Quali parametri si ricavano dall'analisi dinamico-meccanica di un polimero e quali sono i loro significati? L’analisi dinamico meccanica è un metodo di indagine non distruttivo che misura la deformazione di un materiale viscoelastico in risposta ad una sollecitazione meccanica periodica. Imponendo una deformazione sinusoidale, sarà: Con angolo di sfasamento σ(t)=ε0∙E1∙sin(ωt)+ε0∙E2∙cos(ωt) δ tale che: tan(δ)=E2/E1 Inoltre: E1 è spesso chiamato “storage modulus” (modulo conservativo) perché può essere identificato con la componente elastica della deformazione in fase: i materiali elastici immagazzinano energia durante la deformazione e la rilasciano tutta durante lo scarico. Fornisce una misura della rigidità del materiale. La componente E2 è spesso chiamata “loss modulus” (modulo dissipativo) dal momento che offre una misura dell’energia dissipata durante ciascun ciclo. Indica la quantità di energia meccanica associata alla sollecitazione che viene dissipata sotto forma di calore. La tangente dell’angolo di sfasamento δ è detta fattore di perdita ed è una misura della frizione interna: è proporzionale al rapporto tra l’energia dissipata sotto forma di calore e l’energia potenziale immagazzinata nel corso di un ciclo completo di sollecitazione. Il picco del modulo E2 e della tan(δ) possono essere correlati alla transizione del materiale da uno stato gommoso ad uno vetroso (Tg); inoltre in corrispondenza di un fenomeno di rilassamento (cioè di dissipazione di energia meccanica) mentre lo storage modulus E2 e tan(δ) mostrano un massimo, E1 subisce una variazione “a scalino” più o meno brusca. Quali sono in fenomeni che si verificano sulla superficie di un biomateriale dopo l'impianto? A livello della superficie del materiale, i fenomeni conseguenti l’impianto in ordine temporale si possono così riassumere nel modo seguente: adsorbimento superficiale di proteine adesione cellulare attivazione cellulare La natura dello strato proteico adsorbito dipende dalle proprietà e dalla topografia di superficie del materiale/dispositivo, dalle proprietà delle proteine presenti nei fluidi circostanti e dalla organizzazione delle proteine adsorbite. L’adesione e l’attivazione cellulare sono invece dipendenti dal tipo di proteine adsorbite, dalla loro conformazione e dal successivo riarrangiamento dello strato proteico adsorbito. L’interazione con le cellule (mediata in vivo dalla tipologia dell’assorbimento proteico) può essere: adesione specifica, mediata da recettori (es.: fibronectina innestata espone RGD. Performance altamente specifica); non specifica, non mediata da recettori (es.: monociti che si convertono in macrofagi, formazione di cellule giganti, aumento di fibroblasti); superficie non adesiva, interazione debole (le cellule non aderiscono e quindi non si attivano, minima reazione da corpo estraneo); cellule incluse in un gel deposto in superficie (es.: colture cellulari, coating superficiale di PHEMA. Attività fisiologica normale). Descrivere i meccanismi tipici dei polimeri a memoria di forma e fornire almeno un esempio per ognuno di questi. I polimeri a memoria di forma sono materiali avanzati ad alta prestazione che occupano un posto di rilievo tra gli smart materials, i cosiddetti materiali intelligenti che sono in grado di variare una delle loro proprietà in risposta all’applicazione di un particolare stimolo. Un tipico materiale a memoria di forma è la gomma: a T ambiente si espande sotto sforzo e ritorna allo stato iniziale rimuovendo il carico; a bassa temperatura (T<Tg) non possiede proprietà elastiche (E elevato) e rimuovendo il carico il materiale rimane nella configurazione deformata; ad elevata temperatura (T>Tg) il materiale è in grado di recuperare la forma originaria (E basso), infatti le catene posso scorrere rimanendo comunque vincolate dai ponti di reticolazione. L’effetto di memoria di forma può essere governato da calore, luce e agenti chimici. I materiali termocromici mostrano variazione del colore in funzione del calore, fornendo energia termica il materiale varia quindi la propria colorazione; i materiali fotocromici cambiano colore quando sono irraggiati da una sorgente luminosa, il colore originale viene recuperato rimuovendo la sorgente luminosa; i polimeri a memoria di forma in grado di variare la propria forma al variare della temperatura, sono utilizzati per cateteri, sistemi di rimozione di coaguli, materiali porosi per occlusione di aneurismi cerebrali, lenti a contatto morbide, stent polimerici, riempitivi di lacune ossee. Protesi mammarie, problematiche più frequenti e rimedi. Tra le problematiche più frequenti a cui vanno incontro le protesi mammarie troviamo hematoma, contrattura capsulare, rottura del guscio, reazione infiammatoria cronica, bleeding siliconico, infezioni e calcificazione. La contrattura capsulare consiste nella comparsa di una capsula fibrotica che riveste la protesi e determina un indurimento della stessa e di tutti i tessuti circostanti. Il bleeding consiste nell’essudazione di macromolecole siliconiche che generano una reazione infiammatoria cronica. In ambito industriale il rimedio principale per ostacolare la formazione della capsula fibrotica consiste nella texturizzazione, un processo che mira a rendere rugosa la superficie della protesi per ostacolare la formazione della fibrosi. A questo scopo venivano inizialmente utilizzati dei rivestimenti poliuretanici, poi abbandonati perché ritenuti tossici e cancerogeni; ora si utilizzano dei cristalli di sale pressati sulla superficie protesica per ottenere microrugosità. Per ostacolare il bleeding e la migrazione di molecole siliconiche sono stati progettati copolimeri fluoro-silicone, inoltre sono state realizzate protesi saline che però hanno mostrato svantaggi in termini di stabilità della forma, per questo sostituite dalle protesi a doppio lume. Quali sono i materiali utilizzati per la realizzazione delle protesi vascolari di medio e grosso calibro? Perchè? Le protesi vascolari sono dei dispositivi medici atti al ripristino dell’efficienza vascolare (trasporto corretto del sangue). I tessuti impiegati per la realizzazione di protesi vascolari variano a seconda del diametro del vaso ematico; infatti per le protesi di vasi di medio o grosso calibro (diametri interni superiori ai 7 mm) e cioè per l'aorta e le sue diramazioni (ovvero le arterie che originano dall'arco aortico e dalle arterie iliache), la velocità del flusso ematico è elevata e solo una piccola percentuale di sangue che fluisce attraverso il vaso viene a contatto con la parete, per cui i fenomeni trombotici sono meno drammatici; dunque in questi casi si impiegano tessuti (Dacron, PET) ed espansi (Goretex, PTFE). Le protesi realizzate in DACRON (polietilentereftalato) sono le più usate nella chirurgia vascolare periferica per la sostituzione di vasi di medio e largo calibro. Gli impianti in posizione aortica e iliaca hanno dato un follow-up di oltre 15-20 anni e successo a lungo termine con il 90% degli impianti . Lo sviluppo tecnologico è passato attraverso diverse generazioni e diversi concetti ed è in continua evoluzione. Tuttavia, non è possibile la realizzazione di protesi in Dacron di diametro inferiore a 8 mm per la facilità di occlusione per formazione di trombi. Si deve evitare che il tessuto del graft, una volta tagliato, si sfilacci, con peggioramento della situazione al sito di anastomosi. Le protesi woven sono meno porose. Bassa porosità porta ad elevata rigidità, con conseguente facilità di calcificazione. Si verifica un cattivo accoppiamento tra il vaso naturale e il graft sintetico, rigido. Il fallimento all'anastomosi è più facile. Le protesi realizzate nella forma espansa del PTFE (politetrafluoroetilene) (Goretex®, Impra®, ecc.) sono ben note ed ampiamente utilizzate per sostituire arterie di medio calibro (fino a 6-7 mm); con queste protesi si ottiene pervietà a lungo termine (in alternativa ai sostituti biologici). Nonostante le positive applicazioni cliniche la protesi in PTFE espanso presentano numerosi svantaggi: la scarsa compliance è ritenuta responsabile dell’iperplasia dell’intima all’anastomosi; l’assenza del lining di endotelio impedisce i processi riparativi fisiologici (healing) ed è una spiegazione dei fenomeni di colonizzazione batterica osservati sulla superficie luminale; la protesi è trombogenica in situazioni di scarso flusso. Per ovviare a questi inconvenienti si è tentato di modificare la superficie interna in senso di renderla più idrofila, oppure di trattare la protesi con carbonio pirolitico o anche mediante l’aggiunta di un supporto esterno rigido a spirale. Lenti intraoculari: funzioni, tipologie e materiali utilizzati. La funzione del cristallino o lente cristallina, è quella di permettere una efficace convergenza dei raggi luminosi provenienti dalla cornea e di facilitarne la messa a fuoco ottimale sulla superficie della retina, in particolare, nella fovea centralis. Per ottenere un tale obiettivo la lente deve essere necessariamente trasparente. La fotossidazione dovuta alla presenza di cromofori derivati dal triptofano, i quali promuoverebbero l’assorbimento di UVB e UVA con produzione di ossigeno, provoca una variazione dell’interazione reciproca delle proteine e ne determina una significativa opacizzazione (cataratta). L’espressione “chirurgia extracapsulare della cataratta” si riferisce a tecniche in cui viene asportata una porzione della capsula anteriore del cristallino (C), permettendo l’estrazione del nucleo (N) e della corticale della lente, lasciando intatta la rimanente capsula anteriore, la capsula posteriore ed il sostegno zonulare. Il primo passo di una qualsiasi delle tecniche extracapsulari è la rimozione della cataratta, mentre il secondo è l’impianto di una lente intraoculare (IOL). I materiali utilizzati e le tipologie di IOL sono: PMMA (polimetilmetacrilato): le caratteristiche positive che tuttora candidano il PMMA quale materiale assai popolare per un uso come impianto primario sono la perfetta trasparenza ed indice di refrazione. L’idrofobicità delle superfici, però, porta ad indesiderate adesività con cellule dell’endotelio cellule infiammatorie corneale nell’umor acqueo inficiandone la trasparenza IDROGELI (per IOL pieghevoli) Vantaggi: Chimici: resistenza alla degradazione ossidativa e da U.V.; Microbiologici: sterilizzazione in autoclave (no rischi residui da ossido di etilene); Biologici: ottima biocompatibilità; Clinici: minimo danno endoteliale; Meccanici: resistenza danni da YAG laser. Svantaggi: Distorsione ottica a causa di astigmatismo irregolare; Dislocazione della IOL a causa delle ridotte dimensioni. SILICONE (per IOL pieghevoli monopezzo e a 3 pezzi) Vantaggi: Chimici: materiale di facile lavorazione a costi più bassi del PMMA; Microbiologici: sterilizzazione in autoclave (no rischi residui da ossido di etilene); Biologici: buona biocompatibilità; Clinici: minimo danno endoteliale. Svantaggi: Elevata sensibilità agli impatti con YAG laser; Possibilità di decentramento; Indice di refrazione < PMMA (spessore IOL deve essere >); Interazione con olio di silicone. ETILACRILATO (per IOL pieghevoli idrofobici e idrofili, monopezzo e a 3 pezzi) COLLAMERO (per IOL pieghevoli in Idrossietilmetacrilato e Collagene ad un solo pezzo) Cosa sono i poli-etere-chetoni è quale polimero appartenente a questa famiglia è il più adeguato per le applicazioni biomediche? I Polietere Chetoni sono una famiglia di superpolimeri termoplastici la cui struttura molecolare è composta da anelli aromatici che si alternano a gruppi chetonici: -C=O, ed eteri: -O Il polimero appartenente a questa famiglia più adeguato per le applicazioni biomediche quali le protesi spinali e quelle ortopediche è il PEEK: Vantaggi: cristallinità e quindi alte prestazioni; struttura aromatica da cui un’eccellente resistenza e stabilità alle radiazioni g e b, alla fiamma e alle alte temperature (oltre i 300 °C); alta rigidezza; alta resistenza in trazione; resistenza molto alta all’idrolisi; eccellente comportamento tricologico. Svantaggi: difficile processabilità; sensibile all’invecchiamento UV; molto costoso. Cosa sono l'erosione superficiale e l'erosione di massa? Fornire degli esempi. La degradazione del polimero è la reazione nella quale si ha la scissione di legami della catena polimerica con la conseguente formazione di oligomeri, monomeri e di altri prodotti a basso peso molecolare. Nello specifico la degradazione idrolitica è provocata dalla reazione dell’acqua con legami come quello di tipo estereo. In questo caso la velocità di degradazione è legata alla capacità del polimero di assorbire l’acqua, infatti i polimeri idrofili, capaci di assorbire grandi quantità d’acqua, degradano molto più velocemente di quelli idrofobi. L’erosione è definita come la disintegrazione fisica del polimero a seguito del fenomeno della degradazione; infatti a seguito della penetrazione dell’acqua nel rivestimento o nella matrice polimerica, e della scissione di molti legami nelle catene, quando è stato raggiunto un peso molecolare sufficientemente basso, avviene la diffusione dei prodotti della degradazione: ha luogo così l’erosione. Se la penetrazione dell’acqua è più rapida del processo erosivo, la degradazione ha luogo in tutto il rivestimento/matrice polimerica e si verifica ovunque, e con la stessa velocità, la perdita di materiale: si ha in questo caso l’erosione di massa. Se invece la velocità di penetrazione dell’acqua è comparabile a quella di erosione, la perdita del materiale ha luogo solo negli strati superficiali della particella: si ha un’erosione superficiale. Quest’ultima viene di solito preferita a quella omogenea, poiché più facilmente controllabile, tuttavia non è sempre possibile ottenerla visto che molti polimeri non sono infatti sufficientemente idrofobi da evitare che l’acqua penetri all’interno e degradi il materiale più velocemente di quanto vengano erosi gli strati superficiali. Esempi di polimeri soggetti a erosione superficiale sono i poliesteri batterici, il PTMC (poliestere alifatico elastomerico); invece per l’erosione di massa le polianidridi con gruppi idrofilici. Elasticità entalpica ed entropica. Fornire anche un esempio di materiali che esibiscono i due tipi di elasticità. Le catene polimeriche tendono ad impacchettarsi in modo casuale in modo da minimizzare l’energia nativa di conformazione. Se sollecitate con un opportuno sforzo di trazione tali catene si stendono e si allineano lungo la direzione di deformazione. In altre parole, la struttura assumerà una conformazione tale da raggiungere un maggior grado di ordine e quindi una perdita di entropia. Se la sollecitazione viene interrotta le catene assumeranno la configurazione nativa. Questo tipo di comportamento dei polimeri sotto sforzo è noto come elasticità entropica. I polimeri in genere non presentano un’elasticità prevalentemente lineare. Se a seguito di una sollecitazione un polimero cambia la sua conformazione strutturale, l'elasticità tipica del polimero terrà conto anche di una componente entalpica. Questo contributo è dovuto alla rottura, creazione e riadattamento dei legami chimici all'interno della molecola. Tale comportamento elastico è noto come elasticità entalpica. A parità di sollecitazione un polimero che presenta elasticità prevalentemente entropica subirà una deformazione maggiore rispetto ad un polimero che presenta un’elasticità entalpica. Da recenti studi (De Rosa et Al., 2005) i copolimeri sindiotattici etilene-propilene (sPPET) mostrano un’elasticità entalpica per concentrazioni di etilene minori del 5%, altrimenti entropica. Protesi vascolari sintetiche. I primi materiali sintetici utilizzati per le protesi vascolari sono state: VINYON N, ovvero un copolimero PVC/acrilonitrile; IVALON, un polivinilformale; ORLON, un poliacrilonitrile. Questi graft tubulari non biologici non si integravano nei tessuti ospitanti e in più provocavano trombosi ed embolizzazione. Oggi invece si utilizzano materiali (ordinati per diametro decrescente della protesi): tessuti (Dacron, PET); espansi (Goretex, PTFE); microporosi (poliuretani); rivestimenti (carbonio turbostratico, idrogeli). Nello specifico le protesi realizzate in DACRON (polietilentereftalato) sono le più usate nella chirurgia vascolare periferica per la sostituzione di vasi di medio e largo calibro. Gli impianti in posizione aortica e iliaca hanno dato un follow-up di oltre 15-20 anni e successo a lungo termine con il 90% degli impianti . Lo sviluppo tecnologico è passato attraverso diverse generazioni e diversi concetti ed è in continua evoluzione. Tuttavia, non è possibile la realizzazione di protesi in Dacron di diametro inferiore a 8 mm per la facilità di occlusione per formazione di trombi. Si deve evitare che il tessuto del graft, una volta tagliato, si sfilacci, con peggioramento della situazione al sito di anastomosi. Le protesi woven sono meno porose. Bassa porosità porta ad elevata rigidità, con conseguente facilità di calcificazione. Si verifica un cattivo accoppiamento tra il vaso naturale e il graft sintetico, rigido. Il fallimento all'anastomosi è più facile. Le protesi realizzate nella forma espansa del PTFE (politetrafluoroetilene) (Goretex®, Impra®, ecc.) sono ben note ed ampiamente utilizzate per sostituire arterie di medio calibro (fino a 6-7 mm); con queste protesi si ottiene pervietà a lungo termine (in alternativa ai sostituti biologici). Nonostante le positive applicazioni cliniche la protesi in PTFE espanso presentano numerosi svantaggi: la scarsa compliance è ritenuta responsabile dell’iperplasia dell’intima all’anastomosi; l’assenza del lining di endotelio impedisce i processi riparativi fisiologici (healing) ed è una spiegazione dei fenomeni di colonizzazione batterica osservati sulla superficie luminale; la protesi è trombogenica in situazioni di scarso flusso. Per ovviare a questi inconvenienti si è tentato di modificare la superficie interna in senso di renderla più idrofila, oppure di trattare la protesi con carbonio pirolitico o anche mediante l’aggiunta di un supporto esterno rigido a spirale. Meccanismi di difesa e riparo dopo ingiuria. La sequenza degli eventi locali successivi all’impianto di un protesi è: 1. ingiuria tissutale (conseguente all’atto chirurgico); 2. infiammazione acuta (di breve durata, da minuti a giorni, consiste nell’essudazione di fluidi e proteine plasmatiche (edema) e migrazione di leucociti (soprattutto neutrofli)); 3. infiammazione cronica (dipende dalle proprietà chimico-fisiche del materiale e dai movimenti dell’impianto; in genere è di breve durata e rimane circoscritta al sito di impianto. Richiama monociti/macrofagi e linfociti. Si ha neovascolarizzazione e proliferazione di tessuto connettivo); 4. tessuto di granulazione (unità tissutale transitoria e primitiva allo scopo di richiudere definitivamente la ferita e servire da letto per la successiva fase di epitelizzazione; dopo aver espletato la sua funzione viene gradualmente trasformato in tessuto cicatriziale); 5. reazione da corpo estraneo (è considerata la risposta normale di integrazione dell’impianto di materiali. Si ha proliferazione di fibroblasti e cellule endoteliali, seguita da cellule giganti (FBGC)); 6. fibrosi (o l’incapsulazione fibrotica rappresenta in genere l’ultimo stadio della risposta infiammatoria). L’intensità e il tempo dipendono dall’intensità dell’ingiuria arrecata, dalle dimensioni, forma, topografia dell’impianto e dalle proprietà chimico-fisiche del biomateriale. Lenti a contatto: materiali usati. In genere: RIGIDE (gas impermeabili) o PMMA (nella versione non crosslincata, Dk 0) SEMIRIGIDE (gas permeabili) o CAB (Acetato Butirrato di Cellulosa) (Dk 4) o Stirene (Dk 14) o Silossano Metacrilato o a base di fluoro Fluoro Silossano Meatcrilato P-Perfluoroetere MORBIDE o Elastomeri (Silicone) o Idrogeli a basso contenuto di H20 non ionico (I) ionico (III) ad alto contenuto di H20 non ionico (II) o ionico (IV) Biopolimeri proteine polisaccaridi Ad oggi i materiali più diffusi sono: LOTRAFILCON A (silicone-idrogel) BALAFILCON A (silicone e N-vinil pirrolidone) OMAFILCON A (fosforilcolina) ETAFILCON A (idrogelo) Descrivere le tipologie di protesi valvolari. Le protesi valvolari si ditinguono in: Biologiche; possono essere: o costituite da una valvola naturale aortica porcina montata su un supporto che ne mantiene la forma (fasi di produzione: 1. prelievo della valvola dall’animale; 2. suturazione allo stent di supporto in lega metallica, polipropilene o Delrin rivestito con tessuto di Teflon o Dacron; 3. fissaggio in glutaraldeide che evita la degenerazione dei tessuti ed inibisce l’antigenicità.) o costituite da una striscia di pericardio bovino accoppiata esternamente ad uno stent di supporto, dotato di anello di sutura (fasi di produzione: 1. prelievo del pericardio; 2. sutura al supporto; 3. trattamento con glutaraldeide con la necessità di deformare il tessuto per ottenere la geometria finale) Biomorfe: hanno una struttura simile alle valvole biologiche da pericardio. Sono costituite da un una serie di lembi valvolari in poliuretano assemblati su uno stent di supporto (Poliuretano harder grade o PEEK rivestito con poliuretano) dotato di anello di sutura (Poliuretano, Dacron o Teflon) (fasi di produzione: 1. stampaggio ad iniezione dello stent di supporto; 2. sagomazione dei lembi valvolari su appositi maschi in acciaio; 3. rivestimento per immersioni successive della protesi). Sono stati realizzati prototipi in policarbonatoureatano e in copolimero silicone-poliuretano. Meccaniche; possono essere: o a gabbia (caged-ball): palla in silicone o stellite; housing in stellite o lega di titanio; anello in teflon o dacron; o a disco oscillante (tilting disc): disco in carbonio pirolitico, Delrin, PyC su grafite o PyC; housing in stellite o lega di titanio; anello in Dacron o ePTFE; o a due emidischi (bileaflet): housing in lega di titanio; leaflet in carbonio pirolitico; anello di sutura in PTFE + carbonio turbostratico. Descrivere quali tecniche di lavorazione influiscono sulle proprietà dei polimeri biodegradabili. In genere le tecniche di lavorazione dei polimeri sono: solution casting fiber spinning phase separation foaming injection molding extrusion hot pressing machining Nel processing dei polimeri biodegradabili (in genere simile a quello di altri termoplastici) bisogna adottare delle adeguate precauzioni: il polimero deve essere mantenuto anidro (durante l’immagazzinamento la scissione delle catene per effetto dell’acqua, sia ad alta T che a T ambiente, causa un’imprevedibile funzionalità dopo impianto); bisogna evitare stress residui (PLA e PGA hanno Tg 45-60°C: se ci sono stress residui nel materiale dovuti a orientamento indotto dalla lavorazione, a 37°C si può verificare rilassamento e quindi modifiche geometriche soprattutto nei polimeri amorfi); cambiamenti nella cristallinità (si può passare da cristallino ad amorfo per quencing, ma si può avere ricristallizzazione durante l’immagazzinamento per annealing); durante lo stampaggio ad iniezione/estrusione il polimero è sotto sforzi di taglio ad elevata temperatura che possono causare degradazione, specialmente in presenza di riempitivi o umidità; sterilizzazione (con raggi g si può avere riduzione di peso molecolare mentre nella la sterilizzazione a gas questo può agire da plastificante, riducendo la Tg del polimero); durante la solidificazione una bassa pressione di consolidamento può causare porosità nel polimero. Materiali compositi, caratteristiche e applicazioni in ambito biomedico. Un composito è un materiale costituito dalla combinazione di due o più materiali diversi che contribuiscono con le proprie caratteristiche alle proprietà di un sistema integrato risultante. Un composito consiste di due o più fasi, ed è eterogeneo almeno in scala microscopica; una fase detta discontinua (o riempitivo) è dispersa in una fase continua (o matrice) che funge da legante. Le proprietà dei compositi possono variare in funzione delle proprietà dei componenti, delle dimensioni della fase di riempitivo, della morfologia del sistema e della natura dell'interfaccia tra le fasi. Vantaggi: minore peso specifico e coefficiente di espansione termica; maggiore rigidità, resistenza meccanica, resistenza a fatica, stabilità dimensionale e resistenza all’usura. Svantaggi: elevati costi (per i compositi avanzati), difficoltà di fabbricazione, difficoltà di immagazzinamento, difficoltà di riproducibilità, differenti proprietà meccaniche. Applicazioni: resine dentali; patch cardiaci; protesi vascolari ibride; pelle artificiale; ortopedia ovvero nel rinforzo di protesi ortopediche mediante fibre poliaramidiche (Kevlar) e nella progettazione e realizzazione di protesi d’anca, placche e chiodi intramidollari mediante polisulfoni accoppiati con fibre di carbonio. Protesi vascolari, caratteristiche ideali e materiali utilizzati. Le protesi vascolari sono dei dispositivi medici atti al ripristino dell’efficienza vascolare (trasporto corretto del sangue). Le caratteristiche ideali delle protesi vascolari sono: 1. La durata dell'impianto deve essere maggiore della life expectancy del paziente; 2. L'inserimento del graft non deve causare reazioni indesiderate diverse da quelle che il paziente riesce a contrastare. I materiali utilizzati sono: vasi e tessuti naturali; precisamente: o autologhe: vena safena per vasi di piccolo calibro; iliaca interna ed esterna, femorali superficiali, mammaria interna per vasi di medio calibro; o omologhe: “fissate” con glutaraldeide per eliminare l’antigenicità, aumentare la resistenza a trazione, ma anche la fragilità. Esempi: allograft venosi per arterie periferiche, bypass aorto-coronarici e accessi ematici secondari durante l’emodialisi; vena ombelicale umana come alternativa alla safena autologa; o eterologhe: eterograft di origine animale. Materiali sintetici (per diametro decrescente della protesi): o tessuti (Dacron, PET); o espansi (Goretex, PTFE); o microporosi (poliuretani); o rivestimenti (carbonio turbostratico, idrogeli). Quali fattori influenzano la stabilità e minacciano un polimero biodegradabile. Sono: struttura e composizione chimica; peso molecolare e polidispersità; presenza di composti a basso peso (oligomeri, plastificanti, solventi); presenza di difetti in catena; configurazione; morfologia (cristallinità, orientamento, stress residui); condizioni di lavorazione; metodo di sterilizzazione; trattamenti termici (e.g: annealing); metodo di conservazione fino all’impianto; sito di impianto e individualità del paziente; fattori fisico-chimici (forma, dimensione); metodo di lavorazione, ovvero: o umidità; o bassa Tg; o cristallinità; o solidificazione; o process load; o sterilizzazione. (vedi anche quali tecniche di lavorazione influiscono sulle proprietà dei polimeri biodegradabili) Polimeri conduttori, applicazioni. che cosa sono, esempi di polimeri conduttori, I polimeri conduttori (detti polimeri estrinsecamente conduttori) sono materiali plastici in grado di condurre la corrente elettrica. I polimeri comuni sono degli isolanti e come tali vengono utilizzati. Per renderli conduttori, si formano dei compositi caricati con polveri di metalli elettroconduttori oppure di grafite; la loro percentuale può arrivare anche al 50% della massa totale. Aseconda dell’elemento utilizzato come drogante, i polimeri conduttori variano differenti proprietà fisiche: conducibilità, proprietà ottiche, caratteristiche meccaniche, dimensioni. Esempi di potenziali polimeri conduttori sono il poliacetilene, il polipirrolo e la polianilina che sono utilizzati con grande vantaggio come elementi sensibili, cioè in grado di rilevare variazioni dell’ambiente circostante e come attuatori meccanici. Cheratoprotesi, che cosa sono e quali forme innovative esistono. Le cheratoprotesi sono dei dispositivi biomedici impiantabili utilizzate per sostituire la cornea in pazienti con una grave opacità corneale o dove c’è un alta probabilità di rigetto al trapianto di cornea. I primi studi clinici risultarono fallimentari a causa della mancanza di interazione tra l’impianto artificiale e la cornea ospitante. Infatti la prima generazione di protesi era formata da due parti, una parte centrale in PMMA e un supporto in PTFE espanso. La geometria e lo spessore del PMMA crearono molti problemi, rendendo necessaria la rimozione del cristallino in tutti i pazienti. Modificando le proprietà geometriche e fisiche della protesi e utilizzando materiali più idonei, si arrivò a dispositivi con caratteristiche più simili alla cornea naturale, in grado di garantire una maggiore integrazione e funzionalità. Dunque nella seconda generazione sono state migliorate le proprietà geometriche della protesi rendendola più simile alla forma fisiologica. Questa nuova protesi è formata da PDMS ricoperto con Polivinilpirrolidone, e PTFE (Biokpro II). Le cheratoprotesi ad oggi più diffuse sono: dispositivo Boston costituito da due parti di PMMA; dispositivo AlphaCor™ realizzato interamente in PHEMA. Sistema del complemento, funzioni e modalità di attivazione in presenza dispositivo impiantato. Il sistema del complemento “complementa” e amplifica le azioni di difesa dell’organismo. Si tratta di un sistema di circa 20 proteine circolanti nel sangue e nei fluidi extracellulari [C1-C9, fattore B, fattore D, altri] che possono essere attivate dai complessi antigene-anticorpo, da microrganismi o da superfici estranee. Le funzioni principali del sistema del complemento sono: chemiotassi: Rilascio di sostanze chimiche che attraggono i fagociti verso il sito di invasione; opsonizzazione: Formazione di un rivestimento sulla cellula invasore per renderla facilmente riconoscibile da parte dei fagociti; formazione del Complesso di Attacco alle membrane. L'attivazione del complemento avviene con un meccanismo detto a cascata e può avvenire in due modi che partendo da momenti differenti conducono entrambe alla proteolisi del C3. Da ciò ne consegue la formazione del complesso di attacco della membrana (MAC), il quale, legandosi alle membrane cellulari dei microorganismi, ne determina la lisi osmotica. La via classica è attivata dal legame di alcune classi di anticorpi con il relativo antigene e quindi rappresenta un meccanismo dell'immunità umorale specifica. Le proteine si attivano a cascata per formare il complesso che aderisce alla membrana del microrganismo o della cellula infettata, che hanno previamente reagito con gli anticorpi, e ne provocano la lisi. La via alternativa viene attivata in modo spontaneo in risposta ad un gran numero di agenti estranei e quindi fa parte della prima linea di difesa della risposta naturale. La via alternativa si attiva a partire del frammento C3b, oppure nell'attivazione della via classica o in modo spontaneo. Una terza via, quella della lectina legante il mannosio (MBL), utilizza il mannosio che è capace di attivare il complesso di attacco del complemento e provocare la lisi della membrana di diversi microrganismi senza necessità dell'attivazione degli anticorpi. Rottura fragile, rottura duttile nei materiali polimerici. La frattura nei materiali polimerici può essere di tipo fragile o duttile (o intermedia). Nel caso di un materiale polimerico amorfo vetroso e fragile l'energia superficiale richiesta per la frattura è molto più elevata di quella che sarebbe richiesta se la frattura comportasse solo la rottura dei legami carbonio-carbonio su di un piano di frattura. Invece nella frattura duttile le catene molecolari si distendono, scorrono le une sulle altre e si allineano gradualmente compattandosi nella direzione dello sforzo applicato. Quando lo sforzo supera un certo valore, le catene molecolari si rompono provocando la frattura del materiale. Nel caso delle materie plastiche termoindurenti si ha frattura fragile mentre per i termoplastici si verifica sia la frattura fragile che duttile. La temperatura può influenzare enormemente il modo in cui i termoplastici vanno incontro a frattura; infatti al di sotto della Tg è predominante il verificarsi di frattura fragile altrimenti duttile. Inoltre basse velocità di deformazione favoriscono la frattura duttile perché le catene molecolari hanno il tempo di distendersi. Quali sono le differenze in termini di applicazione, materiali e funzionamento tra uno stent autoespandibile e uno stent a palloncino? Lo stent è una struttura metallica cilindrica a maglie che, introdotta nel lume dell’arteria, viene fatta espandere a livello di un ostruzione (dovuta a patologie come l’aterosclerosi) in modo da ripristinare il diametro originario del vaso. Lo stent può essere di tre tipi: stent premontato su pallone (o a palloncino): è un tubo di acciaio inossidabile ottenuto mediante taglio laser che sfrutta le proprietà plastiche del materiale; per l'impianto lo stent è fissato su un catetere dilatatore a pallone di grandezza adeguata al vaso affetto da stenosi (angioplastica transluminale percutanea). Caratteristiche: elevata forza radiale (utile per lesioni molto calcifiche), possibilità di preciso posizionamento nelle lesioni, possibilità di ulteriore espansione dopo il rilascio iniziale, bassa flessibilità longitudinale. stent autoespandibile: è un dispositivo che sfrutta le proprietà elastiche del materiale e che è realizzato in genere con un monofilamento di acciaio inossidabile o in lega a memoria di forma; per l'impianto lo stent è contenuto in un sistema applicativo tale che al momento del rilascio il diametro iniziale del dispositivo viene ripristinato. Caratteristiche: maggiore flessibilità longitudinale rispetto agli stent a palloncino, forza radiale minore rispetto agli stent a palloncino, elevato accorciamento della protesi pari circa ad uno terzo della lunghezza preimpianto (quindi il rilascio può essere impreciso). stent espandibile termicamente: realizzato in Nitinol, è prodotto ad alte temperature alla dimensione nominale, e presenta caratteristiche di superelasticità a temperatura ambiente; sfrutta la temperatura corporea per espandersi rapidamente. Caratteristiche: rigidezza radiale e flessibilità longitudinale elevata, accorciamento minimo (maggiore precisione), bassa radiopacità (risolta mediante opportuni marcatori). Qual è la sterilizzazione più adatta per: UHMWPE, PMMA (?), ceramiche per impianti, stent coronarici non medicati. UHMWPE: per quello non reticolato si può usare EtO oppure gas plasma, per non abbattere il peso molecolare e abbassare la tenacità mentre per quello reticolato, ovviamente nel processo di produzione si utilizzano raggi gamma o beta; PMMA: EtO, infatti in autoclave non resisterebbe alle alte temperature; Ceramiche per impianti: sono refrattarie, si può usare l'autoclave o calore secco; Stent non medicati: EtO, gas plasma, seguiti da degasaggio, o raggi gamma. Principali applicazioni del PMMA, o più in generale, dei polimeri acrilici? Il PMMA è un polimero acrilico che possiede un buon grado di biocompatibilità e che per questo viene usato in diversi ambiti dei dispositivi biomedici in particolare nell’oftalmologia e nell’ortopedia, ma anche nel campo della chirurgia estetica e dell’odontoiatria. In oftalmologia si usa nella produzione di lenti a contatto rigide, cheratoprotesi, globi oculari artificiali e lenti intraoculari per la cura della cataratta; alcuni tipi di lenti a contatto morbide sono invece realizzate con polimeri simili dove però il monomero acrilico ospita sulla sua struttura uno o più gruppi ossidrile, in modo da rendere il polimero maggiormente idrofilo (HEMA, idrossietilmetacrilato). In ortopedia il PMMA è usato come ‘cemento per ossa’, utile cioè per fissare impianti, rimodellare parti di osso perdute o riparare vertebre fratturate (vertebroplastica). Viene commercializzato in forma di polvere da miscelare al momento dell'uso con metacrilato di metile (MMA) liquido per formare una pasta che gradualmente polimerizza facendo assumere al cemento opportune caratteristiche di rigidezza. Anche in odontoiatria le otturazioni dentali sono realizzate con una resina analoga. Nella chirurgia estetica, iniezioni di micro-sfere di PMMA sotto pelle vengono usate per ridurre rughe e cicatrici.