Anno accademico 1983-1984 1) Una molecola di gas percorre in media una distanza π prima di urtare un’altra molecola. Si dimostri che, a basse densità, π è direttamente proporzionale alla temperatura π e inversamente alla pressione π del gas. Si determini il raggio delle molecole del gas sapendo che a π = 300 πΎ e π = 33 ππ¦ππ/ππ2 la lunghezza π è di 5 ππ. Il libero cammino medio π è una grandezza di notevole interesse nello studio molecolare dei processi che avvengono nei gas, che si può interpretare come la distanza media percorsa da una molecola fra urti successivi, sicché per determinarlo basterà valutare il numero di urti al secondo (frequenza) che una molecola subisce. Si consideri allora un gas con comportamento ideale, costituito da un unico insieme di particelle omogenee e si schematizzi ogni molecola come una sferetta di diametro π. Quale forma abbia in realtà è veramente difficile a dirsi, ma poco importa in quel che segue. Una valutazione approssimata di π si può fare immaginando per un momento che tutte le molecole siano ferme, tranne una, indicata con π΄ in figura, che è animata da un moto rettilineo ed uniforme a tratti, con una velocità media π£π . Si avrà un 2 urto ogni qual volta i centri delle due molecole si avvicinano entro una distanza pari al diametro π; in realtà, questa distanza dipende dai campi di forze che circondano le molecole, che solo approssimativamente è possibile considerare come sfere rigide. Fino a quando il percorso tra due urti successivi si mantiene molto più grande del diametro delle molecole, vale a dire fino a quando il gas è a bassa densità, il numero di molecole urtato nel tempo βπ‘ è pari al numero di molecole il cui centro si trova in media in un cilindro di lunghezza π£π βπ‘ e diametro 2π, avente perciò volume βπ pari a βπ = ππ 2 π£π βπ‘ . Se π rappresenta il numero di molecole per unità di volume, il numero medio di urti nel tempo βπ‘ è pari a βπ = πβπ = ππ 2 ππ£π βπ‘ . Segue che il libero cammino medio si può scrivere come π= π£π βπ‘ 1 = . ππ 2 ππ£π βπ‘ ππ 2 π Orbene, per un gas perfetto, contenuto in un volume π, sottoposto alla pressione π e tenuto alla temperatura assoluta π, la densità molecolare, dato che in una mole è presente un numero di Avogadro ππ΄ di molecole, si può esprimere in funzione delle moli π di gas come π= πππ΄ π → ππ = ππ π → π = ππ΄ , π π π 3 in cui π è la costante universale dei gas. Sostituendo nella formula del libero cammino medio, in definitiva, si ottiene π= 1 π π = . ππ 2 π ππ 2 ππ΄ π Questa ultima relazione dimostra la tesi richiesta, cioè che π risulta direttamente proporzionale alla temperatura π ed inversamente alla pressione π del gas. Il calcolo appena svolto, tuttavia, è approssimato, poiché in esso è stato supposto che le molecole urtate, indicate in figura con π΅, πΆ, π·, πΈ, fossero ferme: in realtà, esse si muovono ed occorrerebbe usare per il calcolo del numero di urti al secondo, la velocità relativa media delle molecole tra loro e non la velocità media delle molecole rispetto ad un sistema esterno (recipiente). Ripetendo il calcolo con questa precisazione ed usando la legge di Maxwell per la distribuzione delle velocità, si trova che il numero di urti è √2 volte più grande di quello calcolato in precedenza, sicché si può scrivere π= π π π√2 π2 ππ΄ π = π π , π√2 π2 π in cui, per brevità, si è fatto uso della la costante di Boltzmann π= π π½ = 1.3806488 β 10−23 . ππ΄ πΎ Per cercare di intuire l’entità di questo fattore correttivo, si può osservare che le direzioni, possedute prima dell’urto da due molecole che si urtano, formano al più un angolo piatto tra 0 ≤ π < π. Ogni valore angolare è ugualmente probabile, sicché può considerare ππ = π/2 quale valor medio dell’angolo di urto. Segue che, se le due molecole che si urtano hanno, rispetto ad un sistema di riferimento 4 esterno, lo stesso valore del modulo della velocità π£π e direzioni poste ad angolo retto, la velocità relativa vale proprio π£π √2. Infine, per ottenere la stima del raggio molecolare π = π/2, nelle condizioni assegnate di temperatura e pressione, si può scrivere che π2 = π π ππ → π=√ ≅ 3.76 β 10−11 π . 4π√2 π π 4π√2 π π Vale la pena notare che nel Sistema Internazionale è 1 ππ¦ππ = 10−5 π → π = 33 5 ππ¦ππ π = 3.3 . ππ2 π2 2) Una rotaia è divisa in segmenti di lunghezza πΏ = 50 π. La distanza tra segmento e segmento è di 5 ππ a −10 °πΆ, o minore di questa quando la temperatura è più alta. La segmentazione ha lo scopo di “controllare” gli effetti della dilatazione termica. Si valuti: (π) quale sarebbe la massima altezza raggiungibile da un singolo segmento se fosse bloccato agli estremi; (ππ) l’ordine di grandezza del coefficiente di dilatazione lineare per il materiale di cui è costituita la rotaia. Una rotaia posta all’aperto si trova ad una temperatura che varia con continuità in funzione delle sempre mutevoli condizioni ambientali: la temperatura dell’aria, l’intensità dell’irraggiamento solare, l’eventuale presenza di pioggia. Per questo, la temperatura che assume il binario al variare delle condizioni ambientali dipende principalmente da tre fattori: 1. la temperatura dell’aria; 2. l’irraggiamento solare; 3. l’eventuale presenza di precipitazioni atmosferiche. La temperatura dell’aria determina uno scambio di calore che avviene, attraverso la superficie esterna della rotaia, tra l’aria circostante e la rotaia stessa. Da questo punto di vista la rotaia tenderebbe e raggiungere una situazione di equilibrio in cui, in tutto il suo volume, essa assumerebbe una temperatura pari a quella dell’aria. In occasione di giornate soleggiate, però, qualora la rotaia sia direttamente esposta ai raggi del sole, il fenomeno dell’irraggiamento può far aumentare la temperatura del materiale fino a valori superiori a quelli della temperatura dell’aria. Inoltre, il verificarsi di piogge più o meno intense fa sì che la rotaia si ricopra di un velo d’acqua, che, da un lato può avere una temperatura differente da quella della rotaia, implicando quindi uno scambio di calore con la 6 rotaia stessa, dall’altro, a seguito dell’evaporazione ne farà diminuire la temperatura superficiale. Complessivamente, viste le temperature massime e minime dell’aria registrate nel corso di un anno in Italia e considerati i fenomeni dell’irraggiamento e delle precipitazioni atmosferiche che possono intervenire, è possibile raggiungere temperature di binario massime di circa 70 °πΆ e minime di circa −10 °πΆ. Pertanto, l’escursione massima di temperatura da prendere in considerazione è dell’ordine di 80 °πΆ. Al variare poi dell’altitudine o della latitudine, variano leggermente gli estremi di questa escursione, ma ne rimane praticamente invariata l’ampiezza. Se non vengono prese adeguate contromisure contro questo salto termico, si può andare incontro a seri problemi per le rotaie, che possono nei casi più gravi portate all’incurvamento delle stesse e determinare un rallentamento, se non una paralisi, del traffico ferroviario. D’estate, ad esempio, su alcune tratte ferroviarie, i treni sono costretti a diminuire la velocità, per evitare conseguenza imprevedibili sulla dinamica della carrozza, come dimostra la figura che segue. Questa evenienza, d’altra parte, impedisce un corretto e lineare sviluppo dei treni 7 ad alta velocità che, in un paese piccolo come l’Italia, rappresentano un valido sostitutivo dell’aereo. Così, essendo la rotaia è in acciaio, se la stessa è sottoposta ad una variazione di temperatura βπ, si allunga se la variazione è in aumento βπ > 0 e si accorcia in caso contrario βπ < 0. L’entità dell’allungamento, a parità di βπ, dipende dalla natura del materiale e dalla lunghezza della barra secondo la nota relazione βπΏ = πΌπΏβπ dove la stima del coefficiente di dilatazione termica dai dati forniti nel testo è uno degli obiettivi dell’esercizio. Se la rotaia è libera di muoversi l’allungamento sarà pari proprio a βπΏ e non nasceranno sollecitazioni nella rotaia. Nell’ipotesi che la rotaia sia libera da ogni vincolo e comunque fissa rispetto al suo punto centrale gli allungamenti o accorciamenti si svilupperanno al 50% su ciascuna testata. Fatte queste premesse, necessarie per specificare l’intervallo di escursione termica a cui è sottoposta una rotaia, si può entrare nel vivo dell’esercizio proposto. (π) Qualora la dilatazione fosse del tutto impedita all’interno della rotaia nascerebbe una forza di compressione, se viene impedita la dilatazione, o di trazione, se viene impedita la compressione. Se si sottopone la rotaia ad una compressione oppure ad una trazione longitudinale in campo elastico, vale la legge di Hooke πΉ = πΈπ΄ βπΏ , πΏ dove πΉ è la forza applicata, π΄ la sezione della rotaia, πΈ è il modulo di elasticità dell’acciaio, che vale 8 πΈ = 206 ππ . ππ2 Nel caso in esame la forza di compressione coincide con la reazione esercitata dal meccanismo di bloccaggio sull’asta e dovuta all’allungamento termico, per cui πΉ = πΈπ΄πΌβπ . Non è semplice dire quale forma nello spazio assumerà la rotaia, a causa di questa auto-compressione; in effetti, per il sollevamento, occorre ipotizzare la forma della curva, ammesso che sia unica, che assume il binario quando, a causa della massima escursione termica, si dilata di βπΏ = 5 ππ. Un’approssimazione ‘ragionevole’ potrebbe essere la forma triangolare del binario, per cui una singola rotaia, bloccata agli estremi, assume approssimativamente una forma geometrica costituita da due segmenti, come suggerisce la figura che segue, per cui la massima altezza si raggiunge in corrispondenza del centro geometrico. Orbene, dato che risulta βπΏ 5 ππ = = 10−3 βͺ 1 , πΏ 50 π il Teorema di Pitagora consente di scrivere la massima altezza βπππ₯ =√ (πΏ + βπΏ)2 πΏ2 πΏβπΏ − ≅√ ≅ 1.12 π . 4 4 2 Una analisi più raffinata richiede la conoscenza, che certamente esula dagli obiettivi della scuola secondaria superiore, delle travi sottoposte a carichi di punta, che, come aveva già trovato Eulero, si dispongono come lungo un arco di sinusoide: il risultato esatto, tuttavia, differisce di poco rispetto a quello 9 approssimato trovato. Una strada intermedia, in grado di fornire un risultato più vicino alla realtà, può essere quella di supporre che la rotaia si distribuisce lungo un arco di circonferenza. (ππ) Per ottenere una stima del coefficiente di dilatazione lineare πΌ, si può applicare la legge di dilatazione lineare per un’escursione termica di circa 80 °πΆ. Risulta immediatamente che 1 βπΏ 1 5 β 10−2 βπΏ = πΌπΏβπ → πΌ = = = 1.25 β 10−5 πΎ −1 . πΏ βπ 50 80 In realtà, una valutazione più precisa del coefficiente di dilatazione termica lineare dell’acciaio adoperato per gli usi ferroviari fornisce il più corretto valore πΌπ΄πΆπΆπΌπ΄πΌπ = 1.15 β 10−5 πΎ −1 . 10 Si deduce che la stima ottenuta con i dati forniti dal testo è affetta da un errore che è di poco inferiore al 9%. Acciaio è il nome attribuito ad una lega di ferro contenente carbonio in percentuale non superiore al 2.11 %. Il complesso di proprietà che caratterizzano l’acciaio, così come tutti gli altri metalli, è collegato alla sua struttura cristallina. Nei solidi cristallini gli atomi sono disposti nello spazio con regolarità in modo da costituire un reticolo tridimensionale; la struttura e le proprietà che ne derivano dipendono principalmente dalla natura dei legami esistenti tra gli atomi. Lo studio della Fisica dei Materiali ha accertato che esistono solo 14 modi per disporre gli atomi in modo ordinato secondo una geometria ripetuta nello spazio. La maggior parte dei metalli cristallizza nei tipi di struttura a più alta simmetria che sono anche quelli a maggior compattezza: cubica a corpo centrato (πππ), cubica a facce centrate (πππ). Una semplice e razionale classificazione dei numerosi tipi di acciaio prodotti, spesso assai diversi gli uni dagli altri, non è facile in quanto essa può essere fatta in base a criteri sostanzialmente differenti. 11 3) Il moto delle stelle nel disco della nostra galassia è con buona approssimazione una rotazione differenziale, cioè le stelle ruotano intorno al centro galattico con una velocità angolare Ω(π ) che dipende dalla distanza π della stella dal centro della galassia. Sia Ω(π ) = Ω(π 0 ) + 2π΄ ( π − π 0 ), π 0 ove π΄ è una costante ed π 0 indica la distanza del Sole dal centro galattico. Si dimostri che, per stelle π vicine al Sole (cioè tali che π βͺ π 0 , vedi figura), la proiezione π£π della velocità relativa delle stelle rispetto al Sole lungo la congiungente stella–Sole segue la legge π£π ~π΄π sin(2π) , dove π è l’angolo definito in figura. Facoltativo: si discuta brevemente che tipo di osservazioni possono condurre alla verifica della legge e quindi alla misura di π΄. 12 Si osserva preliminarmente che il testo di questo esercizio termina con la nota storica: in questo problema vengono percorsi i passi essenziali che consentirono a Oort (1927) di provare che il moto nella nostra galassia è una rotazione differenziale. Jan Hendrik Oort Franeker, 28 aprile 1900 – Leida, 5 novembre 1992 Anche l’ipotesi, avanzata da Oort nel 1950, che le comete avessero un’origine comune, si rivelò corretta negli anni successivi: per questo motivo la nube di comete che avvolge il Sistema Solare porta il suo nome ed è detta nube di Oort. L’appiattimento della Via Lattea ha da sempre suggerito agli astronomi la sua rotazione attorno un asse normale al piano galattico: le osservazioni del moto delle stelle e del gas interstellare hanno mostrato che questa rotazione esiste davvero. Tuttavia, la Via Lattea non ruota come un corpo rigido, ma è soggetta ad una rotazione differenziale, per cui la velocità angolare dipende dalla distanza dal centro galattico: procedendo dal centro galattico verso il Sole, la velocità di rotazione diminuisce con il raggio. Un modello della rotazione della Via Lattea è 13 stato ricavato da Oort, che suppose che le stelle si muovono di moto circolare attorno il centro galattico, una approssimazione che è accettabile soltanto per alcune popolazioni di stelle. La Via Lattea è la galassia alla quale appartiene il sistema solare; è la galassia per antonomasia, poiché il nome deriva dal greco galaxias, latteo, utilizzato in epoca greca per designarla. In base agli studi più recenti pare che la Galassia sia, da un punto di vista strettamente morfologico, una galassia a spirale barrata, ovvero una galassia composta da un nucleo attraversato da una struttura a forma di barra dalla quale si dipartono i bracci di spirale che seguono un andamento logaritmico; è il membro principale, insieme alla Galassia di Andromeda, del Gruppo Locale, un insieme di galassie comprendente, oltre alle due precedentemente citate, la Galassia del Triangolo ed una cinquantina di galassie minori, principalmente nane. Furono le prime osservazioni telescopiche, compiute da Galileo Galilei nel 1609, a rivelare che essa consisteva di una miriade di stelle fittamente raggruppate, risolvendo finalmente l’enigma che aveva rappresentato per lungo tempo la nostra galassia. Si dovette aspettare la fine del Settecento e le osservazioni di Sir Frederick William Herschel per cominciare a intuire che il sistema di stelle al cui interno si trova il Sole è in realtà limitato e forma un enorme disco schiacciato. 14 Agli inizi del secolo XX, l’astronomo olandese Jacobus Cornelius Kapteyn formulò le prime stime del diametro del disco e del suo spessore. Assumendo che le stelle avessero tutte la stessa luminosità assoluta e che la loro luminosità apparente diminuisse col quadrato della distanza, Herschel concluse che il Sole era al centro di un sistema stellare di forma lenticolare. Questa erronea credenza perdurò per oltre un secolo. Nel 1917, Harlow Shapley, studiando la distribuzione spaziale degli ammassi globulari, trovò che questa era sfericamente simmetrica intorno a un punto, situato assai lontano dal Sole, che doveva identificarsi con il centro della Via Lattea. L'apparente contraddizione con i risultati delle analisi basate sui conteggi stellari fu risolta, nel 1930, quando Robert Julius Trumpler provò che la luce delle stelle era fortemente assorbita dalla polvere interstellare. Infatti, è proprio a causa di questo fenomeno che la densità spaziale delle stelle sembra decrescere in tutte le direzioni all'aumentare della distanza, creando l’illusione che il Sole sia al centro della Via Lattea. Venendo al problema proposto e facendo riferimento alla figura riportata, si supponga che il Sole si muova di moto circolare attorno al centro galattica con velocità π£β0 e che la stella in esame sia animata dal medesimo tipo di moto, ma con velocità π£β e. Allora si può affermare che la velocità radiale relativa π£π della stella 15 rispetto al Sole è la differenza tra le proiezioni delle velocità sulla linea di osservazione, cioè π£π = π£ cos πΌ − π£0 sin π , in cui πΌ rappresenta l'angolo che il vettore velocità della stella forma con la linea di osservazione. Sempre dalla figura riportata è possibile osservare che, applicando il teorema dei seni al triangolo πΆππ0 , risulta π π 0 π 0 = → cos πΌ = sin π , sin π sin(πΌ + π/2) π da cui si ricava che π£π = π£ π 0 π£ π£0 sin π − π£0 sin π = π 0 ( − ) sin π . π π π 0 Introdotte dunque le due velocità angolari Ω(π ) = π£ π£0 , Ω(π 0 ) = , π π 0 la relazione precedente diventa π£π = π 0 [Ω(π ) − Ω(π 0 )] sin π , che, in forza della relazione assegnata dal testo Ω(π ) − Ω(π 0 ) = 2π΄ ( π − π 0 ) → π 0 π 0 [Ω(π ) − Ω(π 0 )] = 2π΄(π − π 0 ) , 16 si può anche scrivere come π£π = 2π΄(π − π 0 ) sin π . Se ora si ipotizza che la stella si trovi vicino al Sole, per cui π ≅ π 0 , allora, come suggerisce la figura che segue, deve anche essere π 0 − π ≅ π»π0 = π cos π . Sostituendo infine nella formula della velocità relativa radiale, si ottiene l’approssimazione desiderata π£π ~ − 2π΄π cos π sin π = −π΄π sin(2π) . Vale la pena notare che quanto appena fatto per la componente lungo π si potrebbe ripetere per l’altra componente ad essa perpendicolare. 17 La costante A è detta costante di Oort e rappresenta un indicatore cinematico che si utilizza per misurare la velocità di rotazione del Sole nel piano galattico e vale π΄ = (14.82 ± 0.84) π , π ππππ ππ dove si ricorda che il parsec, unità di lunghezza usata in Astronomia, è definito come la distanza dalla Terra (o dal Sole) di una stella che ha una parallasse annua di 1 secondo d’arco. In pratica, risulta 1 ππππ ππ = 1 ππ = 360 β 60 β 60 π’. π. ≅ 3,086 β 1016 π . 2π In buona sostanza, una rilevazione sperimentale di questa costante si può eseguire con il metodo di seguito descritto. Supponendo nota la distanza del Sole dal centro galattico π 0 , si misurano le velocità angolari di due stelle vicine al Sole, ma disposte su circonferenze di diverso raggio misurabile, sicché Ω(π 1 ) = Ω(π 0 ) + 2π΄ ( π 1 − π 0 π 2 − π 0 ) , Ω(π 2 ) = Ω(π 0 ) + 2π΄ ( ). π 0 π 0 Sottraendo membro a membro, si può scrivere che Ω(π 1 ) − Ω(π 2 ) + 2π΄ ( π 1 − π 0 π 2 − π 0 2π΄ (π − π 2 ) . ) − 2π΄ ( )= π 0 π 0 π 0 1 Segue che la costante π΄ si può ottenere come A= π 0 Ω(π 1 ) − Ω(π 2 ) , 2 π 1 − π 2 18 vale a dire come rapporto tra due incrementi. Un particolare dell’Origine della Via Lattea, dipinto da Tintoretto fra il 1575 ed il 1580, e conservato presso la National Gallery di Londra. Il quadro raffigura Zeus che affida Eracle neonato alle cure di Era. Secondo la mitologia classica, Eracle era nato dall’unione fra Alcmena e Zeus. Era, la moglie di quest’ultimo, gelosa, si rifiutava di allattare il bambino, e mentre cercava di allontanarlo, il latte del suo seno schizzò in cielo, dando origine alla Via Lattea. 19 4) Un fotone di frequenza π ha energia βπ e impulso βπ/π parallelo alla direzione di moto (β è la costante di Planck, π è la velocità della luce). (π) Se un fotone incide su un corpo fermo di massa π e viene riflesso all’indietro, che energia e che impulso esso cede al corpo? (π) Per “fotografare” un elettrone in un atomo di idrogeno occorre colpirlo con un fotone di lunghezza d’onda minore o uguale al raggio atomico π (π = 5 β 10−9 ππ). Si mostri sulla base dei risultati ottenuti in (π) che, in tal caso, l’atomo si ionizza. Il termine fotone deriva dal greco e fu introdotto per la prima volta da Gilbert Lewis nel 1926. Il fotone si indica con la lettera greca πΎ ed è associato ad ogni radiazione elettromagnetica. Pur essendo un fenomeno ondulatorio, la radiazione elettromagnetica ha anche una natura quantizzata che le consente di essere descritta come un flusso di fotoni. Il fotone è una particella che ha vita infinita: può essere creato e distrutto dall’interazione con altre particelle, ma non può decadere spontaneamente. Pur non avendo massa, è influenzato dalla gravità e possiede energia; nel vuoto si muove alla velocità della luce, mentre nella materia si comporta in modo diverso e la sua velocità può scendere al di sotto di π. In effetti, quando interagisce con altre particelle acquisisce massa e non si muove più alla velocità della luce. Bohr ipotizzò che un atomo può emettere un’onda elettromagnetica (o radiazione) solo quando un elettrone si trasferisce da un’orbita con energia maggiore ad un’orbita con energia minore. L’energia dell’onda elettromagnetica emessa può assumere solo valori ben definiti: non può assumere qualsiasi valore, ma solo quantità discrete, dette quanti di energia o fotoni. Quindi la materia è in grado di emettere o assorbire energia raggiante solo sotto forma di pacchetti energetici. Einstein calcolò l’energia associata ad ogni fotone e vide che era proporzionale alla frequenza dell’onda elettromagnetica. Prima delle scoperte della prima metà del XX secolo, onde e particelle sembravano concetti opposti: un’onda riempie una regione di spazio, mentre un elettrone oppure uno ione hanno una locazione ben definita. Su scala atomica, in effetti, la 20 distinzione diventa confusa: le onde hanno alcune proprietà delle particelle e viceversa. Effettivamente il fotone mostra una duplice natura, sia corpuscolare, sia ondulatoria: a seconda della strumentazione usata per rilevarlo, si comporta come una particella, o si comporta come un’onda. L’esperimento dell’effetto fotoelettrico, per cui si ha emissione di elettroni da parte di un corpo colpito da onde elettromagnetiche, suggerisce la natura corpuscolare della luce, mentre i fenomeni di diffrazione e di interferenza suggeriscono una natura ondulatoria. Per valutare come la luce passi attraverso un telescopio, si calcola il suo moto come se la luce fosse un’onda. Però, quando la stessa onda cede la sua energia a un singolo atomo, risulta che essa si comporta come una particella. Indipendentemente dal fatto che un raggio di luce sia più brillante o debole, la sua energia viene trasmessa in quantità delle dimensioni di un atomo (il fotone) la cui energia dipende soltanto dalla lunghezza d'onda. Le osservazioni hanno mostrato che tale dualità onda-particella esiste anche in direzione opposta. Un elettrone dovrebbe avere, in ogni istante, posizione e velocità ben definite; ma la fisica quantistica ci dice che una precisione in osservazioni di questo tipo non può essere ottenuta, e ci suggerisce che il moto può essere descritto come un'onda. Il dualismo onda-particella era considerato paradosso fino all’introduzione completa della meccanica quantistica, che descrisse in maniera unificata i due aspetti. La radiazione si comporta come un’onda quando si propaga nello spazio, mentre si comporta come particella quando interagisce con la materia. (π) Venendo alla soluzione dell’esercizio proposto, la situazione descritta dal testo è schematizzata, prima e dopo l’urto, nella figura che segue. È necessario determinare la quantità di moto del sistema nelle due situazioni riportate: prima dell’urto (1) il fotone viaggia verso il corpo fermo alla velocità della luce; dopo l’urto (2) il fotone subisce un rimbalzo, mentre il corpo di massa π comincia a muoversi con velocità π£, verso destra nel disegno riportato. 21 Essendo l’urto monodimensionale, non è necessario introdurre quantità vettoriali e, pertanto, indicando con π la quantità di moto, risulta π1 = βπ βπ , π2 = − + ππ£ . π π Imponendo che π1 = π2 , si ottiene facilmente la variazione della quantità di moto, che coincide con l’impulso, del corpo ππ£ = 2 βπ . π Il fotone ha subito una variazione di energia pari a βπΈπ = βπ − (−βπ) = 2βπ , che è stata integralmente guadagnata, essendo il sistema isolato, dal corpo βπΈπ = 2βπ . (π) Per fare una foto all’elettrone dell’atomo di idrogeno, bisogna utilizzare un fotone di lunghezza d’onda minore o uguale al raggio atomico, cioè 22 π≤π → π ≥1. π Facendo riferimento al modello atomico di Bohr per l’atomo di idrogeno, l’elettrone ruota intorno al nucleo lungo un’orbita circolare con velocità tangenziale π’, sicché si può scrivere che l’energia totale vale 1 π2 πΈ = ππ π’ 2 − 2 4ππ0 π con ππ massa dell’elettrone. Per ottenere il valore della velocità π’, e quindi quello dell'energia cinetica, basta eguagliare la forza centripeta con l’attrazione coulombiana, per cui ππ π’2 π2 π2 2 = → π π’ = . π π 4ππ0 π 2 4ππ0 π Segue che l’energia totale posseduta dall’elettrone risulta pari a 1 π2 π2 π2 π2 πΈ = ππ π’ 2 − = − =− 2 4ππ0 π 8ππ0 π 4ππ0 π 8ππ0 π e rappresenta il lavoro necessario per portare a distanza infinita l’elettrone. Come è noto, per ionizzare un atomo di idrogeno occorre un lavoro che vale ππππ π2 = . 8ππ0 π Nell’urto con un fotone, discusso nel punto precedente, all’elettrone viene trasferita l’energia βπΈπ = 2βπ = 23 2βπ , π che va confrontata con il lavoro di ionizzazione βπΈπ 2βπ 8ππ0 π 16ππ0 βπ π = = . ππππ π π2 π2 π Ricordando il valore della costante di struttura fine π2 1 πΌ= ≅ , 2π0 βπ 137 la precedente relazione diventa βπΈπ 8ππ 1096ππ π = ≅ > ≥1. ππππ πΌπ π π E così si può concludere che l’energia fornita all’elettrone che urta con un fotone βπΈπ è sempre maggiore del lavoro richiesto per ionizzarlo, cioè l’atomo si ionizza, se lo si tenta di “fotografare” con un fotone di lunghezza d’onda minore o uguale al raggio atomico. La costante di struttura fine, indicata con la lettera greca πΌ, è un parametro che mette in relazione le principali costanti fisiche dell’elettromagnetismo ed esprime la costante di accoppiamento che caratterizza l’intensità dell’interazione elettromagnetica. Venne introdotta da Arnold Sommerfeld nel 1916 come misura della deviazione relativistica nelle linee spettrali rispetto al modello di Bohr e, per questo motivo, è anche chiamata costante di Sommerfeld. 24 5) Si mostri che un campo magnetico non può compiere lavoro su una carica in movimento. In un motore elettrico chi fornisce energia, e con quale meccanismo? Si illustri il principio del motore elettrico tramite una spira rotante all’interno di un opportuno campo magnetico. Una carica, dotata di carica π che si muove con velocità π£β in presenza soltanto di ββ sperimenta una forza di Lorentz πΉβ , pari a un campo di induzione magnetica π΅ ββ . πΉβ = ππ£β × π΅ Ebbene, questa forza non compie alcun lavoro, essendo per definizione ortogonale alla velocità che la carica possiede istante dopo istante. Formalmente, se si suppone di spostare la carica tra due punti π΄ e π΅, il lavoro compiuto vale π΅ ππ΄π΅ = ∫ πΉβ β πΜ ππ , π΄ in cui si è indicato con πΜ il versore alla traiettoria seguita. Dato che risulta ββ β πΜ = ππΜ × π£β β π΅ ββ = 0 , πΉβ β πΜ = ππ£β × π΅ 25 essendo πΜ β₯ π£β, si conclude rapidamente la tesi richiesta π΅ ππ΄π΅ = ∫ πΉβ β πΜ ππ = 0 . π΄ Poi, ciò che il testo erroneamente indica come motore elettrico, in realtà, è una macchina elettrica, precisamente un alternatore, che funziona trasformando un movimento meccanico di rotazione generato da qualche altra macchina in una corrente alternata. 26 Per comprendere secondo quale meccanismo si generi l’energia elettrica, si consideri una spira, posta in rotazione, con velocità angolare costante, attorno ad un asse, in un campo magnetico uniforme, come mostrato schematicamente nella figura che segue, in cui l’asse verticale rappresenta l’asse fisso attorno al quale ruota la spira. Come sappiamo, la legge dell’induzione elettromagnetica prevede che, proprio a causa di questa rotazione, nella spira si generi una forza elettromotrice (f.e.m.), che si dimostrerà variare in maniera sinusoidale nel tempo. Andando più nel dettaglio, il flusso Φ(π‘), indotto nella spira, è pari a ββ β πΜ ππ = π΅π΄ cos(ππ‘) Φ(π‘) = β¬ π΅ π΄ in cui si è indicato con π΄ la superficie della spira. Ciò vuol dire che ruota pure la normale πΜ, solidale con la spira, e questa normale forma con il campo di induzione magnetica un angolo πΌ, variabile nel tempo. È facile convincersi che, supponendo costante la velocità angolare di rotazione, questo angolo valga proprio πΌ = ππ‘: ad esempio, all’istante π‘ = 0, risulta πΌ = 0. 27 Se, ora, si immagina di considerare un avvolgimento composto da π spire identiche, moltiplicando per π il valore del flusso ottenuto per mezzo dell’integrazione, non è difficile ottenere la f.e.m. complessivamente indotta π(π‘) = − dΦ = ππ΅π΄π cos(ππ‘) . ππ‘ Questa semplice espressione mostra con chiarezza che una f.e.m. sinusoidale si è generata ai capi della spira, sempre che la velocità angolare di rotazione sia costante (dove si è usato questa ipotesi?), di valore efficace πΈ= ππ΅π΄π √2 ≅ 4.44 π Φπππ₯ dove Φπππ₯ = π΅π΄ rappresenta il massimo valore del flusso che si concatena con la generica spira dell’avvolgimento e con π = π/(2π) la frequenza di rotazione. Nella pratica, l’avvolgimento è, ad esempio, messo in rotazione da alcune turbine che trasformano in moto circolare, mettendo in rotazione un albero su cui è calettato l’avvolgimento stesso, il moto rettilineo dell’acqua di una cascata. Quale che sia il motore primo, se un avvolgimento ruota a velocità angolare costante in un campo magnetico, ai suoi capi si potrà raccogliere una f.e.m. sinusoidale. Su questa idea si fonda il principio di funzionamento dei principali generatori sinusoidali, anche detti alternatori. Senza voler scendere in troppi dettagli, vale la pena sottolineare il fatto che, nella realizzazione pratica di un alternatore, si preferisce una struttura duale rispetto a quella descritta, in cui la spira è ferma ed il campo di induzione magnetica ruota: le formule presentate continuano a valere, dato che ciò determina la f.e.m. indotta è il moto relativo tra l’avvolgimento ed il campo. Inoltre, si tratta di una struttura cilindrica composta di due parti: lo statore, che è fisso, rappresenta la parte più esterna ed ospita due cave a sezione rettangolare, in cui alloggiano le spire; il rotore, che è mobile, è la parte più interna 28 e presenta due estremità, dette in gergo espansioni o scarpe polari, opportunamente sagomate. Il campo di induzione magnetica creato dal rotore è in moto rigido con esso e si chiude nel ferro dello statore, presentando un tipico andamento radiale nella regione del traferro, anche detto interferro, che rappresenta la zona posta in mezzo ai due tratti di ferro dello statore e del rotore. 29 6) Un piccolo corpo paramagnetico (π) viene attratto sia dal polo nord che dal polo sud di una calamita, un piccolo corpo diamagnetico viene respinto. In un campo magnetico uniforme, entrambi i corpi (π) sono soggetti a forze nulle. Per spiegare questi due fatti, si supponga che l’effetto della presenza del corpo nel campo magnetico sia schematizzabile come un cambiamento della energia per unità di volume del campo magnetico nella regione occupata dal corpo rispetto alla situazione in cui il corpo è assente. (π) Si dica, per i due tipi di corpo, se l’energia per unità di volume è maggiore o minore che nel vuoto. (ππ)Si spieghi l’osservazione (π). Esistono materiali che, come il ferro e il nichel, sono attratti in maniera piuttosto intensa da un magnete. Le sostanze che si comportano in questo modo sono dette ferromagnetiche e sono le stesse che si magnetizzano, se sono poste a contatto con un magnete permanente, come un cristallo di magnetite. Se si utilizzano invece magneti ordinari, si ha l’impressione che le sostanze non ferromagnetiche non risentano in alcun modo della presenza di un campo magnetico. Però in laboratorio, dove si ottengono campi magnetici di grande intensità, è possibile osservare diversi tipi di comportamenti: per esempio l’acqua, l’argento ed il rame vengono debolmente respinti da un campo magnetico. Invece l’aria e l’alluminio sono attratti, anche in questo caso con una forza molto piccola. Le sostanze che sono respinte da un campo magnetico si dicono diamagnetiche. Quelle che vengono debolmente attratte sono chiamate paramagnetiche. Ampère aveva fatto l’ipotesi che il comportamento dei magneti permanenti fosse dovuto all’effetto di correnti elettriche microscopiche che fluiscono al loro interno. A cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, egli non aveva però alcuna idea di quali fossero e come si generassero queste correnti. Oggi è noto che all’interno 30 degli atomi ci sono davvero correnti ‘elementari’, dovute al moto degli elettroni attorno al nucleo e al loro spin. Ogni atomo, quindi, si può comportare come una spira percorsa da corrente che in un campo magnetico esterno ruota fino ad allineare il proprio momento magnetico al campo di induzione magnetica. Così, in tutto lo spazio il campo magnetico che si misura non è più il campo ββ0 , ma il campo totale magnetico esterno π΅ ββ = π΅ ββ0 + π΅ ββπ , π΅ ββπ è il campo di induzione magnetica sostenuto dall’allineamento dei dove π΅ magneti elementari in cui il materiale si può immaginare sia costituito. Le sostanze ferromagnetiche possiedono momenti magnetici elementari piuttosto intensi, che subiscono fortemente l’effetto del campo esterno e generano un ββπ intenso. I campi π΅ ββ0 e π΅ ββπ hanno lo stesso verso, per cui π΅ ββ può essere campo π΅ ββ0 . Per questa ragione, anche se B0 è uniforme, molto più intenso di π΅ il campo totale è più intenso all’interno del materiale: in tale zona le linee di campo magnetico si addensano. Le sostanze paramagnetiche hanno momenti magnetici elementari piuttosto ββ0 avviene come nelle sostanze deboli. Il loro allineamento nella direzione di π΅ ββπ è poco più ferromagnetiche, ma gli effetti sono molto meno evidenti. Il campo π΅ ββ0 e l’addensamento delle linee di campo all’interno del materiale è grande di π΅ trascurabile. Le sostanze diamagnetiche, in condizioni normali, hanno correnti elettriche elementari uguali a zero, perché al loro interno gli effetti magnetici dovuti ai ββ0 , che agisce sugli singoli elettroni si compensano. Un campo magnetico esterno π΅ elettroni in movimento, disturba questo equilibrio e genera un momento ββ0 . Così il campo magnetico magnetico debole, ma con verso opposto a quello di π΅ 31 ββ0 : le linee di campo magnetico tendono a essere totale è di poco minore di π΅ espulse, anche se di poco, dal materiale. Venendo al problema assegnato, la densità di energia del campo magnetico vale π΅2 π΅2 π’π΅ = = , 2π 2π0 ππ dove ππ è la permeabilità magnetica relativa, che, nei materiali diamagnetici e paramagnetici, ha un valore che magnetica differisce di poco rispetto a quella del vuoto. Precisamente, si dividono in diamagnetiche (in cui la permeabilità relativa e minore dell’unita) e paramagnetiche (in cui la permeabilità relativa e maggiore dell'unita). Quindi, nei materiali diamagnetici la densità di energia e minore di quella del vuoto, e viceversa per quelli paramagnetici. Un corpo diamagnetico posto in un campo magnetico esterno sviluppa un momento dipolare magnetico nella stessa direzione opposta al campo. Se il campo e disuniforme il corpo si muove verso una regione dove il campo magnetico e meno intenso. Un corpo paramagnetico posto in un campo magnetico esterno sviluppa un momento dipolare magnetico nella stessa direzione del campo. Se il campo è disuniforme il corpo si muove verso una regione dove il campo magnetico è più intenso. Per questo motivo i due corpi non sono attratti o respinti da nessuna regione del campo magnetico, e perciò la risultante delle forze che subiscono è nulla. 32