Anno accademico 1983-1984
1) Una molecola di gas percorre in media una distanza 𝑙 prima di urtare un’altra
molecola. Si dimostri che, a basse densità, 𝑙 è direttamente proporzionale alla
temperatura 𝑇 e inversamente alla pressione 𝑃 del gas. Si determini il raggio delle
molecole del gas sapendo che a 𝑇 = 300 𝐾 e 𝑃 = 33 𝑑𝑦𝑛𝑒/π‘π‘š2 la lunghezza 𝑙 è di
5 π‘π‘š.
Il libero cammino medio 𝑙 è una grandezza di notevole interesse nello studio
molecolare dei processi che avvengono nei gas, che si può interpretare come la
distanza media percorsa da una molecola fra urti successivi, sicché per
determinarlo basterà valutare il numero di urti al secondo (frequenza) che una
molecola subisce. Si consideri allora un gas con comportamento ideale, costituito
da un unico insieme di particelle omogenee e si schematizzi ogni molecola come
una sferetta di diametro 𝑑. Quale forma abbia in realtà è veramente difficile a dirsi,
ma poco importa in quel che segue.
Una valutazione approssimata di 𝑙 si può fare immaginando per un momento che
tutte le molecole siano ferme, tranne una, indicata con 𝐴 in figura, che è animata
da un moto rettilineo ed uniforme a tratti, con una velocità media π‘£π‘š . Si avrà un
2
urto ogni qual volta i centri delle due molecole si avvicinano entro una distanza
pari al diametro 𝑑; in realtà, questa distanza dipende dai campi di forze che
circondano le molecole, che solo approssimativamente è possibile considerare
come sfere rigide. Fino a quando il percorso tra due urti successivi si mantiene
molto più grande del diametro delle molecole, vale a dire fino a quando il gas è a
bassa densità, il numero di molecole urtato nel tempo βˆ†π‘‘ è pari al numero di
molecole il cui centro si trova in media in un cilindro di lunghezza π‘£π‘š βˆ†π‘‘ e
diametro 2𝑑, avente perciò volume βˆ†π‘‰ pari a
βˆ†π‘‰ = πœ‹π‘‘ 2 π‘£π‘š βˆ†π‘‘ .
Se πœ‚ rappresenta il numero di molecole per unità di volume, il numero medio di
urti nel tempo βˆ†π‘‘ è pari a
βˆ†π‘ = πœ‚βˆ†π‘‰ = πœ‹π‘‘ 2 πœ‚π‘£π‘š βˆ†π‘‘ .
Segue che il libero cammino medio si può scrivere come
𝑙=
π‘£π‘š βˆ†π‘‘
1
=
.
πœ‹π‘‘ 2 πœ‚π‘£π‘š βˆ†π‘‘ πœ‹π‘‘ 2 πœ‚
Orbene, per un gas perfetto, contenuto in un volume 𝑉, sottoposto alla pressione
𝑃 e tenuto alla temperatura assoluta 𝑇, la densità molecolare, dato che in una mole
è presente un numero di Avogadro 𝑁𝐴 di molecole, si può esprimere in funzione
delle moli 𝑛 di gas come
πœ‚=
𝑛𝑁𝐴
𝑃
→ 𝑃𝑉 = 𝑛𝑅𝑇 → πœ‚ = 𝑁𝐴
,
𝑉
𝑅𝑇
3
in cui 𝑅 è la costante universale dei gas. Sostituendo nella formula del libero
cammino medio, in definitiva, si ottiene
𝑙=
1
𝑅𝑇
=
.
πœ‹π‘‘ 2 πœ‚ πœ‹π‘‘ 2 𝑁𝐴 𝑃
Questa ultima relazione dimostra la tesi richiesta, cioè che 𝑙 risulta direttamente
proporzionale alla temperatura 𝑇 ed inversamente alla pressione 𝑃 del gas.
Il calcolo appena svolto, tuttavia, è approssimato, poiché in esso è stato supposto
che le molecole urtate, indicate in figura con 𝐡, 𝐢, 𝐷, 𝐸, fossero ferme: in realtà,
esse si muovono ed occorrerebbe usare per il calcolo del numero di urti al
secondo, la velocità relativa media delle molecole tra loro e non la velocità media
delle molecole rispetto ad un sistema esterno (recipiente). Ripetendo il calcolo
con questa precisazione ed usando la legge di Maxwell per la distribuzione delle
velocità, si trova che il numero di urti è √2 volte più grande di quello calcolato in
precedenza, sicché si può scrivere
𝑙=
𝑅𝑇
πœ‹√2 𝑑2 𝑁𝐴 𝑃
=
π‘˜
𝑇
,
πœ‹√2 𝑑2 𝑃
in cui, per brevità, si è fatto uso della la costante di Boltzmann
π‘˜=
𝑅
𝐽
= 1.3806488 βˆ™ 10−23 .
𝑁𝐴
𝐾
Per cercare di intuire l’entità di questo fattore correttivo, si può osservare che le
direzioni, possedute prima dell’urto da due molecole che si urtano, formano al più
un angolo piatto tra 0 ≤ πœƒ < πœ‹. Ogni valore angolare è ugualmente probabile,
sicché può considerare πœƒπ‘š = πœ‹/2 quale valor medio dell’angolo di urto. Segue che,
se le due molecole che si urtano hanno, rispetto ad un sistema di riferimento
4
esterno, lo stesso valore del modulo della velocità π‘£π‘š e direzioni poste ad angolo
retto, la velocità relativa vale proprio π‘£π‘š √2.
Infine, per ottenere la stima del raggio molecolare π‘Ÿ = 𝑑/2, nelle condizioni
assegnate di temperatura e pressione, si può scrivere che
π‘Ÿ2 =
π‘˜
𝑇
π‘˜π‘‡
→ π‘Ÿ=√
≅ 3.76 βˆ™ 10−11 π‘š .
4πœ‹√2 𝑙 𝑃
4πœ‹√2 𝑙 𝑃
Vale la pena notare che nel Sistema Internazionale è
1 𝑑𝑦𝑛𝑒 = 10−5 𝑁 → 𝑃 = 33
5
𝑑𝑦𝑛𝑒
𝑁
=
3.3
.
π‘π‘š2
π‘š2
2) Una rotaia è divisa in segmenti di lunghezza 𝐿 = 50 π‘š. La distanza tra
segmento e segmento è di 5 π‘π‘š a −10 °πΆ, o minore di questa quando la
temperatura è più alta. La segmentazione ha lo scopo di “controllare” gli effetti
della dilatazione termica. Si valuti:
(𝑖) quale sarebbe la massima altezza raggiungibile da un singolo segmento se
fosse bloccato agli estremi;
(𝑖𝑖) l’ordine di grandezza del coefficiente di dilatazione lineare per il materiale di
cui è costituita la rotaia.
Una rotaia posta all’aperto si trova ad una temperatura che varia con continuità
in funzione delle sempre mutevoli condizioni ambientali: la temperatura dell’aria,
l’intensità dell’irraggiamento solare, l’eventuale presenza di pioggia. Per questo,
la temperatura che assume il binario al variare delle condizioni ambientali
dipende principalmente da tre fattori:
1. la temperatura dell’aria;
2. l’irraggiamento solare;
3. l’eventuale presenza di precipitazioni atmosferiche.
La temperatura dell’aria determina uno scambio di calore che avviene, attraverso
la superficie esterna della rotaia, tra l’aria circostante e la rotaia stessa. Da questo
punto di vista la rotaia tenderebbe e raggiungere una situazione di equilibrio in
cui, in tutto il suo volume, essa assumerebbe una temperatura pari a quella
dell’aria. In occasione di giornate soleggiate, però, qualora la rotaia sia
direttamente esposta ai raggi del sole, il fenomeno dell’irraggiamento può far
aumentare la temperatura del materiale fino a valori superiori a quelli della
temperatura dell’aria. Inoltre, il verificarsi di piogge più o meno intense fa sì che
la rotaia si ricopra di un velo d’acqua, che, da un lato può avere una temperatura
differente da quella della rotaia, implicando quindi uno scambio di calore con la
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rotaia stessa, dall’altro, a seguito dell’evaporazione ne farà diminuire la
temperatura superficiale. Complessivamente, viste le temperature massime e
minime dell’aria registrate nel corso di un anno in Italia e considerati i fenomeni
dell’irraggiamento e delle precipitazioni atmosferiche che possono intervenire, è
possibile raggiungere temperature di binario massime di circa 70 °πΆ e minime di
circa −10 °πΆ. Pertanto, l’escursione massima di temperatura da prendere in
considerazione è dell’ordine di 80 °πΆ. Al variare poi dell’altitudine o della
latitudine, variano leggermente gli estremi di questa escursione, ma ne rimane
praticamente invariata l’ampiezza.
Se non vengono prese adeguate contromisure contro questo salto termico, si può
andare incontro a seri problemi per le rotaie, che possono nei casi più gravi
portate all’incurvamento delle stesse e determinare un rallentamento, se non una
paralisi, del traffico ferroviario. D’estate, ad esempio, su alcune tratte ferroviarie,
i treni sono costretti a diminuire la velocità, per evitare conseguenza
imprevedibili sulla dinamica della carrozza, come dimostra la figura che segue.
Questa evenienza, d’altra parte, impedisce un corretto e lineare sviluppo dei treni
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ad alta velocità che, in un paese piccolo come l’Italia, rappresentano un valido
sostitutivo dell’aereo. Così, essendo la rotaia è in acciaio, se la stessa è sottoposta
ad una variazione di temperatura βˆ†π‘‡, si allunga se la variazione è in aumento
βˆ†π‘‡ > 0 e si accorcia in caso contrario βˆ†π‘‡ < 0. L’entità dell’allungamento, a parità
di βˆ†π‘‡, dipende dalla natura del materiale e dalla lunghezza della barra secondo la
nota relazione
βˆ†πΏ = π›ΌπΏβˆ†π‘‡
dove la stima del coefficiente di dilatazione termica dai dati forniti nel testo è uno
degli obiettivi dell’esercizio. Se la rotaia è libera di muoversi l’allungamento sarà
pari proprio a βˆ†πΏ e non nasceranno sollecitazioni nella rotaia. Nell’ipotesi che la
rotaia sia libera da ogni vincolo e comunque fissa rispetto al suo punto centrale
gli allungamenti o accorciamenti si svilupperanno al 50% su ciascuna testata.
Fatte queste premesse, necessarie per specificare l’intervallo di escursione
termica a cui è sottoposta una rotaia, si può entrare nel vivo dell’esercizio
proposto.
(𝑖) Qualora la dilatazione fosse del tutto impedita all’interno della rotaia
nascerebbe una forza di compressione, se viene impedita la dilatazione, o di
trazione, se viene impedita la compressione. Se si sottopone la rotaia ad una
compressione oppure ad una trazione longitudinale in campo elastico, vale la
legge di Hooke
𝐹 = 𝐸𝐴
βˆ†πΏ
,
𝐿
dove 𝐹 è la forza applicata, 𝐴 la sezione della rotaia, 𝐸 è il modulo di elasticità
dell’acciaio, che vale
8
𝐸 = 206
π‘˜π‘
.
π‘šπ‘š2
Nel caso in esame la forza di compressione coincide con la reazione esercitata dal
meccanismo di bloccaggio sull’asta e dovuta all’allungamento termico, per cui
𝐹 = πΈπ΄π›Όβˆ†π‘‡ .
Non è semplice dire quale forma nello spazio assumerà la rotaia, a causa di questa
auto-compressione; in effetti, per il sollevamento, occorre ipotizzare la forma
della curva, ammesso che sia unica, che assume il binario quando, a causa della
massima escursione termica, si dilata di βˆ†πΏ = 5 π‘π‘š. Un’approssimazione
‘ragionevole’ potrebbe essere la forma triangolare del binario, per cui una singola
rotaia, bloccata agli estremi, assume approssimativamente una forma geometrica
costituita da due segmenti, come suggerisce la figura che segue, per cui la massima
altezza si raggiunge in corrispondenza del centro geometrico. Orbene, dato che
risulta
βˆ†πΏ 5 π‘π‘š
=
= 10−3 β‰ͺ 1 ,
𝐿
50 π‘š
il Teorema di Pitagora consente di scrivere la massima altezza
β„Žπ‘šπ‘Žπ‘₯
=√
(𝐿 + βˆ†πΏ)2 𝐿2
πΏβˆ†πΏ
− ≅√
≅ 1.12 π‘š .
4
4
2
Una analisi più raffinata richiede la conoscenza, che certamente esula dagli
obiettivi della scuola secondaria superiore, delle travi sottoposte a carichi di
punta, che, come aveva già trovato Eulero, si dispongono come lungo un arco di
sinusoide: il risultato esatto, tuttavia, differisce di poco rispetto a quello
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approssimato trovato. Una strada intermedia, in grado di fornire un risultato più
vicino alla realtà, può essere quella di supporre che la rotaia si distribuisce lungo
un arco di circonferenza.
(𝑖𝑖) Per ottenere una stima del coefficiente di dilatazione lineare 𝛼, si può
applicare la legge di dilatazione lineare per un’escursione termica di circa 80 °πΆ.
Risulta immediatamente che
1 βˆ†πΏ
1 5 βˆ™ 10−2
βˆ†πΏ = π›ΌπΏβˆ†π‘‡ → 𝛼 =
=
= 1.25 βˆ™ 10−5 𝐾 −1 .
𝐿 βˆ†π‘‡ 50 80
In realtà, una valutazione più precisa del coefficiente di dilatazione termica
lineare dell’acciaio adoperato per gli usi ferroviari fornisce il più corretto valore
𝛼𝐴𝐢𝐢𝐼𝐴𝐼𝑂 = 1.15 βˆ™ 10−5 𝐾 −1 .
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Si deduce che la stima ottenuta con i dati forniti dal testo è affetta da un errore
che è di poco inferiore al 9%.
Acciaio è il nome attribuito ad una lega di ferro contenente carbonio in percentuale non
superiore al 2.11 %. Il complesso di proprietà che caratterizzano l’acciaio, così come tutti gli
altri metalli, è collegato alla sua struttura cristallina. Nei solidi cristallini gli atomi sono disposti
nello spazio con regolarità in modo da costituire un reticolo tridimensionale; la struttura e le
proprietà che ne derivano dipendono principalmente dalla natura dei legami esistenti tra gli
atomi. Lo studio della Fisica dei Materiali ha accertato che esistono solo 14 modi per disporre
gli atomi in modo ordinato secondo una geometria ripetuta nello spazio. La maggior parte dei
metalli cristallizza nei tipi di struttura a più alta simmetria che sono anche quelli a maggior
compattezza: cubica a corpo centrato (𝑐𝑐𝑐), cubica a facce centrate (𝑐𝑓𝑐). Una semplice e
razionale classificazione dei numerosi tipi di acciaio prodotti, spesso assai diversi gli uni dagli
altri, non è facile in quanto essa può essere fatta in base a criteri sostanzialmente differenti.
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3) Il moto delle stelle nel disco della nostra galassia è con buona approssimazione
una rotazione differenziale, cioè le stelle ruotano intorno al centro galattico con
una velocità angolare Ω(𝑅) che dipende dalla distanza 𝑅 della stella dal centro
della galassia. Sia
Ω(𝑅) = Ω(𝑅0 ) + 2𝐴 (
𝑅 − 𝑅0
),
𝑅0
ove 𝐴 è una costante ed 𝑅0 indica la distanza del Sole dal centro galattico. Si
dimostri che, per stelle 𝑆 vicine al Sole (cioè tali che π‘Ÿ β‰ͺ 𝑅0 , vedi figura), la
proiezione π‘£π‘Ÿ della velocità relativa delle stelle rispetto al Sole lungo la
congiungente stella–Sole segue la legge
π‘£π‘Ÿ ~π΄π‘Ÿ sin(2πœƒ) ,
dove πœƒ è l’angolo definito in figura. Facoltativo: si discuta brevemente che tipo di
osservazioni possono condurre alla verifica della legge e quindi alla misura di 𝐴.
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Si osserva preliminarmente che il testo di questo esercizio termina con la nota
storica: in questo problema vengono percorsi i passi essenziali che consentirono
a Oort (1927) di provare che il moto nella nostra galassia è una rotazione
differenziale.
Jan Hendrik Oort
Franeker, 28 aprile 1900 – Leida, 5 novembre 1992
Anche l’ipotesi, avanzata da Oort nel 1950, che le comete avessero un’origine
comune, si rivelò corretta negli anni successivi: per questo motivo la nube di
comete che avvolge il Sistema Solare porta il suo nome ed è detta nube di Oort.
L’appiattimento della Via Lattea ha da sempre suggerito agli astronomi la sua
rotazione attorno un asse normale al piano galattico: le osservazioni del moto
delle stelle e del gas interstellare hanno mostrato che questa rotazione esiste
davvero. Tuttavia, la Via Lattea non ruota come un corpo rigido, ma è soggetta ad
una rotazione differenziale, per cui la velocità angolare dipende dalla distanza dal
centro galattico: procedendo dal centro galattico verso il Sole, la velocità di
rotazione diminuisce con il raggio. Un modello della rotazione della Via Lattea è
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stato ricavato da Oort, che suppose che le stelle si muovono di moto circolare
attorno il centro galattico, una approssimazione che è accettabile soltanto per
alcune popolazioni di stelle.
La Via Lattea è la galassia alla quale appartiene il sistema solare; è la galassia per
antonomasia, poiché il nome deriva dal greco galaxias, latteo, utilizzato in epoca
greca per designarla. In base agli studi più recenti pare che la Galassia sia, da un
punto di vista strettamente morfologico, una galassia a spirale barrata, ovvero
una galassia composta da un nucleo attraversato da una struttura a forma di barra
dalla quale si dipartono i bracci di spirale che seguono un andamento logaritmico;
è il membro principale, insieme alla Galassia di Andromeda, del Gruppo Locale,
un insieme di galassie comprendente, oltre alle due precedentemente citate, la
Galassia del Triangolo ed una cinquantina di galassie minori, principalmente
nane.
Furono le prime osservazioni telescopiche, compiute da Galileo Galilei nel 1609, a rivelare che
essa consisteva di una miriade di stelle fittamente raggruppate, risolvendo finalmente l’enigma
che aveva rappresentato per lungo tempo la nostra galassia. Si dovette aspettare la fine del
Settecento e le osservazioni di Sir Frederick William Herschel per cominciare a intuire che il
sistema di stelle al cui interno si trova il Sole è in realtà limitato e forma un enorme disco
schiacciato.
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Agli inizi del secolo XX, l’astronomo olandese Jacobus Cornelius Kapteyn formulò le prime stime
del diametro del disco e del suo spessore. Assumendo che le stelle avessero tutte la stessa
luminosità assoluta e che la loro luminosità apparente diminuisse col quadrato della distanza,
Herschel concluse che il Sole era al centro di un sistema stellare di forma lenticolare. Questa
erronea credenza perdurò per oltre un secolo. Nel 1917, Harlow Shapley, studiando la
distribuzione spaziale degli ammassi globulari, trovò che questa era sfericamente simmetrica
intorno a un punto, situato assai lontano dal Sole, che doveva identificarsi con il centro della Via
Lattea. L'apparente contraddizione con i risultati delle analisi basate sui conteggi stellari fu
risolta, nel 1930, quando Robert Julius Trumpler provò che la luce delle stelle era fortemente
assorbita dalla polvere interstellare. Infatti, è proprio a causa di questo fenomeno che la densità
spaziale delle stelle sembra decrescere in tutte le direzioni all'aumentare della distanza,
creando l’illusione che il Sole sia al centro della Via Lattea.
Venendo al problema proposto e facendo riferimento alla figura riportata, si
supponga che il Sole si muova di moto circolare attorno al centro galattica con
velocità 𝑣⃗0 e che la stella in esame sia animata dal medesimo tipo di moto, ma con
velocità 𝑣⃗ e. Allora si può affermare che la velocità radiale relativa π‘£π‘Ÿ della stella
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rispetto al Sole è la differenza tra le proiezioni delle velocità sulla linea di
osservazione, cioè
π‘£π‘Ÿ = 𝑣 cos 𝛼 − 𝑣0 sin πœƒ ,
in cui 𝛼 rappresenta l'angolo che il vettore velocità della stella forma con la linea
di osservazione. Sempre dalla figura riportata è possibile osservare che,
applicando il teorema dei seni al triangolo 𝐢𝑆𝑆0 , risulta
𝑅
𝑅0
𝑅0
=
→ cos 𝛼 =
sin πœƒ ,
sin πœƒ sin(𝛼 + πœ‹/2)
𝑅
da cui si ricava che
π‘£π‘Ÿ = 𝑣
𝑅0
𝑣 𝑣0
sin πœƒ − 𝑣0 sin πœƒ = 𝑅0 ( − ) sin πœƒ .
𝑅
𝑅 𝑅0
Introdotte dunque le due velocità angolari
Ω(𝑅) =
𝑣
𝑣0
, Ω(𝑅0 ) =
,
𝑅
𝑅0
la relazione precedente diventa
π‘£π‘Ÿ = 𝑅0 [Ω(𝑅) − Ω(𝑅0 )] sin πœƒ ,
che, in forza della relazione assegnata dal testo
Ω(𝑅) − Ω(𝑅0 ) = 2𝐴 (
𝑅 − 𝑅0
) →
𝑅0
𝑅0 [Ω(𝑅) − Ω(𝑅0 )] = 2𝐴(𝑅 − 𝑅0 ) ,
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si può anche scrivere come
π‘£π‘Ÿ = 2𝐴(𝑅 − 𝑅0 ) sin πœƒ .
Se ora si ipotizza che la stella si trovi vicino al Sole, per cui 𝑅 ≅ 𝑅0 , allora, come
suggerisce la figura che segue, deve anche essere
𝑅0 − 𝑅 ≅ 𝐻𝑆0 = π‘Ÿ cos πœƒ .
Sostituendo infine nella formula della velocità relativa radiale, si ottiene
l’approssimazione desiderata
π‘£π‘Ÿ ~ − 2π΄π‘Ÿ cos πœƒ sin πœƒ = −π΄π‘Ÿ sin(2πœƒ) .
Vale la pena notare che quanto appena fatto per la componente lungo π‘Ÿ si
potrebbe ripetere per l’altra componente ad essa perpendicolare.
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La costante A è detta costante di Oort e rappresenta un indicatore cinematico che
si utilizza per misurare la velocità di rotazione del Sole nel piano galattico e vale
𝐴 = (14.82 ± 0.84)
π‘š
,
𝑠 π‘π‘Žπ‘Ÿπ‘ π‘’π‘
dove si ricorda che il parsec, unità di lunghezza usata in Astronomia, è definito
come la distanza dalla Terra (o dal Sole) di una stella che ha una parallasse annua
di 1 secondo d’arco. In pratica, risulta
1 π‘π‘Žπ‘Ÿπ‘ π‘’π‘ = 1 𝑝𝑐 =
360 βˆ™ 60 βˆ™ 60
𝑒. π‘Ž. ≅ 3,086 βˆ™ 1016 π‘š .
2πœ‹
In buona sostanza, una rilevazione sperimentale di questa costante si può
eseguire con il metodo di seguito descritto. Supponendo nota la distanza del Sole
dal centro galattico 𝑅0 , si misurano le velocità angolari di due stelle vicine al Sole,
ma disposte su circonferenze di diverso raggio misurabile, sicché
Ω(𝑅1 ) = Ω(𝑅0 ) + 2𝐴 (
𝑅1 − 𝑅0
𝑅2 − 𝑅0
) , Ω(𝑅2 ) = Ω(𝑅0 ) + 2𝐴 (
).
𝑅0
𝑅0
Sottraendo membro a membro, si può scrivere che
Ω(𝑅1 ) − Ω(𝑅2 ) + 2𝐴 (
𝑅1 − 𝑅0
𝑅2 − 𝑅0
2𝐴
(𝑅 − 𝑅2 ) .
) − 2𝐴 (
)=
𝑅0
𝑅0
𝑅0 1
Segue che la costante 𝐴 si può ottenere come
A=
𝑅0 Ω(𝑅1 ) − Ω(𝑅2 )
,
2
𝑅1 − 𝑅2
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vale a dire come rapporto tra due incrementi.
Un particolare dell’Origine della Via Lattea, dipinto da Tintoretto fra il 1575 ed il
1580, e conservato presso la National Gallery di Londra. Il quadro raffigura Zeus
che affida Eracle neonato alle cure di Era. Secondo la mitologia classica, Eracle era
nato dall’unione fra Alcmena e Zeus. Era, la moglie di quest’ultimo, gelosa, si
rifiutava di allattare il bambino, e mentre cercava di allontanarlo, il latte del suo
seno schizzò in cielo, dando origine alla Via Lattea.
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4) Un fotone di frequenza 𝜈 ha energia β„Žπœˆ e impulso β„Žπœˆ/𝑐 parallelo alla direzione
di moto (β„Ž è la costante di Planck, 𝑐 è la velocità della luce).
(π‘Ž) Se un fotone incide su un corpo fermo di massa π‘š e viene riflesso all’indietro,
che energia e che impulso esso cede al corpo?
(𝑏) Per “fotografare” un elettrone in un atomo di idrogeno occorre colpirlo con un
fotone di lunghezza d’onda minore o uguale al raggio atomico π‘Ÿ (π‘Ÿ = 5 βˆ™ 10−9 π‘π‘š).
Si mostri sulla base dei risultati ottenuti in (π‘Ž) che, in tal caso, l’atomo si ionizza.
Il termine fotone deriva dal greco e fu introdotto per la prima volta da Gilbert
Lewis nel 1926. Il fotone si indica con la lettera greca 𝛾 ed è associato ad ogni
radiazione elettromagnetica. Pur essendo un fenomeno ondulatorio, la radiazione
elettromagnetica ha anche una natura quantizzata che le consente di essere
descritta come un flusso di fotoni. Il fotone è una particella che ha vita infinita:
può essere creato e distrutto dall’interazione con altre particelle, ma non può
decadere spontaneamente. Pur non avendo massa, è influenzato dalla gravità e
possiede energia; nel vuoto si muove alla velocità della luce, mentre nella materia
si comporta in modo diverso e la sua velocità può scendere al di sotto di 𝑐. In
effetti, quando interagisce con altre particelle acquisisce massa e non si muove
più alla velocità della luce. Bohr ipotizzò che un atomo può emettere un’onda
elettromagnetica (o radiazione) solo quando un elettrone si trasferisce da
un’orbita con energia maggiore ad un’orbita con energia minore. L’energia
dell’onda elettromagnetica emessa può assumere solo valori ben definiti: non può
assumere qualsiasi valore, ma solo quantità discrete, dette quanti di energia o
fotoni. Quindi la materia è in grado di emettere o assorbire energia raggiante solo
sotto forma di pacchetti energetici. Einstein calcolò l’energia associata ad ogni
fotone e vide che era proporzionale alla frequenza dell’onda elettromagnetica.
Prima delle scoperte della prima metà del XX secolo, onde e particelle sembravano
concetti opposti: un’onda riempie una regione di spazio, mentre un elettrone
oppure uno ione hanno una locazione ben definita. Su scala atomica, in effetti, la
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distinzione diventa confusa: le onde hanno alcune proprietà delle particelle e
viceversa. Effettivamente il fotone mostra una duplice natura, sia corpuscolare,
sia ondulatoria: a seconda della strumentazione usata per rilevarlo, si comporta
come una particella, o si comporta come un’onda. L’esperimento dell’effetto
fotoelettrico, per cui si ha emissione di elettroni da parte di un corpo colpito da
onde elettromagnetiche, suggerisce la natura corpuscolare della luce, mentre i
fenomeni di diffrazione e di interferenza suggeriscono una natura ondulatoria.
Per valutare come la luce passi attraverso un telescopio, si calcola il suo moto
come se la luce fosse un’onda. Però, quando la stessa onda cede la sua energia a
un singolo atomo, risulta che essa si comporta come una particella.
Indipendentemente dal fatto che un raggio di luce sia più brillante o debole, la sua
energia viene trasmessa in quantità delle dimensioni di un atomo (il fotone) la cui
energia dipende soltanto dalla lunghezza d'onda. Le osservazioni hanno mostrato
che tale dualità onda-particella esiste anche in direzione opposta. Un elettrone
dovrebbe avere, in ogni istante, posizione e velocità ben definite; ma la fisica
quantistica ci dice che una precisione in osservazioni di questo tipo non può
essere ottenuta, e ci suggerisce che il moto può essere descritto come un'onda. Il
dualismo onda-particella era considerato paradosso fino all’introduzione
completa della meccanica quantistica, che descrisse in maniera unificata i due
aspetti. La radiazione si comporta come un’onda quando si propaga nello spazio,
mentre si comporta come particella quando interagisce con la materia.
(π‘Ž) Venendo alla soluzione dell’esercizio proposto, la situazione descritta dal
testo è schematizzata, prima e dopo l’urto, nella figura che segue. È necessario
determinare la quantità di moto del sistema nelle due situazioni riportate: prima
dell’urto (1) il fotone viaggia verso il corpo fermo alla velocità della luce; dopo
l’urto (2) il fotone subisce un rimbalzo, mentre il corpo di massa π‘š comincia a
muoversi con velocità 𝑣, verso destra nel disegno riportato.
21
Essendo l’urto monodimensionale, non è necessario introdurre quantità vettoriali
e, pertanto, indicando con 𝑝 la quantità di moto, risulta
𝑝1 =
β„Žπœˆ
β„Žπœˆ
, 𝑝2 = − + π‘šπ‘£ .
𝑐
𝑐
Imponendo che 𝑝1 = 𝑝2 , si ottiene facilmente la variazione della quantità di moto,
che coincide con l’impulso, del corpo
π‘šπ‘£ = 2
β„Žπœˆ
.
𝑐
Il fotone ha subito una variazione di energia pari a
βˆ†πΈπ‘“ = β„Žπœˆ − (−β„Žπœˆ) = 2β„Žπœˆ ,
che è stata integralmente guadagnata, essendo il sistema isolato, dal corpo
βˆ†πΈπ‘ = 2β„Žπœˆ .
(𝑏) Per fare una foto all’elettrone dell’atomo di idrogeno, bisogna utilizzare un
fotone di lunghezza d’onda minore o uguale al raggio atomico, cioè
22
πœ†≤π‘Ÿ →
π‘Ÿ
≥1.
πœ†
Facendo riferimento al modello atomico di Bohr per l’atomo di idrogeno, l’elettrone ruota
intorno al nucleo lungo un’orbita circolare con velocità tangenziale 𝑒, sicché si può scrivere che
l’energia totale vale
1
𝑒2
𝐸 = π‘šπ‘’ 𝑒 2 −
2
4πœ‹πœ€0 π‘Ÿ
con π‘šπ‘’ massa dell’elettrone. Per ottenere il valore della velocità 𝑒, e quindi quello dell'energia
cinetica, basta eguagliare la forza centripeta con l’attrazione coulombiana, per cui
π‘šπ‘’
𝑒2
𝑒2
𝑒2
2
=
→
π‘š
𝑒
=
.
𝑒
π‘Ÿ
4πœ‹πœ€0 π‘Ÿ 2
4πœ‹πœ€0 π‘Ÿ
Segue che l’energia totale posseduta dall’elettrone risulta pari a
1
𝑒2
𝑒2
𝑒2
𝑒2
𝐸 = π‘šπ‘’ 𝑒 2 −
=
−
=−
2
4πœ‹πœ€0 π‘Ÿ 8πœ‹πœ€0 π‘Ÿ 4πœ‹πœ€0 π‘Ÿ
8πœ‹πœ€0 π‘Ÿ
e rappresenta il lavoro necessario per portare a distanza infinita l’elettrone.
Come è noto, per ionizzare un atomo di idrogeno occorre un lavoro che vale
π‘Šπ‘–π‘œπ‘›
𝑒2
=
.
8πœ‹πœ€0 π‘Ÿ
Nell’urto con un fotone, discusso nel punto precedente, all’elettrone viene
trasferita l’energia
βˆ†πΈπ‘’ = 2β„Žπœˆ =
23
2β„Žπ‘
,
πœ†
che va confrontata con il lavoro di ionizzazione
βˆ†πΈπ‘’
2β„Žπ‘ 8πœ‹πœ€0 π‘Ÿ 16πœ‹πœ€0 β„Žπ‘ π‘Ÿ
=
=
.
π‘Šπ‘–π‘œπ‘›
πœ† 𝑒2
𝑒2
πœ†
Ricordando il valore della costante di struttura fine
𝑒2
1
𝛼=
≅
,
2πœ€0 β„Žπ‘ 137
la precedente relazione diventa
βˆ†πΈπ‘’
8πœ‹π‘Ÿ 1096πœ‹π‘Ÿ π‘Ÿ
=
≅
> ≥1.
π‘Šπ‘–π‘œπ‘›
π›Όπœ†
πœ†
πœ†
E così si può concludere che l’energia fornita all’elettrone che urta con un fotone
βˆ†πΈπ‘’ è sempre maggiore del lavoro richiesto per ionizzarlo, cioè l’atomo si ionizza,
se lo si tenta di “fotografare” con un fotone di lunghezza d’onda minore o uguale
al raggio atomico.
La costante di struttura fine, indicata con la lettera greca 𝛼, è un parametro che
mette in relazione le principali costanti fisiche dell’elettromagnetismo ed esprime
la costante di accoppiamento che caratterizza l’intensità dell’interazione
elettromagnetica. Venne introdotta da Arnold Sommerfeld nel 1916 come misura
della deviazione relativistica nelle linee spettrali rispetto al modello di Bohr e, per
questo motivo, è anche chiamata costante di Sommerfeld.
24
5) Si mostri che un campo magnetico non può compiere lavoro su una carica in
movimento. In un motore elettrico chi fornisce energia, e con quale meccanismo?
Si illustri il principio del motore elettrico tramite una spira rotante all’interno di
un opportuno campo magnetico.
Una carica, dotata di carica π‘ž che si muove con velocità 𝑣⃗ in presenza soltanto di
βƒ—βƒ— sperimenta una forza di Lorentz 𝐹⃗ , pari a
un campo di induzione magnetica 𝐡
βƒ—βƒ— .
𝐹⃗ = π‘žπ‘£βƒ— × π΅
Ebbene, questa forza non compie alcun lavoro, essendo per definizione
ortogonale alla velocità che la carica possiede istante dopo istante. Formalmente,
se si suppone di spostare la carica tra due punti 𝐴 e 𝐡, il lavoro compiuto vale
𝐡
π‘Šπ΄π΅ = ∫ 𝐹⃗ βˆ™ πœΜ‚ 𝑑𝑙 ,
𝐴
in cui si è indicato con πœΜ‚ il versore alla traiettoria seguita. Dato che risulta
βƒ—βƒ— βˆ™ πœΜ‚ = π‘žπœΜ‚ × π‘£βƒ— βˆ™ 𝐡
βƒ—βƒ— = 0 ,
𝐹⃗ βˆ™ πœΜ‚ = π‘žπ‘£βƒ— × π΅
25
essendo πœΜ‚ βˆ₯ 𝑣⃗, si conclude rapidamente la tesi richiesta
𝐡
π‘Šπ΄π΅ = ∫ 𝐹⃗ βˆ™ πœΜ‚ 𝑑𝑙 = 0 .
𝐴
Poi, ciò che il testo erroneamente indica come motore elettrico, in realtà, è una
macchina elettrica, precisamente un alternatore, che funziona trasformando un
movimento meccanico di rotazione generato da qualche altra macchina in una
corrente alternata.
26
Per comprendere secondo quale meccanismo si generi l’energia elettrica, si
consideri una spira, posta in rotazione, con velocità angolare costante, attorno ad
un asse, in un campo magnetico uniforme, come mostrato schematicamente nella
figura che segue, in cui l’asse verticale rappresenta l’asse fisso attorno al quale
ruota la spira. Come sappiamo, la legge dell’induzione elettromagnetica prevede
che, proprio a causa di questa rotazione, nella spira si generi una forza
elettromotrice (f.e.m.), che si dimostrerà variare in maniera sinusoidale nel
tempo. Andando più nel dettaglio, il flusso Φ(𝑑), indotto nella spira, è pari a
βƒ—βƒ— βˆ™ 𝑛̂ 𝑑𝑆 = 𝐡𝐴 cos(πœ”π‘‘)
Φ(𝑑) = ∬ 𝐡
𝐴
in cui si è indicato con 𝐴 la superficie della spira.
Ciò vuol dire che ruota pure la normale 𝑛̂, solidale con la spira, e questa normale
forma con il campo di induzione magnetica un angolo 𝛼, variabile nel tempo. È
facile convincersi che, supponendo costante la velocità angolare di rotazione,
questo angolo valga proprio 𝛼 = πœ”π‘‘: ad esempio, all’istante 𝑑 = 0, risulta 𝛼 = 0.
27
Se, ora, si immagina di considerare un avvolgimento composto da 𝑁 spire
identiche, moltiplicando per 𝑁 il valore del flusso ottenuto per mezzo
dell’integrazione, non è difficile ottenere la f.e.m. complessivamente indotta
𝑒(𝑑) = −
dΦ
= π‘π΅π΄πœ” cos(πœ”π‘‘) .
𝑑𝑑
Questa semplice espressione mostra con chiarezza che una f.e.m. sinusoidale si è
generata ai capi della spira, sempre che la velocità angolare di rotazione sia
costante (dove si è usato questa ipotesi?), di valore efficace
𝐸=
π‘π΅π΄πœ”
√2
≅ 4.44 𝑁 Φπ‘šπ‘Žπ‘₯
dove Φπ‘šπ‘Žπ‘₯ = 𝐡𝐴 rappresenta il massimo valore del flusso che si concatena con la
generica spira dell’avvolgimento e con 𝑓 = πœ”/(2πœ‹) la frequenza di rotazione.
Nella pratica, l’avvolgimento è, ad esempio, messo in rotazione da alcune turbine
che trasformano in moto circolare, mettendo in rotazione un albero su cui è
calettato l’avvolgimento stesso, il moto rettilineo dell’acqua di una cascata. Quale
che sia il motore primo, se un avvolgimento ruota a velocità angolare costante in
un campo magnetico, ai suoi capi si potrà raccogliere una f.e.m. sinusoidale.
Su questa idea si fonda il principio di funzionamento dei principali generatori
sinusoidali, anche detti alternatori. Senza voler scendere in troppi dettagli, vale la
pena sottolineare il fatto che, nella realizzazione pratica di un alternatore, si
preferisce una struttura duale rispetto a quella descritta, in cui la spira è ferma ed
il campo di induzione magnetica ruota: le formule presentate continuano a valere,
dato che ciò determina la f.e.m. indotta è il moto relativo tra l’avvolgimento ed il
campo. Inoltre, si tratta di una struttura cilindrica composta di due parti: lo
statore, che è fisso, rappresenta la parte più esterna ed ospita due cave a sezione
rettangolare, in cui alloggiano le spire; il rotore, che è mobile, è la parte più interna
28
e presenta due estremità, dette in gergo espansioni o scarpe polari,
opportunamente sagomate. Il campo di induzione magnetica creato dal rotore è
in moto rigido con esso e si chiude nel ferro dello statore, presentando un tipico
andamento radiale nella regione del traferro, anche detto interferro, che
rappresenta la zona posta in mezzo ai due tratti di ferro dello statore e del rotore.
29
6) Un piccolo corpo paramagnetico (π‘Ž) viene attratto sia dal polo nord che dal
polo sud di una calamita, un piccolo corpo diamagnetico viene respinto. In un
campo magnetico uniforme, entrambi i corpi (𝑏) sono soggetti a forze nulle.
Per spiegare questi due fatti, si supponga che l’effetto della presenza del corpo nel
campo magnetico sia schematizzabile come un cambiamento della energia per
unità di volume del campo magnetico nella regione occupata dal corpo rispetto
alla situazione in cui il corpo è assente.
(𝑖) Si dica, per i due tipi di corpo, se l’energia per unità di volume è maggiore o
minore che nel vuoto.
(𝑖𝑖)Si spieghi l’osservazione (𝑏).
Esistono materiali che, come il ferro e il nichel, sono attratti in maniera piuttosto
intensa da un magnete. Le sostanze che si comportano in questo modo sono dette
ferromagnetiche e sono le stesse che si magnetizzano, se sono poste a contatto con
un magnete permanente, come un cristallo di magnetite. Se si utilizzano invece
magneti ordinari, si ha l’impressione che le sostanze non ferromagnetiche non
risentano in alcun modo della presenza di un campo magnetico. Però in
laboratorio, dove si ottengono campi magnetici di grande intensità, è possibile
osservare diversi tipi di comportamenti: per esempio l’acqua, l’argento ed il rame
vengono debolmente respinti da un campo magnetico. Invece l’aria e l’alluminio
sono attratti, anche in questo caso con una forza molto piccola. Le sostanze che
sono respinte da un campo magnetico si dicono diamagnetiche. Quelle che
vengono debolmente attratte sono chiamate paramagnetiche.
Ampère aveva fatto l’ipotesi che il comportamento dei magneti permanenti fosse
dovuto all’effetto di correnti elettriche microscopiche che fluiscono al loro
interno. A cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, egli non aveva però alcuna idea
di quali fossero e come si generassero queste correnti. Oggi è noto che all’interno
30
degli atomi ci sono davvero correnti ‘elementari’, dovute al moto degli elettroni
attorno al nucleo e al loro spin. Ogni atomo, quindi, si può comportare come una
spira percorsa da corrente che in un campo magnetico esterno ruota fino ad
allineare il proprio momento magnetico al campo di induzione magnetica.
Così, in tutto lo spazio il campo magnetico che si misura non è più il campo
βƒ—βƒ—0 , ma il campo totale
magnetico esterno 𝐡
βƒ—βƒ— = 𝐡
βƒ—βƒ—0 + 𝐡
βƒ—βƒ—π‘š ,
𝐡
βƒ—βƒ—π‘š è il campo di induzione magnetica sostenuto dall’allineamento dei
dove 𝐡
magneti elementari in cui il materiale si può immaginare sia costituito.
Le sostanze ferromagnetiche possiedono momenti magnetici elementari piuttosto
intensi, che subiscono fortemente l’effetto del campo esterno e generano un
βƒ—βƒ—π‘š intenso. I campi 𝐡
βƒ—βƒ—0 e 𝐡
βƒ—βƒ—π‘š hanno lo stesso verso, per cui 𝐡
βƒ—βƒ— può essere
campo 𝐡
βƒ—βƒ—0 . Per questa ragione, anche se B0 è uniforme,
molto più intenso di 𝐡
il campo totale è più intenso all’interno del materiale: in tale zona le linee di
campo magnetico si addensano.
Le sostanze paramagnetiche hanno momenti magnetici elementari piuttosto
βƒ—βƒ—0 avviene come nelle sostanze
deboli. Il loro allineamento nella direzione di 𝐡
βƒ—βƒ—π‘š è poco più
ferromagnetiche, ma gli effetti sono molto meno evidenti. Il campo 𝐡
βƒ—βƒ—0 e l’addensamento delle linee di campo all’interno del materiale è
grande di 𝐡
trascurabile.
Le sostanze diamagnetiche, in condizioni normali, hanno correnti elettriche
elementari uguali a zero, perché al loro interno gli effetti magnetici dovuti ai
βƒ—βƒ—0 , che agisce sugli
singoli elettroni si compensano. Un campo magnetico esterno 𝐡
elettroni in movimento, disturba questo equilibrio e genera un momento
βƒ—βƒ—0 . Così il campo magnetico
magnetico debole, ma con verso opposto a quello di 𝐡
31
βƒ—βƒ—0 : le linee di campo magnetico tendono a essere
totale è di poco minore di 𝐡
espulse, anche se di poco, dal materiale.
Venendo al problema assegnato, la densità di energia del campo magnetico vale
𝐡2
𝐡2
𝑒𝐡 =
=
,
2πœ‡ 2πœ‡0 πœ‡π‘Ÿ
dove πœ‡π‘Ÿ è la permeabilità magnetica relativa, che, nei materiali diamagnetici e
paramagnetici, ha un valore che magnetica differisce di poco rispetto a quella del
vuoto. Precisamente, si dividono in diamagnetiche (in cui la permeabilità relativa
e minore dell’unita) e paramagnetiche (in cui la permeabilità relativa e maggiore
dell'unita). Quindi, nei materiali diamagnetici la densità di energia e minore di
quella del vuoto, e viceversa per quelli paramagnetici.
Un corpo diamagnetico posto in un campo magnetico esterno sviluppa un
momento dipolare magnetico nella stessa direzione opposta al campo. Se il campo
e disuniforme il corpo si muove verso una regione dove il campo magnetico e
meno intenso.
Un corpo paramagnetico posto in un campo magnetico esterno sviluppa un
momento dipolare magnetico nella stessa direzione del campo. Se il campo è
disuniforme il corpo si muove verso una regione dove il campo magnetico è più
intenso. Per questo motivo i due corpi non sono attratti o respinti da nessuna
regione del campo magnetico, e perciò la risultante delle forze che subiscono è
nulla.
32