d’acqua prevale l’erosione? Motiva la risposta. 7. In quali modi può avvenire il trasporto dei materiali in un corso d’acqua? Elenca e spiega. 8. Descrivi l’azione di deposito di un corso d’acqua dalla sorgente alla foce. 9. Ricerca quali fiumi italiani hanno una foce a delta e a estuario. 10.Cosa sono le linee spartiacque? Si trovano sui rilievi o sui fondivalle? 11. Qual è la principale differenza tra un torrente e un fiume? 12.Elenca le possibili fonti di alimentazione idrica di un fiume. 13.Per quale motivo si pensa comunemente che i corsi d’acqua siano sempre più veloci nel tratto montano? 14.Per quale motivo i corsi d’acqua tendono a formare valli a V? 15.Cos’è un meandro e in quale parte di un corso d’acqua si forma? 16.Quali sono i diversi meccanismi di trasporto operati da un corso d’acqua? 17.In cosa consiste un’esondazione? 18.Cosa sono le pianure alluvionali? Per quale motivo si chiamano in questo modo? 19.Per quale motivo le pianure alluvionali sono sono pressoché pianeggianti? 20.Cosa sono i conoidi? Descrivi il processo di formazione di un conoide. 104 CACCIA ALL’ERRORE MODULO I 1. I laghi hanno tutti la stessa origine. 2. Il bacino idrografico di un corso d’acqua ha una tipica forma a parabola. 3. Le linee spartiacque relative a un singolo corso d’acqua vengono anche dette profili di equilibrio. 4. La portata è la quantità d’acqua che scorre annualmente nell’alveo di un corso d’acqua. 5. La portata di un fiume si misura in m/s. 6. Man mano che si procede verso la foce di un fiume la portata diminuisce. 7. Un corso d’acqua ha regime torrentizio se più volte l’anno si verificano magre, anche molto accentuate. 8. I fiumi di pianura sono sempre caratterizzati da acque calme e molto lente. 9. I meandri sono piccoli bacini isolati a forma di mezzaluna, di solito affiancati al corso di un fiume. 10.La capacità di trasporto di un corso d’acqua dipende solamente dalla velocità della corrente. 11. Il fiume deposita sedimenti più fini all'inizio, il materiale più grossolano è trasportato più lontano. 12.Le pianure alluvionali si formano solo in conseguenza alluvioni particolarmente abbondanti. 105 MODULO J - L’ATMOSFERA 29 Agosto 2005: una data che l’America ricorderà come una delle più terribili della sua storia. L’uragano Katrina si abbatte sulle coste del Golfo del Messico con conseguenze devastanti: oltre 1.800 vittime, un milione di profughi, più di 80 miliardi di danni e la città di New Orleans viene quasi completamente inondata dal mare, in uno scenario da film apocalittico. I sopravvissuti sono intrappolati senza medicine, cibo, energia elettrica, mentre le bande di saccheggiatori e le sparatorie gettano la città nel caos, le operazioni di soccorso tardano e intanto le condizioni igieniche diventano drammatiche. Ma qual è la spiegazione di questa e di tante altre catastrofi che hanno provocato gli uragani come Katrina? Andando avanti in quest’unità scopriremo che la risposta è sorprendente: anche se purtroppo questi fenomeni possono avere un costo altissimo in termini di vite umane e di danni, sono semplicemente uno dei modi con cui la Terra riequilibra le differenze di temperatura causate dal riscaldamento del Sole. Gli uragani ma anche i venti più tranquilli e i temporali sono causati da movimenti tra le zone più fredde e quelle più calde della bolla di aria che ci avvolge e che chiamiamo atmosfera: andiamo a scoprirla. J.1 - L’ATMOSFERA L’atmosfera è una miscela di vari gas: l’azoto (N2), da solo rappresenta il 78% di tutta l’aria, l’ossigeno è solo un po’ più del 20%, mentre il diossido di carbonio e l’ozono si devono accontentare di un piccolo posto nell’1% che rimane, insieme ad altri gas come l’elio (He), il metano (CH ), il vapore acqueo (H O). L’atmosfera è formata da cinque strati sovrapposti formati da aria con caratteristiche diverse, tuttavia il 99% dei gas è contenuto nei due strati più prossimi alla superficie terrestre. * Chiariamo i termini... Atmosfera deriva dalle parole greche athmos (vapore) e sphaira (sfera) ed è il rivestimento di gas del nostro pianeta. La sua parte più bassa è l’aria che respiriamo.* 4 2 Struttura dell’atmosfera E ora immaginiamo di prendere un aereo e di decollare lasciando la Terra sempre più giù, attraversando tutta l’atmosfera, fino ad arrivare ai confini con lo spazio interstellare. Man mano che ci si allontana dalla superficie terrestre, si scopre che l’atmosfera, gradatamente, assume caratteristiche diverse, tanto da individuare diversi strati che la compongono. 1. Troposfera. É lo strato a contatto con la superficie terrestre, dove ci muoviamo e respiriamo e giunge fino a circa 10-15 km di altezza. La temperatura dell’aria si riduce con la quota, pertanto l’aria è instabile, poiché l’aria calda tende a salire. Per questo motivo, nella troposfera avvengono i principali fenomeni meteorologici. La parte più alta della troposfera è chiamata tropopausa. 2. Stratosfera. La temperatura aumenta con la quota poiché questo strato contiene ozono. L’ozono assorbe gran parte dei raggi ultravioletti (UV) del Sole, evitando gravi conseguenze per la nostra salute. Trattenendo gli UV, l’aria si riscalda. Salendo fino a 40 km, si giunge alla fine della stratosfera e l’inizio della stratopausa. 3. Mesosfera. La temperatura torna a scendere e il vapore acqueo, brinando, forma nuvole argentate visibili solo di notte: le nubi nottilucenti. In questo strato i detriti spaziali (i meteoroidi) che entrano nell’atmosfera diventano incandescenti e si disgregano per l’attrito con i gas atmosferici. 106 Si generano così le meteore, più note come stelle cadenti. La mesosfera termina a 80 km di altezza con la mesopausa. 4. Termosfera. La temperatura ricomincia a salire poiché le rare particelle di gas assorbono l’energia del Sole. Nella termosfera esiste uno strato chiamato ionosfera, dove le particelle di gas, assorbendo energia, perdono gli elettroni e diventano ioni positivi. I segnali radio rimbalzano sulla ionosfera e tornano indietro, collegando punti lontani della Terra. E quando il vento solare colpisce gli ioni, li fa illuminare, formando le aurore polari. A 600 km di altezza la termosfera termina con la termopausa. 5. Esosfera. In questo strato, le particelle di gas, soprattutto idrogeno ed elio, sono ancora più rarefatte e non si urtano quasi. Ormai l’atmosfera della Terra sfuma verso lo spazio, arrivando fino a un limite di 10.000 km. J.1.1 - E SE NON CI FOSSE L’ATMOSFERA? Nelle poche righe che seguono, proviamo a immaginare cosa accadrebbe se la Terra fosse priva di atmosfera. Il primo effetto è chiaramente l’assenza dell’ossigeno, assolutamente indispensabile per l’esistenza della maggior parte dei viventi. Tuttavia vi sarebbero altre conseguenze di rilievo. Il colore del cielo. Senza atmosfera, la luce solare non sarebbe diffusa dai gas e un Sole bianco splenderebbe in un cielo sempre nero. La temperatura superficiale della Terra. In assenza di atmosfera, la temperatura media della Terra sarebbe pari a -18°C, anziché +15°C: avremmo praticamente un pianeta congelato. La superficie terrestre, infatti, assorbe i raggi solari e si riscalda, emettendo raggi infrarossi che sono assorbiti dai gas dell’atmosfera, soprattutto vapore acqueo, metano, anidride carbonica e ozono; una parte di questi infrarossi torna sulla Terra e ne mantiene calda la superficie. L’effetto serra consiste in questo e i gas che assorbono e riemettono gli infrarossi sono chiamati gas serra. L’effetto serra naturale è positivo, visto che senza di esso la Terra non si riscalderebbe abbastanza per permettere la presenza della vita. Il flusso di radiazione UV sulla superficie terrestre. Senza lo scudo di ozono della stratosfera, i raggi UV emessi dal Sole arriverebbero tutti sulla Terra, provocando gravissimi danni alla molecola depositaria delle informazioni che definiscono gli esseri viventi: il DNA (acido desossiribonucleico). L’arrivo di corpi celesti dallo spazio. La Terra, priva della sua protezione di gas, sarebbe investita da tutti i meteoroidi, grandi e piccoli, che le si dirigono contro; in assenza di atmosfera, essi non verrebbero più disgregati dal contatto con l’atmosfera e giungerebbero in massa fino alla superficie terrestre. J.2 - CARATTERISTICHE DELL’ATMOSFERA Le principali caratteristiche dell’atmosfera sono la temperatura, l’umidità, la densità e la pressione. La composizione chimica non varia in maniera rilevante da zona a zona della superficie terrestre, quindi si considera costante. 107 I quattro parametri considerati sono legati tra loro da relazioni precise, che è bene conoscere se si vogliono comprendere i meccanismi che muovono l’atmosfera, sia a livello locale, sia a livello globale. J.2.1 - LA TEMPERATURA La temperatura dell’aria è una misura dell’energia termica (calore) contenuta in essa. Si tratta di un parametro macroscopico, misurabile con un termometro, legato all’energia cinetica media delle particelle del materiale considerato. Se una massa d’aria assorbe calore, questo si traduce in un aumento della sua temperatura, cioè un aumento dell’energia cinetica posseduta dalle sue particelle e della violenza degli urti reciproci. Un’altra conseguenza è l’aumento della distanza media tra di esse, quindi un dato volume di aria calda avrà una massa inferiore allo stesso volume di aria fredda. * Il termometro è lo strumento utilizzato per misurare la temperatura. Nell’immagine, un termometro a mercurio: il mercurio, metallo liquido, aumenta di volume all’aumentare della temperatura e sale lungo il tubicino di vetro, segnando il valore della temperatura in gradi centigradi sulla scala graduata.* J.2.2 - L’UMIDITÀ L’umidità dell’aria è il suo contenuto di vapore acqueo. Nell’aria umida, un certo numero di particelle di gas atmosferici è sostituita da molecole di acqua allo stato aeriforme (vapore acqueo). La massa di una molecola d’acqua è inferiore a quella delle molecole di qualsiasi altro gas atmosferico, quindi un dato volume di aria umida avrà una massa inferiore a un ugual volume di aria secca J.2.3 - LA DENSITÀ La densità dell’aria è il rapporto tra la sua massa e il volume da essa occupato. Se si considera quanto detto su temperatura e umidità, è facile comprendere come la densità dell’aria calda, a parità di altre condizioni sia inferiore a quella dell’aria fredda. Nel linguaggio comune, a rigore non proprio corretto, si dice che l’aria calda è più leggera dell’aria fredda. Lo stesso vale per l’aria umida: essa è meno densa (più leggera) dell’aria secca. J.2.4 - LA PRESSIONE ATMOSFERICA La pressione atmosferica è il rapporto tra il peso esercitato da una massa d’aria e la superficie di terreno su cui tale peso grava. Il peso è dato dal valore della massa, moltiplicato per l’accelerazione di gravità. Se si confrontano uguali volumi di aria, risulta evidente che, laddove la massa è inferiore, come nel caso dell’aria calda e/o umida, è inferiore anche il peso e risulta quindi più ridotta anche la pressione da essa esercitata sul terreno. Diventa chiaro, quindi, il legame tra tutti questi parametri: masse di aria calda e/o umida sono meno dense (più leggere) ed esercitano sul suolo una pressione inferiore rispetto a equivalenti masse d’aria fredda e/o secca. * Il barometro è lo strumento utilizzato per misurare la pressione atmosferica.* Siamo ora in grado di comprendere cosa accade nell’atmosfera a livello generale, quali sono i suoi movimenti e quali ne sono le cause. 108 J.3 - MOVIMENTI DELL’ARIA NELLA TROPOSFERA La troposfera è in continuo movimento. Due sono i motivi principali di questi moti: il primo è l’andamento decrescente della temperatura con la quota nella troposfera e il secondo è la ineguale distribuzione del calore solare sulla Terra. *A PROPOSITO... Qualcuno è convinto che l’uomo non sia mai stato sulla Luna, e che una delle prove del falso sarebbe il particolare della bandiera americana che sembra sventolare. Ma com’è possibile che ci sia vento sulla Luna che non ha atmosfera? In realtà il nostro satellite ha una sua esosfera leggera, a base soprattutto di sodio e potassio; e comunque il movimento della bandiera non è stato provocato dal vento ma dalle vibrazioni quando è stata piantata sul suolo.* J.3.1 - NELLA TROPOSFERA LA TEMPERATURA DECRESCE CON LA QUOTA La troposfera è riscaldata dal basso. In assenza di nuvole, la radiazione termica proveniente dal Sole attraversa quasi inalterata l’atmosfera, andando a colpire la superficie terrestre. La terraferma e le acque superficiali assorbono buona parte del calore solare, riscaldandosi. Come è noto, un qualsiasi materiale più caldo rispetto allo spazio circostante emette spontaneamente calore. La superficie terrestre, quindi, riemette verso lo spazio parte del calore assorbito. Ciò che noi definiamo calore è costituito da radiazioni infrarosse di diversa lunghezza d’onda. La radiazione termica proveniente direttamente dal Sole è caratterizzata da una lunghezza d’onda minore rispetto alla radiazione termica riemessa dalla Terra. I gas atmosferici, in particolare l’anidride carbonica e il vapore acqueo, sono trasparenti alla radiazione solare in ingresso, ma assorbono parte di quella in uscita. In questo modo, l’atmosfera viene riscaldata “dal basso” dall’energia termica emessa dalla Terra. Questo fatto comporta una conseguenza importante: la perenne instabilità della troposfera. Poiché infatti l’aria calda tende a salire e quella fredda a scendere, quanto maggiore è l’irradiazione solare, tanto più accentuato sarà il gradiente termico, ossia la differenza di temperatura, tra la bassa e l’alta troposfera, tanto maggiore sarà l’instabilità della troposfera, con sempre nuove masse d’aria calda poste in prossimità della superficie terrestre che tenderanno a salire verso l’alto e masse d’aria più fredda poste in quota che tenderà a scendere verso il basso. J.3.2 - IL CALORE SOLARE SI DISTRIBUISCE IN MANIERA DIFFERENZIATA SULLA SUPERFICIE TERRESTRE Data la forma sferica della Terra, è impossibile per il Sole riscaldarne uniformemente la superficie. Pur con le ben note variazioni stagionali, sappiamo bene che nelle zone polari, i raggi solari giungono sulla superficie terrestre molto inclinati, un po’ meno inclinati nelle zone temperate e quasi a perpendicolo nella zona intertropicale. Questo comporta che una stessa quantità di energia solare, essenzialmente costituita da luce e calore, si distribuisca su una superficie assai ampia nelle zone polari, un po’ più ristretta nelle zone temperate e ancora più ridotta nella zona posta tra i due tropici. Pertanto, il nostro pianeta si riscalda molto di più all’equatore, un po’ meno nelle regioni temperate e ancor meno ai poli. 109 La diversa quantità di calore che giunge sulla superficie terrestre nelle varie zone del pianeta determina un differente riscaldamento sia della superficie delle terre emerse, sia delle acque superficiali e dell’atmosfera. Poiché sia l’acqua sia l’aria sono materiali fluidi, essi possono scorrere sulla superficie terrestre da zone calde a zone più fredde e viceversa, distribuendo il calore in maniera più uniforme sul pianeta. Se sulla Terra non vi fosse acqua, né aria, le differenze di temperatura tra i poli e l’equatore sarebbero assai più accentuate. Visto che all’equatore le temperature elevate determinano una massiccia evaporazione dalle superfici degli oceani e delle terre emerse, cosa che ovviamente non accade ai poli, è evidente che l’aria dell’equatore è calda e umida, mentre quella dei poli è fredda e secca. J.4 - LA CIRCOLAZIONE GENERALE DELLA TROPOSFERA Il sommarsi degli effetti della diversa distribuzione del calore solare sulla superficie terrestre, dell’instabilità troposferica legata al “riscaldamento dal basso” e della forza di Coriolis generano nella troposfera di ciascun emisfero tre enormi flussi circolari di aria detti celle. Si tratta in effetti di tre enormi celle convettive tubolari che, con il loro moto, redistribuiscono il calore su tutta la superficie terrestre. Vediamole una per una, dall’equatore verso i poli. J.4.1 - LA CELLA DI HADLEY Nella zona equatoriale, l’aria calda e umida, caratterizzata da bassa pressione e densità ridotta, si innalza verso l’alto, raffreddandosi progressivamente con la quota. Il raffreddamento determina la condensazione delle enormi quantità di vapore in essa presenti, con ingente formazione di nubi e precipitazioni molto abbondanti. Successivamente, l’aria in quota, ormai più fredda e secca, si avvia verso i poli finché, a circa 30° di latitudine, comincia a scendere verso il suolo. Giunta di nuovo alla superficie terrestre, quest’aria, caratterizzata da alta densità e ad alta pressione, si riavvia verso l’equatore in direzione Sud-Ovest, (emisfero Nord) e Nord-Ovest (emisfero Sud) ormando venti costanti, detti alisei. La deviazione verso Ovest è impressa dalla forza di Coriolis. Riguardo alle conseguenze sulla Terra, le abbondanti precipitazioni nella zona intertropicale consentono lo sviluppo della foresta pluviale, mentre la discesa di aria secca a 30° Nord e Sud determina la presenza, a queste latitudini, dei principali deserti del pianeta. J.4.2 - LA CELLA DI FERREL Una parte dell’aria ad alta densità e pressione che scende a 30° di latitudine, anziché avviarsi verso l’equatore, si sposta verso le zone temperate, poste a latitudini maggiori, dando luogo ai venti occidentali, meno regolari rispetto agli alisei e diretti verso Nord-Est e Sud-Est. Anche in questo caso, la deviazione verso Est è dovuta alla forza di Coriolis. Queste masse d’aria, spostandosi verso le medie e alte latitudini, si riscaldano e si arricchiscono di umidità finché, incontrando l’aria fredda e secca che viene dai poli, si sollevano, in quanto caratterizzate da densità e pressione più bassa rispetto all’aria polare. J.4.3 - LA CELLA POLARE L’aria secca e freddissima ad alta densità e pressione delle zone polari scorre rasente alla superficie verso le zone temperate,-deviata verso Ovestdalla forza di Coriolis, formando i venti polari. Poi a 60° 110 di latitudine quest’aria incontra quella più calda e umida della cella di Ferrell e, trascinata da essa, in parte si solleva, tornando indietro verso i poli. J.4.4 - ALCUNI DETTAGLI IMPORTANTI Rispetto alla descrizione di questo modello generale, che prevede tre enormi celle tubolari rettilinee, occorre apportare delle modifiche e specificare alcuni dettagli, affinché possa descrivere con maggiore esattezza quanto accade nella troposfera del nostro pianeta. 1. Innanzitutto, i valori di 30° e 60° indicati nel testo come latitudini di confine tra le celle principali non sono fissi ma si spostano verso Nord e verso Sud a seconda delle stagioni e delle conseguenti variazioni nell’inclinazione dei raggi solari nei due emisferi. In particolare, durante l’estate boreale tali confini tra celle adiacenti si spostano verso Nord, durante l’estate australe migrano a Sud. 2. In secondo luogo, le celle e le zone di confine tra di esse non sono rettilinee. Si tratta in realtà di zone che presentano ondulazioni e sono caratterizzate da vortici che ruotano in senso orario e antiorario. Tali vortici si formano nelle due zone di confine tra le tre grandi celle, in conseguenza dell’incontro di grandi masse d’aria in movimento con velocità e direzioni diverse. 3. In quota esistono altri tipi di movimenti dell’aria che non sono stati ancora nominati: le cosiddette correnti a getto. Si tratta di flussi d’aria velocissimi, anche più di 400 chilometri orari, e abbastanza localizzati, larghi alcune centinaia di chilometri e con uno spessore di alcuni chilometri. Si formano ad alta quota, nelle due zone di confine tra le grandi celle convettive: tra le celle di Hadley e quelle di Ferrell si trovano le correnti a getto subtropicali, tra le celle di Ferrell e quelle polari sono localizzate le correnti a getto polari. 4. Al suolo, come ci è ben noto, i venti non sono così costanti come potrebbe apparire dalla descrizione generale delle grandi celle convettive della troposfera. Questa grande variabilità nella direzione dei venti, che caratterizza in particolare le regioni temperate, è dovuta sia all’alternanza di oceani e aree continentali, sia all’irregolarità del rilievo su tali aree, sia a quei vortici, cicloni e anticicloni, che si formano al confine tra le grandi celle. J.5 - CICLONI E ANTICICLONI Prendiamo ora maggiore familiarità con il linguaggio dei meteorologi e andiamo ad analizzare le caratteristiche di cicloni e anticicloni, dalla cui regolare alternanza dipende lo stato del tempo alle nostre latitudini. J.5.1 - ZONE DI ALTA E BASSA PRESSIONE: CICLONI E ANTICICLONI Se torniamo a considerare ciò che accade nell’atmosfera, si definisce zona di bassa pressione una qualsiasi porzione della superficie terrestre su cui stazioni una massa d’aria più calda e/o più umida rispetto alle zone circostanti. Una massa d’aria di questo tipo, caratterizzata da bassa densità, tende a spostarsi verso l’alto. Se tale massa si estende su vasti territori, si definisce ciclone. Allo stesso modo, si definisce zona di alta pressione una zona della Terra su cui si trovi una massa d’aria più fredda e/o secca rispetto alle zone circostanti. Una massa di questo tipo, caratterizzata da densità elevata, tende a spostarsi verso il basso: se tale massa si estende su vasti territori, viene definita anticiclone. 111 Le masse d’aria ad alta pressione e densità caratteristica delle aree anticicloniche e quelle a bassa pressione e densità tipiche delle aree cicloniche si spostano verticalmente verso il basso o verso l’alto formando vortici. La causa di questi vortici è sempre la forza di Coriolis (vedi modulo C). Nell’emisfero Nord, questa forza determina la rotazione in senso orario degli anticicloni e in senso antiorario dei cicloni. Nell’emisfero Sud accade il contrario. J.5.2 - LO STATO DEL TEMPO Nelle aree anticicloniche, dette anche di alta pressione, le masse d’aria, man mano che scendono e si diffondono vicino al suolo, si comprimono sotto il loro stesso peso, riscaldandosi per compressione adiabatica. Entro una massa d’aria che si riscalda, il vapore eventualmente presente non tende in alcun modo a condensarsi, pertanto, nelle zone di alta pressione, il tempo è generalmente buono. I venti sono di solito deboli, poiché il gradiente barico intorno al centro dell’anticiclone è generalmente ridotto. Nelle aree cicloniche, dette anche di bassa pressione, le masse d’aria, man mano che salgono verso l’alto, si espandono, raffreddandosi per espansione adiabatica. Entro una massa d’aria che si raffredda, il vapore tende condensare, generando nuvole e precipitazioni. Pertanto, nelle zone di bassa pressione, il tempo è generalmente perturbato. I venti sono di solito più forti rispetto alle aree di alta pressione, poiché il gradiente barico intorno al centro dei cicloni è generalmente abbastanza elevato. NB. il termine adiabatico si riferisce a trasformazioni che avvengono senza scambi di calore con l’esterno, nel nostro caso, senza scambi di calore con le masse d’aria circostanti. * A PROPOSITO... In estate l’anticiclone delle Azzorre che arriva dall’oceano Atlantico determina bel tempo in Italia e in tutta Europa.* J.5.3 - L’ORIGINE DEI VENTI Non è difficile immaginare che l’aria ad alta pressione che scende verso la superficie terrestre tende a prendere il posto di quella a bassa pressione che sale verso l’alto: questi spostamenti di aria che rimettono in equilibrio le differenze di pressione dell’aria, sono definiti venti. Riguardo alle loro caratteristiche, si può affermare che, quanto maggiori sono le differenze di pressione tra zone adiacenti e quanto minore è la distanza tra i centri di cicloni e anticicloni, ossia quanto maggiore è il gradiente barico, tanto più intenso sarà il vento. * video in inglese “Uragani” e “Impatto degli uragani” http://oceanexplorer.noaa.gov/edu/learning/player/lesson14.html* 112 DOMANDE PER IL RIPASSO MODULO J 1. Quali sono i principali componenti dell’atmosfera terrestre? Qual è la loro concentrazione in percentuale? 2. In base a quale parametro l’atmosfera viene suddivisa in cinque strati? Come varia questo parametro nei diversi strati? 3. Per quale motivo l’aria è instabile nella troposfera? 4. Quali sarebbero le principali conseguenze se la Terra fosse priva di atmosfera? 5. L’aria umida è più o meno densa rispetto all’aria secca? Per quale motivo? 6. Spiega perché la temperatura atmosferica diminuisce con l'aumentare dell'altezza 7. Confronta e spiega le differenze fra zone cicloniche e anticicloniche. CACCIA ALL’ERRORE MODULO J 1. L'atmosfera è riscaldata dall'alto verso il basso. 2. Le aree cicloniche sono caratterizzate al centro da alta pressione. 3. Ai tropici vi è una fascia costante di bassa pressione. 4. L'aria si sposta sempre lungo i meridiani. 5. La pressione atmosferica aumenta quando si sale di quota. 6. I venti sono sempre spostamenti orizzontali dell'aria. 7. La troposfera è la zona più tranquilla dell'atmosfera. 8. Nelle aree anticicloniche l'aria fredda scende dagli strati inferiori della troposfera. 113 MODULO K - TEMPO E CLIMA Nel film “The day after tomorrow”, un tremendo uragano inonda New York, i tornado distruggono Los Angeles, la corrente del Golfo si arresta e improvvisamente una glaciazione congela tutto l’emisfero Nord. Nel film “The core”, in seguito allo spegnimento della dinamo terrestre, il campo magnetico della Terra improvvisamente scompare, determinando effetti disastrosi sulla capacità di orientarsi degli uccelli e sulle trasmissioni radiotelevisive. La visione di film di questo genere potrebbe avere sugli spettatori effetti molto diversi. I pessimisti li riterrebbero rappresentazioni di scenari realizzabili in tempi brevi, quindi ne sarebbero terrorizzati; gli ottimisti osserverebbero che si tratta solamente di film di fantascienza; gli scettici potrebbero sostenere di aver bisogno prove concrete, incontrovertibili, della inevitabilità di questi fenomeni. Indipendentemente, però, da come la pensiamo, queste pellicole e altri documenti, che non dovrebbero passare inosservati, così come saggi, articoli o servizi televisivi specialistici che trattano di fonti di energia rinnovabili, di modificazione nell’uso dei combustibili fossili, di nuove tecnologie e materiali a risparmio energetico, dovrebbero indurci a una opportuna riflessione. K.1 - ALCUNE CONSIDERAZIONI INIZIALI ❖ La Terra è un sistema complesso, costituito da diverse componenti: si tratta di geosistemi globali, che interagiscono tra di loro. scambiandosi materia ed energia. Nucleo esterno e nucleo interno interagiscono, dando origine al campo magnetico terrestre. Mantello, astenosfera e litosfera interagiscono tra loro, dando luogo ai moti delle placche litosferiche, ai fenomeni vulcanici e sismici, ai processi di orogenesi. Il nostro pianeta e l’ambiente esterno scambiano energia in forma di luce e calore dando luogo a un bilancio energetico caratterizzato da un preciso equilibrio. Atmosfera, idrosfera e litosfera, con la partecipazione della biosfera, si scambiano materia ed energia, dando origine al sistema clima. * La Terra è un sistema complesso, e complesse sono le relazioni di equilibrio tra ambiente ed esseri viventi. La presenza di grandi masse d’acqua influenza il clima di una regione.* Tra i geosistemi globali, il clima è quello che presenta un comportamento tra i più complessi e delicati. Di questo ci occuperemo nel presente capitolo. ❖ Gli equilibri all’interno del sistema clima sono molto fragili. Se in qualche modo si disturbano gli equilibri all’interno del sistema climatico, si generano danni i cui effetti sono imprevedibili, sia per la loro durata, sia per le implicazioni che si estendono a tutte le componenti del sistema. Infatti, se si distruggono equilibri che si sono stabiliti in un lasso di tempo molto lungo, saranno necessari tempi altrettanto lunghi per ripristinare la situazione iniziale. Inoltre, a causa delle innumerevoli interazioni sopra ricordate, difficilmente gli effetti saranno circoscritti ad aree ristrette. ❖ Come attori protagonisti abbiamo una grande responsabilità. L’habitat dell’uomo, infatti, costituisce una sottile interfaccia “tra la terra e il cielo”, che gli uomini stanno popolando con ritmi di crescita vertiginosi e con consumi energetici e di risorse anche non rinnovabili che crescono ad una velocità molto maggiore rispetto a quella dell’aumento della popolazione. 114 K.2 - IL SISTEMA CLIMA Come già detto, il clima è il risultato dell’interazione tra energia solare, atmosfera, idrosfera, litosfera, biosfera, i cui ruoli sono strettamente correlati con la capacità di immagazzinare e trasportare energia. Ecco una serie di esempi. I venti trasferiscono energia dalle regioni più calde verso le zone polari fredde. L’ozono stratosferico assorbe le radiazioni ultraviolette del Sole, impedendo che esse raggiungano la superficie terrestre e, in particolare, la biosfera, che ne verrebbe seriamente danneggiata. Le correnti marine, profonde o superficiali, trasportano calore con grande efficacia entro gli oceani: un esempio è la corrente del Golfo. I ghiacciai continentali e marini, essendo meno mobili dell’acqua allo stato liquido, non sono in grado di trasportare e scambiare grandi quantità di energia; in compenso, però, dato il loro colore bianco, essi riflettono nello spazio la maggior parte delle radiazioni solari che li colpiscono e quindi giocano un ruolo importante nel bilancio energetico del pianeta. Essi inoltre costituiscono importanti riserve di acqua dolce. La distribuzione di oceani e terre emerse, risultato delle forze tettoniche, influenza il clima di vaste aree geografiche. La forme superficiali di un territorio e la distribuzione del rilievo influenzano la circolazione atmosferica a livello regionale, con importanti conseguenze sulle caratteristiche climatiche di intere regioni geografiche. La presenza di vegetazione esercita effetti rilevanti sull’immissione di vapore in atmosfera, quindi sull’umidità e sulla temperatura dell’aria e sulla distribuzione delle precipitazioni sulle terre emerse. Gli organismi viventi regolano la composizione chimica dell’atmosfera, modificando il contenuto di alcuni componenti, con effetti sul clima. K.3 - TEMPO E CLIMA É necessario ora entrare nei dettagli e definire meglio cosa si intende per tempo e clima. Si parla di tempo atmosferico, quando ci si occupa delle condizioni istantanee di temperatura, precipitazioni, presenza di nubi, venti e valori di pressione che si registrano in un certo momento in un determinato luogo della superficie della Terra. La velocità con cui si spostano le perturbazioni atmosferiche influenza il tempo che, quindi, può variare nel giro di poche ore e può essere differente anche in territori abbastanza vicini; nella nostra vita quotidiana siamo spesso testimoni di queste rapide variazioni. Quando si parla di clima, invece, si intende l’insieme dei valori medi di temperatura, umidità, movimenti dell’aria, precipitazioni, pressione atmosferica, considerate in periodi di tempo di almeno un trentennio. I tempi lunghi consentono di stabilire con accuratezza le caratteristiche climatiche di una data zona e di escludere l’influenza di eventi casuali, che invece possono condizionare in maniera rilevante il tempo atmosferico. 115 SITUAZIONE METEO DEL 10 AGOSTO 2011 A LECCO Temperatura Umidità Punto di rugiada Pressione Pioggia giornaliera Intensità precipitazione Pioggia mensile Pioggia annuale 15.3°C 63% 8.3°C 1018.8 hPa 0.0 mm 0.0 mm/hr 65.3 mm 787.9 mm K.4 - IL TEMPO ATMOSFERICO Nel capitolo dedicato all’atmosfera, sono stati analizzati pressione, venti e andamento della temperatura dell’aria con l’altezza. Poiché anche l’umidità atmosferica e le precipitazioni concorrono a determinare il tempo, si rende ora necessario affrontare questi argomenti. K.4.1 - L’UMIDITÀ DELL’ARIA. In tabella 1 sono riportati alcuni parametri riferiti alla situazione meteorologica della zona di Lecco nello scorso mese agosto 2011. Alcuni di essi ci sono familiari, altri un po’ meno. Riguardo all’umidità, è ben noto che, quando il tempo è umido, si avverte un senso di fastidio. I nostri nonni sentono di più i loro acciacchi, i capelli si gonfiano e si arricciano. L’umidità che si percepisce in questo modo dipende dalla concentrazione di vapore acqueo disciolto nell’aria troposferica. L’umidità si esprime sia con un valore assoluto, sia con una percentuale. Il valore assoluto ci dice quanti grammi di vapore sono contenuti in un metro cubo di aria ad una determinata temperatura: si parla in questo caso di umidità assoluta. La percentuale ci dà informazioni sulla quantità di vapore effettivamente presente, rapportata alla quantità massima possibile in corrispondenza di una determinata temperatura. Tale parametro prende il nome di umidità relativa. Ad esempio, un valore di umidità del 65% ci dice che un metro cubo di aria contiene solo il 65% della quantità massima di vapore che potrebbe contenere. Quindi quella massa d’aria presenta meno vapore di quello che potrebbe contenere a quella determinata temperatura. Una massa d’aria si dice satura se contiene la massima quantità di vapore acqueo che può contenere. Qualche dato: 1 metro cubo di aria a 25°C è saturo con 15 grammi di vapore 1 metro cubo di aria a 10°C è saturo se contiene 9 grammi di vapore. K.4.2 - UMIDITÀ ATMOSFERICA E PUNTO DI RUGIADA Se cerchiamo di aumentare la quantità di vapore acqueo in una massa d’aria che è già satura, si verifica un fenomeno analogo a quello che possiamo sperimentare anche a casa, con acqua e sale. Tutti 116 sappiamo che possiamo sciogliere del sale in un bicchiere d’acqua, ma non una quantità infinita. Ad un certo punto ci accorgiamo che il sale aggiunto non si scioglie più, ma si deposita sul fondo del recipiente: la soluzione ottenuta è satura. Allo stesso modo, il vapore in eccesso condensa, andando a formare minuscole goccioline di acqua liquida del diametro massimo di 0,01mm. É possibile ottenere lo stesso risultato raffreddando una determinata massa d’aria umida: al di sotto di una data temperatura, si verifica la condensazione del vapore in eccesso. La temperatura al di sotto della quale il vapore presente nell’aria inizia a condensare si definisce punto di rugiada. Osserviamo la tabella 1: il punto di rugiada dell’aria è 8,3°C; ciò significa che, se portiamo la temperatura della massa d’aria da 15,3°C a valori inferiori a 8,3°C, essa diventa satura e il vapore in eccesso condensa, formando nubi o nebbia. * PUNTO DI RUGIADA Al punto di rugiada, temperatura e pressione sono tali da permettere all’acqua liquida e al vapore di coesistere: il sistema è saturo di vapore e una piccola variazione di T o di P determina la condensazione* K.4.3 - LE NUVOLE E LA NEBBIA Una nuvola è una massa d’aria posta ad una certa quota che contiene un gran numero di queste goccioline. La nebbia è formata allo stesso modo, ma si trova a contatto con la superficie terrestre Abbiamo già imparato che l’aria calda e umida, essendo meno densa, tende a salire verso l’alto, espandendosi e quindi raffreddandosi. Se, nel corso di questo movimento ascendente, la temperatura scende al di sotto del punto di rugiada, l’aria diventa satura e il vapore acqueo condensa, formando goccioline di acqua liquida; se la temperatura è al di sotto dello zero, il vapore forma direttamente microcristalli di ghiaccio, attraverso un processo detto brinamento. La condensazione e il brinamento sono favoriti dalla presenza di particelle solide di piccolissime dimensioni sospese nell’aria: polveri, pollini, cristalli di sale. Queste particelle sono definite nuclei di condensazione: il vapore condensa e brina più facilmente attorno ad essi, che non nell’aria libera. Data la ridottissima dimensione, inferiore a 0,01 millimetri di diametro, di queste microgocce e microcristalli di ghiaccio, i moti delle particelle d’aria li mantengono in sospensione in atmosfera: ecco perché le nuvole restano sospese nell’aria. * ATTENZIONE!! Le nuvole NON SONO FATTE di vapore acqueo!* K.4.4 - TIPI DI NUVOLE Le nuvole assumono forme differenti: il loro sviluppo verticale e la formazione ad altezze diverse (alcune arrivano anche sopra i 12 km!) sono legati alla presenza di movimenti verticali di masse d’aria nella troposfera, all’incontro di masse d’aria a diversa temperatura o alla presenza di ostacoli, come le montagne. Vediamo quali sono le forme principali di nuvole. 117 Cirri: sono nuvole tenui, a forma di ciuffo o di piuma, formate soprattutto da cristalli di ghiaccio. Cumuli: assumono forma di cavolfiore e sembrano fatte di ovatta, con la cima bianca, se illuminata dal sole, e arrotondata; la base spesso appare grigia scura, se in ombra; Strati: si tratta di nuvole piatte e sottili, come coperte nel cielo. Quasi mai portano piogge. Nembo: è il nome delle nuvole la cui base appare grigia scura e che sono portatori di pioggia. Precisiamo che le nuvole spesso sono “miste”, e vengono denominate con nomi composti (ad esempio stratonembi). I vari tipi di nuvole si estendono nel cielo a diversi livelli di altezza. Nubi basse: arrivano fino a 2.000 metri e sono gli strati, i cumuli, gli stratocumuli (che formano strati e sono arrotondate e grigie alla base) e i nembostrati, che sono come gli strati ma sono scure e portano pioggia o neve. Nubi medie: arrivano fino a 6.000 metri e sono gli altostrati, che assomigliano agli strati ma sono localizzati a quote maggiori, e gli altocumuli, formati da file di “batuffoli” e che hanno fatto nascere il famoso proverbio “cielo a pecorelle acqua a catinelle” (infatti gli altocumuli possono annunciare l’arrivo di un fronte freddo). Nubi alte: superano i 6.000 metri di quota e sono i cirri, i cirrostrati (che formano strati sottili) e i cirrocumuli (assomigliano agli altocumuli ma sono formati da batuffoli più chiari e piccoli). Nubi a sviluppo verticale: sono le nuvole che giungono più in alto; si sviluppano in altezza con le correnti ascensionali di aria calda e possono arrivare fino limite superiore della troposfera. I più importanti sono i cumulonembi, che hanno una cima schiacciata che dà loro una forma ad incudine: quasi sempre portano temporali, con piogge intense e anche grandine. * LE SCIE CHIMICHE Secondo la teoria delle “scie chimiche” ci sarebbero scie di nuvole nel cielo diverse da quelle lasciate normalmente dagli aerei, e che sarebbero sostanze chimiche o biologiche segrete spruzzate nel cielo dai governi per obiettivi segreti. In realtà gli scienziati sono convinti che non ci sia nessun mistero e che sono semplici scie di condensazione che si formano quando nella parte alta della troposfera l’aria scaldata dal motore dell’aereo si espande e si raffredda, provocando la condensazione del suo vapore acqueo.* K.4.5 - LE PRECIPITAZIONI Le microscopiche goccioline di acqua o i minuscoli cristalli di ghiaccio che costituiscono una nube hanno dimensioni tanto ridotte da essere mantenute in sospensione nell’atmosfera. Dentro le nubi, tuttavia, a causa delle differenze di temperatura, spesso si verificano dei moti convettivi: movimenti circolari dal basso verso l’alto e viceversa. Di conseguenza, le gocce d’acqua o i cristalli di ghiaccio possono, per coesione, aggregarsi tra loro, aumentando le proprie dimensioni; quando il loro diametro supera 0,5-1 mm, diventano troppo pesanti e iniziano a cadere verso il suolo. La forma che esse assumono aggregandosi dipende da alcuni aspetti di natura fisica. Se la nuvola ha una temperatura molto bassa, le goccioline possono congelare. Si formano così piccoli cristalli di ghiaccio che progressivamente si accrescono formando strutture con geometrie particolari, sovente a simmetria esagonale. Si forma così un fiocco di neve, che poi, quando diventa abbastanza pesante, inizia a cadere verso il suolo. 118 Il suo destino finale dipende dalla temperatura degli strati di aria più bassi. In particolare dipende dalla posizione di quello che viene definito limite degli 0°C: una linea al di sopra della quale la temperatura è inferiore agli 0°C e al di sotto della quale la temperatura è maggiore degli 0°C. Se questa linea si trova a livello del suolo, i fiocchi non fondono e raggiungono il suolo come neve. Se essa si trova in alto rispetto al suolo, quando i fiocchi di neve la oltrepassano, iniziano a fondere. Se fondono completamente, si generano gocce di pioggia, altrimenti si ha neve bagnata. Nelle nubi molte estese in altezza, come i cumulonembi, caratteristici dei temporali estivi, le gocce di pioggia sono spesso trascinate verso l’alto dai forti venti ascensionali quasi sempre presenti in queste nubi: ogni volta che risalgono in turbolenza, esse congelano e successivamente ridiscendono. Questo movimento si può ripetere molte volte: in questo modo, le gocce iniziali congelate si rivestono di strati concentrici di ghiaccio compatto e diventano tanto pesanti da cadere al suolo sotto forma di chicchi di grandine. I chicchi di grandine possono diventare enormi: nel 2003 negli Stati Uniti ne è caduto uno grande quasi quanto un pallone di calcio! Pioggia, neve e grandine non sono gli unici tipi di precipitazione: la rugiada e la brina sono considerate cripto-precipitazioni, precipitazioni nascoste, che riforniscono il terreno di acqua. La rugiada è acqua allo stato liquido. Si forma come conseguenza del raffreddamento dello strato d’aria a contatto con il suolo e della conseguente condensazione direttamente del vapore acqueo atmosferico in eccesso direttamente sul suolo o sugli oggetti presenti su di esso: la possiamo osservare al mattino sull’erba, sul terreno e sulle piante, soprattutto durante la primavera e l’autunno. Se, a seguito della rapida perdita di calore dal suolo terrestre per irraggiamento, la temperatura dell’aria a contatto con esso scende sotto gli zero gradi, il vapore acqueo atmosferico passa direttamente allo stato solido (brinamento): di conseguenza, presso il suolo, a contatto con corpi poco conduttori di calore, si forma la brina, un insieme di piccoli cristalli di ghiaccio che creano spettacoli naturali di rara bellezza, ricoprendo prati, foglie, alberi e anche rocce. Altro fenomeno atmosferico è la nebbia, grande nube di microscopiche goccioline di acqua (dell’ordine di 0,01mm) generate per condensazione del vapore acqueo a seguito del raffreddamento negli strati bassi dell’atmosfera: si tratta di goccioline leggerissime che restano sospese in aria. La maggior o minore visibilità in presenza di nebbia dipende dall’entità della condensazione del vapore: se la visibilità è maggiore di 1 chilometro, si parla di foschia. La nebbia, fenomeno caratteristico di alcune regioni geografiche quali pianure estese, valli e depressioni, può presentarsi con maggior intensità durante la notte, in presenza di alte pressioni, in assenza di vento, per poi dissolversi durante le ore centrali della giornata. In alcuni casi, essa può perdurare, come una coltre molto fitta, per alcuni giorni, con gravi conseguenze sulla visibilità in generale e sulla viabilità nello specifico se presente su strade e autostrade che scorrono entro ampie pianure quale, ad esempio, la Pianura Padana. La nebbia si forma quando si verifica il fenomeno dell’inversione termica. * L’arcobaleno è un fenomeno ottico frequente dopo i temporali, dovuto alla scomposizione della luce del Sole ad opera della goccioline dell’acqua disperse nell’aria.* In condizioni normali la temperatura dell’aria diminuisce con l’altezza. Quando, soprattutto durante l’inverno, in una determinata regione si instaurano condizioni di tempo buono e stabile e i moti dell’aria sono assai limitati o del tutto assenti, l’aria atmosferica tende a stratificarsi secondo la densità: l’aria più fredda e densa si troverà vicino al suolo e quella più calda in quota. 119 Quindi, nel passaggio dal dì alla notte, se l'umidità dell'aria è sufficientemente alta, la diminuzione della temperatura oltre il punto di rugiada determina la condensazione e la formazione di foschie o nebbie più o meno dense in corrispondenza della superficie del terreno. Questa situazione permane finché correnti d’aria di una certa intensità non smuovono la massa d’aria fredda e umida presente presso il suolo, dissolvendo finalmente la nebbia. Quando queste condizioni si verificano in zone molto urbanizzate o industrializzate, si forma lo smog: un miscuglio di nebbia, polveri sottili, ceneri, e goccioline minute di sostanze inquinanti, che fungono da nuclei di condensazione. * Smog in pianura. La foto è stata presa dalle Prealpi lombarde in direzione della pianura durante la stagione invernale in situazione di inversione termica. Lo strato lattiginoso bianco-giallastro è costituito da foschia arricchita di sostanze inquinanti e può stazionare per giorni e giorni sopra la pianura in situazione di alta pressione atmosferica.* K.4.6 - “COLPI DI FULMINE” Sarà anche romantico, ma il colpo di fulmine, quando c'è un temporale, potrebbe causare problemi anche molto seri. Infatti i fulmini sono delle potenti scariche elettriche che si generano tra due zone caratterizzate da una grande differenza di potenziale. Si possono generare fulmini sia tra nuvola e terra, sia entro le nuvole. Come mai si producono scariche elettriche tra nuvole e terra? Ancora una volta la risposta va ricercata nelle goccioline di acqua super-raffreddate e nei cristalli di ghiaccio che circolano nelle nuvole. Le correnti di aria ascendenti e discendenti dentro le nuvole fanno urtare goccioline e cristalli e queste collisioni strappano elettroni che si accumulano verso gli strati bassi della nuvola, riempiendola di cariche elettriche negative, mentre nella parte più alta rimane un eccesso di cariche positive. A questo punto, in conseguenza della diversa concentrazione di elettroni, in diverse zone della nube, si possono verificare delle vere scariche elettriche, ossia rapidissimi flussi di elettroni da zone a maggiore concentrazione verso zone a minore concentrazione. Il fenomeno è accompagnato da una forte e improvvisa luminosità diffusa interna alla nuvola, detta lampo. Può accadere che la scarica elettrica si verifichi tra lo strato di nuvole e la superficie terrestre: in questo caso, la scarica si manifesta come un fenomeno luminoso repentino di aspetto sinuoso o ramificato, detto fulmine. In entrambi i casi, l’aria, attraversata da queste scariche potentissime, si riscalda con grande rapidità fino a 30.000 °C. Il calore fa espandere l'aria con violenza ed è questa espansione che provoca il tipico suono che segue lampi e fulmini: il tuono. Il ritardo dei tuoni rispetto ai fenomeni luminosi sono dovuti alla diversa velocità di propagazione tra il suono,340 metri al secondo, e la luce, 300.000 chilometri al secondo. (COME CI SI PUÒ DIFENDERE DAI FULMINI? E ovvio che tutta questa energia ci può provocare tanti danni: quando un fulmine ci cade in testa, ci attraversa provocando ustioni alla pelle, danni al cervello e arresto cardiaco, fino ad ucciderci. Cosa fare allora? Il manuale di sopravvivenza ci dice prima di tutto di evitare i luoghi alti (più vicini alle nuvole) e gli oggetti che sono colpiti più facilmente dai fulmini, come gli alberi, o i materiali che conducono 120 corrente elettrica come gli oggetti di metallo o l’acqua (ovviamente via subito dalla piscina, dal lago o dal mare!). L’ideale sarebbe andarsi a riparare in qualche posto chiuso, anche in un’automobile, che con la carrozzeria di metallo fa scaricare la corrente a terra senza farcela arrivare addosso. Se si sta a casa evitare assolutamente di usare il telefono fisso (il cellulare non avendo fili invece è sicuro). E attenzione a non cascare nei falsi miti: sdraiandosi a terra NON si sta più sicuri, anzi! La corrente del fulmine non va solo dalla terra alle nuvole, ma scorre anche sul suolo e quindi ci colpirebbe più facilmente se ci stendessimo; conviene accucciarsi per diventare “meno alti”: ricordiamoci che quanto più alto e appuntito è un oggetto tanto più facilmente viene colpito dal fulmine, infatti i parafulmini sono aste metalliche che scaricano la corrente di un fulmine a terra. E neanche le gomme delle macchine o delle suole di gomma ci proteggono: le macchine, come abbiamo detto, ci proteggono solo con il metallo, e le suole di gomma non riuscirebbero assolutamente a sopportare una corrente così forte che brucerebbe qualunque tipo di isolante) * UNA CURIOSITÀ Il ranger americano Roy Sullivan è finito nel Guinness dei record come “parafulmine umano”: sembra che sia stato colpito addirittura per sette volte dai fulmini tra il 1942 e il 1977, ma per fortuna si è sempre salvato.* * A PROPOSITO... Solo il 20% dei fulmini vanno dalla terra alle nuvole, perché il resto si ha tra nuvola e nuvola. La corrente elettrica di un fulmine può avere tensioni comprese tra 100 milioni e 1 miliardo di Volt: che la corrente trasportata da un fulmine potrebbe alimentare una lampadina da 100 Watt per tre mesi.* * Come calcolare quanto lontano è caduto il fulmine? Poiché la velocità della luce è estremamente elevata, possiamo considerare che il momento in cui il fulmine si verifica coincide con quello in cui lo vediamo. Al contrario, il suono viaggia a 340 metri al secondo, quindi percorre poco più di un chilometro in tre secondi. Quindi, contando i secondi tra fulmine e tuono e dividendo per tre, si ottiene la distanza in chilometri tra il luogo in cui ci si trova e quello colpito dal fulmine.* K.4.7 - VENTI E BREZZE A livello regionale e locale, le condizioni meteorologiche sono influenzate anche dai movimenti dell’aria. Come già indicato nel modulo precedente, i venti sono flussi d’aria che si muovono su larga scala, da zone di alta pressione verso zone di bassa pressione, mentre le brezze sono spostamenti limitati di masse d’aria, legati a differenze locali di pressione atmosferica. Le brezze sono frequenti ovunque vi siano territori caratterizzati da zone adiacenti che reagiscono diversamente al calore solare. 121 Brezze di terra e di mare Un primo esempio riguarda le zone costiere, caratterizzate dal quotidiano alternarsi di brezze di mare e brezze di terra. Durante il dì, in condizioni di alta pressione, tempo buono e calma di vento, il Sole riscalda molto più velocemente la terra rispetto al mare. Nella tarda mattinata, quando la differenza di temperatura tra il mare e la terraferma raggiunge valori abbastanza elevati, si generano correnti ascensionali sulla terraferma, che richiamano aria più fresca dal mare: la brezza di mare. Durante la notte, la terraferma si raffredda più rapidamente dell’acqua del mare. Si verifica pertanto la situazione opposta: nella tarda serata e nel corso della notte la brezza di terra spira dalla terraferma verso il mare. Ecco perché al mattino, il mare è spesso calmo e liscio, mentre, con il passare del tempo, tende a incresparsi; nel pomeriggio, invece, generalmente il mare è mosso e le bandiere che segnalano ai bagnanti lo stato del mare sono rivolte verso terra. La sera il mare torna a calmarsi, ma nella tarda serata e di notte spesso spira un venticello umido e fresco dall’entroterra che lo increspa di nuovo. Brezze di monte e di valle Un secondo esempio riguarda le zone poste ai piedi di rilievi montani o i fondivalle di ampie vallate, caratterizzate dalla presenza di brezze di valle e brezze di monte. Il meccanismo che le genera è simile a quanto descritto nel caso precedente. Durante il dì, nelle belle giornate, il Sole scalda in maniera più intensa i versanti montuosi rispetto ai fondivalle. Nella tarda mattinata o nel primo pomeriggio, quando la differenza di temperatura diviene consistente, si generano correnti ascensionali sui versanti montuosi, che richiamano aria dalle zone pianeggianti o dal fondovalle: la brezza di valle. Nelle ore serali e notturne, poiché i fondivalle perdono calore più lentamente rispetto ai versanti montuosi, da questi ultimi scende una brezza fresca, la brezza di monte. L’orario e la direzione di queste brezze sono assai meno prevedibili rispetto a quelle che si riscontrano al mare. Questa maggiore irregolarità è legata al diverso orientamento dei versanti montani, alla loro esposizione e alla direzione e ampiezza delle valli. Brezze lacustri Anche la presenza di estesi specchi d’acqua circondati da rilievi, come nel caso dei grandi laghi prealpini, dà luogo alla presenza di brezze giornaliere, le cui caratteristiche richiamano quelle già descritte, pur essendo molto legate all’orografia a livello locale: avremo quindi brezze con direzioni e intensità differenti, che si generano in orari variabili in punti diversi del lago. * Il Lario è caratterizzato da due principali brezze il “Tivano”, brezza mattutina che spira da Sud verso Nord e la “Breva”, brezza pomeridiana che spira da Sud verso Nord.* Le brezze hanno una certa influenza sul clima a livello locale e sugli effetti che esso esercita sull’uomo: il movimento dell’aria rende, infatti, molto più tollerabili le calde giornate estive nelle zone di mare, di lago e in prossimità dei rilievi, rispetto a quanto accade nelle grandi pianure del Nord Italia, come la Pianura padana, o nelle zone pianeggianti del Centro e del Sud dell’Italia, poste lontano dal mare. 122 K.5 - IL CLIMA Ricordiamo che il tempo meteorologico, descritto sopra, è un’espressione che si riferisce alle condizioni di precipitazioni, ma anche di temperatura o di velocità del vento che caratterizzano in un dato momento una certa zona. Il clima, invece, si riferisce ai valori medi dei parametri meteorologici caratteristici di un dato territorio, valutati in periodi di durata almeno trentennale. I parametri sono i seguenti: pressione atmosferica, temperatura dell’aria, venti e brezze, umidità, entità e distribuzione delle precipitazioni, durata e intensità dell’illuminazione e copertura del cielo. In un deserto si sa che non piove quasi mai e ai poli si sa che fa sempre freddo, mentre all’equatore le precipitazioni sono sempre molto abbondanti. Questi sono esempi di climi diversi, ma sappiamo anche che il clima di un deserto rimane lo stesso anche se il tempo è piovoso per un giorno. K.5.1 - FATTORI GEOGRAFICI Vi sono una serie di fattori naturali che si mantengono inalterati col tempo in quanto sono strettamente correlati alla posizione geografica di un luogo: per questo motivo sono detti fattori geografici. Questi fattori determinano il clima nelle diverse zone del pianeta, influenzando in maniera più o meno rilevante i fattori meteorologici elencati in precedenza. Consideriamo i più importanti. La latitudine. Maggiore è la distanza dall’equatore, minore è l’intensità con cui i raggi del Sole riescono a riscaldare la superficie terrestre, a causa della progressiva maggiore inclinazione con cui essi colpiscono il suolo. La distanza dal mare. Si sa che le località poste vicino al mare hanno un clima più mite, meno caldo in estate e meno freddo in inverno rispetto a località più lontane dal mare. Questo dipende dal fatto che l’acqua scambia più lentamente il calore che assorbe dal Sole rispetto al suolo; in questo modo essa esercita un’azione “rinfrescante” durante l’estate e cede lentamente il calore estivo durante l’inverno. L’altitudine. Più si sale in quota, minori sono le temperature; per questo anche le precipitazioni sono più abbondanti. La distribuzione del rilievo. Le catene montuose poste nei pressi delle coste dei continenti intercettano le masse d’aria umida proveniente da mari e oceani: di conseguenza, i versanti esposti verso il mare sono caratterizzati da precipitazioni abbondanti, mentre i versanti opposti e i territori posti all’interno presentano climi più aridi. Le correnti oceaniche. Le correnti degli oceani trasportano il calore da una zona all’altra della superficie terrestre e influiscono sul clima delle regioni che ne sono lambite. Un esempio classico riguarda la corrente del Golfo, che rende più mite il clima del Nord Europa, rispetto a quello delle località poste alle stesse latitudini sulle coste occidentali del Nord America. 123 K.5.2 - CLASSIFICAZIONE DEI CLIMI Ed ora diamo un’occhiata al metodo più utilizzato per classificare i climi sulla Terra: quello proposto dello scienziato tedesco Wladimir Köppen. Egli ha individuato dei gruppi climatici principali e relativi sottogruppi tenendo presente, come criteri per la classificazione, la latitudine, la temperatura, le precipitazioni e le associazioni vegetali, dette anche biomi. Questi ultimi sono costituiti da particolari associazioni di specie vegetali, il cui sviluppo è favorito dalla combinazione di elementi climatici presenti in quella specifica fascia del nostro pianeta. Occorre notare che le associazioni vegetali identificano e caratterizzano una fascia climatica meglio di quanto facciano le associazioni di animali, poiché questi hanno una capacità di adattamento maggiore rispetto ai vegetali. Alcune specie animali, inoltre, si spostano sulla superficie terrestre effettuando lunghe migrazioni, andando ad occupare zone diverse in momenti diversi. Ecco le categorie principali proposte da Köppen. A – Climi caldo-umidi Sono climi umidi che si trovano in una fascia compresa tra i 15° ai 25° a Nord e a Sud dell’equatore, in corrispondenza della zona di bassa pressione intertropicale. In tutti i mesi dell’anno le temperature medie sono più alte di 18 °C e ci sono piogge abbondanti. La tipica associazione vegetale di questi climi è la foresta pluviale. B – Climi aridi Sono climi caratteristici delle zone poste tra 20° e 35° a Nord e a Sud dell’equatore, in corrispondenza delle alte pressioni tropicali, ma anche di zone poste più lontano dai tropici e caratterizzate da clima marcatamente continentale. L’evaporazione dell’acqua è sempre più alta delle precipitazioni, con la conseguenza che il suolo diventa secco. Molto accentuate le escursioni termiche diurne o annuali. La vegetazione è costituita dal deserto e dalla savana. C – Climi temperati delle medie latitudini Questi climi sono tipici delle fasce comprese tra 30° e 50 ° di latitudine Nord e Sud, specialmente sui margini occidentali e orientali dei continenti, e hanno in genere inverni miti ed estati calde e umide. Le temperature oscillano tra gli 0° durante l’inverno a più di 18° durante i mesi estivi. Associazioni vegetali caratteristiche sono le foreste decidue, con alberi ad alto fusto e la macchia mediterranea nelle zone più asciutte. D – Climi freddi delle medie latitudini Questi climi si trovano nelle fasce poste a latitudini maggiori, rispetto ai precedenti o nelle zone più interne, a latitudini inferiori. La temperatura media del mese più caldo supera i 10°C mentre la temperatura media del mese più freddo scende sotto i -30°C. Le estati sono calde o fresche e gli inverni freddi con nevicate, venti forti. Le associazioni vegetali tipiche sono la taiga (foresta di conifere), alternata a foreste di latifoglie, steppe e praterie. * ATTENZIONE!! La grandine è formata da ghiaccio stratificato.* 124 E. Climi polari Sulle coste settentrionali di Europa, Asia e America, così come in Groenlandia e in Antartide, il clima è ovviamente sempre freddo, con una temperatura media nel mese più caldo inferiore a 10 °C. Le precipitazioni, quasi esclusivamente nevose, sono molto scarse, ma l’evaporazione è ancor più ridotta. L’associazione vegetale caratteristica è la tundra: muschi, licheni, arbusti nani, erica. F. Climi di altitudine Si tratta di climi caratteristici dei territori montani, dove il cambiamento rapido di altitudine determina anche il rapido cambiamento del clima: all’aumentare della quota e a seconda della latitudine lungo i versanti montuosi si presentano dal basso verso l’alto le successioni climatiche e di vegetazione osservabili sulla superficie terrestre quando ci si sposta verso i poli. K.6 - IL CAMBIAMENTO CLIMATICO Testimonianze geologiche raccolte in questi ultimi anni, riferite a periodi di tempo risalenti fino a 600.000-650.000 anni fa, ci suggeriscono che il clima della Terra ha subito delle variazioni su scala globale dovute sia a cause legate alla dinamica del nostro pianeta, cioè ai movimenti tettonici delle placche litosferiche, sia a cause esterne, come cambiamenti nell’intensità della radiazione solare. Esistono, tuttavia, anche cambiamenti su scala locale o regionale, più repentini e più ampi di quelli osservati a livello globale: un esempio è quello del riscaldamento anomalo dell’Oceano Pacifico orientale, che si verifica ogni 3-7 anni, che ha la durata di un anno e al quale i peruviani hanno dato il nome di “El Nino”. Ormai da anni si sente parlare, con toni talvolta allarmistici, di riscaldamento globale. In effetti, durante il XX secolo la temperatura media globale è aumentata di 0,6°-0,8°C: un valore in apparenza trascurabile, ma in realtà estremamente elevato, se rapportato al brevissimo arco di tempo in termini, geologici, e contro una tendenza rilevata e persistente verso un lento e spontaneo raffreddamento. Nelle pagine che seguono cercheremo di capire cosa sta accadendo. K.6.1 - BILANCIO ENERGETICO DELLA TERRA ED EFFETTO SERRA Il bilancio energetico di un pianeta è la differenza tra l’energia che raggiunge il pianeta dall’esterno, ad esempio, come nel nostro caso, da una stella vicina, e l’energia che abbandona il pianeta, dirigendosi verso lo spazio esterno. Nel nostro caso, la Terra riceve energia dal Sole, prevalentemente in forma di luce e calore ed emette energia nello spazio circostante, prevalentemente in forma di calore. Tra i due flussi di energia in ingresso e in uscita si instaura nel tempo un equilibrio. All’equilibrio l’energia in ingresso è quantitativamente uguale a quella in uscita. La temperatura media della superficie del pianeta è legata a questo equilibrio. Se, nel tempo, intervengono variazioni che spostano questo equilibrio - aumenti o riduzioni del flusso in in ingresso o in uscita - allora anche la temperatura media della superficie terrestre varierà, attestandosi su nuovi valori. Grazie alla presenza dell’atmosfera, la temperatura media della superficie terrestre si aggira attorno ai 15 gradi sopra lo zero. In assenza di atmosfera, essa sarebbe di circa 18 gradi sotto lo zero. 125 Si definisce effetto-serra la capacità dell’atmosfera terrestre di influire sul bilancio energetico del pianeta, riducendo il flusso in uscita e spostando verso l’alto la temperatura media della sua superficie. K.6.2 - I GAS SERRA L’effetto serra è dovuto alla presenza di alcuni gas, detti gas-serra: i più importanti sono l’anidride carbonica o diossido di carbonio (CO2), il vapore acqueo (H2O), il metano (CH4), e l’ossido nitroso (N2O). Si tratta di sostanze presenti nell’atmosfera in quantità ridotte, in grado di assorbire le radiazioni termiche (infrarossi) emesse dalla superficie terrestre, aumentando la propria energia cinetica, cioè la propria temperatura. Successivamente, il calore viene riemesso in tutte le direzioni, quindi anche verso la superficie terrestre. In questo modo, questi gas riescono a ritardare il rilascio del calore verso lo spazio esterno, garantendo valori di temperatura compatibili con l’esistenza della vita. Se la concentrazione di questi gas serra aumenta o diminuisce, lo stesso accade anche alla temperatura media della superficie terrestre. Nel corso del tempo, a partire dalla formazione della vita sulla Terra, tale temperatura ha subito numerose variazioni, legate a fattori naturali, senza tuttavia raggiungere livelli tali da sopprimere la vita o impedire la sua evoluzione. Da alcuni decenni a questa parte, si sono verificate variazioni significative nella concentrazione di alcuni gas serra ad opera delle attività umane. K.6.3 - TIPI DI GAS SERRA Vediamo con precisione quali sono i gas serra più potenti e come arrivano nell’atmosfera, in ordine di quantità. Vapore acqueo (H2O). È il gas serra più abbondante nell’atmosfera ed è presente in essa da sempre. La sua concentrazione tende ad crescere all’aumentare della temperatura media dell’atmosfera del nostro pianeta. Diossido di carbonio (CO2). La sua presenza nell’atmosfera è dovuta a fenomeni naturali come le eruzioni vulcaniche o l’attività respiratoria degli organismi viventi. L’anidride carbonica è il gas serra che rimane per più tempo nell’atmosfera, si pensa anche fino a decine di migliaia di anni. L’uomo ne sta aumentando la concentrazione in modi svariati: combustione di combustibili fossili (carbone, petrolio, metano), deforestazione, cambiamenti nell’uso del suolo e produzione di cemento. Metano (CH4). Viene emesso da fonti naturali, paludi, acquitrini. È un gas serra molto più potente della CO2, ma per fortuna è anche uno dei meno abbondanti nell’atmosfera. La sua emissione in atmosfera è anche legata alle attività umane: attività agricole, soprattutto la coltivazione di riso, decomposizione dei rifiuti nelle discariche, allevamento di bovini e altri ruminanti. Si trova imprigionato in quantità abbondante anche nel ghiaccio del permafrost: man mano che questo fonde, il metano viene liberato nell’atmosfera. 126 Ossido nitroso (N2O). Anche la sua emissione, come per il metano, è legata alla presenza di ambienti anaerobi, come paludi e acquitrini. Le attività umane che ne determinano la liberazione in atmosfera sono la combustione di combustibili fossili, l’uso eccessivo di fertilizzanti azotati, la produzione di acido nitrico. Clorofluorocarburi (CFC). Si tratta di sostanze artificiali che sono state usate come propellenti per spray, come liquido refrigerante nei circuiti di condizionatori e frigoriferi e come gas inerti per la produzione di schiume plastiche. Sono noti anche per il loro ruolo nel cosiddetto “buco dell’ozono”. Anche se sono stati proibiti con un accordo internazionale, sono capaci di rimanere per 100 anni nell’atmosfera. K.6.4 - L’AUMENTO DELL’EFFETTO SERRA La concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera terrestre sta aumentando. La quantità di diossido di carbonio negli ultimi 650 mila anni non ha mai superato la concentrazione di 300 ppm (0,03%). Tuttavia, negli ultimi 50 anni la sua concentrazione ha subito un incremento del 33%, passando da circa 280 ppm agli attuali 380 ppm. * A PROPOSITO... Il metano è 25 volte più potente della anidride carbonica, l’ossido nitroso quasi 300 volte e i CFC qualche migliaio di volte!* * Il meccanismo dell’effetto serra: i raggi del sole scaldano la superficie e il calore torna indietro verso lo spazio ma la maggior parte del calore viene assorbito dai gas serra e riscalda la Terra* La responsabilità dell’immissione di tutta questa CO2 è legata all’attività umana, in particolare alle attività indicate in precedenza. Anche la temperatura della superficie terrestre sta aumentando. Dal 1880, la temperatura della bassa troposfera, la parte di atmosfera a diretto contatto con la superficie terrestre, è aumentata di 0,8 °C. L’aumento previsto per questo secolo è compreso tra 1,4 e 5,8°C. Sembrano valori trascurabili o molto limitati, ma a livello globale, aumenti di tale portata possono scatenare variazioni davvero drammatiche nel clima del pianeta, con conseguenze inimmaginabili non solo sugli ecosistemi naturali, ma anche e soprattutto sulla civiltà umana. La temperatura globale degli oceani è in aumento. Buona parte del calore trattenuto dall’atmosfera terrestre viene assorbito dagli oceani, che infatti si sono riscaldati di 0,3 °C dalla fine degli anni ’70. *Video in inglese “Misurare la temperatura degli oceani” http://oceantoday.noaa.gov/takingtheoceanstemp/welcome.html Carbonio e attività umane http://www.america.gov/multimedia/video.html?videoId=26107286001* 127 Il livello medio degli oceani si sta innalzando. Come conseguenza dell’aumento delle temperature, l’acqua subisce una dilatazione termica che ne fa aumentare il volume. Il livello del mare è salito di 57 mm dal 1993, e di 17 cm nell’ultimo secolo, a causa di questo fenomeno. La superficie occupata da ghiacciai si sta riducendo. I ghiacciai stanno progressivamente fondendo, con velocità via via più rapida. I ghiacciai montani si stanno ritirando un po’ in tutto il mondo, come nelle Alpi, nelle Ande, nell’Himalaya, in Africa, in Alaska. Le calotte polari dell’Antartide e della Groenlandia stanno dando segnali di cedimento incipiente. *Video in inglese “Fusione dei ghiacciai in Groenlandia e della banchisa nell’Artico” http://www.youtube.com/watch?v=DWsFbMhpg54* La banchisa del Mar Glaciale Artico, durante la stagione estiva, ogni anno si riduce di più, tanto che a breve si prevede di indirizzare verso Nord le rotte delle navi costrette un tempo a circumnavigare i continenti. La fascia climatica tropicale si sta espandendo. L’entità di tale espansione è pari a circa un grado di latitudine sia verso Nord sia verso Sud: quindi alcune aree che prima godevano di un clima temperato umido di tipo mediterraneo ora si ritrovano con un clima molto simile a quello desertico e sono a rischio elevato di siccità. In questa situazione si trovano vaste aree del bacino del Mediterraneo, comprese le regioni meridionali del nostro Paese. Il numero e la frequenza di eventi climatici estremi sta aumentando. Da quando sono iniziate le registrazioni, il numero e la violenza di uragani, cicloni e tifoni delle regioni tropicali è andato incrementandosi, con particolare riguardo a quelli dell’oceano Atlantico. Ondate di caldo e di siccità sono diventate più frequenti in molte parti del mondo anche nelle regioni temperate. Eventi meteorici estremi, caratterizzati da precipitazioni molto intense concentrate in brevi periodi di tempo e da venti che presentano velocità molto elevate, sono assai più numerose che in passato. Gli organismi viventi stanno cambiando le proprie abitudini. In alcuni casi fauna e vegetazione presentano comportamenti anomali: tra questi possiamo ricordare la fioritura anticipata delle piante a primavera, il ritardo nella caduta delle foglie delle piante decidue in autunno, l’anticipo dei movimenti migratori degli uccelli, il progressivo ampliamento degli areali di distribuzione di specie animali e vegetali verso latitudini più alte e quote più elevate, la diffusione di specie tropicali verso latitudini temperate. Tutti questi segnali, che riguardano ambiti diversi, ci confermano che è in atto un cambiamento climatico di rilievo. Sarà in grado l’umanità di governare questo cambiamento e/o di adattarvisi, conservando al tempo stesso la varietà e biodiversità del nostro pianeta, fonte di preziose risorse per l’uomo stesso? *Video in inglese “Acidificazione degli oceani” http://www.amnh.org/sciencebulletins/?sid=b.f.acid_oceans .20081202&src=b 128 “L’ecologia del cambiamento climatico” http://www.amnh.org/sciencebulletins/index.php?sid=b.f.alaska_greening.20100712* K.7 - COSA STIAMO RISCHIANDO Una volta compreso cosa sta accadendo al clima, cerchiamo di fare alcune previsioni su quello che potrebbe accaderci nel prossimo futuro. Anche senza pensare alle catastrofi dei film hollywoodiani, il cambiamento climatico sta già portando modifiche di rilievo e ne porterò di nuove, ancora più gravi. Tra quelle che appaiono ormai inevitabili, vi sono le seguenti: Il riscaldamento degli oceani è destinato ad aumentare, contribuendo alla fusione del ghiaccio marino e delle distese costiere di ghiaccio nelle regioni polari, con un meccanismo che si autoalimenta. Il livello del mare continuerà ad innalzarsi, sia a causa della dilatazione termica, sia per il trasferimento netto di acqua dai continenti agli oceani, a causa della fusione dei ghiacci continentali. Questo processo avrà conseguenze per le popolazioni delle regioni costiere del pianeta. Già ora, gli abitanti di alcune piccole isole del Pacifico sono stati costretti a spostarsi altrove, sia a causa della riduzione di acqua dolce nel sottosuolo, sia a causa dei rischi legati a cicloni più violenti in un oceano più alto. L’aumento della temperatura della troposfera potrebbe far aumentare le precipitazioni in alcune zone e diminuirle in altre, provocando problemi opposti: inondazioni, siccità e desertificazione. Eventi estremi come i cicloni tropicali e gli incendi potrebbero aumentare ulteriormente; questi ultimi potrebbero mettere a rischio le zone forestali esistenti, con ulteriore emissione di anidride carbonica: altro processo che si autoalimenta. La salute umana e la sopravvivenza di intere popolazioni risentirà sempre di più, in futuro, delle ondate di calore, degli eventi estremi, della mancanza di acqua, della diffusione di malattie che ora sono presenti nelle zone più calde e umide del mondo. Occorre riflettere e prendere al più presto gli opportuni provvedimenti: è incredibilmente importante che la politica internazionale torni ad assumere l’iniziativa nella direzione della riduzione delle emissioni, della salvaguardia delle risorse rinnovabili, della tutela dei diritti alla sopravvivenza di tutte le popolazioni del mondo. Un ruolo importante sarà giocato dalle amministrazioni statali e locali e dai soggetti economici, grandi e piccoli. Grande importanza avrà anche lo sviluppo di una conoscenza e consapevolezza dei problemi da parte dei singoli cittadini, così da indirizzare amministratori e politici nella giusta direzione. * Video in inglese “Cambiamento climatico” http://www.climatewatch.noaa.gov/video/2012/the-state-of-the-climate* 129 DOMANDE PER IL RIPASSO MODULO K 9. Come sono gli equilibri all’interno del sistema clima? 10.Perché abbiamo una grande responsabilità? 11. Quale ruolo svolge l’ozono stratosferico? 12.Quali riserve importanti sono rappresentate dai ghiacciai? 13.Che cosa influenza la circolazione atmosferica a livello regionale? 14.Che cosa si intende con il termine tempo atmosferico? 15.Che cosa si intende quando si parla di clima? 16.Come si può esprimere l’umidità presente nell’aria troposferica? 17.Che cosa significa punto di rugiada? 18.Che cosa sono i nuclei di condensazione? 19.Quali tipi di nuvole conosci? Quali sono quelle portatrici di piogge? 20.Che cosa sono i cirri? 21.Quali dimensioni devono avere le goccioline di acqua in sospensione nelle nubi per iniziare a cadere al suolo? 22.Come si formano i chicchi di grandine? 23.Quando si parla di nebbia? E quando invece si definisce foschia? 24.Cosa si intende per inversione termica ? Che cosa provoca? 25.Per quale motivo un tuono segue sempre il fulmine che l’ha generato? 26.Che cosa sono le brezze? dove sono frequenti? Quali tipi conosci? 27.Spiega la causa della formazione del vento e delle brezze 28.Quali sono i fattori geografici più importanti nel determinare un certo tipo di clima? 29.Quali categorie di climi conosci? A quali latitudini essi si presentano? 30.Che cosa si intende quando si parla di climi di altitudine? 31.Come si può definire l’effetto-serra? 32.Quali sono i principali gas-serra? Quali sono i più temibili? 33.Di quanto è aumentata la temperatura media al suolo nell’ultimo secolo? 34.Quali sono gli effetti di questi aumenti della temperatura media ? Sugli oceani, sui ghiacciai, sugli eventi estremi climatici, sugli organismi viventi? 35.Quali saranno i rischi più alti che in futuro i nostri posteri correranno? 130 CACCIA ALL’ERRORE MODULO K 1. La Terra è un sistema complesso, si stratta di geosistemi globali che si scambiano materia. 2. La presenza di vegetazione influenza marginalmente il clima di una regione. 3. Una massa d’aria si dice satura se contiene una grande quantità di vapore acqueo. 4. Normalmente le nuvole sono fatte da vapore acqueo. 5. Il fenomeno dell’inversione termica si trova sovente nelle zone montagnose. 6. L’effetto serra influenza in modo poco significativo il bilancio energetico della Terra. 7. Senza l’effetto-serra la temperatura media sulla superificie terrestre si stabilizzerebbe intorno ai valori di 200 anni fa. 8. La temperatura media degli oceani è particolarmente stabile. 131 MODULO L - LA TERRA UN PIANETA DINAMICO: I TERREMOTI Haiti, Caraibi, 12 gennaio 2010: un terremoto devastante colpisce l’isola nella zona della capitale, Port-auPrince. Haiti è uno dei Paesi più poveri del mondo: pur abituata a subire gli uragani, la popolazione era assolutamente impreparata per una catastrofe del genere e le case non erano state costruite per resistere a un terremoto che è stato il più potente dell’isola in tutto l’ultimo secolo. La tragedia è stata terrificante: il governo haitiano ha parlato di 230.000 morti, 300.000 feriti e un milione senza linee telefoniche e con la necessità di cure mediche che tardavano ad arrivare a causa dei danni alle vie di comunicazione. Durante i mesi successivi ci sono state quasi 60 scosse di assestamento, anche se per fortuna meno potenti. Giappone, 2011: un terremoto di magnitudo 8,9 della scala Richter e un conseguente e micidiale tsunami, con onde alte oltre 10 m, devastano la prefettura di Miyagi nella regione di Töhoku provocando 15.550 vittime e un gravissimo incidente nucleare a Fukushima. I terremoti sono una delle tante catastrofi della natura che costano la vita di tantissime persone e di fronte a cui l’uomo sembra veramente impotente. C’è da chiedersi perché mai, da una parte all’altra del mondo, a un certo punto la Terra si metta a tremare in modo così catastrofico e, inoltre, se non sia proprio possibile prevedere o evitare i sismi. E poi, c’entreranno in qualche modo le sempre più invasive attività umane? È importante cercare una risposta a tutte queste domande. Sembra proprio incredibile ma è vero: i terremoti, o sismi, sono vibrazioni improvvise della crosta terrestre causati da energia - evidentemente moltissima - che si sprigiona in seguito alla rottura in profondità di grandi masse rocciose o a loro movimenti. Il termine terremoto deriva dal latino “terrae motus”, cioè movimento della terra. L.1 - LA LITOSFERA Per capire meglio di cosa si tratta e quali sono le cause scatenanti, occorre fare una premessa sulla costituzione della parte più esterna del nostro pianeta, la litosfera. Essa è suddivisa in tante porzioni chiamate placche, in movimento l’una rispetto all’altra. Il loro movimento è dovuto ai moti convettivi del materiale che costituisce l’astenosfera, lo strato immediatamente sottostante la litosfera, caratterizzato da maggiore densità e da uno stato fisico almeno in parte fluido. I margini delle placche possono avere movimenti reciproci diversi. In merito, è possibile distinguere tre diversi tipi di margini: convergenti, divergenti, trasformi. Margini convergenti o distruttivi. Sono caratteristici di due placche che si avvicinano, cioè che si muovono l’una verso l’altra. Se una delle due placche è di tipo oceanico, avviene un processo di subduzione, (lo sprofondamento di una placca nel mantello) e si forma un sistema arco vulcanico-fossa oceanica. La fossa è dovuta alla curvatura verso il basso della placca che sprofonda, l’arco vulcanico si forma sul bordo della placca adiacente. 132 Se quest’ultima è di tipo oceanico, avremo una serie di isole vulcaniche, come ad esempio molti arcipelaghi del Pacifico; se invece si tratta di una placca continentale, avremo una catena montuosa costellata di vulcani, ad esempio le Ande. Se si tratta invece di due placche continentali, si assiste al sollevamento di una catena montuosa, ad esempio le Alpi o l’Himalaya. Margini divergenti o costruttivi. Sono caratteristici di due placche che si allontanano l’una dall’altra. Nella zona di margine si forma una rift-valley, cioè una depressione via via più profonda costituita da un sistema di faglie normali distensive. Le rift-valley si trovano sia sui continenti, come nel caso della Great Rift Valley del Corno d’Africa, sia sui fondali oceanici. In quest’ultimo caso si tratta di profonde depressioni presenti in corrispondenza degli assi delle dorsali oceaniche, quel sistema di rilievi sottomarini presenti in tutti gli oceani. * MOTO CONVETTIVO: è un trasporto di materiali determinato da differenze di temperatura e/o pressione.* Le rift-valley sono sede di imponenti manifestazioni vulcaniche terrestri o sottomarine. Il magma proviene direttamente dal mantello: durante la risalita, si differenzia diventando basalto, il principale costituente della nuova crosta che si forma tra le placche in allontanamento reciproco. Margini trasformi o conservativi. Due placche scivolano l’una a fianco dell’altra senza allontanarsi né avvicinarsi, quindi la crosta non si forma né si distrugge. * La faglia di San Andreas è di tipo trasforme e si è formata per scivolamento laterale tra la placca del Nord America e quella del Pacifico.* Durante tutti questi movimenti, la crosta terrestre è sottoposta a stress, progressive deformazioni, che danno luogo nel tempo a piccole e grandi pieghe, o a fratture, con conseguenti deformazioni e scorrimenti reciproci di blocchi di roccia: si generano in questo modo le faglie tettoniche. * Una faglia è una frattura scomposta della crosta terrestre.* L.2 - CARATTERISTICHE DELLE ROCCE Le rocce sono materiali che, sottoposti a una forza, si comportano in modo molto diverso a seconda di come essa agisce e in relazione ad altre importanti variabili. *Video in inglese “Tettonica” http://oceanexplorer.noaa.go v/edu/learning/player/lesson01.html “Teoria della tettonica a placche” http://www.youtube.com/watch?v=mB2pzhWUaiU&feature=related Video “Zone di subduzione” Video: “Impatto della subduzione” http://oceanexplorer.noaa.gov/edu/learning/player/lesson04.html* 133 In effetti, siamo portati a considerare le rocce come materiali rigidi e indeformabili; tuttavia, se vengono sottoposte a forti pressioni litostatiche, se le temperature sono sufficientemente elevate, se vi è presenza di fluidi circolanti e se le forze agiscono non troppo rapidamente, le rocce tendono a deformarsi plasticamente, formando sistemi di pieghe, a volte molto strizzate, chiamate sinclinali e anticlinali . Si può fare un paragone con un ramo appena tagliato da un albero e quindi ancora ricco di umidità: se lo sottoponiamo a una forza deformante, esso tende a piegarsi senza spezzarsi; al contrario, un ramo secco e stagionato si spezzerà molto più facilmente. D’altra parte, anche un legno stagionato può piegarsi se la forza agisce in un lungo periodo: nelle nostre case, non è raro vedere le mensole di legno piegate in modo plastico sotto il peso di libri e altri oggetti. Se, viceversa, la forza deformante agisce con maggiore rapidità e le altre variabili non sono favorevoli, l’energia si accumula fino a un limite chiamato limite di rottura, raggiunto il quale le rocce si spezzano e liberano improvvisamente gran parte dell’energia accumulata nel tempo: in questo modo si formano sistemi di faglie, successioni di blocchi rocciosi dislocati l’uno rispetto all’altro lungo superfici di scorrimento dette piani di faglia. Possiamo richiamare alla memoria il comportamento degli elastici che, sottoposti a una tensione, si allungano, ma poi si spezzano se si supera la loro resistenza; un altro esempio di comportamento elastico è una panchina di legno sulla quale siedono due, quattro e poi otto persone: la panchina per un po’ regge, accumulando energia e poi... si spezza d’improvviso, liberandola rapidamente e facendo cadere i malcapitati. * DIFFERENZA TRA COMPORTAMENTO ELASTICO E PLASTICO. Nel comportamento elastico, l’oggetto sottoposto ad uno sforzo accumula energia e, quando lo sforzo cessa, torna nella sua condizione iniziale; se lo sforzo supera il limite di rottura l’oggetto si spezza. Se un materiale elastico raggiunge rapidamente il limite di rottura, si definisce fragile, ad esempio le rocce. Nel caso di un oggetto con comportamento plastico la deformazione non è temporanea ma viene mantenuta nel tempo. Un esempio è la plastilina o il chewing-gum.* L.3 - TIPI DI FAGLIA. Le faglie sono classificate in tre tipi diversi in base al movimento dei due blocchi di roccia che le caratterizzano. Faglie dirette. Si formano faglie dirette quando vi sono forze distensive che determinano stiramento nella litosfera, come nel caso di margini divergenti. La litosfera si frammenta in blocchi che scivolano verso il basso l’uno rispetto all’altro lungo piani di scorrimento piuttosto ripidi. Faglie inverse. Si formano faglie inverse quando agiscono forze compressive che determinano contrazione della litosfera, come nel caso di margini convergenti. Anche in questo caso la roccia si frammenta in blocchi, che però tendono a sovrapporsi l’uno rispetto all’altro lungo piani normalmente piuttosto inclinati rispetto alla superficie terrestre. Faglie trasformi. Si generano faglie trasformi quando la litosfera è sottoposta a forze che agiscono di taglio, come nel caso di margini trasformi. In questo caso la roccia si frammenta in blocchi che scorrono l’uno accanto all’altro in direzioni opposte, senza avvicinarsi o allontanarsi. Fa parte di quest’ultimo tipo la cosiddetta faglia di San Andreas che, attraversa tutta la California, passando per San Francisco e nei pressi di Los Angeles; questa zona degli Stati Uniti è sempre stata caratterizzata da terremoti anche molto violenti, come quello del 18 aprile 1906, che devastò San 134 Francisco e costò la vita a circa 3.000 persone. In realtà non c’è una faglia sola ma, come succede spesso, il territorio è attraversato da un sistema di faglie che si intersecano. * “WAITING FOR THE BIG ONE” Gli abitanti della California vivono sotto l’incubo di un altro terremoto terrificante che prima o poi dovrebbe scatenarsi, e che è stato definito “Big One”.* * Il sistema di faglie dell’Italia centrale è costituito da faglie di tipo diverso, dirette, inverse, trasformi.* L.4 - I TERREMOTI. Quando si forma una faglia, tutta l’energia elastica che le rocce avevano accumulato prima di rompersi viene sprigionata in forma di vibrazioni che viaggiano all’interno della crosta terrestre. Il terremoto consiste nello scuotimento della superficie terrestre prodotto dal passaggio di queste onde, che consentono, appunto, alle rocce di liberarsi dallo “stress”, rompendosi e rilassandosi. Per capire come avviene, facciamo un altro paragone: proviamo a schioccare le dita. Le dita che abbiamo usato sono state fatte scivolare una sull’altra; inizialmente, sono state frenate dall’attrito, finché la spinta che abbiamo fornito non ha vinto la resistenza e le dita sono schioccate, liberando tutta l’energia che avevano accumulato. Nelle faglie è un po’ la stessa cosa: i due blocchi di roccia che scorrono uno a fianco all’altro non sono lisci e non hanno lubrificante - anche se a volte possono essere presenti dei fluidi circolanti - quindi sono frenati dall’attrito, che tende a bloccarle e a non farle muovere. Però, se a un certo punto la forza che agisce sulle rocce supera la resistenza dovuta all’attrito, la faglia fa uno scatto improvviso e libera tutta l’energia che aveva accumulato. Il risultato è un insieme di scosse sismiche, un terremoto, appunto… *I terremoti avvenuti in tempi storici a L’Aquila. I sismi si ripetono nella stessa zona: le faglie accumulano energia e la liberano periodicamente ad intervalli variabili, a seconda del tipo di roccia e dell’intensità delle forze endogene. Date dei terremoti a L’Aquila: settembre 1349 X MCS 26 novembre 1461 X MCS 14 gennaio, 2 febbraio 1703 X MCS 5 settembre 1950 VIII MCS* * IL TERREMOTO FA RUMORE? A volte i terremoti sono preceduti da un rumore sordo, come un tuono o un boato. Si tratta della vibrazione dell’aria provocata dalle onde P, che sono le prime ad arrivare e che si possono trasmettere all’atmosfera, essendo della stessa natura (compressione-dilatazione) delle onde sonore.* Se analizziamo i dati storici, possiamo osservare che i terremoti tendono a ripetersi nel tempo nei medesimi territori. Questo accade in quanto i movimenti delle placche proseguono anche dopo il terremoto: di conseguenza lo stress, lentamente ma inesorabilmente torna ad accumularsi nelle rocce, preparando un nuovo evento sismico. La teoria del rimbalzo elastico riprende tutto ciò che è stato descritto. Secondo questa teoria, l’energia che si accumula elasticamente negli ammassi rocciosi in corrispondenza dei margini tra placche è la responsabile dello scatenarsi dei terremoti. Questi si verificano quando l’energia raggiunge il carico di rottura. Con il terremoto, l’energia elastica si libera, 135 generando onde sismiche. Al termine dell’evento sismico, l’energia riprende ad accumularsi, fino a un nuovo evento sismico. Anche se in genere sono di lieve entità, non vanno dimenticati i terremoti vulcanici: il magma che risale violentemente, le forti esplosioni, il crollo delle camere magmatiche in profondità possono generare sismi, detti appunto vulcanici. L.4.1 – IPOCENTRO ED EPICENTRO Abbiamo parlato di blocchi che scattano lungo le superfici di faglia e sprigionano energia: in effetti, più del 90% dei terremoti si verificano proprio lungo i margini delle placche litosferiche, dove ci sono tutti i tipi di faglie che abbiamo visto. I terremoti che invece si scatenano lontani dalle placche sono un po’ come gli hot spot per i vulcani, con la differenza che gli hot spot sono “punti caldi” lontani dai margini, mentre nel caso dei terremoti si tratta di “punti deboli”, dove la crosta si può deformare più facilmente e scattare all’improvviso. Ma vediamo ora cosa accade quando la terra comincia a tremare. In corrispondenza di ogni terremoto è sempre possibile individuare un punto preciso nel sottosuolo dove si innesca lo scorrimento delle rocce: si tratta di un punto di particolare debolezza, detto ipocentro o fuoco del terremoto, a partire dal quale il movimento improvviso dei due ammassi rocciosi si propaga lungo il piano di faglia. In genere, quando sentiamo parlare di scosse sismiche, si nomina l’epicentro: si tratta della proiezione verticale dell’ipocentro sulla superficie terrestre. La profondità dell’ipocentro varia a seconda del tipo di margine. Si hanno ipocentri superficiali (meno di 70 km) in corrispondenza di margini divergenti e trasformi. Si hanno ipocentri superficiali, intermedi (da 70 a 300 km) o profondi (da 300 a 700 km) in corrispondenza di margini convergenti quando la litosfera sprofonda nel mantello attraverso il processo di subduzione. L.4.2 - LE ONDE SISMICHE Dalla zona dell’ipocentro, l’energia si libera sotto forma di onde sismiche, cioè vibrazioni delle rocce, che viaggiano in tutte le direzioni fino ad arrivare sulla superficie: si tratta delle cosiddette onde di volume, che si propagano all’interno dell’intero pianeta. Quando le onde di volume giungono in superficie, esse danno luogo a nuovi tipi di onde, dette onde superficiali, che si propagano solamente lungo la superficie del nostro pianeta. Le onde di volume si classificano in base al movimento delle particelle delle rocce che attraversano. Vi sono due tipi di onde di volume: Onde P: sono quelle più veloci, infatti P significa “primarie”. Esse attraversano qualsiasi tipo di materiale in qualunque stato fisico esso si trovi: solido, liquido, aeriforme, e quindi possono attraversare la Terra da parte a parte. Si definiscono anche onde di compressione, poiché la roccia da esse attraversata si comprime e si dilata come una molla, nella stessa direzione del moto di propagazione dell’onda. Onde S: sono più lente delle onde P e questo spiega la loro sigla: infatti, la lettera S significa “secondarie”. Non riescono ad attraversare i materiali fluidi e sono onde di taglio, poiché fanno vibrare le rocce su e giù o lateralmente, come fa una corda quando le diamo una scossa. 136 Si è notato che le onde S non attraversano la parte esterna del nucleo della Terra; poiché è noto che queste onde non attraversano i fluidi, questo indizio ha fatto pensare che il nucleo esterno sia liquido. Quando le onde P e le onde S giungono in superficie, dalla loro interazione si generano altre onde che viaggiano dall’epicentro su tutta la superficie circostante, un po’ come fanno le onde sulla superficie dell’acqua quando questa viene colpita da un sasso. Si formano in questo modo le onde di superficie, anch’esse suddivise in due tipi, in base a come si propagano all’interno delle rocce. Onde di Rayleigh: sono simili alle onde del mare; al loro passaggio il terreno si solleva e si abbassa e le particelle compiono un moto rotatorio a forma di ellisse. Onde di Love: fanno vibrare il terreno con un movimento a zig-zag. * VITTIME Il terremoto che ha provocato più vittime nella storia è stato quello che, nel 1556, ha colpito una parte del centro della Cina e ha ucciso ben 830.000 persone. Esso aveva una magnitudo di circa 8 e un’intensità massima del XI grado della scala Mercalli (vedi più avanti).* La vibrazione più potente che scuote la superficie è detta scossa principale; essa è seguita per giorni, settimane e mesi da altre scosse, generalmente più deboli, dette repliche, che sono tanto più forti quanto più intensa è stata la scossa principale. Le repliche sono spesso definite scosse di assestamento. * Il terremoto più potente finora registrato è stato quello che ha colpito in Cile il 22 maggio 1960: ha avuto una magnitudo di 9.5 e ha ucciso quasi 1.700 persone, lasciando 3.000 feriti e 2 milioni di senza tetto.* L.5 - COME MISURARE I SISMI Il terremoto de L’Aquila ha avuto una magnitudo di 5,9; quello di Haiti di 7,0; quello giapponese di 8,9. L.5.1 - MAGNITUDO E INTENSITÀ La magnitudo è una misura dell’energia sprigionata da un terremoto. Si tratta di un valore numerico che si determina partendo dall’ampiezza massima delle onde registrate nei sismogrammi, i tracciati che registrano il passaggio delle onde sismiche, ottenuti con il sismografo. * LA MAGNITUDO è una misura dell’energia sprigionata da un terremoto* (APPROFONDIMENTO Il sismografo. Si tratta di uno strumento dotato di un peso, sospeso per mezzo di molle a un sostegno vincolato a terra: quando il terreno è attraversato da onde che ne determinano la vibrazione, il sostegno si muove insieme al suolo ma il peso resta fermo a causa della sua inerzia. Il sostegno è dotato di un pennino che lascia una traccia su un rullo di carta in lenta rotazione vincolato al sostegno. Il grafico che si ottiene è detto sismogramma.) La magnitudo, misurata con una scala logaritmica, detta scala Richter, può assumere valori crescenti da 0 a… ma fino a quanto? Per rispondere, diciamo che in teoria non c’è un limite massimo, ma realisticamente è molto difficile che si verifichi un terremoto con una magnitudo superiore a 10. 137 Poiché la magnitudo è legata anche alla lunghezza delle faglie, un “megamoto” con magnitudo di 10,5 dovrebbe scatenarsi da una faglia parecchio più lunga di quella di San Andreas (che è lunga quasi 1.300 km), e che per fortuna al momento non esiste. Il terremoto più potente finora registrato è stato quello che ha colpito in Cile il 22 maggio 1960: ha avuto una magnitudo di 9.5 e ha ucciso quasi 1.700 persone, lasciando 3.000 feriti e 2 milioni di senza tetto. L’intensità di un terremoto è una misura degli effetti che esso produce sulle persone, sui manufatti e sugli elementi dell’ambiente naturale e si misura con un’altra scala, detta scala Mercalli. * L’intensità di un terremoto è una misura degli effetti di esso sulle persone e sulle cose naturali o artificiali.* * PER I PIÙ CURIOSI Per saperne di più sui terremoti in Italia vedi il sito http://www.ingv.it/terremoti/monitoraggio/* EMERGENZA” Rispetto agli effetti sulle attività umane, occorre osservare che non sempre un terremoto particolarmente violento produce danni gravissimi: se un “super terremoto” di magnitudo 10 avvenisse in un deserto non troverebbe abitazioni, infrastrutture e vite umane da distruggere; tuttavia, è bastato un sisma di magnitudo di 7,0 per scatenare la catastrofe di Haiti e uno di 5,9 per distruggere L’Aquila, il 6 aprile del 2009, causando 308 morti. Come detto nel paragrafo precedente, vi sono due scale per “misurare” i terremoti: si tratta della scala Richter e della scala Mercalli. Si tratta di due punti di vista diversi di interpretare un sisma: con la scala Richter si analizza il sisma dal punto di vista dell’energia liberata, con la scala Mercalli, il punto di vista è il nostro, poiché con essa si valutano gli effetti relativi a cose e persone. I primi 5 gradi della scala Mercalli vanno da un terremoto praticamente silenzioso a uno che riesce a far tremare le porte e spaccare finestre e piatti. L’ultimo livello è il grado XII, che significa distruzione totale e oggetti che volano per aria! E pensiamo che la tragedia di Haiti è stata causata da una scossa che nella capitale Port-au-Prince ha raggiunto “solo” il grado VII: esso corrisponde a danni leggeri a edifici ben costruiti, ma a danni pesantissimi a costruzioni povere o costruite male; purtroppo qui eravamo nel secondo caso… L.6 - EFFETTI DEI TERREMOTI I terremoti possono causare una lunga serie di effetti collaterali, tutti ugualmente pericolosi per la salute e l’incolumità delle persone e per la conservazione di abitazioni, edifici e infrastrutture. L.6.1 - MAREMOTI O TSUNAMI *Indonesia, 26 dicembre 2004: il Natale di quest’anno lascerà un ricordo terrificante, quello dello tsunami che ha ucciso più persone in tutta la storia. Il conto delle vittime ufficiali è arrivato a quasi 230.000, e quasi 2 milioni di persone hanno perso la loro casa in questa catastrofe che ha colpito 11 paesi dell’oceano Indiano; le onde anomale hanno fatto il giro del mondo, facendosi sentire anche nel Pacifico e nell’Atlantico. * 138 Tilly Smith è una ragazza inglese che, all’epoca dello tsunami aveva 10 anni, ma aveva avuto la fortuna di imparare in classe i segnali che annunciavano l’arrivo dello tsunami: l’acqua che forma bolle e che torna indietro, lasciando scoperto il fondo del mare. Tilly è diventata un’eroina, avvisando i genitori e facendo salvare tantissime persone che sono scappate lontano dalla spiaggia. Ma da dove è venuto questo cataclisma? Anche qui la responsabilità è dei terremoti, anche se non sempre. A volte i maremoti possono essere legati a frane sottomarine o cadute di asteroidi. La maggior parte dei maremoti, tuttavia, è dovuta a terremoti sottomarini: in risposta a bruschi movimenti degli ammassi rocciosi, l’acqua si sposta in verticale e poi scende di nuovo, formando, nell’oceano aperto, una serie di onde che non si fanno notare tanto per l’altezza, ma per la velocità: fino a più di 800 km/h! * Lo Tsunami un’onda che si forma quando c’è un improvviso spostamento verticale dell’acqua.* Quando queste onde arrivano in prossimità della costa, esse rallentano moltissimo, fino a qualche decina di km/ora, e diventano altissime, fino a 30 metri, travolgendo case, barche, auto, alberi e tutto quello che trovano con la loro energia spaventosa. Il terremoto che scatena lo tsunami viene quasi sempre da una zona di subduzione, dove una placca litosferica sprofonda sotto l’altra. * ENERGIA L’energia dello tsunami del 2004 era uguale a quella di 23.000 bombe di Nagasaki messe insieme.* Il terremoto del 2004 - di magnitudo 9,3 - è legato alla subduzione della placca Indo-Australiana sotto quella Birmana. Gli abitanti dei Paesi colpiti non erano stati avvisati poiché quei Paesi non sono dotati di alcun sistema di allarme, che invece è attivo da tempo negli altri Paesi costieri del Pacifico. Ma come mai il mare si era ritirato e sembrava bollire? Il motivo è che ogni onda, comprese quelle degli tsunami, ha una parte più alta, la cresta, e una bassa, il ventre. Spesso sulla costa arriva prima il ventre dell’onda, e quindi il livello del mare si abbassa e sembra quasi risucchiare l’acqua, lasciando il fondo scoperto con i pesci a secco. Anche il fatto che secondo i testimoni l’acqua sembrava bollire si spiega con il movimento dell’acqua che viene tirata indietro e forma dei vortici, cioè diventa turbolenta. Quando si manifestano questi segnali non resta molto tempo per scappare: entro pochi minuti arriva l’onda killer che non lascerà scampo, cioè la cresta dell’onda di tsunami. Gli tsunami sono comunque una prova del fatto che quasi mai si muore per il sisma, ma per i suoi effetti collaterali. * Video in inglese “Tsunami” http://oceantoday.noaa.gov/tsunamiawareness/welcome.html “Tsunami” http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=tUN_UTY0GNo “Tsunami del 2011 in Giappone” http://www.youtube.com/watch? v=Lo5uH1UJF4A&list=PL3BDBAAAA7D4EB2DA&index=6&feature=plpp_video “Tsunami del 2011 in Giappone”http://www.youtube.com/watch?v=NW7vENdDu1o&feature=fvwrel “Monitoraggio degli tsunami” http://oceantoday.noaa.gov/trackingtsunamis/welcome.html* 139 L.6.2 - CROLLI DI COSTRUZIONI Questa è la causa principale dei morti e feriti in un terremoto. Le onde sismiche fanno muovere il suolo e quindi anche tutto quello che vi è stato costruito sopra. Per essere più precisi, le onde di volume sono a frequenza più alta, quelle di superficie e frequenza più bassa. Gli edifici più alti vibrano in maniera più intensa con le frequenze basse (onde superficiali); le case più basse soprattutto con le frequenze alte (onde di volume). Se la magnitudo è di 4 o 5, la casa oscilla orizzontalmente e verticalmente, ma, se è stata costruita con criteri antisismici, non crolla. * Video in inglese “Terremoto in Giappone in diretta” http://www.youtube.com/watch?v=H2QEsEH5a1c&feature=related http://www.youtube.com/watch?v=UuWV8Yse_Jk http://www.youtube.com/watch?v=cMtFBEZQItk&feature=related* L.6.3 - FRANE E VALANGHE Sulle superfici inclinate di versanti montuosi o collinari si possono verificare frane e valanghe. Tanto per fare un esempio drammatico, nel terremoto del Perù del 1970 la caduta di una sola roccia enorme uccise 18.000 persone. L.6.4 - LIQUEFAZIONE DEL SUOLO Quando andiamo al mare e camminiamo sulla sabbia bagnata ci accorgiamo che i piedi affondano. Anche con i terremoti possono avvenire fenomeni simili, con la differenza che ad affondare sono case e fabbricati. Quando un suolo incoerente e saturo d’acqua viene attraversato dalle onde sismiche, a causa della presenza di acqua tra i suoi granuli esso si comporta come un fluido. Pertanto, le costruzioni che vi sono edificate si inclinano e sprofondano, come se si trovassero nelle sabbie mobili. La liquefazione che si ha in questo caso è una delle conseguenze più devastanti dei terremoti, come è successo in Giappone nel terremoto di Niigata del 1964. Anche nei recenti terremoti avvenuti in Emilia, nel maggio scorso, la liquefazione del suolo e del sottosuolo intriso d’acqua della pianura emiliana ha avuto effetti distruttivi sulla stabilità degli edifici * Video in italiano “Liquefazione del terreno” http://www.youtube.com/watch?v=inmTDFfYdao http://www.youtube.com/watch?v=-1JKk1n_zTU* 140 L.6.5 - INCENDI Si possono sviluppare incendi, in conseguenza dei danni alle linee elettriche e agli impianti di gas. Il terremoto di San Francisco del 1906 provocò incendi incontrollati che colpirono tutta la città: alla fine i morti furono circa 3.000. L.7 - TRA LEGGENDE E VERITÀ E ora che abbiamo conosciuto meglio i terremoti e le loro conseguenze catastrofiche, cerchiamo di capire se ciò che si sente dire sui terremoti sia vero o no. Gli animali “sentono l’arrivo di un terremoto”. Non vi sono prove. Si è detto più volte che gli animali domestici si comportano in modo strano, come se fossero agitati, anche settimane prima dell’arrivo del terremoto, e che gli animali selvatici si allontanano, come se si volessero spostare in un posto più sicuro. In realtà non si ha nessuna prova o spiegazione scientifica veramente convincente di questi segnali, anche se gli scienziati cinesi e giapponesi stanno effettuando ricerche in merito. Per quanto riguarda le persone “sensitive”, anche qui non esiste nessuna prova scientificamente sicura delle capacità, anche perché parecchie volte hanno fatto cilecca. Gli scienziati hanno gli strumenti per poter anticipare l’arrivo di un terremoto. Magari! In realtà nessuno scienziato è attualmente in grado di prevedere un terremoto maggiore (cioè con magnitudo da 7.0 a 7.9). Al contrario, in base alla sua storia, è possibile dire se una certa zona è più o meno soggetta ai terremoti. Inoltre, in relazione alle conoscenze relative alla geologia e ai tempi medi di ritorno dei sismi nel passato, si può determinare la probabilità che, in un dato territorio, si verifichi un evento sismico di un certo tipo. Per esempio la probabilità che ci sia un terremoto maggiore a San Francisco entro 30 anni è del 67%, quella che si verifichi a Los Angeles è del 60%. Negli ultimi anni sta aumentando la frequenza con cui si verificano i terremoti. In apparenza sembra proprio così: c’è stato il terremoto dell’Indonesia nel 2004 e quello in Abruzzo nel 2009; se pensiamo al 2010, ce n’è stata una serie terrificante: ad Haiti a gennaio, in Cile a febbraio (magnitudo 8,8) e in Cina ad aprile (magnitudo 6,9). Nel 2011 quello giapponese e nel 2012 in Emilia. Eppure, secondo gli scienziati, non c’è niente di anormale, anzi addirittura sembra che negli ultimi anni il numero medio di terremoti stia diminuendo! Dalle registrazioni storiche, effettuate a partire dai primi del ‘900, è stato calcolato il numero medio di terremoti potenzialmente catastrofici che dovrebbero verificarsi ogni anno nel mondo: si tratta di circa 17 terremoti maggiori (sì, avete letto bene: 17!) e di uno grande (cioè con magnitudo da 8.0 in su). * ATTENZIONE ALLE FONTI DELLE INFORMAZIONI Gioacchino Giuliani è un ex tecnico dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso, in Abruzzo, che ha fatto notizia quando ha affermato di aver trovato un metodo per prevedere i terremoti fino a un giorno prima: quando le rocce stanno per liberare l’energia dello stress, esse rilascerebbero una grande quantità di gas radon, che normalmente tengono imprigionato. Anche se Giuliani ha dichiarato di essere riuscito a prevedere il terremoto del 6 aprile 141 2009 in Abruzzo, gli scienziati sono convinti che il suo metodo non consenta di prevedere con precisione quando e dove avverrà il sisma.* Come è possibile che invece tutto sembra succedere in modo ravvicinato? Ci sono tante spiegazioni a quella che sembra una palese contraddizione. Innanzitutto la popolazione nelle zone a rischio sta aumentando, ma purtroppo spesso le nuove abitazioni che si costruiscono sono povere e non sono resistenti ai terremoti. In secondo luogo in passato si parlava meno di terremoti, anche perché i mezzi di comunicazione non erano quelli di oggi. Bisogna inoltre precisare che, anche se i terremoti sembrano arrivare tutti insieme in zone lontane del mondo, non esiste nessuna prova scientifica che vi sia un collegamento tra essi, visto che la Terra non sembra capace di trasmettere l’energia a distanze di migliaia di chilometri. I terremoti possono aprire pericolose spaccature sulla superficie? In effetti è vero. *ll crollo della sede stradale è un evento frequente: sotto le strade spesso ci sono canali e gallerie in cui passano le fogne e i tubi per l’energia elettrica, l’acqua e il gas.* La scala Mercalli afferma chiaramente che, a partire dal IX grado, possono aprirsi spaccature nel terreno che ai gradi più alti possono diventare grossi crepacci e nel recente terremoto in Emilia questo è effettivamente accaduto. Al XII grado il sisma è così violento e catastrofico che perfino il terreno si solleva e si abbassa in forme di onde. I terremoti sono favoriti da un certo tipo di condizioni meteorologiche? Assolutamente no. Sappiamo molto bene che i terremoti si scatenano in qualunque stagione e condizione meteorologica, ed è ovvio, visto che questi eventi sono causati dall’enorme energia interna del nostro pianeta e non hanno nulla a che fare con ciò che accade nell’atmosfera. Quando c’è un terremoto vai sotto la porta e ti salvi…. E’ VERO? Nelle case vecchie, la porta era sormontata da una forte architrave, divenendo così una delle parti più resistenti della casa e quindi in grado di avere qualche probabilità di restare in piedi in caso di terremoto. Nelle costruzioni moderne non è più così, quindi inutile correre il rischio di arrivarci. E allora che si fa? La soluzione migliore da seguire è quella che gli americani chiamano: “Drop, cover, hold on!”, che significa “Buttati, copriti, resisti!”. Quando ci si trova in casa, infatti, la cosa più sicura è buttarsi per terra sotto un tavolo, o se si è a scuola sotto un banco. E se questo non è possibile, tanto vale coprirsi la testa con le braccia e rimanere in un angolo accucciato, soprattutto lontano dalle finestre, i cui vetri si frantumano facilmente, divenendo pericolosissimi. Se si è a letto, tanto meglio rimanerci e coprirsi il viso con un cuscino, visto che un lampadario potrebbe caderci in testa e se ci si muove, ci si rischia di ferire per le schegge di vetro che sono per terra. Sicuramente sono da evitare gli ascensori, così come la tentazione di scappare per la strada: si è visto che la maggior parte dei pericoli si corrono quando le persone tentano di lasciare l’edificio dove si trovano o di spostarsi da un posto all’altro. Se siamo all’aperto, tanto vale restarci, portandosi lontano dagli edifici, visto che quasi mai la terra che trema fa morire le persone, contrariamente ai muri dei palazzi che possono crollare. 142 Ovviamente bisogna stare lontani dai fili elettrici e dai lampioni e, se si sta guidando, è meglio fermarsi e aspettare, ovviamente evitando cavalcavia, lampioni, alberi e fili elettrici. E quando si è rimasti sotto le macerie che si deve fare? È importante cercare di coprirsi la bocca con un fazzoletto ed evitare di urlare se proprio non è l’ultima spiaggia: potremmo essere soffocati dalla polvere. Meglio cercare di battere sopra i tubi o i muri per farsi sentire dai soccorsi, e comunque mai accendere una fiamma per vederci meglio: rischiamo di saltare in aria per il gas che potrebbe essere uscito dagli impianti distrutti. * Fermare i terremoti è impossibile, come praticamente impossibile è anche prevederli.* La cosa migliore che possiamo fare è cercare di prevenire i danni a cose e persone, costruendo abitazioni e strutture antisismiche e imparando come comportarsi quando arrivano i terremoti. (PER I PIU’ CURIOSI Consulta il sito dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia: www.ingv.it/) * UN PO’ DELLA NOSTRA STORIA…. Terremoto a Messina 1908 http://www.youtube.com/watch?v=qoiEZ0CRCOo&feature=related Terremoto in Friuli 1976 http://www.youtube.com/watch?v=1Vx5Lw7r95E Terremoto in Irpinia 1980 http://www.youtube.com/watch?v=aiChLi0eE_o&feature=related Terremoto Umbria-Marche 1997-98 http://www.youtube.com/watch?v=YtfzWSYIvMI Terremoto a San Giuliano di Puglia 2002 http://www.youtube.com/watch?v=wGYBHcgQep4 Terremoto a L’Aquila 2009 http://www.youtube.com/watch?v=mP8Fw4mZiTU&feature=related Terremoto in Emilia 2012 http://www.youtube.com/watch?v=6bnE9JjSjRA 150 anni di storia sismica in Italia http://www.youtube.com/watch?v=iZwEv9P_djg* DOMANDE PER IL RIPASSO MODULO L 1. In che cosa consiste la litosfera? 2. Qual è il movimento delle placche in corrispondenza di margini convergenti? Per quale motivo questi margini si definiscono anche distruttivi? 3. Qual è il movimento delle placche in corrispondenza di margini divergenti? Per quale motivo questi margini si definiscono anche costruttivi? 143 4. Come è possibile che ammassi rocciosi possano piegarsi? 5. In corrispondenza di quali tipi di margine è abbondante la presenza di pieghe rocciose? 6. In che cosa consistono le faglie? 7. Quali tipi di faglie si possono distinguere? In corrispondenza di quali tipi di margine si possono trovare? 8. Perché i terremoti si manifestano solo lungo determinate direzioni e vaste regioni, o continenti, non ne sono colpite? 9. Per quale motivo i terremoti tendono a ripetersi nel tempo nelle medesime zone del pianeta? 10.Descrivi l'origine dei terremoti. 11. Descrivi le onde sismiche e gli effetti che esse provocano. 12.In cosa consiste la magnitudo? 13.È possibile dare un singolo e ben preciso valore di magnitudo a un terremoto? Motivare la risposta. 14.È possibile dare un singolo e ben preciso valore di intensità a un terremoto? Motivare la risposta. 15.Descrivi l'origine dei terremoti 16.Descrivi le onde sismiche e gli effetti che esse provocano 17.Perché le catene montuose sono nelle posizioni attuali? 18.Perché le montagne più alte si trovano in Asia? 19.Perché le Ande corrono lungo il margine occidentale dell’America del Sud? 20.Perché in Africa non vi sono grandi catene montuose? 21.Perché in Europa le Alpi sono le uniche catene montuose con altezze notevoli? 22.Perché nell’Oceano Pacifico vi sono così tante isole e così poche nell’Atlantico? 23.Perché i vulcani sono presenti in particolari aree, soprattutto nel Pacifico, e assenti in quasi tutti i continenti? 24.Perché in Africa i laghi sono concentrati nella parte orientale, nel corno d’Africa? CACCIA ALL’ERRORE MODULO L 1. La litosfera è suddivisa in placche rigide immobili incastrate l’una contro l’altra come i pezzi di un puzzle. 2. I margini costruttivi sono chiamati in questo modo a causa della corrispondente formazione di catene montuose. 3. Le pieghe nelle rocce si formano solo in rocce vulcaniche quando queste sono ancora calde e deformabili. 4. Le faglie dirette si formano quando una porzione di roccia sale direttamente sopra quella disposta a fianco. 144 5. Le faglie inverse si formano quando un ammasso roccioso è stirato da forze distensive dirette in direzioni opposte (<--- --->) 6. I terremoti a ipocentri profondi si verificano normalmente in corrispondenza di margini divergenti, quando una placca scivola sotto l’altra e scende nel mantello. 7. Le onde P, che si propagano più velocemente delle altre, sono quelle che causano i danni maggiori. 8. Le onde di superficie si generano a partire dall’ipocentro, quando le onde P e S interagiscono tra loro. 9. Magnitudo e intensità di un terremoto sono direttamente correlate, poiché all’aumentare dell’una, aumenta necessariamente anche l’altra. 10.Gli tsunami sono onde alte fino a 800 metri che viaggiano a grandi velocità, anche superiori a 100 chilometri orari. 11. La liquefazione del suolo è un fenomeno caratteristico di suoli rocciosi molto fratturati e saturi d’acqua. 12.I continenti coincidono con le placche litosferiche 13.Lo sprofondamento di una placca oceanica sotto una placca continentale determina la formazione di una dorsale 14.L’oceano Pacifico si sta allargando mentre l’oceano Atlantico si sta restringendo 15.Le aree dorsali sono aree molto stabili della litosfera 16.La crosta oceanica è più leggera della crosta continentale 17.La crosta continentale è più leggera della crosta oceanica 18.Quando due placche continentali si scontrano si forma sempre una catena vulcanica 19.Le dorsali si formano lungo i margini convergenti di due zolle oceaniche 20.Una fossa oceanica si forma lungo un margine divergente 21.Le rocce dei fondali oceanici hanno la stessa età di quella dei continenti 22.Lungo i margini trascorrenti non si generano terremoti 23.Le rocce intrusive hanno tutte struttura granulare 24.Le rocce intrusive diventano sedimentarie 25.La scistosità è tipica di tutte le rocce metamorfiche 26.I minerali hanno sempre struttura cristallina 27.Le rocce ignee intrusive hanno struttura vetrosa 28.Tra le rocce effusive predomina il granito 29.La crosta oceanica è costituita da granito 30.La ghiaia e la sabbia non sono rocce 145 MODULO M - LA TERRA UN PIANETA DINAMICO:VULCANI Isola di Luzon, Filippine, 15 giugno 1991: il vulcano Pinatubo si risveglia dopo 500 anni. Si solleva una quantità enorme di cenere e gas incandescenti, si scatenano terremoti e sfortunatamente, proprio in quel giorno, arriva anche un tifone con piogge fortissime che si uniscono alla cenere, formando una miscela letale che si accumula su tutta l’isola e sfonda i tetti delle case: 800 persone perdono la vita e 100.000 restano senza tetto. Nei mesi successivi le piogge trascinano i detriti che si sono depositati formando fiumi di fango, che seppelliscono le case e uccidono altre persone. Le conseguenze di questa spaventosa eruzione hanno influito sul clima di tutto il mondo. Il vulcano ha proiettato fino alla stratosfera milioni di tonnellate di diossido di zolfo, che si sono trasformati in una nebbia di acido solforico; per i tre anni successivi all’eruzione del Pinatubo, questa nebbia ha ostacolato il passaggio dei raggi solari e la temperatura globale è scesa di 0,5-0,6 °C. Anche l’ozono nella stratosfera è stato danneggiato dall’acido solforico. L’eruzione del vulcano Pinatubo è stata la seconda più potente del XX secolo, e poteva diventare una tragedia ancora più tremenda se gli scienziati non si fossero accorti dei segnali premonitori e non avessero dato l’allarme; in questo modo, moltissime persone sono state fatte evacuare e si sono salvate. Durante tutta la storia dell’uomo, i vulcani sono stati sempre una minaccia: ma come si generano?. M.1 - LE ERUZIONI VULCANICHE Scendendo in profondità, sotto la superficie terrestre, la temperatura aumenta sempre più e, a un certo punto, si determinano le condizioni per la fusione delle rocce e la formazione del magma. Il magma è una massa incandescente che si forma nel sottosuolo ed è costituita da un miscuglio di minerali allo stato liquido, di frammenti rocciosi solidi e di sostanze aeriformi disciolte nella massa fluida. Data la sua densità, generalmente minore rispetto alle rocce solide circostanti, il magma risale verso la superficie, raccogliendosi in serbatoi definiti camere magmatiche. A volte, esso riesce a trovare una via di accesso verso la superficie: a causa della pressione litostatica che diminuisce sempre di più, il magma diviene più fluido e i materiali aeriformi tendono a separarsi dalla massa fluida, formando bolle di gas. Quando il magma, nei suoi movimenti sotterranei, viene a contatto con zone in cui la roccia è più “debole” o fratturata, tende a fuoriuscire, originando un vulcano. *VULCANO: apertura della crosta terrestre dalla quale fuoriesce il magma. Il termine deriva dal nome del dio romano del fuoco.* Le spaccature o aperture circolari superficiali di un vulcano sono chiamate crateri. Quando il magma raggiunge la superficie, si ha l’eruzione vulcanica, i gas si liberano nell’atmosfera e il magma diventa lava. Con un recente conteggio sono stati individuati sul nostro pianeta più di 10.000 vulcani, tra i quali solo 1511 hanno eruttato durante gli ultimi 10.000 anni. Di 805 tra essi conosciamo la data reale di almeno un’eruzione. La maggior parte dei vulcani sulla Terra si trovano intorno all'orlo dell'Oceano Pacifico. Sono distribuiti a partire dall’estremità Sud del Cile, attraverso il Messico, Stati Uniti, fino all'Alaska; la successione prosegue, dopo lo stretto di Bering, in Kamchatka, Giappone, Filippine, attraverso l'Indonesia e intorno alla Papua-Nuova Guinea, fino alle isole Tonga e alla Nuova Zelanda. Ci sono altri vulcani, naturalmente, quali ad esempio quelli delle Hawaii, dell’Islanda e del bacino del Mediterraneo (Isole Eolie, Etna, Vesuvio). 146 M.2 - TIPI DI MAGMA E DI VULCANISMO Se si analizzano la struttura degli edifici vulcanici, il tipo di eruzione, la fluidità di magma e lava e le loro caratteristiche chimiche, ci si rende conto che tutti questi fattori sono correlati tra loro. Al variare di queste caratteristiche, cambia anche il grado di pericolosità di un’eruzione vulcanica. (APPROFONDIAMO LA NASCITA DI UN VULCANO 20 febbraio 1943. Un contadino sta lavorando nel suo campo in Messico quando si ferma confuso e spaventato: la terra trema e strani rumori si diffondono nell’aria. Non molto lontano dal posto in cui si trova, la terra si solleva e da essa si fuoriesce una grande quantità di fumo bianco e denso. Non ha mai visto nulla del genere, ma è convinto che, come ogni cosa, anche quella stranezza preoccupante cesserà. E invece si sbaglia: i giorni seguenti le cose peggiorano e i rumori diventano boati, il fumo comincia a tingersi di rosso e diventa più scuro e alto. Non se ne rende ancora ben conto, ma sta vivendo un’esperienza unica e difficilmente ripetibile: sta assistendo alla nascita di un nuovo vulcano! Nel giro di qualche settimana l’edificio vulcanico raggiunge i 450 metri, crescendo rapidamente. La cosa interessante è che, come tutti i vulcani, erutta grandi quantità d’acqua - ben 13.000 tonnellate al giorno - scagliate nel cielo, dove si condensano e producono violenti acquazzoni. Un vulcano ha il suo cuore pulsante nelle profondità della crosta terrestre dove, si trova un’enorme cavità, detta camera magmatica, piena di roccia fusa caldissima proveniente da zone ancora più profonde. Può rimanere immobile per lungo tempo, in un delicato equilibrio, come un masso in bilico su un dirupo. Un masso potrebbe rimanere così per sempre oppure rotolare a valle con violenza e fragore; lo stesso accade nella camera magmatica: se l’equilibrio si rompe, il magma sale verso la superficie e fuoriesce, a volte generando quieti fiumi di lava oppure esplosioni con proiezione di frammenti ed emissione di forti boati. Il contadino messicano deve ringraziare il cielo di essere stato l’unico al mondo ad aver assistito a un vero e proprio parto vulcanico e che questo non si sia verificato esattamente sotto i suoi piedi… Oggi quel vulcano è diventato un gigante di oltre 2808 metri, piuttosto vivace e vitale: il suo nome è Paricutin.) (APPROFONDIAMO LA SCOMPARSA, APPARENTE, DI UN VULCANO Nel 1831, tra Sciacca e l'isola di Pantelleria, quasi d’improvviso, si sollevò dalle acque l'Isola Ferdinandea, che crebbe fino a un’altezza di 65 m per una superficie di circa 4 km². 2 agosto il capitano Sanhouse piantava la bandiera inglese nel punto più alto dell’isola, battezzandola “Isola di Graham”; il 17 agosto Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, con atto regio la annesse al proprio regno col nome di “Isola Ferdinandea”, con cui è tuttora conosciuta, in onore di se stesso. Per il popolo era soltanto “l’isola di Sciacca”, mentre i Francesi che la studiavano la chiamavano “Giulia” . In effetti, la nuova isola era assai interessante per la sua posizione: per gli Inglesi poiché era sulla rotta per Malta e volevano farne un eccellente avamposto a ridosso del regno borbonico; per i Francesi, che ritenevano di essere sbarcati per primi, per Ferdinando II, che non voleva essere da meno vista la vicinanza alla Sicilia. L’incidente diplomatico era in agguato, tuttavia l’isola era composta prevalentemente da materiale eruttivo facilmente erodibile dall'azione delle onde. Inoltre, a conclusione dell'episodio eruttivo, l’area 147 fu sottoposta a una rapida subsidenza e l'isola scomparve definitivamente sotto le onde nel gennaio del 1832, togliendo dall’imbarazzo tutte le nazioni pretendenti. Ferdinandea si presentava con una tipica forma conica, e i materiali tefritici componevano interamente la sua struttura. Si formarono inoltre due laghetti ricchi di acido solforico, costantemente in ebollizione, situati all'esterno del vulcano. Ferdinandea, tuttavia, è solo la “punta di un iceberg”: recenti ricerche oceanografiche hanno evidenziato che essa non è altro che uno dei coni accessori di un grande vulcano sottomarino chiamato Empedocle, paragonabile all'Etna per larghezza della base, che si eleva mediamente di circa 500 metri dal fondo del mare.) Tutte queste caratteristiche sono legate al chimismo del magma; si possono, in merito, distinguere tre situazioni-tipo, elencate di seguito. M.2.1 - MAGMA MAFICO O BASICO I magmi di questo tipo contengono poca silice (SiO2), molto ferro e magnesio. Sono generalmente caratterizzati da alte temperature, fino a 1.200°C, e da elevata fluidità, quindi sono in grado di salire più rapidamente verso la superficie e, all’atto dell’eruzione, i gas disciolti e le bolle di gas si liberano facilmente in atmosfera. A magmi basici corrispondono eruzioni effusive, caratterizzate da lava molto fluida, che scorre formando colate abbastanza veloci, ma non tali da impedire alle persone di fuggire. La lava caratteristica di questo tipo di eruzione è quella basaltica; la roccia che si forma è il basalto, la roccia ignea effusiva più diffusa sulla superficie del nostro pianeta: enormi colate di basalto costituiscono, infatti, il fondo roccioso dei fondali oceanici. Sulla terraferma, fenomeni abbastanza comuni connessi a questo tipo di vulcanismo sono i laghi e le fontane di lava (caratteristici sono quelli delle isole Hawaii). M.2.2 - MAGMA INTERMEDIO O NEUTRO Questi tipi di magma contengono quantità intermedie di silice, e sono caratterizzati da una viscosità più elevata e temperature più basse rispetto a quelle dei magmi mafici. Quando questi magmi fuoriescono dalla superficie terrestre, essi formano la cosiddetta lava andesitica, chiamata così poiché i rilievi vulcanici che formano le Ande emettono una lava di questo tipo. M.2.3 - MAGMA FELSICO O ACIDO Si tratta di magmi che contengono molta silice, ma anche più alte concentrazioni di sodio e potassio. La loro temperatura è generalmente meno elevata, attorno ai 700°C, e sono molto viscosi. L’elevata viscosità fa sì che essi scorrano lentamente all’interno della crosta terrestre. Sovente questo tipo di magma solidifica prima di giungere in superficie, generando grandi accumuli di rocce ignee intrusive al di sotto della superficie terrestre, in particolare nella parte mediana e profonda delle catene montuose generate da processi di orogenesi. Se sottoposto a pressioni molto elevate, questo tipo di magma può giungere in superficie e generalmente dà luogo a eruzioni esplosive molto violente. 148 In questi casi i gas vulcanici faticano a separarsi dal magma e le rocce che si formano dalla sua solidificazione sono sovente ricche di cavità e alveoli che conservano i gas vulcanici. I due tipi di lava felsica più importanti sono quella dacitica e quella riolitica, che è ancora più viscosa. Le eruzioni esplosive sono ovviamente le più catastrofiche: nelle fasi di attività, i vulcani che emettono magma felsico alternano attività eruttiva ad attività esplosiva. Le esplosioni possono anche essere molto violente e comportare la polverizzazione e la proiezione verso l’alto di parti più o meno ingenti dell’edificio vulcanico, misti a frammenti di lava. Alle eruzioni esplosive sono associati fenomeni assai pericolosi per le popolazioni che vivono in prossimità del vulcano, come ad esempio le nubi ardenti. È un po’ quello che succede quando prendiamo la bottiglia di una bibita gasata e la agitiamo forte; in quel momento il gas si sta separando dal liquido formando una schiuma che schizza fuori senza controllo, appena stappiamo la bottiglia. Il paragone è piuttosto azzeccato se pensiamo che uno dei gas principali espulsi dai vulcani è proprio la stessa anidride carbonica delle bottiglie di bevande frizzanti. M.3 - COSA ESCE DA UN VULCANO. Effusivo o no, il materiale incandescente espulso con l’eruzione si deposita intorno al vulcano, si raffredda piano piano e genera così un rilievo chiamato cono o edificio vulcanico; il cratere principale si trova generalmente nella parte centrale del vulcano e un canale, il condotto principale, collega la camera magmatica alla bocca. In caso di eruzioni esplosive, il vulcano scaglia nell’aria frammenti di lava, ceneri e pezzi di roccia solida come la pomice: questi proiettili micidiali prendono il nome di tefra e hanno nomi che cambiano in base alle loro dimensioni: Ceneri, larghi meno di 2 mm; Lapilli, larghi tra 2 e 64 mm; Blocchi, larghi più di 64 mm. Quando la tefra si deposita sul suolo può cementarsi e formare depositi sedimentari definiti piroclastici. Il tufo è un esempio di roccia piroclastica. Le ceneri più fini possono oscurare il cielo, quelle più grossolane si depositano sulla superficie terrestre e, se si accumulano in spessori rilevanti, possono portare al cedimento delle coperture di edifici e abitazioni: il rischio è maggiore quando vengono impregnate di acqua con la pioggia. Se ceneri fini si diffondono in zone antropizzate, possono essere pericolose anche per gli esseri umani, in quanto sono irritanti per occhi e polmoni. * PIROCLASTO: il termine che deriva dal greco pyros (fuoco) e klastos (rotto) e si riferisce a un detrito scagliato in aria da un’eruzione.* M.4 - FENOMENI CONNESSI ALLE ATTIVITÀ VULCANICHE. Il 14 aprile 2010, sotto il ghiacciaio che lo copriva, il vulcano islandese Eyjafjallajökull è entrato in eruzione, diventando famoso per la sua nuvola di ceneri che ha creato problemi soprattutto alla circolazione aerea, visto che i materiali più fini, dannosi per i motori, sono stati trasportati dai venti anche a grandi distanze, costringendo alla cancellazione di tantissimi voli negli aeroporti del Nord Europa. Purtroppo la minaccia di un’eruzione vulcanica non finisce qui. 149 Le parti più pesanti di un’eruzione esplosiva, pezzi dell’edificio vulcanico e frammenti di lava, mescolate a gas micidiali, perdendo energia, ricadono per gravità e scendono come flussi incandescenti dai fianchi di un vulcano a più di 80 km/h e con temperature comprese tra i 200°C e gli 800°C! Si scatenano così alcune tra le manifestazioni più tremende dei vulcani, chiamate nubi ardenti ricadenti. Esse formano colate piroclastiche (o flussi piroclastici), capaci di travolgere e bruciare tutto quello che trovano sulla loro strada anche a distanza di chilometri, uccidendo uomini e animali, prima di arrestarsi a decine di chilometri di distanza. Se, a causa della parziale ostruzione del condotto vulcanico, l’esplosione avviene lateralmente, la nube scarica la sua energia scorrendo direttamente lungo il pendio a grande velocità; in questo caso si parla di nube ardente discendente. Hanno pagato le conseguenze di queste manifestazioni gli abitanti delle città di Ercolano e Pompei, che si trovavano vicino Napoli, seppellite da un’eruzione esplosiva del Vesuvio nel 79 d.C. Quando queste nubi ardenti sono costituite soprattutto da gas, esse diventano ancora più veloci e prendono il nome di ondate piroclastiche, come quella che, nel 1902, uccise quasi 30.000 persone, durante l’eruzione del Monte Pelée, nei Caraibi. *Video in inglese “Nubi piroclastiche” http://www.youtube.com/watch?v=yvG_N7eqMWk* Tuttavia, la forma più devastante in assoluto 150di queste esplosioni sono le cosiddette nubi ardenti traboccanti che fuoriescono da fessure lunghe anche chilometri, invece che da bocche vulcaniche circoscritte, arrivando anche a centinaia di chilometri dal luogo di emissione; la loro velocità può raggiungere i cento chilometri orari! Quando i detriti ancora caldi (oltre i 500°C) trasportati dal flusso piroclastico si saldano, formano una roccia chiamata ignimbrite. Un altro tipo di flusso, chiamato lahar (termine della lingua indonesiana), può svilupparsi quando il materiale eruttato fonde il ghiaccio e la neve eventualmente presenti sui fianchi del vulcano, oppure quando l’acqua di un lago o forti piogge trascinano i detriti piroclastici che si sono accumulati con l’eruzione. Si assiste alla formazione di fiumi terrificanti di acqua, fango e frammenti rocciosi, che possono raggiungere anche velocità di decine di metri al secondo, travolgendo e seppellendo tutto quello che incontrano. Dall’Eyjafjallajökull sono colati lahar, ma per fortuna la popolazione era stata evacuata per tempo. Anche dopo l’eruzione del Pinatubo, l’erosione prodotta dalle piogge abbondanti ha continuato per diversi anni a scatenare lahar, che hanno distrutto le case di più di 100.000 abitanti. * Video in inglese “Lahar vulcanico dal monte Ruapehu” http://www.youtube.com/watch?v=5x5tZAHEoRU&feature=relmfu* E la lava? In genere le colate di lava sono meno pericolose per le persone, poiché non sono veloci come i flussi piroclastici e i lahar, e si ha più tempo per mettersi in salvo. La pericolosità dipende da vari fattori, come il tipo di lava, la pendenza del versante e la larghezza dello spazio dove scorre. La lava basaltica, che è più fluida, scorre più velocemente e può arrivare a 150 più di 30 km/h se scorre in canali molto inclinati; la lava andesitica, più viscosa, si muove a pochi chilometri all’ora; la lava dacitica e quella riolitica, che sono ancora più viscose, sono le più lente e per fortuna non riescono a superare pochi metri all’ora; questi ultimi due tipi di lava, raffreddandosi, formano cupole, chiamate domi di lava. Anche se è possibile evitarla, la lava riesce comunque a travolgere e bruciare tutto quello che incontra, e a causare la morte in modo indiretto. Ad esempio i domi di lava possono collassare e formare flussi piroclastici, la lava può fondere ghiaccio e neve scatenando i lahar. In altri casi, se entra in contatto con l’acqua presente nel suolo e sottosuolo, la lava può determinarne il rapido riscaldamento e successiva ebollizione, generando esplosioni freatiche e una serie di fenomeni definiti, nel loro insieme, con il termine di vulcanismo idromagmatico. Fu proprio questo tipo di fenomeni a rendere ancora più devastante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Le eruzioni nascondono anche un altro pericolo: i gas vulcanici tossici che possono causare la morte per asfissia e avvelenamento. Abbiamo visto che questi gas sono sciolti nel magma, e che vengono espulsi in modo tranquillo con le eruzioni effusive o violento con quelle esplosive. I gas liberati sono soprattutto il diossido di carbonio (CO2), il diossido di zolfo (SO2), il monossido di carbonio (CO), il cloruro di idrogeno (HCl), il solfuro di di-idrogeno (H2S) e il fluoruro di idrogeno (HF). Questi gas inquinano l’atmosfera e non solo diventano un pericolo per la vita, ma, se vengono spinti in alto fino alla stratosfera, possono influenzare il clima a livello globale. *Video in inglese “Lava alle Hawaii” http://www.youtube.com/watch?v=xK2WGBn8Ojs&feature=related “Lava basaltica fluida del vulcano Erta Ale, Etiopia” http://www.youtube.com/watch?v=WsiQ7hiIbkY “Lava a corde” http://www.youtube.com/watch?v=cPcuFHIVUcI&feature=related “Crollo di un domo e flusso piroclastico al vulcano Unzen” http://www.youtube.com/watch?v=Cvjwt9nnwXY&feature=related* * PER I PIÙ CURIOSI Cerca su internet informazioni sulla recente eruzione del vulcano Eyjafjallajökull.* M.5 - CARATTERISTICHE DEGLI EDIFICI VULCANICI “I tanti volti di un vulcano” Quando ci immaginiamo un vulcano pensiamo alla classica forma a cono con al centro il cratere e magari con un po’ di neve, come ad esempio il Monte Fuji del Giappone. In effetti, questa è la forma di tanti vulcani, ma non è l’unica, poiché ne esistono almeno tre, in base al tipo di eruzione. M.5.1 - STRATOVULCANI Già il nome di questi vulcani ci suggerisce qualcosa su come sono fatti: sono costituiti da strati alternati di lava viscosa e di tefra, poiché l’eruzione può alternare fasi effusive a fasi esplosive. 151 La lava può fuoriuscire da un cratere centrale, da crateri laterali o da fessure sui fianchi del vulcano, e ci possono essere anche più crateri vicini. Il Vesuvio, lo Stromboli e l’Etna in Italia, il Monte Fuji in Giappone, il Kilimanjaro in Africa, sono tutti stratovulcani. M.5.2 - Coni di cenere Questo tipo di vulcani sono i più semplici e si formano quando la lava di un’eruzione esplosiva si raffredda improvvisamente e si deposita come ceneri tutto intorno alla bocca vulcanica. I coni di cenere non crescono mai molto. In genere non sono pericolosi, perché quasi sempre l’eruzione che forma i coni di cenere è la prima e anche l’ultima. Si trovano soprattutto nel Nord America. In Italia c’è il Monte Nuovo, vicino Napoli. Il più famoso è il Paricutín, in Messico, che si è formato nel 1943 da un’eruzione che ha accumulato quasi 400 metri di ceneri e poi ha emesso colate di lava, seppellendo i villaggi vicini. *Mojo. Alcantara: è un cono vulcanico dell’Etna: è una struttura nata da un evento avvenuto nel lontano passato, ora coperta di vegetazione molto rigogliosa.* M.5.3 - Vulcani a scudo Se la lava è molto calda e fluida, come quella basaltica, essa esce dalla bocca o dalle bocche del vulcano e si diffonde tutto intorno formando, quando si solidifica, un rilievo vulcanico molto più sviluppato in larghezza che in altezza, che ricorda lo scudo tondo di un guerriero posato a terra. La lava esce anche in questo caso da crateri o altre spaccature sui fianchi del vulcano. Tra i più noti vulcani a scudo, vi sono gli hawaiani Mauna Loa e Kilauea e quelli islandesi. Il Mauna Loa è, tra l’altro, il più grande rilievo esistente sul nostro pianeta: la quota della sua vetta supera i 4 chilometri sul livello del mare, ma esso si eleva dal fondale oceanico, posto a più di 5 chilometri di profondità al di sotto della superficie marina, per un totale di più di 9 chilometri di altezza e 250 chilometri di base! * PER I PIÙ CURIOSI Visita il sito dell’Osservatorio vesuviano. http://www.ov.ingv.it/OV/* M.5.4 - Vulcani lineari Si formano lungo spaccature che penetrano profondamente nell’interno della Terra e dalle quali, se è fluida, la lava fuoriesce espandendosi lateralmente per chilometri e chilometri, oppure, se è viscosa, in modo esplosivo, producendo forti emissioni di micidiali gas e materiali incandescenti. * Una catena vulcanica si estende per 120 km nel rift islandese.* Un’enorme attività vulcanica di tipo lineare è quella che ha prodotto gli immensi plateau basaltici nel Deccan, in India, le cui dimensioni sono enormi. Questa immane attività vulcanica di fine periodo Cretaceo, con immissione in atmosfera di ingentissime quantità di gas e particelle, potrebbe essere stata la causa, secondo alcuni scienziati, della estinzione di massa di fine era Mesozoica, conosciuta come l’era dei dinosauri. 152 Quando l’eruzione è esplosiva e la camera magmatica si svuota rapidamente, la parte superiore può collassare e crollare all’interno della sottostante camera semivuota: in questo modo si formano le cosiddette caldere. * La valle del Bove dell’Etna. La formazione di questa depressione viene fatta risalire a 64.000 anni fa a causa del collasso di due edifici vulcanici predecessori dell'Etna. Lo sprofondamento dei due crateri formò una caldera profonda 1 chilometro e larga 5 chilometri.* * Video in inglese “Eruzione lineare alle Hawaii” http://www.youtube.com/watch?v=WwBVG0Si7rs&feature=related* Un caso esemplare è quello dell’antica isola mediterranea di Thera, oggi conosciuta come Santorini. L’antica isola non era altro che un grande vulcano che nel 1623 a.C., secondo la datazione radiometrica, si risvegliò in modo estremamente violento. Il rapido svuotamento della camera magmatica portò al crollo della parte sommitale: di conseguenza si formò una larga depressione, una caldera, invasa dal mare e oggi divenuta una splendida laguna. Le città dell’isola che non sprofondarono nel mare furono sepolte sotto decine di metri di pomici, mentre un maremoto, con onde alte qualche decina di metri e con velocità stimata attorno ai 300 km/h, si abbatté su Creta, devastandola e distruggendo di fatto la splendida civiltà minoica. Oggi, tra le caldere esplosive, possiamo annoverare quella di Yellowstone, negli USA; in Italia vi sono i Campi Flegrei nelle vicinanze di Napoli e le depressioni occupate dai laghi di Albano e di Nemi, nel Lazio. Anche la caldera del vulcano di Toba, in Indonesia, è diventata un lago, dopo una violenta eruzione. * PER I PIÙ CURIOSI - Cerca su internet informazioni e immagini sulla caldera di Yellowstone e sui laghi di Albano e Nemi.* M.6 - QUANDO UN VULCANO È “SUPER”. A Yellowstone ci sono 3 caldere che si sono formate negli ultimi 2 milioni di anni. Ogni caldera è stata provocata da un’eruzione esplosiva devastante, l’ultima delle quali è avvenuta 640.000 anni fa. Secondo gli scienziati la possibilità che a breve ci possa essere un’eruzione a Yellowstone è piuttosto remota: non dovrebbe accadere nei prossimi secoli e neanche nei prossimi millenni, poiché la probabilità che succeda è la stessa che ci cada in testa un asteroide di 1 km. Yellowstone e Toba hanno un’altra cosa in comune: quella di nascondere un vulcano davvero fuori dal comune! Per capire che significa, dobbiamo sapere che la potenza esplosiva di un’eruzione si misura con una scala, in maniera analoga a quanto già visto per i terremoti. Questa scala è costruita sulla base dei diversi valori che può assumere un particolare parametro, detto indice di esplosività vulcanica, VEI (Volcanic Explosivity Index), che tiene conto del volume e dell’altezza della nuvola di detriti generata durante un’eruzione. Quando un vulcano riesce a sprigionare più di 1.000 Km3 di pomici e ceneri, allora l’eruzione è classificata come VEI 8 e il vulcano viene denominato supervulcano. Per fortuna i supervulcani nel mondo non si risvegliano tanto spesso: l’ultima eruzione di questo tipo risale a quasi 27.000 anni fa in Nuova Zelanda, con l’eruzione del vulcano Taupo. 153 Con la loro potenza, i supervulcani hanno provocato la formazione di grandi caldere: l’eruzione che ha generato la caldera attualmente occupata dal Lago di Toba potrebbe aver scatenato un’apocalisse quando il supervulcano è esploso 74.000 anni fa. Tra le conseguenze dell’eruzione di un supervulcano, vi sono altri elementi da considerare: è noto che le ceneri e i gas di un’eruzione riescono a salire fino alla stratosfera, ma, mentre le ceneri ricadono al suolo dopo qualche settimana, i gas come l’SO2 (diossido di zolfo o anidride solforosa) reagiscono chimicamente con l’acqua, l’ossigeno e le particelle dell’aria, formando una nebbia di goccioline, tecnicamente aerosol, che restano in atmosfera per anni. Quando il supervulcano di Toba ha scatenato l’inferno, emanando miliardi di tonnellate di diossido di zolfo, l’aerosol di acido solforico, si è sparso nell’atmosfera ed è rimasto in sospensione per anni, ostacolando il passaggio dei raggi solari, con conseguente raffreddamento della troposfera a livello globale. Abbiamo già visto una cosa del genere con l’eruzione del Pinatubo, ma quando eruttò il vulcano Tambora in Indonesia nel 1815, l’atmosfera si raffreddò di 3°C e il 1816 fu chiamato l’anno senza estate . Nel caso del vulcano di Toba, la quantità di aerosol scagliata dall’eruzione deve essere stata così immensa che alcuni scienziati pensano che sia cominciato un “inverno vulcanico” capace di abbassare la temperatura di 3-5°C e dare l’avvio a un periodo di glaciazioni! Questo non è stato l’unico problema: l’acido solforico ricade al suolo in forma di piogge acide, danneggiando le piante, modificando le caratteristiche chimiche del suolo e distruggendo le foreste. Inoltre, se il diossido di zolfo raggiunge la stratosfera, esso innesca reazioni chimiche con composti a base di cloro e di azoto; si forma così la molecola di monossido di cloro (ClO), che distrugge l’ozono (O3) e apre la porta ai raggi UV. Uno scenario da apocalisse che secondo gli scienziati più pessimisti potrebbe aver sterminato quasi tutti gli esseri umani che vivevano sul pianeta, lasciandone solo poche migliaia: la specie umana avrebbe rischiato seriamente l’estinzione, e noi ora saremmo i discendenti dei pochi fortunati sopravvissuti… * KRAKATOA Il vulcano Krakatoa in Indonesia è esploso il 27 agosto 1883 con una potenza di 500 megatoni; il boato si è sentito fino a 5.000 km di distanza. Oltre alla nuvola di ceneri e pomice l’eruzione ha provocato uno tsunami, con onde alte fino a 40 m; le vittime sono state più di 30.000. Il cielo è diventato più scuro per anni dopo l’eruzione, e la temperatura globale si è abbassata di 1,2 °C.* Precisiamo che questa teoria non convince tutti, anzi molti altri scienziati pensano che sia eccessiva, ma è tuttavia interessante per comprendere l’estrema pericolosità dell’esplosione di un supervulcano. Esiste oggi un modo per controllare i vulcani più pericolosi del mondo, come la caldera di Yellowstone, e prevedere in anticipo il loro risveglio? In effetti, i vulcanologi hanno imparato a sorvegliare continuamente i vulcani per controllare i loro segnali: il magma di un vulcano riscalda le rocce e le fa muovere su e giù (più tecnicamente sollevamento e subsidenza), e provoca anche tremori, terremoti leggeri e fuoriuscite di gas. Anche la composizione chimica di questi ultimi e le loro percentuali relative possono variare significativamente e vanno studiate con attenzione. Tutte queste analisi possono essere utilissime per stabilire se il vulcano sta per scatenarsi. Ecco come hanno fatto i vulcanologi a prevedere l’eruzione tremenda del 154 Pinatubo e a dare l’allarme: in assenza di allarme, il numero di vittime sarebbe stato enormemente più alto. M.7 - MANIFESTAZIONI TERMO-FREATICHE Il parco di Yellowstone è famoso anche per le sue manifestazioni termo-freatiche. Nelle zone vulcaniche, l’acqua sotterranea può essere riscaldata da una camera magmatica vicina; essa, se riesce a farsi strada attraverso le spaccature delle rocce, può uscire in superficie formando sorgenti calde. Può capitare che quest’acqua surriscaldata resti sotto pressione dentro le rocce, ma quando riesce a risalire, schizza fuori violentemente e si trasforma per buona parte in vapore, poiché la pressione sull’acqua rapidamente diminuisce: si forma così un geyser. Yellowstone è ricco di sorgenti calde e geyser, ma non sempre dal terreno esce solo acqua: in alcuni punti vi sono sorgenti chiamate fumarole, che liberano vapore acqueo, ma anche gas vulcanici che sfuggono al magma. I gas in uscita condensano e formano i fumi che danno il nome al fenomeno Se i gas emessi contengono zolfo la fumarola prende il nome di solfatara, e si riempie di minerali colorati intorno alle sorgenti; se invece c’è soprattutto CO2 si usa il nome di mofeta. Nel 1986, in Camerun, una nube di anidride carbonica, liberatasi da un lago craterico, dove si era accumulata nel tempo, scivolò lungo il fondo di una valle uccidendo per soffocamento oltre 1700 persone. Tutte queste sorgenti di gas si trovano un po’ dappertutto nelle aree vulcaniche, in Nuova Zelanda come in Islanda, come anche in Italia, dove c’è la solfatara di Pozzuoli, nei pressi di Napoli. Famosa in Italia e nel mondo è la zona di Larderello, in Toscana, dove grandi masse di acqua riscaldate in profondità fuoriescono, producendo i famosi soffioni boraciferi (il borace è un minerale economicamente interessante). La sua fama deriva tuttavia dal fatto che è il primo luogo nel mondo dove si è riusciti a sfruttare questa energia geotermica per produrre energia elettrica. * Video “Soffione boracifero a Larderello 1932” http://www.youtube.com/watch?v=rUiLdf0_B5o* * Larderello, frazione del comune di Pomarance (PI) si trova sulle colline Metallifere in Toscana a 390 metri di altitudine. Il paese ha 850 abitanti ed è in parte proprietà dell’ENEL. Larderello produce il 10% dell'energia geotermica mondiale, con un ammontare di 4800 GWh annui, dando energia ad un milione di case italiane.* M.8 – DISTRIBUZIONE DEI VULCANI SUL PIANETA La distribuzione dei vulcani sulla superficie terrestre non è casuale. La litosfera è suddivisa in tante placche che si muovono una rispetto all’altra sullo strato meno rigido chiamato astenosfera. Dove due placche si allontanano (margini divergenti), il magma basaltico sale dallo strato che si trova sotto la crosta, il mantello, e forma nuova crosta sul fondo degli oceani in corrispondenza delle dorsali oceaniche. Dove due placche si avvicinano (margini convergenti), una delle due sprofonda sotto l’altra e si forma una fossa oceanica, in corrispondenza della quale l’acqua che riesce a sprofondare contribuisce alla fusione della crosta oceanica sotto alla placca continentale. Si forma quindi un magma di tipo andesitico, che fuoriesce in superficie e dà luogo alle catene di vulcani, chiamati archi, come quello della cordigliera delle Ande. Oltre la metà dei vulcani attivi sulla Terra sono concentrati sulla 155 cosiddetta “Cintura di Fuoco”, una fascia che circonda l’oceano Pacifico e comprende la Nuova Zelanda, l’Indonesia, il Giappone e le coste occidentali dell’America. E non è difficile a questo punto capire perché anche molti terremoti sono concentrati lì: si tratta di zone di subduzione, dove le placche che sprofondano generano forti attriti, deformano le rocce e scatenano terremoti e, per fusione, generano magmi che formano vulcani. *Video in inglese Guarda il video “I dieci vulcani più attivi” http://www.youtube.com/watch?v=4aYQixhdWY4&feature=endscreen&NR=1 “Dorsali oceaniche” http://oceanexplorer.noaa.gov/edu/learning/player/lesson02.html* M.9 - I PUNTI CALDI O HOT SPOT Non tutti i vulcani si trovano ai margini delle placche litosferiche: ve ne sono alcuni che sembrano distribuiti a caso in mezzo agli oceani o sui continenti, come se si trovassero al di sopra di “punti caldi” situati nelle profondità della Terra. E questa è proprio la traduzione del nome inglese di queste strutture: hot spot. Le isole Hawaii, ad esempio, sono una catena di vulcani che si è formata sulla placca dell’oceano Pacifico. La placca si sposta lateralmente, mentre il punto caldo resta fermo. Questo ha determinato nel tempo la formazione di diversi edifici vulcanici, allineati l’uno accanto all’altro. I più recenti sono ancora attivi, mentre i più antichi, ormai lontani dal punto caldo, sono spenti. Anche la caldera di Yellowstone è un esempio di hot spot, ma, in questo caso, esso si trova al di sotto di una placca continentale: la placca nordamericana. Ma che succede in corrispondenza di questi punti caldi? Gli scienziati pensano che vi siano risalite di materiale caldo abbastanza localizzate nel mantello, chiamate pennacchi, in inglese mantle plumes, che scaldano le rocce poste sotto la crosta, le fondono generando magma, il quale poi fuoriesce formando vulcani, anche se il modo preciso con cui questo avviene non è ancora chiarissimo. * Le isole Hawaii emergono dal mare ma sono solo una parte della catena vulcanica formata dalle successive eruzioni legate alla presenza di un punto caldo al di sotto della litosfera.* M.10 – EFFETTI DI LUNGO PERIODO DELL’ATTIVITÀ VULCANICA Nella storia dell’uomo, i vulcani hanno fatto tantissime vittime, ma per fortuna tante altre si sono salvate grazie al lavoro di sorveglianza e alla conoscenza dei segnali premonitori che permette agli scienziati di dare l’allarme. I vulcani, tuttavia, nonostante la loro immensa forza distruttrice, sono tra i responsabili della struttura superficiale del nostro pianeta e possono anche favorire la vita. Ecco alcune considerazioni finali che ci possono aiutare a riflettere in merito. Formazione di nuova crosta La crosta terrestre si è formata per attività vulcanica: quella oceanica si forma ancora adesso per solidificazione della lava effusiva che risale dal mantello, mentre la parte più antica dei continenti si è formata dal magma felsico che si è solidificato in profondità ed è stato successivamente messo a nudo dai processi erosivi. 156 Formazione di suolo fertile L’erosione delle rocce vulcaniche porta nel suolo potassio e fosforo che rendono fertile il suolo e quindi favoriscono lo sviluppo di una vegetazione lussureggiante. Da sempre, attorno ai grandi vulcani attivi si è sviluppata un’attività agricola intensiva e redditizia. Sostegno a ecosistemi delle profondità oceaniche Attività vulcaniche nel profondo degli oceani (fumarole) producono grandi quantità di sostanze chimiche ridotte, utilizzate da colonie di batteri chemiosintetici che sfruttano l’energia in esse contenuta. Questi batteri sono il primo anello della catena alimentare di comunità acquatiche complesse basate sull’energia geochimica, anziché su quella luminosa del Sole. * Video in inglese “Vulcano sottomarino” http://oceantoday.noaa.gov/deepoceanvolcanoes/welcome.html* * Video in italiano “I vulcani” parte 1 http://www.youtube.com/watch?v=7Dpa3JBQW80 “Vulcani” parte 2 http://www.youtube.com/watch?v=NVq3AJ1kq5c “Vulcani” parte 3 http://www.youtube.com/watch?v=3rWIWH9vL9U “Vulcani” parte 4 http://www.youtube.com/watch?v=cQHG0Yhzja0* DOMANDE PER IL RIPASSO MODULO M 1. Quali sono le principali differenze tra magma e lava? 2. In base a quali parametri si classificano i magmi? Quali sono le principali caratteristiche dei diversi tipi di magma? 3. In che cosa consistono le nubi ardenti? Per quale motivo sono tra i fenomeni vulcanici più pericolosi per le popolazioni umane? 4. In che cosa consistono i lahar? In quali situazioni si possono formare? 5. Metti in relazione e tipi di magma con le differenti attività vulcaniche. 6. Quali materiali vengono emessi da un vulcano? Elencali in base alla dimensione dei frammenti 7. Di che cosa possono essere costituiti i diversi strati che compongono uno stratovulcano? 8. A cosa è dovuta la forma caratteristica dei vulcani a scudo? Com’è la pendenza dei loro versanti? 9. A cosa è dovuto lo svuotamento delle camere vulcaniche che causa la formazione di caldere? 10.Dove sono distribuiti in gran parte i vulcani del pianeta? Spiega perché si trovano proprio in quelle zone. 157 11. Cos’è un supervulcano? Descrivilo con un opportuno esempio. 12.In cosa consistono i punti caldi? In corrispondenza di essi si possono formare anche grandi edifici vulcanici? Rispondere portando esempi. 13.Disegna una tabella secondo le seguenti indicazioni: - nelle righe è indicato il tipo di magma - nelle colonne il tipo di eruzione, il tipo di roccia che si forma, il tipo di edificio vulcanico, i fenomeni più caratteristici delle eruzioni. 14. Quali sono i vulcani più attivi del pianeta Terra? 15.Cos’è una dorsale oceanica? 16.Dove si trovano le dorsali oceaniche? 17.Definisci una solfatara. Può essere pericoloso avvicinarsi ad una solfatara? 18. Cos’è un bacino geotermico? Per cosa può essere sfruttato? 19.Larderello è una località che si trova in una valle chiamata “Valle del diavolo”: da dove deriva questo toponimo? Perché questa piccola località è conosciuta in tutto il mondo? 20. Gli effetti della presenza di un vulcano in un territorio sono tutti negativi? Motiva la risposta. CACCIA ALL’ERRORE MODULO M 1. La viscosità di un magma è dovuta alla difficoltà con cui i gas in esso contenuti si liberano nell’aria, una volta avvenuta l’eruzione. 2. Le lave che si generano da magmi acidi tendono a scorrere velocemente verso il basso. 3. Le eruzioni esplosive sono dovute alla facilità con cui le lave che si generano da magmi acidi vengono proiettate verso l’alto. 4. I basalti sono rocce che vengono generate in conseguenza di tutte le eruzioni vulcaniche. 5. Le nubi ardenti sono grigie o nerastre a causa dell’elevata temperatura dei gas che le costituiscono. 6. I vulcani sono distribuiti in maniera abbastanza uniforme sulla superficie terrestre. 7. Le ignimbriti sono accumuli di ceneri vulcaniche sulla superficie delle quali può essere difficoltoso camminare, poiché si sprofonda ad ogni passo. 8. I lahar sono correnti di fango e acqua che si formano quando piove molto durante le eruzioni vulcaniche. 9. Le colate di lava basaltica molto fluida sono assai pericolose poiché possono raggiungere una velocità di 100 chilometri orari. 10.La forma a scudo dei vulcani di questo tipo è dovuta alla ricaduta di ceneri e lapilli anche a grande distanza dal cratere eruttivo. 11. Le caldere si formano in conseguenza di grandi sprofondamenti del terreno causati dal peso della lava che si accumula nel corso di un’eruzione vulcanica. 12.I punti caldi sono concentrati nei pressi dei margini tra le placche litosferiche. 158 APPENDICE AL BOOK DI SCIENZE DELLA TERRA UN PO’ DI CHIMICA... 159 INDICE DELL’APPENDICE DI CHIMICA 1. - LE GRANDEZZE FISICHE 1.1 - l’ENERGIA 1.2 - il TEMPO 1.3 - la FORZA 1.4 - la MASSA 1.5 - il PESO 1.6 - la DENSITà 1.7 - la PRESSIONE 2. - LA MATERIA CHE CI CIRCONDA 2.1 - GLI STATI FISICI DELLA MATERIA 2.2 - I PASSAGGI DI STATO 2.2.1 - CALORE E TEMPERATURA 2.2.2 - Il CALORE Specifico 2.2.3 - CALORE, temperatura e passaggi di stato 3. - CLASSIFICAZIONE DELLA MATERIA 3.1 - sostanze pure e MISCUGLI 3.1.1 - Sostanze pure 3.1.2 - Miscugli 3.1.3 - MISCUGLI eterOGENEI 3.1.4 - MISCUGLI OMOGENEI 3.1.5 - Colloidi 3.1.6 - SOSTANZE ELEMENTARI E SOSTANZE COMPOSTE 3.1.7 - Differenze tra miscugli e COMPOSTi 4 - METODI DI SEPARAZIONE DEI MISCUGLI 5 - LE REAZIONI CHIMICHE 1 - LEGGI QUANTITATIVE E TEORIE ATOMICHE 1.1 - Legge della conservazione della massa 1.2 - Legge delle proporzioni definite e costanti 1.3 - Legge delle proporzioni multiple 1.4 - La teoria atomica di Dalton 2 - LA STRUTTURA ATOMICA DELLA MATERIA 1.5 - La scoperta delle particelle subatomiche 2.1 MODELLI DI STRUTTURA ATOMICA 2.1.1 Modello di Thomson 2.1.2 Modello di RUTHERFORD 2.1.3 Modello di BOHR 1 - LA MOLECOLA DELL’ACQUA E LE SUE PROPRIETÀ 1.1 - Le proprietà fisiche dell’acqua 160 162 163 163 164 164 164 165 165 166 166 167 167 168 168 169 169 170 170 170 171 171 171 172 173 173 175 175 175 176 177 177 178 179 179 179 180 182 183 1.2 - Le proprietà termiche dell’acqua 1.3 - L’acqua come solvente polare 184 186 161 MODULO UNO - LA MATERIA 1. - LE GRANDEZZE FISICHE Nel nostro percorso di Scienze integrate siamo partiti considerando che tutte le scienze hanno in comune una metodologia precisa e rigorosa definita “METODO SCIENTIFICO” e che, per operare in modo da poter riprodurre gli esperimenti o per raccogliere dei dati, è necessario avere a disposizione dei PARAMETRI MISURABILI. Questi parametri misurabili vengono chiamati grandezze fisiche. Sono considerate grandezze fisiche la lunghezza e la larghezza di una stanza, la nostra altezza, il nostro peso, il tempo che passa, la temperatura del nostro corpo, l’energia, la forza di gravità, la velocità. Non possiamo considerare grandezze fisiche, invece, il colore degli occhi o dei capelli, la simpatia di una persona, la perfidia di un’altra, l’affetto provato per un amico. Inoltre per misurare una grandezza abbiamo bisogno di uno strumento di misura: il termometro ci consente di misurare la temperatura, il metro l’altezza, l’orologio il tempo. Quando però vogliamo comunicare ad un’altra persona per esempio la nostra età non è sufficiente dire 14, 16, 50 perché non è chiaro se questi numeri vogliono dire anni, mesi, giorni o minuti. Nel caso di un bimbo piccolo 13 potrebbe voler dire 13 mesi, nel caso di un ragazzo 13 anni, nel caso di un adulto 13 lustri. C’è una bella differenza! Mesi, anni, lustri sono considerate unità di misura. * Una grandezza ha quindi significato se viene espressa con un numero accompagnato da una unità di misura.* Dire, ad esempio, che io sono alto 1,50 m vuole significare che sono lungo una volta e mezza l’unità di misura della lunghezza, che è il metro. Quindi * il valore numerico che definisce una grandezza ci dice quante volte l’unità di misura è contenuta in quel numero.* Nella tabella sono indicate alcune grandezze con relativa unità di misura. Saresti capace di proporre un criterio per classificarle in due gruppi (A e B), motivando la tua scelta? 162 Grandezza Unità di misura Simbolo Lunghezza Metro m Massa Chilogrammo kg area metro quadrato m2 Tempo Secondo s Temperatura Kelvin K Peso Newton N concentrazione mole per metro cubo mol/m3 Gruppo Motivazione volume metro cubo m3 velocità metro al secondo m/s Intensità luminosa Candela cd densità Quantità di sostanza Energia, lavoro e quantità di calore chilogrammo per metro cubo Mole kg/m3 mol joule J pressione Pascal Pa accelerazione metro al secondo quadrato m/s2 * MEMORIZZA 1K= 1°C1Pa= N/m2 1N= Kg . m/s2 1J=N x m* Ora proviamo ad occuparci più da vicino di qualche grandezza cercando di distinguere tra: definizione, concetto, e unità di misura (U.d.m.). 1.1 - L’ENERGIA La grandezza “Energia” è la responsabile di molti fenomeni che avvengono sul nostro pianeta, come terremoti, eruzioni vulcaniche o frane e smottamenti. La definizione ci dice che: * un corpo possiede energia quando ha la capacità di compiere un lavoro* cioè quando esercitando una forza su un altro corpo ne provoca lo spostamento. In sintesi * E=Forza x spostamento U.d.m. Newton x metri= Joule (J)* Esempio: un’automobile che si schianta contro un muro, sfondandolo, ha energia poiché ha esercitato una forza contro il muro provocando lo spostamento, cioè il crollo, del muro stesso. Esistono tante forme diverse di energia, ma tutte rientrano nella definizione riportata: l’energia elettrica muove il cestello della lavatrice, l’energia termica riscalda e muove l’aria di una stanza, l’energia cinetica fa muovere una bicicletta, l’energia di massa viene prodotta durante una reazione nucleare, come quella che avviene sul Sole, quando una piccola massa dell’idrogeno presente si trasforma in energia. 1.2 - IL TEMPO * Il tempo indica la durata di un fenomeno* * Nella storia della Terra il tempo ha avuto un’importanza notevole perché molti dei fenomeni responsabili del modellamento della superficie terrestre o dell’evoluzione degli organismi viventi si sono manifestati durante un arco temporale molto lungo (ad esempio l’estinzione dei dinosauri). In sintesi * TEMPO: U.d.m. secondi (s)* 163 1.3 - LA FORZA Si esercita una forza ogni volta che si mette in movimento un corpo, per esempio voglio spostare un banco per mettermi vicino ad un amico/a, oppure quando si tenta di fermare un corpo che è in movimento, ad esempio quando un portiere para un rigore o un giocatore di pallavolo prende in bagher la schiacciata di un avversario. La forza di gravità è la responsabile dell’attrazione dei corpi verso il centro della Terra, siano un pallone che cade, una meteorite, l’atmosfera che ci circonda o le acque di mari, laghi, oceani. Ogni forza determina una accelerazione sul corpo - sempre ovviamente che questo sia libero di muoversi. In questo caso, l’oggetto, in risposta alla forza a cui è sottoposto, cambia la sua velocità col passare del tempo: la velocità può o aumentare con il tempo, come succede quando spingo un oggetto, oppure diminuire, quando fermo un oggetto che è in movimento. É abbastanza intuitivo che maggiore è la massa del corpo che voglio mettere in movimento o fermare, maggiore è la forza che devo esercitare. In sintesi: * Forza= massa x accelerazione U.d.m. Forza= kg x m/s2 = Newton (N)* 1.4 - LA MASSA La massa è una grandezza che spesso noi confondiamo con il peso. La definizione dice che la massa è una misura dell’inerzia di un corpo E l’inerzia è la resistenza che un corpo oppone quando si tenta di muoverlo o di fermarlo. Un armadio ha un’inerzia maggiore, cioè si oppone al tentativo di spostarlo, più di quanto succeda con una sedia. Un altro modo per definire la massa è considerare come * massa la quantità di materia che costituisce un corpo* cioè il numero di particelle, atomi o molecole, che lo compongono: non è una definizione scientificamente molto corretta e accettabile, però rende bene l’idea. Da ciò possiamo intuire che la massa è una grandezza che non varia con le condizioni ambientali: è cioè la stessa sia che noi la misuriamo sulla Terra, in cima all’Everest o sulla Luna. Lo strumento più adatto per misurare la massa è la bilancia a due piatti. * MASSA U.d.m. è il chilogrammo (kg).* 1.5 - IL PESO Il peso possiamo considerarlo come l’effetto della gravità sui corpi; esso è la forza con cui gli oggetti vengono attirati verso il centro della Terra. In sintesi: * P(forza peso)= m(massa) x g ( accelerazione di gravità)* (confronta questa espressione con quella della forza scritta prima) Lo strumento per misurare il peso è il dinamometro. 164 Inoltre poiché l’accelerazione di gravità è diversa a seconda di dove ci si trova, in particolare più ci si allontana da Terra più diminuisce, il peso varia a seconda delle condizioni ambientali in cui viene misurato: in cima all’Everest è minore che a livello del mare poiché sono più lontano dal centro della Terra; sulla Luna, dove l’accelerazione di gravità è circa 1/6 di quella della Terra, il peso di un corpo sarà circa 1/6 di quello determinato sulla Terra. 1.6 - LA DENSITÀ Quando parliamo di densità di popolazione intendiamo il numero di abitanti presenti mediamente in ogni chilometro quadrato di un determinato territorio; maggiore è la densità, maggiore è il numero di abitanti per km2, più ammassati, compattati sono gli individui. Quando ci riferiamo a un corpo qualsiasi con densità vogliamo indicare quante particelle ci sono in un determinato volume di quel corpo Se si vogliono confrontare due oggetti per verificare quale dei due è più denso si deve prendere in considerazione un volume uguale per i due corpi in esame. Quindi la densità ci fornisce un’idea della “compattezza” di un corpo. Si prendono in considerazione due oggetti dello stesso volume Spesso si prende come volume di riferimento un m3 o un cm3. La formula per calcolare la densità di un corpo è * densità = massa/volume grammi/cm3 oppure kg/m3* Le formule ci dicono che la densità è la misura della massa di un centimetro cubo o di un metro cubo di quel corpo oppure che un centimetro cubo o un metro cubo di quell’oggetto messi sulla bilancia hanno una massa di … grammi o di … chilogrammi. 1.7 - LA PRESSIONE Se appoggio le mani sul banco e premo sulla sua superficie sto esercitando una pressione, quindi… * la pressione è una forza esercitata su di una superficie.* Sulle bombolette spray spesso trovate scritto: “non forare, recipiente sotto pressione”, ciò significa che il gas in esse contenute esercita una forza sulle pareti interne della bomboletta. Anche i gas dell’atmosfera esercitano una forza sulla superficie terrestre: la pressione atmosferica. Per misurare la pressione atmosferica si utilizza uno strumento chiamato barometro, inventato, qualche secolo fa, da Evangelista Torricelli, invece, per misurare la pressione di un gas in un contenitore si utilizza il manometro. L’espressione matematica per calcolare la pressione è: * peso = Forza/superficie Newton/metro quadrato (N/m2)* Per come l’ho determinata, essa sta a significare che ho calcolato la forza che viene esercitata su un metro quadrato di superficie. 165 2. - LA MATERIA CHE CI CIRCONDA Questo excursus nell’ambito della chimica ci serve per capire come si presenta, come è fatto tutto ciò che ci circonda e che chiamiamo materia, quali trasformazioni subisce e quali effetti hanno queste modificazioni sulle strutture che costituiscono la superficie del nostro pianeta. Cominciamo col dire che consideriamo MATERIA tutto ciò che ha una massa e occupa uno spazio, cioè ha un volume: quindi le sostanze solide, liquide e aeriformi, dette anche gassose, possono essere considerate materia. 2.1 - GLI STATI FISICI DELLA MATERIA Se ci guardiamo intorno e facciamo riferimento alla nostra esperienza quotidiana abbiamo a che fare con corpi che possono essere solidi, liquidi o gassosi: è un gas l’aria che respiriamo, sono liquide l’acqua e tutte le bevande che beviamo, sono solidi sostanze come lo zucchero, il sale e molti oggetti di cui ci serviamo. Gli stati gassoso, liquido e solido vengono definiti stati fisici o anche stati di aggregazione perché dipendono dalla modalità con cui le particelle che li costituiscono sono aggregate, sono tenute insieme. Nei materiali allo stato solido, le particelle sono disposte in modo regolare, ordinato, sono legate saldamente le une alle altre e non hanno una grande libertà di movimento: possono soltanto vibrare mantenendo le loro reciproche posizioni. Gli spazi tra le particelle sono molto piccoli. * Gli iceberg galleggiano sull’acqua perchéi l ghiaccio è meno denso dell’acqua liquida. * Un corpo solido ha forma e volume propri: ciò significa che se lo metto in recipienti diversi mantiene la sua forma originaria e non si adatta a quella del recipiente che lo contiene. Nei materiali allo stato liquido, le particelle sono disposte in modo disordinato, sono legate tra loro in modo meno forte rispetto ai corpi solidi e quindi hanno una certa libertà di movimento; tale movimento è piuttosto caotico. Come per i solidi, gli spazi tra le particelle sono molto piccoli. Un materiale liquido ha volume proprio, ma la sua forma dipende dal recipiente che lo contiene: un litro d’acqua è sempre un litro sia che io lo versi in una vasca da bagno sia che lo metta in una bottiglia, ma la sua forma varia a seconda del contenitore. Nei materiali allo stato aeriforme, le particelle sono completamente slegate e lontane tra di loro, si muovono rapidamente e in modo disordinato. Proprio perché le particelle possono muoversi in completa libertà, i materiali aeriformi non hanno un loro volume né una loro forma, ma occupano tutto il volume disponibile, assumendo la forma del recipiente. E’ esperienza comune quella di sentire il profumo di cibo appena entrati in casa, anche se la cucina si trova lontano dall’ingresso: il gas si diffonde occupando tutto lo spazio a disposizione, invadendo tutti i locali. I materiali aeriformi sono, inoltre, comprimibili: se si esercita una pressione su di essi, il loro volume si riduce. Per verificarlo, possiamo riempire d’aria una siringa, tirando indietro lo stantuffo. Poi togliamo l’ago, mettiamo il pollice sul foro d’entrata e premiamo sullo stantuffo: il gas contenuto nella siringa riduce notevolmente il suo volume. I materiali solidi e liquidi, invece, poiché lo spazio tra le particelle è minimo, sono praticamente incomprimibili. 166 2.2 - I PASSAGGI DI STATO DA A TRASFORMAZIONE SOLIDO LIQUIDO FUSIONE LIQUIDO AERIFORME VAPORIZZAZIONE AERIFORME LIQUIDO CONDENSAZIONE LIQUIDO SOLIDO SOLIDIFICAZIONE AERIFORME SOLIDO BRINAMENTO SOLIDO AERIFORME SUBLIMAZIONE Ogni passaggio di stato è descritto da un termine particolare, ma è necessaria una precisazione. Il passaggio da liquido ad aeriforme si definisce vaporizzazione. Infatti la vaporizzazione comprende l’evaporazione e l’ebollizione. L’evaporazione è un processo lento, spontaneo che avviene a qualsiasi temperatura e dove sono solo le particelle che si trovano alla superficie del liquido a passare, di volta in volta, allo stato. L’ebollizione, invece, è un processo rapido, non spontaneo, che avviene a una determinata temperatura e dove tutta la massa del liquido si trasforma in gas, anche quello che si trova al centro o sul fondo del recipiente. Affinché avvengano i passaggi da solido a liquido ad aeriforme, è necessario che aumenti la temperatura. Se ovviamente considero i passaggi in senso inverso, cioè da aeriforme a liquido a solido, la temperatura deve diminuire. L’effetto che la temperatura ha sulle sostanze, come si vede bene dall’immagine, è quello di aumentare il disordine tra le particelle che le costituiscono e, anche, quello di rompere i legami che le legano. Ma come può la temperatura aumentare il disordine, che tipo di effetto ha sulle particelle l’aumento di temperatura? 2.2.1 - CALORE E TEMPERATURA Il calore è una forma di energia. L’energia è stata definita come la capacità di compiere un lavoro, cioè di indurre un movimento: il calore induce il movimento delle particelle dei materiali che lo assorbono. Il calore si propaga nel vuoto e nei materiali ad esso trasparenti in forma di radiazione infrarossa; all’interno di materiali non trasparenti, il calore si propaga spontaneamente da materiali a temperatura maggiore, cioè più caldi, verso materiali a temperatura minore, cioè più freddi. Effetti del calore. Quando materiali solidi e liquidi assorbono calore, a livello microscopico aumenta la vibrazione delle particelle costituenti: questo comporta un leggero aumento della distanza tra di esse. Di conseguenza, a livello macroscopico aumenta il volume dei solidi e dei liquidi: questo fenomeno prende il nome di dilatazione termica. Quando materiali aeriformi assorbono calore, a livello microscopico aumenta la velocità delle particelle. 167 Se il materiale aeriforme non è confinato in un ambiente chiuso - è il caso di una massa d’aria riscaldata dal Sole - esso si espande - cioè aumenta di volume - poiché aumenta la distanza media tra le sue particelle. Occorre notare che per i materiali aeriformi, la dilatazione termica è molto maggiore che per solidi e liquidi. Se il materiale aeriforme è confinato in un ambiente chiuso - è il caso del gas presente in una bombola - le particelle non possono allontanarsi l’una dall’altra: l’aumento della loro velocità si traduce in un aumento della pressione che il materiale aeriforme esercita sulle pareti del recipiente. La temperatura è una misura dello stato termico di un materiale, cioè dell’energia cinetica media delle particelle che lo costituiscono. Le variazioni di temperatura sono gli effetti di un trasferimento di calore tra un materiale e l’ambiente circostante o di una generazione di calore all’interno di un materiale: quando un materiale assorbe calore dall’ambiente o quando al suo interno si genera calore, l’effetto è un aumento della sua temperatura, mentre si ha riduzione della temperatura quando un materiale cede calore all’ambiente circostante. RIFLETTIAMO: il freddo non esiste! In giornate particolarmente fredde o dopo un bagno prolungato in mare, può capitare di avere la sensazione che “il freddo entri dentro di noi”. In realtà il freddo non esiste. Rileggendo la parte relativa a calore e temperatura, è facile intuire che in questi casi il nostro corpo ha ceduto molto calore all’ambiente circostante: l’aria o l’acqua fredda. Il nostro organismo percepisce questa situazione e il nostro sistema nervoso ci dà la sensazione di avere freddo. 2.2.2 - IL CALORE SPECIFICO Un’esperienza comune a molti riguarda ciò che si verifica sulla spiaggia, quando, durante l’estate, dopo aver preso il sole sul lettino fino a mezzogiorno, si decide di andare a fare il bagno. Quando si poggiano i piedi sulla spiaggia ci si brucia, ma se si entra in acqua la temperatura è decisamente più gradevole. Osserviamo insieme: Il Sole trasmette la stessa quantità di calore a sabbia e acqua, ma la sabbia si riscalda di più e più rapidamente rispetto all’acqua. Di notte la situazione è opposta: la sabbia risulta più fredda poiché si raffredda più rapidamente dell’acqua. Come si spiega tutto ciò? Occorre introdurre ora un nuovo concetto: quello di calore specifico. Il calore specifico è la quantità di calore che occorre fornire a un grammo di un dato materiale per aumentare di un grado la sua temperatura. Ogni materiale ha un calore specifico caratteristico. In pratica, a parità di calore fornito, un materiale che ha un calore specifico elevato si riscalda più lentamente di un altro con un calore specifico basso. Quindi, il fatto che la sabbia si riscaldi maggiormente rispetto all’acqua, a parità di radiazione solare ricevuta, indica che l’acqua ha un calore specifico più elevato di quello della sabbia. 2.2.3 - CALORE, TEMPERATURA E PASSAGGI DI STATO Cosa succede se faccio avvenire dei passaggi di stato tenendo controllata la temperatura del materiale che sto utilizzando? Supponiamo di prendere dal congelatore dei cubetti di ghiaccio. Infilo tra di essi un termometro e, dopo aver messo il recipiente sul fornello, registriamo la temperatura a intervalli di tempo regolari: per esempio ogni due minuti. Ecco una tabella che raggruppa ordinatamente i dati raccolti. 168 tempo in minuti temperatura °C 4m 0 °C 6m 0 °C 8m 0 °C 10m 5 °C 12m 20 °C 14m 40 °C 16m 60 °C 18m 80 °C 20m 100 °C 22m 100 °C 24m 100 °C 26m 100 °C Ora proviamo a costruire un grafico: in ascissa scriviamo i tempi in cui abbiamo effettuato la misurazione e in ordinata scriviamo i valori della temperatura registrati, espressi in gradi centigradi. Se vogliamo LEGGERE il grafico diremo che: ✓ la linea rossa rappresenta l’andamento della temperatura al passare del tempo, ✓ la linea rossa non è una linea retta, ma una linea spezzata, ✓ lungo questa linea spezzata si vedono due “pianerottoli”: essi ci dicono che la temperatura durante quegli intervalli di tempo non è aumentata anche se si continua a riscaldare, Se vogliamo SPIEGARE il grafico diremo che: ✓ i due “pianerottoli” rappresentano due periodi di tempo detti soste termiche, ✓ durante le soste termiche accade che il calore fornito non va ad aumentare la velocità con cui si muovono le particelle (aumento della temperatura), ma va a rompere i legami che le tengono unite, aumentando la loro libertà di movimento (passaggio di stato). 3. - CLASSIFICAZIONE DELLA MATERIA Il nostro discorso aveva come filo conduttore l’osservazione della materia che ci circonda per individuare e analizzare le sue caratteristiche. Guardiamo ora ai materiali che ci circondano. 3.1 - SOSTANZE PURE E MISCUGLI Iniziamo facendo qualche esempio: Acqua minerale in bottiglia, Acqua del rubinetto, Acqua distillata, Olio extravergine di oliva, Sale da cucina, Zucchero, Aria atmosferica, Latte- te- caffè- Coca Cola - aranciata - vino, Oro, Diamante, Sale per lavastoviglie. Potremmo pensare di trovare un criterio per fare ordine in questo insieme e suddividerlo in gruppi omogenei, dopo aver riflettuto sulle caratteristiche di ciascun materiale. 169 Una prima e grossolana suddivisione ci permetterebbe di individuare due gruppi: un gruppo A che comprende i materiali costituiti da un solo tipo di sostanza e un gruppo B i materiali costituiti da miscugli di sostanze. Tutti i materiali in elenco, ad eccezione dell’acqua distillata e del diamante, appartengono al gruppo B. 3.1.1 - SOSTANZE PURE I materiali appartenenti al gruppo A si definiscono sostanze pure: nell’acqua distillata sono presenti esclusivamente molecole d’acqua, nel diamante solo atomi di Carbonio. * Le sostanze pure sono costituite da componenti di una stessa specie chimica* 3.1.2 - MISCUGLI I materiali appartenenti al gruppo B si definiscono miscugli: l’acqua minerale contiene acqua e sali minerali; la Coca Cola contiene acqua, zucchero, caramello, caffeina, acido ortofosforico; l’aria atmosferica contiene azoto, ossigeno, anidride carbonica, altri gas e un certo numero di sostanze inquinanti; il sale e lo zucchero contengono aria tra i granelli * I miscugli sono materiali costituiti da un insieme di componenti di diversa specie chimica.* I miscugli possono essere ottenuti mescolando sostanze caratterizzate da diverso stato fisico: solido, liquido aeriforme. É anche possibile mescolare dei solidi, come sale e pepe, oppure come due metalli per ottenere le leghe metalliche: in quest’ultimo caso, però, i due metalli vengono fatti fondere, mescolati e successivamente, raffreddati e solidificati. Consideriamo ora questa nuova serie di materiali e proviamo nei paragrafi successivi a fare alcune considerazioni su di essi: ✓ bronzo, ✓ acqua del mare, ✓ sabbia, ✓ granito, ✓ latte, ✓ acqua fangosa, ✓ aria, ✓ acqua e olio 3.1.3 - MISCUGLI ETEROGENEI Si definiscono miscugli eterogenei le miscele formate da materiali in cui sia possibile distinguere abbastanza facilmente i componenti. Alcuni esempi di questo tipo sono elencati di seguito: ✴ la sabbia è costituita da granuli di diverso colore e dimensione, ✴ se si lascia dell’acqua fangosa in un recipiente, in breve le particelle in sospensione presenti nell’acqua si depositano sul fondo, ✴ il granito, utilizzato per fare pavimenti o superfici d’appoggio, è formato da granuli di colore e dimensioni diverse, legati insieme, 170 ✴ se si mescola acqua e olio, non si riesce a mantenerli mescolati: prima o poi l’olio ritorna in superficie e l’acqua si stratifica sotto, ✴ se osserviamo bene la superficie del latte, possiamo notare la presenza di gocce translucide, costituite da grassi. Per questi miscugli è possibile individuare delle superfici di separazione tra i diversi componenti, i quali prendono il nome di fasi. Nella miscela acqua è olio si riconoscono due fasi liquide: l’acqua in profondità e l’olio in superficie. 3.1.4 - MISCUGLI OMOGENEI Si definiscono miscugli omogenei miscele formate da costituenti fisicamente non distinguibili in fasi; questi tipi di miscugli vengono chiamati anche soluzioni. Per questi miscugli non è possibile distinguere i componenti, nemmeno con l’aiuto di un microscopio: come per il bronzo, l’acqua del mare, l’aria. In una soluzione, il componente più abbondante si chiama solvente e quelli meno abbondanti soluti. 3.1.5 - COLLOIDI Esistono, poi, dei miscugli particolari che presentano alcune peculiarità: ✓ sono capaci di diffondere la luce: la luce penetra al loro interno e viene deviata in tutte le direzioni, quindi il miscuglio risulta opaco; ✓ alcuni componenti sono abbastanza grandi da essere visibili al microscopio e si muovono in modo molto disordinato dentro il miscuglio; ✓ possono essere liquidi o aeriformi, o avere consistenza gelatinosa. Tali miscugli prendono il nome di COLLOIDI: questo strano nome è stato suggerito da un colloide particolare che è la colla, come il vinavil. Alcuni esempi sono: il budino, la schiuma, la panna montata, la nebbia, il fumo, lo smog, l’albume dell’uovo sia crudo sia cotto. 3.1.6 - SOSTANZE ELEMENTARI E SOSTANZE COMPOSTE Nell’ambito delle sostanze pure possiamo fare un’ulteriore distinzione. Consideriamo il seguente elenco di sostanze con l’indicazione della relativa formula chimica: ✓ l’ossigeno molecolare - O2, ✓ l’anidride carbonica - CO2, ✓ l’acqua distillata- H2O, ✓ un singolo cristallo di zolfo - S8, ✓ un singolo cristallo di diamante - Cn. ✓ un singolo cristallo di il sale per la lavastoviglie - NaCl, ✓ un singolo cristallo di zucchero da cucina (saccarosio) - C22H11O22 171 *NOTA BENE La scrittura “H2O” è la formula chimica dell’acqua: i simboli H e O rappresentano l’Idrogeno e l’Ossigeno, mentre i numerini posti ai piedi dei simboli degli elementi si chiamano indici e rappresentano il rapporto numerico tra gli atomi degli elementi presenti nella sostanza Si definiscono sostanze elementari le sostanze formate da atomi dello stesso tipo, o dello stesso elemento chimico. Sono sostanze elementari l’ossigeno molecolare (O2), lo zolfo (S8) e il diamante (Cn). Nei libri di chimica, le sostanze elementari vengono spesso definite semplicemente elementi, ma questa abitudine è un po’ rischioso poiché il termine elemento può significare sia sostanza elementare, sia elemento chimico. Si definiscono sostanze composte le sostanze formate da atomi di tipo diverso, o di elementi chimici diversi. Sono sostanze composte l’anidride carbonica (CO2), l’acqua distillata (H2O), il sale per lavastoviglie (NaCl) e il saccarosio (C22H11O22). Nei libri di chimica le sostanze composte sono spesso definite semplicemente composti. 3.1.7 - DIFFERENZE TRA MISCUGLI E COMPOSTI Nomi e formule. Le definizioni di miscugli e composti presentano alcune analogie, ma se si osservano gli esempi riportati, ci si accorge che se i miscugli possiedono solo il nome, i composti, hanno un nome e una formula. Questo si spiega con il fatto che un miscuglio, come ad esempio la Coca Cola, è formato da sostanze diverse, quindi non è possibile dare un’unica formula. Inoltre, i componenti dei miscugli si possono mescolare in proporzioni diverse: il caffè può essere lungo, ristretto, ecc., quindi anche in questo caso non è possibile individuarne la formula esatta. L’acqua, invece, dovunque sia e in qualunque stato fisico essa si trovi, è sempre rappresentabile con la formula H2O, il che significa che la proporzione tra atomi di idrogeno e atomi di ossigeno è sempre di 2 a 1. Proprietà dei costituenti. Un’altra differenza tra miscugli e sostanze composte riguarda le proprietà dei costituenti. I costituenti di un miscuglio conservano le loro proprietà, mentre I componenti di una sostanza pura, al contrario, perdono le loro caratteristiche. Se si assaggia un po’ di sale mettendolo in bocca, si sente un gusto salato; si avverte la stessa sensazione se si assaggia dell’acqua salata, un miscuglio di acqua e sale. Se invece si considerano i costituenti dell’acqua - Ossigeno e Idrogeno - essi, prima di unirsi a formare l’acqua sono dei gas: l’Ossigeno ha la capacità di ravvivare una fiamma, mentre l’Idrogeno reagisce molto violentemente con l’aria se gli viene avvicinata una fiamma, producendo una detonazione. Quando sono uniti a costituire l’acqua perdono le proprietà suddette. Separazione dei costituenti. Un’ulteriore differenza riguarda i metodi per separane i componenti. Per separare i costituenti di un miscuglio si usano metodi fisici, cioè processi che non modificano la natura chimica dei costituenti, mentre per separare i costituenti di un composto si utilizzano metodi chimici, cioè processi che modificano la natura chimica della sostanza 172 4 - METODI DI SEPARAZIONE DEI MISCUGLI Di seguito sono elencati i metodi fisici di separazione dei costituenti di un miscuglio. Setacciatura: con un setaccio si possono separare miscugli di materiali solidi formati da frammenti di dimensioni diverse. Filtrazione: un colino permette di filtrare una tisana, in quanto separa i costituenti del miscuglio in base al loro stato fisico. Centrifugazione: la panna viene ottenuta dal latte intero con la centrifugazione, che sfrutta la forza centrifuga per separare costituenti a diversa densità. Distillazione: se si intende separare l’alcool dal vino, si fa bollire il vino; poiché l’alcool ha una temperatura di ebollizione inferiore a quella degli altri componenti, esso bolle prima ed evapora rapidamente; esso può essere poi raccolto per condensazione. Cromatografia su carta: questo procedimento può essere utile per separare i componenti di un miscuglio liquido formato da componenti formati da particelle con caratteristiche chimiche, dimensioni e colori diversi. Si effettua in questo modo: sul fondo di un becher di vetro si versa dell’alcool etilico sufficiente per coprire il fondo, poi si immerge una striscia di carta da filtro sulla quale, a circa due centimetri dal bordo inferiore, si traccia una linea abbastanza spessa. Questa linea non deve essere bagnata dall’alcol. L’alcol, chiamato in questo caso eluente, risale nella carta da filtro, trascinando con sé le sostanze di cui è costituito il colorante, le quali migrano verso l’alto in modo diverso a seconda delle loro dimensioni e della capacità di sciogliersi nell’eluente. In questo modo si separano e sulla carta da filtro osservo delle bande diversamente colorate, un po’ sbavate, che si collocano a diverse altezze. 5 - LE REAZIONI CHIMICHE Per la separazione degli atomi che costituiscono un composto chimico è necessario applicare metodi chimici: ciò significa mettere in atto delle trasformazioni chimiche, più spesso chiamate reazioni chimiche. Una reazione chimica è un processo mediante il quale una o più sostanze, dette reagenti, si trasformano in nuove sostanze, dette prodotti. Nel corso di una reazione chimica, i legami tra gli atomi che formano le sostanze reagenti si rompono e gli stessi atomi si ricombinano in modo diverso formando le nuove sostanze chiamate prodotti. Poiché il numero e tipo di atomi non varia, durante qualsiasi reazione chimica la massa resta costante; di conseguenza il peso dei reagenti è esattamente uguale a quello dei prodotti. Ecco di seguito alcuni esempi di reazioni chimiche: la combustione di una candela; la combustione del gas del fornello di casa ; le fermentazioni con cui si producono yogurt, formaggi, vino, birra; l’imbrunimento (ossidazione) di una mela dopo che è stata tagliata; la formazione della ruggine su un pezzo di ferro esposto all’acqua e all’aria. Analisi della combustione del metano. Prendiamo ad esempio la combustione del gas metano (quello dei fornelli) in presenza di ossigeno. Quando si “accende il gas”, il metano reagisce con l’ossigeno presente nell’aria e si trasforma in anidride carbonica e acqua, cioè in sostanze diverse da quelle iniziali. Ecco cosa succede durante questo tipo di reazione chimica. 173 Nel disegno i pallini rappresentano gli atomi: quelli rossi sono gli atomi di idrogeno, quelli blu sono gli atomi di carbonio, quelli verdi sono gli atomi di ossigeno; i trattini presenti tra gli atomi rappresentano i legami chimici che li tengono uniti. Durante la reazione chimica si rompono i legami tra gli atomi di carbonio e idrogeno del metano e quelli tra gli atomi di ossigeno; gli stessi atomi si ricombinano a formare anidride carbonica e acqua. *Alcuni dei gesti più comuni, come accedere il gas per cuocere la pasta, sono legati a reazioni chimiche.* ESERCIZI 1. Prova a metterti in una stanza della tua casa, annota un certo numero di oggetti che ci sono: tutto quello che annoti è un prodotto chimico, cerca di capire attraverso delle ricerche, quali materiali compongono i relativi oggetti. 2. Indica per ciascun materiale di cosa si tratta con la lettera relativa: Miscuglio eterogeneo M.E. - Miscuglio omogeneo M.O - Sostanza pura S. Nebbia Marmo Acqua distillata Ghiaccio Coca Cola Ottone zinco) Diamante Latte Acqua minerale Ossigeno Schiuma Spremuta di arancia (lega rame- 3. Separazione dei miscugli Le affermazioni sulla sinistra si riferiscono ciascuna ad un metodo di separazione tra quelli elencati: gascromatografia - decantazione - estrazione con solvente - Completa la tabella. I vapori che si formano vengono convogliati nel condensatore dove il raffreddamento li trasforma nuovamente in liquido che si raccoglie goccia a goccia Tramite un opportuno solvente si separa o recupera uno dei componenti del miscuglio (con questo metodo si prepara per es. il caffè decaffeinato) le particelle solide si depositano lentamente e spontaneamente sul fondo Nei miscugli omogenei i componenti si mescolano così bene che perdono alcune delle loro proprietà 174 MODULO DUE LE PROPRIETÀ DELLA MATERIA Possiamo riconoscere due tipologie diverse di proprietà della materia: le proprietà macroscopiche e quelle microscopiche. Le proprietà macroscopiche sono così definite perché sono caratteristiche della materia e le possiamo percepire con i sensi o misurare con gli strumenti che abbiamo studiato. Esse caratterizzano rilevanti porzioni di materia, formate da numerosissime particelle, ma non sono attribuibili alle singole particelle (atomi, ioni o molecola): ad esempio, se si può dire che l’acqua è liquida, non si può dire lo stesso di una singola molecola d’acqua; se è lecito dire che l’oro di un anello è giallo, non si può dire che i singoli atomi d’oro siano gialli. Tra le principali proprietà macroscopiche possiamo citare la densità, la temperatura di fusione e quella di ebollizione, la lucentezza, il colore, lo stato fisico. Le proprietà microscopiche sono le proprietà chimiche attribuibili alle singole particelle che formano i materiali: atomi, ioni e molecole. Tra le proprietà microscopiche vi è ad esempio la capacità di un atomo di formare legami con altri atomi, la tendenza di un atomo a perdere o acquistare elettroni, la tendenza di due molecole di acqua a legarsi tra di loro o a legare altre molecole ad esse affini. 1 - LEGGI QUANTITATIVE E TEORIE ATOMICHE 1.1 - LEGGE DELLA CONSERVAZIONE DELLA MASSA Antoine-Laurent de Lavoisier nei suoi studi nel 1789 si occupò di reazioni chimiche e, utilizzando una bilancia, pesò i reagenti e i prodotti di numerose e diverse reazioni chimiche, scoprendo che la massa complessiva di tutti i reagenti era esattamente uguale alla massa totale di tutti i prodotti. Poiché questo risultato si ripresentava in tutte le prove ripetute, Lavoisier riuscì a tradurre in legge le sue osservazioni. * La LEGGE della CONSERVAZIONE della MASSA afferma che in una reazione chimica la somma delle masse dei reagenti è equivalente alla somma delle masse dei prodotti.* In Laboratorio: possiamo provare a costruire dei modelli molecolari delle molecole e possiamo provare a mettere sulla bilancia le molecole così ottenute, prima tutti i reagenti, annotando il valore della massa, poi tutti i prodotti, registrando il valore ottenuto: possiamo constatare che i due valori sono esattamente uguali. Ciò conferma quanto scoperto da Lavoisier. Nota bene. Rispetto a Lavoisier noi abbiamo ipotizzato una entità di cui diamo per scontata l’esistenza ma anche la modalità di rappresentazione. Quale secondo voi? 1.2 - LEGGE DELLE PROPORZIONI DEFINITE E COSTANTI Joseph Luis Proust nel 1799 fece un’altra serie di esperimenti per trovare la “ricetta” che consentisse a chiunque di costruire dei composti che avessero esistenza reale. Fece in pratica quello che gli autori 175 di ricette di cucina fanno tutt’oggi, quando preparano un piatto particolare e stabiliscono le dosi ottimali dei vari ingredienti, così che, una volta pubblicate, possano consentire a chiunque di sperimentare. Sempre a proposito di ricette, sappiamo tutti che, se dovessimo fare una torta che richieda 400g di farina, 200g di zucchero, 200g di burro e 4 uova e nella nostra dispensa avessimo solo 300g di farina, basterebbe ridurre gli altri ingredienti proporzionalmente e la torta riuscirebbe lo stesso: un po’ più piccola, ma ugualmente buona. Proust scoprì che questa regola vale anche per i composti. Per esempio se dobbiamo preparare il composto CuS (solfuro rameico) dobbiamo mescolare 64 grammi di Rame e 32 grammi di Zolfo (S). Se, per caso, abbiamo solo 50 grammi di Rame dobbiamo utilizzare 25 grammi di Zolfo, l’importante è che il rapporto tra la quantità di Rame e quella di Zolfo sia di 2:1 (si legge di due a uno), più semplicemente la massa del Rame deve essere sempre il doppio di quella dello Zolfo. * La LEGGE delle PROPORZIONI DEFINITE e COSTANTI afferma che in un composto allo stato puro il rapporto tra le masse dei costituenti è definito e costante.* Definito significa che per ogni composto il rapporto è stato determinato ed è noto, costante significa che tale rapporto non cambia al variare per esempio dello sperimentatore o del laboratorio in cui il composto viene preparato. 1.3 - LEGGE DELLE PROPORZIONI MULTIPLE John Dalton nel 1808 scoprì che atomi di due elementi diversi si possono legare in modo diverso per dare più di un composto: per esempio atomi di Carbonio (C) e di Ossigeno (O) possono formare due composti, il monossido di carbonio (CO) e il biossido di carbonio o anidride carbonica (CO2). Dalton scoprì la ricetta per ottenere questi due composti: riuscì a produrre il primo mescolando 1 grammo di Carbonio e 1,33 grammi di Ossigeno, e a ottenere il secondo mescolando 1 grammo di Carbonio e 2,66 grammi di Ossigeno. Egli noto, inoltre, che le due quantità di Ossigeno erano la seconda il doppio della prima. Ripetendo l’esperienza con altri composti, riscontrò che, se manteneva fissa la quantità del primo elemento, le masse del secondo elemento erano sempre multiple della quantità più piccola utilizzata. Dalton definì questa regolarità legge delle proporzioni multiple. * La LEGGE delle PROPORZIONI MULTIPLE. Quando atomi di due elementi formano più composti, le diverse masse dell’uno che si combinano con la stesa massa dell’altro sono in un rapporto di numeri piccoli interi.* Nell’illustrare le tre leggi abbiamo dato per scontato che le diverse sostanze siano formate da atomi (i pallini colorati) e che gli atomi di uno stesso elemento siano sempre uguali tra loro. Tutto ciò non era affatto scontato ai tempi di Lavoisier e di Proust. Soltanto Dalton, dopo aver formulato la sua legge, cercò di motivare il comportamento delle sostanze che tutti e tre i chimici avevano osservato. Le conclusioni cui giunse sono contenute nella teoria atomica che porta il suo nome. 176 1.4 - LA TEORIA ATOMICA DI DALTON Le tre leggi sopra enunciate sono valide solo se si ipotizza che: ✴ la materia è formata di atomi, piccolissimi, indivisibili e indistruttibili, ✴ tutti gli atomi di uno stesso elemento chimico sono identici e hanno la stessa massa, ✴ nelle reazioni chimiche gli atomi non si creano né si distruggono, ma si combinano in modo diverso nei prodotti rispetto ai reagenti, ✴ gli atomi di un dato elemento chimico si combinano soltanto con un numero intero di atomi di un altro elemento chimico. La teoria di Dalton ha offerto nuovi spunti per le sperimentazioni e nuove possibilità di interpretazione dei risultati di importanti esperimenti. Infatti, poco più tardi, altri due personaggi, Joseph Louis Gay Lussac e Amedeo Avogadro, utilizzarono la teoria di Dalton per interpretare i risultati di esperimenti sui gas e arrivarono ad una importante conclusione: la distinzione tra atomi e molecole. Se scriviamo: O, C, N, H intendiamo atomi di ossigeno, carbonio, azoto, idrogeno Se scriviamo: O2, N2, H2; H2O intendiamo molecole di ossigeno, azoto, idrogeno, acqua. 2 - LA STRUTTURA ATOMICA DELLA MATERIA ✴ evidenze sperimentali suggeriscono la presenza di particelle subatomiche • elettrizzazione dei corpi • conducibilità elettrica delle soluzioni • radioattività spontanea • esperimenti volti alla ricerca delle particelle subatomiche ✴ modelli di struttura atomica • modello di Thomson • modello di Rutherford • modello di Bohr ✴ i parametri che identificano e distinguono gli atomi • numero atomico • numero di massa e isotopi ✴ la classificazione degli atomi • la moderna tavola periodica degli elementi ✴ la nostra esperienza e la struttura degli atomi suggeriscono l’esistenza di legami tra gli atomi. • legame ionico • legame covalente ✴ i legami tra le molecole: l’acqua e il legame a idrogeno Come abbiamo visto, a Dalton va il merito di aver formulato per primo una vera propria teoria che interpretava la natura della materia, sostenendo che se tentiamo di smontare un corpo materiale fino a ridurlo ai suoi costituenti più piccoli, ci troveremmo ad un certo punto ad avere a che fare con particelle non più smontabili, molto piccole, che Dalton ha chiamato atomi, riprendendo il termine, che una ventina di secoli prima, aveva coniato Democrito. 177 Verso la fine del secolo XIX, le indagini dei chimici si orientarono verso aspetti della natura della materia che non erano stati ancora indagati. Questo perché, come spesso succede nell’ambito scientifico, alcune nuove scoperte e le nuove tecnologie a disposizione sollecitano la curiosità degli scienziati. Perciò, poiché non c’erano ormai più dubbi che i costituenti ultimi della materia fossero gli atomi, alcuni fenomeni noti da tempo e alcune nuove evidenze sperimentali, stimolarono le osservazioni e le ricerche volte a scoprire la struttura degli atomi. 1.5 - LA SCOPERTA DELLE PARTICELLE SUBATOMICHE L’elettrizzazione. E’ noto a tutti che se strofiniamo una biro su un maglione di lana, essa è poi in grado di attirare dei piccoli pezzi carta oppure che quando ci sfiliamo un indumento di pile, in particolare durante una giornata con clima secco, i nostri capelli vengono attirati dal nostro viso o dalle nostre mani. Questo fenomeno era noto anche agli antichi Greci i quali avevano scoperto che una bacchetta di ambra (una resina) strofinata era capace di attirare delle sferette di sambuco e che se subito dopo poi si tentava di avvicinare queste sferette esse si respingevano. Dal nome greco dell’ambra questa proprietà è stata chiamata elettrizzazione. Successivamente si è scoperto che esistevano due tipi di elettrizzazione, cioè che i corpi potevano elettrizzarsi nello stesso modo o in modo diverso. Quindi, per convenzione, cioè per decisione condivisa dal mondo scientifico, si è indicata con il segno + un tipo di elettrizzazione e con - l’altro tipo. Così che oggi noi parliamo di corpi elettrizzati, o carichi, positivamente oppure negativamente. Ciò che abbiamo detto rappresenta solo la descrizione del fenomeno e della modalità con cui esso viene sinteticamente indicato; il passo successivo è quello di trovarne una spiegazione accettabile. Lo strofinio porta in superficie della bacchetta di ambra o degli altri oggetti delle cariche elettriche, le quali, se avvicino un altro corpo, inducono, attirandole, la comparsa di cariche elettriche di segno opposto sulla superficie del secondo oggetto. Le cariche elettriche quindi dovevano essere già presenti nei due oggetti. Abbiamo, inoltre, sperimentato in laboratorio che questo fenomeno può coinvolgere anche l’acqua: possiamo deviare con una bacchetta di vetro elettrizzata un filo di acqua che scende da una buretta munita di rubinetto. Correnti elettriche e particelle cariche. Un altro esperimento volto a dimostrare la presenza di cariche elettriche nei corpi prevede di costruire un piccolo circuito elettrico, collegato ad un trasformatore e ad una lampadina. Il circuito è munito di due elettrodi di grafite montati su di un supporto che li mantiene distanziati, in modo tale che la corrente non possa passare. Abbiamo sperimentato che se immergo i due elettrodi in un bicchiere che contiene acqua distillata la lampadina non si accende; se, invece, immergiamo gli elettrodi in una soluzione di acqua e sale o di acqua e acido cloridrico, la lampadina si accende e la sua luminosità aumenta se aumento la concentrazione della sostanza disciolta nell’acqua. Per quale motivo ciò accade? Posso pensare che nella soluzione ci siano delle particelle con carica elettrica positiva e negativa che, spostandosi verso l’elettrodo di carica opposta, chiudono il circuito così che la lampadina si possa accendere. La radioattività spontanea. 178 Un fenomeno naturale che ha suggerito ai chimici l’esistenza di particelle subatomiche, cioè di particelle più piccole dell’atomo e in esso contenute, è la radioattività spontanea. In laboratorio abbiamo avuto una semplice dimostrazione che essere radioattivo significa emettere “qualcosa”, che non è possibile identificare nelle condizioni in cui abbiamo operato, ma che può essere rilevato con uno strumento piuttosto semplice, costituito da un display e da un oggetto simile ad un microfono, che si chiama contatore Geiger. Esso non ci dice nulla riguardo alle radiazioni, ne rileva solo la quantità. Con altri strumenti più sofisticati è stato possibile distinguere tre tipi di radiazioni: radiazioni alfa (α), costituite da particelle positive, radiazioni beta (β), formate da particelle negative, e radiazioni gamma (γ), prive di carica. Queste radiazioni escono dagli atomi, quindi le particelle di cui sono costituite si trovano dentro gli atomi. L’individuazione delle particelle subatomiche. Nei primi anni del XX secolo i chimici non si sono più accontentati di analizzare fenomeni spontanei, ma hanno costruito strumenti speciali allo scopo di indurre la liberazione di particelle subatomiche dagli atomi e di caratterizzarle meglio. Hanno così scoperto gli elettroni, molto piccoli, carichi negativamente e piuttosto veloci, che chiamarono inizialmente raggi catodici. Successivamente i protoni, positivi, 1836 volte più grandi degli elettroni e, parecchi anni più tardi, anche i neutroni, privi di carica e grandi quanto i protoni. Possiamo concludere dicendo che gli atomi sono formati da tre tipi di particelle subatomiche: ✓ protoni, di carica positiva e massa unitaria, indicati con p+, ✓ neutroni, di carica nulla e massa unitaria, indicati con n ✓ elettroni, di carica negativa e massa 1836 volte più piccola di quella di protoni e neutroni, indicati con e- 2.1 MODELLI DI STRUTTURA ATOMICA La questione che ha suscitato la curiosità e l’ingegno dei chimici ha riguardato poi la collocazione delle particelle subatomiche all’interno dell’atomo; naturalmente non è stato possibile entrare direttamente nell’atomo, ma le informazioni sono state ottenute da prove indirette. Si sono elaborati, quindi, dei modelli atomici che, nel tempo, hanno subito un’evoluzione grazie all’apporto di nuove conoscenze e alla disponibilità di nuove tecnologie. In ogni caso restano modelli, cioè delle rappresentazioni della realtà, ma non delle riproduzioni di una realtà, che, per motivi tecnici (gli atomi sono estremamente piccoli, 0,1 miliardesimi di metro, e ancora più piccolo è ciò che sta al loro interno), non si può osservare direttamente. 2.1.1 MODELLO DI THOMSON In ordine temporale il primo modello atomico fu quello di Joseph John Thomson (fine 1800), noto come modello “a panettone”, che ipotizzava che protoni ed elettroni fossero distribuiti all’interno dell’atomo del tutto casualmente e omogeneamente, come le uvette e i canditi dentro il panettone. 2.1.2 MODELLO DI RUTHERFORD Successivamente Ernest Rutherford, sfruttando l’emissione di radiazioni alfa da parte di un elemento radioattivo, allestì un ingegnoso esperimento che suggerì che i protoni fossero concentrati in uno spazio piuttosto piccolo al centro dell’atomo, che egli chiamò nucleo. Riuscì anche a determinare il 179 rapporto tra il raggio dell’atomo e quello del nucleo, stimando che valesse 105: il raggio dell’atomo è 100 000 volte più grande di quello del nucleo. Gli elettroni dovevano girare intorno al nucleo, ma egli non precisò come. 2.1.3 MODELLO DI BOHR Nel 1913 Niels Bohr rielaborò il modello di Rutherford, precisando meglio la distribuzione degli elettroni intorno al nucleo. Egli eseguì i suoi studi sull’atomo di Idrogeno: questo atomo ha un solo elettrone e quindi non può essere paragonato ad altri che contengono 80 o 90 elettroni, ma è prassi collaudata nel mondo scientifico costruire modelli o studiare meccanismi in situazioni semplici o semplificate, per poi estendere i risultati, estrapolare, a situazioni più complesse. Bohr notò che gli atomi comunemente non emettono energia. Questo significa che gli elettroni che si muovono intorno al nucleo non cadono su di esso, perché se lo facessero, in seguito all’attrazione elettrica e gravitazionale esercitata dal nucleo durante la caduta e conseguentemente all’incontro con il nucleo, essi emetterebbero energia. Questo implica che gli elettroni si muovano intorno al nucleo a certe distanze e con velocità tali da contrastare la forza attrattiva del nucleo stesso. Per riassumere i risultati dei suoi esperimenti, egli formulò due postulati: * 1° POSTULATO - DELLO STATO STAZIONARIO gli elettroni si muovono su orbite prestabilite a determinate distanze dal nucleo, cui sono associati determinati valori di energia, senza allontanarsene spontaneamente; tali orbite, cui corrispondono precisi livelli di energia, sono sette. * 2° POSTULATO - DELLO STATO ECCITATO si può allontanare un elettrone dalla sua orbita soltanto fornendo una determinata quantità di energia; l’elettrone successivamente torna al livello energetico di partenza emettendo energia.* La quantità di energia e il tipo di radiazione emessa dipendono dalla differenza di energia potenziale tra il livello finale raggiunto dall’elettrone e quello di partenza. È inoltre possibile fornire una quantità di energia sufficiente per strappare definitivamente l’elettrone ad un atomo, così da produrre una nuova particella: lo ione. Poiché l’energia fornita genera uno ione, essa prende il nome di energia di ionizzazione. Un paragone interessante. Possiamo illustrare in maniera semplice quanto teorizzato da Bohr con un esempio curioso. È possibile paragonare paragonare la situazione degli elettroni di un atomo a quella degli spettatori riuniti in un teatro romano, con il palcoscenico, che rappresenta il nucleo, al centro e le gradinate, che rappresentano i diversi livelli di energia potenziale, disposti tutto intorno. Gli spettatori sono seduti o su un anello o su quello consecutivo, mai sospesi nell’aria tra un gradino e l’altro. Inoltre, a mano a mano che ci allontaniamo dal palcoscenico, gli spettatori presenti sulle gradinate aumentano, perché aumenta il diametro dell’anello che li ospita. La stessa cosa si può pensare per gli elettroni: sul secondo livello energetico ci potranno essere più elettroni che sul primo, sul terzo più elettroni che sul secondo. C’è tuttavia una sostanziale differenza tra gli spettatori del teatro e gli elettroni: i primi sono fermi al loro posto, gli elettroni, invece, ruotano su se stessi, ruotano intorno al nucleo e in più hanno tutti una carica negativa e, se si trovano abbastanza vicini, si respingono. 180 Questo impone un limite al numero di elettroni che possono stare contemporaneamente su un livello: sul primo livello vi sono al più due elettroni, sul secondo livello al massimo otto, sul terzo livello al massimo diciotto, ecc. In laboratorio E’ possibile effettuare un esperimento che conferma quanto osservato da Bohr: il saggio alla fiamma. Abbiamo posto sulla fiamma di un fornellino ad alcool, servendoci di una bacchetta di vetro sulla quale era fissata un’ansa di platino, sali composti da elementi diversi. La fiamma si è colorata in maniera evidentemente diversa a seconda del tipo di sale utilizzato. Queste osservazioni suggeriscono che atomi di elementi diversi hanno elettroni distribuiti su livelli diversi che possono spostarsi su livelli energetici più lontani dal nucleo e tornare, successivamente, sui livelli di partenza, caratteristici per ogni elemento. In questo modo è possibile spiegare le differenti colorazioni: ✓ rosso per il Litio (Li) ✓ verde azzurro per il Rame (Cu) ✓ giallo intenso per il Sodio (Na) ✓ violetto per il Potassio (K) ✓ rosso vivace per lo Stronzio (Sr) Evoluzione del modello di Bohr Il modello atomico di Bohr ha, nel tempo, subito rimaneggiamenti, che però hanno sostanzialmente confermato l’intuizione originaria. E’ necessaria, però, una precisazione: fino ad ora abbiamo usato indifferentemente i termini orbita e livello energetico. In realtà, i dati raccolti successivamente e relativi agli elettroni e alla tipologia del loro movimento ci impongono di utilizzare esclusivamente il termine livello energetico e non orbita, ogniqualvolta vogliamo indicare la distanza media dal nucleo alla quale si trovano gli elettroni e il loro livello di energia potenziale. 181 MODULO TRE L’ACQUA E LE SUE CARATTERISTICHE Una molecola d’acqua misura 0,9584 Å (1 Å =1.0x10-10 metri), quindi non è visualizzabile con nessuno strumento di ingrandimento. È talmente piccola che 18 grammi d’acqua, il fondo di un bicchiere, ne contengono 6,022x1023 (seicentomila miliardi di miliardi!), più delle stelle nel cielo il cui numero stimato è di centomila miliardi di miliardi. Se potessimo metterle tutte in fila, potrebbero effettuare il tragitto Terra-Sole quasi 400 volte oppure fare circa 1.500.000 giri attorno al mondo: davvero un bel record! La Terra è il pianeta dell’acqua per eccellenza: la si trova ovunque, nel tuo corpo e nel fiato che emetti dalla tua bocca, nell’atmosfera, nei piccoli e grandi bacini, nei fiumi, nelle profondità della terra, negli enormi ghiacciai dei poli, nei geyser e perfino nella roccia ribollente dei vulcani. Ma che cos’ha di così speciale questa sostanza? 1 - La molecola dell’acqua e le sue proprietà Dal punto di vista chimico, l'acqua è una sostanza formata da molecole. La formula è H2O, in quanto ciascuna molecola è costituita da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno. Dal punto di vista ponderale, essa è formata dall’11,19% in peso di idrogeno, e dall’88,81% da ossigeno, più precisamente, per circa il 99,98% dagli isotopi 1H (protio) e 16O e per il rimanente dagli isotopi 2H (deuterio), 3H (tritio), 17O e 18O. L’ossigeno ha maggior elettronegatività, ossia la capacità di attirare a sé gli elettroni, particelle con carica negativa e di massa trascurabile, costituenti l’atomo, rispetto all’idrogeno che risulta invece elettropositivo. La molecola dell’acqua non è quindi omogenea dal punto di vista elettromagnetico: è infatti un “dipolo”, con una parte “più positiva” e una “più negativa”. Questa asimmetria elettrica delle singole molecole è dovuta alla particolare distribuzione degli elettroni più esterni dell’ossigeno (orbitali 2py e 2pz semivuoti) e ai legami idrogeno-ossigeno che sono covalenti polarizzati; in condizioni aeriformi, l’angolo tra i due legami misura 104,45°, mentre nello stato solido (ghiaccio) l’angolo è pari a 109,5°. * I legami a idrogeno. Ogni molecola d’acqua può formare legami con altre quattro molecole.* Una conseguenza importante di questa particolare geometria è che le molecole dell’acqua non si dispongono nello spazio disordinatamente, ma formano dei “ponti” tra l’una e l’altra, detti ponti o legami a idrogeno. Questi legami sono molto più deboli di quelli covalenti che tengono uniti ossigeno e idrogeno e si stima che ciascuno di essi non duri più di 1/100.000.000.000 di secondo! Tuttavia, per ogni ponte a idrogeno che si rompe, immediatamente se ne forma uno nuovo, mantenendo costante nel tempo il numero totale.Grazie a questi legami, ogni molecola si lega con altre quattro (è più corretto affermare che ogni atomo di ossigeno è coordinato tetraedricamente con quattro atomi di idrogeno), e questa fitta rete di legami intermolecolari, definibile come coesione, conferisce all’acqua lo stato di aggregazione liquido in condizioni normali di pressione e temperatura. 182 * COSA SIGNIFICA “CONDIZIONI NORMALI”? NTP - Normal Temperature and Pressure: 20°C (293,15 K) e 1 atm (101,325 kN/m2, 101.325 kPa)* I legami a idrogeno tra le molecole d’acqua scompaiono ovviamente allo stato aeriforme. Se confrontiamo la molecola d’acqua con quella di anidride carbonica, ci rendiamo facilmente conto della diversa geometria molecolare, che impedisce alle molecole di CO2 di legarsi tra di loro in condizioni normali. Anch’esse sono caratterizzate da legami covalenti polari, tuttavia, disponendosi gli atomi in linea retta, le molecole presentano ad ambedue le estremità atomi di ossigeno con le stesse cariche, che obbligano le molecole, globalmente apolari, a respingersi. Possiamo pertanto affermare che se l’acqua avesse la stessa geometria della molecola di anidride carbonica sarebbe anch’essa gassosa e ciò non permetterebbe agli esseri viventi di esistere. 1.1 - LE PROPRIETÀ FISICHE DELL’ACQUA L’acqua bagna. Questa sembra un’affermazione banale, ma è necessario porsi qualche domanda: “Cosa vuol dire bagnare? Perché qualche corpo si bagna e altri no?”. La proprietà di cui stiamo parlando è l’adesione, cioè la capacità di un materiale di creare legami elettrostatici con materiali di natura diversa. Verranno definiti idrofili quelli che hanno un grado più o meno spinto di affinità con l’acqua e idrofobi quelli che viceversa non creeranno legami con essa. Sono un esempio noto di idrofobia i diffusi tegami anti-aderenti, rivestiti di politetrafluoroetilene (PTFE), meglio conosciuto come teflon, materiale effettivamente antiaderente. * Le pentole antiaderenti sono rivestite con materiali idrofobi.* Anche grassi e oli presentano questa caratteristica; essendo oltretutto meno densi dell’acqua, galleggiano sulla sua superficie. Legata alla coesione e all’adesione, un’altra importante proprietà è la capillarità. Questo termine, che chiaramente si riferisce ai capelli e alle loro dimensioni, indica quei fenomeni dovuti alle interazioni elettrostatiche fra le molecole d’acqua e la superficie di un solido non idrofobo all’interno di piccoli spazi (per esempio le pareti di un tubicino di vetro). Poiché le forze di adesione tra l'acqua e il recipiente che la contiene sono maggiori delle forze di coesione tra le molecole d'acqua stesse, la superficie del liquido al contatto col materiale si incurva verso l’alto, facendole assumere una forma concava e facendola risalire contro gravità per un certo tratto. Il fenomeno è più evidente nei tubi capillari più sottili poiché in questi è maggiore il numero di molecole d’acqua a contatto con le sue pareti rispetto al numero totale. Di conseguenza, la parte di liquido che genera le forze di adesione è maggiore, provocando un più accentuato spostamento verso l’alto del livello del liquido all'interno del capillare stesso. L'imbibizione si manifesta nei materiali porosi come il legno e consiste nel movimento capillare dell'acqua al loro interno che ne fa aumentare il volume. Durante i giorni di pioggia, capita di bagnarsi il bordo dei pantaloni; purtroppo l’acqua, proprio per imbibizione, sale inesorabilmente e ci ritroviamo bagnati fino quasi al ginocchio. Se poniamo una goccia d’acqua su una superficie piana non idrofoba, essa sarà portata a mantenere una forma emisferica, come se tendesse a non spargersi. Altrettanto curiosa è l’osservazione di una 183 goccia d’acqua che cerca di staccarsi da un rubinetto gocciolante: si ingrandisce sempre di più finché il troppo peso non la fa precipitare. È come se l’acqua fosse avvolta da una pellicola elastica e resistente: questo fenomeno viene definito tensione superficiale ed è dovuto anch’esso ai legami idrogeno in corrispondenza della superficie di contatto acqua-aria. *Goccioline di pioggia sui petali di una rosa: le gocce d’acqua formano una sorta di pellicola che fa loro assumere una forma tondeggiante.* Una molecola che si trovi in questa zona ha altre particelle dello stesso tipo al di sotto. Se tale molecola venisse sollevata, i legami tra essa e le molecole adiacenti verrebbero tesi, generando una forza che tende a richiamare la molecola verso la superficie. Allo stesso modo, se appoggiassimo un corpo minuscolo come una graffetta o uno spillo o le zampe di un insetto sulla superficie dell’acqua, le molecole superficiali di quest'ultima verrebbero spinte verso il basso generando una forza di richiamo diretta verso l'alto. È così possibile che essi non affondino; ma basta un piccolo urto, perché si laceri quella “membrana” e questi oggetti, a causa del loro stesso peso precipitino verso il basso. 1.2 - LE PROPRIETÀ TERMICHE DELL’ACQUA L'acqua manifesta anche particolarissime proprietà termiche, come un elevato calore specifico (numero di calorie necessarie per elevare di 1°C la temperatura di un grammo di sostanza). Pertanto, a parità di massa, l'acqua necessita di una quantità di calore molto più elevata di qualsiasi altra sostanza inorganica (esclusa l’ammoniaca, NH3) per scaldarsi similmente, cioè per manifestare lo stesso aumento di temperatura. Detto diversamente, possiamo affermare che l'acqua assorbe molto calore senza scaldarsi eccessivamente come invece avverrebbe, ad esempio, a un pentolino di metallo lasciato vuoto sul fuoco anche solo per pochi istanti. Anche questa proprietà si spiega con la presenza dei legami a idrogeno tra le molecole: il calore fornito all'acqua si trasforma solo in parte in un aumento di energia cinetica media (cioè in un aumento di temperatura) delle molecole; in buona misura è invece utilizzato per spezzare la fitta rete di legami a idrogeno che tengono unite le molecole le une alle altre. Per lo stesso motivo l'acqua ha bisogno di molto calore per poter evaporare (cioè ha un elevato calore di evaporazione): è necessario vincere le forze di attrazione tra le molecole perché passino allo stato di vapore, abbandonando la superficie del liquido. Il fatto di avere elevati valori calore specifico e calore di evaporazione fanno dell'acqua un ottimo materiale termoregolatore, capace cioè di evitare in modo piuttosto efficace gli sbalzi termici. Per questa ragione, le grandi masse d'acqua presenti sulla superficie terrestre svolgono il ruolo di un'enorme volano termico, riducendo le escursioni termiche giornaliere e stagionali e mitigando il clima. * Il mare, ma anche i laghi di una certa dimensione, assorbono grandi quantità di calore e mitigano le differenze di temperature stagionali o giornaliere.* Questo effetto è particolarmente interessante per gli esseri viventi, costituiti d’acqua per percentuali mediamente comprese tra il 50% e il 95% in peso; essa “tampona” infatti, in modo molto efficace, le variazioni esterne di temperatura. 184 La sudorazione e la conseguente evaporazione dei liquidi corporei emessi da molti organismi come l’uomo permettono di eliminare l’eventuale calore in eccesso che potrebbe comprometterne le funzioni vitali. * Il nostro organismo elimina il calore prodotto dal metabolismo con la sudorazione: l’energia termica viene smaltita facendo evaporare l’acqua.* In generale tutte le sostanze, assumendo calore, aumentano di volume e, raffreddandosi, si contraggono. Al riguardo, l’acqua ha un comportamento anomalo: ne è testimonianza il fatto che il ghiaccio (stato fisico solido dell’acqua) galleggia sull’acqua liquida. Ciò è dovuto al fatto che la solidificazione avviene attraverso una stabilizzazione dei legami idrogeno, i quali costringono le molecole a disporsi in una struttura cristallina ordinata (esagonale), con le molecole poste a distanze leggermente maggiori rispetto a quanto avviene nello stato liquido. Se ipotizzassimo per assurdo che il ghiaccio fosse più pesante dell'acqua, esso finirebbe per accumularsi, anno dopo anno, sul fondo dei grandi bacini idrici con scarse o nulle possibilità di ritornare allo stato liquido. *Il lago di Sils ghiacciato (alta Engadina). Il ghiaccio resta in superficie grazie alla minore densità rispetto all’acqua liquida. In tal modo le riserve idriche mondiali si esaurirebbero, diventando tra l'altro sempre più salate, ed ogni forma vivente in esse sarebbe destinata all'estinzione, soprattutto nei bacini più piccoli, come i laghi, che ghiaccerebbero integralmente. Nella realtà, il ghiaccio forma una coltre superficiale che tende a isolare e proteggere l'acqua sottostante da ulteriori diminuzioni di temperatura. Se consideriamo l’acqua liquida, anch’essa, come tutte le sostanze, anche, diminuisce lievemente di volume mentre si raffredda; tuttavia, alla temperatura di 4°C essa raggiunge il massimo di densità. Se la temperatura si abbassa ulteriormente fino al punto di congelamento (0°C), la densità dell'acqua diminuisce bruscamente (vedi tabella). * Tabella 1 - La variazione di densità dell’acqua al variare della temperatura. A 4°C l’acqua raggiunge la massima densità: quindi l’acqua a temperature maggiori “galleggia” sull’acqua a 4°C e l’acqua a temperature minori di 4°C galleggia sull’acqua a temperatura pari a 4°C.* Temperatura (°C) +100 +80 +60 +40 +30 +25 +22 Densità Temperatura Densità (kg/dm 3) (°C) (kg/dm 3) 0,9584 +20 0,9982071 0,9718 +15 0,9991026 0,9832 +10 0,9997026 0,9922 +4 0,9999720 0,9956502 0 0,9998395 0,9970479 -10 0,998117 0,9977735 -20 0,993547 185 1.3 - L’ACQUA COME SOLVENTE POLARE Chimicamente, l'acqua è un buon solvente e ciò è determinato dalla polarità della sua molecola: quando un composto ionico o polare viene posto in acqua, esso viene circondato dalle molecole di acqua, le quali separano gli ioni l’uno dall'altro o le molecole tra loro. Infatti le molecole d’acqua si orientano in modo da rivolgere alle particelle di soluto le proprie cariche, circondandole numerose. Viene così vinta la forza di attrazione tra gli ioni o tra le molecole polari e quindi demolita la struttura cristallina del soluto. Un esempio di soluto ionico è il comune sale da cucina (cloruro di sodio); esempi di soluti molecolari polari sono l’alcol e lo zucchero. L’acqua si rivela così un buon solvente per sostanze come acidi, idrossidi, alcoli e sali, mentre non lo è per quelle non polari come grassi ed oli. In natura l’acqua non è mai pura in quanto contiene, in percentuali variabili, diverse sostanze in soluzione, compresi gas come l’anidride carbonica e l’ossigeno. 186 AGLI STUDENTI CHE STUDIANO SU QUESTO BOOK Il presente lavoro, nello spirito del book in progress, è in continuo aggiornamento, approfondimento, completamento, ampliamento. La revisione dei testi e delle immagini è gradita, gli eventuali errori riscontrati in questo book possono essere segnalati al vostro insegnante, che provvederà a comunicarli agli autori. AI DOCENTI CHE UTILIZZANO QUESTO BOOK Si invitano i docenti a dare ogni indicazione possibile per costruire un manuale scientificamente e didatticamente adeguato, segnalando eventuali errori, come pure possibili, ma certo non volute, omissioni di fonti. Si prega di segnalare quanto sopra o qualsiasi altra osservazione al coordinatore utilizzando l’indirizzo di posta elettronica: [email protected] Foto, disegni schemi utilizzati nel manuale sono stati realizzati dai docenti autori o sono di pubblico dominio e libero utilizzo (no copyright e royalty free). Per i dati riportati, si fa presente che i siti istituzionali consultati riportano talvolta cifre discordanti: si è proceduto a riferire quelli ritenuti più attendibili perché condivisi dalla maggior parte degli studiosi. È permesso ogni utilizzo didattico del testo da parte delle istituzioni scolastiche appartenenti alla rete del book in progress. Grazie a tutti quanto vorranno contribuire per migliorare il book ☺ 187