crisi di potere o crisi di sistema?

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Settembre- Ottobre 1977
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Crisi della società Italiana 1
CRISI DI POTERE O CRISI DI SISTEMA?
Un tentativo di applicazione dello schema habermaslano
di crisi all'attuale situazione italiana
di IVO COLOZZI
La parola <<cns1 » è certo tra quelle oggi più usate. I giornali,
i dibattiti, le conferenze, le discussioni, ufficiali e non, ripropongono
continuamente questa parola che è divenuta il simbolo della spada di
Damocle che tutti, in Italia, sentiamo sospesa sulla nostra testa.
Ma cosa significa di preciso? Di quale crisi si tratta?
Questa domanda non è oziosa o sofistica come potrebbe apparire
a prima vista. Salta agli occhi, infatti, che stiamo attraversando un
momento di grave crisi economica, per cui è naturale che si sia portati
a pensare rimedi in grado di risolvere tale stato di crisi sul piano economico-finanziario. Se però guardiamo più attentamente la situazione
strutturale del nostro Paese possiamo accorgerci che si tratta di ben
a ltro e che la crisi sul piano economico rimanda immediatamente al
livello politico e questo a quello socio-culturale. Non si t ratta , cioè, di
una crisi settoriale, ma, al contrario, di un problema globale, struttur ale, del sistema sociale italiano.
Anche l'Italia, infatti, pur se in modo del tutto particolare e con
situazioni di estrem a arretratezza, come quella del Mezzogiorno, si tro·
va ormai in que l tipo di formazione sociale che può essere definito di
«capitalismo maturo>>, per usare l'ormai noto termine habermasia·
no (1), e si profilano quindi anche in essa le t endenze di <<crisi di
sistema ,, che cara tterizzano tale for mazione sociale.
l
(l) Cfr. J. HABERMAS, La crtst della razlooolttà nel capitalismo maturo, Laterza,
Bari 1975. D'ora In avanti l'a nalisi proposta In quest'articolo utilizzerà lo schema
lnterpretatlvo elaborato dall'H. nel saggio citato.
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1. Il modello dì «·capitalismo maturo ,. e le sue tendenze di crisi.
Cercheremo ora di descrivere questo << modello » mettendo in evi·
denza quelli che si possono definire i suoi meccanismi fondamentali,
senza poter tenere conto, ovviamente, delle peculiarità con cui si è
storicamente realizzato nei vari Paesi.
Esso si fonda, dal punto di vista teorico, sulle idee economiche di
J. M. Keynes e sull'approccio sociologico di tipo strutturai-funzionalista
di Talcott Parsons e intende rispondere alle periodiche crisi economiche
che si erano dimostrate intrinseche al modello di << capitalismo liberale », nonché ai conseguenti fenomeni di disgregazione sociale da esse
provocati (2).
Il superamento di queste crisi viene realizzato tramite l'intervento
dello Stato che impiega il denaro pubblico, ottenuto attraverso il prelievo fiscale, o direttamente a sostegno di industrie in difficoltà (dando
vita alle cosiddette «partecipazioni statali») o attraverso la creazione
di una domanda sociale (lavori pubblici, infrastrutture, edilizia popolare, ecc.) in momenti di r istagno del mercato.
Va però sottolineato che questo intervento non si sostituisce alla
logica capitalistica e privatistica del mercato, ma le si affianca e la
sostiene; rimane cioè inalterata la libertà degli imprenditori di allocare
o non i propri profitti come credono. Perché questo uso << privato » di
denaro pubblico possa continuare ad avvenire, lo Stato di << capitalismo maturo» necessita di una forte << legittimazione »,cioè di un'estesa
lealtà di massa cui si accompagni una scarsa partecipazione. Per ottenere ciò, lo Stato deve impiegare un'altra fetta del bilancio sia per
erogare beni e servizi che tendano a migliorare costantemente lo standard di vita, sia per mantenere e/o controllare le principali agenzie di
socializzazione, cioè quelle strutture (scuola, tempo libero, mass-media)
che abituano il cittadino a l modo conforme di pensare, comportarsi,
reagire, ecc. (3).
Date queste condizioni si può verificare << crisi di legittimazione »
in due modi:
a) << l'apparato statale non è in condizione di assicurare le sufficienti prestazioni di controllo positive per il sistema economico ,, (4)
(crisi di razionalità), cioè non riesce a trovare le misure adeguate di
(2) Val forse la pena di ricordare che lo stimolo allo sviluppo di queste teorie
e alla loro applicazione fu appunto la cosiddetta « grande crisi » (1929·1932). Per
una trattazione storico-sistematica del periodo si veda K. PoLANYI, La grande trasformazione, Einaudi , Torino 1974.
(3) L'Insieme di queste pratiche va oggi comunemente sotto n nome di << wellare
state». Per un primo significativo accostamento a questa problematica, cfr. A. ARDIcb, Introduzione all'anallsl soclologica del << weljare state » e delle sue trasformazioni,
in M. LA RosA, E. MINARDI, A. MONTANARI (a cura di), I servizi socialt tra programmazione e partecipazione, F. Angeli, Milano 1977, pp. 41 ss.
(4) J. HABERMAS, clt., p. 53.
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intervento per risolvere i problemi che il quadro economico pone. In
questo caso la crisi di legittimazione si manifesta come sottrazione di
fiducia degli elettori al governo. E' il caso più diffuso in questo momento di crisi mondiale.
b) La seconda modalità di manifestazione consiste nel prodursi
di una vera e propria crisi di identità, provocata dalla crescente necessità dell'intervento statale programmatorio di estendersi anche alla
sfera privata del cittadino, modificandone il patrimonio culturale tradizionale. Le strutture normative hanno, secondo l'Habermas (5), una
propria logica di sviluppo che non può essere sostituita con interventi
di tipo amministrativo, per cui l'erosione del patrimonio culturale tradizionale può precipitare in una situazione di anomia, incertezza, ribellione, che sottrae legittimità al sistema politico. In questo caso la crisi
di legittimità nasce, secondo l'A., da una «crisi di motivazione» del
sotto-sistema culturale.
2. La crisi della società Italiana.
Dopo aver cercato di esporre sinteticamente questo complesso
schema interpretativo delle tendenze di crisi possibili in uno Stato a
« capitalismo maturo », tentiamo ora una sua applicazione all'attuale
situazione italiana.
a) Crisi economica e politica economica.
La crisi economica, per quegli aspetti per cui, al di là della dimensione mondiale, può dirsi specificamente italiana, viene correntemente
imputata agli errori commessi dai governi che si sono succeduti negli
ultimi quindici anni.
Sulla spinta dell'euforia prodotta dal « boom » degli inizi degli anni
'60 non si è attuato nessun serio tentativo di efficace programmazione.
Si è al contrario assistito al moltiplicarsi di innumerevoli interventi
settoriali e congiunturali, disarticolati e spesso contraddittori fra loro,
subordinati ad una logica clientelare e agli interessi dei grandi gruppi
capitalistici nazionali ed esteri. Ci troviamo così in una situazione di
ipertrofia dell'industria metalmeccanica, a basso contenuto tecnologico
e con forte impiego di manodopera scarsamente qualificata; di grande
espansione di quella chimica, la cui pericolosità dopo i fatti di Seveso
non è più nota solo ai patiti dell'ecologia; di ancor maggiore divario,
in termini di reddito pro capite, fra Nord e Sud; di dipendenza quasi
totale dall'estero per i prodotti agricoli e per quelli ad a lto contenuto
tecnologico (elettronica ecc.).
(5) Si veda, nell'opera già citata, in particolare Il cap.: «Sui teoremi della crisi
di motivazione 11, pp. 84·102.
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A ciò si è accompagnata la mancata attuazione delle necessarie riforme in settori decisivi quali la scuola, i trasporti, l'edilizia, la sanità,
le Partecipazioni Statali, il prelievo fiscale.
Tutto questo viene oggi scontato nei termini di un cedimento degli
investimenti, motivato col pretesto del costo eccessivo del lavoro, di
una non competitività a livello tecnologico che rende i nostri prodotti
difficilmente esportabili, di una altissima percentuale di disoccupazione
giovanile, in specie di quella « intellettuale », non riuscendo l'industria
ad utilizzare le qualifiche e le competenze acquisite durante l'iter scolastico, di uno stato cronico di disservizio a livello assistenziale e sanitario, benché questo settore assorba una quota sempre più alta di
bilancio, di un'alta percentuale di alloggi a prezzi alti o a ltissimi che
restano sfitti, nonostante che il problema dell'abitazione sia tutt'altro
che risolto (vedi le cinture di baracche che circondano tutte le grandi
città del centro-nord), di una situazione dell'habitat pericolosamente
vicina al « crack ,, ecologico.
La crisi economica viene quindi imputata all'incapacità del sistema
politico e il conflitto di classe si ripoliticizza. Tutta la strategia sindacale di lotta di questi anni costituisce l'esemplificazione più chiara di.
questo fatto; la controparte, a partire dalle grandi lotte dell'<< autunno
caldo», non è stata più solo l'imprenditore capitalista o l'insieme degli
imprenditori, ma il governo, cui si è chiesto di attuare la cosiddetta
strategia delle riforme.
E' quindi il governo che oggi deve mettere in atto una serie di
misure che permettano la fuoriuscita dell'Italia dall'attuale situazione
di inflazione galoppante e di diminuzione della produttività.
Tali misure, predisposte dal monocolore guidato dall'on. Andreotti,
si muovono sulla linea di una forte stretta fiscale che dovrebbe produrre una diminuzione di consumi privati, accompagnata da una incentivazione di quelli pubblici.
b) Le possibili incidenze delle misure anti-crisi sul sistema socio-culturale.
Senza precisare ulteriormente il significato e i limiti di questo pacchetto di interventi del governo, sembra opportuno soffermarsi a questo punto su un particolare aspetto del problema: quello dell'incidenza
di queste misure sul sistema socio-culturale. Schematizzando grossolanamente le tendenze presenti a questo livello in Italia, possiamo individuarne tre.
La prima, che definiremo individualista o liberista, si rifà ai valori
della tradizione liberale del pensiero illuminista. Afferma con nettezza
la separazione della sfera pubblica da quella privata, è favorevole al
concetto di eguaglianza intesa come possibilità offerta a tutti di occupare i posti più importanti, ma sottolinea con fermezza l'impegno individuale e la proporzionalità delle ricompense al merito acquisito. Tende
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perciò ad imputare le cause dell'attuale situazione alla perdita di autodisciplina, al lassismo morale e all'imbrigliamento dell'iniziativa privata. E' politicamente democratica, nel senso formale del termine, crede
nella forza della pubblica opinione e nel valore della pluralità d'informazione, ma non disdegna un governo forte. Dal punto di vista della
stratifìcazione sociale coincide con gran parte delle classi medio-alte e
con una certa fetta delle classi medie sia impiegatizie che autonome
(commercianti e artigiani). E' ancora molto diffusa, però politicamente
è dispersa (parti della DC, del PRI e del PSDI, PLI), per cui può essere
valutata in fase recessiva.
La second a tendenza si riconosce nelle varie specificazioni della
cultura marxista e può quindi essere definita in vari modi: socialista,
radical-progressis ta, collettivista. Essa rappresenta in questo momento
a livello culturale la forza egemone (6) ed ha la sua b ase sociologica in
grosse quote della classe operaia e contadina, in gran parte dell'« intellighenzia » e in quegli strati della classe media che maggiormente hanno subito il processo di proletarizzazione. E' fortemente orientata in
senso critico nei confronti dell'attuale gestione del potere, che, ormai, è
in grado di condizionare pesantemente attraverso gli organismi politici
(PCI innanzitutto e PSI) e sindacali che la rappresentano e spinge per
la realizzazione di profonde riforme in senso sociale delle strutture
portanti del Paese.
Se l'estendersi dell'azione amministrativa nel vivo del sistema socioculturale può causare una crisi di identità negli esponenti della tendenza individualista (7) provocando il fenomeno di una sottrazione di
(6) Il concetto di egemonia è di origine notoriamente gramsciana e rappresenta,
a nostro avviso, il concetto chiave della strategia messa In atto dal PCI per la conquista del potere. Esso è infatti il perno di quel rtbaltamento del rapporto !ra struttura e sovrastruttura che permette oggi di parlare di una via Italiana al comunismo
nettamente diversa da quella sovietica realizzata da Lenln.
« [Gramsci] alla concezione marxista della "società civile " (complesso delle relazioni economiche o strutture) ne sostituiva un'altra per cui la società civile veniva
ad tdentltlcarsl con quello che, nel linguaggio marxlsta ordinario, è il dominio delle
sovrastrutture: il complesso delle relazioni Ideologiche e cultura!!. Gramsci può venir detto, nelle filosofie d! origine marxlsta, il "dottore delle sovrastrutture ". [ ... ]
In relazione a questo nuovo senso della " società civile ", il problema primo diventava quindi la conquista della cultura; nel più largo del sensi, case editrici, scuole,
strumenti di Informazione In ogni possibile forma. Nella prospettiva che lo Stato
dovrn Indebolirsi In proporzione diretta del venlrgll meno del consenso di questa
" società clvlle ", cosi che finirà In mano del comunisti non per una rottura brusca,
ma dopo un lungo processo di esaurimento n (A. DEL NocE, L'eurocomunismo e l'Italla, ed. « Europa Informazioni n, Roma 1976, p. 91).
(7) Potremmo chiarire Il concetto di estensione dell'azione amministrativa nel vivo del sistema socio-culturale esemplificandolo In questo modo. Il governo ha stabilito il blocco parziale della scala mobile per i redditi superiori al 6 milioni e quello
totale per quelli oltre gli 8 milioni. Ciò costituisce una limitazione delle risorse disponibili per il consumo o per l'investimento privato. Tale prelievo viene però giustificato per finanziare, ad es., la riforma sanitaria. Sappiamo però che essa accentua
la dimensione pubblica della figura del medico. Ciò comporta che l'Individuo appartenente alla tendenza in questione non colga questo sacrificio monetario come compensato da una migliore qualità del servizio, ma, a l contrarlo, come una restrizione
della propria libertà di scelta del medico da cui farsi curare. Di qui nasce la crisi.
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consenso all'azione del governo per il sopravvenire di un diffuso senso
anomico, lo stesso fenomeno offre ai « progressisti "• che sono di fatto
coloro che di più devono scontare in termini di restrizioni economiche
le conseguenze negative di tale azione, la possibilità di giocare la carta
dell'ingresso nella « stanza dei bottoni », pena la non risposta alle sollecitazioni che provengono dal sistema politico-amministrativo (ad es. la
richiesta di << austerity »), le quali, in tal caso, resterebbero lettera morta, con conseguenze ben prevedibili.
Si è quindi avviata oggi in Italia concretamente la possibilità della
estensione, sul piano politico, dell'egemonia culturale di quella tendenza
che abbiamo definita « progressista ».
Costituirebbe questo fatto una crisi di sistema, comporterebbe cioè
il passaggio da un modello di società ad un altro? Per rispondere a questa domanda bisognerebbe verificare se, in seguito a questo fatto, si
realizzi un mutamento del << principio di organizzazione >> della società,
vale a dire il contemporaneo mutamento del sistema di produzione e
di quello di socializzazione, intendendo quest'ultimo come <<variazione
dei valori normativi ,, (8) discorsivamente giustificabili.
E' necessario cioè, perché si possa coerentemente parlare di una
radicale trasformazione di un certo modello sociale, non solo che muti
il rapporto fra società e natura esterna (sistema di produzione), ma che
si crei una rottura col tipo di cultura che tale società ha prodotto; ch e
si abbia quindi un rifiuto ed una sostituzione delle immagini del mondo
(ideologie) e della coscienza morale (valori e norme) con cui il potere
ha socializzato (integrato/manipolato) gli individui. Solo in questo caso,
infatti, secondo l'Habermas, si potrebbe parlare di crisi irreversibile del
sistema, cioè di una vera e propria rivoluzione.
A questa domanda viene data una risposta negativa da quei gruppi
sociali che non partecipano né della prima né della seconda tendenza
e che però difficilmente possono essere definiti in modo omogeneo a
causa del riferimento culturale estremamente vario e del fatto che si
collocano come frange, il più delle volte giovanili, all'interno di tutte o
quasi le classi sociali. Ciò che può portare ad accomunarli è il condiviso desiderio di un <<salto qualitativo >>, di una << diversa qualità di
vita >>, di un « diverso >> in assoluto per l'uomo e la società.
Ai loro occhi la negatività della risposta si giustifica col fatto che il
passaggio a questa nuova egemonia politica costituirebbe una modifi·
cazlone non del sistema, ma all'interno del sistema; un processo di razionalizzazione che per realizzarsi u sa dello strumento più subdolo,
perché apparentemente più Iibertario e più popolare, ai fini di un asservimento ancor più completo alla logica del potere economico. Questo
strumento è la partecipazione. Nel momento in cui questa, infatti, viene
(8) Cfr. J.
HADERMAS, clt.,
p. 12.
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usata allo scopo di controllare la conflittualità, mediante la manipolazio·
ne culturale e l'« implicazione amministrativa», diventa il miglior canale
di reperimento di motivazioni ai fini della legittlmazione del potere (9).
3. Verso una società fondata sulla " razlona!ltà oggettiva »,
Detto questo rimane ancora insoluto il problema del metodo · con
cui realizzare questa diversa qualità di vita. Proprio su questo problema, infatti, si accentuano le diversità e si moltiplicano le proposte.
L'Habermas, nel saggio più volte citato, tenta anch'egli una risposta
e suggerisce la possibilità di un incontro fra uomini che, liberi dalla
manipolazione del potere, convengano su interessi che sono tali per
tutti perché generalizzabili, fondati cioè sull'oggettività della verità (10).
Tale verità coincide per l'A. con la razionalità. Non però quella che sta
alla base della cultura industriale contemporanea, la ragione « strumentale » alla cui critica Horkheimer ha dedicato uno dei suoi libri migliori (11), ma una razionalità che potremmo dire «oggettiva», laddove
(9) La letteratura sul limiti della partecipazione è troppo vasta perché la si possa
ricordare anche per sommi capi senza omettere testi molto Importanti. Cl limitiamo
quindi a citare un passo che dà un po' il tono della polemica In oggetto. cc La partecipazione che non gestisce Il proprio potere, ma cogestisce Il potere altrui [... ] è
In realtà la forma mistificata d! quella Integrazione che ogni sistema è portato a
perseguire per salvaguardare continuamente Il suo equilibrio e la sua Interna sicurezza)) (L. TOMASI!TI'A, Partecipazione e autogestione, Il Sagglatore, Milano 1972, p.
120).
Per la chlarlficaz~one del concetto d! Implicazione amministrativa cfr. P. SELZNICK,
Pianificazione regionale e partecipazione democratica, F. Angeli, Milano 1974, specialmente pp. 308 ss.
(10) cc Il significato del riconoscimento razionalmente motivato della pretesa d!
validità di una norma d'azione risulta dal procedimento discorsivo della motivazione.
Il discorso può essere Inteso come quella forma di comunicazione libera dall'esperienza e sgravata dall'azione, la cui struttura assicura che oggetto della discussione
sono unicamente pretese di validità vlrtuallzzate di affermazioni oppure di suggerimenti o ammonizioni; che partecipanti, temi e contributi non vengono limitati, salvo
che rispetto al fine della verifica d! pretese di validità problematizzate; che non viene
esercitata costrizione, eccetto quella dell'argomento migliore: che di conseguenza sono esclusi tutti l motivi eccetto quello ·della ricerca cooperativa della verità. Se a
queste condizioni si realizza argomentatlvamente, ossia sulla base di giustificazioni
ricche di alternative proposte Ipoteticamente, un consenso sul suggerimento di accettare una norma, allora questo consenso esprime una " volontà razionale ". Poiché
in linea di principio tutti gll interessati hanno almeno la possibilità d! partecipare
alla consultazione pratica, la " razionalità " della volontà formata discorsivamente
consiste nel fatto che le reciproche aspettative di comportamento elevate a norma
faimo valere un Interesse comune constatato senza inganno: comune, perché Il consenso libero dalla costrizione permette solo ciò che tuttt possono volere; e llbero
da inganno, perché anche le interpretazioni d! bisogni, nelle quall ciascun singolo
deve poter riconoscere ciò che può volere, diventano oggetto della formazione di·
scorslva di volontà. La volontà formata discorsivamente può essere chiamata " razionale ", perché la qualltà del discorso e della situazione di consultazione garantiscono a sufficienza che un consenso può reallzzarsi solo sugll interessi generaztz.
zabtlt adeguatamente Interpretati, e con ciò Intendo: bisogni comunlcativamente condivisi )) (J. HABERMAS, Clt., pp. 119 S.).
(11) M. HoRKHEIMER, Ecltsse della ragione. Crttica della ragione strumentale, EInaudi, Torino 1969.
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questa definizione «esprima rispetto per la vita individuale » (12), indichi cioè la possibilità di mettere a tema della comunicazione interindividuale i bisogni/desideri che caratterizzano perennemente la struttura
umana ma che vanno sempre di nuovo storicamente realizzati.
L'accostamento che abbiamo fatto fra i due autori, nel tentativo
di esplicare col linguaggio dell'uno le tesi dell'altro, non è casuale. Su
questo punto, infatti, l'Habermas si dimostra in linea diretta erede di
quella Scuola di Francoforte che forse più di ogni a ltro approccio teorico nel nostro secolo ha perseguito con coerenza la critica dell'ideologia « storicistica », sia nella versione borghese come in quella marxista.
Ed è proprio in quanto « antistoricistica » che la proposta habermasiana suona autenticamente interlocutoria e innovativa nei confronti del
modello culturale vincente nelle società capitalistiche e socialiste di
Stato.
Non è possibile infatti pensare ad un mutamento sostanziale fino
a che la logica dominante sarà la weberiana razionalità « funzionale »
o « strumentale » per cui ogni cosa è considerata << mezzo » per altro,
per un << fine » che non è altro che un ulteriore << mezzo "• in un processo
infinito di appropriazione e sfruttamento, non potendo il pensiero e
l'azione umana, secondo la pessimistica concezione di Weber, << definire
gli scopi ultimi dell'esistenza>> (13).
Noi crediamo invece che proprio nella misura in cui individui e
gruppi di uomini saranno capaci di riscoprire tali fini o << interessi generalizzabili », per usare il linguaggio di Habermas, scrollandosi di dosso il peso dell'attuale oppressione culturale, sarà possibile parlare con
<< senso» di << crisi di sistema "• cioè del superamento del sistema sociale capitalistico.
Tale prospettiva, che personalmente consideriamo l'unica che val
la pena di perseguire, appartiene ancora certamente per larga parte al
cielo dell'utopia (14). Essa può, però, oggi misurarsi con un insieme di
fenomeni sociali che sembrano spingere in questo senso (gruppi di
controcultura, di controinformazione, comunità di base, comuni, gruppi
per l'autogestione). Dallo sviluppo di questi, in fondo, dipenderà il tipo
di risposta alla domanda che ha stimolato le riflessioni contenute in
queste pagine.
(12) Cfr. ibidem, p. 151.
(13) << [ •• • ] il pessimismo di Weber per quanto riguarda la possibilità di un pen·
siero e di un'azione razionali [ ... ] rappresenta una delle tappe del processo con cui
la filosofia e la scienza hanno rinunciato alla loro aspirazione di definire gli scopi
ultimi dell'esistenza umana n (ibidem, p. 14, nota).
(14) <<Appena una teoria non si realizza, viene mummiflcata sotto l'appellativo
di utopia e la si crede ormai inutile. Ma spesso, in un altro senso, anche qui " il
morto atrerra il vivo ". L'utopia continua a nutrire dei sogni e qualche volta, un
bel giorno, una nuova prassi le scopre il suo luogo di esistenza n (Y. BouRDET, Con·
diztont dt possibtlltà dell'autogestione, in P. BELLASI, M. LA RosA, G. PEu.rccrARI (a
cura di), Fabbrica e società. Autogestione e partecipazione operaia in Europa, F. An·
geli, Milano 1972, p. 253).
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