dizionario di filosofia

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DIZIONARIO DI FILOSOFIA
Accidente (dal latino accidens = ciò che sopravviene o si aggiunge)
E’ un termine tecnico copiato da Aristotele per distinguere nell'ente empirico l'elemento mutevole
da quello sempre identico a sé stesso, cioè la sostanza. Secondo la definizione aristotelica, è da
considerare accidente tutto ciò che accompagna la sostanza e la qualifica (vedi essenza) o ne segna
il divenire. La sostanza ha un proprio atto di essere e pertanto sussiste in se stessa, mentre
l'accidente deriva il proprio atto d'essere dalla sostanza alla quale inerisce. Secondo la
classificazione di Aristotele, tutte le sostanze (materiali) sono accompagnate da nove accidenti
principali: qualità, quantità ("estesa", cioè spazio, e "discreta", cioè numero), azione, relazione,
passione, luogo ("dove"), tempo ("quando"), situazione e abito (rivestimento o possesso).
Analitico - Analitica
Analitico è un termine che deriva da “analisi” (dal verbo greco analyo, “io sciolgo”, “risolvo nelle
sue parti”). Analitico è quindi il metodo di indagine che divide i problemi da affrontare nelle
sue parti più semplici per poi vagliare autonomamente la validità di ciascuna parte. Il problema
viene quindi risolto partendo dai dati validi ed escludendo quelli non validi. In questo modo,
l'analisi, oltre a rivestire una considerevole importanza conoscitiva, diviene anche un importante
strumento di controllo e di garanzia della correttezza dei processi cognitivi.
Già con Aristotele il termine si identifica con la logica, la dove intende fondare l'analitica
sull'esame dei sillogismi che compongono un argomento.
Analogia
Etimologicamente (dal greco “sopra” e “discorso, ragione”) l'analogia suggerisce l'idea di un
rapporto tra due termini, quindi di proporzione e di somiglianza. Come tale essa è alla base di tutti i
nostri ragionamenti, che si compongono di giudizi (confronti tra due idee), e appartiene perciò in
modo particolare al dominio della filosofia, della teologia e del diritto. Filosoficamente l'a. è affinità
di concetti e di termini (logica), fondata sul mutuo rapporto di vari modi di essere (metafisica).
Secondo la migliore scolastica la nozione di ente, universalissima, non si attribuisce nello stesso
modo a tutte le cose, perché ogni cosa differisce dall'altra per il contenuto, che è diversamente
graduato in quanto è più o meno ricco di essere. Pertanto l'ente non si può attribuire a tutte le cose
univocamente (secundum eamdem rationem), ma solo analogicamente (secundum rationem
similem). Nelle sue varie forme, l'analogia rivela l'innata tendenza dell'intelletto umano ad unificare
la molteplicità dei mondo reale e del mondo logico, cogliendo negli esseri qualche nota comune.
A Posteriori, conoscenza
La conoscenza a posteriori è la conoscenza empirica dei fenomeni, quel modo di conoscere la
realtà che viene “dopo” (a-posteriori) la percezione oggettiva dei fenomeni fornita dalla conoscenza
a-priori. Conoscenza a posteriori è allora tutta la gamma di conoscenze che derivano
dall'esperienza, diversamente dalla conoscenza a priori che intuisce (e conosce) direttamente le cose
indipendentemente da essa.
A Priori, conoscenza
La conoscenza a priori è quella conoscenza dei fenomeni che l'uomo possiede già, perché frutto di
un modo di considerare le cose già stabilito dalla struttura stessa dei sensi. A priori, ad esempio, è il
modo di conoscere (percepire) il tempo e lo spazio, i quali vengono percepiti come “tempo” e come
“spazio” proprio in forza della struttura stessa della mente, che non può non considerare, immersa
com'è
nel
mondo,
una
realtà
priva
di
spazio
e
di
tempo.
La conoscenza a priori deriva quindi direttamente dalla struttura stessa dei sensi, essa è data quindi
“prima” (a-priori) rispetto a qualsiasi dato dell'esperienza. La conoscenza "a-priori" precede quindi
gli effetti (gli avvenimenti empiricamente riscontrabili).
Arché
In greco significa ‘principio’. I primi filosofi iniziano a interrogarsi sull’origine razionale del
mondo. Per Talete per esempio l’archè è l’acqua perché il nutrimento di tutte le cose è umida, i semi
di tutte le cose hanno natura umida e perché l’acqua è il principio naturale di tutte le cose umide.
Per Anassimandro,invece, l’archè non può essere uno degli elementi fondamentali ma deve essere
qualcosa di infinito, illimitato: l’apeiron. L’apeiron non è un elemento e non si identifica con
nessuna
cosa,
è
una
natura
infinita.
Anassimene identifica l’aria come principio del mondo. L’aria è infatti una sostanza mobile,
infinitamente
estesa
e
capace
di
espandersi
ovunque.
Eraclito indica invece il fuoco come principio di tutte le cose. Il fuoco è un elemento vivo, in
continuo movimento, capace di distruggere e trasformare ogni cosa, questo elemento spiega bene la
teoria
eraclitea
del
cosmo
come
realtà
in
continua
trasformazione.
Assioma
Assioma, termine greco che deriva da axioma, “dignità”, da axios “degno”. L'assioma è un
principio che non ha bisogno di alcuna dimostrazione data la sua palese evidenza.
Ciò che è degno di considerazione e di essere preso a fondamento. Aristotele considerava
l'assioma come quel principio evidente che doveva necessariamente essere posto all'inizio della
catena delle dimostrazioni. Gli stoici ne davano un altro significato, intendevano l'assioma come
ogni affermazione che poteva essere vera o falsa, cioè degna di essere presa in considerazione per il
discorso logico.
Casuale, casualità
Una successione di eventi è detta casuale se non c'è alcun modo di prevedere un evento di un
dato genere sulla base dell'evento o degli eventi che l'hanno preceduto, e se il sistema obbedisce
alle regolarità della probabilità. Si osservi che gli eventi che diciamo casuali sono sempre elementi
di un qualche insieme limitato. Il risultato del lancio di una moneta non truccata viene detto
casuale. Ad ogni lancio la probabilità che il risultato successivo sia testa o croce resta invariata. Ma
la casualità è all'interno dell'insieme limitato: è o testa o croce, non si devono considerare altre
possibilità.
Casualità (principio di casualità per Hume)
L’atteggiamento di pensiero inaugurato da Locke giunge alla sua espressione più rigorosa nella
filosofia di David Hume (1711-1776). Il filosofo osserva che tutti i ragionamenti intorno alla
realtà sono fondati sulla relazione di causa ed effetto, cioè sul principio di causalità, ma che la
conoscenza di questa relazione non può essere raggiunta a priori, cioè indipendentemente
dall’esperienza. Qual è dunque il fondamento di tale conoscenza? E’ evidente infatti che noi
traiamo il principio di causalità che applichiamo spontaneamente alla natura da una certa regolarità
dei fenomeni naturali, ma da ciò non segue necessariamente che gli effetti osservati una volta
debbano ripresentarsi la successiva. Inoltre, non è nemmeno possibile dimostrare la regolarità della
natura, perché ogni ragionamento intorno alla realtà è fondato appunto sul principio di causalità che
presuppone come esistente, appunto, quella regolarità che si vorrebbe dimostrare. Il principio di
causalità è dunque una congettura. La sua evidenza non ha valore logico, ma psicologico:
l’abitudine a percepire che certi eventi simili tra loro sono seguiti da ceri altri eventi simili tra
loro, determina un sentimento di “credenza” e di “fede”, in base al quale gli individui si
aspettano che, verificandosi un certo evento del primo tipo, se ne verificherà un altro del secondo.
Ma se l’esperienza non attesta l’esistenza di forze o connessioni necessarie causali, tanto meno
attesta il rapporto causale tra Dio e le cose. E privata del principio di causalità, la mente non può
in alcun modo dimostrare l’esistenza di Dio – né di una realtà esterna che sia la causa delle nostre
percezioni delle cose.
Categoria
Categoria, dal greco kategoria ("accusa", "imputazione"), da kategoreo ("accuso", "indico"). La
categoria è un insieme di cose, concetti o individui accomunati da un certo criterio di
appartenenza. In filosofia la categoria è l'indicazioni dell'insieme delle relazioni che possono
assumere le idee, quindi nel significato etimologico del termine che indica ciò che viene mostrato,
definito
e
"messo
in
chiaro".
La categoria è un insieme di fatti o processi che permettono di raggruppare un insieme di idee
secondo un criterio comune, così, ad esempio, per Platone, le categorie inerenti alla realtà sono
l'essere,
il
movimento,
la
quiete,
l'identità
e
l'alterità.
Nel termine kantiano "imperativo categorico", categorico assume il significato di volontà
necessaria e incondizionata, per la quale una sola verità viene indicata e nessun'altra.
Cosa in sé
Nella filosofia di Kant la realtà autentica e inaccessibile alla coscienza. Se la coscienza produce
una certa rappresentazione della realtà attraverso le categorie aprioristiche della conoscenza, la cosa
in sé è la realtà fatta oggetto di rappresentazione (non la rappresentazione stessa, che è fenomeno).
Se la realtà che giunge alla coscienza è rappresentazione, questo significa che deve esistere una
realtà rappresentata. Questa è la "cosa in sé" (vedi Noumeno).
Deduzione
Deduzione, termine di origine latina (dal verbo deducere). La deduzione è quel processo logico per
cui da un assunto iniziale, attraverso una serie di passaggi logici necessari (inferenze), si derivano
determinate conclusioni. La deduzione è quindi il processo che permette il passaggio dal principio
generale esposto nella premessa alla conclusione che conduce a fatti particolari. E un processo
opposto all'induzione. Esempio tipico di deduzione: "Tutti gli uomini sono mortali [principio
generale], Socrate è un uomo [inferenza], Socrate è mortale [fatto particolare]".
Determinismo
Determinismo, dal francese determinisme e dal tedesco determinismus, i quali derivano dal latino
determinare, composto da de- ("togliere") e termine ("confine"). Dottrina filosofica sostenente che
ogni evento ed ogni accadimento nasce in forza di cause necessarie e precise, e non da una pura
casualità. Il determinismo considera quindi vincolante per ogni fenomeno il principio di causa ed
effetto, per cui a certe cause corrispondono sempre certi effetti. E’ legato al meccanicismo.
Dialettica
Dialettica è termine di origine greca che deriva da dialektike, composto da dialektos ("dialogo") e
tèchne ("arte", "produzione", "tecnica"). A sua volta dialogo deriva dalla parola greca dialégo, che
significa sia "raccolgo, unifico" che "distinguo, divido". Termine ricco di significati e tra i più
importanti in filosofia, indica generalmente il confronto e la discussione di tesi contrapposte. Per
Platone la dialettica significa sia unificazione (ricerca dei principi universali) che divisione
(distinzione dell'elemento particolare), la dialettica viene dunque identificata con la filosofia stessa.
Con Aristotele, la dialettica viene considerata in senso logico, per cui consiste nell'uso del
sillogismo che si fonda su premesse non certe ma solo probabili. E' infatti tipico della discussione
porre ipotesi e seguirne logicamente le conseguenze lasciando momentaneamente in sospeso il
problema della veridicità dei principi fondativi, comunque oggetto di successiva verifica.
Per Kant, la dialettica si riduce a un tentativo della mente umana di definire concetti inacessibili,
concetti che, data la loro inacessibilità, portano necessariamente alle antinomie. Compito del
criticismo kantiano sarà dunque quello di mostrare l'illusorietà dei giudizi che vogliono travalicare i
limiti
della
ragione.
Con Hegel, che svilupperà il tema kantiano in senso idealista, la dialettica diventa problematica
centrale: il filosofo tedesco postulerà l'esistenza di un movimento dialettico a tre fasi che produce la
storia e guida il dipanarsi degli eventi, è il processo della "tesi-antitesi-sintesi", per cui ogni cosa
parte da un determinato stato per muovere verso il suo contrario e infine convogliare verso la sintesi
dei due movimenti contrari (per Hegel si tratta in sostanza del processo stesso del divenire il
trasformarsi delle cose da uno stato all'altro).
Dogma
Dogma, dal greco dogmatos ("parere"). Il dogma è la verità non dimostrata che viene imposta
arbitrariamente
agli
uomini
senza
possibilità
di
essere
criticata.
Nella religione cattolica il dogma è il contenuto della Rivelazione divina, ovvero di quelle verità
che sono state donate all'uomo direttamente da Dio attraverso la sua parola (la Bibbia); per questo
motivo i fedeli non possono porre obiezioni a tali verità poiché se lo facessero peccherebbero di
presunzione in rapporto all'infinita sapienza divina.
Dualismo
Dualismo, dal latino dualem ("doppio"). Situazione per cui un determinato stato di cose si trova ad
oscillare tra due principi opposti e non riducibili ad alcuna unità. Per questo motivo dualismo è
sinonimo di antagonismo e di opposizione irriducibile.
La definizione letterale è ‘due principi che si contrappongono’. In filosofia il Dualismo consiste
nello spiegare l'origine e la natura dell'universo con due principi o sostanze opposte: la materia,
inerte, passiva, amorfa; lo spirito, animatore e vivificatore. Il Dualismo si oppone al monismo sia
spiritualistico (il corpo forma di un essere psichico), sia materialistico (l'anima prodotto del corpo).
Per Platone esistono due dualismi: anima e corpo,mondo sensibile e realtà. Egli afferma che
l’unione tra anima e corpo ha un fondamento ontologico. Infatti, l’anima è l’elemento ideale,
sovrasensibile dell’essere, mentre il corpo è l’elemento terrestre,sensibile, corruttibile. Al dualismo
ontologico tra realtà sensibile ed intelligente corrisponde quindi un dualismo antropologico tra
anima e corpo.
Empirico
Empirico, dal greco empirikos, composto da en- ("che si muove nella"), peira ("esperienza").
Empirico è ciò che si muove entro l'esperienza dei fenomeni, ciò che è pratico e fa riferimento ai
soli
accadimenti
e
fenomeni
che
giungono
ai
sensi.
In forza di questo, l'empirismo è quella corrente filosofica affermante che ogni dato della
conoscenza proviene solo dall'esperienza e non da idee già presenti alla mente.
Viene invece conosciuto con il nome di empirismo logico il neopositivismo.
Ente
Ente, dal latino ens, dal verbo esse ("essere"). L'ente, che può essere considerato una forma
contratta della parola "essente", è qualsiasi cosa dotata di esistenza. Comprende tutto ciò che
l’uomo può pensare e tutto ciò che c’è nella realtà.
Esistenza
E' l'atto, il fatto o la ragione per cui si può dire che qualcosa “c'è ”, e si risponde alla domanda “se
c'è ” (se c'è stata o ci sarà
Essenza
Indica la natura di una cosa come tale e quindi di ciò che è significato nella sua definizione. Se
l'“ente” (vedi) è il concreto sussistente che esiste o che ha l'atto di essere, l'essenza è la speciale
“natura” che quest'atto fa esistere. L'essenza esprime nel suo contenuto una “partecipazione” della
infinita perfezione della divina natura; essa determina ad ogni essere il proprio posto nella gerarchia
degli esseri; ne fonda, dirige e attua le rispettive possibilità di sviluppo. Espressione della
eterogeneità fondamentale del reale, le essenze sono fisse e immutabili tanto nel tempo come nello
spazio: si succedono perciò in modo discontinuo, per scarti che sono gradi distinti di perfezione
nell'àmbito dell'essere: come piombo, quercia, cavallo, uomo...
Essere
L'essere è l'esistere delle cose. Attorno al concetto la filosofia ha sviluppato diversi modi di
considerare l'essere e le sue qualità: in Parmenide l'essere acquisisce per dimostrazione logica le
qualità di esistenza immutabile ed eterna, Platone distingue l'essere eterno (le idee dell'Iperuranio)
dall'essere terreno non eterno, Aristotele considera l'essere come ente (l'essere che si esprime nelle
singole cose determinate). Nel medioevo l'essere per eccellenza è Dio, unico ente dotato di qualità
particolari che lo rendono eterno e assoluto. In epoca contemporanea sono importanti i contributi di
Martin
Heidegger
e
di
Emanuele
Severino.
Le discussioni attorno al reale significato dell'essere hanno quindi il compito di determinare con
precisione le qualità proprie dell'esistere delle cose (il loro essere presenti), per cui rivestono
un'importanza decisiva nella ricerca del senso profondo dell'esistenza. La scienza che studia l'essere
prende il nome di ontologia.
Estetica (o filosofia dell’arte)
Estetica, dal greco aisthetikos, da aisthanesthai ("percepire"). L'estetica è la disciplina filosofica che
si occupa dello studio del bello e dell'arte. L'estetica, oltre ad approfondire i temi che riguardano il
concetto del bello nel suo sviluppo storico, cerca di definire i canoni per cui un oggetto d'arte è da
considerarsi bello o brutto. L'atteggiamento estetico, per estensione, è quello di colui che si avvicina
alla vita discernendo continuamente ciò che è bello da ciò che è brutto, fino a farne una distinzione
morale.
Il termine "estetica", come disciplina specifica della filosofia (teoretica), venne coniato da
Baumgarten
intorno
alla
metà
del
diciottesimo
secolo.
L'estetica è quella disciplina che si occupa di indagare la reale consistenza dei dati sensibili.
Nell'ottica di Baumgarten l'estetica avrebbe dovuto chiarire il modo in cui il mondo fisico, ossia il
mondo oggettuale, potesse rappresentarsi alla coscienza sotto forma di percezioni.
Era noto ai fisiologi del tempo che gli organi di senso (occhi, pelle, etc.) non erano che recettori
specializzati
di
afferenze
fisiche
(luce,
suoni,
etc.).
Le interazioni tra le forze fisiche e gli organi di senso erano già allora definite come "sensazioni",
oppure
"elementi
sensibili
semplici".
I problemi di cui avrebbe dovuto occuparsi l'estetica concernevano essenzialmente la questione di
come da questi elementi sensibili semplici che, già si sapeva, venivano condotti al cervello
attraverso i filamenti nervosi, si potessero venire a formare delle rappresentazioni mentali
complesse.
A metà ottocento molti dei problemi investigati dall'estetica erano fuoriusciti dal suo terreno di
indagine, per affluire in quello della fisiologia e della psicologia fisiologia.
Rimaneva in sospeso la questione, ancora perfettamente attuale delle "qualità" sensibili, ossia il
misterioso salto tra un fenomeno meramente quantitativo, come ad es. l'urto di un fotone con una
certa carica di energia contro un cono della retina ed il conseguente sgretolamento di un pacchetto
di pigmenti, dopo aver originato un impulso nervoso, potesse divenire, infine, una sensazione
qualitativa
non
misurabile,
quella
ad
es.
del
"rosso".
Dal problema dei "qualia" gli ambiti dell'estetica, che avevano perduto terreno dal lato fisico e
fisiologico, si estesero, nel secolo scorso nella direzione della filosofia critica dell'arte, invadendone
parzialmente
il
campo.
Nel novecento la principale questione dell'estetica fu quella relativa alla morte dell'arte: dal "come"
l'esperienza estetica potesse costituirsi in rappresentazione di senso e di significati, fino ai limiti
concettuali dell'impossibilità del senso nella comunicazione del messaggio artistico.
Rammento, e sottolineo, che già dal principio dell'ottocento, la rivoluzione romantica aveva
spezzato il paradigma fondamentale dell'arte classica per il quale l'opera doveva avere per
principio
ispiratore
la
rappresentazione
del
bello.
Dal romanticismo in poi il bello (ed evidentemente anche il brutto) cessarono di essere lo scopo
dell'arte,
riducendosi
al
ruolo
di
semplici
mezzi
espressivi.
Il fine dell'arte romantica divenne l'espressione di un senso, di un sentimento del mondo che poteva
veicolarsi attraverso il bello, il brutto, ma potenzialmente anche dell'orrido, del sublime, del tragico,
del vero o del vuoto (come poi accadde nelle molte correnti che da quel pabulum si svilupparono
nei
due
secoli
a
venire).
Dunque, in sintesi, noi possiamo certamente interrogarci sul fatto se il sentimento del bello sia
riconducibile a dei criteri comuni a tutti gli esseri umani oppure no: cioè se esso possa dirsi, in un
certo senso, "oggettivo" oppure no (meglio, e più appropriato sarebbe tuttavia il termine
"universale").
Ma sull'oggettività dell'estetica non vi è discussione possibile: ciò che la rende tale rende possibile il
fatto stesso che noi ce lo possiamo comunicare, e che possiamo attingere ad un (qualsiasi)
linguaggio.
Etica
Etica, dal greco ethos ("condotta", "carattere"). L'etica è la disciplina che si occupa di considerare e
valutare l'insieme degli atti che costituiscono la condotta (l'agire) dell'individuo.
Fenomeno
Fenomeno, dal greco phainomenon, participio presente di phainomai ("io appaio"). Il fenomeno è
ciò che in una cosa appare ai sensi e alla coscienza. Il fenomeno è dunque l'aspetto percepito di un
qualcosa che si manifesta alla percezione, sia essa fisica che psichica.
Edmund Husserl fonda la fenomenologia come scienza dei fenomeni, intesi come accadimenti che
giungono alla percezione nei modi e nei limiti entro cui si manifestano.
Filosofia
Deriva dal greco, ‘Philein’ Che significa ‘amare’ e ‘Sophia’ che significa ‘sapere’; significa quindi
‘amore per il sapere’. La filosofia è una forma di indagine razionale. Le dottrine filosofiche sono
prodotto di chi le elabora ed esse possono essere discusse e eventualmente sostituite con altre più
convincenti.
Finalismo
Secondo la concezione finalistica
la natura e Dio coincidono, quindi Dio è in ogni cosa.
Forma
Nel significato ordinario è la disposizione esteriore delle parti di un corpo, una qualità delle
sostanze sensibili, specialmente viventi, secondo la quale si dicono formose o deformi (Aristotele,
Cat., 8, 10a-12). Nella riflessione filosofica con forma si indica il principio che determina l'essenza
e la struttura dell'essere come tale: allora è detta causa delle cose e “specie” per eccellenza .
Gnoseologia (teoria della conoscenza)
Disciplina filosofica che studia i limiti della conoscenza, le sue potenzialità, i suoi criteri e le
giustificazioni, la natura della verità, l'esistenza del mondo esterno e lo scetticismo in generale, il
relativismo.
Primi
filosofi:
Platone,
Aristotele,
Gorgia,
Protagora;
Filosofi
moderni:
Locke,
Hume,
Cartesio,
Kant,
Berkeley;
Filosofi contemporanei: Davidson, Putnam, Wittgenstein (con la sua "Della Certezza"), Austin,
Quine,
Strawson,
...
Sinonimi di "gnoseologia" (dal greco gnosis, "conoscenza" e logos, "discorso") sono "teoria della
conoscenza" e, in particolare nella cultura anglosassone, il termine "epistemologia".
Idea
Nell’antichità di Platone era considerata un’entità perfetta e immutabile di carattere divino e che
quindi non era generato dall’intelletto. Il concetto di idea è stato introdotto da Platone, secondo il
quale tutto ciò che appartiene al mondo delle idee, immutabili, eterne e perfette. Le idee di Platone
vivono
in
un
mondo
a
parte,
detto
iperuranio.
Immanenza
Immanenza, dal latino in- ("dentro") e manere ("restare"); ovvero, "restare dentro". Immanente è ciò
che rimane entro i propri limiti e le proprie qualità, ciò che ha la peculiarità di avere dentro di sé
ogni possibile causa e ogni effetto, ogni possibilità dentro di sé e nessuna possibilità al di fuori
Induzione
Induzione, dal latino in- ("dentro") e ducere ("condurre"); ovvero, "portare dentro".
Processo logico inverso alla deduzione, in cui dall'osservazione di molti casi particolari si fa
derivare una legge di carattere generale (passaggio dal particolare all'universale). Karl Popper
definisce due tipi di induzione: per enumerazione e per esclusione. Nella prima, la formulazione del
principio universale è conseguenza dell'osservazione della frequenza regolare di un certo numero di
eventi, nel secondo caso, dato un insieme di teorie prese in considerazione entro un certo lasso di
tempo, si considera valida quella che sopravvive alle altre, previa confutazione.
Esempio
di
in uno stagno ci sono solo cigni bianchi, dunque tutti i cigni del mondo sono bianchi.
induzione:
Il carattere fallibile di un certo numero di osservazioni seppure reiterate, porterà Popper a criticare il
principio induttivo come argomento sul quale si intendono fondare leggi di carattere universale.
Innatismo
Innatismo, dal latino in- (“dentro”) e natus (“nato”), ovvero “entro la nascita”. Il termine designa
ogni atteggiamento filosofico che affermi la presenza di conoscenze acquisite già prima della
nascita, indipendentemente dai dati appresi dall'esperienza. La dottrina è quindi presente già in
Platone (anamnesi) e in molti altri pensatori (importante il concetto di conoscenza a priori in
Kant), mentre è generalmente negata dagli empiristi inglesi (si veda il concetto di tabula rasa in
Locke).
Intelletto e ragione in Kant
Quali sono le differenze che Kant pone tra Intelletto e Ragione? La principale differenza sta nella
funzione che esse svolgono sul piano conoscitivo: se l’Intelletto applica le categorie ai dati delle
impressioni (ed è quindi fortemente connesso con i sensi) al fine di avere delle rappresentazioni
spazio-temporali che costituiscono il contenuto della conoscenza e la sua organizzazione, la
Ragione è invece quell’elemento che interviene per sintetizzare tutte queste rappresentazioni in
pensieri astratti, collegandole tra loro in una rete capace di ridurre a “unità” o “totalità” un certo
contenuto. Ne deriva che l’uso della Ragione è perfettamente funzionante SOLO all’interno di dati
intellettivamente organizzati, e cioè che siano un insieme di rappresentazioni (impressioni + attività
dell’intelletto). Quindi, la Ragione è in grado di formulare pensieri aventi un reale senso conoscitivo
solo in questi casi, mentre ne sono esclusi tutti quei pensieri puramente astratti (senza il minimo
appiglio intellettivo) quali Dio, anima, mondo, etc.
Intellettualismo etico
La filosofia di Socrate si basava, sui cosiddetti ‘paradossi socratici’, ovvero che il bene era la
conoscenza, il male l’ignoranza, e chi conosceva il bene non poteva commettere il male. Questi suoi
dogmi sono stati definiti intellettualismi etici. Socrate intendeva die che la conoscenza ha un
orientamento pratico ed esistenziale. Socrate intende che la filosofia è quasi uno stile di vita e che
col ragionamento si può giungere a trovare la giusta strada.
Io Penso Kantiano
E’ una struttura formale che non crea la natura o gli oggetti, ma da un ordine agli oggetti
attraverso le 12 categorie. L’Io Penso è dunque la suprema entità unificatrice delle categorie.
Io Puro (Fitche)
Non è condizionato da elementi empirici. Gli oggetti e la natura (non io) sono creati dall’ Io Puro
che quindi si autopone. L’Io Puro è infinito (attività creatrice infinita). Esso ha bisogno della natura
perché è la scena in cui l’Io può agire: fra l’ Io e la Natura vi è quindi un rapporto dialettico che
consente all’Io di superare tutti gli ostacoli.
Logica
Logica da "logos" parola greca che significa: discorso, ragionamento. E’ lo studio delle leggi del
pensiero umano. La logica, che ha il compito di definire le forme del giudizio e della verità, è
capace di dare un’idea adeguata delle realtà che esprime e interpreta; essa, scrive Husserl in Logica
formale e trascendentale, è "la scienza a priori della scienza in generale", a sostegno delle scienze;
queste, in epoca moderna, hanno perduto il genuino significato che avevano nella civiltà classica.
Nella storia della filosofia si sono avuti tre tipi di logica: la logica come teoria del significato
("grammatica logica"); la logica analitica, come teoria delle espressioni non contraddittorie
("matematica"); la logica trascendentale, come teoria dell’adaequatio tra verità e realtà ("logica
ontologica").
Materia
Secondo il significato più comune, materia dice tutto ciò che è esteso e l'insieme dei corpi estesi.
Nel significato tecnico (di origine aristotelica e scolastica) denota ciò che in un essere rappresenta
l'elemento potenziale, indeterminato, in opposizione alla forma che rappresenta l'elemento della
determinazione e attuazione. Nell'uso moderno si oppone sia a forma sia a spirito.
Meccanicismo
La concezione meccanicistica di Cartesio e Kant è legata al concetto di corpo e moto.
Metafisica (o filosofia prima)
Essenzialmente due parole: Meta e Fisica. Meta significa cambiamento, trasformazione e l'al di là.
Fisica è la scienza che tratta le proprietà, i cambiamenti, le interazioni, ecc., della sostanza e
dell'energia.
Essa
indaga
i
principi
essenziali
della
realtà.
La metafisica quindi, esamina le cose al di là della materia e dell'energia. Fa pure riferimento a quel
ramo della filosofia che cerca di spiegare la natura dell'essere, della realtà e la filosofia speculativa
in generale.
La metafisica è la disciplina che intende studiare le cause e il "perché" di ogni cosa, andando oltre
la semplice considerazione dei dati empirici per indagare i principi primi che generano e
determinano
le
cose
esistenti.
La metafisica, secondo Aristotele, è la scienza prima, poiché essa si rivolge allo studio non di un
determinato ente, ma allo studio di ogni ente in quanto ente, ovvero lo studio delle qualità generali e
comuni ad ogni ente (cosa esistente)
Necessità
Questo termine, o meglio l’aggettivo ‘necessario’, è stato usato da Parmenide per definire una delle
caratteristiche principali dell’essere. Infatti, l’essere è necessario in quanto è e non può essere
diverso
da
ciò
che
è.
E’
l’opposto
di
‘possibile’.
Nominalismo
Il nominalismo è la dottrina filosofica per cui solo le individualità hanno sostanza reale, mentre i
concetti generali che definiscono le singole individualità non possiedono alcuna sostanza ma
costituiscono solamente i nomi degli insiemi ai quali gli individui appartengono, nomi ai quali non
corrisponde alcuna sostanza concreta.
Noumeno
Noumeno, dal greco noumenon, "ciò che è pensato", da nous ("mente"). Nel sistema di Kant, il
noumeno è il pensiero della "cosa in sé". La realtà della cosa in sé rimane inconoscibile
all'intelletto, tuttavia viene pensata. Questo pensiero di una realtà inaccessibile ma comunque
pensata è il noumeno. Vedi Cosa in sé
Olismo
Olismo, dal greco olos ("tutto, intero"). L'olismo è la teoria secondo cui l'intero è un tutto superiore
rispetto alla somma delle sue parti. L'intero riveste quindi un significato diverso o superiore rispetto
a quello delle singole parti prese autonomamente.
Ontologia
Indagine intorno all’essere.
Panteismo
Panteismo, dall'inglese pantheism, composto dalla particella greca pan- ("tutto") e theos ("dio"). La
dottrina filosofica per cui tutta la realtà è formata dalla stessa sostanza divina. Da ciò ne deriva che
la natura, intesa come creazione e come condizione di esistenza di ogni cosa, è essa stessa Dio.
Possibilità
Questo termine, anzi l’aggettivo ‘possibile’, è stato usato da Parmenide per definire una delle
principali caratteristiche del non essere.
Il non essere è possibile in quanto non è e può essere diverso da ciò che è. E’ l’opposto da
necessario.
Postulato
Postulato, dal latino postulare, forse da poscere ("chiedere"). Il postulato è qualsiasi affermazione
non dimostrata e non evidente che viene comunque presa per vera in modo da fondare una
dimostrazione o un procedimento che altrimenti risulterebbe incongruente.
Pragmatismo
Pragmatismo,
dal
greco
pragma,
da
pragmatos
("fatto").
Corrente filosofica che si presenta come reazione all'intellettualismo dell'Ottocento, assumendo, di
fronte al fallimento della ragione in ordine ai problemi metafisici, la pratica quale criterio di
verifica. Il pragmatismo si sviluppò tra la fine del secolo scorso e il primo ventennio del sec. XX,
particolarmente nell'area culturale americana e anglosassone, ma ebbe vasti riflessi anche sul
pensiero europeo continentale e segnatamente in Italia. Le tesi fondamentali del pragmatismo come il termine stesso - furono introdotte dal filosofo americano C. S. Peirce, uno dei suoi
maggiori rappresentanti; egli riconduce il problema gnoseologico a un atteggiamento pragmatico
che è la vera fonte di ogni attività conoscitiva: per Peirce la conoscenza di una cosa è strettamente
collegata all'interesse pratico e concreto che la cosa per noi presenta, e l'idea che ce ne facciamo
non è che l'insieme, la somma delle idee che la cosa suscita per il nostro interesse pratico. Questo
atteggiamento conoscitivo sarebbe l'unico genuino modo di cogliere il senso delle cose e degli
oggetti, lasciando da parte tutte quelle formulazioni teoriche e astratte che tale senso appunto
finiscono per smarrire. La preoccupazione principale dei Peirce, dunque, è quella di stabilire una
teoria del significato. Diverso invece il punto di vista dell'altro grande del pragmatismo americano,
W. James, che sostiene una generale superiorità della pratica sulla teoria, e quindi stabilisce un
criterio utilitaristico per giudicare della verità delle proposizioni scientifiche e filosofiche.
Scendendo dai principi generali ai problemi particolari, il pragmatismo si sofferma sull'esistenza di
Dio e sull'immortalità dell'anima: finché ci si ferma alle argomentazioni razionali - ragiona il
pragmatista - non si va oltre il vuoto d'inerti tautologie, ma quando dall'accettazione del concetto di
Essere assoluto discendono effetti positivi per la pratica della nostra vita morale e sociale, allora
l'uomo accetta l'esistenza di Dio; e così è pure per l'immortalità dell'anima: essa è ammessa non per
gli argomenti di una certa psicologia razionale, ma piuttosto per l'energia che sa imprimere alla
nostra vita morale e sociale, si ha cioè una "volontà di credere", che orienta il nostro giudizio. A
questa prospettiva di un pragmatismo "magico-fideistico" aderì in Italia G. Papini nel periodo del
Leonardo, mentre G. Vailati e M. Calderoni si attestarono sul pragmatismo di Peirce e Dewey,
sottolineando il suo carattere positivistico. Non trascurabile fu anche l'influenza esercitata dal
pragmatismo
sulla
formazione
dell'esistenzialismo
di
Abbagnano.
Fuori d'Italia il pragmatismo s'inserì nell'ampia corrente antintellettualistica in Francia con il
"contingentismo" di Boutroux, con il "convenzionalismo" di Poincaré e con l'intuizionismo di
Bergson; in Germania con l'empiriocriticismo di Mach e Avenarius; in Inghilterra con
l'"umanismo" di F. G. C. Schiller.
Ragione
Ragione, dal latino rationem ("capacità di calcolo e di valutazione"). La ragione è la facoltà di
mettere in relazione tra loro e nel modo corretto fatti e considerazioni. Per estensione, la ragione
viene anche usata in sostituzione del termine "logica", per cui viene ad acquisirne le stesse qualità.
Perché vi sia ragione occorre quindi che vi sia una valutazione comparata di fatti e considerazioni
diverse, da qui il naturale collegamento con la radice etimologica "calcolo", ovvero facoltà di
mettere in relazione tra loro grandezze diverse
Razionalismo
Razionalismo, dal latino ratio ("calcolo, ragione"). L'atteggiamento filosofico per cui le verità sono
dedotte attraverso l'uso della sola ragione e della sola logica, escludendo l'esperienza.
Relativismo
Questo termine identifica in generale ogni termine che non ammette verità assolute nel campo della
conoscenza
o
principi
immutabili
in
campo
morale.
I sofisti sono i primi a utilizzare questo termine e a seguire questa filosofia. Ci sono diversi tipi di
relativismo. Il relativismo etico è l’opinione secondo cui non c’è un bene assoluto, ma il bene
dipende dal punto di vista di ciascuno. Il relativismo gnoseologico invece è riferito alla conoscenza,
per i sofisti, infatti, non esiste una sola verità ma ne esistono molte, contrariamente a Socrate, per il
quale esiste una sola verità, ovvero ‘vera per tutti’.
Sostanza
Sostanza, dal latino sub ("sotto") e stantia ("stare"); ovvero "stare sotto", "sorreggere". Ciò che non
ha bisogno di nient'altro per esistere poiché essa stessa sorregge e soggiace ("sta sotto") all'esistenza
delle cose e degli enti. La sostanza è dunque quella caratteristica peculiare di ogni cosa esistente
senza la quale essa non potrebbe esistere come è entro i limiti della sua determinazione.
Può indicare tanto la realtà effettiva e concreta cioè singolare (la “sostanza prima” della
terminologia aristotelica), quanto l'essenza, sia nella sua struttura metafisica come nel suo contenuto
nozionale
e
logico
o
anche
il
“questo”
particolare
e
il
“cos'è”
.
Per sostanza s'intende quindi il modo “principale” di essere, e quindi la prima categoria del reale,
fondamento, causa e sostrato degli accidenti sia propri come comuni.
Tabula Rasa
Tabula rasa: voce latina che significa letteralmente "tavola raschiata", con riferimento alle tavolette
di cera incise con segni utilizzate nell'antichità, segni che risultavano cancellati una volta raschiate
le incisioni. Il concetto, già utilizzato da Eschilo e da Platone, che indica ogni condizione in cui la
coscienza sia priva di qualsivoglia conoscenza innata, comunemente a un foglio bianco che attende
di essere ricoperto da segni. Il termine verrà poi riproposto da Locke per indicare, nell'empirismo,
la condizione che vuole la coscienza dei neonati priva di qualsiasi concetto innato, concetti che
verranno appresi solamente in forza dei dati dell'esperienza che giungeranno alla mente nel corso
dello sviluppo.
Trascendente - Trascendenza
Trascendente, dal latino transcendere, composto da trans- ("oltre") e scandere ("salire").
La qualità di ciò che va oltre i propri limiti, in opposizione a "immanenza". Il termine è stato più
volte attribuito al principio divino, soprattutto nella filosofia neoplatonica e nella teologia cattolica,
ad indicare la distanza che separa Dio dalle sue creature. Già in Platone il termine indica il rapporto
che sussiste tra il mondo sensibile e le idee dell'Iperuranio, che si pongono appunto "aldilà" del
realtà fisica. Trascendenti sono dunque poi quelle qualità che ineriscono al soggetto provenendo da
altro rispetto ad esso, o ciò che accomuna un insieme di concetti, trascedendone la diversità (in
questo
caso
il
termine
assume
il
significato
di
"universale").
Con il termine "coscienza trascendentale", utilizzato da Kant, si indica invece la coscienza pura,
aprioristica (che si pone prima di ogni cosa), che trascende il vincolo con la realtà materiale perché
data indipendentemente da essa. Kant afferma che trascendentale è ogni conoscenza già presente
nell'uomo, e in particolare le modalità aprioristiche della coscienza attraverso le quali
comprendiamo gli oggetti della realtà ("chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa, non
degli oggetti ma del nostro modo di conoscere gli oggetti").
Trascendentale (nella Scolastica, in Kant e nell’Idealismo)
Il termine trascendentale, usato per la prima volta nella Scolastica e specificamente in Tommaso
d'Aquino, voleva significare il riferimento a ciò che è massimamente universale. San Tommaso lo
applicava, cioè, a quei concetti che hanno una loro universalità, quali ad esempio verità e bontà:
questi, in un primo grado di universalità, si riferiscono concretamente a tutti gli esseri umani, ma se
elaborati teoricamente dall'intelletto e dalla volontà di un essere perfetto come Dio, acquistano, per
così dire, una "somma universalità" che si esprime, appunto, nel termine trascendentale.
In Kant il termine trascendentale passò a significare il meccanismo "formale" della conoscenza, a
prescindere cioè dal contenuto di essa. Kant infatti vuole spiegare non che cosa si conosce, ma
come avviene la conoscenza, ossia definire i presupposti teorici che rendono possibile la
conoscenza. Essa è per un verso passiva, in quanto si basa su dati sensibili che noi acquisiamo,
appunto, passivamente ma, per altro verso, è attiva, poiché siamo dotati di "funzioni trascendentali",
di modi di funzionamento dell'intelletto che automaticamente si attivano nel momento stesso in cui
riceviamo i dati sensibili. Nel caso del primo grado del conoscere, l'intuizione, noi mettiamo
istantaneamente in azione le funzioni di spazio e tempo; cioè discriminiamo, selezioniamo
attivamente i dati sensibili nello spazio e nel tempo. Questi modi di funzionamento della
conoscenza sensibile non sono un'attività ulteriore che noi mettiamo in esecuzione, ma peculiarità
specifiche del nostro stesso intelletto. Kant inoltre afferma che le funzioni trascendentali hanno
caratteristiche di "necessità" - poiché la nostra ragione le mette necessariamente in azione tanto che
anche se volessimo non potremmo fare a meno di usarle -, e di "universalità", perché appartengono,
allo stesso modo, a tutti gli uomini dotati di ragione. Dette funzioni - spazio e tempo, nel caso
dell'intuizione -, sono dunque da sempre presenti prima ancora di ricevere il primo dato sensibile, in
quanto non sono altro che il modo di funzionare della nostra ragione. Infatti entrano subito in azione
non appena si riceve il primissimo dato sensibile. Esse non vanno confuse con gli "universali"
ricavati dall'esperienza, perché sono presenti prima dell'esperienza e non vanno neppure identificate
con le idee innate, le quali si presentano dotate di un contenuto (come ad esempio l'idea innata di
Dio), che le funzioni, invece, non ne hanno. Possiamo dunque affermare che esse sono a priori,
precedono, cioè, l'esperienza, ovvero la "trascendono", in quanto "stanno al di là" dell'esperienza
stessa; ma allo stesso tempo sono "immanenti", in quanto esse diventano reali, acquistano valore
effettivo, e il loro funzionamento da potenziale diviene attuale, solo quando si "incarnano" con i
dati sensibili. Pertanto, si potrebbe definire il "trascendentale" come una sintesi di "immanente" e
"trascendente".
Il termine "trascendentale" venne ripreso dagli idealisti Johann Gottlieb Fichte e Schelling come
sinonimo di funzionale o costitutivo, per designare il loro stesso idealismo: l'idealismo è per costoro
un postulato filosofico da ammettere a priori, tramite intuizione intellettuale, necessario al
costituirsi non solo della conoscenza umana, ma (a differenza di Kant) anche della realtà oggettiva.
Fichte riconosceva infatti a Kant il merito di essersi avvicinato alla concezione idealistica con la
dottrina dell'"io penso", o "appercezione trascendentale", che rimaneva, però, un principio formale
della realtà. L'idealismo trasforma l'io penso in un principio costitutivo, materiale, della realtà
stessa. Trascendentale è, dunque, l'atto con cui l'Io crea il mondo. Questo atto non può essere
dimostrato per via razionale, ma va presupposto all'inizio con un atto intuitivo-intellettuale in
questo senso trascendentale: forma e contenuto, trascendente e immanente, prima della creazione
della realtà (autocoscienza) e contemporaneamente coincidente con essa (autocreazione).
Universali (disputa degli universali)
Nella filosofia medievale il problema degli universali è uno dei temi più dibattuti: riguarda l'essere
dei concetti generali che possono essere predicati di più individui. Questo dibattito pone il problema
del rapporto fra pensiero, linguaggio e realtà: i concetti e i termini con cui li esprimiamo sono in
grado di rispecchiare l'essere e la struttura della realtà? Esiste l'uomo in generale o esistono solo i
singoli individui? I maestri medievali si chiedono se gli universali esistono solo come concetti della
mente o se esistono anche nella realtà. In questo caso, se esistono separati dalle cose, come le Idee
platoniche, oppure sono nelle cose stesse, come le forme aristoteliche. Le numerose soluzioni
proposte si possono ricondurre a due tipi fondamentali: quella realistica (che afferma l'esistenza
degli universali nella realtà) e quella nominalistica (che li ritiene esistenti solo nell'intelletto umano,
per cui ciò che esiste realmente è solo singolare). Realismo e nominalismo possono a loro volta
distinguersi in due tendenze, una estrema e una moderata.
Il realismo estremo, professato, fra gli altri, da Gugliemo di Champeaux (1070-1122), afferma la
realtà sostanziale dell'universale prima e separatamente da ciascun individuo, come idea perfetta o
modello eterno nella mente divina. Ogni universale è presente interamente in ciascun individuo (per
esempio: l'universale "umanità" rimane uno e identico in tutti gli individui, a cui si aggiungono in
un secondo tempo qualità accidentali diverse in ogni singolo individuo).
Il realismo moderato, professato da Boezio e sostenuto anche da Tommaso d'Aquino, è una
soluzione di tipo aristotelico, in base alla quale gli universali esistono negli individui come forma
intrinseca. Essi esistono, ma non come sono pensati, ossia come universali; sono incorporei, ma
uniti alle cose corporee, sebbene siano concepiti separatamente dalle cose sensibili.
Il nominalismo estremo, solitamente attribuito a Roscellino di Compiègne (1050-1120), sostiene
non solo che nessun universale può esistere nelle cose, ma anche che nessun universale esiste nella
mente dell'uomo. L'universale si riduce così a flatus vocis, a una pura emissione di voce, senza
alcun corrispettivo nella realtà.
Il nominalismo moderato, o concettualismo, afferma la non esistenza dell'universale nelle cose,
ma solo nella mente. Secondo Abelardo, gli universali sono dei segni mentali, dei sermones
(discorsi, parole), ossia delle parole con significato. L'universale è un nome che designa l'immagine
confusa estratta dal pensiero da una pluralità di individui di natura simile. Gugliemo di Ockham
arriva a identificare l'universale con il nostro stesso atto di intendere la realtà.
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