CESTI ANTONIO
(Arezzo, 5 VIII 1623 - Firenze 14 X 1669)
Battezzato con il nome di Pietro, assunse quello di Antonio
entrando nell'ordine francescano e fu poi erroneamente noto con il nome
di Marc'Antonio. La tradizione che indica come suoi maestri A. M.
Abbattini e Carissimi non trova nessuna conferma.
È noto invece che nel 1633 e dal 1635 al 1637 entrò nell'ordine dei
francescani a Volterra e, dopo un breve noviziato a Firenze, venne
trasferito ad Arezzo.
Nominato maestro di cappella del seminario di Volterra il 27 II 1645, fra
il 1647 ed il 1649 ricevette gli ordini sacerdatali. Il che non gli impedì di
prendere parte come tenore alla rappresentazione della sua prima opera
L'Orontea, eseguita a Venezia probabilmente nel gennaio 1650 e ripresa
a Lucca nell'ottobre dello stesso anno (è sicura la sua presenza fra gli
interpreti a Lucca).
La stimolante ripresa lucchese dell'opera incitò il poeta locale F. Sbarra a
scrivere per Cesti il libretto Alessandro vincitor di se stesso, opera che
con musica appunto di Cesti (e non di Cavalli, come in seguito si ritenne)
venne rappresentata a Venezia nel gennaio del 1651.
Queste esibizioni, tuttavia, alle quali si accompagnava una condotta
privata non proprio irreprensibile, gli costarono la riprovazione dei suoi
superiori ecclesiastici.
Ad un intrigo con certa Anna Maria di Firenze (probabilmente la
cantante Anna Maria Sardelli, che aveva pubblicato a Firenze il libretto
di Alessandro vincitor di se stesso, in occasione della rappresentazione
fiorentina del gennaio 1653) accennano alcune lettere di Salvator Rosa,
con il quale Cesti aveva stretto amicizia ed al quale chiese invano di
versificare un argomento drammatico, senza dubbio Il Cesare amante,
che, su traccia di M. Bisaccioni, fu poi scritto da D. Varotari e
rappresentato a Venezia l'autunno del 1651.
Era l'epoca in cui, a giudizio di Rosa, Cavalli invidiava a Cesti i suoi
successi. Verso la fine del 1652 il compositore entrò al servizio
dell'arciduca Ferdinando Carlo di Innsbruck e l'8 VIII 1653 ottenne
regolare permesso dal suo ordine di servire l'arciduca e di abitare per
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cinque anni nel suo palazzo.
Ad Innsbruck compose L'Argia, rappresentata il 4 XI 1655 per
festeggiare il passaggio in città e la conversione al cattolicesimo di
Cristina di Svezia. Durante questo primo periodo tirolese sappiamo di
alcuni viaggi di Cesti: a Ratisbona (1654), a Venezia (1655-1656) e a
Roma (1658). A Roma nel 1659 abbandonò il monacato per diventare
prete secolare, grazie alla protezione di Papa Alessandro VII, il quale il
21 XII 1659 lo ammise nella cappella pontificia, nonostante il parere
sfavorevole del collegio dei cantori.
Nell'autunno del 1659 era stato nominato anche cavaliere dell'ordine di
Santo Spirito.
BOZZETTO PER L’OPERA
“ IL POMO D’ORO”
Ma il servizio nella cappella papale fu breve. Nel marzo del 1661 si recò
a Firenze per la rappresentazione della Dori, scritto su commissione
dell'arciduca Ferdinando Carlo per le nozze di Cosimo de' Medici con
Margherita d'Orléans.
Nel 1662, improvvisamente, decise di ritornare con l'arciduca ad
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Innsbruck, senza chiedere il permesso papale: solo l'intervento dello
stesso imperatore Leopoldo I riuscì allora ad evitargli la scomunica e ad
ottenergli il congedo definitivo dalla cappella pontificia l'11 II 1662.
In questo stesso anno fu rappresentata a Firenze la sua Serenata
composta per il compleanno del granduca di Toscana (la cui autenticità è
indubbia) e ad Innsbruck La magnanimità di Alessandro in occasione di
una nuova visita di Cristina di Svezia.
Morto l'arciduca Ferdinando Carlo (1663), Cesti si accinse a comporre
La Semirami per le nozze dell’arciduca Sigismondo Francesco. Ma alla
morte improvvisa di quest'ultimo nel 1665, il musicista con tutta la
cappella di Innsbruck, passò al servizio della corte imperiale di Vienna
con i titoli di "Vicekapellmeister" e di "capelan d'honore und intendente
delle musiche theatrali".
Nello stesso periodo trattò con l'impresario veneziano M. Faustini per la
rappresentazione del Tito (Venezia 1666), mentre a Vienna allestì
Nettuno e Flora festeggiati. Sempre a Vienna furono poi eseguiti: Il
pomo d'oro, alla fine del 1666 o all'inizio del 1667, per le nozze
imperiali, Le disgrazie d'amore (con la Licenza musicata dallo stesso
imperatore) nel carnevale del 1667, La Semirami (9 VI 1667), La
Germania esultante (12 VII 1667), per il compleanno dell'imperatrice, di
cui Cesti musicò soltanto i brani vocali.
Nel novembre 1668 ritornò a Firenze, dove poi morì, forse per
avvelenamento; è tuttavia possibile che si trovasse ancora una volta a
Vienna nei primi mesi del 1669.
Secondo l'edizione del 1755 della Drammaturgia di L. Allacci, aveva
incominciato a musicare un Genserico, che, compiuto poi da G. D.
Partenio, venne rappresentata a Venezia nel 1669; attendeva inoltre alla
Giocasta di G. A. Moniglia, che fu poi rappresentata, pure a Venezia, nel
1676-1677 con la musica di C. Grossi.
Per quel che riguarda lo sviluppo dell'arte di Cesti, senza dubbio uno dei
più importanti compositori drammatici italiani della seconda metà del
Seicento, è significativo che la sua carriera drammatica, nonostante la
probabile formazione romana, sia iniziata a Venezia.
La prima scuola drammatica veneziana (Monteverdi, Cavalli), si
distingueva nettamente dalle manifestazioni precedenti di carattere quasi
esclusivamente celebrativo o festivo, secondo i dettami dei Fiorentini e
senza una coerenza di scuola vera e propria.
L'opera di Cesti, pur distinguendosi per l'efficacia delle scene buffe e per
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una particolare morbidezza lirica che è stata attribuita all'origine toscana
dell'autore e che si accosta al linguaggio musicale di L. Rossi, è
chiaramente sotto l'influsso veneziano, come indica, tra l'altro, anche la
predilezione per generi tipici di Monteverdi e di Cavalli, come la
ciaccona e la passacaglia.
BOZZETTO PER L’OPERA
“IL POMO D’ORO”
Tuttavia si tratta di una interpretazione personale della maniera
veneziana: innanzitutto sono favorite le esigenze musicali a scapito di
quelle drammatiche, come è evidente nel prevalere dei pezzi chiusi sui
recitativi e nella strumentazione del linguaggio musicale, cioè
nell'amalgama del materiale tematico delle voci e degli strumenti:
tendenza che si manifesta anche nelle numerose sue cantate.
Inoltre le opere della maturità, in contrasto con le prime opere veneziane,
danno al coro una sostanziale importanza e all'orchestra una notevole
autonomia. Il dramma musicale italiano si andava così trasformando
nella grande opera di corte: processo questo, che culminò nel Pomo
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d'oro, nel quale la musica si associa alla pomposa scenografia barocca di
L. Burnacini.
Tuttavia, le più belle pagine di Cesti appartengono alla grande musica
drammatica e, storicamente, egli contribuì non poco alla preparazione
dell'agile linguaggio musicale della futura opera napoletana.
Come compositore di cantate, Cesti sì è ispirato soprattutto ai modelli
romani (L. Rossi, Carissimi). In genere, si osserva la tendenza a dare
unità alle composizioni trattate con un linguaggio fluido senza contrasti
duri, con lunghi archi melodici.
Con la cantata Aspettate, che rappresenta una satira della musica
dell'epoca con dettagli significativi, Cesti ha lasciato una sua per così
dire poetica negativa, paragonabile in un certo senso alla poetica positiva
contenuta nel madrigale monteverdiano Mentre vaga angioletta
nell'ottavo libro (1638).
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