Pagina 1 di 2 “Il Festivaliero” – Le sublimi note di Haydn e di Ravel

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EphaiStion
"Non vi siete sbagliata, madre, ché
anche lui è Alessandro" (Curzio Rufo).
“Il Festivaliero” – Le sublimi note di Haydn e di Ravel inaugurano i Concerti di Mezzogiorno
dello Spoleto Festival.
Postato il 30 giugno 2011 da EphaiStion
Nella consueta sede del Teatro Caio Melisso i concerti per archi di Haydn e di Ravel, magistralmente eseguiti dai musicisti del Quartetto Mitja,
hanno felicemente aperto il tradizionale spazio musicale dei Concerti di Mezzogiorno che, con cadenza pressochè quotidiana, scandisce la vita
artistica delle giornate festivaliere spoletine.
Il programma del concerto inaugurale ha previsto nel dettaglio l’esecuzione del
Quartetto per archi Opus n.20, n. 5 in Fa minore, Hob.III:35 del compositore
austriaco Franz Joseph Haydn (Rohrau, 1732 – Vienna, 1809) ed il Quartetto per
archi in Fa maggiore del musicista e pianista francese Joseph-Maurice Ravel
(Ciboure, 1875 – Parigi, 1937). Nel vasto ambito del panorama musicale europeo la
scelta di questi brani e, soprattutto, di questi autori ha lodevolmente offerto alla platea
degli ascoltatori la possibilità di apprezzare l’evoluzione del genere classico del
quartetto per archi dal suo creatore, Haydn, alla sua seriore evoluzione influenzata dal
L’ensamble napoletano Mitja al Festival dei Due Mondi di
Spoleto. Giorgiana Strazzullo, primo violino, Sergio Marinoli,
secondo violino, Carmine Caniani, viola, Andrea D’Angelo,
violoncello
magistero musicale di Fauré. Il maestro austriaco, invero, può essere a tutti gli effetti
ricordato come il padre di questo genere. Egli affrancò definitivamente questa forma
musicale dalla sua originaria funzione di musica d’occasione e di intrattenimento
leggero e la portò ad un elevatissimo grado di perfezione di scrittura nel pieno rispetto
dell’equilibrio fra le diverse parti di ogni composizione, sia nell’importanza crescente delle voci intermedie, sia nel dialogo paritario fra i quattro
strumenti ad arco. Una bilanciata stabilità, quella di Haydn, che ben si percepisce nella variazione di melodie semplici ed orecchiabili e nelle
armonie melodiche di andamento indipendente fra loro in andamento fugato. Il quartetto haydniano in questione è parte integrante dell’Opus n.20,
una raccolta composta nel 1772 comprendente sei quartetti o divertimenti, altrimenti noti anche come “quartetti del Sole” o “Sonnenquartette”. In
questi componimenti, tutti a loro volta suddivisi in quattro movimenti – I Allegro o Moderato, II Minuetto o Adagio, III Tempo Lento o Minuetto,
IV Finale (Presto o Allegro) – Haydn colloca talvolta una Fuga nel Finale, come nel nostro caso, ad esempio, in cui una Fuga a 2 soggetti
conclude la sequenza. Il ben più tardo Quartetto in Fa maggiore venne ultimato da Ravel nel 1903 con una dedica al suo “caro maestro” Gabriel
Urbain Fauré (Pamiers, 1845 – Parigi, 1924) in una fase giovanile della sua carriera di musicista. Esso è suddiviso nei canonici quattro movimenti
– I Allegro moderato, Fa maggiore; II Assez Vif, très rytmé, La minore; III Très lent, Sol bemolle maggiore; IV Vif et agité, Fa maggiore – e
risente degli influssi impressionistici del tempo e della musica del compositore coevo Claude-Achille Debussy (Saint-Germain-en-Laye, 1862 –
Parigi, 1918). Il quartetto di Ravel denota soprattutto punti di contatto con il Quartetto debussiano Opus n.10, di dieci anni precedente, nelle
identiche indicazioni di movimento, nella posizione al secondo posto dello Scherzo e nell’uso di alcune tecniche esecutive come il pizzicato in 2 e
6. Significativa di una vicinanza tra i due compositori che andò oltre le similitudini stilistiche, fu l’attestazione di stima che lo stesso Debussy fece
al giovane Ravel, intervenendo a suo favore in occasione della richiesta da parte del maestro Faurè di modificare il finale del Quartetto: «Nel
nome degli dèi della musica e nel mio nome, non toccate una sola nota di quelle che avete scritto nel vostro Quartetto». Il Quartetto raveliano,
tuttavia, nella sua solarità positiva e nel suo carattere decisamente più ‘diurno’ si discosta sensibilmente dalle nuages, dalle pluies e dai toni
notturni drammatici, sofferentemente fin de siècle, propri dell’opera di Debussy. Un’ulteriore peculiarità del componimento di Ravel – come ha
acutamente osservato il musicologo Stefano Bianchi – è costituita dallo stesso disegno melodico che circola da un movimento all’altro, in
ossequio agli ideali di ciclicità del compositore ed organista francese César Franck (Liegi, 1822 – Parigi, 1890): il finale riprende due motivi dei
movimenti precedenti e marcatamente il secondo tema del primo tempo mentre la coda, a sua volta, ripropone l’inciso d’apertura. Encomiabile e
degna di plauso è stata l’interpretazione dell’ensamble napoletano Mitja, nelle persone dei musicisti Giorgiana Strazzullo, primo violino, Sergio
Marinoli, secondo violino, Carmine Caniani, viola ed Andrea D’Angelo, violoncello, a cui va riconosciuto il merito di aver saputo restituire
fedelmente gli originari intenti compositivi degli autori sulla base di una solida e pluriennale esperienza che si esplica nella padronanza di un
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ampio repertorio che annovera, tra gli altri, anche i quartetti per archi di Dimitri Shostakovich (San Pietroburgo, 1906 – Mosca, 1975) – a cui si
ispira direttamente nell’imposizione del suo nome che corrisponde al diminutivo del musicista russo – ed i celebri quartetti di Wolfgang Amadeus
Mozart (Salisburgo, 1756 – Vienna, 1791).
Stefano Pascucci -EphaiStion
Album fotografico.
L’ensamble napoletano Mitja al Festival dei Due Mondi di
Spoleto.
L’ensamble napoletano Mitja al Festival dei Due Mondi di
Spoleto.
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