Giorgio Colli - Nascita della filosofia
1: Follia come sapienza
La nascita della filosofia si attribuisce alla Grecia e in particolare a Talete e Anassimandro. Nell’800 si sono
ricercate origini in oriente (Cina o India) e in Egitto, ma nulla di certo.
Dunque la tradizione vede nella Grecia la patria della filosofia.
Proprio come Nietzsche analizzò la nascita della tragedia attraverso le figure di Apollo e Dioniso, possiamo
usare la figura di Apollo come simbolo della sapienza.
Per l’uomo greco infatti la sapienza era il più alto fine dell’esistenza e la filosofia, amore per la sapienza, era
più bassa della sapienza stessa, in quanto tendeva ad essa.
Sapiente non era colui che eccelleva in abilità o tecniche, non era Odisseo, ma colui che gettava luce
nell’oscurità, colui che dava soluzioni e poneva problemi, chi conosceva il futuro; proprio per questo il dio
di Delfi è da considerare come il massimo proprietario del concetto di sapienza.
È infatti tramite l’oracolo di Delfi che Apollo proferisce parole di difficile comprensione che rilevano la
sapienza, la conoscenza del futuro. Eraclito afferma che il dio non cela e non rileva, ma accenna. A
differenza di quanto afferma Nietzsche infatti questo dio non è propriamente il dio della bella illusione. La
sapienza non può certo essere attribuita a Dioniso in quanto intuizione di una angoscia, poiché
significherebbe presupporre uno Schopenhauer che non vi fu. Inoltre per i Greci Apollo non è il dio delle
arti, della grazia, dell’ordine, ma anzi è terrificante, vendicativo, distruttore.
Il filosofo tedesco inoltre fa provenire Apollo dalla Grecia e Dioniso dall’Asia, ma sembrerebbe che anche
Apollo abbia in verità la stessa origine.
Altra grave mancanza di Nietzsche è quella di ignorare la “mania”, ovvero la follia che è fondamento di
Apollo. La follia è appropriata da Nietzsche al solo Dioniso col nome di ebbrezza, ma un testimone come
Platone afferma che la mania (divisa in 4 diverse tipologie) è parte della divinazione. La mania profetica è la
base della divinizzazione ed è propria dell’oracolo di Delfi.
Non solo quindi la mania è parte fondamentale di Apollo, ma è anche matrice della sapienza stessa.
2: La signora del labirinto
Indagando l’origine della filosofia e quindi della ricerca della sapienza è importante scoprire la “donna del
labirinto”, ovvero Arianna nel celebre mito di Teseo, Minosse, Il Minotauro, Arianna e Dioniso. Un DionisoCretese è una recente scoperta che lo pone molto prima “dell’invasione” Asiatica descritta da Nietzsche.
Arianna è l’unica donna che sia mai stata unita a Dioniso direttamente in un mito.
Il labirinto è inoltre un simbolo molto potente: è il logos, la ragione dell’uomo che rischia di perdersi in
essa. È infatti l’apollineo genio di Dedalo che crea il labirinto, senza una utilità (afferma Omero), ma per
gioco, un misto di arte e violenza.
Che il Minotauro potesse essere Dioniso è una tesi già proclamata, infatti spesso Dioniso è raffigurato come
un uomo con la maschera da toro.
Dioniso fa costruire il labirinto per soggiogare l’uomo, per esprimere l’istinto primordiale, ma Teseo usa il
dominio sul labirinto offerto dalla donna-dea (Arianna) per sconfiggere il dio-animale.
Questo può essere tradotto in termini di Schopenhauer: la ragione è al servizio dell’animalità, della volontà
di vivere, ma attraverso la ragione si raggiunge la conoscenza del dolore e della via per sconfiggere il dolore,
cioè la negazione della volontà di vivere.
Interessante notare come Dedalo e Teseo fossero devoti al dio Apollo e quindi rincontriamo quell’aspra
rivalità tra Dioniso (Minosse e il dio-animale Minotauro) e il dio di Delfi, ma in modo diverso da come lo
intendeva Nietzsche.
Abbiamo visto come Dioniso sia subordinato ad Apollo sul campo della conoscenza, dominio del dio di Delfi.
In questo mito, al contrario, essendo il tema la vivacità istintiva, animalesca, Dioniso sembra dominare
Apollo, dio statico e lontano dall’uomo.
Eppure è Teseo a trionfare sul dio-animale, dunque che Apollo esce vincitore da questa sfida? No, poiché
Teseo, tracotante, dopo aver ringraziato Apollo a Delo, isola a lui sacra, perde Arianna uccisa da Artemis e
restituita a Dioniso come sposa. È quindi Dioniso che resta vincitore, complice la tracotanza di Teseo.
Appare quindi come sia Apollo attraverso l’enigma, sia Dioniso con la provazione del Labirinto, ingabbino
l’uomo in pericolose insidie dove potranno sopravvivere, senza superbia, solo l’eroe e il sapiente.
L’unica chiave comune è il logos, la necessità della ragione.
Col passare dei secoli Dioniso viene inteso più benignamente rispetto al dio cretese, è sempre crudele, ma
anziché assetato di sangue, di possesso bestiale, è con la musica e la passione del tutto umana che si
manifesta.
Questa mutazione si ha con Orfeo assieme al grande e dirompente scoperta misterica dell’uomo arcaico. Il
dramma della morte. Dioniso è quindi un redentore, colui che rende l’uomo uomo attraverso la memoria. È
rappresentato come un fanciullo e i suoi simboli sono i giochi, come la trottola o i dadi, giochi immediati e
ludici (a differenza di Apollo, dove i giochi sono intellettuali). Un altro elemento identificato è lo specchio,
dove Dioniso vede riflesso il mondo che è in lui.
Nel mito della morte di Orfeo, dopo il ritorno dall’Ade amareggiato per la perdita di Euridice, Orfeo
maledice Dioniso, adorato fino ad allora e si rivolge ad Apollo, che offeso lo lascia sbranare. Anche qui torna
quindi la polarità tra Apollo e Dioniso, dove il secondo sembra prevalere sul primo come nel mito cretese.
Dioniso è il dio che da molte gioie, che cattura con la sua calda passione, ma fin troppo spesso ci regala una
fine tragica lasciando scrutare il suo fondo di crudeltà.
3: Il dio della divinazione
In Apollo è da ricercare la sapienza che avviene tramite la follia. L’oracolo può applicare la divinazione e
pronunciare le parole del dio attraverso la “mania”, senza gioia o colore (dice Eraclito).
A differenza di quanto afferma Nietzsche, Apollo non è illusorio, non cela la verità drammatica
dell’esistenza, non è colorato e sublime. È però, in vero, anche dio dell’arte. Infatti i suoi simboli sono la lira
e l’arco. Questa doppia natura è propria di Apollo. In lui sono riunite la bellezza e la morte, l’arco è vita
(suono simile) e la lira è bellezza; questi due elementi nel nostro mondo appaiono contrastanti, ma non per
quello degli dei. Per noi Apollo ha un impulso benigno e un altro maligno.
La parola di Apollo è affidata alla follia del divinatore, l’intenzione di comunicare è avvolta dall’enigma in
una spietata contraddizione. È il profeta che deve interpretare, ragionare e decifrare il significato del
divinatore attraverso la logica, il logos (Platone).
Empedocle suggerisce l’immagine che le parole di Apollo scagliate sul mondo e che vanno interpretate sono
come frecce del suo arco. Ancora la doppia natura maligna e benigna che indicano la rottura metafisica tra
mondo divino e umano.
4: La sfida dell’enigma
L’enigma è considerato dai Greci come uno spietato gioco divino. Apollo parla attraverso enigmi, il che
rende il dio crudele e avverso all’uomo. Mentre egli è sregolato e passionale, esorta l’uomo al controllo e
alla moderazione, quasi a provocarlo facendosi disobbedire.
Il mito più antico che contiene la parola “enigma” è quello della Sfinge, simbolo dell’animalità che si fonda
alla vita umana che sfida l’uomo a un gioco mortale. La sapienza è il mezzo unico col quale l’uomo può
superare l’enigma.
(Prometeo dice “Ti parlerò senza enigmi e in modo diretto, come si fa tra amici”)
In età arcaica l’enigma è ricco di Pathos e viene direttamente dal dio, ma col passare dei secoli l’enigma
entra nella sfera umana e questo coincide con la nascita dei “sapienti”
Platone ne parla come un metodo per stimolare l’intelletto dei giovani, o di piccole gare di indovinelli
durante i banchetti; Aristotele ne parla in modo serio: spiega come l’enigma lega cose assurde pur dicendo
la verità. Questo perché l’enigma dice il vero, ma va interpretato con la metafora, dove i nomi non
corrispondono propriamente al loro significato.
5: Il “Pathos” Del nascosto
Un antico mito di Aristotele racconta la morte di Omero, che dopo una profezia si reca all’isola di Io e
incontra due giovani pescatori. Omero chiede loro se hanno con sé del pesce, ma poiché essi si stavano
spidocchiando rispondono con un enigma: “Quanto abbiamo preso lo abbiamo lasciato, quanto non
abbiamo preso lo portiamo”. Omero non riuscendo a decifrare l’enigma morì di “scoramento”.
La futilità dell’enigma è abbastanza per la morte del più grande dei sapienti, Omero. L’enigma ancora volta
è una sfida mortale. Eraclito riporta lo stesso aneddoto con toni sprezzanti per Omero che cessa di essere
un sapiente nel momento in cui è stato ingannato. Eraclito parlerà a lungo dell’enigma e dell’illusione. Per
lui infatti i nostri dati sensoriali sono legittimi, ma critica il rapportarli a un qualcosa di stabile al di fuori di
noi. “Non possiamo immergerci due volte nello stesso fiume” significa che solo la nostra sensazione
ingannatrice di un medesimo fiume ci porta alla conclusione che siamo nello stesso fiume dallo stesso
nome, ma la realtà è in divenire e quindi illusoria continuamente. Per Eraclito tutto è enigma, tutte le
contraddizioni e ogni coppia di contrari; questa è l’apparenza del dio, che è insieme notte e giorno, fame e
sazietà, buio e luce.
Interessante è vedere come in molti racconti mitici si accenni a un “agonismo” tra sapienti sulla
conoscenza. L’agonismo per il titolo di sapiente è la forma definitiva del distacco dell’enigma alla sfera
religiosa.
6: Misticismo e dialettica
Se la base della conoscenza è nella “mania”, come si è arrivato a elaborazioni astratte, razionali, discorsive?
Probabilmente è dovuto alla dialettica, intesa come dialogo tra due o più persone.
Aristotele attribuisce a Zenone la nascita della dialettica, ma già in Parmenide vediamo una grande
maestria in quest’arte. Probabilmente la dialettica risale anch’essa a quel mondo arcaico così ricco: la
dialettica nasce dall’agonismo.
Senza più la necessità di sfidare un dio, la dialettica diviene luogo di scontro tra sapienti. I due ruoli sono
quelli del rispondente e l’interrogante; quest’ultimo formula una tesi e suggerisce due opposti poli di
interpretazione. Il rispondente enuncerà il proprio. L’interrogante, da quel momento, porrà delle domande
al rispondente cercando di smontare la tesi da lui scelta. Non servono giudici per il verdetto, la vittoria è
decretata dalla discussione stessa. La dialettica ha dato vita al più grande laboratorio di pensiero umano,
toccando sfere elevate e inesplorate.
L’enigma e la dialettica sono forse la stessa cosa, affrontata in ere e con intenzioni diverse: l’enigma era
dettato da un dio in una sfida mortale, l’intelletto era la chiave della vittoria; in un’era più mite, la dialettica
è una sfida non mortale, senza giudici e totalmente umana.
Misticismo e razionalismo non son in Grecia qualcosa di antitetico.
È vero però supporre che la sconfitta per un sapiente in uno scontro di dialettica sarebbe stato intollerabile
e corrispondente alla morte. Probabilmente Gorgia, Zenone e Parmenide non furono mai sconfitti.
7: La ragione distruttiva
Alla base della dialettica c’è un’intenzione distruttiva. Difatti il rispondente può scegliere una tesi oppure la
sua opposta, in entrambi i casi la tesi verrà smontata dall’interrogante, dimostrando per la legge del terzo
escluso (se una tesi è vera allora l’altra falsa) che entrambe le tesi possono essere vere o false allo stesso
tempo.
Questo getta l’uomo in un abisso di inconoscibilità del mondo.
Parmenide, sapiente antico e vicino all’enigma, percorre la via dell’essere piuttosto che quella del non
essere, richiamando la natura divina dell’enigma e la dea della Verità.
Il suo discepolo Zenone avrà una visione molto diversa, andrà contro l’ordine del maestro di percorrere la
via del “non è”, considerando la natura divina dell’enigma una mea illusione compassionevole del maestro.
Zenone infatti fu il primo a teorizzare e generalizzare la distruttività della dialettica e la estese a tutti gli
oggetti. Essi erano possibili e impossibili allo stesso momento, mettendo in discussione la realtà stessa e la
sua pensabilità.
8: Agonismo e retorica
Le “aporie” di Zenone devono ancora essere confutate. Il suo fu probabilmente il pensiero più alto della
Grecia arcaica con intento distruttivo ed è quello che si oppone maggiormente, ancora, alla filosofia
moderna costruttiva.
Va ricordato come in principio la ragione non era una sostanza a sé, un edificio autonomo, ma un qualcosa
di complementare all’enigma, una chiave di soluzione di un qualcosa altro. Oggi invece si intende la logica, il
dialogo come sostanza autonome razionali.
La dialettica inizia la sua caduta dopo Parmenide e Zenone, seppure eccelle in questa Gorgia. Gorgia supera
Zenone in quanto a raffinatezza del pensiero nichilista. Non si preoccupa della natura divina, egli non
salvaguarda nulla mettendo in discussione l’intera esistenza: “Il primo principio è che nulla esiste; il secondo
che se anche esistesse non è conoscibile; il terzo che se anche fosse conoscibile non è comunicabile”.
Con Gorgia si apre un nuovo mondo: la retorica, data con la volgarizzazione del linguaggio dialettico. Gorgia
non ha un confine discorsivo, non si rivolge a nessuno di particolare, non vi è dialogo, solo un uomo che si
innalza e parla mentre gli altri ascoltano.
Anche la retorica è agonistica, ma in un senso diverso, punta alla potenza in quanto la vittoria rispetto ad
altri oratori è dimostrata dalla massa che la accoglie.
Differenza immensa è legata alla scrittura, che seppur entrambe le arti vivono della parola recitata, orale, la
retorica nasce in forma scritta, poiché gli autori scrivevano i loro discorsi e li imparavano a memoria,
correggendo continuamente la loro arte.
Ci fu così una immensa diffusione della retorica.
9: Filosofia come letteratura
Con la scrittura ha inizio la vita della filosofia. La filosofia nasce infatti con Platone nella sua forma
puramente scritta, da retorica e dialettica si passa al trattato. Da notare come Platone stesso pone fine
all’era della “sofia” e ammette l’inizio della filosofia. Dunque egli si pone come un filosofo, un amante della
filosofia che quindi non possiede, alla quale tende; mentre Parmenide ed Eraclito sono sapienti e
appartenenti all’era della sofia.
Tramite il mito del dio egizio Theuth che dona l’arte della scrittura al faraone Thamus, Platone spiega come
la scrittura non è sinonimo di sapienza, ma anzi la inganna. La scrittura non è in grado di tramandare una
conoscenza o un’arte, ma solo di testimoniarla. Platone, nei suo iscritti, usa in effetto sempre la forma del
dialogo immaginario tra due interlocutori, ma un libro se interrogato risponderà sempre la stessa cosa.
Inoltre criticherà aspramente Dionisio II che avrà la presunzione di dire di aver messo per iscritto la dottrino
Platonica. Platone infatti afferma che nessun uomo di senno può realmente affidare i propri pensieri a un
qualcosa di immobile come le lettere. Cita Omero quando dice che “nessun uomo serio scriverà le proprie
riflessioni serie, altrimenti è certo che egli abbai perso il senno”.
Infatti il tono, la voce, i gesti sono il contorno e il contesto della parola, fondamentali nell’arte orale e che
servono necessariamente come tramite del messaggio.
Non si dà il giusto peso a queste straordinarie affermazioni, considerando che da Platone in poi tutta la
filosofia sarà scritta a partire da Aristotele e che Platone, forse intendo gli scritti in modo poco serio, ha
influenzato tutto il pensiero occidentale fino ad oggi.
In ogni caso è da sottolineare come l’era dei sapienti è da porre più in alto rispetto all’era dei filosofi.
La filosofia nasce dalla scrittura di Platone, primo filosofo che vede Socrate come ultimo dei sapienti.
Platone è figlio della retorica e della dialettica, ma ha anche un immenso talento drammaturgo, critica la
scrittura, ma non può farne a meno. La filosofia nasce da un sentimento agonistico, da un intento politico
(che i sapienti non avevano mai toccato) e da un talento letterario.
Questa è la nascita della filosofia, che appena nasce noi abbandoniamo. Per noi filosofi moderni,
lontanissimi discepoli, ciò che era antecedente alla filosofia e appartenenza dei sapienti è,
paradossalmente, più importante della filosofia stessa.