DIZIONARIO DI FILOSOFIA Accidente (dal latino accidens = ciò che sopravviene o si aggiunge) E’ un termine tecnico copiato da Aristotele per distinguere nell'ente empirico l'elemento mutevole da quello sempre identico a sé stesso, cioè la sostanza. Secondo la definizione aristotelica, è da considerare accidente tutto ciò che accompagna la sostanza e la qualifica (vedi essenza) o ne segna il divenire. La sostanza ha un proprio atto di essere e pertanto sussiste in se stessa, mentre l'accidente deriva il proprio atto d'essere dalla sostanza alla quale inerisce. Secondo la classificazione di Aristotele, tutte le sostanze (materiali) sono accompagnate da nove accidenti principali: qualità, quantità ("estesa", cioè spazio, e "discreta", cioè numero), azione, relazione, passione, luogo ("dove"), tempo ("quando"), situazione e abito (rivestimento o possesso). Analitico - Analitica Analitico è un termine che deriva da “analisi” (dal verbo greco analyo, “io sciolgo”, “risolvo nelle sue parti”). Analitico è quindi il metodo di indagine che divide i problemi da affrontare nelle sue parti più semplici per poi vagliare autonomamente la validità di ciascuna parte. Il problema viene quindi risolto partendo dai dati validi ed escludendo quelli non validi. In questo modo, l'analisi, oltre a rivestire una considerevole importanza conoscitiva, diviene anche un importante strumento di controllo e di garanzia della correttezza dei processi cognitivi. Già con Aristotele il termine si identifica con la logica, la dove intende fondare l'analitica sull'esame dei sillogismi che compongono un argomento. Analogia Etimologicamente (dal greco “sopra” e “discorso, ragione”) l'analogia suggerisce l'idea di un rapporto tra due termini, quindi di proporzione e di somiglianza. Come tale essa è alla base di tutti i nostri ragionamenti, che si compongono di giudizi (confronti tra due idee), e appartiene perciò in modo particolare al dominio della filosofia, della teologia e del diritto. Filosoficamente l'a. è affinità di concetti e di termini (logica), fondata sul mutuo rapporto di vari modi di essere (metafisica). Secondo la migliore scolastica la nozione di ente, universalissima, non si attribuisce nello stesso modo a tutte le cose, perché ogni cosa differisce dall'altra per il contenuto, che è diversamente graduato in quanto è più o meno ricco di essere. Pertanto l'ente non si può attribuire a tutte le cose univocamente (secundum eamdem rationem), ma solo analogicamente (secundum rationem similem). Nelle sue varie forme, l'analogia rivela l'innata tendenza dell'intelletto umano ad unificare la molteplicità dei mondo reale e del mondo logico, cogliendo negli esseri qualche nota comune. A Posteriori, conoscenza La conoscenza a posteriori è la conoscenza empirica dei fenomeni, quel modo di conoscere la realtà che viene “dopo” (a-posteriori) la percezione oggettiva dei fenomeni fornita dalla conoscenza a-priori. Conoscenza a posteriori è allora tutta la gamma di conoscenze che derivano dall'esperienza, diversamente dalla conoscenza a priori che intuisce (e conosce) direttamente le cose indipendentemente da essa. A Priori, conoscenza La conoscenza a priori è quella conoscenza dei fenomeni che l'uomo possiede già, perché frutto di un modo di considerare le cose già stabilito dalla struttura stessa dei sensi. A priori, ad esempio, è il modo di conoscere (percepire) il tempo e lo spazio, i quali vengono percepiti come “tempo” e come “spazio” proprio in forza della struttura stessa della mente, che non può non considerare, immersa com'è nel mondo, una realtà priva di spazio e di tempo. La conoscenza a priori deriva quindi direttamente dalla struttura stessa dei sensi, essa è data quindi “prima” (a-priori) rispetto a qualsiasi dato dell'esperienza. La conoscenza "a-priori" precede quindi gli effetti (gli avvenimenti empiricamente riscontrabili). Arché In greco significa ‘principio’. I primi filosofi iniziano a interrogarsi sull’origine razionale del mondo. Per Talete per esempio l’archè è l’acqua perché il nutrimento di tutte le cose è umida, i semi di tutte le cose hanno natura umida e perché l’acqua è il principio naturale di tutte le cose umide. Per Anassimandro,invece, l’archè non può essere uno degli elementi fondamentali ma deve essere qualcosa di infinito, illimitato: l’apeiron. L’apeiron non è un elemento e non si identifica con nessuna cosa, è una natura infinita. Anassimene identifica l’aria come principio del mondo. L’aria è infatti una sostanza mobile, infinitamente estesa e capace di espandersi ovunque. Eraclito indica invece il fuoco come principio di tutte le cose. Il fuoco è un elemento vivo, in continuo movimento, capace di distruggere e trasformare ogni cosa, questo elemento spiega bene la teoria eraclitea del cosmo come realtà in continua trasformazione. Assioma Assioma, termine greco che deriva da axioma, “dignità”, da axios “degno”. L'assioma è un principio che non ha bisogno di alcuna dimostrazione data la sua palese evidenza. Ciò che è degno di considerazione e di essere preso a fondamento. Aristotele considerava l'assioma come quel principio evidente che doveva necessariamente essere posto all'inizio della catena delle dimostrazioni. Gli stoici ne davano un altro significato, intendevano l'assioma come ogni affermazione che poteva essere vera o falsa, cioè degna di essere presa in considerazione per il discorso logico. Casuale, casualità Una successione di eventi è detta casuale se non c'è alcun modo di prevedere un evento di un dato genere sulla base dell'evento o degli eventi che l'hanno preceduto, e se il sistema obbedisce alle regolarità della probabilità. Si osservi che gli eventi che diciamo casuali sono sempre elementi di un qualche insieme limitato. Il risultato del lancio di una moneta non truccata viene detto casuale. Ad ogni lancio la probabilità che il risultato successivo sia testa o croce resta invariata. Ma la casualità è all'interno dell'insieme limitato: è o testa o croce, non si devono considerare altre possibilità. Casualità (principio di casualità per Hume) L’atteggiamento di pensiero inaugurato da Locke giunge alla sua espressione più rigorosa nella filosofia di David Hume (1711-1776). Il filosofo osserva che tutti i ragionamenti intorno alla realtà sono fondati sulla relazione di causa ed effetto, cioè sul principio di causalità, ma che la conoscenza di questa relazione non può essere raggiunta a priori, cioè indipendentemente dall’esperienza. Qual è dunque il fondamento di tale conoscenza? E’ evidente infatti che noi traiamo il principio di causalità che applichiamo spontaneamente alla natura da una certa regolarità dei fenomeni naturali, ma da ciò non segue necessariamente che gli effetti osservati una volta debbano ripresentarsi la successiva. Inoltre, non è nemmeno possibile dimostrare la regolarità della natura, perché ogni ragionamento intorno alla realtà è fondato appunto sul principio di causalità che presuppone come esistente, appunto, quella regolarità che si vorrebbe dimostrare. Il principio di causalità è dunque una congettura. La sua evidenza non ha valore logico, ma psicologico: l’abitudine a percepire che certi eventi simili tra loro sono seguiti da ceri altri eventi simili tra loro, determina un sentimento di “credenza” e di “fede”, in base al quale gli individui si aspettano che, verificandosi un certo evento del primo tipo, se ne verificherà un altro del secondo. Ma se l’esperienza non attesta l’esistenza di forze o connessioni necessarie causali, tanto meno attesta il rapporto causale tra Dio e le cose. E privata del principio di causalità, la mente non può in alcun modo dimostrare l’esistenza di Dio – né di una realtà esterna che sia la causa delle nostre percezioni delle cose. Categoria Categoria, dal greco kategoria ("accusa", "imputazione"), da kategoreo ("accuso", "indico"). La categoria è un insieme di cose, concetti o individui accomunati da un certo criterio di appartenenza. In filosofia la categoria è l'indicazioni dell'insieme delle relazioni che possono assumere le idee, quindi nel significato etimologico del termine che indica ciò che viene mostrato, definito e "messo in chiaro". La categoria è un insieme di fatti o processi che permettono di raggruppare un insieme di idee secondo un criterio comune, così, ad esempio, per Platone, le categorie inerenti alla realtà sono l'essere, il movimento, la quiete, l'identità e l'alterità. Nel termine kantiano "imperativo categorico", categorico assume il significato di volontà necessaria e incondizionata, per la quale una sola verità viene indicata e nessun'altra. Cosa in sé Nella filosofia di Kant la realtà autentica e inaccessibile alla coscienza. Se la coscienza produce una certa rappresentazione della realtà attraverso le categorie aprioristiche della conoscenza, la cosa in sé è la realtà fatta oggetto di rappresentazione (non la rappresentazione stessa, che è fenomeno). Se la realtà che giunge alla coscienza è rappresentazione, questo significa che deve esistere una realtà rappresentata. Questa è la "cosa in sé" (vedi Noumeno). Deduzione Deduzione, termine di origine latina (dal verbo deducere). La deduzione è quel processo logico per cui da un assunto iniziale, attraverso una serie di passaggi logici necessari (inferenze), si derivano determinate conclusioni. La deduzione è quindi il processo che permette il passaggio dal principio generale esposto nella premessa alla conclusione che conduce a fatti particolari. E un processo opposto all'induzione. Esempio tipico di deduzione: "Tutti gli uomini sono mortali [principio generale], Socrate è un uomo [inferenza], Socrate è mortale [fatto particolare]". Determinismo Determinismo, dal francese determinisme e dal tedesco determinismus, i quali derivano dal latino determinare, composto da de- ("togliere") e termine ("confine"). Dottrina filosofica sostenente che ogni evento ed ogni accadimento nasce in forza di cause necessarie e precise, e non da una pura casualità. Il determinismo considera quindi vincolante per ogni fenomeno il principio di causa ed effetto, per cui a certe cause corrispondono sempre certi effetti. E’ legato al meccanicismo. Dialettica Dialettica è termine di origine greca che deriva da dialektike, composto da dialektos ("dialogo") e tèchne ("arte", "produzione", "tecnica"). A sua volta dialogo deriva dalla parola greca dialégo, che significa sia "raccolgo, unifico" che "distinguo, divido". Termine ricco di significati e tra i più importanti in filosofia, indica generalmente il confronto e la discussione di tesi contrapposte. Per Platone la dialettica significa sia unificazione (ricerca dei principi universali) che divisione (distinzione dell'elemento particolare), la dialettica viene dunque identificata con la filosofia stessa. Con Aristotele, la dialettica viene considerata in senso logico, per cui consiste nell'uso del sillogismo che si fonda su premesse non certe ma solo probabili. E' infatti tipico della discussione porre ipotesi e seguirne logicamente le conseguenze lasciando momentaneamente in sospeso il problema della veridicità dei principi fondativi, comunque oggetto di successiva verifica. Per Kant, la dialettica si riduce a un tentativo della mente umana di definire concetti inacessibili, concetti che, data la loro inacessibilità, portano necessariamente alle antinomie. Compito del criticismo kantiano sarà dunque quello di mostrare l'illusorietà dei giudizi che vogliono travalicare i limiti della ragione. Con Hegel, che svilupperà il tema kantiano in senso idealista, la dialettica diventa problematica centrale: il filosofo tedesco postulerà l'esistenza di un movimento dialettico a tre fasi che produce la storia e guida il dipanarsi degli eventi, è il processo della "tesi-antitesi-sintesi", per cui ogni cosa parte da un determinato stato per muovere verso il suo contrario e infine convogliare verso la sintesi dei due movimenti contrari (per Hegel si tratta in sostanza del processo stesso del divenire il trasformarsi delle cose da uno stato all'altro). Dogma Dogma, dal greco dogmatos ("parere"). Il dogma è la verità non dimostrata che viene imposta arbitrariamente agli uomini senza possibilità di essere criticata. Nella religione cattolica il dogma è il contenuto della Rivelazione divina, ovvero di quelle verità che sono state donate all'uomo direttamente da Dio attraverso la sua parola (la Bibbia); per questo motivo i fedeli non possono porre obiezioni a tali verità poiché se lo facessero peccherebbero di presunzione in rapporto all'infinita sapienza divina. Dualismo Dualismo, dal latino dualem ("doppio"). Situazione per cui un determinato stato di cose si trova ad oscillare tra due principi opposti e non riducibili ad alcuna unità. Per questo motivo dualismo è sinonimo di antagonismo e di opposizione irriducibile. La definizione letterale è ‘due principi che si contrappongono’. In filosofia il Dualismo consiste nello spiegare l'origine e la natura dell'universo con due principi o sostanze opposte: la materia, inerte, passiva, amorfa; lo spirito, animatore e vivificatore. Il Dualismo si oppone al monismo sia spiritualistico (il corpo forma di un essere psichico), sia materialistico (l'anima prodotto del corpo). Per Platone esistono due dualismi: anima e corpo,mondo sensibile e realtà. Egli afferma che l’unione tra anima e corpo ha un fondamento ontologico. Infatti, l’anima è l’elemento ideale, sovrasensibile dell’essere, mentre il corpo è l’elemento terrestre,sensibile, corruttibile. Al dualismo ontologico tra realtà sensibile ed intelligente corrisponde quindi un dualismo antropologico tra anima e corpo. Empirico Empirico, dal greco empirikos, composto da en- ("che si muove nella"), peira ("esperienza"). Empirico è ciò che si muove entro l'esperienza dei fenomeni, ciò che è pratico e fa riferimento ai soli accadimenti e fenomeni che giungono ai sensi. In forza di questo, l'empirismo è quella corrente filosofica affermante che ogni dato della conoscenza proviene solo dall'esperienza e non da idee già presenti alla mente. Viene invece conosciuto con il nome di empirismo logico il neopositivismo. Ente Ente, dal latino ens, dal verbo esse ("essere"). L'ente, che può essere considerato una forma contratta della parola "essente", è qualsiasi cosa dotata di esistenza. Comprende tutto ciò che l’uomo può pensare e tutto ciò che c’è nella realtà. Esistenza E' l'atto, il fatto o la ragione per cui si può dire che qualcosa “c'è ”, e si risponde alla domanda “se c'è ” (se c'è stata o ci sarà Essenza Indica la natura di una cosa come tale e quindi di ciò che è significato nella sua definizione. Se l'“ente” (vedi) è il concreto sussistente che esiste o che ha l'atto di essere, l'essenza è la speciale “natura” che quest'atto fa esistere. L'essenza esprime nel suo contenuto una “partecipazione” della infinita perfezione della divina natura; essa determina ad ogni essere il proprio posto nella gerarchia degli esseri; ne fonda, dirige e attua le rispettive possibilità di sviluppo. Espressione della eterogeneità fondamentale del reale, le essenze sono fisse e immutabili tanto nel tempo come nello spazio: si succedono perciò in modo discontinuo, per scarti che sono gradi distinti di perfezione nell'àmbito dell'essere: come piombo, quercia, cavallo, uomo... Essere L'essere è l'esistere delle cose. Attorno al concetto la filosofia ha sviluppato diversi modi di considerare l'essere e le sue qualità: in Parmenide l'essere acquisisce per dimostrazione logica le qualità di esistenza immutabile ed eterna, Platone distingue l'essere eterno (le idee dell'Iperuranio) dall'essere terreno non eterno, Aristotele considera l'essere come ente (l'essere che si esprime nelle singole cose determinate). Nel medioevo l'essere per eccellenza è Dio, unico ente dotato di qualità particolari che lo rendono eterno e assoluto. In epoca contemporanea sono importanti i contributi di Martin Heidegger e di Emanuele Severino. Le discussioni attorno al reale significato dell'essere hanno quindi il compito di determinare con precisione le qualità proprie dell'esistere delle cose (il loro essere presenti), per cui rivestono un'importanza decisiva nella ricerca del senso profondo dell'esistenza. La scienza che studia l'essere prende il nome di ontologia. Estetica (o filosofia dell’arte) Estetica, dal greco aisthetikos, da aisthanesthai ("percepire"). L'estetica è la disciplina filosofica che si occupa dello studio del bello e dell'arte. L'estetica, oltre ad approfondire i temi che riguardano il concetto del bello nel suo sviluppo storico, cerca di definire i canoni per cui un oggetto d'arte è da considerarsi bello o brutto. L'atteggiamento estetico, per estensione, è quello di colui che si avvicina alla vita discernendo continuamente ciò che è bello da ciò che è brutto, fino a farne una distinzione morale. Il termine "estetica", come disciplina specifica della filosofia (teoretica), venne coniato da Baumgarten intorno alla metà del diciottesimo secolo. L'estetica è quella disciplina che si occupa di indagare la reale consistenza dei dati sensibili. Nell'ottica di Baumgarten l'estetica avrebbe dovuto chiarire il modo in cui il mondo fisico, ossia il mondo oggettuale, potesse rappresentarsi alla coscienza sotto forma di percezioni. Era noto ai fisiologi del tempo che gli organi di senso (occhi, pelle, etc.) non erano che recettori specializzati di afferenze fisiche (luce, suoni, etc.). Le interazioni tra le forze fisiche e gli organi di senso erano già allora definite come "sensazioni", oppure "elementi sensibili semplici". I problemi di cui avrebbe dovuto occuparsi l'estetica concernevano essenzialmente la questione di come da questi elementi sensibili semplici che, già si sapeva, venivano condotti al cervello attraverso i filamenti nervosi, si potessero venire a formare delle rappresentazioni mentali complesse. A metà ottocento molti dei problemi investigati dall'estetica erano fuoriusciti dal suo terreno di indagine, per affluire in quello della fisiologia e della psicologia fisiologia. Rimaneva in sospeso la questione, ancora perfettamente attuale delle "qualità" sensibili, ossia il misterioso salto tra un fenomeno meramente quantitativo, come ad es. l'urto di un fotone con una certa carica di energia contro un cono della retina ed il conseguente sgretolamento di un pacchetto di pigmenti, dopo aver originato un impulso nervoso, potesse divenire, infine, una sensazione qualitativa non misurabile, quella ad es. del "rosso". Dal problema dei "qualia" gli ambiti dell'estetica, che avevano perduto terreno dal lato fisico e fisiologico, si estesero, nel secolo scorso nella direzione della filosofia critica dell'arte, invadendone parzialmente il campo. Nel novecento la principale questione dell'estetica fu quella relativa alla morte dell'arte: dal "come" l'esperienza estetica potesse costituirsi in rappresentazione di senso e di significati, fino ai limiti concettuali dell'impossibilità del senso nella comunicazione del messaggio artistico. Rammento, e sottolineo, che già dal principio dell'ottocento, la rivoluzione romantica aveva spezzato il paradigma fondamentale dell'arte classica per il quale l'opera doveva avere per principio ispiratore la rappresentazione del bello. Dal romanticismo in poi il bello (ed evidentemente anche il brutto) cessarono di essere lo scopo dell'arte, riducendosi al ruolo di semplici mezzi espressivi. Il fine dell'arte romantica divenne l'espressione di un senso, di un sentimento del mondo che poteva veicolarsi attraverso il bello, il brutto, ma potenzialmente anche dell'orrido, del sublime, del tragico, del vero o del vuoto (come poi accadde nelle molte correnti che da quel pabulum si svilupparono nei due secoli a venire). Dunque, in sintesi, noi possiamo certamente interrogarci sul fatto se il sentimento del bello sia riconducibile a dei criteri comuni a tutti gli esseri umani oppure no: cioè se esso possa dirsi, in un certo senso, "oggettivo" oppure no (meglio, e più appropriato sarebbe tuttavia il termine "universale"). Ma sull'oggettività dell'estetica non vi è discussione possibile: ciò che la rende tale rende possibile il fatto stesso che noi ce lo possiamo comunicare, e che possiamo attingere ad un (qualsiasi) linguaggio. Etica Etica, dal greco ethos ("condotta", "carattere"). L'etica è la disciplina che si occupa di considerare e valutare l'insieme degli atti che costituiscono la condotta (l'agire) dell'individuo. Fenomeno Fenomeno, dal greco phainomenon, participio presente di phainomai ("io appaio"). Il fenomeno è ciò che in una cosa appare ai sensi e alla coscienza. Il fenomeno è dunque l'aspetto percepito di un qualcosa che si manifesta alla percezione, sia essa fisica che psichica. Edmund Husserl fonda la fenomenologia come scienza dei fenomeni, intesi come accadimenti che giungono alla percezione nei modi e nei limiti entro cui si manifestano. Filosofia Deriva dal greco, ‘Philein’ Che significa ‘amare’ e ‘Sophia’ che significa ‘sapere’; significa quindi ‘amore per il sapere’. La filosofia è una forma di indagine razionale. Le dottrine filosofiche sono prodotto di chi le elabora ed esse possono essere discusse e eventualmente sostituite con altre più convincenti. Finalismo Secondo la concezione finalistica la natura e Dio coincidono, quindi Dio è in ogni cosa. Forma Nel significato ordinario è la disposizione esteriore delle parti di un corpo, una qualità delle sostanze sensibili, specialmente viventi, secondo la quale si dicono formose o deformi (Aristotele, Cat., 8, 10a-12). Nella riflessione filosofica con forma si indica il principio che determina l'essenza e la struttura dell'essere come tale: allora è detta causa delle cose e “specie” per eccellenza . Gnoseologia (teoria della conoscenza) Disciplina filosofica che studia i limiti della conoscenza, le sue potenzialità, i suoi criteri e le giustificazioni, la natura della verità, l'esistenza del mondo esterno e lo scetticismo in generale, il relativismo. Primi filosofi: Platone, Aristotele, Gorgia, Protagora; Filosofi moderni: Locke, Hume, Cartesio, Kant, Berkeley; Filosofi contemporanei: Davidson, Putnam, Wittgenstein (con la sua "Della Certezza"), Austin, Quine, Strawson, ... Sinonimi di "gnoseologia" (dal greco gnosis, "conoscenza" e logos, "discorso") sono "teoria della conoscenza" e, in particolare nella cultura anglosassone, il termine "epistemologia". Idea Nell’antichità di Platone era considerata un’entità perfetta e immutabile di carattere divino e che quindi non era generato dall’intelletto. Il concetto di idea è stato introdotto da Platone, secondo il quale tutto ciò che appartiene al mondo delle idee, immutabili, eterne e perfette. Le idee di Platone vivono in un mondo a parte, detto iperuranio. Immanenza Immanenza, dal latino in- ("dentro") e manere ("restare"); ovvero, "restare dentro". Immanente è ciò che rimane entro i propri limiti e le proprie qualità, ciò che ha la peculiarità di avere dentro di sé ogni possibile causa e ogni effetto, ogni possibilità dentro di sé e nessuna possibilità al di fuori Induzione Induzione, dal latino in- ("dentro") e ducere ("condurre"); ovvero, "portare dentro". Processo logico inverso alla deduzione, in cui dall'osservazione di molti casi particolari si fa derivare una legge di carattere generale (passaggio dal particolare all'universale). Karl Popper definisce due tipi di induzione: per enumerazione e per esclusione. Nella prima, la formulazione del principio universale è conseguenza dell'osservazione della frequenza regolare di un certo numero di eventi, nel secondo caso, dato un insieme di teorie prese in considerazione entro un certo lasso di tempo, si considera valida quella che sopravvive alle altre, previa confutazione. Esempio di in uno stagno ci sono solo cigni bianchi, dunque tutti i cigni del mondo sono bianchi. induzione: Il carattere fallibile di un certo numero di osservazioni seppure reiterate, porterà Popper a criticare il principio induttivo come argomento sul quale si intendono fondare leggi di carattere universale. Innatismo Innatismo, dal latino in- (“dentro”) e natus (“nato”), ovvero “entro la nascita”. Il termine designa ogni atteggiamento filosofico che affermi la presenza di conoscenze acquisite già prima della nascita, indipendentemente dai dati appresi dall'esperienza. La dottrina è quindi presente già in Platone (anamnesi) e in molti altri pensatori (importante il concetto di conoscenza a priori in Kant), mentre è generalmente negata dagli empiristi inglesi (si veda il concetto di tabula rasa in Locke). Intelletto e ragione in Kant Quali sono le differenze che Kant pone tra Intelletto e Ragione? La principale differenza sta nella funzione che esse svolgono sul piano conoscitivo: se l’Intelletto applica le categorie ai dati delle impressioni (ed è quindi fortemente connesso con i sensi) al fine di avere delle rappresentazioni spazio-temporali che costituiscono il contenuto della conoscenza e la sua organizzazione, la Ragione è invece quell’elemento che interviene per sintetizzare tutte queste rappresentazioni in pensieri astratti, collegandole tra loro in una rete capace di ridurre a “unità” o “totalità” un certo contenuto. Ne deriva che l’uso della Ragione è perfettamente funzionante SOLO all’interno di dati intellettivamente organizzati, e cioè che siano un insieme di rappresentazioni (impressioni + attività dell’intelletto). Quindi, la Ragione è in grado di formulare pensieri aventi un reale senso conoscitivo solo in questi casi, mentre ne sono esclusi tutti quei pensieri puramente astratti (senza il minimo appiglio intellettivo) quali Dio, anima, mondo, etc. Intellettualismo etico La filosofia di Socrate si basava, sui cosiddetti ‘paradossi socratici’, ovvero che il bene era la conoscenza, il male l’ignoranza, e chi conosceva il bene non poteva commettere il male. Questi suoi dogmi sono stati definiti intellettualismi etici. Socrate intendeva die che la conoscenza ha un orientamento pratico ed esistenziale. Socrate intende che la filosofia è quasi uno stile di vita e che col ragionamento si può giungere a trovare la giusta strada. Io Penso Kantiano E’ una struttura formale che non crea la natura o gli oggetti, ma da un ordine agli oggetti attraverso le 12 categorie. L’Io Penso è dunque la suprema entità unificatrice delle categorie. Io Puro (Fitche) Non è condizionato da elementi empirici. Gli oggetti e la natura (non io) sono creati dall’ Io Puro che quindi si autopone. L’Io Puro è infinito (attività creatrice infinita). Esso ha bisogno della natura perché è la scena in cui l’Io può agire: fra l’ Io e la Natura vi è quindi un rapporto dialettico che consente all’Io di superare tutti gli ostacoli. Logica Logica da "logos" parola greca che significa: discorso, ragionamento. E’ lo studio delle leggi del pensiero umano. La logica, che ha il compito di definire le forme del giudizio e della verità, è capace di dare un’idea adeguata delle realtà che esprime e interpreta; essa, scrive Husserl in Logica formale e trascendentale, è "la scienza a priori della scienza in generale", a sostegno delle scienze; queste, in epoca moderna, hanno perduto il genuino significato che avevano nella civiltà classica. Nella storia della filosofia si sono avuti tre tipi di logica: la logica come teoria del significato ("grammatica logica"); la logica analitica, come teoria delle espressioni non contraddittorie ("matematica"); la logica trascendentale, come teoria dell’adaequatio tra verità e realtà ("logica ontologica"). Materia Secondo il significato più comune, materia dice tutto ciò che è esteso e l'insieme dei corpi estesi. Nel significato tecnico (di origine aristotelica e scolastica) denota ciò che in un essere rappresenta l'elemento potenziale, indeterminato, in opposizione alla forma che rappresenta l'elemento della determinazione e attuazione. Nell'uso moderno si oppone sia a forma sia a spirito. Meccanicismo La concezione meccanicistica di Cartesio e Kant è legata al concetto di corpo e moto. Metafisica (o filosofia prima) Essenzialmente due parole: Meta e Fisica. Meta significa cambiamento, trasformazione e l'al di là. Fisica è la scienza che tratta le proprietà, i cambiamenti, le interazioni, ecc., della sostanza e dell'energia. Essa indaga i principi essenziali della realtà. La metafisica quindi, esamina le cose al di là della materia e dell'energia. Fa pure riferimento a quel ramo della filosofia che cerca di spiegare la natura dell'essere, della realtà e la filosofia speculativa in generale. La metafisica è la disciplina che intende studiare le cause e il "perché" di ogni cosa, andando oltre la semplice considerazione dei dati empirici per indagare i principi primi che generano e determinano le cose esistenti. La metafisica, secondo Aristotele, è la scienza prima, poiché essa si rivolge allo studio non di un determinato ente, ma allo studio di ogni ente in quanto ente, ovvero lo studio delle qualità generali e comuni ad ogni ente (cosa esistente) Necessità Questo termine, o meglio l’aggettivo ‘necessario’, è stato usato da Parmenide per definire una delle caratteristiche principali dell’essere. Infatti, l’essere è necessario in quanto è e non può essere diverso da ciò che è. E’ l’opposto di ‘possibile’. Nominalismo Il nominalismo è la dottrina filosofica per cui solo le individualità hanno sostanza reale, mentre i concetti generali che definiscono le singole individualità non possiedono alcuna sostanza ma costituiscono solamente i nomi degli insiemi ai quali gli individui appartengono, nomi ai quali non corrisponde alcuna sostanza concreta. Noumeno Noumeno, dal greco noumenon, "ciò che è pensato", da nous ("mente"). Nel sistema di Kant, il noumeno è il pensiero della "cosa in sé". La realtà della cosa in sé rimane inconoscibile all'intelletto, tuttavia viene pensata. Questo pensiero di una realtà inaccessibile ma comunque pensata è il noumeno. Vedi Cosa in sé Olismo Olismo, dal greco olos ("tutto, intero"). L'olismo è la teoria secondo cui l'intero è un tutto superiore rispetto alla somma delle sue parti. L'intero riveste quindi un significato diverso o superiore rispetto a quello delle singole parti prese autonomamente. Ontologia Indagine intorno all’essere. Panteismo Panteismo, dall'inglese pantheism, composto dalla particella greca pan- ("tutto") e theos ("dio"). La dottrina filosofica per cui tutta la realtà è formata dalla stessa sostanza divina. Da ciò ne deriva che la natura, intesa come creazione e come condizione di esistenza di ogni cosa, è essa stessa Dio. Possibilità Questo termine, anzi l’aggettivo ‘possibile’, è stato usato da Parmenide per definire una delle principali caratteristiche del non essere. Il non essere è possibile in quanto non è e può essere diverso da ciò che è. E’ l’opposto da necessario. Postulato Postulato, dal latino postulare, forse da poscere ("chiedere"). Il postulato è qualsiasi affermazione non dimostrata e non evidente che viene comunque presa per vera in modo da fondare una dimostrazione o un procedimento che altrimenti risulterebbe incongruente. Pragmatismo Pragmatismo, dal greco pragma, da pragmatos ("fatto"). Corrente filosofica che si presenta come reazione all'intellettualismo dell'Ottocento, assumendo, di fronte al fallimento della ragione in ordine ai problemi metafisici, la pratica quale criterio di verifica. Il pragmatismo si sviluppò tra la fine del secolo scorso e il primo ventennio del sec. XX, particolarmente nell'area culturale americana e anglosassone, ma ebbe vasti riflessi anche sul pensiero europeo continentale e segnatamente in Italia. Le tesi fondamentali del pragmatismo come il termine stesso - furono introdotte dal filosofo americano C. S. Peirce, uno dei suoi maggiori rappresentanti; egli riconduce il problema gnoseologico a un atteggiamento pragmatico che è la vera fonte di ogni attività conoscitiva: per Peirce la conoscenza di una cosa è strettamente collegata all'interesse pratico e concreto che la cosa per noi presenta, e l'idea che ce ne facciamo non è che l'insieme, la somma delle idee che la cosa suscita per il nostro interesse pratico. Questo atteggiamento conoscitivo sarebbe l'unico genuino modo di cogliere il senso delle cose e degli oggetti, lasciando da parte tutte quelle formulazioni teoriche e astratte che tale senso appunto finiscono per smarrire. La preoccupazione principale dei Peirce, dunque, è quella di stabilire una teoria del significato. Diverso invece il punto di vista dell'altro grande del pragmatismo americano, W. James, che sostiene una generale superiorità della pratica sulla teoria, e quindi stabilisce un criterio utilitaristico per giudicare della verità delle proposizioni scientifiche e filosofiche. Scendendo dai principi generali ai problemi particolari, il pragmatismo si sofferma sull'esistenza di Dio e sull'immortalità dell'anima: finché ci si ferma alle argomentazioni razionali - ragiona il pragmatista - non si va oltre il vuoto d'inerti tautologie, ma quando dall'accettazione del concetto di Essere assoluto discendono effetti positivi per la pratica della nostra vita morale e sociale, allora l'uomo accetta l'esistenza di Dio; e così è pure per l'immortalità dell'anima: essa è ammessa non per gli argomenti di una certa psicologia razionale, ma piuttosto per l'energia che sa imprimere alla nostra vita morale e sociale, si ha cioè una "volontà di credere", che orienta il nostro giudizio. A questa prospettiva di un pragmatismo "magico-fideistico" aderì in Italia G. Papini nel periodo del Leonardo, mentre G. Vailati e M. Calderoni si attestarono sul pragmatismo di Peirce e Dewey, sottolineando il suo carattere positivistico. Non trascurabile fu anche l'influenza esercitata dal pragmatismo sulla formazione dell'esistenzialismo di Abbagnano. Fuori d'Italia il pragmatismo s'inserì nell'ampia corrente antintellettualistica in Francia con il "contingentismo" di Boutroux, con il "convenzionalismo" di Poincaré e con l'intuizionismo di Bergson; in Germania con l'empiriocriticismo di Mach e Avenarius; in Inghilterra con l'"umanismo" di F. G. C. Schiller. Ragione Ragione, dal latino rationem ("capacità di calcolo e di valutazione"). La ragione è la facoltà di mettere in relazione tra loro e nel modo corretto fatti e considerazioni. Per estensione, la ragione viene anche usata in sostituzione del termine "logica", per cui viene ad acquisirne le stesse qualità. Perché vi sia ragione occorre quindi che vi sia una valutazione comparata di fatti e considerazioni diverse, da qui il naturale collegamento con la radice etimologica "calcolo", ovvero facoltà di mettere in relazione tra loro grandezze diverse Razionalismo Razionalismo, dal latino ratio ("calcolo, ragione"). L'atteggiamento filosofico per cui le verità sono dedotte attraverso l'uso della sola ragione e della sola logica, escludendo l'esperienza. Relativismo Questo termine identifica in generale ogni termine che non ammette verità assolute nel campo della conoscenza o principi immutabili in campo morale. I sofisti sono i primi a utilizzare questo termine e a seguire questa filosofia. Ci sono diversi tipi di relativismo. Il relativismo etico è l’opinione secondo cui non c’è un bene assoluto, ma il bene dipende dal punto di vista di ciascuno. Il relativismo gnoseologico invece è riferito alla conoscenza, per i sofisti, infatti, non esiste una sola verità ma ne esistono molte, contrariamente a Socrate, per il quale esiste una sola verità, ovvero ‘vera per tutti’. Sostanza Sostanza, dal latino sub ("sotto") e stantia ("stare"); ovvero "stare sotto", "sorreggere". Ciò che non ha bisogno di nient'altro per esistere poiché essa stessa sorregge e soggiace ("sta sotto") all'esistenza delle cose e degli enti. La sostanza è dunque quella caratteristica peculiare di ogni cosa esistente senza la quale essa non potrebbe esistere come è entro i limiti della sua determinazione. Può indicare tanto la realtà effettiva e concreta cioè singolare (la “sostanza prima” della terminologia aristotelica), quanto l'essenza, sia nella sua struttura metafisica come nel suo contenuto nozionale e logico o anche il “questo” particolare e il “cos'è” . Per sostanza s'intende quindi il modo “principale” di essere, e quindi la prima categoria del reale, fondamento, causa e sostrato degli accidenti sia propri come comuni. Tabula Rasa Tabula rasa: voce latina che significa letteralmente "tavola raschiata", con riferimento alle tavolette di cera incise con segni utilizzate nell'antichità, segni che risultavano cancellati una volta raschiate le incisioni. Il concetto, già utilizzato da Eschilo e da Platone, che indica ogni condizione in cui la coscienza sia priva di qualsivoglia conoscenza innata, comunemente a un foglio bianco che attende di essere ricoperto da segni. Il termine verrà poi riproposto da Locke per indicare, nell'empirismo, la condizione che vuole la coscienza dei neonati priva di qualsiasi concetto innato, concetti che verranno appresi solamente in forza dei dati dell'esperienza che giungeranno alla mente nel corso dello sviluppo. Trascendente - Trascendenza Trascendente, dal latino transcendere, composto da trans- ("oltre") e scandere ("salire"). La qualità di ciò che va oltre i propri limiti, in opposizione a "immanenza". Il termine è stato più volte attribuito al principio divino, soprattutto nella filosofia neoplatonica e nella teologia cattolica, ad indicare la distanza che separa Dio dalle sue creature. Già in Platone il termine indica il rapporto che sussiste tra il mondo sensibile e le idee dell'Iperuranio, che si pongono appunto "aldilà" del realtà fisica. Trascendenti sono dunque poi quelle qualità che ineriscono al soggetto provenendo da altro rispetto ad esso, o ciò che accomuna un insieme di concetti, trascedendone la diversità (in questo caso il termine assume il significato di "universale"). Con il termine "coscienza trascendentale", utilizzato da Kant, si indica invece la coscienza pura, aprioristica (che si pone prima di ogni cosa), che trascende il vincolo con la realtà materiale perché data indipendentemente da essa. Kant afferma che trascendentale è ogni conoscenza già presente nell'uomo, e in particolare le modalità aprioristiche della coscienza attraverso le quali comprendiamo gli oggetti della realtà ("chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa, non degli oggetti ma del nostro modo di conoscere gli oggetti"). Trascendentale (nella Scolastica, in Kant e nell’Idealismo) Il termine trascendentale, usato per la prima volta nella Scolastica e specificamente in Tommaso d'Aquino, voleva significare il riferimento a ciò che è massimamente universale. San Tommaso lo applicava, cioè, a quei concetti che hanno una loro universalità, quali ad esempio verità e bontà: questi, in un primo grado di universalità, si riferiscono concretamente a tutti gli esseri umani, ma se elaborati teoricamente dall'intelletto e dalla volontà di un essere perfetto come Dio, acquistano, per così dire, una "somma universalità" che si esprime, appunto, nel termine trascendentale. In Kant il termine trascendentale passò a significare il meccanismo "formale" della conoscenza, a prescindere cioè dal contenuto di essa. Kant infatti vuole spiegare non che cosa si conosce, ma come avviene la conoscenza, ossia definire i presupposti teorici che rendono possibile la conoscenza. Essa è per un verso passiva, in quanto si basa su dati sensibili che noi acquisiamo, appunto, passivamente ma, per altro verso, è attiva, poiché siamo dotati di "funzioni trascendentali", di modi di funzionamento dell'intelletto che automaticamente si attivano nel momento stesso in cui riceviamo i dati sensibili. Nel caso del primo grado del conoscere, l'intuizione, noi mettiamo istantaneamente in azione le funzioni di spazio e tempo; cioè discriminiamo, selezioniamo attivamente i dati sensibili nello spazio e nel tempo. Questi modi di funzionamento della conoscenza sensibile non sono un'attività ulteriore che noi mettiamo in esecuzione, ma peculiarità specifiche del nostro stesso intelletto. Kant inoltre afferma che le funzioni trascendentali hanno caratteristiche di "necessità" - poiché la nostra ragione le mette necessariamente in azione tanto che anche se volessimo non potremmo fare a meno di usarle -, e di "universalità", perché appartengono, allo stesso modo, a tutti gli uomini dotati di ragione. Dette funzioni - spazio e tempo, nel caso dell'intuizione -, sono dunque da sempre presenti prima ancora di ricevere il primo dato sensibile, in quanto non sono altro che il modo di funzionare della nostra ragione. Infatti entrano subito in azione non appena si riceve il primissimo dato sensibile. Esse non vanno confuse con gli "universali" ricavati dall'esperienza, perché sono presenti prima dell'esperienza e non vanno neppure identificate con le idee innate, le quali si presentano dotate di un contenuto (come ad esempio l'idea innata di Dio), che le funzioni, invece, non ne hanno. Possiamo dunque affermare che esse sono a priori, precedono, cioè, l'esperienza, ovvero la "trascendono", in quanto "stanno al di là" dell'esperienza stessa; ma allo stesso tempo sono "immanenti", in quanto esse diventano reali, acquistano valore effettivo, e il loro funzionamento da potenziale diviene attuale, solo quando si "incarnano" con i dati sensibili. Pertanto, si potrebbe definire il "trascendentale" come una sintesi di "immanente" e "trascendente". Il termine "trascendentale" venne ripreso dagli idealisti Johann Gottlieb Fichte e Schelling come sinonimo di funzionale o costitutivo, per designare il loro stesso idealismo: l'idealismo è per costoro un postulato filosofico da ammettere a priori, tramite intuizione intellettuale, necessario al costituirsi non solo della conoscenza umana, ma (a differenza di Kant) anche della realtà oggettiva. Fichte riconosceva infatti a Kant il merito di essersi avvicinato alla concezione idealistica con la dottrina dell'"io penso", o "appercezione trascendentale", che rimaneva, però, un principio formale della realtà. L'idealismo trasforma l'io penso in un principio costitutivo, materiale, della realtà stessa. Trascendentale è, dunque, l'atto con cui l'Io crea il mondo. Questo atto non può essere dimostrato per via razionale, ma va presupposto all'inizio con un atto intuitivo-intellettuale in questo senso trascendentale: forma e contenuto, trascendente e immanente, prima della creazione della realtà (autocoscienza) e contemporaneamente coincidente con essa (autocreazione). Universali (disputa degli universali) Nella filosofia medievale il problema degli universali è uno dei temi più dibattuti: riguarda l'essere dei concetti generali che possono essere predicati di più individui. Questo dibattito pone il problema del rapporto fra pensiero, linguaggio e realtà: i concetti e i termini con cui li esprimiamo sono in grado di rispecchiare l'essere e la struttura della realtà? Esiste l'uomo in generale o esistono solo i singoli individui? I maestri medievali si chiedono se gli universali esistono solo come concetti della mente o se esistono anche nella realtà. In questo caso, se esistono separati dalle cose, come le Idee platoniche, oppure sono nelle cose stesse, come le forme aristoteliche. Le numerose soluzioni proposte si possono ricondurre a due tipi fondamentali: quella realistica (che afferma l'esistenza degli universali nella realtà) e quella nominalistica (che li ritiene esistenti solo nell'intelletto umano, per cui ciò che esiste realmente è solo singolare). Realismo e nominalismo possono a loro volta distinguersi in due tendenze, una estrema e una moderata. Il realismo estremo, professato, fra gli altri, da Gugliemo di Champeaux (1070-1122), afferma la realtà sostanziale dell'universale prima e separatamente da ciascun individuo, come idea perfetta o modello eterno nella mente divina. Ogni universale è presente interamente in ciascun individuo (per esempio: l'universale "umanità" rimane uno e identico in tutti gli individui, a cui si aggiungono in un secondo tempo qualità accidentali diverse in ogni singolo individuo). Il realismo moderato, professato da Boezio e sostenuto anche da Tommaso d'Aquino, è una soluzione di tipo aristotelico, in base alla quale gli universali esistono negli individui come forma intrinseca. Essi esistono, ma non come sono pensati, ossia come universali; sono incorporei, ma uniti alle cose corporee, sebbene siano concepiti separatamente dalle cose sensibili. Il nominalismo estremo, solitamente attribuito a Roscellino di Compiègne (1050-1120), sostiene non solo che nessun universale può esistere nelle cose, ma anche che nessun universale esiste nella mente dell'uomo. L'universale si riduce così a flatus vocis, a una pura emissione di voce, senza alcun corrispettivo nella realtà. Il nominalismo moderato, o concettualismo, afferma la non esistenza dell'universale nelle cose, ma solo nella mente. Secondo Abelardo, gli universali sono dei segni mentali, dei sermones (discorsi, parole), ossia delle parole con significato. L'universale è un nome che designa l'immagine confusa estratta dal pensiero da una pluralità di individui di natura simile. Gugliemo di Ockham arriva a identificare l'universale con il nostro stesso atto di intendere la realtà.