SEGNI
Guida Storico Artistica
PIOVE DI SACCO
SEGNI
guida storico artistica
Ricerca e testi:
Giovanna Cosimi
Foto di:
Luciano Schiavon
Giorgio Meneghetti
“La Difesa del popolo”
Piantine:
Valentina Giraldo
Aggiornamento (schede n. 2-8-10-12-15-21-26-34-38)
e integrazioni (schede n. 5-6-9-14-16-17-30-35-45-46-47):
Davide Doardo
Cura redazionale:
Laura Buso e Eugenio Parziale
Collaborazione:
Massimo Benesso, Barbara Canato, Stefania Coccato, Gianni Doardo,
Giuseppe Lotto, Laura Mattietto, Giorgio Meneghetti, Massimo Paparella,
Bruno Romagnosi, Elisa Santinato, Sara Zambianchi
© 2008 Città di Piove di Sacco
II edizione aggiornata
Stampa:
Rigoni
In copertina:
Acquerello di Leo Borghi
“Il Castello di Piove”
PREMESSA
La pubblicazione di questa guida si prefigge un duplice scopo: far conoscere Piove al
di fuori del suo circondario, al fine di inserirla nel flusso turistico dei centri minori
che tanto successo stanno riscuotendo negli ultimi tempi, e far conoscere Piove soprattutto a chi la abita da sempre.
Le pietre di una città parlano da sole del loro passato ma a bassa voce e bisogna saper
leggere ed interpretare “i segni” lasciati dalla storia.
Questa “guida alla lettura” degli edifici più significativi di Piove di Sacco si propone
come primo passo verso la costituzione di un museo integrato, di un museo vivo, costruito sul territorio, con gli abitanti del territorio stesso. La disponibilità dei proprietari (o dei custodi) di questi beni è il primo segnale di una possibile
collaborazione tra cittadini e Amministrazione locale anche in vista della realizzazione di un progetto più complesso.
Spesso si sente parlare di musei, ma quali sono i compiti di un museo? Ruggero, docente del Politecnico di Torino, risponde che il ruolo del museo è, oltre che proteggere e conservare, raccontare. Allora quale museo può essere migliore del territorio
stesso visto attraverso la valorizzazione dei suoi punti salienti, dei “segni” che nel
corso della storia si sono conservati fino ad oggi?
Il Museo quindi già sussiste bisogna solo valorizzare i suoi vari aspetti. Con queste
pagine il Comune di Piove di Sacco ha voluto fornire un primo strumento che faciliti l’approccio con l’arte e la storia tramandate attraverso le cose.
Per sfruttare nel migliore dei modi questo strumento è utile informare l’utente sul
modo in cui è costruito.
La guida può essere utilizzata seguendo tre itinerari tematici:
- con il colore blu sono segnati gli edifici civili ed i palazzi
- con il colore giallo gli edifici religiosi
- con il colore rosso le ville e gli edifici rurali.
Il visitatore ha a sua disposizione per orientarsi meglio tre cartine poste all’inizio, al
centro e alla fine del volume: la prima rappresenta il centro storico, la seconda i dintorni del centro storico e la terza le frazioni.
Ogni scheda è composta generalmente di due facciate dove è riportato il nome con
cui viene identificato comunemente l’edificio, il colore dell’itinerario tematico di appartenenza, alcune informazioni storiche e una breve descrizione integrata da qualche nota sul valore artistico delle varie opere ed infine, nella facciata di destra, a piè
pagina, il visitatore potrà trovare alcune indicazioni pratiche utili per la pianificazione della propria visita.
L’AMMINISTRAZIONE COMUNALE
di Piove di Sacco
INDICE
Itinerario edifici civili e palazzi
Palazzo Jappelli ............................................................................................pg.
Teatro Filarmonico Comunale .....................................................................pg.
Monte di Pietà.............................................................................................pg.
Pescheria......................................................................................................pg.
Palazzo Brunati-Gasparini............................................................................pg.
Palazzo Contarini-Pérez ...............................................................................pg.
Torre Carrarese ............................................................................................pg.
Palazzetto Bozzattini-Sartori-Bido................................................................pg.
Palazzo Morana-Stazio-Gradenigo ...............................................................pg.
Palazzo Neogotico Valeri..............................................................................pg.
Casa Morosini-Vallini-Corazza ....................................................................pg.
Palazzo Badoer (Sommer) ............................................................................pg.
Palazzo Pasqualigo-Bertani-Doardo .............................................................pg.
Villa Bassini.................................................................................................pg.
Palazzo Pietropan.........................................................................................pg.
Cinema Teatro Politeama.............................................................................pg.
Palazzo Contarini-Zorzi...............................................................................pg.
Palazzo Barbaro Lorenzoni...........................................................................pg.
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Itinerario edifici religiosi (capoluogo)
Complesso del Duomo: Arcipretale di San Martino.....................................pg.
Chiesa di Santa Giustina - San Rocco ..........................................................pg.
“Scolla” del Santissimo Crocefisso................................................................pg.
Chiesa di San Nicolò ...................................................................................pg.
Oratorio di Sant’Anna .................................................................................pg.
Monastero di San Vito e Modesto................................................................pg.
Santuario della Madonna delle Grazie..........................................................pg.
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Itinerario ville ed edifici rurali (capoluogo)
Palazzo Querini - Dante ..............................................................................pg.
Villa Gradenigo ...........................................................................................pg.
Villa Priuli ...................................................................................................pg.
Villa Leoni-Rosso ........................................................................................pg.
Palazzo Morosini .........................................................................................pg.
Casa Contarini-Gallo ..................................................................................pg.
Villa Magno-Salvagnin ................................................................................pg.
Villa Soranzo-Crotta-Bragato.......................................................................pg.
Barchessa Soranzo-Crotta-Bragato ...............................................................pg.
Casa Priuli-Mocenigo ..................................................................................pg.
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Itinerario edifici religiosi (frazioni)
Chiesa di Santa Maria Assunta e l’antica chiesa sconsacrata..........................pg.
Chiesa di Santa Maria Dolente ....................................................................pg.
Santuario del Cristo.....................................................................................pg.
Chiesa di San Tommaso Apostolo................................................................pg.
Chiesetta della Madonna di Righe ...............................................................pg.
Chiesa di San Paterniano Vescovo................................................................pg.
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Itinerario ville ed edifici rurali (frazioni)
Barchessa Venier-Polani ...............................................................................pg. 96
Casa Molin-Negrisolo..................................................................................pg. 98
Villa Polani-Saro..........................................................................................pg. 100
Casone Rosso ..............................................................................................pg. 102
Casone di Via Ramei ...................................................................................pg. 104
Palazzo Jacur................................................................................................pg. 106
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1 Palazzo Jappelli
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L'edificio, Sede Municipale, fu costruito tra il
1821 e il 1823 su progetto dell' architetto Giuseppe Jappelli (Venezia
1783 – 1852), al posto
del precedente Palazzo
Pubblico di origine carrarese di cui ci rimane memoria in un disegno del
1747.
Il prospetto principale
è fortemente cadenzato
dai fori delle finestre e
dalle arcate al pianterreno. La facciata allarga
leggermente la prospettiva verso la piazza principale formando a sua volta uno spazio pubblico dove spicca appunto questo
blocco compatto e regolare. L'elegante atrio è costituito da un salone passante con colonne che riprendono il ritmo di facciata.
Salendo lo scalone a destra si raggiunge il piano nobile dove sono gli ambienti di rappresentanza: la Sala della Magnifica Comunità o Sala del Consiglio, la Sala dei Melograni (ufficio del Sindaco) e l'ufficio del Segretario
generale. In questo piano troviamo concentrate una notevole quantità di
opere tra cui la raccolta di quadri di pittori tuttora attivi e in particolare artisti locali, che si articola lungo il corridoio che dà accesso agli uffici amministrativi, sulle pareti dei vani scala secondari e nell'ufficio Messi comunali.
Nella Sala del Consiglio, entro grandi cornici in stucco sono poste quattro tele realizzate nel 1994 dalle pittrici Gabrie Pittarello e Marina Ziggiotti
e dai pittori Mario Pastore e Ottorino Stefani in seguito ad un concorso bandito dall'Amministrazione Comunale. Nello stesso ambiente sono collocate
altre opere di notevole interesse: un Crocifisso ligneo trecentesco rinvenuto
nella torre civica; un bassorilievo in pietra raffigurante San Martino e il povero (stemma del Comune); alcuni ritratti opera del pittore Giuseppe Mastellaro e altre opere del padovano Leo Borghi e ancora quadri della Pittarello
e un plastico che rappresenta una ricostruzione - in chiave artistica - della
Piove medievale, realizzata dall'artista piovese recentemente scomparso,
Mario Salmaso. Nell'attigua Sala Melograni un'intera parete è occupata dalla
grande tela che costituiva il sipario del Teatro Filarmonico dov'è rappresentato l'Ingresso delle truppe italiane in Piove di Sacco; si tratta dell'unica opera
di grandi dimensioni realizzata dal pittore Alessio Valerio(Piove di Sacco1831
– Padova 1922). Sulla parete di sinistra (guardando il sipario) è interessante
la raccolta degli stemmi della città di Piove di Sacco: un grande San Martino
settecentesco realizzato ad intaglio ligneo proveniente dalla torre civica; sempre ad intaglio (sopra la porta) lo stemma policromo con le tre melagrane (allusione alla fertilità della terra), in origine simbolo del patrizio veneto
Michele Battaglia, uno dei podestà di Piove, e assunto dai francesi per sostituire quello originale di significato troppo esplicitamente religioso; al periodo fascista risale chiaramente il disegno con l'emblema delle tre melagrane
a cui è stato aggiunto il fascio littorio.
Nella stessa stanza si trova anche la mappa del 1747 che, come si accennava all'inizio, in una rappresentazione del centro della città, mostra anche
la facciata dell'antico Palazzo Pubblico.
Anche una serie di ritratti arricchiscono le pareti di questa stanza, sono
realizzati a matita o pastello su carta e sono opera di un altro insigne pittore
locale ottocentesco, Oreste da Molin (Piove di Sacco 1856 - Padova 1921),
cui appartengono anche alcune tele e disegni situati nell'ufficio del Segretario Generale.
In quest'ultimo ambiente meritano anche di essere segnalati i tre quadretti che riproducono le tre torri, oggi purtroppo distrutte, che costituivano le porte d'accesso alla città medievale. Infine, opere del pittore Giovanni
Soranzo sono ospitate nell'ufficio degli Assessori.
Originariamente l'edificio municipale, una delle prime opere che Jappelli, architetto e Ingegnere provinciale, realizzò al servizio della pubblica amministrazione, ospitava oltre alla Prefettura, alla Cancelleria Censuaria, al
Corpo di Guardia, anche ben dieci negozi, alcuni magazzini, le carceri e l'appartamento per il custode delle carceri.
Nel catasto austriaco l'immobile, di proprietà comunale, viene così descritto: “porzione di casa civile con botteghe; porzione di casa civile al primo
piano, al piano superiore uffici della Deputazione Comunale”.
Attualmente, come si è detto all'inizio, lo stabile è totalmente occupato
dagli uffici comunali, ma fino a qualche anno fa il pian terreno accoglieva
ancora alcuni negozi e l'ufficio postale.
Nell’aiuola di fronte al Municipio è posto inoltre un piedistallo porta
bandiera in pietra d'Istria sul quale sono ancora leggibili la data, 1591, lo
stemma piovese con il San Martino e lo stemma del podestà Pandolfo Malatesta.
Indirizzo: Piazza Matteotti, 4
Proprietario/Custode: Comune di Piove di Sacco; rivolgersi all'Ufficio Turismo
tel. 049.9709319 oppure 049.9709331
e-mail: [email protected] - www.museosaccisica.org
Interno visitabile: sì, previo contatto telefonico
Orari: martedì 15.00-18.00, mercoledì 9.00-12.00
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2 Teatro Filarmonico Comunale
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L’edificio che accoglie, oltre al teatro comunale, al quale si accede dalla
via Cardano, anche il «Caffè Grande», che si affaccia sul lato in cui la via
Cardano confluisce nella via Roma, consiste in una graziosa costruzione, dipinta di rosa e decorata con stucchi e specchiature in marmorino e in pietra tenera. L’aspetto attuale dell’edificio risale al 1862, in precedenza nel
sito attuale si trovava un edificio isolato, di dimensioni minori che ospitava unicamente il Caffè del Casino. Nel 1861 fu costituita, con il preciso
obiettivo di erigere una sala teatrale, una Società denominata appunto Del
teatro Filarmonico, che già nel 1862 aveva dato il via ai lavori, probabilmente affidando la progettazione all’ing. Giuliano Facchineti; la facciata
invece, almeno per i particolari decorativi, si può ritenere opera di Giovanni Battisti Tessari (primo Maestro della «Scuola Pratica di disegno per
artigiani» sorta a Piove nel 1852).
L’interno del teatro, caldo e raccolto, ha un bel soffitto decorato da Giuseppe Ponga (1892) raffigurante un cielo che accoglie le muse della musica
e alcuni putti con cartigli recanti i nomi di noti compositori quali Verdi,
Rossini e Puccini. Sopra il boccascena una decorazione a stucchi racchiudeva il ritratto del primo sindaco della Piove italiana, Enrico Breda; l’originale, opera del pittore Oreste da Molin, purtroppo disperso, è stato
sostituito da una reinterpretazione in chiave moderna della pittrice Gabrie
Pittarello. Un ulteriore elemento decorativo è costituito dalla balaustra del
loggione rivestita da un pannello dipinto su supporto cartaceo.
La sala teatrale, che si articola in platea e loggia sostenuta da esili ed eleganti colonnine in ghisa decorata, ha un palcoscenico piuttosto spazioso
ed è affiancata da una sala di attesa, mentre i camerini per gli artisti, costruiti
in un secondo momento, si trovano al piano superiore. Lo spazio per il palcoscenico è stato in parte ricavato sopra il portico antistante il Caffè ed in
parte sopra quest’ultimo.
Di notevole interesse è il sipario oggi conservato nella Sala dei melograni
presso la sede municipale. È opera del pittore locale Alessio Valerio databile
tra il 1867 e il 1868 e documenta il momento dell’entrata delle truppe italiane nella Piazza principale di Piove. Quindi sia per la data di costruzione,
sia per i soggetti delle decorazioni, oltre che per il desiderio di creare a Piove,
ancora sotto alla dominazione austriaca, una sala teatrale che fungesse anche
da luogo di ritrovo, il teatro «Filarmonico» può essere a pieno titolo appellato un ricordo del Risorgimento (l’appellativo fu usato dall’ingegner Paolo
Gasparini in un fascicolo prodotto in occasione del primo centenario dell’annessione del Veneto all’Italia).
Vale la pena ricordare le pregevoli opere della pittrice locale Fiore Brustolin Zaccarian che sono state sistemate a decorazione del foyer.
Nel corso degli anni gli spazi del teatro sono stati utilizzati anche per
fini diversi e spesso impropri: sala da ballo, sala riunioni, biblioteca, ecc. A
partire dal 1985 l’Amministrazione Comunale ha provveduto, in collaborazione con le Soprintendenze ai Beni Artistici e Storici, ed Ambientali e Architettonici, al restauro dell’edificio che è tornato così ad assolvere alla sua
originaria funzione.
Con il progetto di riordino delle piazze è stata pedonalizzata l’area antistante il Municipio e l’area limitrofa al teatro; quest’ultima è stata chiamata
“Piazza Risorgimento”. Proprio di fronte al teatro c’è un monumento significativo, intitolato ai quattro fattori dell’Unità d’Italia, rappresentati in
quattro medaglioni bronzei sulle facce dell’alto basamento della piramide
in pietra. Si tratta di Vittorio Emanuele II, Giuseppe Garibaldi, Camillo
Cavour e Giuseppe Mazzini. Il monumento è stato voluto da un comitato
di cittadini e posto in questa piazzetta temporaneamente. Infatti avrebbe
dovuto essere collocata al centro della piazza Vittorio Emanuele II e inaugurata il 23 settembre 1900, per celebrare il trentennale della “breccia di
Porta Pia”, ma in quella data la Piazza era ancora interessata da lavori di
riordino. Trasportato nei vicini giardini pubblici negli anni’40 è ritornato
di fronte al teatro solo nel 2005.
Indirizzo: Via Cardano, 7
Proprietario/Custode: Comune di Piove di Sacco; rivolgersi all'Ufficio Turismo
tel. 049.9709319 oppure 049.9709331
e-mail: [email protected] - www.museosaccisica.org
Interno visitabile: sì, in occasione degli spettacoli o previo contatto telefonico
Orari: martedì 15.00-18.00, mercoledì 9.00-12.00
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3 Monte di Pietà
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L’edificio è caratterizzato da uno stile sobrio con un portico ad arcate slanciate e volte a crociera, le due facciate sono scandite da marcapiani in pietra e
ravvivate dagli archivolti in cotto; lateralmente la copertura forma un timpano
modanato.
Sopra uno dei marcapiani della facciata principale è posto un bassorilievo in
pietra rappresentante La Pietà ed in basso, in una piccola losanga in cotto, c’è
la figura familiare ai piovesi, del San Martino a cavallo.
Un affresco decora una delle lunette del portico, si tratta di un’opera realizzata dal pittore Alberto Bolzonella (voluta dall’Amministrazione Comunale per la realizzazione di un progetto, Piove città di portici, avviato nel
1994), che rappresenta San Francesco sullo sfondo della gioiosa piazza di
Piove in un giorno di mercato.
L’edificio attualmente identificato con il nome “Monte di Pietà” è stato
la seconda sede dell’istituzione che fu trasferita nel XVII secolo in questo
palazzo, già esistente in precedenza (secolo XVI) ma che con l’occasione fu
ristrutturato; la sede originaria era all’ultimo piano di un alto edificio, situato in fianco all’attuale sagrestia del Duomo e demolito nel 1821.
Il Monte di Pietà sorse a Piove di Sacco sull’onda del grande entusiasmo
suscitato da quello di Padova (1469 e 1490), in risposta alla povertà sem-
pre crescente della popolazione della zona e al dilagante problema della diffusione dell’usura. Il 17 novembre del 1491 grazie alla predicazione del
Beato Bernardino da Feltre e dei frati dell’ordine Francescano (motivo che
ha spinto alla scelta del soggetto dell’affresco di cui sopra), con decreto del
Doge Agostino Barbarigo, fu istituito il Monte di Pietà. L’Ente attraversò
nell’Ottocento una grave crisi, e nella seconda metà del secolo fu infine
soppresso.
L’edificio in questione è stato ristrutturato nel 1754 e in tempi recenti
ha subito altri restauri; attualmente è occupato da uffici e da appartamenti
di proprietari diversi.
Indirizzo: Piazza Incoronata, già Piazza Grande, 1-2
Proprietario/Custode: vari
Interno visitabile: no
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4 Pescheria
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Nonostante sia di recente costruzione questo manufatto merita di essere
preso in considerazione per il suo aspetto elegante e per la sua posizione
centrale che attira l’attenzione di chi si appresti a visitare la città.
Si tratta di una struttura a tettoia aperta su tutti e quattro i lati con copertura lignea a capriate e facciata a tre fornici in finto bugnato, coronata
da balaustri per simulare una copertura a terrazza calpestabile.
Presenta forma irregolare che segue in modo esemplare la linea di prospetti che si affacciano sulla piazza, mentre il retro guarda la via d’acqua
piovese, il Fiumicello, proponendo in questo modo un rapporto tra collocazione e funzione.
Lo spazio coperto, attenendosi alla tradizione di mercati e di fiere così
viva ancora oggi a Piove di Sacco, è tuttora utilizzato per la vendita del
pesce.
In questo sito infatti trovavano già posto la pescheria e l’erberia fino al
1903, data in cui iniziarono i lavori di sistemazione della piazza. In quell’occasione purtroppo venne tombato il Fiumicello che costeggiava la
piazza entrando così nel centro e, sopra al primo pezzo del condotto che
imbriglia le acque, fu costruita, tra il 1903 e il 1906, su progetto dell’ingegner Francesco Gasparini, l’attuale Pescheria.
Inizialmente era destinata alla pescheria anche l’area circostante la tettoia e tutto il sito era chiuso da grandi cancelli in ferro che più tardi furono
tolti lasciando libertà di circolazione.
Indirizzo: Piazza Vittorio Emanuele
Proprietario/Custode: Comune di Piove di Sacco; rivolgersi all'Ufficio Turismo
tel. 049.9709319 oppure 049.9709331
e-mail: [email protected] - www.museosaccisica.org
Interno visitabile: sì, edificio aperto
Orari: martedì 15.00-18.00, mercoledì 9.00-12.00
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5 Palazzo Brunati-Gasparini
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Palazzo Gasparini spicca per l’originalità
della composizione della facciata nella cornice
della piazza maggiore di Piove di Sacco, di cui
occupa l’angolo nord-ovest, con i suoi tre
piani fuori terra. Il complesso architettonico
comprende il palazzo principale, le adiacenze
che danno sul piccolo cortile interno e un palazzo di nuova costruzione che si volge a nord,
sul filo delle costruzioni di via Europa.
Il prospetto principale, rivolto a sud, è caratterizzato da un accurato decoro della facciata, sulla quale emerge un timpano centrale
sopra il tetto con acroteri in marmo, sottolineato da una seconda cornice lavorata a dentelli, più bassa della linea di gronda, ed
abbellito da due trifore centrali ai piani primo
e secondo formate da una porta finestra archivoltata con lunetta tamponata e due finestre architravate ai lati, formando una sorta di
“serliana”. Il piano primo è nobilitato dalla
presenza di finestre più ampie con balconcino
in pietra naturale dalla caratteristica forma
morbida e ondulata e parapetto metallico. Il
piano terra è caratterizzato solo dal portone centrale archivoltato di accesso e da
due coppie di finestre rettangolari semplicemente riquadrate in pietra naturale.
Il prospetto nord del palazzo padronale è meno significativo, ma caratterizzato da un portale di accesso al portico ornato da una griglia in ferro battuto
nella quale si notano una croce e la data 1784. Da questo lato è ben visibile una
torretta merlata, destinata un tempo ad ospitare un serbatoio d’acqua. Nonostante si tratti di una superfetazione, la costruzione è stata realizzata con un accurato studio architettonico.
La struttura del palazzo rispetta i canoni tipici dell’architettura veneziana,
con salone centrale passante, i vari locali ai lati e la scala con gradini in pietra
naturale che si sviluppa in posizione centrale, su uno dei fianchi del salone, cui
si accede tramite una porta ad arco. Il vano scala ha il soffitto a volta a botte con
volte a vela nei pianerottoli.
Le pareti ed i soffitti del salone e dei due locali principali sono decorati con
affreschi ottocenteschi e tempere con riquadri e paesaggi di fantasia. La camera
matrimoniale sud è decorata con affresco certamente più tardo e presenta una
raffinata composizione a festoni di rose bianche su fondo riquadrato. I locali dell’ultimo piano non presentano particolari decorativi di pregio.
Addossate al corpo principale vi sono le adiacenze, che si allungano verso
nord, lungo il confine ovest della proprietà, anche queste si sviluppano su tre
piani, ma di minore importanza rispetto al palazzo. Un tempo adibite a gra-
naio, cantina e ricovero attrezzi, le adiacenze sono state trasformate in uso direzionale a piano terra e residenziale piano primo e secondo, con appartamenti
“duplex” con l’ultimo piano mansardato e tetto in legno. Al piano terra il portico è lastricato con masselli rettangolari di trachite. Il piccolo giardino mantiene
le caratteristiche aiuole con cordonate a disegno lobato e il pozzo in mattoni a
vista (a ridosso della recinzione est), restaurato. Il piccolo corpo rustico in mattoni è stato demolito e ricostruito, per essere adibito ad uso direzionale.
Per quanto riguarda l’epoca di costruzione del palazzo possiamo affidarci all’epigrafe posta sulla facciata principale che recita: “L.D.Q. AEDES EXPENSIS JOANNIS BRUNATI Q.M.JOAN EXTRUCTA A FUNDAMENTIS
ANNOD.NI MDCCLXXIV OPUS DOM.CI BELLAN”. Secondo questo
documento quindi l’edificio è stato costruito fin dalle fondamenta a spese di
Giovanni Brunati nel 1784 ad opera del maestro Bellan al servizio del proprietario. La proprietà passò per successioni familiari a Brunati Luigia e poi, in seguito ad un’asta pubblica, a Gallo Giovanni, costretto poi a vendere ai fratelli
Francesco Gasparini (l’ingegnere) e Giovanni suo fratello, che acquistarono l’immobile il 30 dicembre 1886. L’ultimo della famiglia ad abitare il palazzo fu l’ingegnere Paolo.
L’area risulta però edificata già nei catasti Napoleonico 1809 e Austriaco
1831-35, ma con sedime leggermente diverso dall’attuale e con un portico sulla
facciata; il corpo rustico a nord compare solo nel catasto austro italiano del
1845/53.
L’intervento di recupero degli immobili ha permesso la realizzazione, su via
Europa, di una nuova costruzione di tre piani fuori terra, a destinazione commerciale e residenziale, con un portico passante che mette in comunicazione il
cortile interno alla strada. Il prospetto è stato studiato in modo da presentare alcuni elementi di interesse estetico come il portico passante ad arco, la forometria differenziata tra i piani dell’edificio, con le finestre arricchite dai davanzali
in pietra lavorata e parapetti in ferro e la cornice lavorata a motivi classici. Il
prospetto interno presenta analogie con il principale, ed alcuni elementi di interesse come le finestre del vano scala ad arco, che richiamano il foro del portico, le porte finestre alleggeriscono la facciata, dalla quale aggettano con i
poggioli. Il tetto a due falde ha manto di copertura in coppi, vi sono ricavati due
abbaini triangolari a nord e due a sud, per l’aerazione del sottotetto.
Indirizzo: Piazza Vittorio Emuele II, Via Europa, 13/1-13/2
Proprietario/Custode: Valli s.r.l., tel. 049.9704139
Interno visitabile: sì, solamente il cortile
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6 Palazzo Contarini-Pérez
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Lungo via Mazzini tra i
vari palazzi della via, di più
modesta fattura, spicca Palazzo Contarini, meglio conosciuto come “Pérez”, è
uno dei più bei palazzi di
Piove. La costruzione signorile è costruita sul filo
della strada, senza portici;
sul retro, circondato da un
alto muro di mattoni in laterizio, vi è il brolo, uno
spazio un tempo utilizzato
per coltivare ortaggi, alberi
da frutto. Il primo documento che ne testimonia
l’esistenza è datato 1518,
quando Isabella Contarini e Marco Antonio suo figlio dichiarano la proprietà di
una “casa fabbricata dai nostri vecchi un campo e tre quarti e la casa da stazio
con brolo cortivo indiviso”. La famiglia possedeva terreni e case a Piazzola, al
Foresto, ad Este, a Sant’Angelo di Sala. I Contarini erano proprietari del palazzo
anche nel 1797 quando Alvise denuncia la “casa dominicale con barchessa, brolo
prativo e due case con barchessa”.
Il fabbricato è composto da tre piani, quello di terra originariamente aveva un
bel portale ad arco in posizione centrale e due finestre per ogni lato, è stato pesantemente rimaneggiato per ricavare tre unità commerciali, mentre i piani superiori si presentano con una bella architettura, caratterizzata da grandi trifore
archivoltate (corrispondenti al salone centrale) aperte su eleganti balconate in
pietra d’Istria e due finestre di eguali dimensioni ad illuminare le stanze laterali.
Queste ultime hanno il contorno in pietra con mascherone in chiave e piedritti,
che si elevano fino ad un listello modanato che, come una trabeazione, poggia
sulle chiavi.
All’ultimo piano i fori ripetono, meno ricchi, quelli del piano primo, qui le
finestre laterali sono semplicemente architravate e di dimensione minore, con architrave modanata aggettante. L’edificio termina con una bella cornice in pietra
d’Istria sorretta da mensoloni, al centro la cornice è interrotta dal timpano triangolare, che poggia sui mascheroni della trifora, è sormontato da decorazioni con
acroteri.
Nell’ultimo secolo l’edificio è stato più volte rimaneggiato. Supplendo alla
carenza di adeguate strutture scolastiche, nel 1917 il palazzo ospita la Scuola
tecnica privata, divenuta in quell’anno Comunale, (che diventerà pareggiata solo
nel 1919), questo stabile, pur non rispondendo ai requisiti regolamentari, aveva
il vantaggio di trovarsi nel centro cittadino, di essere ben arieggiato e salubre per
un numero limitato di alunni. Ogni anno studiavano nelle sue aule dai 68 ai 111
alunni. La scuola tecnica diventa Complementare nel 1923 e poi di Avviamento
professionale nel 1929, quando viene trasferita nel palazzo neogotico Valeri di
via Garibaldi. Durante il periodo fascista l’edificio è utilizzato come sede della
“Casa del fascio e dei Sindacati”. Gli alunni della scuola media tornano sui banchi di Palazzo Pérez dal 1946 al 1965. Ora vi sono negozi al piano terra mentre
i piani superiori sono stati trasformati in abitazioni private, modificando lo
schema tipico della casa veneziana. Di notevole pregio è l’antica scala, ancora
conservata all’interno dell’edificio, e che conduce agli appartamenti.
Passato l’arco bugnato di via Mazzini si giunge al brolo, un piccolo spazio su
cui prospettano edifici minori, destinati un tempo a ricovero attrezzi agricoli, carrozze e cavalli.
I fabbricati costituiscono parte di una vecchia barchessa urbana della fine del
Settecento. La parte ancora evidente e di maggiore pregio è quella fronte strada
su via Mazzini. La barchessa era costituita anche da una serie di edifici costruiti
in periodi databili a varie epoche e, prima dell’intervento di recupero, si trovavano in degrado assoluto. I fabbricati annessi in epoche più recenti sono stati utilizzati in vari usi, dal residenziale (vicino a via Mazzini) a ricovero di attrezzatura
agricola in genere per poi restare inutilizzati per lungo tempo. L’ultima funzione
svolta fino agli anni Ottanta fu quella di stallo per biciclette e ciclomotori.
Il brolo è stato recentemente recuperato grazie alla demolizione degli annessi
rurali e dei magazzini fatiscenti e la ricostruzione degli stessi, mantenendone sagoma, volume e altezze.
L’area verde del brolo è stata trasformata in una nuova piazza pedonale ad
uso pubblico, che ha preso il nome del bersagliere piovese “Carlo Rosso”, medaglia di bronzo al valore militare e fondatore della sezione piovese dell’Associazione Nazionale Bersaglieri. La piazza è costruita attorno ad un vecchio pozzo
esistente, con nuove attività commerciali. All’area si accede tramite un portico
da via Mazzini e da un nuovo ponte in acciaio sullo scolo Fiumicello. Tale ponte
permette l’accesso alle auto nel parcheggio pubblico in superficie e nel garage privato per trentasei posti auto interrati. Da qui è possibile vedere il retro del Palazzo Pérez, certamente meno interessante dal punto di vista architettonico, ma
che conserva ancora il bel portale ad arco, memoria del passaggio che un tempo
attraversava il piano terra del palazzo, con un salone passante, attualmente occupato da un’attività commerciale.
Indirizzo: Via Mazzini, 12-14
Proprietario/Custode: eredi di Rizzo Carlo - Via Scalcerle, 1 (PD)
Interno visitabile: solo il brolo
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7 Torre Carrarese
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Il torrione in mattoni è costruito su un
alto zoccolo in pietra. La quasi totale mancanza di fori e di elementi decorativi gli conferiscono un aspetto severo che denuncia la
sua originaria funzione difensiva. La fila di
leggere arcatelle cieche trilobate, interrotta
dalla sporgenza delle lesene, risulta quasi
sproporzionata rispetto all’importanza della
costruzione.
L’omogeneità delle pareti in cotto è interrotta sul lato verso piazza Incoronata dalla
presenza di bassorilievi in pietra: in alto una
serie di tre, solo vagamente riconoscibili, che
rappresentano San Martino che dona il
mantello al povero (stemma della Comunità
Piovese), lo stemma con il Leone di San
Marco (noto simbolo della Serenissima che
dominò queste terre dal 1405 al 1797) e lo
stemma di uno dei Podestà di Piove. Vicino
all’orologio è ripetuto il S. Martino ed uno
stemma con le tre melagrane (sul significato
del quale ci si è soffermati nella scheda di Palazzo Jappelli); ancora più in basso due
grandi lapidi riportano ancora lo stemma di
Piove accanto a quello della Serenissima.
Salendo in cima alla torre, che, recentemente restaurata, dovrebbe in un futuro abbastanza prossimo diventare sede di un’esposizione permanente sulle città
fortificate e sullo sviluppo urbanistico di Piove, si può godere il panorama
della città e del territorio circostante.
La fortificazione di Piove ebbe inizio per opera del Vescovo, conte di
Piove di Sacco, Gauslino, nella seconda metà del X secolo; si trattava di un
sistema difensivo che sfruttava la caratteristica ricchezza d’acqua della zona:
un doppio vallo, solcato dalle acque del Fiumicello e probabilmente arricchito da torresini. La cinta fu rinforzata da Ansedisio, ma l’intervento più
rilevante fu quello effettuato da Francesco da Carrara che rese più profonde
le fosse e più alti i terrapieni e fece costruire le quattro torri (due delle quali
nel 1359, le altre poco più tardi). Tre erano poste a triangolo a difesa delle
porte d’accesso alla città: la Torre Rossi fiancheggiava la porta San Nicolò
verso Venezia e la torre Carrarese la porta San Martino verso Padova (situata
dove si trova oggi la stazione delle corriere).
Di tutto questo complesso difensivo rimane oggi solo qualche traccia del
doppio vallo per altro ridotto a fossato; le belle torri sono scomparse una alla
volta con le distruzioni ottocentesche.
L’unica superstite è dunque questa, che situata al centro aveva la funzione di mastio del Castello. Oggi, anche se adattata a campanile, è appellata Torre Carrarese ed è considerata dalla cittadinanza un emblema della
Comunità.
Indirizzo: Piazzetta S. M. dei Penitenti
Proprietario/Custode: Comune di Piove di Sacco; rivolgersi all'Ufficio Turismo tel. 049.9709319
oppure 049.9709331 - e-mail: [email protected] - www.museosaccisica.org
Interno visitabile: sì, in occasione del Mercatino dei portici (2a domenica del mese)
o previo contatto telefonico
Orari: martedì 15.00-18.00, mercoledì 9.00-12.00
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8 Palazzetto Bozzattini-Sartori-Bido
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Sono pochi i documenti riconducibili al palazzo, che trae il nome dal
canonico padovano Bozzattini, proprietario dell’immobile alla metà del settecento.
La casa porticata con trifora centrale di archi a tutto sesto e belle riquadrature architettoniche in pietra tenera ha decorazioni a palmette e due
stemmi dipinti ad affresco che l’ultimo restauro ha restituito nella loro bellezza, nonostante i danni causati dal tempo.
Nel complesso la facciata richiama una tipologia rinascimentale. La disposizione della forometria del prospetto principale rispecchia la distribuzione interna a «pianta veneziana» con salone passante, illuminato dalla
trifora centrale e stanze laterali distribuite specularmente. Meritano una
certa attenzione tutte le decorazioni della facciata, dalle cornici in pietra tenera delle finestre alla cornice di gronda. Nella trifora centrale le finestre
sono definite da colonnine e pilastri con capitelli a foglie di acanto, mentre le ghiere degli archi di tutte le finestre hanno un decoro a torciglione.
Sopra la chiave degli archi vi è poi una palmetta, sempre in pietra tenera.
La cornice di copertura è opera di notevole pregio, realizzata con più fasce
di mattoni lavorati e sovrapposti con differenti inclinazioni.
Purtroppo l’assetto originario del palazzo è stato molto alterato: sul retro
della costruzione (visibile da via Ugo Valeri) edifici recenti hanno in parte
occupato la corte e nascosto parte del prospetto, alterandone l’armonica
composizione, al piano terra la destinazione delle stanze laterali ad attività
commerciali di proprietari diversi ha portato a modifiche nella disposizione
della scalone, trasformato in scala di modeste dimensioni.
Dall’analisi dei catasti storici emerge che tutte queste trasformazioni
hanno avuto inizio nella prima metà dell’Ottocento a causa della divisione
della proprietà.
Anche il salone centrale del piano nobile doveva essere diviso in più locali come testimoniano la decorazione pittorica del soffitto ed un divisorio
in legno con vetrate a colori vivaci.
In questo locale, a memoria di un arredo in stile, è conservata una bella
stufa ottocentesca e nei locali adiacenti due stufe più «umili» in cotto.
Al piano terreno l’ingresso della casa padronale è fiancheggiato da botteghe. Vale la pena soffermarsi qualche momento all’interno del civico 19
(ottica «Antico») per ammirare il soffitto a travi, dipinto a finti cassettoni
policromi, che potrebbero risalire al Settecento.
L’edificio è segnalato nel catasto napoleonico come casa d’affitto e nell’austriaco più genericamente come casa civile, in entrambi i casi il pian
terreno era occupato da «botteghe». Le funzioni ottocentesche quindi si
sono mantenute invariate fino ad oggi. L’edificio è stato oggetto recentemente di un bel restauro conservativo, che ha permesso di recuperare uno
dei palazzi più significativi della città dal punto di vista artistico e testimoniale.
Indirizzo: Via Garibaldi, 17
Proprietario/Custode: Bido Alberto
Interno visitabile: no
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9 Palazzo Morana-Stazio-Gradenigo
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Il palazzo è stato recentemente oggetto di
un restauro ed è ora sede di una banca. Il
Baldan riporta una serie di documenti che
partono dal 1614, quando Zuane Morana
denuncia una “casa da stazio a pe’ pian et in
soler con corte, pozzo e brolo e altre habentie e pertinenze” acquistata da Toma Mocenigo. La proprietà è passata poi a Lorenzo
Stazio e a Michel Priuli.
Sembra che l’attuale ampio edificio sia
stato costruito al posto di altri due volumi
più piccoli, chiamati infatti “casette” negli
antichi documenti, e dotato di barchessa agli
inizi del Settecento. L’apparato decorativo
della facciata è comunque seicentesco.
Il complesso attuale si compone di un
edificio padronale di rilevante valore architettonico, di un secondo edificio porticato,
sempre su via Garibaldi, di epoca più recente
e di minore importanza architettonica, e
della barchessa cui si accede dal cortile.
Il palazzo principale si sviluppa su tre
piani di cui il piano terreno è composto da
un porticato a cinque fornici, con luci a sesto
leggermente ribassato su pilastri, su cui si
alza un piano nobile aperto con una trifora
mediana alla quale si affiancano due monofore e, a seguire, ancora due monofore accostate simmetricamente ai lati. Ogni luce è
archivoltata con lunetta (tamponata), ghiere
e piedritti scanalati, vi sono anche imposte emergenti simili a capitelli; le finestre sono sormontate da un listello che forma un’edicola architravata, che
troviamo molto simile a quella di altri palazzi di Piove, come Badoer, Contarini o Corner; in questo caso la mancanza di una chiave decorata cui poggiarsi, rende necessario, nella composizione del prospetto, l’ampio spazio
coperto da materiale lapideo tra arco e listello. Le aperture in corrispondenza del salone passante centrale si aprono su di un terrazzo in pietra sostenuto da pesanti mensoloni, ripetuto nelle portefinestre che chiudono il
prospetto, mentre le finestre hanno stipiti prolungati sotto le soglie. Il sottotetto ha piccole finestrine architravate sopra le quali si alza una moderna
cornice di gronda lineare a sostenere il tetto a due falde. L’edificio minore
è composto invece da sei archi di portico di dimensioni modeste al piano
terra, su cui si imposta un primo piano caratterizzato solo da due porte finestre con balconcino lapideo e ringhiera metallica, coronate da semplici li-
stelli sopra l’architrave. Ad ogni arco del portico corrisponde un foro finestra al piano primo e uno al piano sottotetto, che chiude la facciata con una
semplice cornice sagomata.
Entrati nel sottoportico per l’ampia apertura protetta da un cancello metallico, è possibile accedere al cortile interno, pavimentato, da cui si può
notare la barchessa, ora sede degli sportelli della banca, che è stata soggetta
ad un importante intervento di restauro. Da qui si può ammirare la seconda facciata del nobile edificio. Al centro di questa facciata, sottolineata
solo dalla presenza di due porte finestre architravate con balconcino in ferro
battuto, campeggia lo stemma nobiliare. Sembra chiaro che recentemente
il palazzo abbia perso il tradizionale salone passante mediano, che, unito ai
locali adiacenti è diventato un ampio salone per il pubblico dell’agenzia.
All’interno dell’edificio adibito ad uffici direzionali della banca, le pareti
sono decorate da splendidi affreschi. All’interno del cortile c’è una elegante
vera da pozzo ed un cancello con pilastri sormontati da statue. Volgendo lo
sguardo verso oriente, oltre il giardino, è possibile notare gli edifici realizzati all’interno del brolo di Palazzo Contarini - Zorzi.
Indirizzo: Via Garibaldi, 47-49-51
Proprietario/Custode: Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Interno visitabile: no
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10 Palazzo Neogotico-Valeri
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L’edificio individuato nei catasti storici
ottocenteschi come «Casa Grande» (palazzo padronale) è stato per circa un secolo e mezzo sede di istituzioni
scolastiche. A tal fine era stato restaurato conservando la fisionomia esterna,
ma stravolgendo completamente la distribuzione interna; oggi, trasferitasi in
altra sede la scuola, si è nuovamente
provveduto alla ristrutturazione degli
ambienti. La costruzione aveva pianta
«veneziana» con salone passante illuminato da una bella pentafora centrale. La
presenza di un edificio su questo sito è
documentata in un disegno del 1726,
come costruzione ad un piano finestrato sul pian terreno porticato. È
quindi difficile datare con precisione
questo bel palazzo probabilmente frutto di interventi diversi, considerata anche la
disomogeneità dei materiali impiegati. Gli elementi più interessanti della facciata
sono le finestre trilobate del piano nobile, con fregi di gusto tardo gotico in pietra arenaria e capitelli e colonnine in pietra d’Istria, incorniciate nella polifora centrale da
una cornice dentellata. Un elegante lavoro di traforo è costituito inoltre dalla balaustrata marmorea. Probabilmente le cornici e i fregi in pietra di questa facciata provengono da un altro edificio medievale, oggi distrutto. Si può supporre quindi che
in origine si trattasse solo di una struttura porticata e che il palazzo abbia assunto
l’attuale aspetto neogotico nel XIX secolo. L’archivio comunale conserva un bellissimo
disegno della facciata (non firmato), le cui decorazioni medievaleggianti fanno pensare ad un progetto di restauro ambizioso, non ultimato per mancanza di fondi.
A partire dal 1856, è presente in questa sede una scuola professionale di disegno, nata
già qualche anno prima per volontà del maestro Gianbattista Tessari, il quale metteva
a disposizione le mura domestiche, dove teneva privatamente delle lezioni agli artigiani locali insegnando loro i rudimenti del disegno, della prospettiva e del chiaroscuro; cosi da offrire loro un’impostazione più accademica. Tessari vi insegnò per
quasi quarant’anni (dal 1852 al 1891). Questa scuola vanta, fin dall’inizio, la frequenza di molti allievi tra i quali ricordiamo Ugo Valeri, Oreste da Molin, Alberto
Fabris, Gaetano Cigala, Vittorio Brillo, Vittorio Simonato, Pietro Osti, Dante Libertini. Nel 1892 è stata convertita in Scuola di Complemento serale per gli artigiani
(si insegnava lingua, disegno, aritmetica, contabilità, calligrafia…) e poi in Scuola
serale di disegno, frequentata da una quarantina di operai che lavoravano di giorno
e che qui studiavano per diventare bravi artigiani. Ai primi del Novecento l’edificio
ospitava di giorno anche le scuole elementari maschili, in attesa del completamento
del nuovo edificio scolastico del quartiere Umberto I. Dopo Tessari insegnarono alla
scuola Dario Marzi, Luigi Maierotti, Lamberto Toscani, Giovanni Girardi e dal 1900
al 1903 il professor Brunetta. Nel periodo dal
1904 al 1939 la scuola è retta dal prof. Antonio
Soranzo, che ne determinò il successo e la comparazione ad altre scuole professionali che cominicavano a fiorire in Veneto proprio in quegli anni;
permettendo alla Scuola di disegno per artisti e artigiani di Piove di mettersi a paragone di altre
scuole d’arte d’Italia. Studiarono in questi anni pittori come Fiore Brustolin Zaccarian, Giuseppe
Mastellaro, e artigiani come Vittorio Lotto e
Guido Milani.
In una realtà di provincia, quindi, e non in una
grande città, abbiamo testimonianza di una scuola
che ha saputo, con i pochi fondi che aveva a disposizione, tener testa a realtà nazionali ben più
sovvenzionate. Soranzo lascerà poi il testimone al
prof. Pompilio dal Prà, che avrà modo di insegnare
ad altri allievi, tra cui Lino Mezzalana, Carlo Ferrara, Fernando Buzzacarin, Primo Modolin, Andrea Sartore. Dopo un periodo di
sosta, le attività didattiche sono riprese con la “scholetta”, ancora attiva nei locali del
Centro Piovese d’Arte e Cultura, i cui corsi di disegno sono seguiti dal prof. Giuseppe
Lotto.
L’edificio padronale e le adiacenze sono stati acquistati dal Comune di Piove nel
1881, dall’allora proprietario il signor Abbondio Valeri, padre di Diego e di Ugo e
da allora sono di proprietà comunale. Dietro la scuola, oltre il portale che si vede
dalla strada, c’è un cortiletto che comunica con un altro edificio, la cui presenza è testimoniata dal catasto napoleonico, e quindi a partire dal 1809; si tratta della barchessa a servizio dell’edificio padronale. Vista la mancanza di edifici scolastici, sono
stati realizzati nel tempo diversi progetti per il suo recupero al fine di ottenerne nuove
aule scolastiche oppure una palestra per la ginnastica. In tempi recenti, dopo aver asAuditorium
solto a funzioni di palestra per gli edifici scolastici, è stata trasformata nell’A
intitolato a Giovanni Paolo II, sede di concerti, di mostre e incontri culturali di vario
genere, conservando nelle murature esterne (gli ampi archi a tutto sesto verso il cortile) e nella copertura lignea tradizionale l’aspetto dell’antico edificio.
Indirizzo: Via Garibaldi, 60
Proprietario/Custode: Comune di Piove di Sacco; rivolgersi all'Informagiovani
tel. 049.9709316
e-mail: [email protected] - [email protected]
Interno visitabile: sì, solo piano terra
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11 Casa Morosini-Vallini-Corazza
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Continuando lungo la porticata via Garibaldi al numero 61 troviamo il palazzetto comunemente conosciuto come “casa ex Vallini”.
Fu iniziato probabilmente nei primi anni del XVI secolo su committenza dei nobili veneziani Morosini, ma la facciata andò arricchendosi degli
elementi decorativi fino al secolo successivo: le cimase che sovrastano le finestre, elementi decorativi desunti da un repertorio classico, e la trifora del
piano nobile fanno pensare che l’edificio abbia raggiunto l’aspetto attuale
tra la fine del XVI e il XVII secolo.
Dal portico si accede all’atrio passante pavimentato in blocchi di trachite dove, segnalata da un mascherone in pietra, troviamo la scala che passando per un mezzanino conduce al salone del piano nobile. Come in altri
edifici piovesi la distribuzione a “pianta veneziana” è stata in gran parte con-
servata e la pavimentazione è ancora costituita dalla “palladiana”, inoltre
alcuni ambienti hanno decorazioni ottocentesche a stucchi ed il vano centrale presenta finte architetture a colonne scanalate.
Il retro si affaccia su un giardino - in origine corte e, separato da un muro
interno, il brolo del palazzo padronale - affiancato da edifici più bassi che
costituivano gli annessi di servizio con il ricovero per le carrozze e la foresteria. La facciata della foresteria, oggi restaurata e destinata a residenza, è
contraddistinta da una meridiana.
Il prospetto secondario del palazzo è più semplice rispetto a quello principale: lo decorano solo riquadrature in pietra tenera, un breve e lineare
marcapiano che unisce la trifora centrale e due bei camini simmetrici.
Come altri edifici di questa via, nato come residenza, la sua funzione si
è andata modificando nel tempo: nel catasto napoleonico e nell’ austriaco
è segnalato come casa civile con botteghe, e oggi ha nuovamente perduto
la funzione commerciale a favore di quella residenziale.
Indirizzo: Via Garibaldi, 61
Proprietario/Custode: Fannj Doardo Corazza
Interno visitabile: eventualmente suonare a Corazza per vedere l’atrio e il giardino
Orari: 9.00-12.00; 18.00-19.00
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12 Palazzo Badoer-Sommer
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Solo pochi metri più avanti del Palazzo Morosini - Gidoni, incontriamo
il Palazzo Badoer di probabile origine secentesca.
Anche questo, come gli altri palazzi di Piove, presenta la tradizionale tipologia del «palazzo veneziano». Il palazzo è composto da tre piani fuori
terra e uno interrato, era originariamente costituito da grandi sale e si sviluppava in modo armonico, con ampio salone passante al piano terra che
attraversava tutto l’edificio fino al giardino retrostante. Nel disegno pulito
e lineare della facciata sorretta da tre archi spicca la trifora del piano nobile
e il cornicione dentellato, unici elementi decorativi dell’edificio che, ripresi
anche nella parte più in vista della facciata laterale, denunciano l’uso tipicamente veneziano (evidente anche su altri edifici piovesi quali ad esempio
il Palazzo Bertani), di ostentare. Come in quasi tutti gli edifici della via Garibaldi, il piano terreno è caratterizzato dal portico e da locali utilizzati a fini
commerciali. Qui, il salone centrale e la stanza di destra hanno soffitti decorati, probabilmente tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo se-
guente, con elementi floreali stilizzati e piccoli paesaggi racchiusi entro cornici. Nel tempo l’edificio ha subito alcuni interventi sia esterni che interni,
ma non ha perso il suo carattere sobrio e rigoroso.
Essendo un edificio che si sviluppa sull’angolo con via Ansedisio, anche
le facciate e la cornice continua sono state studiate per dare bella esposizione
di se, ecco che anche sulla via minore si affaccia una portafinestra con balconcino, in corrispondenza dell’arco di portico. La bella cornice è lavorata
a dentelli e sorregge, oltre la gronda le falde del tetto a capanna. Il piano nobile è contraddistinto dalla trifora archivoltata con lunette tamponate che
si apre sul terrazzino in pietra con ringhiera metallica, in corrispondenza del
salone mediano. Sopra le chiavi, un listello modanato aggettante protegge
la struttura decorativa. Gli altri fori sono semplicemente architravati. Al
piano sottotetto cinque semplici aperture quasi quadre illuminano i locali
di servizio.
Una bella trifora, simile a quella della faccia principale, è ancora visibile
nel prospetto che guarda il cortile. La sua conformazione (edificio ad angolo) ha consentito di realizzare un accesso carraio dalla strada secondaria,
riservando dal portico solo un accesso pedonale, rialzato di alcuni gradini
dal piano stradale.
Nei catasti austriaco e napoleonico, proprietaria della casa e dell’orto annesso è la famiglia Lotto, comunque anche in questo caso i primi proprietari furono di origine veneziana. Si ritiene infatti che il palazzo, già dal
1661, appartenesse alla famiglia di Pietro Badoer fu Francesco.
Sotto i portici di questo edificio, tuttora destinato a residenza e ad attività commerciale, s’intravedono ancora le tracce di un affresco devozionale
dedicato alla Vergine e proprio questo soggetto ha voluto riproporre il pittore Gianni Longinotti - su commissione del Comune di Piove di Sacco affrescando recentemente un altro archivolto con una «Madonna in Trono
con Bambino» d’impronta giorgionesca, ma con un forte richiamo piovese
nel paesaggio di fondo che raffigura un casone e l’abside della chiesa della
Madonna delle Grazie.
Indirizzo: Via Garibaldi, 69-73
Proprietario/Custode: Mauro Pittarello
Interno visitabile: solo per motivi di studio
Orari: su appuntamento
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13 Palazzo Pasqualigo-Bertani-Doardo
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Verso la fine della via Garibaldi sorge
un edificio che attrae l’attenzione per lo
stile imponete della facciata, ricca di elementi decorativi.
Al pian terreno il portico è decorato a
bugnato con pilastri ai lati esterni e una
coppia di colonnine binate al centro. I
due piani superiori sono caratterizzati da
un’armonica fusione tra il classicismo
cinquecentesco dei timpani e delle colonne e l’elemento tipicamente secentesco della serliana che illumina il salone
passante. Oltre al risalto che ha voluto
dare alla fascia centrale delimitata, riprendendo il motivo del portico, da una
coppia di colonne binate, l’ignoto architetto ha voluto scandire la forometria del
piano nobile con piccole cimase distinguendola da quella del piano superiore
dove questi elementi sono curvilinei. Il
profilo del timpano che completa superiormente la fascia centrale della facciata
è arricchito dalla presenza di acroteri.
All’interno alcune stanze sono rifinite
con stucchi, altre con decorazioni pittoriche ad elementi naturalistici e piccoli
paesaggi: si tratta nel complesso di aggiunte ottocentesche piacevoli anche se
non molto significative.
La distribuzione interna è rimasta
quella originaria a salone passante che si
trova in molte dimore piovesi. L’edificio
è costituito oltre che dal piano terra e dal
piano nobile, da un altro piano residenziale - che grazie all’altezza superiore
a quella degli edifici circostanti offre una bella panoramica - e dal sottotetto; possiede inoltre delle cantine seminterrate a cui si accede dal retro.
Su questo lato si apre anche il tradizionale giardino che dà, o almeno in
origine dava, respiro a tutti gli edifici di via Garibaldi. Sul retro si affaccia
anche l’imponente barchessa in finto bugnato che affianca il palazzo lungo
la via principale, piegandosi poi ad “elle” lungo la corte. Secondo la testimonianza dello stesso proprietario l’annesso rurale che ospitava sul fronte
le scuderie e nell’estensione interna le cantine e il granaio, risalirebbe alla
seconda metà dell’Ottocento (in effetti la costruzione nella forma attuale
non compare nei catasti storici dove è invece documentato l’orto).
Dall’analisi stilistica il palazzo residenziale si può far risalire al Seicento
e, dalle condizioni di decima risulta che in quel secolo la proprietà era della
famiglia Pasqualigo. Anche questa casa padronale è quindi un segno lasciato dal dominio della Serenissima.
Indirizzo: Via Garibaldi, 90
Proprietario/Custode: Orlando ed Antonio Doardo - tel. 049.5840066
Interno visitabile: su appuntamento
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14 Villa Bassini
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Il complesso architettonico, appartenuto alla famiglia
Bassini, è costituito da due
edifici risalenti alla proprietà
originaria e da alcuni edifici
minori di servizio o di raccordo costruiti prevalentemente durante il Novecento
in seguito all’insediamento
dell’istituzione scolastica fondata e retta dalle Sorelle della
Congregazione della Carità.
La casa dominicale è una
costruzione a pianta quadra su
tre piani che risale probabilmente alla seconda metà del
XVI secolo e rappresenta la
più antica costruzione del complesso. Il secondo edificio, invece, risulta essere di impianto neoclassico: non appare nella Mappa del 1747, ma è presente nel Catasto Napoleonico del 1811. Il primo dei due edifici, la villa, si affaccia su via del Castello, richiama
ad una tipologia di residenza rurale o pierurbana di quel periodo in ambito veneto, il secondo, invece, presenta caratteri architettonici dedotti dalla manualistica classica e una
accurata qualità costruttiva.
Il complesso Bassini sorge su un’area piuttosto estesa di forma rettangolare situata tra
le proprietà della parrocchia del Duomo di san Martino e via del Castello, proprio a ridosso del sistema difensivo del “castello” di Piove. Il complesso architettonico tipico della
villa veneta, molto probabilmente, è sorto in questa area nella seconda metà del XVI secolo, dopo la privatizzazione in seguito alla perdita di funzioni militari e di rango demaniale.
Gian Andrea Bassini alla metà del 700 intendeva abbellire la sua proprietà, chiedendo
l’autorizzazione a spostare la stradina pubblica (ora denominata via Castello) a ridosso del
circuito medievale. La nuova strada sarebbe stata realizzata sull’argine del Fiumicello per
staccare la casa padronale dalla strada, dotandola di un giardino d’ingresso e di una nuova
e più ampia mura di protezione. Il progetto complessivo prevedeva anche la ristrutturazione della villa e la realizzazione sul lato nord di un’adiacenza in luogo di una modesta
costruzione esistente. Purtroppo il progetto non ha trovato piena realizzazione, tanto che
la facciata del palazzo risulta non completa, nonostante la sua architettura sia comunque
pregevole, risultando un “aggiornamento architettonico” della casa preesistente. Per il suo
rigoroso impianto formale e per la coerenza stilistica neoclassica, Antonio Draghi ritiene
che l’edificio rivolto a sud, o adiacenza, sia stata ideata da un abile e colto architetto di
metà XVIII e inizio del XIX secolo. L’edificio, lungo e stretto, si affaccia a sud per una
larghezza di 12,50 m circa e una lunghezza di oltre cinquanta metri. La parte centrale è
a doppia altezza, caratterizzata da un pronao a portico esastilo, con 4 colonne piene e 2
paraste. Le ali sono composte da due piani corrispondenti a due alloggi simmetrici che
fanno pensare ad un uso di foresteria. Il colonnato, di ordine tuscanico, sorregge un timpano in cui trova spazio uno splendido oculo traforato. I contorni delle finestre sono invece più semplici, le modanature dei cornicioni sono sobrie. Solo il portale interno al
portico, che introduce ora alla cappellina, presenta un’elegante sovrapporta a timpano
curvilineo. Il prospetto è stato progettato con particolare attenzione all’uso delle proporzioni e dei rapporti: considerando un modulo l’altezza dell’architrave, la colonna ne misura cinque, l’altezza del timpano, invece, tre. Con questo tipo di costruzione, è facile
pensare che il committente volesse imporre un nuovo ordine e una nuova gerarchia spaziale a tutta la proprietà, segnando un momento di ammodernamento complessivo che
ha coinvolto anche il vecchio edificio dominicale. Quest’ ultimo infatti rivela un rinnovamento nell’apparato plastico dei contorni di finestra e nella costruzione di un timpano
sul fianco parallelo al nuovo asse nord-sud. Le recenti ricerche di Stefano Tosato sulle
fondate analogie stilistiche e sulle relazioni della famiglia Bassini, hanno portato ad attribuire il disegno ad uno dei più celebri architetti veneziani del ‘700, quale è stato il veneziano Giorgio Massari.
Dopo i Bassini, l’area di via Castello passò per via ereditaria alla famiglia Stua, e quindi,
alla fine del settecento, ai Caotorta. Cambiamenti ulteriori li subì nella prima metà
dell’800, in seguito alla caduta della Serenissima (1797), quando nel Catasto Austriaco
del 1831-1835, risulta che la proprietà era gestita da Domenico Gidoni. Nel 1899, con
un nuovo atto di compravendita, il proprietario divenne don Roberto Coin, parroco del
Duomo di Piove di Sacco che adeguò il complesso di edifici, alle esigenze di un asilo per
l’educazione dei bambini dai tre ai sei anni. La gestione dell’asilo fu affidato alle Suore di
Carità di Santa Maria Bambina, delle Sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa,
che avevano già iniziato questo servizio in un altro stabile inadeguato allo scopo. L’edificio neoclassico nei primi anni del ‘900 è stato quindi modificato con l’ampliamento sul
retro del settore centrale, per realizzarne una chiesetta, che ancora oggi comprende l’area
dell’altare centrale, due cappelline laterali e l’aula, separata dal presbiterio da una serie di
tre arcatelle. All’interno, la chiesetta è completamente decorata con ricami dipinti dai
vivi colori e ori scintillanti (realizzati da una suora della congregazione, suor Giuseppina,
coadiuvata da Luigi Battisti e Luigi Desiderio), con altari, statue ed affreschi, questi ultimi opera sempre di suor Giuseppina, con l’aiuto della giovane artista Fiore Brustolin
Zaccarian, che aveva già dipinto dodici quadri sulla vita della santa Capitanio.
All’interno del giardino è presente anche la grotta di Lourdes, disegnata da Luigi Battisti e ampi spazi per il gioco dei bambini.
Indirizzo: Via Castello, 24
Proprietario/Custode: Fondazione Santa Capitanio - tel. 049.5841933 - fax. 049.5840146
e-mail: [email protected] - www.santacapitanio.org
Interno visitabile: sì
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15 Palazzo Pietropan
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La via Roma, conosciuta
nell'Ottocento come Strada
San Nicolò, è una delle vie piovesi che si distinguono per i palazzi porticati, tra i quali spicca
per originalità il bel Palazzo Pietropan. La tipologia e soprattutto gli elementi decorativi che
lo caratterizzano fanno pensare
che si tratti di uno dei più antichi edifici di abitazione conservatisi a Piove di Sacco. L’edificio
rispetta i canoni tradizionali del
palazzetto veneziano, con
pianta quadrata e tripartita, salone centrale passante e scala laterale a due rampe, in pietra. Al
piano terra troviamo il portico
ad uso pubblico con due attività commerciali, una delle quali permette anche di accedere all’antico locale interrato con volta a botte in mattoni di laterizio a vista. Il sontuoso portone
in legno consente l’accesso, tramite l’androne passante, alla adiacenza situata a Nord nel cortile interno. Non si tratta però del "solito portico": i tre archi hanno ghiere in cotto con
tracce di decorazioni ed intrecci in rilievo sorretti su i due estremi della facciata su strada da
splendide colonne tortili in mattoni di cotto con capitelli in pietra di Nanto a decori vegetali molto stilizzati. Sempre al pian terreno, sotto il portico, è ancora vagamente leggibile un
affresco raffigurante la Vergine in Trono con il Bambino e due Santi (uno dei quali, per
quanto è visibile dalla foggia dell'abito, si direbbe un francescano); il piano nobile è formato
dal salone passante centrale e stanze laterali, durante i recenti restauri interni sono stati portati alla luce, nel salone e nella stanza Sud - Est, delle stupende pitture murali a “ mezzo fresco” che rappresentano secondo gli addetti che hanno seguito il restauro delle opere, alcune
scene di battaglia riferibili probabilmente alla invasione dei Carraresi in Piove di Sacco; considerando il periodo a cui sono databili – circa alla metà del ‘600 e viste le rappresentazioni
di alcune fortificazioni (castello di Piove di Sacco?) con guerrieri a cavallo contornati da tendopoli. Gli affreschi della stanza accanto posta sull’angolo Sud-Est verso Via Roma rappresentano invece dei tondi ed ovali con scialbi durissimi in parte ad affresco ed in parte ridipinti
con ghirlande contornanti ritratti di nobili probabilmente appartenenti al “casado” originario e di epoca tardo ‘600. Il piano superiore è adibito a sottotetto, un ampio spazio a disposizione, la cui copertura a due falde è sorretta da originali capriate e da quattro setti in
muratura che sostengono le travi rompi tratta. Nel corso dell’intervento di restauro che ha
interessato l’intero edificio, sulle facciate erano emerse le tracce inconfondibili delle originarie finestre e trifore dell’androne centrale con archi che riportano ad una tipologia tardogotica. È quindi evidente che il palazzetto ha subito nel corso degli anni diverse manomissioni
che non permettono di leggere oggi l'aspetto originario che risale al XV secolo: la facciata
principale al piano nobile presenta un aspetto anonimo e una forometria piuttosto anomala
in rapporto alla pianta che mostra invece la
tradizionale morfologia a salone passante, tuttavia l’intervento di restauro permesso dalla
Soprintendenza non ha consentito di ripristinare le antiche aperture irrimediabilmente
compromesse dagli interventi eseguiti negli
anni 60, conservando e consolidando lo stato
di fatto. Gli intonaci esterni sono stati invece
sostituiti con nuovo coccio pesto su tutti i
fronti con finitura a marmorino nella la facciata principale su strada per valorizzare gli antichi elementi decorativi in cotto (colonne
tortili, capitelli, ghiere delle arcate e cornice di
copertura). Gli edifici di scarso valore artistico
e architettonico addossatisi al fronte nord ai
primi del ‘900 all’interno della proprietà, sono
stati utilizzati in tempi recenti come sede di
uno stabilimento per la produzione, il deposito ed il commercio di bibite, per le quali il
trasporto e quindi l’accesso con mezzi pesanti
era unicamente consentito dall’androne passante del palazzo padronale (tali locali sono
stati ora recuperati in parte a fini abitativi). È riferibile comunque a questo momento la pesante manomissione del tirante in acciaio dell’arcata centrale del portico e delle due colonne
centrali, e l’eliminazione, forse per problemi di infiltrazione d’acqua, dei due abbaini che
erano presenti nelle falde della copertura a nord e a sud. L’ultimo restauro ha permesso di ripristinare sulla copertura dei due abbaini così come originariamente posizionati e portare in
luce la splendida cornice di copertura in mattoni (lato Sud) ricoperta da finissimo intonachino di calce con tracce di decorazioni originarie che inizialmente erano estese e completavano tutta la cornice. All'inizio dell'Ottocento l'edificio apparteneva ad un certo Rossi
Avogadro da Treviso: sarebbe interessante sapere se fu questa famiglia la committente originaria perché la provenienza dalla Marca potrebbe in qualche modo giustificare l'uso di stilemi decorativi e di un materiale - il cotto faccia a vista - inconsueti nei palazzi piovesi.
Addentrandosi sulla destra dell’edificio, tra i recenti interventi residenziali, è possibile scorgere la facciata secondaria del palazzo, che dà sul cortile privato, anch’essa modificata nel
tempo con la chiusura delle antiche finestre tardogotiche e la manomissione delle due campane esterne dei caminetti ora interamente recuperate.
Indirizzo: Via Roma, 69-71-73
Proprietario/Custode: Nastrificio Finat srl (Danilo Casini) - tel. 049.9701450
Interno visitabile: sì, previo appuntamento
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16 Cinema Teatro Politeama
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Il Politeama è un teatro molto importante e famoso di Piove di Sacco, si
trova in Via Cavour ed è caratterizzato in facciata da un bel fronte in stile
Liberty che lo data ai primi anni del ‘900; infatti, il teatro è stato progettato dai geometri Giordani e Borsetto tra il 1914 ed il 1916 su commissione
di un gruppo di cittadini che si unirono in una cooperativa sociale.
L’edificio ha subito numerosi interventi di adeguamento nel corso della
sua vita, infatti la prima costruzione doveva essere molto simile ai contemporanei teatri, con una platea ed un loggione a forma di ferro di cavallo.
Questo loggione è stato costruito per opera di tre compagnie di camionisti
che in quel periodo erano a Piove con il compito di trasportare le truppe dal
fronte, essi dipinsero, personalizzandoli, anche i loro simboli (cuori rossi,
bianchi e rosso-bianchi) nei palchetti, destinati agli studenti che potevano
permettersi solo il biglietto ridotto. Il Politeama sociale era divenuto l’unico
luogo dove si alternavano cinematografo, compagnie di prosa, operette,
commedie, varietà, feste da ballo, era un importante luogo di divertimento
e di ritrovo, dove si svolgeva anche l’annuale festa dei soci. Il cartellone
degli spettacoli era ad alto livello, infatti, arrivavano a Piove anche le più famose compagnie d’operetta del Veneto.
Negli anni ’50 il loggione è stato trasformato per ospitare il cinematografo,
ma sono stati mantenuti il profondo palcoscenico ed i numerosi camerini.
Dopo un periodo di abbandono, durante gli anni ’80, nel successivo decennio un modesto intervento è stato necessario per dotare la struttura di due
sale: quella a piano terra utilizzata come teatro e quella superiore per il cinema.
I lavori saranno realizzati per stralci funzionali: il primo passo è stato la
sistemazione ed il recupero edilizio e funzionale del complesso, con la verifica e la sistemazione delle coperture, la ristrutturazione e l’adeguamento
normativo dell’ingresso e della sala a piano terra. Queste opere hanno consentito la riapertura della platea, utilizzata come cinema, di 319 metri quadrati per un totale di 310 posti in sei settori e interventi collaterali tesi a
gettare le basi per la realizzazione degli stralci successivi. L’ingresso e l’atrio
hanno le maggiori attenzioni: uno spazio unitario di forma ellittica è il centro dell’intero progetto, qui confluiscono i servizi del teatro e la distribuzione alle sale, la biglietteria, il bar, il guardaroba.
Ovviamente il nuovo progetto, che non modifica l’assetto tipologico né
gli elementi decorativi del teatro, ha dato attenzione anche all’adeguamento
dei servizi igienici a piano terra, all’abbattimento delle barriere architettoniche e alle nuove uscite di sicurezza con le relative vie di fuga su Via Cavour e su via Roma.
Il completamento del progetto prevede la ristrutturazione completa dell’edificio con il recupero e la sistemazione della galleria per l’apertura della
seconda sala cinematografica, nonché la ristrutturazione e l’adeguamento
dei camerini, disposti su quattro piani fuori terra e uno seminterrato, e del
palcoscenico, per l’uso della sala a piano terra anche come teatro. Ne risulterà un edificio “multisala” polifunzionale, con due sale a cinema, di cui
quella principale utilizzabile anche come teatro.
Recentemente si è iniziato un nuovo e radicale intervento di recupero
dell’edificio.
Indirizzo: Via Cavour, 19
Proprietario/Custode: Società Cooperativa Politeama, Filippo Zago - www.teatrofilarmonico.it
Interno visitabile: sì
Orari: apertura del cinema
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17 Palazzo Contarini-Zorzi
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Il palazzo si trova alla
metà circa di via Cavour,
che nell’Ottocento veniva
chiamata “via larga”, e in
precedenza contrà di san
Francesco, data la vicinanza con il convento dei
Padri Francescani Conventuali. Confinante con
palazzo Contarini Gallo, l’edificio è composto da un corpo principale sul fronte strada di
via Cavour e da due annessi, uniti al corpo principale, a formare una “L”.
I Sommarioni del catasto Napoleonico testimoniano la presenza della
nobile famiglia Contarini (ramo di Piazzola) quale proprietaria della casa
padronale con giardino già dalla fine del secolo XVI (nel 1593 veniva denominata “casa da hortolan”) dagli attuali caratteri architettonici si presume invece un impianto più tardo. Nell’Ottocento l’immobile è passato di
mano parecchie volte, ma confrontando le mappe catastali, non si rilevano
particolari modifiche. Il palazzetto di due piani, di probabile impianto settecentesco, è formato da un primo livello rialzato dal piano stradale da uno
zoccolo, il grande portale centrale è raggiungibile con cinque ampi gradini
di pietra. Lo stesso è incorniciato da una architettura di pietra culminante
con un ampio listello, ai suoi lati vi trovano spazio tre finestre per parte,
delle quali le due ai lati del portale servono ad illuminare l’ampio salone passante. Le finestre sono semplicemente riquadrate da cornici in pietra modanata. Una fascia marcapiano suddivide la facciata in due livelli, quello
superiore è scandito da sette fori finestra, di forma quasi quadrata, corrispondenti alle aperture del piano rialzato.
Il palazzo termina con una bella cornice con una doppia teoria di dentelli. Tale cornice gira tutt’intorno all’edificio e prosegue sui prospetti delle
adiacenze, donando senso di unitarietà al complesso. Le superfici dell’edificio sono trattate a cocciopesto finito con marmorino, anche se complessivamente non è in buono stato di conservazione.
L’edificio che collega il palazzo padronale con la barchessa è strutturato
su tre livelli. La parte più interessante è sicuramente il piano terra, in cui si
aprono quattro ampi portali coronati da bugne, tre di queste sono in pietra e una in mattoni. Anche questo prospetto è scandito da tre fasce marcapiano, impostate sul filo delle cornici delle finestre.
La barchessa è costituita da cinque eleganti archi a tutto sesto che fanno
spazio ad un portico a doppia altezza, cui è sovrapposto un ulteriore piano
attualmente adibito a fini residenziali.
L’intervento di recupero dei primi anni Novanta (denominato AIU 9.3),
comprendeva tre edifici: un edificio padronale con adiacente annesso rustico e ampio giardino (casa Gallo), un palazzo con annesso corpo di fabbrica a L (palazzo Zorzi) e un edificio con giardino, situato sempre lungo
via Cavour. Originariamente tutti e tre gli edifici erano di proprietà delle
famiglie Contarini. Il progetto ha voluto privilegiare, nella facciata della
barchessa, l’uso del mattone a faccia vista, che mantiene la memoria delle
fasce marcapiano che scandivano con forti segni orizzontali tutta la facciata.
Il prospetto nord è invece protetto da un intonaco a cocciopesto.
Prima dell’intervento di recupero edilizio oltre al palazzo e alle adiacenze
vi erano dei vecchi capannoni utilizzati per il deposito e il commercio di bibite. Tutto il complesso era segregato dietro un alto muro in mattoni, solo
un cancello in ferro permetteva il collegamento del brolo con l’esterno. Al
principio degli anni Novanta è stato realizzato il grosso intervento edilizio
che ha permesso il recupero della barchessa, la demolizione dei capannoni
e la realizzazione di due blocchi edilizi porticati. Il primo, ad “L”, con attività commerciali e uffici al piano terra e abitazioni ai piani superiori, l’edificio chiude un primo spazio ad uso pubblico in cui è stata posizionata nel
1997 la bella statua bronzea rappresentante San Martino protettore dei deboli, che ha dato il nome alla piazza stessa, dell’artista Stefano Baschierato,
dono del Centro turistico giovanile alla città di Piove.
Il secondo blocco residenziale ha dimensioni minori e si affaccia in un
secondo spazio ad uso pubblico un giardino verde, che viene chiuso nelle
ore notturne. Sul retro di questo edificio c’è un parcheggio pubblico.
Il basso muretto in mattoni che delimita la piazza, verso via Cavour, è ciò
che rimane e solo una memoria del muro di cinta del brolo (si può intuire
l’altezza del muro dai pilastri ancora presenti, in adiacenza del palazzo), che
un tempo nascondeva lo spazio privato da occhi indiscreti, e che oggi, di
fatto, modifica anche la nostra percezione del palazzo.
Indirizzo: Via Cavour, 24
Proprietario/Custode: Santino Voltazza
Interno visitabile: solo gli spazi esterni
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18 Palazzo Barbaro Lorenzoni
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Uscendo appena dal quadrilatero che costituisce in senso stretto il centro storico di Piove si giunge ad un edificio che mostra nel suo affaccio sulla
strada una fronte abbastanza inconsueta ma senza particolari caratteri estetici. È nel prospetto verso il giardino che possiamo cogliere l’eleganza di
questo palazzetto suburbano: una scalinata a doppia rampa conduce al
piano nobile che si apre verso il giardino con un loggiato a cinque archi
con le colonne più esterne in cotto e le altre in pietra con capitelli stilizzati.
Si tratta sicuramente di un edificio di un certo livello come mostra anche
la formula usata nei sommarioni del catasto austriaco per indicare i proprietari: “Barbaro nobili Giovanni e Marc’Antonio...”; non si tratta però di
una villa - cioè di una residenza per la villeggiatura - ma, almeno nell’Ottocento, di una “casa civile” - quindi vera e propria abitazione - come risulta
dal sommarione già citato.
Molte notizie sono fornite da una planimetria (probabilmente un catastico) conservata dagli attuali proprietari e, secondo la loro stessa testimonianza, tramandata insieme con il palazzo.
Da questa carta, datata 1569, possiamo innanzitutto dedurre che il complesso doveva essere già esistente a quella data.
Il documento ci mostra inoltre in modo chiaro la distribuzione degli interni e degli annessi: la residenza con salone passante è isolata, intorno, ad
una certa distanza, sono gli annessi e le stalle. Come ancora oggi, un prospetto dava sulla strada, mentre l’altro, loggiato, si affacciava sulla corte delimitata da un muro e separata da un’ulteriore cinta dall’orto e brolo di
competenza.
Nel tempo all’edificio centrale sono state addossate altre costruzioni che
lo hanno privato del suo altero isolamento, ma nonostante tutto ha conservato l’andamento simmetrico delle due facciate, la cadenza ritmica della
forometria e un bel giardino interno cinto in parte da muro.
A. Baldan crede di riconoscere in questo l’edificio opera del Sansovino e
decorato dal Salviati, nel quale nacque il 30 ottobre 1576 lo storico Enrico
Caterino Davila; il palazzo, secondo lo studioso non sarebbe stato distrutto,
come risulta invece dalle notizie scritte dal Gloria, ma semplicemente rimaneggiato. L’uso del verbo “atterrato” non lascia però margine d’interpretazione alla frase del Gloria, anche se lo studio dell’argomento
meriterebbe di essere approfondito.
Che si voglia o meno attribuirne il progetto al Sansovino, il palazzo è
comunque inquadrabile come opera cinquecentesca del manierismo veneto.
L’interno del palazzo è molto ben conservato, il salone centrale illuminato dal loggiato ha conservato la sua bella palladiana ed una fitta copertura di travi a vista. Vale la pena infine soffermarsi un attimo sui tre
caratteristici locali del seminterrato, disposti secondo l’asse del salone centrale e coperti da un’ampia volta a botte in cotto, destinati a cantine e locali di servizio e tutt’ora impiegati in questo modo.
Indirizzo: Via Davila,16
Proprietario/Custode: Vittorio Lorenzoni
Interno visitabile: no
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19 Complesso del Duomo:
Arcipretale di San Martino
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Il complesso del Duomo è costituito da tre ambienti principali: il duomo
vero e proprio dedicato a San Martino, la Chiesola o Santa Maria dei Penitenti, collegati dall’ampia sacrestia, e l’oratorio del Paradiso.
Il Duomo attuale è opera recente realizzata per volere dell’arciprete Roberto Coin tra il 1893 e il 1903 su progetto dell’ingegner Francesco Gasparini. L’edificio fu realizzato sul sito dell’antica pieve in stile romanico
con elementi gotici, seguendo un gusto tipicamente ottocentesco.
La struttura moderna ha, in un certo senso, inglobato quella medievale
capovolgendone però l’orientamento. Questa modifica ha avuto un riflesso
estremamente significativo sull’ambiente circostante; infatti l’attuale accesso avviene da Piazza Incoronata, a sua volta affiancata dalla Piazza Santa
Maria dei Penitenti e dalla Piazza Vittorio Emanuele, che creano complessivamente un ampio spazio aperto. La precedente distribuzione, con l’ingresso al posto dell’attuale abside, dava luogo, invece, a piccole piazze più
raccolte e di concezione medievale.
Anche Santa Maria dei Penitenti deve in parte la sua attuale configurazione all’ingegner Francesco Gasparini, che ad eccezione della facciata (eseguita su disegno di Giovanni Soranzo), fu l’autore del progetto portato a
termine nel 1911; ma, già nel 1960, la chiesa fu sottoposta ad ulteriori modifiche che ne ridussero la lunghezza e l’altezza.
Nonostante tutto il complesso sia stato fortemente rimaneggiato, vale la
pena di soffermarsi brevemente sulla sua storia di cui rimangono preziosi,
sebbene sporadici, documenti e diverse opere soprattutto pittoriche. Stando
agli accurati studi di Pietro Pinton e di altri illustri eruditi che già nell’Ottocento si dedicarono alle ricerche sulla storia di Piove di Sacco, spetterebbe
alla Chiesa di Santa Maria Madre di Dio e San Tommaso Apostolo il titolo di
prima chiesa della Villa di Sacco, documentata già dall’840 circa, e questo
edificio religioso dovrebbe potersi identificare con quello di Santa Maria
dei Penitenti (altri sostengono che si tratti della chiesetta di Righe, per la
quale si rimanda alla scheda ad essa dedicata). Doveva trattarsi di una chiesa
di dimensioni molto modeste e costruita con materiali romani. Sulla data
esatta di costruzione di una chiesa dedicata a San Martino sul sito di quella
attuale non tutti gli storici sono concordi, ad ogni modo, che si voglia pensare ad un primo insediamento prima o dopo il Mille, certo è che nel 1090
il Vescovo di Padova e Conte di Piove di Sacco, Milone, volle dare alla Saccisica un nuovo e più ampio edificio religioso. Fu questa, la chiesa voluta
da Milone, costruita in stile romanico-lombardo con pianta basilicale a tre
navate e facciata rivolta ad ovest (portata a termine nel 1110 dal suo successore Pietro Cisarella), la costruzione che - con varie modifiche e molte
aggiunte che l’alterarono pur arricchendola di opere anche pregevoli giunse fino agli ultimi anni dell’Ottocento.
Nel 1334 la chiesa di Santa Maria Madre di Dio era ormai cadente e si
decise pertanto di ricostruirla con il nome di Santa Maria dei Penitenti;
con l’occasione la più recente chiesa di San Martino affermava i suoi diritti
su di essa annettendola anche fisicamente a sé per mezzo di un nuovo edificio che, sorto nel sito occupato allora dal cimitero, prese il nome di Paradiso (appellativo con cui veniva identificato in quel periodo tale spazio).
La visita del Vescovo Pietro Barozzi (1489) ci tramanda l’immagine di
Santa Maria dei Penitenti come di un edificio architettonicamente scadente,
ma con altari arricchiti di opere di valore e le pareti interamente decorate
da affreschi dei quali, già dopo la riedificazione del 1616, rimaneva solo
una scena con “La morte della Vergine”. Si tratta di un’opera di scuola grottesca giunta fino ai nostri giorni ed attualmente conservata, entro una cornice lignea dorata ed intagliata con festoni ed angeli, sulla parete sinistra
della chiesa attuale. Sempre in Santa Maria dei Penitenti sono conservati un
altare con belle statue attribuite al Bonazza e molte tele del Cinque e Seicento.
Tornando alla Chiesa di San Martino, come è già stato accennato in precedenza, nell’attuale complesso, nonostante i vari rifacimenti, sono conservati diversi frammenti degli antichi manufatti, tra cui lapidi con
iscrizioni, resti musivi dell’antico pavimento costruito di tessere in
marmo(opus sectile), oltre ad alcuni bassorilievi in marmo.
Altre opere ancora decorano il Duomo; sul secondo altare a destra, la
pala della “Madonna del Carmelo” di Giambattista Tiepolo (un’altra opera
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del noto artista veneto - San Francesco da Paola - è conservata nella Sagrestia), sul quarto altare è invece
collocato “Il riposo durante la fuga
in Egitto”, tela recentemente restaurata, del pittore Sante Piatti; a decorazione dell’abside è posta la pala
dedicata al patrono di Piove, è un’
opera forse troppo piccola per la posizione che occupa, ma di notevole
eleganza stilistica, si tratta di “San
Martino in trono con gli apostoli
Pietro e Paolo”, la prima opera datata (1532) fino ad ora conosciuta
del pittore Gian Pietro Silvio. Un
altro gioiello di questa chiesa è l’altare del Santissimo Sacramento
posto nella cappella a sinistra dell’altar maggiore, opera di Jacopo Sansovino datata 1554. Passando sul
lato sinistro troviamo la tela di Girolamo Brusaferro (1677 – 1745)
raffigurante l’“Estasi di Santa Teresa”; mentre ad Antonio Vassillacchi detto l’Aliense è stata attribuita
dalla Ericani - che l’ha datata ai primissimi anni del Seicento - la tela
della Discesa dello Spirito Santo; infine sul secondo altare a sinistra è un
altro quadro appena restaurato: la Circoncisione di scuola bassanesca. Di dimensioni e stile leggermente diversi tra loro sono i cinque teleri che sovrastano le porte laterali e quelle di facciata. Iniziando dalla scena sulla porta
di destra, seguendo così anche un ordine cronologico, troviamo tre episodi
legati alla vita della Vergine: la Nascita, la Presentazione di Maria al Tempio
e l’Assunzione; sulla parete di controfacciata troviamo inoltre l’Adorazione dei
Pastori e l’Adorazione dei Magi. La Nascita della Vergine e l’Adorazione dei
Magi sono datate rispettivamente 1685 e 1688 e firmate dal pittore, che si
definisce veneto, Giovanni Battista De Lambranzi (un’altra tela di dimensioni più modeste ma sempre appartenente alla mano di questo stesso artista è il Riposo dalla Fuga in Egitto collocata nella Chiesola).
Tra le opere della Sacrestia ricordiamo la tavoletta con la Vergine il Bambino e due Santi (proveniente dalla Chiesa di San Francesco) e una tela che
rappresenta il Capitolo della Chiesa di San Martino nel 1701.
Infine meritano di essere citate ancora due opere conservate nell’Orato-
rio del Paradiso; per la grande tela, estremamente deteriorata, della Processione del Corpus Domini il principale valore è quello del documento storico, mentre pregevole per la qualità artistica è la tavoletta riproducente
ancora una volta la Vergine con il Bambino e sullo sfondo un accurato scorcio paesaggistico (anche per quest’ultima opera è documentata la provenienza dalla chiesa di San Francesco).
Indirizzo: Piazza Incoronata e Piazzetta Santa Maria dei Penitenti
Proprietario/Custode: Monsignor Giorgio Facchin
Interno visitabile: sì, ad eccezione del cosiddetto “Paradiso”
Orari: tutti i giorni dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 15.30 alle 18.00
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20 Chiesa di Santa Giustina - San Rocco
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Secondo la tradizione, nel sito
attualmente occupato da questa
chiesa, S. Prosdocimo, primo vescovo di Padova (verso il 49 d.C.),
avrebbe fondato la prima chiesa di
Piove di Sacco dedicandola a Santa
Giustina. Le prime notizie dell’edificio, in realtà, risalgono al XII secolo.
Nel 1489 il Vescovo Pietro Barozzi consacra a Santa Giustina un
altare da poco costruito, e fornisce
una descrizione della chiesa dalla
quale si può intuire che essa avesse
lo stesso orientamento che ha oggi
e la stessa disposizione degli altari,
più uno che si appoggiava alla parete in legno che divideva la parte
riservata alle donne da quella per gli
uomini. Dalla relazione della visita
Pastorale emerge anche che a prendersi carico delle spese per la conduzione della chiesa e per gli ornamenti era la Confraternita di San Rocco
da cui derivò probabilmente l’altro nome con il quale è, ed è stata, spesso intitolata questa chiesa. Nel 1515 Sisto della Rovere, vescovo di Padova, concesse a Franceschina de Corradi, monaca agostiniana, l’uso di questa chiesa
e della cappella della collegiata ad essa connessa affinché le monache potessero trovare un luogo dove risiedere e stabilire la sede del convento sotto il
titolo della Concezione. “Ma le monache dappoi l’abbandonarono, e murarono più lungi col loro monastero altra chiesa nella via stessa.” Nel 1627
fu costruito, annesso alla fabbrica di S. Giustina, un oratorio dedicato a San
Filippo Neri.
L’iconografia ci tramanda un’immagine schematizzata del 1675 del “Monastero e Chiesa delle Reverendi Madri della Concecion di Piove nel Borgo
di Santa Giustina...[e della] Terra con Chiesa di S. Giustina e Horatorio
(l’edificio attuale) e Casetta...” nel lotto adiacente. La confusione nell’intitolazione di questi edifici è confermata da un altro disegno (del 1735) dove
la chiesa corrispondente all’attuale è indicata come “San Rocco” mentre adiacente sorge la Chiesa delle Monache di Santa Giustina detta la Consetion”.
Si trattava quindi di due complessi religiosi - con due chiese - confinanti,
e all’interno della Chiesa di Santa Giustina o San Rocco , l’oratorio di San
Filippo Neri. Dopo la soppressione delle Agostiniane, avvenuta nel secolo
scorso, la Chiesa della Concezione fu ridotta a stalla ed in seguito distrutta
ed il monastero, in parte demolito, ora serve da abitazione.
Il complesso come ci appare oggi è quindi costituito dalla Chiesa di Santa
Giustina ad una navata con transetto, l’altare maggiore è collocato ad oriente
nell’ abside: a destra è posta la statua lignea policroma di San Rocco; a sinistra la Vergine col Bambino. Sull’altare maggiore è collocata una tela tardocinquecentesca, di scuola veneta, raffigurante il Martirio di Santa Giustina;
è interessante notare che la tela risulta modificata nella parte sottostante forse
per adattarla all’altare. Sulla parete sinistra, verso il presbiterio, vi sono i resti
di un piccolo e grazioso affresco devozionale della Vergine col Bambino.
L’ingresso con un piccolo vestibolo è situato sul lato settentrionale, ma originariamente questa entrata laterale doveva costituire un accesso secondario;
quello principale, come di consueto, doveva trovarsi opposto all’altar maggiore, sotto all’organo, e deve essere stato murato quando il convento fu trasformato in abitazione. Una parentesi merita il piccolo organo (attualmente
in restauro), poiché si tratta di un raro esempio di organo positivo, realizzato
nel 1776 dal maestro veneto Francesco Merlini, come ricorda una scritta all’interno dello strumento.
Sul lato meridionale vi è accesso all’oratorio di S. Filippo Neri, l’interno
è adorno da diverse tele che nonostante il cattivo stato di conservazione lasciano intravedere una buona fattura secentesca. Sullo stesso lato sono posti
altri piccoli ambienti (sacrestia e ambienti di servizio); nella sacrestia vi è
una lunetta ad affresco rappresentate una deposizione dalla croce, che fa pensare ad una sopraelevazione del pavimento e ad una modificazione dello spazio interno attualmente troppo angusto per giustificare la presenza di quella
decorazione. Esternamente vi è un piccolo spazio scoperto destinato ad orto
e recintato da un muro in mattoni (forse il muro del monastero); in mezzo
all’erba inoltre si possono riconoscere i resti di una soglia in pietra.
Sia le stratificazioni leggibili dall’esterno che la disposizione interna confermano che il complesso - come emerge anche dai documenti - sia stato variamente modificato e, come si è già detto, in parte demolito nel corso dei
secoli.
Indirizzo: Via San Rocco
Interno visitabile: no
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21 “Scolla” del Santissimo Crocefisso
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La chiesa ed il convento
dei frati minori conventuali di San Francesco costituiva un notevole
complesso architettonico
oltre che essere un punto
di riferimento religioso per
la comunità saccense.
Pare che la sua origine
risalisse agli anni fra il
1225 e il 1250 epoca in
cui San Francesco predicava nel padovano. Presso
quella chiesa si costituì la
Confraternita del SS.
Crocifisso che nel giro di
un anno divenne così numerosa da decidere di costruire presso l’antica
chiesa una propria sede.
Tra il 1565 e il 1575 quindi fu edificata, adiacente a San Francesco, una
chiesa della «Scolla (Confraternita) del Santissimo Crocifisso», alla quale fu
più tardi aggiunto un oratorio. Soppressi dalla Serenissima, nel 1769, e
quindi distrutti nel 1853 il convento dei frati e la prima chiesa, rimasero in
piedi solo la cinquecentesca Scuola con l’oratorio che, in ricordo del precedente complesso, viene oggi comunemente chiamata Chiesa di San Francesco.
Dai documenti e da alcuni resti visibili sull’edificio a destra guardando
l’attuale chiesa, si può supporre che anche una parte della sede della confraternita sia stata distrutta; durante l’ultimo restauro (1906-1909) in particolare, vennero demoliti l’oratorio e il campanile perché pericolante.
La facciata della chiesa pervenutaci, estremamente semplice, rispecchia
con i suoi tre timpani la disposizione interna a tre navate; sulla facciata spoglia spicca la scritta scolpita sull’architrave in pietra: Scolla del Santissimo
Crocifisso istituita l’anno MDLXIII XII Aprile.
All’interno la copertura della navata centrale è costituita da 44 riquadri lignei, dipinti da pittore veneto di inizio Seicento, con storie della vita pubblica di Gesù.
Il recente restauro della chiesa ha dato impulso al recupero anche delle
opere d’arte in essa custodite; l’intervento più oneroso è stato il recupero del
soffitto ligneo con i cassettoni dipinti, seguito anche dal recupero di due importanti teleri sconosciuti, appesi alla copertura della chiesa probabilmente
per sfuggire a furti o vendite. Prima dei restauri erano completamente illeggibili, così anneriti da polvere, fumi delle candele, danneggiati da roditori e
da infiltrazioni, e non era possibile dare loro alcuna attribuzione. Il maggiore, dalle notevoli dimensioni (420X350cm.), è la “Raccolta del sangue
di Cristo” del veneziano Andrea Celesti, appartenente alla corrente dei “tenebrosi”.
La seconda tela recuperata, di dimensioni minori, è stata un’altra grossa
sorpresa: si tratta dell’“Adorazione del serpente di bronzo”, opera di Gregorio Lazzarini, primo maestro di Gian Battista Tiepolo.
Della Passione di Cristo narrano invece le sei tele, un tempo sacrificate nel
soffitto della navata sinistra: «Gesù nell’Orto degli Ulivi, «La cattura di
Gesù», «La flagellazione», «Gesù condotto davanti a Caifa», «L’incoronazione di spine», «Gesù di fronte alla folla».
La chiesa ha tre altari: sull’altare maggiore, dedicato al Santissimo Crocifisso, è collocato un gruppo marmoreo raffigurante la Maddalena piangente ai piedi della Croce, al centro il paliotto mostra il simbolo della
confraternita, due flagelli incrociati, chiamati anche “regole”. L’altare di
destra è dedicato a “San Francesco in estasi” (una certa attenzione merita il
bellissimo paliotto dell’altare finemente decorato a tarsie marmoree, proveniente dalla demolita chiesa di san Francesco, quello di sinistra è dedicato alla Madonna con Cristo morto.
Al termine dei lunghi restauri la chiesa appare un vero gioiello, uno scrigno di importanti opere d’arte, utilizzata frequentemente per la recita del
Rosario, per incontri di preghiera, e soprattutto per i matrimoni. La sistemazione del sagrato, con l’eliminazione della vegetazione e la posa di un tappeto di erba verde, ha consentito di valorizzare il sito, riportandolo
all’originario aspetto.
Alla Chiesa del SS. Crocefisso appartenevano storicamente altre due opere
oggi conservate nel Duomo. Più precisamente nel Paradiso è collocata una
piccola tavola quattrocentesca raffigurante la «Madonna con Bambino» sullo
sfondo di un delicato paesaggio, mentre nella sagrestia è sita un’altra opera
dedicata alla Vergine una «Madonna con Bambino tra due Santi» (dei quali
uno è un francescano proprio come i committenti della Chiesa di provenienza).
Indirizzo: Via Ansedisio, 16
Proprietario/Custode: Monsignor Giorgio Facchin
Interno visitabile: sì, rivolgersi all’Arciprete del Duomo
53
22 Chiesa di San Nicolò
54
I restauri della chiesa conclusi nell’ottobre 1993,
sono stati l’occasione per studiare la storia di questo piccolo gioiello piovese e delle opere pittoriche
che l’edificio custodisce. Dal punto di vista architettonico è interessante il notevole spessore delle
mura (50 cm) che sono prive di fondamenta e costruite oltre che con mattoni, con ciottoli e materiali di recupero da cui deriva l’andamento ineguale
delle pareti, come si può ben notare sulla parete
esterna di sinistra.
La scelta un po’ singolare dei materiali e la “rozzezza” della muratura è ben giustificata dalla storia
della fondazione della chiesa di San Nicolò ad
opera dei barcaioli e pescatori (San Nicola è il patrono di coloro che vanno per mare) di Piove di
Sacco in seguito al passaggio della loro precedente
chiesa, l’attuale Santa Maria dei Penitenti, alle dipendenze del Duomo.
Secondo quanto riportato da una lapide del
1899 - che a sua volta fa riferimento ad un documento medievale - posta a fianco della porta di accesso al campanile, la chiesa era già esistente nel
1165 (Constat Existere ab ano 1165).
Verso la metà del XIV secolo è in contatto con
un monastero dipendente da Santa Maria della Carità di Venezia, e da un padre di questa confraternita era officiata nel Cinquecento, ma era retta dal
Duomo.
L’esterno si presenta oggi in pietre faccia a vista,
ad esclusione della facciata che è intonacata e rifinita a marmorino, con pilastri e timpano e può essere datata al XVI secolo.
L’interno, riportato all’aspetto medievale dai restauri condotti nel corso
degli anni cinquanta - sessanta, ha pianta a sala terminante in un’abside semicircolare e tetto a capanna.
Si tratta di una struttura estremamente lineare decorata da affreschi ed
in alcuni tratti addirittura da più strati pittorici sovrapposti, di cui si è conservata sopratutto la parte che decora l’abside e la muratura circostante,
mentre per il resto non è rimasto qua e là che qualche lacerto. “Il nucleo più
consistente degli affreschi (...) nonché la parete di controfacciata risale al
XIV secolo e fu realizzata in momenti differenti e ad opera di maestranze
diverse”, mentre la sensazione di unitarietà è da attribuirsi alla uniformità
della cornice (Giuliana Ericani).
La critica non è ancora unanime nell’attribuzione: sono state identifi-
cate tendenze giottesco - riminesi (Flores d’ Arcais, 1968), l’intervento di
un seguace di Paolo da Venezia (Muraro, 1969) e la mano del Maestro del
coro degli Scrovegni (Fantelli, 1980).
La dottoressa Ericani, che ha seguito per la Soprintendenza i recenti lavori di restauro, ha portato un ulteriore contributo.
Suggestiva è la sua ipotesi che individua, nella realizzazione dei quattro
Apostoli ancora rimasti e nelle figure del Cristo Pantocrator nella mandorla
e nella Vergine e San Giovanni che completano la decorazione del catino
absidale, un possibile intervento giovanile del pittore trecentesco di formazione giottesca Guariento d’Arpo: forse una delle prime opere della carriera
dell’artista, insieme con il Polittico dell’Incoronazione (1344) già nel Duomo
di Piove ed oggi alla Norton Simon Foundation di Los Angeles. Alla stessa
mano, ma ad un periodo successivo - 1350 – 1360 - sarebbe da attribuire
la Figura di Santo della controfacciata.
Degno di nota è il contributo di Guglielmo Veneziano a cui si deve il Polittico della Vergine con Bambino e i Santi Martino, Giovanni Battista, Nicolò
e Francesco firmato e databile, secondo il giudizio di affermati studiosi, intorno al 1360; allo stesso artista vanno attribuite inoltre - secondo il giudizio di Giuliana Ericani - le due figure (San Giovanni Battista e Sant’Antonio
Abate) affrescate nella parte superiore della parete sinistra nonché il San
Giovanni Battista e la Maddalena della parete di fronte.
Sono invece da considerasi ex-voto di periodi diversi e voluti dai devoti
della contrada - a cui spettava anche il cinquanta per cento degli oneri per
gli interventi di manutenzione - i vari riquadri rappresentati Madonne con
Bambino, figure di Santi o l’Angelo che pesa le Anime, datato 1426, sulla
parete di sinistra vicino al campanile.
Tra le varie immagini è forse identificabile con il Patrono di questo sito
la figura sul lato destro dell’arco trionfale della quale si può ancora ammirare la ricca decorazione del panneggio.
Infine, la decorazione tutt’ora conservata, si conclude cronologicamente
con l’Annunciazione affrescata sopra il fornice, opera risalente al 1645, come
testimonia il cartiglio sull’imposta dell’arco; mentre le settecentesche pale
del Tiepolo, documentate nell’Ottocento in questo edificio, sono oggi conservate nel Duomo.
Indirizzo: Via San Nicolò
Proprietario/Custode: Giuseppe Odorizzi - Via San Nicolò, 2 - tel. 049.5840507
Interno visitabile: sì, rivolgersi al custode
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23 Oratorio di Sant’Anna
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Si tratta di un edificio di dimensioni limitate con una facciata lineare
con lesene e timpano, elementi classici che bandendo tutto ciò che non
abbia una funzione, rispecchiano - con una semplicità esagerata, probabilmente dettata dalla scarsezza dei fondi - il gusto veneto del settecento, periodo in cui, secondo il giudizio unanime degli storici, fu costruito. L’unico
elemento distintivo era l’affresco sopra la porta d’accesso, ormai purtroppo
illeggibile, che ricordava la Santa a cui è dedicato l’edificio.
Nel 1740 una certa Frarato Giuliana si sarebbe occupata di far costruire
l’oratorio chiedendo la collaborazione economica anche di altri fedeli; fonte
di questa notizia è, secondo gli storici, una lapide oggi scomparsa, che recitava: “HOC/ STIPE COLLECTA/ POSVIT FRARATA SACELLUM
IULIA./ QUAE IAVET HIC, AEDE RECEPTA SUA/ OBIT DNI/1740”.
In seguito se ne prese cura la famiglia Lando “ed essendo mancati i maschi
di quella famiglia passò in custodia ad un Vettorato, marito di una figlia del
benefattore” ed infine nel 1881 fu restaurata da D. Raniero Salviti. Da questa ricostruzione emerge in modo chiaro che si trattava di un oratorio gestito da privati cittadini, anche oggi ad occuparsene è una famiglia ma esso
dipende ora direttamente dal Duomo.
In seguito allo sviluppo urbanistico di Piove di Sacco l’edificio purtroppo
è rimasto soffocato nell’angolo di un grosso incrocio stradale, il che lo rende
ben poco fruibile.
L’interno, ben illuminato da finestroni termali, è adorno di un unico altare in marmo ad intarsio policromo, con una tela raffigurante “L’educazione della Vergine” opera, secondo P. Tieto, di E. Dall’ Olio, ispirata per
la trattazione di alcuni particolari, al grande dipinto di G. B. Tiepolo conservato nella chiesa di S.Maria della Fava a Venezia recante il medesimo
soggetto. Nelle due nicchie che fiancheggiano l’altare sono poste due statue
lignee policrome Santa Apollonia e Sant’Agata. In controfacciata è collocata
una tela, da poco restaurata, raffigurante un Cristo morto. Nella chiesa sono
inoltre conservate alcune piccole reliquie tra le quali quelle di Sant’Anna.
Indirizzo: Via Davila
Proprietario/Custode: famiglia Pianta - tel. 049 9701030
Interno visitabile: sì, su appuntamento rivolgersi al Custode
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24 Monastero di San Vito e Modesto
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Lungo la strada che porta a Padova, alla stessa altezza del Santuario della
Madonna delle Grazie, quindi solo un paio di chilometri al di fuori del
vallo del centro storico, s’incontra ciò che rimane della chiesa e monastero
dedicati ai Santi Vito e Modesto.
Del complesso religioso, esistente probabilmente già prima del 1132 poiché viene menzionato in un documento risalente a questa data, si sono conservati solamente parte del muro di cinta e l’ala ovest. Questa struttura risale
probabilmente alla fine del Cinquecento o all’inizio del Seicento, almeno
a giudicare dalla tipologia che rientra pienamente in quella, assai diffusa
nella Saccisica, degli edifici che hanno caratterizzato la bonifica (che ebbe
notevole sviluppo a partire dal XVI secolo).
Verso la strada l’edificio si affaccia con un prospetto semplice completato
da un timpano dentellato con oculo, ma si sviluppa verso l’interno con
un’armonica e funzionale struttura ad archi costituita da due corpi, tra i
quali, fino a quaranta o cinquant‘anni fa si innestava perpendicolarmente
una chiesetta poi distrutta - ne rimane ancora qualche rudere - da un incendio.
L’edificio è strutturato su due piani: il pianterreno presenta uno spazio
centrale chiuso e ai lati due lunghi corridoi porticati, il tutto coperto con
un cadenzato susseguirsi di volte a crociera. Alcuni degli archi verso est sono
stati tamponati, ma si possono ancora leggere dall’interno, dove si vedono
- anche se rovinati - i bei pilastri monolitici in pietra e le volte in cotto. Da
questo stesso lato, verso la strada il susseguirsi delle arcate è ben conservato.
Vale la pena di salire al piano superiore per dare uno sguardo all’ampio spazio con tetto a due falde e una bella fuga di capriate che poggiano lateral-
mente su arcate, oltre alle quali vi erano probabilmente le celle dei religiosi;
infine un’iscrizione nella parete di fondo ricorda che nel 1886 l‘edificio fu
restaurato.
Ad avvallare il ruolo anche rurale e di risanamento fondiario che portò
allo sviluppo della struttura sono alcuni disegni risalenti al Settecento che
mostrano, intorno a questo monastero, un notevole agglomerato di casoni:
le abitazioni tipiche dei braccianti agricoli.
Inoltre San Vito e Modesto era un convento di Benedettini, i principali
autori delle bonifiche della Bassa Padovana. Per la precisione, al suo sorgere il monastero era misto, cioè composto da Benedettini e Benedettine,
ma già nel 1247 le monache risultano autonome anche nella gestione economica.
Nel 1584 il monastero viene visitato dal Vescovo Valerio che lo definisce abbastanza spazioso e comodo e testimonia che la chiesa, di medie dimensioni, è “fabbricata elegantemente”. Purtroppo nel corso del XVII
secolo le monache si trasferirono nel Monastero della Concezione ed il monastero venne adibito ad abitazione.
Oggi il complesso dopo la semi distruzione, avvenuta sicuramente dopo
il 1881, data in cui nella “Storia popolare di Piove di Sacco” Marcolin e Libertini ricordano la chiesa ancora esistente, è adibito ad uso commerciale.
Indirizzo: Via Borgo Padova, 36
Proprietario/Custode: Severino Rampazzo - tel. 049.9702992
Interno visitabile: sì, è adibito a negozio
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25 Santuario della Madonna delle Grazie
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Usciti dal tracciato del centro storico, alla fine di
un viale alberato che fiancheggia il Fiumicello, si
raggiunge il sito in cui sorge il tempio della “Madonna delle Grazie”. Lo stradone e il ponticello che
conducono al Monastero di San Vito e Modesto
sono presenti (anche se il manufatto non era quello
attuale) già in documenti settecenteschi con il
nome di Viale delle Monache il che testimonia i
contatti tenuti tra i due complessi religiosi i cui terreni erano confinanti. La chiesa all’esterno si presenta con due stili molto diversi: la parte absidale,
le pareti laterali, come anche il campanile sono in
cotto, con arcatelle pensili di gusto ancora medievaleggiante; in marmo e ben più lavorata è la facciata con l’affresco dell’Immacolata aggiunta in
tempi più recenti (1861) su progetto dell’architetto
Giovanni Battista Tessari che ha modificato la fisionomia (documentata da vecchie foto) della facciata originaria semplice e pulita e fornita di pronao
(elemento presente anche nella facciata attuale).
Nel luogo dove oggi sorge il Santuario aveva sede,
probabilmente da tempi molto antichi, un piccolo
monastero di francescani con annesso un oratorio.
La costruzione della chiesa attuale e del convento,
oggi distrutto, iniziò nel 1484 e nel 1489 non era
ancora completata. La tradizione vuole l’origine di
questo complesso legata ad un avvenimento miracoloso tramandato dalla tradizione popolare, narrato in alcune opere di storia ecclesiastica cinquecentesche e descritto in un quadro secentesco (1696) conservato
all’interno della chiesa stessa. I due fratelli Sanguinazzi, alla morte dei genitori
si erano divisi l’eredità trovando accordo su tutto, ma quando dovettero decidere
a chi spettasse un’immagine della Vergine col Bambino di singolare bellezza e alla
quale erano particolarmente legati giunsero al punto di sfidarsi a duello; proprio mentre si accingevano allo scontro un bambino di un anno che assisteva alla
scena in braccio alla madre parlò e disse: “Fermatevi da parte di Dio”. E li esortò
affinché portassero l’oggetto della contesa in una cappella poco fuori il Castello
di Piove. I fratelli obbedirono e l’immagine sacra fu esposta alla pubblica adorazione. La Vergine fu subito fonte di numerosi miracoli attirando un grande numero di devoti; si decise pertanto di costruire con le offerte dei fedeli, su di un
terreno donato dagli stessi fratelli Sanguinazzi, un convento per i frati minori ed
una chiesa che venne dedicata alla Madonna delle Grazie. La bella tavola che,
come vuole la tradizione, fu all’origine della costruzione del Santuario, è tuttora
l’opera più preziosa in esso conservata. La Vergine col Bambino, che si staglia su
uno sfondo naturalistico è stata infatti attribuita da autorevoli critici alla mano
del pittore veneziano Giovanni Bellini e datata intorno al 1478. Un altro evento
prodigioso è collegato a questa Madonna ed è narrato in due tele seicentesche:
la liberazione di Piove di Sacco dalla peste del 1631. Poiché l’epidemia dilagava,
per porre freno al flagello, il Consiglio della Comunità piovese deliberò - nella
prima tela, “Istituzione della festa del Voto”, vediamo i rappresentanti cittadini
riuniti in Consiglio - che Podestà, Sindaco, Deputati e tutto il Consiglio dovessero recarsi in processione al Santuario delle Grazie. La seconda tela invece documenta la processione votiva che da allora, come era stato deliberato, si ripete
puntualmente ogni anno.
Ritornando alla struttura della chiesa, possiamo notare che l’interno è costituito da una grande navata con copertura a capanna secondo la tipologia più
diffusa tra le chiese francescane, ma affiancata a destra da una navata di dimensioni molto inferiori. Oltre alle quattro opere a cui si è già accennato vi sono
conservate, sulla parete destra della navata maggiore, una “Annuciazione” del
1649 di scuola veneta, che in origine trovava posto ai lati dell’arco del presbiterio, il che spiega la composizione su due tele. L’altare maggiore in legno dorato
e intagliato è di gusto barocco con una mensa in marmo ad intarsio policromo
datata 1683 (come documenta la scritta “P. F. Cherubino di Piove Guardiano
MDCLXXXIII”). Una serie di altri quadri arricchiscono ancora le pareti di questo luogo: aggraziata con figure scorciate e giochi chiaroscurali, vagamente ispirata alle opere dei Bassano, è l’Adorazione dei pastori con Sant’Antonio da Padova;
di provenienza bresciana è la Via Crucis; Santa Caterina d’Alessandria in Gloria,
San Francesco riceve le stimmate, San Filippo Neri (datato 1631) sono invece opere
di fattura mediocre finalizzate al culto e con valore didascalico; stilisticamente più
interessante invece è la Deposizione, purtroppo molto rovinata, e soprattutto il
frammento di tavola con San Giovanni Evangelista e Sant’Antonio da Padova ritrovato alla fine degli anni ottanta ed attribuito ad Angelo di Bartolomeo detto
lo Zotto (o Lo Zoto, notizie Padova 1469 - 1486).
La visita si conclude nel chiostro, unico elemento architettonico in parte sopravissuto alla distruzione del convento, avvenuta sotto la Serenissima nel 1775,
dopo che questo era passato nel 1769 sotto la custodia della fraternita della Madonna della Salute (i tre lati non confinanti con la chiesa sono stati completamente rifatti nel 1960). Come spesso accade nei chiostri vi si respira un’aria di
mistico e di preghiera in perfetta armonia con l’atmosfera di tutto il Santuario.
Indirizzo: Viale delle Grazie
Interno visitabile: sì
Proprietario/Custode: Parroco, tel. 049.5840327
Orari: 9.00-12.00, 15.00-19.00
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26 Palazzo Querini-Dante
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Coerentemente con una tipologia
molto diffusa nel centro storico e in
particolar modo in questa via, il
piano terra del palazzo è occupato,
verso la via Garibaldi, da un portico
pubblico su cui si affacciano ambienti adibiti ad uso commerciale.
I prospetti attuali sono assimilabili a quelli di altri palazzi disposti su
quest’asse ed in particolare alla facciata verso il giardino della casa Morosini (ex Vallini) e, soprattutto, a
palazzo Badoer. La soluzione a
«pianta veneziana» con pianta quadrata e salone passante illuminato
dalla grande trifora centrale ha costituito una costante per l’architettura
di questo centro ma sono ricorrenti
anche particolari decorativi quali la
cornice che delinea la sommità della trifora dando così maggiore compattezza a questo elemento architettonico.
Il distacco dell’intonaco nella parte inferiore della facciata ha fatto affiorare una evidente manomissione degli archi del portico, i quali legano l’edificio padronale con
l’adiacente corpo minore, tra l’altro evidentemente modificato in epoca recente, con
l’apertura di grandi finestre. La presenza di alcune date incise sulle pareti del palazzo
(1790 e 1854) possono dar luogo a ipotesi sull’evoluzione del palazzo stesso. Il fabbricato presenta alcune peculiarità quali l’uso di elementi lapidei di diversa qualità e natura: la pietra di Nanto incornicia le finestre al primo piano, sui due prospetti principali,
punteggia inoltre molte altre parti dell’edificio come gli stipiti delle porte sull’atrio del
piano terra e del salone del piano primo. Anche la scala era costituita da gradini in pietra tenera, oggi è però rivestita di marmo. Vi sono tracce di pietra tenera anche sulle
aperture del mezzanino, nel camino del lato nord e nelle targhe di facciata. Questo
tipo di pietra indica la presenza di una più antica costruzione quattrocentesca. La pietra d’Istria, utilizzata in epoca più tarda, è presente nel piano terra, nelle aperture dei
lati est e ovest con elementi di buona fattura. La compresenza dei due tipi di pietra potrebbe far supporre ad un riuso di materiale proveniente dalla demolizione di un edificio preesistente. La singolarità dell’edificio è data dagli archi del porticato di facciata,
la cui sequenza pone problemi interpretativi: oltre a non definire la geometria del palazzo padronale, gli archi sono stati anche modificati nel tempo. Uno studio fatto in occasione della formazione del prg, ipotizza una riduzione volumetrica del palazzo che
doveva avere larghezza pari alle dieci arcate che lo legano con l’edificio minore posto
alla sua destra. In questo caso il palazzo avrebbe avuto un modulo centrale con la trifora e due moduli simmetrici sui lati. Un’altra ipotesi sostiene che due edifici accostati
avessero il piano terra e il primo in comune e che, durante la ristrutturazione del 1790
(incisione su uno dei pilastri del granaio) si siano salvati e riutilizzati molti elementi architettonici del primitivo edificio, e gli elementi in pietra d’Istria per le nuove finiture.
La carenza di documenti sull’edificio non permette datazioni precise, il Baldan lo
chiama Palazzo Querini e ne fa risalire l’origine alla metà del XVII secolo, ipotesi accettabile anche se, per la scarsità della documentazione che non permette di accertare
che si tratti proprio di questo edificio, conviene proporre come data indicativa, come
per gli altri palazzi simili a questo, gli anni tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo,
periodo in cui Piove di Sacco affrontava un importante sviluppo urbanistico. La lettura
dei Sommarioni dei catasti storici fornisce qualche notizia interessante. Dal Napoleonico veniamo a sapere che all’inizio dell’Ottocento la casa era di proprietà di Ghidoni
Girolamo ed Antonio, che erano proprietari di ben tre altre case d’affitto e di due orti
su quella stessa strada, e che definiscono la proprietà come «casa di villeggiatura con due
botteghe»; la funzione di casa di svago con la destinazione ad uso commerciale sono caratteristiche che è insolito trovare in un unico edificio, tanto più se teniamo conto che
confinante con il giardino della casa vi era un vastissimo brolo - sempre proprietà dei
Ghidoni - che si affacciava verso la distrutta chiesa di S. Francesco: il che suggerisce
anche una funzione agricola destinata alle necessità familiari.
Nel catasto Austriaco il proprietario è cambiato ma la proprietà è rimasta unita,
sono stati aggiunti alcuni edifici ed un’area interna al giardino è stata adibita ad orto.
Il catasto Italiano vede un primo frazionamento dell’edificio, seguito da altre divisioni
di proprietà. Nel 1856 tutta la proprietà passa prima alle sorelle Luigia e Antonia Rava
e poi, alla morte di quest’ultima, a Luigia Mattiello. Nel 1889 il Comune di Piove di
Sacco era intenzionato ad acquistare il palazzo per trasformarlo in un fabbricato scolastico femminile. Una perizia realizzata dall’ingegner Francesco Gasparini rivela come,
con opportune modifiche, lo stabile avrebbe potuto corrispondere alle norme relative
alle costruzioni scolastiche: l’accesso era facile e sicuro, il sito “elevato” e lontano da mercati e cimitero, non esposto a venti freddi umidi ed insalubri, la dimensione dell’edificio permetteva la costruzione di ben sei aule didattiche, dell’alloggio per il bidello e le
latrine costruite ex novo. Un cortile quadrato di 1400 mq sarebbe servito per la ginnastica delle fanciulle, inoltre il piano sottotetto sarebbe stato a disposizione comunale.
La scuola non venne realizzata e il palazzo passò prima alla proprietà della Cassa di Risparmio di Padova e nel 1933 di Gennaro Varotto che lo detiene fino al 1956, quando
per testamento la proprietà passa al Seminario Vescovile di Padova. Dal 1969 la casa
padronale è proprietà della famiglia Dante.
Indirizzo: Via Garibaldi, 105-107-109
Proprietario/Custode: D & D Investimenti S.r.l., legale rappresentante Dante Chiara
Interno visitabile: sì, su appuntamento
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27 Villa Gradenigo
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Alla fine di via Garibaldi si erge maestosa villa Gradenigo. Comunemente indicato come “Palazzo”, il complesso
nonostante sia posto all’interno del vallo
che delimita il centro storico, rientra a
pieno titolo nelle caratteristiche stilistico-tipologiche derivanti dalle funzioni
che il Palladio individua come tipiche
della casa di villa. Secondo l’architetto
vicentino la destinazione è tra casa di
città e casa di campagna, dove quest’ultima è il luogo in cui il Gentil’homo passerà il tempo in “onorare le sue
possessioni, e con industria, e arte dell’Agricoltura accrescere le facultà”.... È
evidente quindi che la presenza delle barchesse, come anche della casa da fattore,
dell’aratorio vitato e dell’orto, testimoniano la funzione agricola; e non bisogna dimenticare che i proprietari di
questo edificio erano figli della Serenissima, e che per i veneziani la terraferma
era spesso sinonimo di “campagna”.
Infine, la presenza documentata, almeno nel Sette e Ottocento, di un parco
e la definizione emergente dai catasti storici ottocenteschi “casa di villeggiatura” confermano l’altra funzione tipica
della villa veneta, quella di svago.
La nobile famiglia dei Gradenigo possedeva in Piove di Sacco molte proprietà non solo terriere e residenziali ma anche commerciali - ad esempio
un’ osteria che sorgeva probabilmente non lontana da questa villa - perciò
è spesso difficile individuare nel ricco archivio di questa famiglia la storia
dei singoli edifici. L’elemento che ci viene in aiuto è la chiara identificazione del sito rientrante nella contrada Pozzobon, e confinante con la Porta
di Santa Giustina (Torre Rossi; demolita nel 1820) ed il vallo, elementi
della fortificazione della città che nel corso dei secoli verranno inglobati
nella proprietà Gradenigo.
Il complesso monumentale attuale è composto dall’ edificio residenziale,
dalle barchesse e dall’ oratorio, già documentato dal 1675 e dedicato a San
Francesco di Sales, ma ricostruito nella forma attuale nel 1788, mentre la
barchessa che lo collega al palazzo risale al 1758.
Il palazzo residenziale, con i suoi cinque piani, costituisce senza dubbio,
a Piove di Sacco, l’edificio di abitazione più imponete tra quelli di rilievo
storico-artistico. Il seminterrato occupa solo la metà pianta ed era destinato
alle cantine, sul lato verso il giardino troviamo invece il piano terra sede
della cucina, dove è ancora conservato il focolare.
Con le scalinate esterne - delle quali si è conservata solo quella della facciata principale, per altro alterata rispetto alla forma originaria a semicerchio - si accede al salone passante del piano rialzato. Le pareti ed il soffitto
sono interamente affrescati con finte architetture e arditi sfondamenti prospettici.
Dai due ampi vani laterali, anch’essi riccamente decorati a monocromo,
due scaloni speculari conducono direttamente al piano nobile. Qui si apre
spazioso e fastoso il salone delle feste illuminato dalla trifora centrale. Anche
questo ambiente è interamente decorato da affreschi seicenteschi, interrotti
sui lati minori da loggette riservate all’orchestra.
Tra i due piani di rappresentanza si inserisce nelle ali laterali il mezzanino;
all’ultimo piano erano collocate le stanze della servitù domestica, infine,
questo imponente edificio si conclude con il sottotetto con travi a vista,
che costituisce la parte centrale con il timpano in facciata.
Nel piano nobile la distribuzione rispetta l’andamento simmetrico tipico del palazzo veneziano e decorazioni a stucco e ad affresco arricchiscono
anche le sale laterali.
Uno sguardo attento merita indubbiamente la facciata principale, postpalladiana. Sullo zoccolo di base si aprono finestre ovoidali; nella parte centrale dell’edificio la decorazione mette in risalto lo spazio occupato dai
saloni passanti: al piano rialzato un massiccio bugnato, al piano nobile la
bella trifora di colonne con capitelli ionici, il tutto coronato da un timpano
recante lo stemma dei committenti veneziani: i Gradenigo.
La documentazione sette e ottocentesca testimonia che la villa era completata oltre che dall’oratorio, dalle barchesse, dalle scuderie e da altre adiacenze, anche dalla corte, dall’orto e soprattutto da un bel giardino
all’italiana. Questo spazio, anche se attualmente un po’ trascurato è rimasto non edificato, pertanto ci si augura che possa essere al più presto riportato al suo antico splendore.
La barchessa di sinistra e l’oratorio, dopo essere stati occupati, nel dopo
guerra, da un mulino, sono stati restaurati ed oggi accolgono una banca.
Indirizzo: Via Garibaldi, 102
Proprietario/Custode: Roberto Clamar
Interno visitabile: no
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28 Villa Priuli
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Nell’attuale Borgo Rossi un tempo appartenente alla Contrà di Santa
Giustina, poco fuori dal vallo, è sito il bel complesso Priuli.
Segnalato nel catasto Napoleonico come casa di villeggiatura, denunciando così una funzione di svago, completato dalla presenza degli annessi
agricoli che rivelano una funzione economica, esso rientra a pieno titolo
nel “tipo” della villa veneta.
È costituito oltre che dal palazzo d’impianto cinque-secentesco, da due
barchesse, da un’esedra e dall’oratorio costruiti in periodi successivi.
La casa padronale ha pianta quadrangolare e facciate opposte non esattamente uguali. Entrambe sono caratterizzate da una trifora centrale, strettamente affiancata dalle prime due finestre laterali (tanto da sembrare a
prima vista una pentafora) ma verso il giardino non vi sono elementi decorativi se non i due camini collocati tra le finestre delle stanze laterali;
mentre l’affaccio principale è arricchito da testine in pietra e sia la finestratura del piano nobile che il portale d’accesso sono decorati da modanature
e cornici. La maggior attenzione rivolta alla valorizzazione della facciata
principale rispecchia l’origine veneziana dei committenti: la famiglia Priuli.
All’interno la pianta è quella tipica veneziana con un vasto salone passante al quale si affacciano con simmetria impeccabile soprattutto nel piano
nobile le porte delle stanze laterali. Sulla sinistra attraverso un arco con una
testa di Bacco si accede allo scalone a tenaglia che partendo con un’unica
rampa e dividendosi in due dopo il pianerottolo raggiunge, oltrepassate le
due porte in legno intagliato, il luminoso salone del piano nobile.
Infine, una scala secondaria conduce al piano superiore, un tempo probabilmente riservato alla servitù domestica.
Del parco non si è conservato molto se non un pozzo e parte del muro
di cinta. In fondo al giardino, quattro pilastri con statue resistono, testimoni dei due accessi secondari alla villa. Le due barchesse laterali, presentano alte arcate incorniciate da un leggero bugnato, una purtroppo è stata
modificata e i fornici sono stati tamponati, mentre dal lato opposto è ancora possibile apprezzare la scansione ritmica del pieno-vuoto.
È da questo lato che in testa alle adiacenze si trova il piccolo oratorio
tardo secentesco con timpano e finestrone termale sul lato verso la strada,
ma orientato con l’ingresso verso la villa. L’interno, è decorato da un cornicione ed ha conservato un bel pavimento in cotto, ma l’elemento più interessante è l’altare barocco intarsiato di marmi policromi.
Un grave torto è stato inflitto all’esedra che è stata separata dalla villa e
tristemente inglobata in un’area di servizio mentre nell’Ottocento, come si
può chiaramente vedere dal Catasto Napoleonico, la strada faceva una curva
proprio seguendo la sinuosità della proprietà.
Indirizzo: Via Borgo Rossi, 14
Proprietario/Custode: famiglia Ballan tel. 049.5840340
Interno visitabile: su appuntamento
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29 Villa Leoni-Rosso
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Casa padronale databile intorno alla fine del XVI secolo o meglio agli
inizi del successivo per la struttura architettonica con seminterrato destinato
ai servizi e piano nobile dislocato al piano rialzato; soluzione piuttosto diffusa soprattutto nelle case domenicali, di cui troviamo altri esempi anche
in Piove di Sacco. Oltre alla gradinata d’accesso a doppia zampa, sul fronte
sud, e allo scalone sul fronte nord, i prospetti sono scanditi solamente, come
in altri edifici piovesi, dai marcapiani e completati da un cornicione dentellato.
Il seminterrato è costituito da tre navate con volte a crociera ribassata, in
cotto e pavimento in tavelle o terra battuta.
Il piano rialzato, destinato oggi come un tempo alla residenza vera e propria, ha conservato la struttura originale a “pianta veneziana” con salone
passante sottolineato da una fitta travatura. In una stanza laterale, l’attuale
cucina è conservato un curioso camino poggiante su due zampe di leone.
All’ultimo piano troviamo il vano unico costituito dal tetto a quattro falde
(solo una parte è stata divisa in piccoli ambienti).
Ad esclusione di qualche aggiunta e di alcuni divisori interni l’edificio ha
conservato in gran parte la fisionomia originale, inoltre è tra i fortunati che
hanno potuto conservare, anche se solo in parte, la cinta che delimitava
orto e brolo: un bel muro in mattoni, contraffortato ed impreziosito dai pilastri dell’ ingresso - a giudicare dalla forma, erano in finto bugnato (oggi
caduto l’intonaco mostrano la struttura in cotto) - che con un ombroso
vialetto conducono alla scalinata principale.
Secondo le decime pubblicate dal Baldan le prime notizie sulla proprietà
risalirebbero al 1684 quando Giacomo e Nicolò Leoni, padovani, denunciano “casa di muro, forno, pozzo, cortivo...” (una casetta un tempo destinata alla cottura dei cibi, esiste tuttora); in seguito l’edificio divenne
proprietà della famiglia veneziana dei Priuli che già possedeva una villa (villa
Priuli) poco fuori le mura di Piove di Sacco. Nonostante che i primi documenti pervenutici sull’edificio risalgono alla fine del XVII secolo, appare più
probabile che per i suoi caratteri tipologici la villa risalga invece all’inizio di
quel secolo.
Indirizzo: Via Breo, 10
Proprietario/Custode: Agnese Rosso
Interno visitabile: no
71
30 Palazzo Morosini
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Nel secolo scorso la città di Piove ha
assistito alla demolizione di quattordici
palazzi veneziani, vetusti, che hanno
lasciato spazio ad altre costruzioni più
“moderne” ed efficienti. Palazzo Morosini è un caso emblematico in
quanto, dopo la demolizione, non è
stato più ricostruito, ma è vivo il suo
ricordo nella memoria dei piovesi soprattutto per il polverone suscitato dal
suo smantellamento. L’edificio era gravemente lesionato ed un pericolo per i
passanti e soprattutto per i bambini
che frequentavano le scuole, lo attesta
già una perizia del 1948; così nel gennaio del 1966 il proprietario, Ferruccio
Miotto, lo demolì. Il lotto è rimasto
inedificato e del nobile palazzo non restano che le fondazioni, ancora lì per
farci immaginare come potrebbe essere
il grande edificio ad angolo. Questa
scheda è quindi un tentativo di ricostruire “virtualmente” il palazzo, al
posto del vuoto che ora domina la proprietà, la descrizione si riferisce alla situazione del palazzo al momento della demolizione.
Palazzo Morosini non poteva certo competere per bellezza con altri palazzi
costruiti lungo le vie principali di Piove: la sua architettura era tutto sommato modesta, ma la sua mancanza si fa sentire ancora oggi, nel tessuto edilizio del centro storico. Un rilievo, alcune fotografie storiche e la citata perizia
del 1948 ci aiutano a descrivere sommariamente le sue caratteristiche. Geometricamente assomigliava ad un cubo in mattoni occupante l’angolo tra
via Cavour e via Lucchini, con la pianta quadrata e tripartita; il piccolo brolo
era delimitato da alti muri in mattoni, che terminano con una decorazione
fatta con i mattoni posati di piatto e di coltello, lungo via Cavour e mattoni
inclinati lungo via Lucchini. Il palazzo, edificato presumibilmente nel XVI
secolo, aveva la facciata sul filo della strada. Dominata dal pieno delle murature, era alleggerita da una quadrifora posta ad illuminare il salone del
piano nobile (prima della demolizione i fori centrali risultavano comunque
tamponati, per irrobustire la struttura dell’edificio, non è escluso che la quadrifora fosse dotata di balconcino in pietra), formata da fori architravati e lunetta tamponata successivamente e decorata con conci marmorei a rilievo in
chiave e all’imposta degli archi; anche le finestre delle stanze laterali presentavano la stessa geometria. Al piano terra, rialzato di quattro gradini, si ac-
cedeva tramite un portone rettangolare; le stanze laterali erano illuminate
da due finestre per lato, inquadrate da cornici di pietra viva e protette da
pesanti grate metalliche. Al piano sottotetto, adibito probabilmente a deposito e soffitta, corrispondono le finestrelle quadre. A coronare l’edificio
c’era un tetto a quattro falde sorretto da una bella cornice lavorata a dentelli.
I prospetti laterali erano dotati di una grande canna del camino rastremata
alla base e alcune finestre; al centro del fronte meridionale, verso il quartiere
Umberto I, c’era anche una bifora archivoltata, che serviva ad illuminare la
scala, prima di essere tamponata completamente. Le finestre quadre inserite
in momenti diversi sul prospetto, le tamponature, i crolli di materiale in corrispondenza della bifora del vano scala e le profonde lesioni sulle murature
conferivano complessivamente un’immagine di disordine e di instabilità.
Il fronte interno al giardino era molto particolare, con un portico al piano
terra con cinque archi poggianti su pilastri, quattro dei quali murati, sei finestre rettangolari con lunetta tamponata al piano nobile e altrettante finestrelle al piano sottotetto.
Un disegno, probabilmente un progetto di restauro ottocentesco, restituisce un’immagine piuttosto curiosa del palazzo, la cui facciata è completamente decorata. L’edificio è rappresentato con una grande bugna al piano
terra, importanti decorazioni a racemi dipinti a fasce sotto le finestre, specchiature, medaglioni con primi piani di persone, scene di putti probabilmente a bassorilievo all’altezza del secondo piano. La quadrifora del piano
nobile è nobilitata da un balconcino in pietra decorata a grottesche, sorretto
da mensoloni con foglie d’acanto, anche i piedritti e gli archivolti delle finestre sono finemente lavorati a scanalature.
Certamente degno di nota era anche l’annesso costruito al confine orientale del lotto, si presentava come un corpo rettangolare su due livelli, su cui
era ricavato un elegante portale bugnato per l’accesso delle carrozze alla proprietà, la cornice di gronda era accuratamente lavorata a dentelli, come se si
trattasse di un edificio dalle nobili funzioni. Tra il fabbricato padronale e
l’annesso, circa al centro del piccolo giardino, vi era un altro portale archivoltato. Tale portale ed era un elemento consueto dell’architettura urbana
(attualmente ne esistono solo pochi esempi a Piove di Sacco), era ricavato nel
muro di cinta e caratterizzato da un’ampia apertura ad arco.
Indirizzo: Via Cavour, 43
Interno visitabile: Palazzo demolito
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31 Casa Contarini-Gallo
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È difficile stabilire una data di nascita precisa per questo complesso per
le alterazioni che ha subito la facciata principale.
Ciò nonostante si può supporre che l’edificio sia stato costruito tra il
XVI e il XVII secolo come sembrerebbero confermare i pochi particolari decorativi conservati: il rilievo in pietra tenera dell’archivolto e delle cornici
del portone d’ingresso e la struttura tripartita della “pianta veneziana”.
A questa struttura sono state aggiunte in un secondo tempo due “ali” laterali che sul lato destro hanno creato una congiunzione con l’annesso rustico.
Il tutto legato dal bel cornicione in cotto, costruito sicuramente in un secondo tempo considerando che la sua struttura ha in parte accecato le finestrelle ovali che illuminano il sottotetto.
Nonostante la posizione centrale il complesso ha una forte connotazione
rurale, infatti la sua struttura ad “L” si compone oltre che della casa, con il
tipico salone passante, anche di un annesso porticato ad uso rurale.
Il Catasto Napoleonico conferma questo carattere segnalando il lotto come
“casa da fattor”, ed a questo si affiancano, proprietà sempre di Contarini
Luigi, due lotti di terreno destinati ad orto e a brolo, una vasta area quindi a
ridosso del centro storico, che i Contarini, famiglia veneziana ampiamente documentata a Piove, avevano scelto di adibire ad uso agricolo. La proprietà indivisa rimane della nobile famiglia anche negli anni successivi e nel Catasto
Austriaco è segnalata di “sua Eccellenza Girolamo Contarini”.
All’interno, il salone è decorato da pitture murali geometriche sul soffitto
e da sovrapporte con motivi floreali, di fattura ottocentesca; più antiche
sembrerebbero invece le decorazioni delle travi di una delle stanze laterali,
e la bella copertura a crociera dello scalone che conduce al piano nobile.
Qualche attenzione meritano anche le “palladiane” probabilmente di fattura recente ma arricchite al centro da decorazioni stilizzate.
Indirizzo: Via Cavour, 26
Proprietario/Custode: Immobiliare “Il Quadrifoglio” - tel. 049.9704211
Interno visitabile: no
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32 Villa Magno-Salvagnin
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In quella che storicamente è definita contrada di S. Nicolò, in un sito da
sempre prediletto per le dimore di villa, cioè lungo un corso d’acqua, in
questo caso il Fiumicello, incontriamo il complesso conosciuto col nome di
Villa Salvagnin. È costituito dalla casa “da stacio”, che rispetto alla forma
originaria ha sicuramente subito delle modifiche consistenti in due ampliamenti laterali, dalla barchessa e dall’oratorio collocati lungo il muro di
cinta che delimita lo spazio antistante l’edificio. La Cappella ha quindi l’accesso principale sulla strada, come spesso troviamo nelle ville venete, per
permetterne l’uso alla popolazione della zona.
L’edificio residenziale è caratterizzato da due facciate pressochè uguali
che risentono dell’influenza stilistica dell’ entroterra per la bifora semplice
(delineata nella facciata principale da una cornice in pietra) che sormonta
un portale piuttosto imponente con un fornice affiancato da due lesene;
l’insieme del portale, di ampiezza corrispondente a quella della bifora sovrastante, dà la sensazione visiva di voler compensare con la sua gravità la
leggerezza della finestratura del piano superiore.
All’interno nonostante lo stato di degrado sono tuttora visibili tracce di
affreschi sopra le porte e decorazioni sulle travature.
È verosimile che il primo nucleo abitativo possa risalire alla prima metà
del XVI secolo e che gli annessi agricoli e la cappella, si siano sviluppati
successivamente.
Nel catastico conservato presso il Consorzio della Sesta Presa, datato
1675, il lotto su cui insiste oggi la villa è segnalato “Terra (...) con Palazzo
e altra Fabricha del N. H. Zuanne Magno; con suo brolo...” non risulta esserci la chiesetta che non è menzionata nemmeno nella dichiarazione che
Giovanni Magno fa nel 1711. Gli storici Marcolin e Libertini scrivono:
“Lungo la strada che conduce a Corte, a destra del Fiumicello, esiste tuttora
un altro oratorio, dedicato a S. Anna, il quale fu edificato dalla famiglia
Bembo nel 1726...” come segnala - ci informano sempre gli stessi studiosi
- un’ iscrizione presente nell’oratorio: “S. ANNE. MATR. VIRG. DEIPARE. AD. HONOREM. HOC. SACELLUM. A. 1726 AEDIFICATUM A. NOB. PATR. VENET. JUGALIB. IOHANNI. BEMBO. AC.
AN. M. BON. ALEX. I. AD. LAUD. DEI. O. M. AN. SAL. DE JUBILEI
RESTAURATUM. ANNIS. 1826 ET 1886”, e continuano “...Ora appartiene ai Salvagnin, fu restaurato nel 1826 e 1886, ma da molto tempo non
viene officiato”.
Nel rudere dell’oratorio rimane traccia solo dell’ultima riga di quella
iscrizione ma dalle notizie riportate possiamo dedurre che la parte residenziale appartiene in origine a Magno che potrebbe averla costruita tra il XVI
e il XVII secolo, ma fu il nobile veneziano Giovanni Bembo che, acquistatala probabilmente all’inizio del Settecento, vi aggiunse nel 1723, la cappella; poi, alla fine dell’Ottocento, passò ai Salvagnin e con questo nome è
tuttora conosciuta.
Per completare il quadro è importante segnalare, che coerentemente con
quanto riportato nell’iscrizione anche nel Catasto Austriaco la casa e l’oratorio sono dichiarate di proprietà di “Bembo nobile Giovanni” soltanto che
l’edificio sacro viene indicato come “magazzeno”e la costruzione, che sembrerebbe corrispondere agli annessi rustici o alla foresteria, è segnalata come
“casa colonica”.
Indirizzo: Via Fiumicello, 8
Proprietario/Custode: Cirillo Fontolan
Interno visitabile: no
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33 Villa Soranzo-Crotta-Bragato
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Appena superato il ponte che da San Nicolò immette sulla Provinciale
per Corte ci troviamo di fronte ad uno dei più belli e meglio conservati
esempi di residenza padronale di Piove di Sacco: Villa Bragato, circondata
dal muro di cinta e completata dalle adiacenze attualmente separate e in
attesa di restauro.
La struttura cubica e pulita della residenza, messa in risalto dalla recente
ristrutturazione, denuncia chiaramente la sua origine cinquecentesca. Costruita secondo lo schema tripartito dell’edilizia veneziana, con salone passante, ha subito, probabilmente nel secolo scorso, alcune modifiche, tra cui
l’aggiunta di una scala d’ingresso con una loggetta che ha alterato l’orientamento originario dell’edificio, creando un accesso dal lato destro dove a
quel tempo si estendeva il parco di pertinenza.
Il prospetto che si affaccia sulla Via Provinciale è arricchito da un doppio ordine di bifore, quelle del piano nobile, probabilmente appartenenti
al progetto originario, e quelle del piano superiore che potrebbero essere
state aggiunte in seguito in occasione della costruzione del timpano modanato sorretto da volute e decorato da un oculo con stella inscritta.
Uno degli elementi di originalità dell’edificio era costruito dal seminterrato occupato, non dalle cantine, bensì da uno squero a cui conduceva,
proveniente dal Fiumicello, un breve canale che permetteva di accedere di-
rettamente alla villa anche per via fluviale.
L’interno del palazzo, ha tutt’oggi la distribuzione originaria tripartita e
conserva diversi caminetti - uno molto grande è posto all’esterno - e in alcuni locali decorazioni degne di nota.
Nel salone passante a piano terra, riquadrate da finte architetture, si possono ammirare alcune scene che riecheggiano la caccia, in parte danneggiate
dal tempo a dall’incuria dei precedenti proprietari. Altri affreschi, di più
pregevole fattura, databili al XVI secolo, decorano la prima stanza a destra
dell’ingresso: qui sono riconoscibili in particolare una rappresentazione del
mito di Diana ed Atteone e, nel soprapporta, a monocromo, il Rapimento
di Europa.
Al piano nobile - a cui conduce una bella scala con volte a vela - le pareti sono bianche ma compensate dalla decorazione policroma che ricopre
le travi del soffitto del salone centrale e del locale corrispondente a quello
affrescato al piano terra.
Nel passato la villa fu certamente residenza dogale, come testimonia lo
stemma in pietra con leone rampante posto sopra la porta laterale, inoltre
la sua funzione privilegiata, che la differenzia in parte dalla funzione di altri
edifici piovesi, doveva essere quella di accogliere gli ospiti e i proprietari per
le battute di caccia. Diverse scene degli affreschi rimandano infatti a questo tema; inoltre proprio a questo scopo, l’edificio ospitò anche Vittorio
Emanuele II a cui era dedicato un ritratto, oggi distrutto, che decorava il
soffitto del salone centrale del piano nobile.
Indirizzo: Via Jacopo da Corte, 45
Proprietario/Custode: ing. Gianfranco Antoni
Interno visitabile: no, nonostante il finanziamento della Soprintendenza per il restauro
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34 Barchessa Soranzo-Crotta-Bragato
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Dietro alla restaurata villa Bragato è sita la barchessa, o meglio foresteria, appartenente in origine allo stesso complesso. Il parco pubblico realizzato a sud-ovest della costruzione, che separa la stessa da recenti interventi
edilizi a carattere abitativo, è il punto migliore da dove ammirare questo
splendido edificio.
La barchessa è composta da due distinti blocchi contigui, quello orientale è il più antico (secondo alcuni studiosi addirittura del XIV secolo), a
tre fornici, rappresenta la permanenza di una tipica struttura legata alle bonifiche benedettine, come se ne trovano altre nella Bassa Padana. Un elemento interessante è costituito dalla volta a botte di uno dei locali,
probabilmente adibito a cantina o comunque ad ambiente di servizio.
La parte ovest, costituita dagli altri sette archi, è più caratterizzata architettonicamente con l’inserimento di lesene di ordine Jonico che conferiscono al porticato un gusto classicheggiante.L’aspetto esterno del complesso
è quello tipico degli annessi: interamente porticato, con archi intervallati da
pilastri addossati e cornice a dentelli.
Il recente restauro, cominciato nel 2002 e durato quattro anni, ha contribuito allo studio e alla comprensione dell’edificio, contraddicendo le precedenti ipotesi di datazione che legavano la costruzione della barchessa alla
realizzazione della villa, quindi al XVI secolo.
Probabilmente la sistemazione attuale risale alla seconda metà del XVII
secolo, in seguito al matrimonio tra Elisabetta Soranzo e Alessandro Crotta,
quando il marito si impegnò, nel contratto dotale, a restaurare le “fabriche
di Piove...in parte ruvinose”.
L’edificio è frutto di diversi interventi, partiti con la demolizione di un
fabbricato preesistente vicino alla parte Est della barchessa, databile al Quattrocento, alla quale seguì la costruzione della parte Ovest seicentesca.
Il particolare valore della costruzione è costituito soprattutto dagli affreschi della parte Ovest, realizzati in stretta successione rispetto all’edificio,
che decorano le pareti interne e il sottoportico con finte architetture a colonne scanalate con ricchi capitelli compositi e alti cornicioni, ghirlande e
cartocci, medaglioni con paesaggi, figure mitologiche tra cui Bacco, Venere, Diana, centauri e personaggi storici.
Il ciclo pittorico della barchessa ha intento celebrativo: i Crotta, famiglia
di nuova nobiltà, legandosi con questo matrimonio ai Soranzo, appartenenti al patriziato veneziano da antica data, vedevano accresciuto il loro
rango nobiliare, mal visto dai patrizi veneziani perché acquisito con il denaro.
Troviamo riprodotto quindi lo stemma della famiglia Crotta (triplo colle
con tre cipressi e una grotta dove appare un leone d’argento) e personaggi
volti a nobilitarne le origini, come i Santi Martiri Fermo e Rustico nella
stanza delle Stagioni. La decorazione si rivela tanto più importante se la si
collega iconograficamente - come da suggerimento dell’architetto Brentel
- agli affreschi dell’Odeon Cornaro prezioso tributo al manierismo tosco romano del capitano della città di Padova che, essendo certamente intervenuto nella Saccisica per le opere di bonifica, è facile supporre abbia voluto lasciare anche qui il segno dei nuovi sviluppi artistici provenienti
dall’Italia centrale. La struttura, utilizzata fino a qualche tempo fa come falegnameria, ha subito altri due interventi: un ampliamento a Nord, a cavallo
tra Ottocento e Novecento, e l’ultimo nel 1982 quando fu rifatta la copertura.
L’ultimo restauro ha consentito di recuperare completamente i locali
della grande barchessa, eliminando i recenti interventi realizzati sulle coperture e valorizzando gli affreschi che versavano in condizioni precarie.
L’edificio attualmente ospita, nella zona di sinistra, un raffinato ristorante, mentre in quella di destra uno studio di progettazione architettonica.
Indirizzo: Via Jacopo da Corte, 1
Proprietario/Custode: Ristorante la Meridiana - tel. 049.5842275
Interno visitabile: sì, è adibito a ristorante
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35 Casa Priuli-Mocenigo
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Camminando lungo il Fiumicello, nel tratto che dalla Madonna delle
Grazie porta al centro storico di Piove, vi è un edificio singolare, sviluppato su due soli livelli, costituito dal corpo principale e da un corpo secondario aggiunto successivamente sul fronte settentrionale, al posto
dell’antica “teza”. Casa Priuli, di origini Cinquecentesche, è posta sul filo di
via Piave e si riflette sulle acque del Fiumicello. Il corpo principale è a pianta
quadrangolare, tripartito come era prassi consolidata per gli edifici di abitazione in epoca veneziana e con un profondo portico che funge da filtro
tra la strada e l’abitazione privata.
Isolata nella campagna, fino a pochi decenni fa, ora questa casa soffre la
presenza di molti edifici limitrofi, utilizzati a scopi residenziali e commerciali, tuttavia emerge dall’ambiente circostante per la raffinatezza e la semplicità delle sue forme.
La facciata è composta, al piano terra, dal portico a tre arcate a sesto ribassato poggianti su pilastri, in cui sono sottolineati i conci in chiave e all’imposta degli archi. Il sottoportico, protetto dalla strada da ringhiere
metalliche, vede l’ingresso centrale all’abitazione, attraverso un portale architravato, e due finestre ai lati, ad illuminare le stanze laterali. Al piano
superiore le stanze sono illuminate, nel fronte principale, da tre semplici
finestre di forma rettangolare, con davanzale in pietra, poste in asse con le
chiavi degli archi del portico. La cornice ripete forme semplici e lineari e
sorregge la copertura a quattro falde, ricoperte di coppi. I prospetti laterali
appaiono più movimentati per la presenza di numerose finestre e dei caminetti, che emergono con le loro torrette, ai due lati della casa. L’annesso
addossato al lato settentrionale del fabbricato è chiaramente un corpo “estraneo” all’architettura della casa padronale. L’accesso alla proprietà, costituito
da un cancello metallico, è posto sul lato destro del portico.
La lettura dei documenti storici è caratterizzata da numerosi passaggi di
proprietà tra le nobili famiglie patrizie veneziane, alcune delle quali presenti con altre proprietà nel territorio piovese.
Già nel 1566 la casa con teza di muro, cortivo, orto e brolo, situata fuori
del castello di Piove, è abitata da Domenego di Priuli, e nel 1588 specifica
che la casa si trova in Contrà Fiumesello. La toponomastica nel tempo attribuisce agli stessi luoghi nomi diversi, tanto che nel 1635 e nei successivi
documenti la casa è individuata nella Contrada Prà. Nel 1698 il proprietario della casa con giardino “sopra la strada che va alla Madonna” è Zuane
Mocenigo e nel XVIII secolo la casa passa dai Priuli ai Corner e poi ancora
ai Mocenigo, quindi ai Cavagnis, a Lucrezia Zen e ad ancora una volta ai
Mocenigo.
Indirizzo: Via Piave, 24
Proprietario/Custode: Bruno Bruni
Interno visitabile: no
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36- 36/1 Chiesa di Santa Maria Assunta
e l’antica Chiesa sconsacrata
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L’edificio antico sito in via Piovega, in stato di rovina, è diventato in anni
recenti proprietà di privati.
Già in un documento del 1146 risulta l’esistenza di una chiesa, anzi di
una cappella con campanile, dipendente dalla chiesa di San Martino, nella
località di Piovega (da Pubblica, cioè scolo d’acqua, fossa pubblica); ma la
fisionomia attuale dell’edificio risale sicuramente al 1675, come testimonia
una lapide, ora conservata nella nuova parrocchiale, dove si legge a chiare
lettere “D.O.M. A gloria dell’eterno Iddio e della B.V. Maria Pietro Masserini quondam Andrea restaurò ampliò e adornò questa chiesa principiò
l’anno MDCLXXV”.
Il complesso, costituito, oltre che dalla chiesa, dalla canonica (d’impianto
ottocentesco) adibita ad abitazione, è frutto d’interventi di periodi diversi.
Particolare attenzione meritano il campanile, elegantemente decorato da
cornici e modanature, e la facciata a nord-ovest caratterizzata dal bassorilievo che sovrasta il portale, armoniosamente affiancato da due oculi simmetrici; con tutta probabilità è questa la parte risalente al XVII sec.
Nel 1809, il Moschini trovò la chiesa già in stato di grande abbandono,
infatti scrive: “è più degna di accogliere una mandra di pecore che di essere
un tempio di Dio”.
Forse in seguito al protrarsi di questo degrado tra il 1946 e il 1970 si decise di alienare l’edificio e di sostituirlo con uno nuovo costruito da poco
lontano, nel quale vennero trasferite opere, arredi, suppellettili, insomma
tutte le cose più antiche e preziose che fu possibile trasportare.
Pertanto la nuova parrocchiale merita una visita per ammirare innanzitutto due tele da poco restaurate, una “Madonna del Carmine con Bambino”
e una “Assunzione della Vergine”, entrambe databili, nonostante i caratteri stilistici diversi, tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, periodo caratterizzato, in particolare nel Veneto, dalla convivenza di tendenze diverse; nel
caso specifico elementi precorritori della pittura Settecentesca e reminescenze manieristiche. In particolare per l’“Assunta”, una scritta sulla pietra
tombale in basso a destra “Pietro Masserini mi fece fare”, fornisce col nome
del committente (lo stesso citato nella lapide di cui sopra) una data di realizzazione - post 1675 - piuttosto precisa.
Le due tele non sono l’unica eredità della vecchia chiesa, interessante è
un apparato delle quarant’ore in stile neogotico con le statue dei santi padovani Antonio, Giustina, Prosdocimo, Daniele e dei due padri della chiesa
Pietro e Paolo di dimensioni leggermente maggiori; al centro è posto il tabernacolo e sotto un bel paliotto ricamato raffigurante l’Ultima Cena.
Un accenno meritano: Maria, Constantina e Pia - le tre campane risalenti
al 1929 - gli arredi, i confessionali, un fonte battesimale, un’acquasantiera
a fuso e un tabernacolo ad intarsio marmoreo. Inaugurata nell’ottobre 1996
è l’opera di controfacciata realizzata dal pittore padovano Leo Borghi.
La visita può continuare in sagrestia dove sono conservate in un tronetto
ligneo (l’armadio che costituiva la collocazione originaria della tela della
Madonna del Carmine), alcune supellettili sempre del XVII-XVIII sec. (reliquiari, calici, un ostensorio, una pisside...); infine in refettorio, lungo le
pareti, è collocata la Via Crucis di scuola tedesca di fine Ottocento.
Indirizzo: Via Caselle, 140
Proprietario/Custode: Parroco - Via Caselle, 140 - tel. 049.9702443
Interno visitabile: sì
Orari: lunedì, 8.00-12.00 e 15.00-18.00 feriali; 7.00-12.00 e 15.30-18.00 festivi
Indirizzo: Via Piovega
Proprietario/Custode: Donolato Riccardo
Interno visitabile: no
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37 Chiesa di Santa Maria Dolente
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Secondo i documenti la chiesa fu voluta nel 1495 dai fedeli della zona
che difficilmente potevano raggiungere, soprattutto col maltempo, la parrocchiale di Piove; fu concessa e affidata ai Serviti di un convento della zona
che la dedicarono alla Madonna Addolorata ma i curati continuarono ad essere scelti dalla Collegiata fino a quando, nel 1810, questa fu soppressa da
Napoleone.
L’aspetto attuale risale a tempi recenti: rialzata e in gran parte rifatta nel
1855, fu restaurata nel 1972.
La chiesa dal punto di vista architettonico non costituisce elemento di
grande interesse, maggiore attenzione meritano invece le opere in essa conservate. In particolare di due tele datate e firmate riferisce, già nell’Ottocento, il Moschini segnalandoci sugli altari laterali due opere entrambe di
Gian Battista Bissoni (1574/76 -1634): a destra “un Santo Vescovo sedente
sopra alto piedestallo: nel piano vi sono in un lato i SS. Lorenzo M. ed una Monaca, dall’altro S. Carlo Borromeo con un divoto appresso” l’opera è datata
1619; a sinistra, “in un lato S. Apollonia, e nell’altro una Santa con la insegna di Martire al centro S. Lucia con tre angioletti nell’alto che lor recano le
corone del martirio” l’opera è firmata e datata 1617.
La chiesa oltre che dalla tele del Bissoni, che documentano il periodo di
adesione dell’artista alla pittura veneziana di Veronese e di Palma, è arricchita da altre opere: una pala con S. Francesco di Paola, inserita in un altare settecentesco lavorato ad intarsio con specchiature marmoree. Sul
soffitto infine è l’opera del pittore piovese Giovanni Soranzo, eseguita nel
1909, che rappresenta l’esaltazione della Croce e l’assunzione della Vergine.
Attraversando la sacrestia si accede all’Oratorio della Confraternita del
Sacramento (o secondo altre testimonianze a quella che in origine era la
Chiesetta dei Servi di Maria). Si tratta di un ambiente a pianta rettangolare,
con abside circolare soprelevata, finestroni termali e lesene; è stato restaurato negli anni novanta.
Indirizzo: Piazzale Monsignor Coin
Proprietario/Custode: Parroco di Arzerello
Interno visitabile: sì
Orari: Invernale 17.30-19.00, sabato 15.00-18.00/19.00-20.00;
Estivo 18.30-19.30, sabato 15.00-18.00/20.00-21.00
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38 Santuario del Cristo
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All’interno dell’attuale
chiesa - costruita nel 1904
secondo gli stilemi del Romanico - che si affianca e
comunica con l’edificio
originario inglobandolo, è
conservato in una semplice
cornice un foglietto che riporta il racconto del ritrovamento del Cristo di
Arzerello e l’origine dell’edifico. «RELAZIONE
DI QUESTO MIRACOLO DEL CRISTO.
Mentre l’anno del Nostro
Signore 1550 l’esercito Tedesco depredò crudelmente Bovolenta, Pontelongo ed il
nostro abitato e decoroso Castello di Piove di Sacco, con altri luoghi, mandando il tutto a ferro e fuoco, non perdonando nemmeno alle cose sacre, che alle profane, come scrivono più autori, e
particolarmente Paolo Paruta Procuratore di San Marco nella Istoria Veneziana
libro I. Si ha per pubblica ed inveterata tradizione che da tal motivo fu questo miracoloso Cristo per mano de’ devoti Cristiani sotterrato in questo Brolo, acciò da questi empi soldati non fosse maltrattato. Partito poi detto esercito da quelle parti ed
arandosi esso Brolo quando la punta del Vomere toccò la Santa Imagine(sic), non più
potero o volsero gl’animali camminar avanti per quanta violenza gli fece l’aratore.
Ondechè per indagare la cagione di ciò, fu cavata in esso luogo la terra e fu ritrovato il sopraddetto Cristo Miracoloso, al quale fu fabbricata la presente Chiesiola, ed in essa riverentemente posto ha fatto e giornalmente va facendo grazie e
miracoli a suoi divoti, quali umilmente e di cuore se gli raccomandano.
FU RINNOVATA LA PRESENTE MEMORIA NEL MDCCL FATTO
IL GUARDIANATO DEL SIG. GIOVANNI FONTANOTTO.»
La chiesa è costituita da due navate più l’antico oratorio e si configura come
una costruzione asimmetrica, ed è questa navata destra che costituisce la fonte
d’interesse. Percorrendola fino in fondo ci si trova di fronte ad una struttura lignea architravata con tre varchi che ci conduce all’ambiente più suggestivo: l’abside costolonata e la campata con volta a vela completamente decorate ad
affresco. Sopra il passaggio centrale è situato un cartiglio dipinto su legno dove
è riportato il nome dell’autore della decorazione: «Michael Ritter germanicus
fecit anno MDCLXXVI» (1676). Sopra un altare estremamente semplice è
posta una teca vetrata - secondo alcuni storici si tratterebbe della stessa cassa di
quercia in cui fu rinvenuta la scultura - con struttura in legno dipinto in rosso
e oro, coronata da un Padreterno policromo che doveva essere fiancheggiato da
due angeli reggicandela oggi poggiati a terra davanti all’altare. All’interno di
questa struttura è conservato appunto il «Cristo miracoloso» (sullo sfondo una
decorazione a stelle e sulla cornice i simboli della passione). Si tratta di una scultura lignea policroma, attribuita da alcuni critici a Donatello, ma più probabilmente opera di qualche seguace. La decorazione pittorica, in gran parte rifatta
narra, nello spazio dell’abside, Storie della Passione della vita di Cristo e della
Vergine; nella campata che precede, la decorazione è arricchita da cartocci, nelle
quattro vele sono raffigurati gli Evangelisti e nelle lunette sottostanti quattro
Santi identificati da cartigli: S. Agostino, S. Ambrogio, S. Gregorio (il quarto
non è leggibile). Anche la lunetta che decora quella che forse in origine era la
controfacciata è affrescata con un soggetto non identificabile. Le due campate
che precedono il varco ligneo sono più basse, sempre con copertura a crociera
e affrescate anche qui con storie della vita di Cristo. A causa degli estesi rifacimenti non è facile dire se si tratti dello stesso autore della restante decorazione,
anche se ad un’analisi sommaria emergono numerose differenze stilistiche.
All’esterno si può ammirare, dell’antico oratorio, solo il lato verso la strada.
Qui è chiaramente leggibile che il blocco originario si spinge, dall’abside, non
oltre la terza campata. L’abside mostra forme aggraziate nella decorazione ad
arcatelle cieche poggianti alternativamente su piedritti e lesene. Sempre su questo lato è visibile lo stemma della scuola di S. Rocco.
Due sono le versioni sulle vicende di questo oratorio. L’edificio potrebbe essere stato costruito per volontà di Pietro Dotto de’ Dauli su terreni di sua proprietà per custodire l’immagine Sacra del Cristo. Acquistato nel 1624, insieme
ad altri beni dalla famiglia veneziana dei Mazzocco, fu fatto affrescare dal figlio
di Giovanni Mazzocco, Tommaso. Nella seconda ipotesi, dopo essere stata voluta da Pietro Dotto, potrebbe, nel 1571, essere passata alla Scuola di San Rocco
di Venezia, di cui ancora oggi, come è già stato detto, si può osservare lo stemma
in pietra sulla parete laterale esterna; a sostegno di questa seconda teoria esiste
anche un disegno delle proprietà di questa scuola che dovrebbe rappresentare
l’edificio in questione.
Il recente restauro conservativo dell’intero santuario ha permesso di salvare
dal degrado un altro luogo particolarmente caro ai fedeli. All’esterno è stato
ampliato il sagrato con una donazione di circa cinquecento metri quadrati di
terra dove è stata sistemata la pavimentazione e rifatte le recinzioni.
Indirizzo: Via Cristo
Proprietario/Custode: Ernesto Baldina - Via Cristo, 70 - tel. 049.9702807
Interno visitabile: sì, rivolgersi al custode
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39 Chiesa San Tommaso Apostolo
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L’attuale edificio, a tre navate, è opera recente: fu costruito nel sito della
precedente antica arcipretale dopo la demolizione di questa, avvenuta nel
1937. La nuova chiesa fu inaugurata nel 1938 e, alcuni anni più tardi, nel
1955, si dovette procedere al suo restauro a causa dei danni provocati,
l’anno prima, da una folgore che distrusse anche il campanile risalente al
1923. La storia di questa chiesa ha però origini ben più remote se è vero che
nell’863 l’imperatore Ludovico II ne confermò il possesso al monastero di
S. Zenone di Verona, inoltre già nel 1141 è documentata come pieve in
quanto governata da un arciprete. Dalle descrizioni della visita pastorale
del Barozzi (1489) sappiamo che la chiesa era a tre navate terminanti ad
oriente con tre cappelle. Fu in seguito rifatta nel 1571 e restaurata nel 1753,
1879 e nel 1884.
Nella visita pastorale di Giuseppe Callegari (1884-1905) risulta provvista
di sette altari e arricchita di una pala di S. Tommaso attribuita al Mantegna.
La tela si trova tuttora conservata nel nuovo edificio ed è posta a sinistra dell’altar maggiore, ma la critica non è unanimemente concorde nel riconoscervi la mano del pittore padovano. Oltre a questa tela nella chiesa sono
oggi conservate altre opere degne di attenzione.
Sul presbiterio, a destra, è collocata una Deposizione dipinta su tavola, davanti all’altare inoltre è posto un Crocifisso databile tra il XV e il XVI secolo al quale funge da base un cippo gromatico romano recentemente
rinvenuto nel territorio di Corte. Altre due opere degne di nota si trovano
sulla parete di controfacciata: a sinistra la Discesa dello Spirito Santo, in
parte alterato dalle ridipinture, è attribuibile ad un’artista della cerchia del
Pordenone, a destra L’Annunciazione è un’opera veneta del XVI secolo.
Indirizzo: Via Provinciale – Corte
Proprietario/Custode: Parroco di Corte - Casa Canonica tel. 049.5840049
oppure asilo parrocchiale tel. 049.5841361
Interno visitabile: sì
Orari: sabato e domenica sempre aperta; gli altri giorni su richiesta
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40 Chiesetta della Madonna di Righe
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In un ambiente suggestivo e silenzioso, circondata da campi, incontriamo la piccola chiesa campestre
della Madonna di Righe.
L’esterno, a causa dell’intonaco
quasi completamente caduto lascia vedere il tessuto murario in mattoni, tra
i quali si inseriscono in qualche punto
dei grossi conci in pietra d’Istria che
sembrerebbero materiale di risulta riutilizzato nella costruzione dell’edificio
(un paio di queste grosse pietre giacciono abbandonate anche sul terreno
in fianco alla chiesetta).
Dall’osservazione della muratura
inoltre è possibile supporre che l’edificio sia stato modificato nel tempo.
Alla chiesa vera e propria si appoggiano da una parte la sacrestia, costruzione alquanto umile e probabilmente
recente (non è ancora presente nel catasto austriaco) e dall’altra una abitazione costruita sul sito - forse
utilizzando in parte i vecchi materiali
- sul quale vi era la sede della comunità ecclesiastica. Infatti secondo
quanto riporta don Francesco Sartori
la chiesa “in antico appartenne alle
Monache di Saonara, e poscia a quelle
di S. Anna di Padova”; pertanto si può
supporre che l’edificio sacro fosse affiancato da altri ambienti destinati ad
accogliere la comunità delle religiose.
La facciata presenta un portale semplice e squadrato in pietra, sovrastato
da uno pseudo rosone. Di foggia singolare è il piccolo campanile triangolare rifinito con merlatura, probabilmente opera del tardo Ottocento.
L’interno è a pianta rettangolare a navata unica con copertura a capanna.
Un arcone semplicemente modanato conduce dalla navata al presbiterio
dove è situato l’altar maggiore in marmo con paliotto lavorato ad intarsio
e coronato da un frontone spezzato curvilineo, decorato da due tondi con
teste di cherubini e da due statue di angeli. Lungo le pareti della navata, la
cui cortina muraria è interrotta sulle pareti laterali solamente da due finestre termali (delle quali una murata), corre un cornicione; un’altra fonte di
luce naturale è costituita dall’apertura circolare della facciata. Pochi altri
oggetti vanno ad arricchire l’arredo interno: due acquasantiere in pietra, un
ex voto e una statua lignea raffigurante Cristo deposto dalla croce.
L’estrema semplicità dell’edificio non suggerisce una datazione precisa.
Le notizie su questa chiesa si confondono con quelle della Cappella di S.
Maria dei Penitenti annessa al Duomo, infatti l’uso generico nei documenti
antichi del titolo S. Maria per identificare entrambe le costruzioni fa si che
non sia facile individuare a quale delle due si voglia fare riferimento. Però,
già dal 1155 la troviamo menzionata come “S. Marie de Riche” e più tardi
nel Codice Statutario Carrarese come “Sancte Marie de Rige”, nel 1571
inoltre, stando a quanto riportano storici illustri quali il Sartori ed il Gloria, la chiesa doveva essere decorata da affreschi. Dal 1618 , vista la distanza
dall’arcipretale fu affidata ad un curato affinchè vi amministrasse i sacramenti. I documenti successivi risalgono al 1835 circa, data di redazione del
Catasto Austriaco, quando l’edificio segnalato tra quelli esclusi dall’estimo,
viene indicato alla lettera “G” come “Oratorio pubblico sotto il titolo di S.
Maria Assunta”, senza che ne venga indicata la proprietà. Nel 1893, in una
dichiarazione conservata presso l’archivio parrocchiale di Corte, il Vescovo
di Padova G. Callegaro informa che “l’oratorio Pubblico detto di S.a M.a
di Reighe in Parrocchia di Corte” è proprietà di Santini Attilio - quindi è
proprietà privata di un laico - e che si trova in buone condizioni; ma aggiunge “però mal provveduto dei sacri paramenti; quindi facciamo voti perchè la pietà dei fedeli supplisca una tal deficienza a maggior decoro del
Culto.”
Attualmente l’edificio dipende dalla Parrocchiale di Corte a cui fu donato nel 1964 da Carlotta Friso. L’ultimo intervento di restauro risale al
1978 ma riguardò solo il tetto. La chiesetta di Santa Maria di Righe è oggetto di particolare devozione: ancora oggi ogni anno il 24 settembre si ricorda con una processione il “voto di Righe” per ringraziare la Vergine che
nel 1839 liberò gli abitanti di queste zone dall’epidemia di colera che imperversava dal 1836.
Indirizzo: Via Chiesetta
Proprietario/Custode: Parroco di Corte - Casa Canonica tel. 049.5840049
oppure asilo parrocchiale tel. 049.5841361
Interno visitabile: sì
Orari: sempre aperta
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41 Chiesa di San Paterniano Vescovo
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Il toponimo di Tognana, anche se in forme diverse (Tothegnana, Todegnana ecc.) è presente già in documenti del 1109; nel 1221, in un documento ecclesiastico, viene nominata per la prima volta la sua chiesa.
L’originaria chiesa di San Paterniano ci viene tramandata dalle visite vescovili: il Barozzi (1489) ci descrive un piccolo edificio quadrangolare con
abside nella quale è collocato l’unico altare; poco meno di un secolo più
tardi il vescovo Ormaneto ce la descrive arricchita di altri due altari; le visite successive non rivelano altre trasformazioni fino all’inondazione del
1882, in seguito alla quale si resero indispensabili i restauri che da lungo
tempo erano stati auspicati.
Ma di quell’antica chiesa oggi non rimane più nulla; l’attuale edificio,
sebbene ricostruito in stile romanico-lombardo, risale in gran parte al 1931:
si riedificò dapprima il coro (1914), ormai cadente, allungando in parte la
chiesa; nel 1931 si rifece completamente il resto della chiesa per conferire
maggiore armonia al tutto e nel 1939 si intervenne ancora sul coro, sempre nel tentativo di infondere compattezza all’opera; l’ultimo intervento fu
il rifacimento del campanile - precedentemente inglobato nella facciata
(come testimonia una vecchia foto conservata dall’attuale parroco)- che
venne spostato sul lato sinistro.
La costruzione odierna è nel complesso piacevole, con un accogliente
portico che precede l’ingresso ed un raccolto interno a tre navate. Vi sono
conservate due piccole statue che alcuni ricordano ai lati dell’altar maggiore
prima del 1970, data in cui fu consacrato quello attuale. Si tratta di due piccole opere in legno intagliato raffiguranti due Santi cari ai fedeli del padovano: San Prosdocimo e Santa Giustina. Attualmente sono coperte da una
ridipintura che le vuol far sembrare di pietra, ma che le appesantisce mascherando in parte la grazia e la cura dei particolari.
Al Bissoni, documentato a Piove dalla presenza di altre opere, sarebbe da
attribuirsi, secondo alcuni studiosi, la tela dedicata a San Paterniano, oggetto di un recente intervento di restauro, che decora il presbiterio.
Anche la casa canonica, già rifatta nel 1753, fu nel 1935 totalmente ricostruita.
Indirizzo: Via San Paterniano
Proprietario/Custode: Parroco - Casa Canonica in fianco alla Chiesa - tel. 049.9714137
Interno visitabile: sì
Orari: rivolgersi al parroco
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42 Barchessa Venier-Polani
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Circondata da una suggestiva cerchia di mura, che si consiglia di ammirare dall’interno per cogliere al meglio la continuità e la sensazione di hortus conclusus, in fianco alla parrocchiale di Arzerello (attraversando la strada),
si erge la barchessa detta Polani. L’accesso principale alla proprietà, costituito
da due pilastri lavorati a finto bugnato che sono già riconoscibili in un disegno settecentesco, è ricavato nel lungo muro che recinta il terreno di pertinenza, un tempo coltivato a frutteto e vigneto (catasto austriaco) e prima
anche a orto (nel Settecento è indicato come brolo).
La barchessa si erge al centro dell’area, e grazie al restauro, che ha tra l’altro ripristinato la copertura crollata in anni recenti, possiamo ammirarla in
tutta la sua eleganza.
La scansione ritmica degli archi bugnati, a cui corrispondono le finestrelle del primo e del secondo piano, e la ripresa dello stesso motivo a chiusura laterale della facciata, fanno pensare ad un’origine tardo cinquecentesca
della barchessa, datazione che trova facilmente un avvallo storico poiché il
XVI secolo fu un momento di grande importanza per lo sviluppo dell’attività agricola per tutti i territori che in qualche modo gravitavano intorno a
Venezia.
L’interno è stato completamente rifatto per adibirlo ad abitazione ma,
sebbene ricostruito a seguito del crollo, il vano del sottotetto, che in origine
accoglieva il granaio, ha conservato il carattere particolarmente suggestivo
per la sua monumentalità che gli deriva dalla struttura a salone unico coperto da un susseguirsi di capriate ad unica campata.
Secondo quanto riportano alcuni studiosi la barchessa fu edificata su un
terreno acquistato da Girolamo d’Avanzo per fondarvi un monastero dei
frati Serviti che reggevano la parrocchia.
In seguito la proprietà passa ad un laico, un disegno del 1735 ci mostra
il complesso a cui apparteneva la barchessa “Brolo con corte e fabbriche del
Nobil Homo Polani”; qui si possono chiaramente individuare, oltre alla
barchessa e alla cinta muraria, anche un edificio residenziale. È interessante
notare la somiglianza di quest’ultimo con altri due palazzi di questa località che farebbe supporre una datazione pressocchè contemporanea.
Ma nell’ Ottocento la proprietà ritorna nelle mani di una congregazione
religiosa: nel catasto austriaco la troviamo indicata come “casa” proprietà di
“Luogo pio detto i Catecumeni in Venezia”.
Chiunque siano stati i proprietari, religiosi o laici, l’edificio giunto fino
ai nostri giorni rientra a pieno titolo in una serie di costruzioni, di uso prevalentemente agricolo, sparse nella Saccisica, affiancate da abitazioni rurali
o ville, oppure a completamento di strutture conventuali quali il complesso
benedettino di Correzzola o il monastero di S. Vito e Modesto di Piove di
Sacco.
Indirizzo: Via Borgo Botteghe, 1
Proprietario/Custode: Teorema s.r.l. - tel. 349.1126877 - E-mail: [email protected]
www.barchessapolani.com
Interno visitabile: sì, adibita a sala per ricevimenti
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43 Casa Molin-Negrisolo
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La cartografia storica riporta il sito a cui è collocato l’edificio con il
nome di “Piazza dell’Arzerelo” o, più curioso, di “Arzeretto detta la
Tomba”.
Il complesso è costituito dal palazzo che si affaccia sulla strada e, sul
retro, da un importante annesso agricolo con aia lastricata in tavelle di
cotto; la proprietà è cinta da un muro - che si collega all’edificio di
abitazione - sul quale si apre l’accesso al brolo, costituito da due pilastri in cotto lavorato a bugnato - molto simili a quelli della barchessa
Polani - impreziositi da due statue in pietra d’Istria.
Alcuni particolari, tra cui l’assimmetria del prospetto principale,
fanno pensare che la residenza abbia subito nel tempo qualche manomissione; in effetti molto più grande appare l’edificio in un disegno
appartenente al fondo di S. Rocco e da cui risulta che anche questa
proprietà rientrava nell’esteso “dominio”dei Polani.
Le “dichiarazioni dei redditi” di questa famiglia confermano la proprietà e suggeriscono una possibile datazione in armonia con la tipologia lineare a pianta tripartita e prospetti semplici scanditi solo dai
marcapiani. In data 1582, per la prima volta un membro della famiglia
Polani dichiara una casa per abitazione con broletti e campi, ne consegue che l’edificio debba risalire a poco prima di quella data.
Notizie sulla funzione del complesso emergono dal catasto austriaco
dove il manufatto viene definito “casa colonica”; da questa stessa fonte
veniamo anche a sapere che la proprietà segue le stesse vicende della
barchessa Polani e, come quest’ultima, diviene proprietà del “luogo pio
detto i Catecumeni in Venezia”.
Indirizzo: Via Pasubio, 1
Proprietario/Custode: Negrisolo Gino, Rita, Maria
Interno visitabile: no
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44 Villa Polani-Saro
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Molto interessante è questo edificio il cui muro di cinta confina con il
terreno che circonda il Santuario del Cristo Miracoloso di Arzerello e da
quello di un altro oratorio, oggi distrutto, intitolato alla “Natività di Maria
Vergine”.
Uno dei prospetti laterali è contraddistinto dall’emblema che si può osservare anche all’esterno della costruzione sacra: lo stemma della Scuola di S.
Rocco; ed infatti l’appartenenza a questa scuola, nel XVIII secolo, è avvallata
da un disegno conservato presso l’archivio di Stato di Padova.
La costruzione è giunta a noi modificata da vicende diverse e passaggi
di mano: in origine l’edificio residenziale e gli annessi rustici appartenevano ad un unico proprietario - nel Settecento alla Scuola suddetta e nell’Ottocento ad Hanau Elia - attualmente la barchessa è stata trasformata
in residenza, mentre il blocco principale (sulla strada) è attualmente inutilizzato.
Anche questo complesso ha una forte connotazione agricola, ma, a differenza di casa Negrisolo, la residenza ha conservato alcuni caratteri a ricordo della originaria signorilità: un singolare ed elegante camino, sulla
facciata principale e una piccola esedra inglobata nel muro di cinta.
La struttura è quella tipica, ormai incontrata più volte: pianta tripartita
e facciata scandita da marcapiani; anche per questo edificio la data probabile di costruzione è il XVI secolo.
Indirizzo: Via del Cristo, 65
Proprietario/Custode: Pietro Favarin
Interno visitabile: no
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45 Casone Rosso
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Il casone “rosso” così detto dal colore dell’intonaco esterno, è uno dei
rari esempi di architettura rurale di questa specifica tipologia ancora conservati (nel territorio della Saccisica attorno al 1960 se ne contavano circa
quattrocento).
Il casone fu costruito agli inizi del Novecento e vi abitava in locazione la
famiglia Bertelle fino ad una ventina di anni fa quando l’ultima esponente,
la signora Natalina Dolfin vedova Bertelle, si spense nel suo letto alla veneranda età di novanta anni. La famiglia Bertelle prestava servizio di manovalanza ad una famiglia vicina di massariotti; viveva del pescato del Fiumicello
e di quei pochi animali da aia e dei prodotti dell’orto e attingeva l’acqua direttamente dal vicino rivo (il pozzo fu costruito solo negli anni ’50).
L’edificio ha la pianta quasi quadrata: la muratura perimetrale ed i divisori interni sono costituiti da mattoni cotti al sole e ricoperti da intonaco
bianco per l’interno e rosso per l’esterno. Il tetto è di forma piramidale
strutturato in una intelaiatura di travi in legno. La parte esterna è ricoperta
di canna palustre legata all’insieme. La sommità del tetto è a domo nella
quale è disposta una fila di tegole sovrastate da una ulteriore fila trasversale
di coppi. Vi è inoltre una specie di abbaino cui si accede esternamente con
una scala a pioli, che serve da pertugio per collocare nel sottotetto il fieno.
Le finestre del casone sono molto piccole e chiuse da uno sportello in
legno. C’è una porta di ingresso principale leggermente elevata rispetto al
terreno e dà accesso all’interno. Il pavimento è di mattonelle di granito ma
in origine era in terra battuta e lo si può ancora vedere in una camera nella
quale è stata volutamente lasciata la pavimentazione originaria.
Gli spazi sono angusti ed essenziali: in senso antiorario entrando dalla
facciata posta a sud troviamo un piccolo ingresso, a destra una piccola stalla,
dietro una camera, a sinistra un ripostiglio ed infine la cucina. Il sottotetto
è utilizzato come fienile. Questa è la struttura originaria: con l’ampliarsi della
famiglia arrivata fino ad otto componenti sono stati aggiunti alcuni anni fa
una stanza da letto ed i servizi igienici lungo il lato est dell’abitazione. Il casone è circondato da un grande appezzamento di terreno dove ci sono degli
attrezzi di vita agreste e piccoli ripari come pollai per gli animali dell’aia.
Il casone purtroppo nella primavera del 1993 subisce un incendio così
gravoso che ben poco rimane della costruzione per non parlare della mobilia interna che viene interamente bruciata. Il testimone della nostra realtà
povera e contadina, radice e memoria della nostra cultura e delle nostre
connotazioni storiche, è andato perso “bruciando” con esso nel rogo anche
il nostro senso di appartenenza culturale alla realtà locale, alla quotidianità
dei luoghi dove intessiamo le nostre relazioni umane e sociali. In una società
in continua evoluzione, dove spesso si sente parlare di disagio sociale conoscere la propria matrice identitaria riesce a dare un senso al nostro essere
rispetto alla collettività. Ecco il perché dell’impegno e dei fondi della gente
locale, del Comune e della Provincia: la ricostruzione del casone secondo
le perimetrie e prospetti originali significa riallacciare i ponti con il proprio
passato, un monito per un insegnamento verso l’umiltà e per conoscere ciò
che eravamo. Ogni stanza è stata ambientata secondo l’uso originario: in cucina ritroviamo gli strumenti per fare la polenta come il paiolo per esempio e così via in ogni stanza; oggetti donati spesso dalla popolazione locale
che ha sentito il ”dovere” quasi di passare il testimone alle generazioni che
non hanno potuto conoscere la realtà agreste. Il casone, di proprietà comunale, è ora un Museo dell’Agricoltura ed è stato dato in gestione alla Associazione di Solidarietà Anziani della Saccisica “M. Cappellari” che lo
custodisce dal 2002 quando è stato inaugurato in seguito agli ingenti lavori
di restauro. Recentemente il Comune ha acquistato un terreno confinate al
casone destinandolo ad orto didattico per far conoscere ed educare le scolaresche alla vita agreste, alle piante e ai prodotti della terra.
I casoni sono il ponte che collega il passato al futuro, l’àncora dei valori
ereditati dal passato. I casoni sono la nostra memoria collettiva al pari di un
monumento di rango più elevato, e come tali, vanno annoverati fra le importanti tracce della nostra esistenza. Tutelarli e restituirli alla generazioni
future è la nostra sfida quotidiana.
Un invito per un pomeriggio alla riscoperta del nostro passato.
Indirizzo: Via Fiumicello, 44 – Corte
Proprietario/Custode: Ass. di Solidarietà Anziani della Saccisica “M. Cappellari”. Responsabile G.Battista Fasolato cell. 340.5519323 - tel. 049.9702579 - Cortile San Martino, 9
e-mail: [email protected]
Interno visitabile: sì, su appuntamento (Costo ingresso: 1 Euro caduno)
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46 Casone di Via Ramei
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Il casone, costruito dalla
famiglia Zecchin tra la fine
dell’Ottocento ed inizio del
Novecento (data di costruzione non documentata),
venne abitato continuativamente fino al 1979. Viste le
precarie condizioni dello stabile, fu acquistato dall’Amministrazione Comunale per
il restauro nel corso degli anni
‘80, riuscendo così a recuperare per intero un monumento singolare e davvero
rappresentativo per la storia
della civiltà rurale della Saccisica. Tutelare e valorizzare
con politiche attente il nostro patrimonio culturale, nostra matrice, che ci è
stato consegnato dal passato ma che spetta a noi proiettare verso il futuro, è
nostro preciso dovere, in quanto cittadini del “locale” poichè membri di una
comunità ma anche del “globale”come membri di una realtà mondiale.
Gli interni del casone, (cucina, stalla, officina, camera da letto, stanza per i
lavori di telaio e il fienile e cantina) sono stati successivamente arredati con mobili e oggetti originali donati dalla popolazione locale ed in parte acquistati. Il
casone è adibito a Museo della cultura popolare e della civiltà contadina ed è costituito da due edifici: il principale è l’antica abitazione, a due piani. Fulcro dell’abitazione è la cucina, con il focolare “la cavarzerana” che spesso era l’unica
parte del casone in muratura. Questo locale è stato il primo nucleo abitativo
della famiglia assieme al piccolo ingresso con una camera ed il sottotetto adibito
a fienile-granaio cui si accedeva da un pertugio esterno tramite una scala a pioli
(non propriamente granaio visto che il prodotto della campagna veniva venduto prima della sua raccolta per esigenze della famiglia). In una seconda fase
prima della Seconda Guerra Mondiale è stato aggiunto un altro corpo affiancato al nucleo iniziale poiché la famiglia era aumentata: una camera da letto affiancata all’ingresso e nel retro un pollaio-stalla ed un’altra piccola stanza dove
si teneva il “filò”. Nella terza fase attorno alla fine della Seconda Guerra Mondiale fu aggiunta al pian terreno una ulteriore stanza con delle scale interne che
portavano direttamente al sottotetto il quale fu pure questo ampliato. In questo casone di proprietà abitarono fino ad un massimo di dodici persone, si viveva di caccia e pesca (zona molto ricca di selvaggina poiché vicina alle valli) e
degli animali domestici e dei loro prodotti; si coltivava il terreno attorno alla costruzione con vari foraggi e vi era un orto.
La copertura, realizzata in canna palustre, è a cuspide svettante nella cui sommità è disposta una fila di tegole sovrastate da una ulteriore fila trasversale di
coppi e la pianta è pressoché rettangolare. Le murature esterne e i divisori interni erano in mattoni cotti al sole ad una testa ricoperti da intonaco bianco
prima della rovina e quindi fortemente degradabili. Nel momento del restauro
avvenuto a metà degli anni ‘90, per motivi di fruibilità e sicurezza, le murature
sono state rafforzate e pressoché ricostruite secondo le planimetrie originali lasciando, all’interno della cucina, una “finestra” che mostra i vecchi mattoni di
terra cotti al sole. Unica eccezione il camino che non è stato ristrutturato ed è
un raro esempio del suo genere per il tipo di copertura.
Il secondo edificio un tempo ospitava le cantine e ricovero attrezzi ed è stato
edificato secondo i canoni di costruzione dei casoni nella stessa epoca del nucleo originale del casone. Anche la copertura di questa struttura è data da una
intelaiatura di travi su cui poggia la canna palustre. Il piccolo sottotetto veniva
utilizzato come fienile.
Attualmente è gestito dall’associazione “Gruppo del Cason” di Piove di Sacco,
nata nell’autunno del 1996, formata da una decina di volontari, che ha portato
avanti il lavoro già iniziato dall’Assessorato al Turismo e ai Beni Culturali raccogliendo e catalogando gli oggetti, i documenti e le testimonianze orali della cultura contadina, ancora presenti nel territorio della Saccisica; ha allestito le singole
stanze del Casone, gestisce dal giugno del 1997 questo spazio museale, promuovendo incontri e organizzando visite guidate per i gruppi o per le scolaresche interessate. Il casone è circondato da un parco attrezzato di dieci mila metri
quadrati, disponibile per feste e pic-nic di gruppo, ma solo su prenotazione.
La ricostruzione del casone è finalizzata alla conservazione della memoria
della civiltà contadina per farla riconoscere a chi l’ha vissuta e conoscere alle generazioni future e alla trasmissione ai visitatori dei valori della vita rurale dentro ai casoni, spiegandone i vari momenti e l’uso delle attrezzature.
Ricordarci chi eravamo non significa vivere nel passato, ma prendere coscienza della nostra realtà esistenziale e della nostra posizione nella storia, anche
quando non è la storia ufficiale (quella con la S maiuscola, quella che finisce nei
libri di testo), ma è la storia di tanti uomini e donne che nel lavoro quotidiano,
nella fatica per trovare il sostentamento, hanno trovato l’esplicitazione del proprio essere e la loro soddisfazione.
È una visita consigliata anche per le famiglie che vogliano trascorrere una giornata all’aria aperta, in mezzo a tanto verde respirando l’aria dei tempi che furono.
Indirizzo: Via Ramei, 16
Proprietario/Custode: Associazione “Gruppo del Cason”; Responsabile Sig. Stefano Pagin tel.
049.5842394 - cell. 328.2146168
Interno visitabile: sì, dal 1 aprile al 30 settembre, oppure su prenotazione (Costo: accesso
e sosta al parco sono gratuiti. Ingresso nel casone con guida obbligatoria: intero 1,50 euro,
1,00 euro ridotto e per gruppi più di 10 persone)
Orari: 10.00-12.00, 15.30-18.30
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47 Palazzo Jacur
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In località Beverare di Corte, oltre il fiume Brenta Nova, in direzione
Codevigo, si alza dalla campagna un grande edificio in mattoni, assolutamente “fuori scala” e unico nel suo genere: un edificio alto quattro piani che
misura ottantadue metri di lunghezza per 1200 metri quadri di superficie
coperta e un tetto a padiglione ricoperto di coppi: palazzo Jacur. Il termine
“palazzo” è improprio, poiché si tratta di un edificio rurale, ma con questo
appellativo è sempre stato chiamato dalla popolazione.
La proprietà su cui è costruito l’edificio è stata acquistata da Moisè Vita
Jacur fu Sadia nel 1862 dalla Fabbriceria della Chiesa di San Francesco di
Padova e dai figli di Pietro Brambilla; mentre nel 1884 la proprietà passa
in esclusiva a Leone, Emanuele e Michelangelo Jacur. I tre fratelli edificano
il palazzo (tra il 1884 e il 1887), forse progettato da Leone, e l’immensa proprietà raggiunge i 270 ettari di terreno, pari a circa 700 campi padovani. La
famiglia Jacur è originaria di Trieste, trasferitasi a San Vito al Tagliamento
e poi a Cividale del Friuli, arrivò infine a Padova nel XVII secolo. Nel secolo successivo commerciava seta e lana. Leone Romanin Jacur (18471928) è senz’altro la persona più famosa della famiglia, almeno nel territorio
della Saccisica, reso celebre, tra gli altri, da Pietro Galletto nel suo romanzo
storico “La Ruota”. Laureato in matematica, Leone è stato deputato di Piove
di Sacco per 11 legislature, sottosegretario ai lavori pubblici e Senatore del
Regno. Si interessò di questioni agrarie, bonificando notevoli porzioni di
terreno nel piovese, e procurando lavoro a molte famiglie, tanto che venne
chiamato dai contadini “il Messia”.
Come tutti gli edifici della tradizione rurale padana, il Palazzo si estende
nella sua lunghezza maggiore in direzione est-ovest, l’edificio è quindi orientato con la facciata principale verso sud.
L’edificio, a capo del grande latifondo, ha avuto la funzione di deposito di granaglie nei vari piani (ora vuoti) dell’edificio, collegati verticalmente da pertugi
quadrati attraverso i quali si poteva scaricare il materiale senza utilizzare le scale.
L’edificio, nel tempo, è stato utilizzato spesso in modo improprio: durante le
guerre i suoi enormi spazi hanno accolto i militari, e poi è stato utilizzato anche
come essiccatoio di tabacco. Attualmente l’edificio non assolve a nessuna funzione, se non quella della memoria di una civiltà contadina ormai passata.
Il fabbricato principale è composto da tre parti: il corpo centrale era destinato al deposito delle granaglie e ai prodotti raccolti dalla campagna, sui
fianchi ci sono due residenze: la parte occidentale adibita a casa del fattore
conduttore e amministratore dell’azienda, la parte orientale, senza alcun
particolare ornamento, adibita alla residenza saltuaria dei proprietari, in visita all’azienda. Nel tempo sono state aggiunte altre costruzioni rurali accessorie e di minore importanza.
Il prospetto, nonostante le dimensioni gigantesche, è stato ingentilito
inserendo nella muratura piena del fronte un forte elemento architettonico
di alleggerimento e di grande caratterizzazione: il portico del piano terra. Al
centro dell’edificio, l’alto porticato era utilizzato per movimentare i mezzi
agricoli che accedevano all’edificio tramite alcuni portali ad arco (ora murati) che si aprivano sulla facciata nord, verso la campagna. Le arcate del
fronte meridionale sono sapientemente articolate: sono sette nella fascia
centrale, di passo minore e con sesto più accentuato, scandite da paraste
collegate al marcapiano superiore e caratterizzate da capitelli in pietra di
ottima fattura.
Nelle due fasce laterali si trovano quattro arcate più ampie ma prive di
decorazioni. Le abitazioni si sviluppano anch’esse su quattro livelli tramite
una scala in pietra di pregevole fattura, dai cui pianerottoli si può accedere
agli spazi interni dei magazzini.
Mentre la campagna intorno si sta modificando, con la nascita di numerose villette a fianco delle poche case rurali, il contesto ambientale del palazzo mantiene quasi intatti i suoi connotati, caratterizzato da un enorme
spazio vuoto, comprendente un’aia per l’essiccazione dei cereali.
Indirizzo: Via Beverare, 16-18
Proprietario/Custode: Francesco Giacometti
Interno visitabile: sì, su appuntamento
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Chiesa di Santa Maria Dolente
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Ottobre 2008
Tipografia Rigoni
Piove di Sacco