A002436, 1 Amore, fiducia, ottimismo: sono queste le cose che i

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FONDAZIONE INSIEME onlus.
Da MENTE & CERVELLO del 15/9/2012, pag.95 <<LA CULLA DELLA SICUREZZA>> di Karl
Heinz Brisch. (vedi nota in fondo pezzo)
Per la lettura completa del pezzo si rimanda al periodico citato.
Amore, fiducia, ottimismo: sono queste le cose che i genitori
vogliono trasmettere al proprio bambino, ma riuscirci non è per
niente facile.
Beate S. viene da una famiglia benestante di accademici e dopo
aver conseguito il dottorato di ricerca si è dedicata alla
professione.
Oggi ha 42 anni, un lavoro che le piace, e con il suo compagno
ha deciso di metter su famiglia.
Beate è incinta, ma la coppia guarda all'avvenire con
sentimenti contrastanti: nessuno dei due immagina come farà un
neonato a trovare spazio nella loro vita così piena.
«Riuscirò a dare a mio figlio l'amore di cui ha bisogno?», si
domanda Beate.
Si sentirà frustrata scoprendo che il suo impegno
professionale risentirà degli obblighi derivanti dal dover
crescere un figlio?
Riuscirà a tornare a lavorare senza sentirsi una madre
snaturata?
Beate, che è una perfezionista, non sa nemmeno quali siano i
bisogni di una creatura così piccola, né come dovrà comportarsi.
La maggior parte dei futuri genitori percepisce i mesi che
precedono la nascita del bambino come un periodo impegnativo dal
punto di vista emotivo.
Spesso hanno paura che il bimbo sia malato, o temono
complicazioni durante il parto.
Alcuni dubitano persino di poter essere una «buona madre» o un
«buon padre».
In questa fase pensano molto alle proprie esperienze
infantili: analizzano criticamente il rapporto con i genitori,
rispolverano ricordi positivi e negativi e rivivono gioie, paure,
rabbie e delusioni.
Molti cercano di capire se seguire l'esempio dei genitori o
imboccare una strada diversa.
Quando, alla fine, arriva i] bambino, di colpo i nuovi
genitori si ritrovano impegnati giorno e notte e all'inizio i
ricordi della propria infanzia passano in secondo piano.
La gravidanza è quindi il momento ideale per rafforzare le
future mamme e i futuri papà dal punto di vista psicologico e
sensibilizzarli ai bisogni del loro bimbo.
Per questo a partire dal 2005 all'Università di Monaco abbiamo
testato il programma SALE (Sichere Ausbildunq fur Eltern,
formazione sicura per genitori), ormai adottato in numerose città
tedesche.
Si propone in primo luogo di sostenere i genitori nella
«costruzione» di un rapporto con il bambino basato sull'amore e
sulla fiducia: insomma, un «legame sicuro».
Un legame di questo tipo non ha effetti positivi solo sul
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rapporto tra genitori e bambino, è anche il fondamento di un sano
sviluppo fisico, emotivo e sociale del neonato.
Ma come nasce un legame sicuro?
E perché a volte non si riesce a costruirlo sebbene il bimbo
sia molto amato dai genitori?
Negli anni cinquanta John Bowlby ha descritto il modo in cui
un bambino, durante il primo anno di vita, sviluppa un forte
legame emotivo con una figura di riferimento principale, sulla
base di un sistema comportamentale che ha origini biologiche.
Se la persona in questione fa per allontanarsi il piccolo
«protesta», piange, la segue gattoni e si aggrappa forte a lei.
Centinaia di migliaia di anni fa un simile comportamento
assicurava già la sopravvivenza alla prole: un bambino indifeso
sarebbe stato rapidamente vittima dei predatori o di altri
pericoli.
Anche oggi un neonato può crescere sano solo con le cure
amorevoli di un adulto.
Il più delle volte è la madre a occuparsi del bambino, ed è
lei che diventa la figura di attaccamento principale.
In seguito il piccolo allaccia legami con altre persone; il
padre, i nonni, gli eventuali fratelli maggiori o la tata.
Di solito un neonato non ha più di tre o quattro figure di
attaccamento allo stesso tempo, ordinate in base alla loro
importanza, come in una piramide.
La figura di attaccamento principale è in cima, e nei momenti
di grande paura, pericolo o dolore il bimbo cerca conforto in lei.
Non è detto che questa figura si identifichi sempre nella
madre: le figure al vertice della piramide possono cambiare.
Se la figura di attaccamento preferita non c'è, il bambino si
lascia consolare da quella che ricopre la posizione più alta nella
sua «gerarchia».
IL DRAMMA DELLA SEPARAZIONE
Con test e analisi del comportamento gli psicologi possono
scoprire se il bambino è riuscito a sviluppare un legame sicuro.
In un bimbo tra gli 11 e i 18 mesi, per esempio, il
comportamento durante la «messinscena» del distacco dalla figura
di attaccamento, il test della strange situation, ha un alto
valore predittivo: quando la madre esce dalla stanza anche solo
per pochi minuti, il neonato che ha sviluppato un legame sicuro
nei suoi confronti protesta, o addirittura piange.
Per una «sconosciuta», come l'operatrice che svolge il test è
quasi impossibile confortarlo, e il piccolo si calma solo al
ritorno della mamma.
Anche i bambini più grandi mostrano il tipico comportamento di
attaccamento, non appena si sentono in pericolo dal punto di vista
fisico o mentale.
Il fattore scatenante può essere una caduta, un cane che
abbaia, il rumore di un'automobile, un incubo notturno.
La priorità assoluta è sempre il bisogno di sicurezza nel
rapporto.
È soltanto quando questo bisogno viene appagato che nasce il
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desiderio di conoscere il mondo circostante: si attiva quindi il
sistema di esplorazione.
A questo punto la figura di attaccamento fa da «porto sicuro»,
in cui i bambini si rifugiano quando percepiscono un pericolo.
Si può però arrivare a una situazione in cui i desideri di
attaccamento o di esplorazione del neonato non vengano appagati in
maniera adeguata.
Talvolta per esempio i genitori, a causa di problemi di salute
o di condizioni di vita svantaggiate, non hanno la forza
necessaria per rispondere ai bisogni dei piccoli.
Se il bambino vede a volte appagati e altre volte ignorati i
propri bisogni rischia di sviluppare, nei confronti della figura
di attaccamento, sentimenti insicuri o ambivalenti.
Questi sentimenti sono caratterizzati da una parte dalla
ricerca di contatto e dall'altra da un distacco che deriva dalla
paura di essere respinti.
Quando invece le necessità legate all'attaccamento sono
regolarmente trascurate aumenta la possibilità che il bimbo
sviluppi un legame insicuro ed evitante.
La separazione dalla figura di attaccamento, in questo caso,
non sembra preoccupare minimamente il piccolo, che ignora anche il
suo ritorno.
Questi bambini possono apparire tranquilli e «accomodanti», ma
è possibile che la loro vita emotiva non sia altrettanto
tranquilla, e che abbiano imparato a non esprimere la propria
sofferenza interiore.
Un indizio di questa possibilità è stato fornito già
all'inizio degli anni novanta da Gottfried Spangler e Klaus E.
Grossmann, dell'Università di Ratisbona: nei bambini di circa un
anno con la tendenza ad allacciare legami insicuri, quando la
mamma si allontana aumenta, nella saliva, la concentrazione di
cortisolo, l'ormone dello stress, concentrazione che, a differenza
dei piccoli con legami sicuri, rimane elevata anche dopo il
ritorno della donna.
Questo dato indica che i piccoli provano senz'altro un senso
di angoscia, sebbene non dispongano di strategie atte a
rielaborare questo tipo di emozione.
Nei campioni rappresentativi solo il 65 percento circa dei
bambini di un anno mostra un legame sicuro nei confronti della
madre, il 55 lo ha nei confronti del padre: gran parte dei nostri
figli ha quindi legami insicuri.
Grazie a molti studi comparativi, sappiamo che la tendenza ad
allacciare legami sicuri è un importante fattore di protezione
nello sviluppo del bambino: nelle situazioni di emergenza i
piccoli con legami sicuri contano di più sull'aiuto degli altri.
Stringo un maggior numero di amicizie, reagiscono in modo
diverso a crisi e conflitti e riescono a superarli meglio.
In età prescolare hanno risultati migliori nei test che
richiedono resistenza e creatività e, secondo diversi studi, i
bambini con legami sicuri hanno meno difficoltà nell'apprendimento
linguistico.
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UN FATTORE PROTETTIVO
L'attenzione di Beate è attirata da un volantino che trova
nella sala d'attesa del ginecologo; il foglio pubblicizza il
nostro corso per genitori, che parte dalla 20° settimana di
gravidanza.
Per quattro domeniche, a distanza di quattro settimane, Beate
e il partner parlano con due esperti e altre coppie delle loro
preoccupazioni: le aspettative legate alla futura vita familiare,
ma anche le loro paure e ansie.
Riflettono a lungo sulle trasformazioni che la nascita di un
bambino provoca nel rapporto di coppia e sulle possibilità di
conciliare professione e maternità.
I futuri genitori imparano quali sono i presupposti perché il
bambino sviluppi un legame sicuro nei loro confronti, e le
eventuali interazioni derivanti dall'intervento di figure
estranee.
Nei primi mesi di vita, quindi, è importante che la figura di
attaccamento sia sempre a disposizione del piccolo.
Non si tratta di viziarlo: è davvero troppo chiedere a un
neonato di regolare da solo le proprie emozioni, come la paura
prima di addormentarsi, che impara a gestire se, all'inizio, c'è
una figura familiare che lo aiuta.
Per questo consigliamo, se il bambino piange la notte, di
confortarlo subito, appagando un bisogno di sicurezza radicato dal
punto evolutivo.
Nel 2006 il team di Ian St. James-Roberts, dell'Università di
Londra, ha dimostrato che a lungo andare, i bambini i cui genitori
hanno deciso, durante il primo anno di vita, di non abituarli ad
addormentarsi da soli, tendono a piangere meno.
Beate e il compagno si tranquillizzano anche quando sentono
dire che il bimbo non va incontro ad alcun problema se la madre
torna a lavorare, ammesso che trovi qualcuno che sia per lui un
sostegno emotivo affidabile.
Una rete di persone di riferimento, di cui il bambino si fida,
gli dà una base di sicurezza solida.
Ma se si vuole che i genitori restino le figure di
attaccamento principali i piccoli non andrebbero affidati a
estranei per troppo tempo, durante la giornata.
A neonati che cominciano molto presto a trascorrere dieci ore
ogni giorno al nido può infatti capitare di eleggere l'educatrice
a figura di attaccamento.
Durante il corso i partecipanti imparano a costruire un legame
nei confronti del bambino già durante la gravidanza.
In questo processo, la scienza ha dimostrato che lo stress dei
genitori ha effetti negativi, riducendo la disponibilità emotiva a
dedicarsi al neonato.
Per questo durante il corso adottiamo procedure di
rilassamento, che aiutano a gestire le situazioni stressanti
durante la gravidanza e dopo il parto.
Lo stress prenatale, probabilmente, influenza anche la
regolazione delle emozioni da parte del bambino, come ha spiegato
nel 2007 Harald Wurmser, del Politecnico di Monaco di Baviera: i
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figli appena nati di madri che hanno sofferto di ansia durante la
gravidanza piangevano di più e avevano comportamenti più
problematici quando si trattava di mangiare o di fare la nanna.
LA SENSIBILITÀ SI IMPARA
Nella fase prenatale i genitori si preparano ad acquisire la
«sensibilità» ai segnali del bambino: a riconoscerli, a
interpretarli in modo corretto e a reagire.
Le interazioni tra genitori e neonato, come l'allattamento, il
cambio dei pannolini, il gioco e il dialogo vengono studiate con
brevi filmati, durante i quali sono sottolineate le competenze dei
genitori.
Tra queste vi sono la comunicazione in baby talk (o
«madrese»), la possibilità di rispecchiare il comportamento del
bimbo, il fatto di dare un nome alle sue emozioni, il contatto
visivo e i dolci contatti fisici.
Naturalmente può verificarsi anche qualche equivoco, il che
non rappresenta uno svantaggio: proprio «insistere» su quel che è
fatto a fin di bene e la prudenza nel venire l'uno incontro
all'altro favoriscono la nascita di un legame sicuro.
I partecipanti ricevono anche aiuti mirati per acquisire
determinate modalità comportamentali.
Non è sempre facile, infatti, capire perché un neonato piange:
ha fame, si annoia, ha paura, è arrabbiato, sente dolore.
Il training con filmali permette di raccogliere le prime
esperienze utili per allacciare un rapporto con il piccolo.
Tutti i genitori, inoltre, partecipano a una Adult Attachment
Interview (AAI), che serve ad appurare le rappresentazioni
relative all'attaccamento del padre e della madre, le stesse che
la coppia userà nel rapporto con il bambino.
Lo stile di attaccamento che sviluppiamo durante il primo anno
di vita si conserva infatti per tutta la nostra esistenza.
Molti studi a lungo termine indicano che un modello iniziale
di legame insicuro viene quasi sempre mantenuto.
I genitori che hanno interiorizzato un modello di legame
insicuro, infatti, hanno spesso difficoltà anche nel riconoscere i
bisogni del bambino: interpretano i suoi segnali in maniera errata
e favoriscono a loro volta lo sviluppo di legami insicuri nei
figli.
In diversi studi a lungo termine i ricercatori hanno seguito
lo sviluppo di alcuni neonati sino alla prima età adulta.
Grazie a essi oggi sappiamo che circa il 75 per cento dei
bambini di un anno, figli di madri con la tendenza ad allacciare
legami sicuri, sviluppa a sua volta legami sicuri, mentre i figli
di madri con in atteggiamento insicuro sviluppano, con la i stessa
frequenza, legami insicuri.
ALLA RICERCA DEI TRAUMI IRRISOLTI
Beate, per esempio, già da piccola ha dovuto imparare ad
affrontare da sola le proprie paure.
I genitori reagivano con disprezzo alle sue richieste di
aiuto.
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Anche il suo disperato perfezionismo deriva da queste
esperienze.
Durante il corso scopre che queste esperienze si possono
rielaborare anche da adulti.
Allora le sarà più facile comportarsi con il bambino in modo
diverso da come è stata trattata lei.
Per questo già durante la gravidanza la donna cerca una
psicoterapeuta che la aiuti ad affrontare le paure della
gravidanza stessa.
Beate descrive le emozioni legate al nascituro come «più
calde, più sicure, più familiari».
Circa il 45 per cento dei partecipanti ai nostri corsi
riferisce esperienze traumatiche irrisolte che necessitano di una
psicoterapia individuale.
Alcuni sono cresciuti in una famiglia in cui i bambini sono
stati costretti da generazioni a subire violenze e indifferenza.
Spesso sognano che il rapporto con il loro bambino sia
«perfetto»: vogliono essere genitori amorevoli e sperano che il
bimbo guarisca le loro ferite interiori.
Questa speranza, tuttavia, il più delle volte si rivela vana.
Nel peggiore dei casi le violenze possono ripetersi.
I genitori non riescono più a sopportare il malumore del
bambino, perché questo atteggiamento ricorda loro i momenti di
disperazione vissuti durante la propria infanzia.
Alcuni se ne vanno, lasciando solo il piccolo, altri lo
scuotono finché non smette i piangere.
Spesso queste «riproposizioni», di natura inconscia, durano
solo pochi istanti, ma possono avere conseguenze serie se, per
esempio, lo scuotimento provoca traumi legami come emorragie
cerebrali che rischiano di lasciare nel bambino danni permanenti.
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COME FUNZIONA IL PROGRAMMA SAFE
DURATA
A partire dalla ventesima settimana di gravidanza fino alla fine del primo anno di vita del neonato.
SCOPI DEL CORSO
La costruzione di un legame sicuro alla fine del primo anno di vita del bambino, la prevenzione di
legami insicuri e di disturbi dell'attaccamento, oltre che dell'eventuale ripetizione di traumi familiari
vissuti dai genitori.
STRUTTURA DEL CORSO
Il programma sfrutta gli effetti terapeutici del gruppo nei seminari prenatali e in quelli postnatali
(modulo 1 e 2) e, facoltativamente, una consulenza psicoterapica individuale che può
comprendere sedute di psicoterapia incentrate sulla risoluzione del trauma (modulo 3).
Un numero telefonico di assistenza (modulo 4) rappresenta il <<filo diretto>> con guide competenti
e affidabili e fornisce aiuto nelle difficoltà di interazione della vita quotidiana (pianto, sonno,
alimentazione).
DESTINATARI
Il programma SAFE è aperto a tutti i genitori, in coppia o single.
Non è infatti destinato specificamente solo alle cosiddette famiglie a rischio con particolare
background psicosociale,
FINANZIAMENTO
Il programma è organizzato in parte grazie a consultori familiari o per donne in gravidanza e talora
finanziato tramite sovvenzioni e fondazioni, limitando la spesa dei genitori al contributo dì
partecipazione.
Talvolta i corsi vengono offerti anche da ostetriche e psicoterapeuti, che ricevono direttamente
l'onorario dai genitori.
I DISTURBI DELL'ATTACCAMENTO
Inoltre, qualora non vi siano altre figure più che compensino
le esperienze negative con la sensibilità necessaria,
l'indifferenza emotiva, la violenza fisica o sessuale porta quasi
irrimediabilmente a «disturbi dell'attaccamento».
Questi disturbi vanno distinti dalla tendenza ai legami
insicuri, che possono essere considerati adattamenti in una gamma
di normalità.
I bambini con disturbo dell'attaccamento crescono spesso più
lentamente dal punto di vista emotivo e motorio, e in alcuni casi
questi ambiti sono compromessi.
Hanno difficoltà a immedesimarsi nei bisogni, nei pensieri e
nelle intenzioni degli altri, si comportano con aggressività
durante i conflitti, fanno fatica ad allacciare rapporti basati
sulla fiducia e in seguito sono più soggetti ai disturbi psichici.
Nella maggior parte dei casi i disturbi dell'attaccamento non
trovano soluzione senza un intervento terapeutico.
In questo caso si crea un circolo vizioso di esperienze
traumatiche che viene trasmesso dai genitori ai figli.
Spesso diagnostichiamo disturbi dell'attaccamento a intere
generazioni, come fosse un fenomeno ereditario.
Le nostre esperienze terapeutiche, tuttavia, suggeriscono che
il disturbo non ha natura genetica.
Il comportamento dei genitori, infatti, si può modificare con
una psicoterapia incentrata sulla rielaborazione del trauma, e i
pazienti possono costruire un legame sicuro con il loro bambino.
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L'importanza di tutto ciò è chiarita dai risultati di uno
studio del 2001 di Emmy Werner, dell'Università della California a
Davis.
La psicologa ha seguito un'intera classe di neonati sull'isola
hawaiana di Kauai per un periodo di quarant'anni: i bambini che
avevano allacciato un legame duraturo con almeno una persona
sviluppavano una maggiore resilienza verso i successivi stress, e
addirittura dalle esperienze traumatiche.
Quando, nelle Adult Attachment Interviews, scopriamo che i
genitori sono ancora segnati da traumi irrisolti, facciamo notare
loro che questi rappresentano un fattore di rischio: a un certo
punto il circolo vizioso della violenza vissuta può essere
proiettato sui figli.
Un importante obiettivo del SAFE è proprio quello di
interrompere questo fenomeno.
Sottoponiamo dunque i futuri genitori, già durante la
gravidanza, a terapie individuali incentrate sulla risoluzione del
trauma.
Nella prima fase del trattamento lo psicoterapeuta si
concentra sulla stabilizzazione psichica del paziente.
In
seguito è possibile ridurre l'ansia durante sedute volte alla
rielaborazione del trauma, usando metodologie moderne come l'EMDR
(Eye Movement Desensitizazion and Reprocessing,
desensibilizzazione e rielaborazione mediante i movimenti oculari)
per superare infine gli eventi stressanti.
SUPERARE UN PARTO DIFFICILE
Dopo il parto si svolgono altri seminari.
I partecipanti vengono aiutati nel difficile adattamento alla
nuova situazione in cui il rapporto di coppia si trasforma in una
vita a tre.
L'assistenza post-parto comprende inoltre la rielaborazione
dell'esperienza della nascita, per esempio dopo un cesareo di
emergenza o un parto prematuro.
A questo punto il più delle volte è necessaria un'intensa
opera di sostegno nel gruppo e a livello individuale. Ciò
impedisce, tra l'altro, che il trauma del parto si ripercuota
negativamente sul rapporto tra genitori e bambino.
Anche 11 rischio di depressione post partum, che interessa dal
12 al 15 per cento delle madri, potrebbe ridursi grazie a una
precoce terapia di gruppo.
Anche gli incontri successivi al parto sono centrati sulle
competenze genitoriali, tra cui i problemi nell'allattare il
bambino e nel farlo addormentare, la gestione delle crisi di
pianto e la costruzione del rapporto emotivo.
I genitori portano anche i neonati agli appuntamenti, in modo
che i partecipanti osservino il comportamento di attaccamento e di
esplorazione delle altre famiglie, ricevendo utili indicazioni.
In questo periodo le mamme e i papà si filmano a vicenda
durante le diverse interazioni con il bimbo, e le riprese vengono
discusse individualmente con loro.
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Con questo feedback training videodocumentato i genitori
imparano a riconoscere i segnali del loro piccolo.
Così i problemi emotivi, gli errori di interpretazione in o le
proiezioni della propria storia infantile possono essere
riconosciuti precocemente.
Se necessario è possibile anche sottoporsi a un trattamento
psicoterapico centrato sul rapporto tra neonato e genitori.
Se questi ultimi sono d'accordo, usiamo alcune riprese video
del loro bambino anche come feedback training rivolto a tutti i
partecipanti.
Grazie alla fiducia e alla coesione instaurate nel corso degli
incontri, e sempre più radicate all'interno del gruppo, quando si
tratta di parlare dei propri problemi di solito non ci sono
riserve.
Un ulteriore modulo prevede assistenza telefonica.
Dopo il parto i problemi di adattamento sono piuttosto
frequenti.
Molti genitori sono in difficoltà quando il bambino non si
calma, continuando a piangere per ore senza che loro riescano a
capire il motivo.
Grazie al numero di assistenza hanno la possibilità di
chiamare gli operatori e chiedere consiglio.
Conoscendo la storia dei genitori, le loro competenze e le
loro difficoltà, gli esperti possono proporre soluzioni mirate.
L'ORGOGLIO DELLA MAMMA
Oggi stiamo conducendo uno studio per valutare i gruppi SAFE
in confronto a quelli che adottano un approccio tradizionale.
Il gruppo di controllo si riunisce in incontri che hanno la
stessa lunghezza e la stessa frequenza di quelli del gruppo SAFE,
in modo che gli effetti dei due diversi interventi siano
confrontabili.
Sia nel gruppo SAFE che nel gruppo di controllo registriamo un
video con le interazioni tra mamma e bambino e tra papà e bambino
al momento di cambiare i pannolini, di imboccarlo e di giocare con
lui.
Alla fine del primo anno di vita del bambino, inoltre, vengono
determinate le qualità di attaccamento dei piccoli e il livello di
cortisolo nella situazione di distacco.
Abbiamo anche raccolto dati prima e dopo il parto.
Con i futuri genitori svolgiamo Adult Attachment Interviews e
misuriamo il livello di cortisolo nella saliva.
I risultati parziali mostrano che le donne incinte con un
trauma irrisolto percepiscono, dopo il colloquio, uno stress
maggiore di quelle che sono riuscite a elaborarlo.
Al termine del corso Beate e il compagno valutano la loro
bravura nell'interpretare i segnali del bambino e nell'intervenire
di conseguenza.
Beate è orgogliosa di aver costruito con il piccolo un
rapporto caldo, nonostante l'esperienza vissuta durante la sua
infanzia.
Il bambino, che ha ormai un anno, ha sviluppato con i genitori
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un legame sicuro.
IN PIÙ
BRISCH K.H. e altri, Attachment, Trauma and Stress in Pregnant
Women Before Childbirth, in «European Journal of
Psychotraumatology Supplement», n. 1, p. 62, 2011.
ST JAMES-ROBERTS I. e altri, Infant Crying and Sleeping in
London, Copenhagen and when Parents Adopt a «Proximal» Form o!
Care, in «Pediatrics», n. 117, pp. 1146-1155,2006.
WERNER E.E., Protective Factors in High-Risk Families:
Perspectives from a 40 Year Longitudinal Study, in <<Pediatrics
band Related Topics>> n. 40, pp 411-422, 2001.
L'AUTORE
KARL HEINZ BRISCH dirige il reparto di psicoterapia e
psicosomatica pediatrica alla Clinica pediatrica e al Policlinico
della Ludwig-Maximilian Universitat di Monaco di Baviera.
Si
occupa principalmente dei legami affettivi del bambino in
primissima età e della terapia dei disturbi dell'attaccamento.