Romanus Orbis

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Romanus Orbis
Antologia tematica a cura di D. Guerra
Schemi di Letteratura latina
dalle origini al cristianesimo
I
II
APPENDICE
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SCHEMI DI LETTERATURA LATINA
DALLE ORIGINI AI CRISTIANI
A. IL PERIODO DELLA REPUBBLICA
1. La letteratura latina inizia nel III secolo a.C., quando Roma debella Cartagine
(I e II guerra punica) e si afferma come potenza mondiale. In questo periodo scrittori di origine meridionale e di educazione semigreca elaborano opere che si ispirano a forme letterarie greche, ma in cui confluiscono anche tradizioni preletterarie delle popolazioni italiche. A tali tradizioni italiche preletterarie appartengono i
carmina convivalia e le farse sceniche.
I carmina convivalia erano delle ‘canzoni di gesta’ a sfondo epico, religioso e
tragico, che venivano cantate durante i banchetti per celebrare le imprese di eroi e
di casati illustri (per es. gli eroi della resistenza anti-etrusca quali Bruto, Muzio
Scevola, Orazio Coclite; oppure i casati illustri, come quello dei Fabii e dei Decii),
con riferimenti anche alle origini leggendarie di Roma.
Le farse sceniche costituivano le prime e più popolari forme del teatro italico:
tali erano le Atellane (un tipo di commedia proveniente dalla città campana di Atella, con attori che improvvisavano e maschere fisse); i Fescennini (una specie di
dialogo, con battute mordaci e scherzose tra contadini, in occasione di festività
religiose) e la satura (un gioco scenico, misto di musica, danza e recitazione, per
propiziare le divinità, per solennizzare festività nazionali e per divertire il pubblico). Dai carmina convivalia e dalle farse sceniche derivano i generi della poesia
latina: epica, lirica, tragedia, commedia, satira.
In questo stesso periodo incontriamo la prima significativa figura di letterato:
APPIO CLAUDIO CIECO, che compendia nella sua molteplice attività i fondamentali generi della prosa latina, tra cui l’oratoria e la storiografia.
2. Ai suoi inizi, dunque, la letteratura latina, anche se promossa dalla classe dirigente, ha sostanzialmente carattere popolare e democratico, con autori di grande
genialità come il tarentino LIVIO ANDRONICO (280-200 circa a.C.), un maestro di
scuola che diede inizio alla produzione teatrale e tradusse l’Odissea di Omero in
latino; il campano NEVIO (275-202 circa a.C.), che scrisse tragedie, commedie e il
primo poema epico nazionale, il Bellum Punicum, in cui raccontava la II guerra
punica; e soprattutto l’umbro PLAUTO (259-184 a.C.).
Le sue 21 commedie (tra cui ricorda: il Miles gloriosus, ‘Il soldato spaccone’; la
Mostellaria, ‘La commedia degli spettri’; l’Aulularia, ‘La commedia della pentola’; l’Amphithruo, ‘Anfitrione’) sono il frutto più significativo del contatto tra il
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mondo italico, ricco di energie vitali, e le forme letterarie e il costume di vita più
raffinato del mondo ellenistico. Il teatro plautino pone dinanzi al pubblico romano
del III sec.a.C. personaggi (mezzani, etere, parassiti, imbroglioni ecc.), luoghi, usi
della società greco-orientale, dei porti e dei paesi d’oltremare, cioè il mondo delle
conquiste militari allora in corso. La comicità di Plauto si affida tutta alla frizzante e licenziosa vivacità del dialogo, al realismo dei caratteri, al motto, alla battuta
improvvisa, all’equivoco, per cui anche un discorso serio si trasforma all’improvviso in comico.
3. All’inizio del II sec.a.C. Roma, uscita vittoriosa alla II guerra punica si espande in oriente e, presentandosi come stato egemonico, raccoglie l’eredità di Alessandro Magno e si adegua al livello culturale dei popoli che via via sottomette. La
letteratura latina perde il contatto diretto con il popolo e gradualmente si pone al
servizio dell’aristocrazia filellenica, adempiendo a una funzione politica e sociale
ispirata dalle classi dirigenti.
La letteratura di ispirazione aristocratica e filellenica è rappresentata da ENNIO
(Rudiae, 239 a.C.- Roma 169 a.C), autore di commedie tragedie, satire (saturae) e
di un poema epico, gli Annales (in 18 libri), che è la sua opera maggiore, giunta a
noi in pochissimi frammenti. L’epica di Ennio, a differenza di quella omerica, è di
tipo descrittivo: ‘Visioni grandiose di battaglie, di cavalli galoppanti, di mari battuti dalle navi, di cieli stellati, creano effetti scenografici e pittorici, frequentemente interrotti però da pause di pensosa riflessione sulla guerra, vista con orrore
e con una disposizione d’animo sostanzialmente antieroica’ (Perelli).
Se gli aristocratici favorivano la penetrazione della cultura greca a Roma, attraverso le conquiste militari, di parere opposto era invece M. PORCIO CATONE
(Tuscolo, 234 a.C., Roma 149 a.C.), che vedeva il contadino italico immiserirsi
nelle guerre imperialistiche, costretto a subire la concorrenza per il grano, il vino,
l’olio importati a basso prezzo. Catone, leader del partito conservatore, condusse
un’energica campagna antiellenica, opponendosi alla politica degli Scipioni e
rivolgendo la sua azione politica a difesa del mos maiorum, cioè della morale tradizionale. Catone, homo novus (cioè appartenente a una famiglia che non aveva
mai dato magistrati allo stato romano), ebbe una lunga e brillante carriera: pronunciò 150 orazioni; scrisse manuali a carattere didascalico (tra i quali i Praecepta ad filium, una sorta di enciclopedia pratica per il figlio Marco; il De agricultura) e la prima opera storiografica in lingua latina: le Origines, in 7 libri.
Nel corso del II secolo a.C., nonostante l’opposizione di Catone, la politica culturale filellenica viene sviluppata dal circolo degli Scipioni, la cui attività era
impegnata a dare una giustificazione storica all’ imperialismo romano, in nome dei
principi di umanità, di filantropia, di pacificazione delle genti.
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Questi nuovi ideali sono rappresentati da TERENZIO (Cartagine, 190 - Stinfali,
159 a.C.) che si formò negli ambienti intellettuali filellenici e fu intimo di Scipione Emiliano. Nelle sue sei commedie (tra cui ricorda Adelphoe, ‘I fratelli’; Andria,
‘La donna d’Andro; Hecyra, ‘La suocera’) si avverte la finezza, il gusto e l’eleganza che erano le caratteristiche del circolo scipionico.
Rispetto a quella plautina, la commedia terenziana è fondata su un tipo diverso di
comicità: l’autore rappresenta sulla scena la psicologia e il carattere dei suoi personaggi, la loro humanitas, che si manifesta in un atteggiamento mite e comprensivo verso gli altri esseri umani, altrettanto deboli e bisognosi. Con Terenzio la
commedia latina perde il suo scopo originario, quello di far ridere, presentando
casi tristi, ma reali, della vita, situazioni talvolta tragiche, dalle quali il personaggio esce sottoponendo tutta la propria esistenza a un’analisi profonda, che porta al
riconoscimento dei propri errori. Ma, anche se l’umanità e la bontà dei personaggi terenziani giunge spesso al sacrificio di se stessi in favore degli altri, tuttavia lo
spirito del teatro terenziano è ottimistico, pieno di fiducia nella bontà umana, che
finisce sempre per trionfare.
Nella seconda metà del II secolo a.C., dopo la riduzione della Macedonia, della
Grecia e dell’Asia Minore a province romane (148-133 a.C.), l’attenzione del
popolo romano non è più rivolta verso l’esterno, ma guarda all’interno, ai problemi della politica di casa, dell’ordinamento delle classi, della proprietà da dividersi
più equamente. Dal 133 a.C. inizia una serie di profondi rivolgimenti interni che
sono rappresentati dai moti dei Gracchi, dalla guerra sociale, dalle lotte fra Mario
e Silla. In mezzo a tali lotte emergono in primo piano le esigenze e gli interessi individuali e si fanno sentire gli effetti delle grandi conquiste rapidamente compiute e
del cresciuto tenore di vita.
Parallelamente all’evoluzione delle condizioni di vita e delle consuetudini materiali e morali della classe dirigente romana, ha origine una diversa concezione della
letteratura e degli studi, che cominciano ad apparire come mezzo di liberazione
dell’individuo di fronte allo stato. Dedicarsi alla letteratura e agli studi è come affermare il diritto del singolo a vivere per se stesso, ossia a praticare l’otium. Vanno in
crisi il teatro e l’epica e i modelli della Grecia classica, fioriscono invece la lirica
soggettiva e la satira demistificatrice.
La lirica si ispira al gioco intellettualistico dei poeti greci del IV-III secolo a.C.
detti ‘alessandrini’ (poesia neoterica) la satira trova un grande rappresentante in
LUCILIO (Suessa Aurunca, 150-102 a.C. Napoli), il primo cittadino delle classi
alte che trascura la politica per dedicarsi alla letteratura. Lucilio scrisse 30 libri di
satire in metri vari, nelle quali combatte sia le idee innovatrici del partito popolare, sia la corruzione e il malcostume della classe dirigente.
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B. DALLA REPUBBLICA ALL’IMPERO
1. Nel periodo che va dalla dittatura di Silla (80 a.C.) all’avvento del principato
di Augusto, esplodono tutte le contraddizioni che già da alcuni decenni laceravano
lo stato romano sia nella struttura interna sia nella funzione imperiale: lotte, agitazioni sociali, corruzione della vita politica, rottura polemica con le tradizioni eticoreligiose. In mezzo ai conflitti politici e allo scontro di fedi e di ideologie contrastanti, gli uomini di cultura vengono variamente influenzati, trascinati a soluzioni
diverse, oscillanti fra tradizione e innovazione.
Un gruppo di poeti d’avanguardia (i cosiddetti ti poetae novi, che si ispiravano
ai poeti alessandrini del III secolo a.C.) disgustati dall’andazzo dei tempi, cercano
rifugio nella poesia, nell’arte, nell’amore e nell’amicizia. In questo gruppo spicca
la figura di CAIO VALERIO CATULLO (Verona, 84-54 a.C., Roma). Venuto a Roma,
strinse amicizia con i letterati più famosi del tempo, tra cui Cornelio Nepote e
Cicerone. Al primo periodo giovanile di amore e di studio trascorso nei circoli letterari e nei salotti eleganti della capitale pose fine la morte del fratello avvenuta
nella Troade. Il poeta ne visitò la tomba durante un viaggio in Bitinia (57 a.C.) al
seguito del propretore Memmio.
Catullo compose 116 carmi che si possono dividere in base a un criterio metrico
e stilistico, in tre sezioni: Nugae (‘poesiole’, ‘cose da nulla’; cioè brevi poesie di
occasione: 1-60); Carmina docta (Carmi dotti, 61-68); Epigrammata (Epigrammi,
in distici elegiaci). Strettamente legata alle vicende personali e al tormentoso
amore per Lesbia, la donna fatale che consumò la vita del poeta, la lirica catulliana è caratterizzata da sincerità e immediatezza, e attinge una grande profondità che
le deriva in larga misura dalla moralità e dalla religiosità della tradizione romana.
Buona parte dei carmi sono indirizzati ad amici e riflettono il costume di vita spensierato del giovane poeta in ambienti scapestrati e brillanti, senza mai perdere la
sua inconfondibile grazia ingenua e fanciullesca. Spesso, specialmente nei ‘carmi
dotti’, ricorrono episodi della mitologia, ma sempre con un aggancio alla realtà
della vita vissuta. In Catullo la mitologia non è sfoggio di erudizione, ma uno dei
modi di sentire e rivivere le passioni della propria vita. La lingua dei carmi è aperta, particolarmente nelle Nugae, agli influssi della lingua parlata, del sermo cotidianus, specialmente per l’uso dei diminutivi, affettivi e vezzeggiativi.
In questo periodo di crisi politica e spirituale del mondo romano, visse la sua
breve e tormentata esistenza LUCREZIO (99-55. a.C.), che nel suo poema De rerum
natura (‘La natura delle cose’, cioè ‘la struttura dell’universo’) si propose, con spirito profetico, di liberare l’umanità dal timore degli dèi e della morte e dalle passioni che la travagliavano, seguendo i precetti della dottrina epicurea. Il poeta
allarga il campo della sua indagine dall’uomo all’universo, nella speranza di trovare egli stesso rifugio nei ‘templi sereni’ della sapienza.
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2. Accanto a Catullo e a Lucrezio, anche MARCO TULLIO CICERONE (Arpino
106 a.C., Formia 43 a. C.) porta nella sua vasta opera i segni del dramma interiore e delle tumultuose vicende della sua epoca. Ma, non consapevole delle ragioni
profonde di quella crisi storica, egli cerca di contemperare le contrastanti tendenze
del suo tempo; e, se fallisce sul piano storico e politico, raggiunge risultati validi
sul piano letterario e culturale. ‘L’ideale culturale più valido che Cicerone propone e realizza nelle sue opere è quello dell’uomo sapiente che in una totalità armoniosa congiunge esperienza pratica e conoscenza tecnica, che alterna l’attività pratica con gli studi e valorizza la sua cultura facendone uno strumento della sua vita
attiva’ (Perelli).
Studiò oratoria a Roma, si perfezionò ad Atene e a Rodi. Nel 63 a.C., quando già
dominava incontrastato nel campo dell’eloquenza a Roma, Cicerone fu eletto console e dovette fronteggiare la congiura di Catilina, contro il quale pronunciò le orazioni dette ‘Catilinarie’. Costretto dai suoi nemici politici ad andare in esilio (59
a.C.) per aver condannato a morte i catilinari senza processo, tornò a Roma due
anni dopo. Nella guerra civile (49 a.C.) prese le parti del senato e di Pompeo, ma
fu tra i primi a riconciliarsi con Cesare nella speranza che volesse restituire al senato la sua antica autorità, nel rispetto delle trazizioni repubblicane di cui era strenuo
difensore. Assassinato il dittatore nelle Idi di marzo del 44. a.C., Cicerone, per evitare una nuova dittatura, quella di Marco Antonio, pronunciò contro di lui le 14
Filippiche, orazioni così intitolate per l’analogia con le orazioni di Demostene
contro Filippo II di Macedonia. Ma, come sempre era accaduto nella sua vita, gli
avvenimenti lo sorpresero: quando i cesariani trovarono un accordo tra loro e si
spartirono il potere formando il secondo triumvirato (43 a.C.), Antonio potè vendicarsi di lui, facendolo uccidere da sicari nel novembre dello stesso anno.
L’epistolario ciceroniano ci testimonia molti episodi interessantissimi della storia romana di quel tempo così inquieto, e ci fa conoscere anche le impressioni di
un uomo che aveva larga conoscenza dell’ambiente e della società nella quale era
attore di primo piano oltre che attento spettatore. L’importanza che Cicerone ebbe
nella lotta politica è poca in confronto all’importanza che ebbe nella letteratura e
nella cultura latina. La divulgazione della filosofia greca nel mondo latino, accordata con i valori morali e politici della tradizione romana, è il compito degli ultimi
anni della sua vita. Se attraverso le sue numerose orazioni si può seguire – nei suoi
episodi più importanti – la storia della tumultuosa vita romana di quel tempo (Verrine, 70 a.C.; De imperio Cn. Pompei, 66 a.C.; Catilinarie, 63 a.C.; Pro Milone, 56
a.C.; orazioni ‘cesariane’: Pro Marcello, Pro Ligario, Pro rege Deiotaro, 46-45
a.C.; Filippiche, 44-43. a.C.), le opere politiche, filosofiche e letterarie, nella
forma del dialogo espongono i frutti della sua esperienza, dei suoi studi e delle sue
meditazioni sull’arte oratoria (De oratore, Orator), sull’ordinamento dello stato
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(De re publica, De legibus), sulla costituzione dell’universo (De natura deorum,
De fato), sui principi della saggezza (Tusculanae disputationes) e su questioni di
morale pratica (De amicitia, De senectute, De officiis). Tutte le opere ciceroniane
costruiscono ed esaltano l’ideale massimo della cultura classica, l’humanitas, fondato sul principio che l’uomo è creatura superiore a tutte le altre grazie al dono
della parola e della ragione, e questa coscienza gli impone il dovere di rispettare i
propri simili e di porre la propria opera al loro servizio. L’ideale dell’humanitas
ciceroniana ha esercitato ininterrottamente un’influenza profonda sulla civiltà
rinascimentale e moderna del mondo occidentale.
3. Se nella figura e nell’opera di Cicerone si trovano i segni delle incertezze e
delle contraddizioni del suo tempo, al contrario, geniale e carismatica appare la
personalità di GAIO GIULIO CESARE (Roma, 100-44 a.C), per la lucidità della sua
intelligenza pratica, per la lungimiranza della sua visione politica e per le doti
eccellenti di scrittore e di storico, che rivelò nei suoi ‘Commentari’ (De bello Gallico, De bello civili).
Formatosi a Roma, alla scuola di grammatica e di oratoria, si recò a perfezionare la sua formazione di oratore nell’isola di Rodi al seguito di Molone, maestro
anche di Cicerone. Compì una rapida e brillante carriera politica (fu questore,
edile, pontefice massimo, pretore, propretore, console, proconsole nel giro di 16
anni, dal 67 al 51 a.C.). Terminata la guerra gallica, iniziò il conflitto civile col passaggio del Rubicone (49 a.C.), e, dopo aver sconfitto Pompeo e debellati i pompeiani superstiti (Tapso, 46 a.C.; Munda, 45 a.C.) senza rompere apertamente con
la costituzione repubblicana, si proclamò dittatore a vita. Ma il suo potere assoluto, e la sua idea di una monarchia simile a quelle dell’oriente mediterraneo, incontrò l’opposizione di una parte dei suoi stessi seguaci, dai quali fu organizzata la
celebre congiura, conclusasi con il suo assassinio, il 15 marzo del 44.a.C.
L’acuta analisi delle cause politiche e sociali della crisi dell’età di Cesare fu condotta da GAIO SALLUSTIO CRISPO (Amiterno, 86-35 a.C.). Dopo una modesta carriera politica che lo portò fino al senato, grazie all’appoggio di Cesare (fu anche
governatore della Numidia, in cui si arricchì tanto da costruirsi in Roma i famosi
horti sallustiani) si ritirò a vita privata e scrisse le sue principali opere: De coniuratione Catilinae (narra gli avvenimenti del 63 a.C.); De bello iugurthino (che
comprende la storia di Roma dal III al I sec. a.C.); le Historiae (in 5 libri narrano
le vicende dal 68 al 67 a.C.). Sallustio è convinto che la crisi della repubblica
romana sia dovuta alla corruzione, all’avidità, all’egoismo della nobiltà, che detiene tutto il potere e gode i frutti delle conquiste. Per salvare la repubblica occorrerebbe un risanamento morale. Per queste convinzioni Sallustio pone al centro della
storia l’uomo con le sue virtù e i suoi vizi.
Per comprendere il metodo storiografico di Sallustio occorre tener presente che
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gli antichi avevano della storia un concetto del tutto diverso dal nostro. Mentre gli
storici moderni, nell’interpretazione dei fatti narrati dànno rilievo ai fattori sociali
ed economici e concepiscono la storia come un movimento interno di forze ideologiche e sociali, il metodo storico di Sallustio e degli altri storici dell’antichità (ad
esempio Livio e Tacito) è a sfondo essenzialmente moralistico. L’uomo – dice Sallustio nei proemi delle sue monografie – è composto di anima e corpo; da una parte
il corpo ci richiama alla vita istintiva, propria degli animali, dall’altra l’anima ci
spinge a compiere nobili imprese. La storia è dunque alternanza di bene e di male,
perché l’uomo, il suo mondo, la natura, risultano composti da questi due elementi. L’interesse principale di Sallustio è dunque rivolto a sondare l’animo umano, il
comporta mentodegli uomini. Perciò nella monografia sallustiana abbondano i
ritratti dei personaggi e lo studio psicologico del loro carattere.
4. Le dissonanze e i dissidi che contrassegnano le grandi personalità dell’età di
Cesare, si vanno attenuando con l’avvento della pace augustea. Augusto intese
valersi della cultura e dei letterati in appoggio al suo programma di restaurazione
dei valori morali e religiosi della tradizione romana e italica. I poeti ‘augustei’
accolgono e propagandano tale ideologia, con il concetto della missione universale di Roma, a cui spetta parcere subiectis et debellare superbos (risparmiare i vinti
e debellare i superbi, Virgilio, Eneide, VI, 853), e quindi assicurare pace, ordine e
giustizia a tutte le genti.
Meglio di ogni altro poeta, PUBLIO VIRGILIO MARONE (Andes, presso Mantova, 70 a.C.,- Brindisi 19 a.C.) interpreta questo momento storico e il programma
culturale e spirituale dell’ideologia augustea.
Nato da genitori di modesta condizione, giovanissimo lascia la famiglia per studiare retorica: frequenta le scuole di Cremona, Milano, Roma. In seguito alla vittoria di Filippi, nel 42 a.C., i triumviri assegnano le terre ai veterani. Virgilio subisce la confisca delle sue terre nel mantovano ed è costretto a trasferirsi a Roma,
dove si lega d’amicizia con Mecenate, che gli fa dono di una casa a Roma e di terre
in Campania e in Sicilia. Le Bucoliche e le Georgiche (42-29 a.C.) gli procurano
notorietà nella cerchia di Mecenate e di Augusto. Le Bucoliche, componimento a
carattere idillico-pastortale, rivelano lo stato d’animo di chi vede il mondo e la storia dominati dalla violenza e dall’ingiustizia e per questo si rifugia nella natura e
nella sua bellezza serenatrice. Ma c’è anche il dramma del contadino italico contristato dalla confisca della sua terra e costretto a emigrare al sud. Nelle Georgiche
Virgilio riconosce il valore della sofferenza e del lavoro dei campi e concilia il suo
amore per la terra con la celebrazione delle antiche tradizioni rurali italiche, in
accordo con il programma augusteo.
Dal 29 a.C. alla morte Virgilio compose i 12 libri dell’Eneide, il poema che doveva consacrare la gloria di Augusto, ma che poi passò dalla storia al mito, diven17
tando il poema dei viaggi di Enea e dell’interpretazione provvidenziale della storia di Roma. Infatti, nell’Eneide le sofferenze di Enea e della sua gente appaiono
dettate da un disegno divino, che mira ad assicurare pace e civiltà ai popoli governati da Augusto.
5. Anche QUINTO ORAZIO FLACCO (Venosa 65- Roma 8 a.C.), l’altro grande
poeta della età di Augusto, visse nello stesso ambiente di Virgilio, e subì l’influsso delle medesime idee ed esperienze storiche. Studiò grammatica a Roma sotto il
manesco (plagosus) Orbilio, poi filosofia ad Atene. A Roma ottenne un posto di
scriba questorius (scrivano del questore) e divenne amico di Virgilio che lo presentò a Mecenate. Il grande protettore lo prese a benvolere e gli donò una villa in
Sabina. Nelle opere (Epodi, Satire, Odi) ritornano frequenti i temi dell’amicizia,
dell’amore, del simposio, della brevità della vita, dell’ineluttabilità della morte. In
tono piano e scorrevole, con stile familiare di conversazione, il poeta ci dice che la
vita va vissuta serenamente e senza affanni, senza cercare le ricchezze che sono
fonti di preoccupazioni. Tema dominante è la ricerca di un equilibrio morale, svincolato dalle vicende storiche e legato alla meditazione e alla vita appartata. Era
questa la risposta dell’intellettuale alla crisi politica e sociale dell’epoca delle guerre civili; una risposta di tipo etico e moralistico. La poesia oraziana, spesso impetuosa per l’emozione sentimentale e l’urgere dei problemi dell’esistenza, è dominata dal freno dell’ironia e da una perfetta misura formale.
6. Se Mecernate si era assunto il compito di organizzare la cultura a favore di
Augusto, tuttavia egli non fu il solo, a Roma, a riunire intorno a sé un circolo di
letterati: l’età del principato conobbe altri sodalicia o cenacoli, come quello di
Messalla Corvino, che costituì il punto di riferimento e l’ambiente culturale di
ALBIO TIBULLO (50-19 a.C.), oriundo del Lazio, cavaliere appartenente a ricca
famiglia repubblicana, che fu colpita dai provvedimenti del II triumvirato e subì
gravi perdite per le confische di terre a favore dei veterani. Quando Messalla Corvino si accostò ad Ottaviano, dopo Filippi, Tibullo dovette seguirlo nel 30 a.C. in
Gallia e poi in Oriente, ma si fermò, a causa di una malattia, a Corfù.
Argomento prevalente dei suoi due libri di Elegie è l’amore: una sincera, struggente e delicata passione, prima per la donna che egli canta sotto il nome di Delia
(I libro), poi per Nemesi (II libro). Questa seconda donna, avida e volubile, sarà
motivo di tormento negli ultimi giorni di vita del poeta. Nel libro affiorano anche
altri temi: solennità religiose, genetliaci, celebrazioni di lodi. Della guerra Tibullo
non parla se non per maledirla, per metterla in contrasto con la sua fondamentale
aspirazione alla pace e alla tranquillità agreste. Quella di Augusto era una pace
armata, questa di Tibullo è la pace dei campi, la gioia dell’aria aperta.
Questo ideale georgico corrisponde a un atteggiamento che non è avvertito solo
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da Tibullo ma corrisponde ad una presa di posizione di una parte della classe dei
cavalieri, ai quali la cessazione della guerra consentiva di dedicarsi alle remunerative attività agricole, commerciali, mercantilistiche e marittime. Solo che nel
nostro poeta non c’è l’ideale della ricchezza: egli è l’uomo dei campi, che vive
contento del poco, in pace con gli dèi, la natura e gli uomini, rispettoso degli usi e
delle tradizioni degli avi. Le elegie tibulliane ci hanno tramandato l’immagine
eterna di un mondo agreste vissuto con una profondità e schiettezza intimamente
latine: il ruscello di fresca acqua corrente, i verdi prati, le pietre coronate di
muschio odoroso, la casa di Delia, la donna fedele con la quale è dolce vivere e
morire.
7. Poeta più vigoroso e più dotto è SESTO PROPERZIO (Assisi 50-16 a.C.) appartenente ad una famiglia umbra colpita dalle confische dei triumviri, durante la
guerra perugina combattuta sulla sua stessa terra. Venuto a Roma, studiò retorica,
ma i suoi interessi erano decisamente per la poesia. Non era attratto dalla vita pubblica e dal foro; ma era invece affascinato dalla vita brillante della capitale, dai
salotti galanti, dal mondo degli amori e della letteratura. Questa sua vocazione
poetica e umana lo pone al di fuori degli schemi della morale tradizionale e dei
moduli culturali augustei.
A Roma, Properzio conobbe una donna, una cortigiana, che egli cantò nei primi
tre libri delle sue Elegie col nome di Cinzia. A questo amore il poeta dedicò tutta
la sua vita e quasi tutta la sua poesia, cantando le proprie vicende e le proprie pene,
con un frequente richiamo alla mitologia: l’esempio mitico, introdotto quasi sempre in modo allusivo, in Properzio non è pretesto di erudizione, ma serve ad illustrare per analogia o uno stato d’animo del poeta, un atteggiamento di Cinzia,
oppure a convalidare un’affermazione o una sentenza, a frenare l’intensità drammatica e romantica della sua passione. Nel IV libro delle Elegie (le cosiddette ‘elegie romane’) Properzio canta la grandezza di Roma, risalendo alla sua antica storia, attraverso il mito: storia e mito si risolvono in patriottismo e religiosità, esaltazione delle virtù degli avi e di una arcaica morale domestica, come nella bellissima elegia XI per Cornelia, la matrona romana che appare in sogno al marito
Paolo per confortarlo del suo dolore.
8. In questa età un grande storico TITO LIVIO (Padova 59 a.C.-17 d.C.) pone gli
ideali della romanità al centro della sua arte, nella colossale opera storica Ab urbe
condita, in 142 libri divisi in gruppi di dieci, di cui ci sono rimaste alcune decadi.
Le sue idealità repubblicane non gli impediscono di condividere pienamente il programma augusteo di restaurazione religiosa e morale.
Tra gli autori tecnici di quest’epoca ricordiamo VITRUVIO (I sec.a.C.), al quale
si deve il primo trattato di ingegneria dell’antichità intitolato De architectura
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(‘l’architettura’). A quest’opera l’autore si dedicò dopo aver seguito Cesare durante le campagne di Gallia e della guerra civile, come ingegnere del genio militare.
Dopo aver definito i compiti dell’architetto, Vitruvio passa a trattare dell’architettura come scienza e arte. L’opera è dedicata ad Augusto, ‘preoccupato – come dice
lo stesso autore – non solo degli affari di stato, ma anche della maestà dei pubblici edifici’.
9. Il fervore intellettuale e artistico che aveva caratterizzato il periodo iniziale del
principato augusteo, si va gradatamente spegnendo negli ultimi decenni, quando il
principato liberale si rivela nella sostanza come un assolutismo mascherato: l’assenza di una libera vita politica provoca una decadenza spirituale e morale che inaridisce le fonti di ispirazione di gran parte della letteratura. PUBLIO OVIDIO NASONE (Sulmona, 43 a.C.-Tomi 17 d.C.) riflette tale decadenza, e in lui mancano l’impegno morale e la profondità di pensiero propria di altri autori a lui contemporanei. Venuto a Roma per studiare retorica e per fare carriera politica, si dedicò alla
poesia, divenne amico di Tibullo ed entrò prima nel circolo di Messalla Corvino,
poi in quello di Mecenate, dove conobbe Virgilio e si legò a Properzio.
Dopo due matrimoni sbagliati, si unì con Fabia, donna di alte qualità, che gli
mantenne fede anche nella sventura. Quando era all’apice della sua fama, improvvisamente un decreto di relegazione, emanato da Augusto, lo confinò a Tomi (oggi
Costanza, in Romania), dove visse dall’inverno dell’8 d.C. fino alla morte.
Scrisse elegie (Amores, Tristia), epistole mitologiche (Heroides), un trattado d’amore (Ars amatoria), un poema elegiaco (Fasti) e un grande poema mitologico: le
Metamorfosi. La poesia ovidiana è caratterizzata da un’arte brillante e colorita, ma
manca di solidi ideali, rispecchia la letteratura accademica, la società frivola e
salottiera che si formò alla corte di Augusto e nelle classi alte della capitale. Ovidio è un virtuoso del verso, ma proprio per la sua vena facile e abbondante egli non
approfondisce mai quello che sente, non scava mai nel suo profondo. La tecnica
compositiva in cui Ovidio è maestro è la variazione: il poeta passa dalla tenerezza
più profonda alla tragedia più cupa, con sobrietà e concisione. Aspetti originali e
positivi della sua opera sono: la rappresentazione del favoloso, del meraviglioso e
soprattutto l’analisi dei sentimenti femminili, in cui rivela un’eccezionale capacità
di penetrazione e di descrizione.
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C. L’ETA’ IMPERIALE
1. La letteratura dell’età imperiale segna la fine di quell’armonia di spiriti e di
forme in cui si era rispecchiata l’atmosfera di sicurezza, di benessere e di romana
fede nel principato, che la politica augustea aveva creato e diffuso. Al classicismo
augusteo si sostituisce – è stato detto – una sensibilità più larga e più varia, più
ricca di istanze morali e psicologiche, religiose e sociali, più aperta sulle prospettive della morte e dell’aldilà: una cultura più dominata dalla curiositas, da interessi vari e molteplici (geografici, astronomici, scientifico-naturalistici), dal gusto
dell’esotico, dell’ignoto, dell’avventuroso, del favoloso, del tragico, del lugubre,
del realistico, del grottesco.
Il popolo romano non ha più alcun peso nella vita politica dell’impero. E la
società diventa più che mai proletaria. Significativo è, a questo proposito, il fiorire della favola con FEDRO (Macedonia, 15 a.C.-50 d.C.), il poeta degli umili,
schiavo e poi liberto egli stesso, entrato a far parte dell’amministrazione domestica di Augusto e di Tiberio. Dopo la pubblicazione dei primi due libri di favole subì
le persecuzioni di Seiano, il potente ministro di Tiberio.
I temi della sue favole (in 5 libri, ne conosciamo solo 93) sono i vizi e i difetti
degli uomini, ai quali il poeta guarda con tristezza, con cupo pessimismo e con un
risentito moralismo. Fedro leva la sua protesta e la sua indignazione soprattutto
contro l’ingiustizia che regna nel mondo e contro la viltà degli uomini, pronti a
prosternarsi e ad adulare i potenti.
2. Sotto Claudio e Nerone si ha un risveglio della letteratura, favorito dalla diffusione di una filosofia che guarda soprattutto al lato pratico e morale della vita.
La figura principale di quest’epoca è LUCIO ANNEO SENECA (Cordova, Spagna, 4
a.C.- Roma 65 d.C.). Appartenente a famiglia facoltosa, viaggiò e visitò l’Egitto.
A Roma fece le prime prove come oratore in senato. Mandato in esilio nel 39 d.C.
in Corsica, per gli intrighi di Messalina, moglie di Claudio, fu poi richiamato da
Agrippina. Alla morte di Claudio Seneca, che non aveva mai apprezzato l’imperatore, scrisse contro di lui un libello satirico, nel quale immagina che l’imperatore
venga giudicato dagli dèi, cacciato negli Inferi, dove finisce schiavo dei liberti da
lui stesso mandati a morte. Assegnato come precettore a Nerone, Seneca fu suo
consigliere per i primi anni di regno, ma quando il folle imperatore cominciò a
macchiarsi di delitti, Seneca si ritirò a vita privata. Ciononostante, implicato nella
congiura dei Pisoni, ricevette, nel 65 d.C., l’ordine di uccidersi.
La sua attività letteraria si divide in prosa e poesia. Tra le sue opere in prosa, le
più importanti sono i ‘Dialoghi’ fra i quali ricordiamo: De Providentia (‘La Provvidenza’), De constantia sapientis (‘La fermezza del saggio’), De brevitate vitae
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(‘La brevità della vita’), e soprattutto le Epistulae ad Lucilium (‘Lettere a Lucilio’,
in 20 libri), dove il filosofo si assume il compito di migliorare l’umanità affrancandola dai pericoli provocati da una cattiva gestione del potere politico, purificandola dalla corruzione, insegnandole princìpi quasi religiosi (l’esercizio della
virtù, la clemenza, la moderazione, la liberalità, ecc.), ricchi di nuovi fermenti spirituali che troveranno sbocco, di lì a poco, nel cristianesimo.
Al centro del pensiero di Seneca c’è l’ideale dell’humanitas, non quello civile e
sociale dell’età di Cicerone, ma un sentimento di filantropia, che porta l’uomo a
sentire come propri i bisogni e i dolori degli altri uomini e ad aiutarli. Nel 62 d.C.,
dopo essersi ritirato a vita privata, Seneca si occupò di problemi scientifici con le
Naturales quaestiones (‘Ricerche sulla natura’), dove tratta dei fuochi che brillano
nel cielo, dei fulmini, dei tuoni, delle acque terrestri, del vento, dei terremoti, delle
comete. Lo stile di Seneca è caratterizzato da una brevitas concettosa e brillante,
che conferisce al periodo un andamento mutevole e imprevedibile, comunque aderente all’inquietudine e alla profondità del pensiero.
3. A Seneca sono vicini, per molti aspetti, i suoi contemporanei MARCO ANNEO
LUCANO (Cordova, 39 d.C.), autore di un poema epico filopompeiano intitolato
Pharsalia, in cui narra la guerra civile tra Cesare e Pompeo, e AULO PERSIO FLACCO (Volterra 34-62 d.C.), autore di 6 Satire, in cui dichiara di voler educare moralmente i suoi lettori.
In direzione diversa si volge invece l’arte di PETRONIO ARBITRO (morto nel 66
d.C. a Roma), appartenente alla più alta società dell’epoca di Nerone, autore di un
romanzo intitolato Satyricon, in cui rappresenta – all’insegna della parodia – con
arte oggettiva e distaccata, la società del suo tempo, corrotta e alienata, sotto la
spinta delle passioni, delle ambizioni, dei vizi. Petronio parla di ladri, bricconi,
pervertiti, donne lussuriose, poeti e cantastorie, villani rifatti, con un realismo che
giunge a riprodurre il gergo corrente della plebe.
Tra gli scienziati e tecnici di quest’epoca ricordiamo almeno GIUNIO MODERATO COLUMELLA (nato a Cadice, Spagna, e vissuto sotto Claudio e Nerone), autore di un De re rustica (‘L’agricoltura’), un trattato che si inserisce nella tradizione
letteraria agricola da Catone a Varrone. Dopo essere stato tribuno militare in Siria
si ritirò a vita privata e, ricco possidente di fondi rustici, dedicò la sua attività letteraria all’agricoltura. Oltre a sottolineare l’importanza dell’agricoltura che, al pari
della filosofia, ha la capacità di formare il carattere dell’individuo, Columella tratta anche dell’aspetto più strettamente economico e finanziario dell’azienda rurale.
Nella sua opera, che si apre con un elogio dell’agricoltura, c’è uno spiccato biasimo per la guerra, e un interesse assai vivo per gli schiavi, che egli insegna a trattare con severità, ma anche con giustizia.
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4. Alla fioritura letteraria dell’età neroniana succede, nell’età dei Flavi (69-96
d.C.), un classicismo accademico inteso come gretta imitazione dei classici e incapacità o rinuncia a creare del nuovo. Da questo classicismo si riscatta, sul piano
della forma e dei contenuti ideali, MARCO FABIO QUINTILIANO (Calagorra, Spagna, intorno al 35 d.C. - Roma, 96 d.C.), il primo insegnante pagato dal fisco imperiale. Con intelligenza, buon senso e buon gusto, Quintiliano nella sua Institutio
oratoria (‘Trattato di retorica’, in 12 libri) detta i princìpi fondamentali dell’educazione e della formazione del futuro oratore. Della sua opera restano tuttora valide alcune idee e teorie pedagogiche, che, mentre fanno luce sui metodi didattici del
mondo romano, rivelano una profonda conoscenza dell’animo del fanciullo e anticipano teorie pedagogiche dei tempi moderni.
L’erudizione e la cultura scientifica trovano un clima favorevole in quest’epoca,
come ci viene testimoniato dalla enciclopedia scientifica Naturalis Historia (‘Storia naturale’, in 37 libri) di PLINIO IL VECCHIO (Como 23 23 d.C.- Stabia 79 d.C.)
che, da giovane, sotto gli imperatori Vespasiano e Tito ricoprì l’incarico di comandante della flotta del Tirreno. Durante l’eruzione del Vesuvio (79 d.C.) si impegnò
notevolmente nell’opera di soccorso alle popolazioni colpite dalla catasfrofe; ma,
volendo osservare il fenomeno da vicino per studiarlo scientificamente, morì asfissiato dai vapori del vulcano. La sua ‘Enciclopedia’ tratta di cosmografia, geografia, antropologia, zoologia, botanica, agricoltura, medicina, mineralogia. Plinio è
sostanzialmente un osservatore, un raccoglitore di notizie, che, però, non è in
grado di assumere una funzione critica di fronte al vasto e prezioso materiale accumulato grazie a immense letture.
5. L’unico vero poeta dell’età dei Flavi è MARCO VALERIO MARZIALE (Bilbilis,
45 - 104 d.C.). Venuto a Roma in giovinezza, condusse una vita dura, come cliente (cliens) di ricchi signori, ricevendone in cambio la sportula, un donativo in cibo
e denaro. Entrato nell’ambiente imperiale grazie alla sua versatilità e alla sua familiarità con personaggi di primo piano, non potè tuttavia ottenere quei favori che
sperava, per cambiare la sua vita. Dovette perciò continuare a percorrere le strade
di Roma in lungo e in largo, sopportare di giorno e di notte i rumori incessanti dell’affollatissima capitale, la stanchezza e la noia alla ricerca di questo o quel personaggio influente e ricco, al quale offrire compagnia, amicizia e omaggi; una situazione che comportava adulazioni, umiliazioni e amarezze, ma che gli consentiva di
godersi lo spettacolo mosso e variopinto della vita nella capitale, dove ‘non c’era
un cantuccino dove l’impertinente indiscrezione del poeta non fosse riuscita a ficcare il naso’ (U.E.Paoli).
I quadri molteplici di vita romana sono la fonte della sua poesia. Quando, nell’80
d.C., Tito inaugurò l’Anfiteatro Flavio (il Colosseo), facendo organizzare giochi e
spettacoli, Marziale compose per quella circostanza un Liber de spectaculis, in cui
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esaltava quei giochi e quelle rappresentazioni di vario genere, ricevendo in cambio
benefici e compensi da Tito e poi da Domiziano. Poco dopo scrisse gli Xenia (Doni
ospitali) e gli Apophoreta (Regalie), epigrammi destinati ad accompagnare rispettivamente i doni che si scambiavano amici e parenti durante i Saturnali e i regali
che gli ospiti tiravano a sorte prima di lasciare la casa in cui avevano cenato.
Così Marziale andava preparandosi alla stesura dei suoi 120 Epigrammata (Epigrammi, in 12 libri), che riflettono la debolezza morale della società romana del
tempo. Il poeta ‘sa creare con studiato realismo un’inesauribile galleria di tipi e di
personaggi che desume dalla vita e dalla società del tempo, alterandone la precisa
fisionomia o col tratto caricaturale o con l’uso di pseudonimi’ (G. Monaco). Ma
Marziale, in fondo, ha semplicità di cuore e animo disarmato; sa confessarsi e sa
ridere delle proprie e delle altrui debolezze, sa amare con struggente tenerezza l’infanzia, disegnare in punta di penna stupendi paesaggi naturali, come quel quieto
angolo di mondo che è la sua nativa Bilbilis, verde di boschi e di acque sorgive,
dove trovò, finalmente il sonno, e la morte.
6. Sotto Nerva e soprattutto sotto Traiano, il principe buono e illuminato che
governa in sintonia con la nobilitas, rifiorisce la letteratura in un clima di restaurazione morale e di maggiore libertà, che richiama certi aspetti della politica e della
propaganda augustea.
Lo storico CORNELIO TACITO (Terni, 55- 122 d.C.) appartenente all’aristocrazia
senatoriale, percorse in tempi brevi la carriera pubblica (grazie anche al suo matrimonio con la figlia di Giulio Agricola, illustre personaggio della burocrazia flavia),
ma solo nel 97 d.C. potè diventare console. Dopo la morte di Domiziano scrisse
l’Agricola, la biografia dell’illustre suocero; successivamente compose la Germania, un’opera fra storiografia ed etnografia. Negli ultimi anni della sua vita si
dedicò alla composizione delle sue maggiori opere storiche: le Historiae (Storie) e
gli Annales (Annali), che analizzano gli avvenimenti del I secolo d.C., dalla morte
di Augusto a quella di Domiziano.
Tutta la storia del I secolo si configura a Tacito come una graduale, inarrestabile
involuzione morale, iniziata già nell’ultimo scorcio dell’età repubblicana, ma che
in età imperiale si sviluppa e si manifesta in forme paradossali e collettive. Il problema della decadenza morale e politica di Roma e della sua classe dirigente assilla lo storico, che, tuttavia, non riesce a vedere chiaramente né le cause né i rimedi
e si rinchiude in un amaro e scettico pessimismo e fatalismo. Il suo stile è scabro,
irregolare, oscuro, tendente alla ricerca del pittoresco e del patetico ed efficace nell’analisi dell’animo umano.
7. Nettamente favorevole al principe Traiano è PLINIO IL GIOVANE (Como 61113 d.C.), appartenente a una ricca famiglia dell’ordine equestre. Studiò alla scuo24
la di Quintiliano e compì la maggior parte della sua carriera politica durante il principato di Domiziano; poi si associò al generale atteggiamento di sollievo per l’ascesa al principato di Nerva e Traiano. Nel 100 d.C. ricoprì il consolato e pronunciò un panegirico in cui esalta le qualità umane, le doti morali, le qualità politiche
e militari dell’imperatore. La sanità morale e l’integrità dei costumi, unite alla
mitezza dell’indole, lo resero uno degli uomini più degni del suo tempo. Nel suo
Epistolario (in 10 libri) Plinio ci presenta uno spaccato dell’alta società del tempo,
vista con uno sguardo ottimistico, il che è ‘un segno dell’adattamento dell’aristocrazia intellettuale all’assolutismo imperiale’ (Perelli).
Legato a Tacito dal moralismo tradizionalistico è invece DECIMO GIUNIO GIOVENALE (Aquino 55 –127 d.C.circa). Era di origine plebea, ma la sua famiglia non
era povera se potè pagargli a Roma gli studi di grammatica e di retorica. Esercitò
l’avvocatura e forse per qualche tempo fece il maestro di scuola. Nel 96 d.C.
cominciò a scrivere le sue 16 Satire (in 5 libri). Giovenale, anche se aveva poderi
ad Aquino e a Tivoli e una casa propria a Roma, non visse nel lusso, se Marziale
ce lo presenta come affannato a girare per le strade di Roma e fare l’anticamera
nelle case di signori. Nelle sue Satire ‘esprime la protesta della piccola borghesia
intellettuale umiliata dal fasto e dalla boria dei ricchi. La sua indignazione gli ispira immagini e fantasie che ingigantiscono il male e l’ingiustizia sociale, rappresentandoli con impressionante evidenza e con amaro sarcasmo’ (Perelli).
8. Sotto gli Antonini (II e III sec.d.C.) l’impero conosce un grande benessere
esteriore all’insegna della conciliazione raggiunta fra imperatori e aristocrazia
senatoria. Tuttavia, in questo quadro, covavano forti elementi di crisi, come la
decadenza dell’agricoltura e della produzione artigianale italica, e, soprattutto,
l’inquietudine spirituale e religiosa. In opposizione ai culti e alle cerimonie religiose ufficiali si affermano nuovi culti misterici, di provenienza orientale, e nuove
fedi che fanno presa soprattutto sui ceti inferiori sulle grandi masse. Accanto al
gusto per l’erudizione e per la retorica brillante, emerge la tendenza al mistico, al
magico, all’irrazionale. Le figure più rappresentative di questo periodo sono Svetonio e Apuleio.
La fama di C. SVETONIO TRANQUILLO (2^ metà del I sec.d.C., morto a Ostia o
a Roma nel 3° decennio del II sec.d.C.) è affidata alla sua opera biografica, intitolata Vitae XII Caesarum (Vite dei dodici Cesari), che comprende i profili dei primi
dodici imperatori da Giulio Cesare a Domiziano. Le biografie svetoniane seguono
uno schema fisso: notizie sulla famiglia dell’imperatore, sulle sue vicende nel
periodo anteriore all’assunzione al trono, sulle fasi di governo, sulle virtù e i vizi.
Svetonio è uno storiografo pettegolo: la sua narrazione si limita alle vicende interne della corte, agli aneddoti, nei quali emergono vizi e meriti del principe, all’analisi della persona dell’imperatore e degli uomini a lui vicini. La morte di ogni
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principe costituisce l’occasione per racconti di prodigi e sogni.
Il culto della retorica e l’imitazione degli scrittori arcaici sono gli elementi caratterizzanti l’opera di M. CORNELIO FRONTONE (nato a Cirta, Africa, nel II sec.
d.C.), oratore e maestro di Lucio Vero e Marco Aurelio, figli adottivi di Antonino
Pio. Scrisse varie opere a carattere volutamente paradossale su temi artificiosi (per
esempio ‘L’elogio della polvere e del fumo’). Meno vacui gli argomenti delle Epistulae (in 5 libri), indirizzate a Marco Aurelio, a Lucio Vero, ad Antonino Pio e ad
amici: problemi di letteratura, questioni di vario interesse politico per la vita dell’impero, fatti quotidiani e questioni private. Per Frontone la cultura si riassume
nell’arte della parola che ‘deve esprimere con la maggiore precisione ed energia
possibile l’idea e il pensiero, per questo è necessaria una grande proprietà nella
scelta dei vocaboli’ (Rostagni). Ma, risalendo alla presunta purezza del latino
arcaico, il purismo di Frontone giunge ad eccessi pedanteschi e ridicoli.
Anche APULEIO, come Frontone, era africano, di famiglia altolocata (Madaura,
125 - 180 d.C.). A Roma esercitò la professione di avvocato, ma poi amò girovagare per il mondo, per la sua istintiva curiosità di esperienze. Verso i trent’anni
subì, a Oea (Tripoli), un processo sotto accusa di magia: grazie alle arti magiche,
egli, brillante conferenziere, avrebbe circuito e piegato ai suoi voleri una ricca
vedova, Pudentilla. Apuleio si difese brillantemente e fu assolto.
Ma la sua fama è affidata a un lungo romanzo intitolato Metamorphoseon libri
XI (‘Le Metamorfosi’, o ‘L’Asino d’oro’), che racconta le vicende dello scapestrato giovane Lucio, che coinvolto nei degradanti amori per l’ancella Fotide, subisce,
per la sua avventatezza, la trasformazione in asino, avendo avuto la curiosità di
conoscere le pratiche magiche compiute da Panfila, sua ospite e padrone di Fotide. Segue un fiume di avventure strampalate, durante le quali Lucio-asino si
acconcia a servire, nella sua veste animalesca, i più strani e tirannici padroni. Ma,
alla fine, implora l’aiuto della dea Iside, che lo soccorre indirizzandolo ad un suo
tempio; ivi il sacerdote gli porge un cespo di rose, che lo restituisce alla sua forma
umana e lo inizia al culto della dea.
Il romanzo ha un significato autobiografico: il passaggio di Lucio dalle passioni,
dal peccato e dalla curiositas dispersiva alla purezza religiosa, rappresenta il percorso compiuto da Apuleio nel corso della sua vita. Non per niente la narrazione
termina con l’iniziazione di Lucio alla pratica di uno di quei culti orientali che affascinarono le masse dei sudditi nel tardo-impero, cioè in un periodo di estrema
incertezza spirituale. Lo stile di Apuleio è affettato, prezioso e colorito.
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D. I CRISTIANI
1. Dopo l’eà degli Antonini (cioè dalla fine del II sec.d.C. in poi) la letteratura
latina volge verso una completa decadenza. Roma e l’Italia hanno quasi perduto il
loro primato, le province hanno assunto importanza e interessi propri, l’Oriente ha
cominciato a prevalere sull’Occidente. Alla vecchia classe dirigente, formata in
prevalenza da elementi italici e romani o romanizzati, si sostituisce il predominio
di militari provenienti dalle regioni meno civilizzate dell’impero; si verifica poi
una rapida trasformazione delle classi sociali, e i vecchi ordinamenti vengono sovvertiti.
Questi fattori storici determinano l’eclissi della cultura pagana e il sorgere, in
assoluto contrasto, della letteratura latina cristiana, ricca di nuovi valori e di nuovi
contenuti etici e spirituali. I primi scrittori di questa nuova letteratura sono gli apologisti: essi accolgono la tecnica letteraria e la retorica classiche, ma rifiutano la
concezione pagana della vita, per difendere e affermare i princìpi della nuova fede.
2. Alla grande letteratura apologetica appartiene l’africano MINUCIO FELICE (II
sec. d.C.), del quale ci rimane una sola operetta, l’Octavius, un dialogo scritto alla
maniera di Cicerone, in difesa della fede cristiana. Ad Ostia, durante un tiepido
autunno, l’autore passeggia sulla riva del mare con due amici, il cristiano Ottavio
e il pagano Cecilio. Giunti di fronte ad una statua di Serapide, Cecilio fa atto di
riverenza e provoca la reazione di Ottavio. Inizia così la disputa. Cecilio parla in
difesa del paganesimo: accusa il cristianesimo di ignoranza storica, di abiezione e
di immoralità, confutando le dottrine dell’onnipresenza di Dio e della resurrezione. Ottavio a sua volta, seguendo punto per punto le argomentazioni dell’avversario, dimostra l’esistenza della Provvidenza e di un Dio unico e insiste sulla superiorità morale dei Cristiani, che testimoniano il loro eroismo fino al martirio.
Figura di primo piano tra gli apologisti è anche CECILIO CIPRIANO (nato intorno al 200 d.C. a Cartagine, morto nel 258 d.C.). Discepolo di Tertulliano (apologista intransigente, nato dopo la metà del II secolo, morto intorno al 230 d.C.), nel
246 si convertì al cristianesimo e donò i suoi beni ai poveri. Vescovo della città di
Cartagine nel 248, dieci anni dopo subì il martirio, durante la persecuzione di Valeriano. Scrisse opere apologetiche (De habitu virginum, ‘L’abito delle donne’; Ad
Donatum, ‘A Donato’, ecc.) e un ‘Epistolario’ che raccoglie 81 lettere, testimonianza, oltre che biografica, anche dell’attività pastorale di Cipriano nella sua veste
di capo della chiesa di Cartagine. Il suo stile è ‘dolce e suadente, memore della
lezione dei grandi classici e insieme perfuso di solennità e di maestà biblica’
(Rostagni).
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3. Nel IV secolo d.C. si ha una sorta di risveglio della letteratura pagana, a cui si
associa la nuova cultura cristiana. Il centro di gravità dell’impero si sposta verso
l’Oriente, dove si svolge un largo e importante movimento intellettuale contrassegnato da una grande fioritura di opere grammaticali, erudite ed enciclopediche,
nello sforzo di restaurare l’antico e conservare i valori culturali del passato, mentre, a Roma, le migliorate condizioni del vivere civile, l’ordine e la tranquillità
fanno risorgere idee di grandezza.
Fervente ammiratore delle antiche glorie di Roma è lo storico AMMIANO MARCELLINO (Antiochia, 330-400 d.C.). Educato in ambiente di cultura greca, militò
sotto gli imperatori Costanzo e Giuliano l’Apostata. Visse l’ultimo periodo della
sua vita a Roma, dove compose una storia dell’impero romano intitolata Rerum
gestarum libri XXXI, che va dall’ascesa al potere di Nerva (96. d.C.) alla morte
dell’ imperatore Valente (378 d.C.).
Ammiano intende ricercare nelle sue Storie la verità e l’obbiettività, sostenuto
dall’orgoglio di parlare di fatti osservati personalmente o di notizie raccolte da
indagini personali. Un elemento che lo differenzia da tutti gli storici precedenti, è
la scomparsa, nelle sue ‘Storie’, della prospettiva romanocentrica, cioè ‘mentre in
epoca traianea la capitale e l’Italia erano ancora il cuore dell’Impero, il luogo dove
si decideva il destino del mondo, al tempo di Ammiano, invece, gli eventi storicamente più importanti si verificavano lontano dalla penisola, soprattutto in Oriente’
(P. Fedeli). Il racconto degli avvenimenti viene intercalato da digressioni etnologiche e di altro genere che attestano la pretesa di Ammiano di ostentare un sapere
enciclopedico.
4. Dopo il riconoscimento ufficiale del cristianesimo con l’editto di Costantino
(113 d.C.), la letteratura latina si adegua alla nuova situazione e accoglie ‘quegli
elementi della cultura classica che non sono incompatibili con la nuova dottrina o
che possono giovare per meglio illustrarla e diffonderla’ (Perelli).
LATTANZIO (230-320 d.C. circa) riflette questa conciliazione nelle sue Divinae
Institutiones, mentre in altre opere (quali De mortibus persecutorum, De ira dei)
assume atteggiamenti intransigenti contro i nemici della fede.
Alle opere polemiche degli apologisti succedono le grandi costruzioni dogmatiche dei Padri della Chiesa, tra cui ricorderemo Ambrogio e Girolamo.
AMBROGIO (nato a Teviri in Germania verso il 335 d.C., morto nel 397 d.C.) nei
suoi scritti dogmatici (ad es. De fide, De sacramentis) conserva i procedimenti stilistici della cultura classica e si preoccupa di rendere accessibili i contenuti della
fede a un pubblico più vasto. Importanza rilevante hanno le sue 91 lettere, che ci
informano della vita della Chiesa del tempo e sono un documento dell’ingegno di
Ambrogio, per affermare la sua autorità in campo politico e sociale.
GIROLAMO (Stridone, Dalmazia, verso il 327 d.C.- Betlemme 420 d.C.) studiò a
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Roma, dove fu battezzato e ordinato prete. Dedicò molti anni alla traduzione in
latino dell’Antico e del Nuovo Testamento, utilizzando sia gli originali greci ed
ebraici, sia le traduzioni volgari latine, già reperibili in quel periodo. Questa versione delle Sacre Scritture fatta da Girolamo fu adottata ufficialmente dalla Chiesa con il nome di Editio Vulgata.
Girolamo si dedicò anche alla traduzione dal greco del Chronicon di Eusebio di
Cesarea, un repertorio cronologico a partire da Abramo, che l’autore prolungò fino
ad arrivare all’imperatore Valente (378 d.C.): accanto a ciascun anno vengono
posti i fatti più importanti che sono accaduti. Le 117 Epistulae (‘Lettere’), invece,
sono di argomento personale.
Girolamo ha voluto dare al latino una nuova forma espressiva, rinnovando la tradizione classica nel lessico e nella grammatica e accogliendo il sermo christianorum, una lingua cioè che non è più quella di Cicerone. ‘Il latino della Vulgata è un
vero prevolgare, che denota come la Chiesa in quell’epoca avesse definitivamente
rotto con la tradizione classica della lingua scritta per adottare la lingua dell’uso’
(F. Della Corte). Girolamo riproduce la vigorosa semplicità e il conciso periodare
paratattico dei versetti greci ed ebraici.
5. Il più originale dei dottori della Chiesa occidentale è AURELIO AGOSTINO
(Tagaste, Numidia, 354 d.C. - Ippona, 430 d.C.) appartenente a una famiglia di
mediocre condizione. Il padre era un modesto funzionario che, molto tardi, si convertì al cristianesimo; la madre Monica era una fervente cristiana, che con la sua
fede ebbe grande influenza sul destino del figlio. Professore di retorica a Cartagine e a Milano, Agostino si convertì al cristianesimo nel 387. Ritornato in Africa fu
ordinato sacerdote nel 391 e, cinque anni dopo (396), divenne vescovo di Ippona.
Della sua sterminata opera ricordiamo almeno le Confessiones (‘Confessioni’),
in 13 libri, e il De civitate Dei (‘La città di Dio’), in 22 libri, scritta nel 413-26. Le
‘Confessioni’ sono un’autobiografia che va dalla nascita fino alla conversione, ma
un’autobiografia che va intesa come profonda introspezione, come storia di un’anima. Nel De civitate Dei Agostino difende il cristianesimo dall’accusa di essere
la causa della rovina dell’Impero. ‘Gli dèi pagani’ – dice lo scrittore – non furono
capaci di proteggere Roma dalle sventure che si abbatterono su di lei nel corso
della storia. Inotre, le sventure e le sofferenze terrene non sono un male per i cristiani, perché ciò che conta è soltanto l’acquisto della vita eterna’.
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