n. 42 - settembre-dicembre 2013
Rivista quadrimestrale di Feniarco
Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
ELENA CAMOLETTO
TRA ETICA
ED ESTETICA
REQUIEM DI VERDI
INTRODUZIONE ALL’ASCOLTO
CHORALDISC
DUM CLAMAREM
CORALITÀ NEL RITO
MUSICA E LITURGIA
Editoriale
Anno XIV n. 42 - settembre-dicembre 2013
Rivista quadrimestrale di Feniarco
Federazione Nazionale Italiana
Associazioni Regionali Corali
Presidente: Sante Fornasier
Direttore responsabile: Sandro Bergamo
Comitato di redazione: Efisio Blanc,
Walter Marzilli, Giorgio Morandi,
Puccio Pucci, Mauro Zuccante
Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina
Hanno collaborato: Enzo Bianchi, Pierangelo
Sequeri, Massimo Palombella, Vincenzo De
Gregorio, Valentino Miserachs Grau, Pietro
Numico, Piero Monti, Michele Lomuto, Ettore
Galvani, Rossana Paliaga, Lucia Vinzi,
Alessandro Drigo, Lorenzo Donati, Alvaro Vatri,
Michele Manganelli, Gian Nicola Vessia, Marco
Rossi, Sergio Bianchi, Maristella Dessì
Mentre chiudiamo questo numero di Choraliter (e
anche mentre voi lo leggete, se Poste Italiane avrà
compiuto in tempi ragionevoli il suo dovere) è in
corso Nativitas: centinaia di concerti dei cori italiani
di tre regioni, il Friuli Venezia Giulia, il Piemonte e il
Lazio, sul tema del Natale. Nata alcuni anni fa nella
prima delle tre regioni, l’iniziativa si è estesa
quest’anno anche alle altre e contiamo che il
benefico contagio si allarghi a tutta Italia. Nativitas
mette in rete i concerti che nel periodo natalizio
tanti cori usano offrire al loro pubblico: ne coordina
la promozione, ne cura l’informazione sulla stampa,
trasforma una serie di iniziative spontanee in un
grande festival della coralità italiana, accresce la visibilità della nostra presenza.
Facendo sistema si cresce, anche nel momento della crisi, e il nostro far coro si
conferma ancora una volta esperienza di vita, dove ciò che matura nella musica
fortifica persone e comunità, divenendo modello di ciò potrebbe svilupparsi in
tutta la comunità civile, quando l’impegno di ciascuno diventasse “corale” con
quello degli altri.
Avremo a breve anche un’altra occasione, un giorno dedicato alla coralità: il 23
gennaio, trentesimo anniversario di fondazione di Feniarco. Tutti siamo invitati a
ricordare questa giornata così importante per il nostro movimento donando un
momento di musica.
Ecco, donare potrebbe diventare la parola chiave del nostro modo di essere
facendo nostri quei versi di Rodari (già ampiamente diffusi grazie a uno dei brani
del primo volume di Giro giro canto) dicendo anche noi che all’avara formica
preferiamo la cicala, «che il più bel canto non vende, regala».
Sandro Bergamo
direttore responsabile
Redazione: via Altan 83/4
33078 San Vito al Tagliamento Pn
tel. 0434 876724 - fax 0434 877554
[email protected]
Progetto grafico e impaginazione:
Interattiva, Spilimbergo Pn
Stampa:
Tipografia Menini, Spilimbergo Pn
Associato all’Uspi
Unione Stampa Periodica Italiana
ISSN 2035-4851
Poste Italiane SpA – Spedizione in
Abbonamento Postale – DL 353/2003
(conv. In L. 27/02/04 n. 46)
art. 1, comma 1 NE/PN
Abbonamento annuale: 25 €
5 abbonamenti: 100 €
c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 83/4
33078 San Vito al Tagliamento Pn
Feniarco
liter
a
r
o
h
C
i
d
one
e la redazi o a tutti
auguran
ovo
u
n
o
n
n
a
un felice
n. 42 - settembre-dicembre 2013
Rivista quadrimestrale di Feniarco
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
DOSSIER
Coralità nel rito
2
LA BELLEZZA DELLA LITURGIA VIA A DIO
Enzo Bianchi
4
PORTRAIT
CORALITÀ NEL RITO, CORALITÀ DEL RITO
Pierangelo Sequeri
9
MUSICA, TRADIZIONE E RIFORMA LITURGICA
Massimo Palombella
17
49 RIGORE NORDICO
INTERVISTA A MARTINA BATIC̆
LE INDICAZIONI DELLA CHIESA POSTCONCILIARE
IN MATERIA DI MUSICA SACRA
Rossana Paliaga
Walter Marzilli
23 UN FILO ROSSO LUNGO
MILLECINCQUECENTO ANNI
ATTIVITÀ DELL’ASSOCIAZIONE
Vincenzo De Gregorio
DOSSIER COMPOSITORE
Elena Camoletto
25
TRA ETICA ED ESTETICA
INTERVISTA A ELENA CAMOLETTO
52
Lucia Vinzi
55
TRE OMAGGI AI MAESTRI DEL RINASCIMENTO
Pietro Numico
ACCADEMIA EUROPEA PER DIRETTORI DI CORO
L’ESPERIENZA DI UN CORSISTA
Alessandro Drigo
58 IL GRANDE POTENZIALE DI UN GIOVANE FESTIVAL
IL 4º FESTIVAL CORALE NAZIONALE DI SALERNO
Mauro Zuccante
31
IN PRINCIPIO LA MOTIVAZIONE
ALPE ADRIA CANTAT 2013
Rossana Paliaga
62
INVENTARE FUTURO
L’ASSEMBLEA FENIARCO AD ALGHERO
Alvaro Vatri
64 PÉCS 2013-2015
DALL’ASSEMBLEA GENERALE ECA-EC
AL XIX FESTIVAL EUROPA CANTAT
NOVA ET VETERA
Giorgio Morandi
34 LA MESSA DA REQUIEM DI GIUSEPPE VERDI
GENESI E INTRODUZIONE ALL’ASCOLTO
CRONACA
Piero Monti
67
CHORALDISC
40 DUM CLAMAREM
Rossana Paliaga
INDICE
DOLORE E SPERANZA NEL CANTO GREGORIANO
Michele Lomuto
“QUATTRO VOLTE POLIFONICO”
TRA SORPRESE E NOVITÀ
72 “CHORALIST” TRA TRADIZIONE… E RIVOLUZIONE!
Rossana Paliaga
75
IN MEMORIAM
RUBRICHE
CANTO POPOLARE
43 I CANTI DELLA RESISTENZA NELLA TRADIZIONE
POPOLARE PIEMONTESE
Ettore Galvani
78 Discografia
80 La vita cantata
82 Mondocoro
LA BELLEZZA DELLA
LITURGIA VIA A DIO
di Enzo Bianchi
La liturgia è bellezza? La bellezza della liturgia va definita e misurata sulla capacità che essa ha
di far apparire l’azione del Signore, di fare spazio al Signore, di insegnare, di fare segno
(semaínein) alla presenza efficace di Cristo. Se esiste un’estetica liturgica, questa si fonda su
una cristologia dell’ars celebrandi che, attualizzando l’azione del Signore, si riveste di quella
bellezza appartenente ontologicamente all’agere Dei!
Una liturgia bella non può essere definita – come sovente si pensa – “una bella funzione”, ma
deve essere compresa come liturgia munita di quella bellezza che fa apparire la grazia di Dio.
Una liturgia munita di bellezza non va a cercare aggiunte, decorazioni, ornamenti, nel canto non
ricerca virtuosismi e ostentazioni: essa si manifesta in tutto ciò che noi uomini, che la chiesa sa
apprestare ed esprimere con arte attraverso gesti, parole e suoni umani, attraverso le creature.
Si tratta di predisporre tutto ciò di cui il Signore ha bisogno per esprimersi; riprendendo il verbo
che conclude il prologo del quarto vangelo, exeghésato, si tratta di saper narrare, di fare segno
all’azione del Signore risorto presente nell’assemblea che celebra, nel presbitero che presiede la
liturgia, nelle diverse azioni, nel canto e nella musica come nello spazio apprestato. Mi si
permetta di insistere: la bellezza della liturgia è quella di azioni, di gesti, di suoni umanissimi,
reali, strappati alla banalità, alla routine e resi eloquenti, carichi di significato; è la bellezza della
materia chiamata, convocata a una trasfigurazione.
In tutto questo, il canto partecipa alla voce cosmica della bellezza. La preghiera è anzitutto una
lode, un canto che gli uomini elevano a Dio, come un respiro cosmico che pervade tutta la
creazione e l’ammanta di bellezza. La liturgia ci chiede di cantare il Sanctus con questa
consapevolezza, quando a conclusione del prefazio della preghiera eucaristica IV invita: «fatti
voce di ogni creatura esultanti cantiamo…». I credenti non sono voce solo di se stessi e neppure
dell’umanità intera ma sono «fatti voce di ogni creatura», cioè voce anche di ogni creatura
animata e inanimata, sia essa animale, vegetale o minerale. «L’uomo loghikós – ha scritto Olivier
Clément – è il re-sacerdote che raccoglie i lógoi delle cose per offrirli al Lógos e consentire in
questo modo l’irradiamento della gloria» (O. Clément, Occhi di fuoco, Bose 1997, p. 44.). Ecco, la
bellezza del canto liturgico va oltre la parola (lógos) cantata e attraverso l’armonia dei suoni
LA BELL
PRIORE DI BOSE
DOSSIER
3
esprime i lógoi delle cose. Quando la preghiera è cantata essa è accresciuta di senso fino a
raggiungere il suo compimento. Il canto liturgico, infatti, inizia al senso più di quanto non lo
esponga.
Quale bellezza nella liturgia? Quando si celebra e si vive una liturgia cristiana, occorre ricordare
che in essa avviene innanzitutto una convocazione dell’assemblea (qahal, apparentato con il
termine qol, voce), di tutto il popolo di Dio, ma anche delle creature che non sono il palco per
un teatro, pur rappresentando un contesto dove tutti i convocati si esprimono in un registro.
Dunque sono convocati anche la luce, l’acqua, il pane, il vino, l’olio, il fuoco, le creature tutte di
cui i credenti devono consapevolmente farsi voce per cantare la santità del Signore vivente e
presente. Nella liturgia descritta dall’Apocalisse tutto il cosmo, l’universo, rappresentato dai
quattro esseri viventi, è convocato insieme alle creature invisibili e ai santi del cielo (cf. Ap
4,6.8; 5,6.8.14, ecc.).
Dunque nella liturgia cristiana entra anche la materia, entrano le creature, entrano i frutti della
terra e del lavoro, della cultura dell’uomo, e ciò che l’uomo con le sue mani sa fare: la chiesa
edificio, l’altare, i canti, le musiche, le vesti, ecc. La liturgia dice: “Amen”, “Sì” alle cose, ai
suoni, alle pietre, ai colori, ai profumi, i quali devono solo essere adeguati alla capacità
sacramentale. Certo, l’uomo deve saperli far entrare nella liturgia, non rendendoli sacri, non
benedicendoli come se fossero creature da esorcizzare, ma con un’operazione di discernimento
sulla loro bellezza. Anche questo fa parte del predisporre tutto all’azione del Signore.
A questo proposito servono vigilanza e discernimento: la banalità, la sciatteria, la mancanza di
attenzione, di grammatica umana, di qualità, tutto questo minaccia l’azione liturgica quanto
un’arte troppo segnata da improvvisazione e
sperimentazione, una pretesa bellezza alla
quale la liturgia serva come contesto in cui
esprimersi. Le creature, le opere d’arte, in
breve tutto ciò che è opus hominis deve
entrare nella liturgia solo se ha le qualità per
essere al suo servizio. Le opere d’arte
devono essere in armonia con la fede, con la
liturgia e con i bisogni dei fedeli, perché è
necessario che i fedeli sappiano leggerle,
comprenderle, apprezzarle, sentirle come mistagogiche per la loro partecipazione alla liturgia.
Voglio concludere ricordando che la bellezza è escatologica, come l’amore, come la comunione.
Nella nostra condizione di pellegrini verso il Regno – e anche la chiesa è in questa condizione, è
in via – tendiamo a una pienezza che non ci è data. Nell’oggi, in via, la bellezza sta, come
ricerca del reale, accanto alla verità, con la quale non può essere confusa e dalla quale non può
essere separata. Bellezza e verità non stanno nell’oggettivazione delle idee – operazione questa
sempre penultima – ma si pongono soprattutto come metodo, come ricerca di ciò che precede e
che dunque può illuminare il nostro cammino: potremmo parlare di veritatis splendor, di veritatis
pulchritudo. La lotta per la verità non può essere disgiunta dalla lotta per la bellezza, e la
contemplazione dell’una fa apparire l’altra. Siano dunque per noi come una sorta di viatico
alcune parole contenute nel libro del Siracide:
La lotta per la verità
non può essere disgiunta
dalla lotta per la bellezza.
LEZZA
Facciamo l’elogio degli uomini
nei quali il Signore ha profuso la sua gloria…
homines… in virtute pulchritudinis studium habentes,
uomini che hanno studiato, cercato la bellezza (Sir 44,1.6).
4
CORALITÀ NEL RITO, CORALITÀ DEL RITO
di Pierangelo Sequeri
TEOLOGO E COMPOSITORE
L’iniziazione cristiana della musica occidentale
L’originaria ospitalità cristiana del musicale anticipa con molti
segni l’ingresso della cultura musicale nella sfera delle
modalità creative dello spirito umano: a tutti gli effetti. La
differenza biblico-cristiana è posta nel momento stesso in cui
l’eco della musica originaria della creazione si compone con
l’impulso di una spiritualità della parola incoraggiata a farsi
essa stessa creativa nel modo della sensibilità, ossia della
voce e del suono. Adesso è alla libertà dell’invenzione
responsoriale, non più alla necessità della ripetizione
immutabile, che il rapporto con l’origine è affidato.
L’umano non è semplice replicante, riflesso inerte di Dio: è
immagine e somiglianza in azione; interlocutore insomma,
predisposto per l’interpretazione e l’invenzione. L’eco del
gesto creatore, genera versioni personalizzate della dialettica
dell’uno e dell’armonia dei molti. Per meno di questo non c’è
storia dell’anima umana, e dunque non c’è storia della
creazione di Dio, secondo la sua destinazione. Non potrebbe
nascere neppure una storia della musica, all’altezza della sua
origine sacra. Una simile storia non può raggiungere la sua
altezza, d’altronde, nemmeno come pura storia di un’anima
senza voce e senza mondo. Nella cultura cristiana sarà così
reinterpretata e riassorbita l’antica pregiudiziale diffidenza
dello spiritualismo colto nei confronti
della pratica musicale. Il mutamento di
segno sarà naturalmente propiziato dal
formarsi dell’icona udibile e visibile di
una pratica musicale integrata con un
esercizio della preghiera e della lode in
cui la felicità dello spirito si mostra
persuasivamente conciliata con la
sensibilità dell’espressione. Il canone
liturgico e quello musicale, nel
cristianesimo del primo millennio,
rimangono sostanzialmente inseparabili, e in certo modo
anche indistinguibili.
Nell’incubazione di questo stretto legame, la musica prende
confidenza con la sua reale possibilità di apprendere e
assimilare ogni più piccola piega dello spirito che viene
plasmato dalla parola, dal gesto e dalla rappresentazione
della presenza divina nel mondo e nell’anima. È qui che
impara l’arte di restituire l’evidenza simbolica delle forze
spirituali che accompagnano l’umana esperienza del
significato di parole, eventi, esperienze, immaginazioni,
legami. Prendendo confidenza, prende anche consapevolezza
dei suoi mezzi propri.
L’attuale fase di ripensamento è anche, inevitabilmente, una
fase di stallo della cultura e della pratica musicale. Rifugiarsi in
un passato presuntivamente ideale (non è la stessa cosa che
frequentarlo intelligentemente), non è una soluzione. Cercare a
tutti i costi un capro espiatorio (non è la stessa cosa che
indagare seriamente le cause) è a un capello dalla demagogia
sterile, che mortifica i più generosi e disponibili della nuova
generazione. In ogni modo, sembra più saggio che ognuno si
prenda la responsabilità del suo apporto. Il bene comune
incomincia di qui. Per quanto riguarda la cura musicale della
pratica religiosa cristiana (una cultura religiosa della musica,
intelligente, propositiva, creativa, è certo anche molto altro),
individuerei un sintomo e un simbolo, forse incoraggianti.
Il sintomo sta nel fatto, indiscutibile, che la cultura musicale
del ’900, comprese le forme più innovative e sperimentali
della contemporaneità, mantiene un rapporto costante e
pressoché universale con il tema e la parola religiosa (anche
biblico-cristiana). In tale frequentazione, la musica dà sempre
la sensazione di “tornare a casa”, ritrovando la felicità della
propria importanza, la coscienza della propria capacità di
interloquire col senso e non soltanto di arredare il sentimento.
Riacclimatarsi, ecclesialmente e culturalmente, con la potenza
musicale di questo “passaggio al sacro” significa incoraggiare
l’ipotesi che la caduta del “muro del suono” fra religione e
La musica, prima e più ancora
che arte dei suoni, è disciplina
dell’ascolto.
arte riapra la mente per un nuovo racconto dei legami fra i
due mondi. Meno ideologico, più sapiente. Il simbolo, invece,
lo andrei a cercare in quella coincidenza fra l’evento rituale
della preghiera e la vocalità musicale dell’adorazione, che ha
generato l’icona musicale della liturgia cristiana. Ogni volta
che la cura comunitaria di quell’originale e indissolubile
intreccio è stata seriamente ricostituita presso la coscienza
cristiana, ne è scaturito anche un nuovo fervore creativo per il
rapporto della musica con il dischiudersi di una nuova epoca.
Un nuovo fervore della cura dell’essenziale, nella sua forma
più semplice – ascolto e invocazione della Parola – genera
vibrazioni benefiche, anche a distanze impensabili. L’intensità
DOSSIER
spirituale insostituibile del momento del silenzio e
dell’ascolto, ha bisogno del servizio di una qualità fine della
composizione e dell’esecuzione. E d’altro canto, la felicità
virtuosistica della libertà creativa non ha bisogno di
disprezzare la comunità per volare alto.
La fede cristiana nella creazione toglie ogni spazio all’invidia
degli dèi per la creatività degli umani. Di più, se ne ricolma di
sincero compiacimento. La censura preventiva della musica
alta, che argomenta sul filo pretestuoso (e impertinente) della
democraticità della partecipazione liturgica, è il rovescio
simmetrico dell’indiscriminata censura della coralità popolare,
nel nome della (presunta) aristocrazia spirituale di una
corporazione concertistica alla quale non importa nulla della
religione.
L’invenzione personalista e comunitaria: polifonia
Il lavoro di armonizzazione estetico-spirituale della
celebrazione comunitaria cristiana – parola, gesto,
rappresentazione – è un lavoro delicato. Chiede manualità
fine e umiltà servizievole. Il superamento del ritualismo deve
andare precisamente nella direzione di una più genuina
fascinazione spirituale del rito comunitario, che introduce al
mistero della presenza e dell’azione sacra. Diversamente, si
riproducono soltanto pratiche supererogatorie dell’evasione e
dell’aggregazione: le forze vitali del mistero, lungi dal
liberarsi, si disperdono.
Lo spirito è quello ancora di nuovo evocato in una recente
catechesi di Giovanni Paolo II sulla necessità di «scoprire e
vivere costantemente la bellezza della preghiera e della
liturgia». Occorre purificare il culto da «sbavature di stile, da
forme trasandate di espressione, da musiche e testi sciatti, e
poco consoni alla grandezza dell’atto che si celebra»: non
solo formule “teologicamente esatte”, ma anche un modo
“bello e dignitoso”. Ne segue un invito per la comunità
cristiana a un serio esame di coscienza, perché ritorni sempre
più nella liturgia anche «la bellezza della musica e del canto».
5
L’obiettivo essenziale, che forma il criterio regolativo
dell’insieme della preghiera e della celebrazione, rimane pur
sempre questo: «La musica più alta… è quella che sale dai
nostri cuori. E proprio questa armonia Dio attende di
ascoltare nelle nostre liturgie». La musica di un cuore
sensibile allo Spirito, che concorre alla bellezza della
preghiera comune che si rivolge a Dio, è il principio esteticoregolativo più alto e decisivo. Per la piccola pieve dai mezzi
semplici e modesti, come per la grande cattedrale che può
ispirare forme alte ed esemplari. C’è da sperare che, lungo
questo solco, si possa incominciare con l’elevare anche il
livello dei pensieri e delle pratiche che accompagnano
l’attenzione per la musica di chiesa.
Il canto cristiano fa lievitare affettivamente la spiritualità della
parola: ogni invocazione, salmo, antifona, lettura incoraggia
alla coltivazione collettiva di un’intima partecipazione al senso
del suo testo, che rende assimilabile l’interiorità intelligibile
della fede comune. I testi si arricchiscono di ribattiture
mnemoniche, di variazioni ermeneutiche, di applicazioni
spirituali (tropi, sequenze, narrazioni e rappresentazioni).
La musica – se si vuole – è particolarmente abile nel
comporre profili alti della sua invenzione e della sua
esecuzione artistica, senza perdere il legame con una sfera
condivisibile di atti vocali che riflettono l’eco di un’esperienza
comune e ne rendono condivisibile la forza presso l’intera
comunità. La profonda correlazione fra il registro della musica
“di pensiero” (come amava dire il caro amico Mino Bordignon,
un vero santo patrono dell’estetica della vocalità, la più alta e
la più popolare) e quello della musica “di popolo” non si è
mai perso nella tradizione cristiana. Non solo Ambrogio di
Milano, con la sua prodigiosa invenzione corale, semplice ed
elegante, suscettibile di mille arricchimenti (J.S. Bach è
l’enciclopedia di questa fecondità, fino alle vette della
raffinatezza e della spiritualità della musica). Nell’alto
Medioevo, quando il canto ecclesiastico aveva già raggiunto
un suo livello di specializzazione estetica e monastica, artisti
di vaglia provvidero alla cura di testi in volgare e forme
musicali integrative, per mantenere l’equilibrio complessivo
6
delle pratiche liturgiche rivolte all’intera comunità.
Esattamente lo stesso fenomeno potremmo osservare, se le
storie ce lo raccontassero, lungo tutta la stagione posttridentina della riforma liturgica e pastorale: con le necessarie
differenziazioni del livello rituale e l’impiego di tutti i mezzi
forniti dalla nuova cultura musicale dell’epoca). Il resto è
semplice a priori ideologico (non importa se nostalgico o
modernistico, dell’arte colta o dell’arte pop) e ingenua idealità
romantica dell’arte totale, che avvolge e risolve il rito sacro
nello spettacolo dell’arte (e viceversa).
La cultura cristiana, viva e vitale, dei
legami spirituali fra musica e preghiera,
religione e arte, ha una sua storia
immensa. Un giorno dovrà pur essere
conosciuta e assimilata.
La musicalità del rito sacro:
un nuovo approccio
Dando per acquisiti questi punti, che sono del resto
documentati da una storia musicale immensa, per quanto
ormai ignorata, provo a indicare un punto di concentrazione
del possibile avanzamento della coscienza e della pratica
dell’integrazione rituale della musica.
Si tratta di un aspetto che l’applicazione della riforma
liturgica ha certamente trascurato, al di là di battaglie
ideologiche senza cognizione e senza costrutto. Il tema è
quello della qualità estetico-simbolica dell’intero atto rituale,
ossia del contesto intrinsecamente musicale – che prende
distanza dal rito esoterico come anche dall’happening
comunitario – della celebrazione del mistero. Il punto
potrebbe essere inquadrato da questo assunto programmatico
di J.-Y. Hameline, uno dei maggiori esploratori del rapporto fra
esperienza rituale della musica ed esperienza musicale del
rito: «La nostra attuale convinzione ci porta a pensare che,
nell’ambito della liturgia e del culto, non si possono separare,
esteticamente e concettualmente, le azioni musicali (vocali e
strumentali, corali e orchestrali) dall’insieme dell’ecologia
sonora della celebrazione. Prima ancora di considerare il
livello specificamente differenziato delle integrazioni operative
e funzionali della musica, si tratta di considerare un’istanza
più profonda, unitaria e in certo modo “fondativa”. La liturgia,
nel suo svolgimento sintattico, nei suoi atti di parola e di
non-parola, nelle sue dislocazioni spaziali e nelle sue azioni
simboliche, nella diastole e nella sistole del suo fraseggio e
La censura della musica alta, sul filo
pretestuoso della partecipazione
liturgica, è il rovescio simmetrico della
censura della coralità popolare, nel
nome dell’aristocrazia spirituale di una
corporazione concertistica alla quale non
importa nulla della religione.
Di fatto, si possono ridurre a tre i
motivi tradizionali che la riflessione
assume come base della pertinenza
teologica del musicale.
Il primo si concentra sul motivo del
servizio della parola sacra, per esaltare
l’espressività della parola e a
propiziarne l’affezione intelligente (la
musica non è il suono, è l’intelligenza del suono). Il secondo,
si ricollega alla risonanza dell’origine sacra che pervade in
qualche modo la vita del mondo, intendendo la musica stessa
come memoria e celebrazione dell’armonia dell’opera creatrice
di Dio (“I cieli narrano la gloria di Dio”). Un terzo, dà
importanza proprio alla insostituibile profondità spirituale
dell’esperienza corale della musica (la nascita occidentale
della polifonia, che celebra il valore aggiunto della
composizione dell’uno e dei molti, è invenzione che riflette
l’esperienza cristiana del rapporto fra persona e comunità).
della sua dinamica, può essere a buon diritto considerata
come una “musica portante” dell’azione, in cui si intrecciano
atti musicali specifici (come la parola e il silenzio). Se questo
è vero, mi sembra superficiale farcire la celebrazione liturgica
di atti musicali, perché ci sia comunque “un canto”, se il
regime musicale dell’insieme è trascurato, difettoso,
insignificante» (cfr. J-Y. Hameline, L’accordo rituale. Pratiche e
poetiche della liturgia, Glossa, Milano 2011: un testo
assolutamente fondamentale, quanto trascurato, per gli stessi
“specialisti” della musica sacra).
DOSSIER
7
in quanto tale. Ma un tale accordo, anche nei suoi livelli più
elementari e nelle sue modalità più semplici, deve essere
oggetto di cura affettuosa e competente. La coralità della
musica sacra mette “in canto” il simbolo risonante
dell’assemblea: distribuendosi in momenti di vocalità
collettiva, che unifica e coinvolge pulsionalmente la
responsorialità di tutti e di ciascuno; e in momenti di vocalità
ministeriale, che consente l’ascolto e l’interiorizzazione
collettiva dell’evento celebrativo (parole, gesti,
rappresentazione). L’armonia dei due momenti restituisce
l’intero della qualità spirituale della partecipazione, la
rimozione di uno dei due li corrompe entrambi.
Sensibilità musicale e trasformazioni dell’anima
Per lo sviluppo del ruolo integrante della musica nel rito
cristiano, è in effetti vitale l’approfondimento del tema –
ancora poco frequentato – della intrinseca musicalità del rito
stesso. Da questa consapevolezza deve venire un maggiore
impegno per una cura pastorale dello stile della celebrazione
(ars celebrandi) che si lascia ispirare dai valori tipici del
musicale nella dinamica complessiva del rapporto fra parola,
gesto e rappresentazione, spazio e tempo. Sarebbe qui da
riprendere, con fecondo significato innovativo, la lezione
antica secondo la quale la musica, prima e più ancora che
arte dei suoni (della loro composizione e della loro
esecuzione), è disciplina dell’ascolto, sapienza dei ritmi vitali,
cura della forma-parola, meditata suggestione che deriva
dall’esplorazione dei sottili e profondi vincoli che intercorrono
fra le sequenze temporali e le proporzioni spaziali dei
movimenti e dei gesti, nonché fra il regolato flusso
dell’interiorità riflessiva e le emozionanti trasgressioni del
pathos vissuto. Scienza delle risonanze
dell’anima insomma, prima che tecnica
dei corpi vibranti. È a questo registro
musicale del vissuto, del resto, che la
pratica musicale si ispira e si rivolge.
La ritualità della musica sacra non è
che il modo di mettere in evidenza e di
dare forza a questa sua intima natura.
Esiste insomma la questione di una
“estetica spirituale” della celebrazione
e della preghiera, ben più
fondamentale e disattesa, rispetto alla quale la questione
degli interventi musicali è variabile largamente dipendente. Il
giudizio vale sul piano della realizzazione (scelte, esecuzioni,
modalità di impiego), ma anche sul piano dell’invenzione e
della composizione.
Se non esistesse una qualità musicale dell’anima,
l’elaborazione musicale del suono non avrebbe l’energia e il
pathos che invece possiede. Di qui si apre la possibilità di
una regolata sinergia fra il rituale e il musicale in grado di
rinforzare e di esaltare la densità simbolica della celebrazione
Facciamo qualche semplice esempio.
Non succede nulla di apparentemente irreparabile se un canto
dal ritmo totalmente inadatto accompagna la processione dei
fedeli che si reca all’altare per l’offerta o per la comunione. Ma
la lacerazione della densità simbolica, del legame fra
l’avvicinarsi all’altare e l’avvicinarsi al Signore, scritta nei corpi,
ne viene stravolta: fino a essere rimossa dall’anima, per non
essere mai più ripresa. Rimarrà per sempre uno spostamento
funzionale, del quale i suoni coprono la confusione dispersiva e
il vuoto simbolico. Con effetti simbolici di lunga durata,
destinati a ricadere anche sulle altre parti della celebrazione.
Nessun canto sarà in grado di riscattare il disincanto e lo
sciupio di senso che in tal modo si producono. Anzi, si imparerà
a consumare il canto stesso come un riempitivo di circostanza:
che forse “parla” della comunione, ma non ne “accompagna” la
musica. Un altro esempio. La combinazione delle preghiere
dell’offerta e della raccolta delle elemosine, può far perdere il
senso di entrambe, se un canto adatto all’offerta non precede,
L’umano non è semplice replicante,
riflesso inerte di Dio: è immagine e
somiglianza in azione.
o una musica adatta non chiude nel silenzio raccolto, il
trambusto dei contenitori che agita l’assemblea. Dove
l’abitudine alla volgarità di una pura economia funzionale del
tempo e dei segni ha privato questo momento di una qualsiasi
importanza simbolica, lasciandogli al più quella didascalica, che
senso ha fare questione di quale canto è più adatto?
Più in generale, chi può sperare che una lettura non musicale,
dall’intonazione stentata o come fosse una lettura privata,
della parola biblica possa essere corretta dal canto che
precede o che segue? E viceversa, chi può seriamente
8
pensare che la prepotenza di una voce solista che sovrasta
possa incoraggiare la tensione e la risonanza di un’assemblea
musicalmente lasciata al suo destino? La maggior parte di
queste devastazioni si depositano nell’inconscio,
naturalmente: e quindi appaiono evidenti solo per chi vuole
avere occhi per guardarle (e orecchie per ascoltarle!). Ma i
loro esiti appaiono poi nelle molte forme di mancanza di
incanto – se non di vera e propria dissonanza – che spengono
l’abitudine alla tensione e all’intensità della liturgia. Per
rimediare a questo spegnimento non servono espedienti di
estrosa animazione o forme di
eccitazione musicale collettiva.
Esse, al contrario, chiudono
semplicemente il tempo e lo
spazio dell’autentica alleanza fra
la liturgia, la musica e la
musicalità del rito sacro.
Una celebrazione priva di ritmo,
di melos, di affetti vitali, di
tensione spirituale, ha in se
stessa una musica scadente.
Nessun canto antico o moderno,
nessuna melodia o armonia
vocale e strumentale, gliela
restituiranno. Noi discutiamo, non senza eccessi di
inopportuna sofisticazione, sulla doverosa qualità estetica
degli interventi canori e strumentali (dico “interventi” perché
semplicemente tali sono, purtroppo, nella stragrande
maggioranza dei casi, cioè essenzialmente “toppe”, seppure
eventualmente di stoffa pregiata) a proposito di una liturgia
troppo spesso totalmente priva di incanto. Ossessionata da
preoccupazioni didattiche e parenetiche, tiranneggiata dagli
orari del servizio pubblico e afflitta dall’inerzia del dovere da
compiere: dove troppo spesso atti di parola, gesti, silenzi,
ritmi e forme della voce, tempi dello spirito e cadenze del
suono, più che “accadere” “cadono” dentro il contenitorechiesa senza mostrare passo per passo il loro ritmo interiore
e la tensione spirituale corrispondente.
In un grembo musicale adatto, molti “ospiti” possono essere,
se non educati, indotti ad assimilare il clima spirituale e la
profondità teologale della partecipazione richiesta dalla
preghiera e dal sacramento.
Chi può sottovalutare, per fare un solo allusivo esempio
finale, l’intensità con la quale si imprimerebbe l’immagine
cristiana del legame fra l’uomo e la donna esplorato mediante
la parola, se il corso per i fidanzati fosse concluso da una
lectio musicalis del Cantico del Cantici elaborata nella forma
elegante, semplice e intensa, di una suggestiva Cantata o di
un breve Oratorio con il coro e magari l’orchestra? E se poi un
motivo, o un corale, fossero adattati e ritrovati nella
celebrazione liturgica del proprio matrimonio? Musica e
teologia, musica e liturgia, è anche tutto questo. Chi si sente
di decidere che si tratta di un argomento teoricamente
marginale o di un lusso pastoralmente improponibile? E chi
potrà ancora ingenuamente ridurlo alla semplice questione di
decidere “che cosa dobbiamo cantare oggi nella messa?”.
La restituzione dell’estetica (musicale) della fede alla lieta
consuetudine della sua pratica corrente è un obiettivo
culturalmente ed ecclesialmente difficile. Ma ci si può sperare,
se l’argomento sarà proposto alla generazione che ora si
affaccia al ministero della Chiesa con la persuasione e
l’ampiezza che esso realmente merita. La musica è molto più
che una tecnica delle emozioni, è una competenza che
riguarda il modo in cui un corpo sensibile alle vibrazioni va a
toccare gli affetti dell’anima e le risonanze della Parola. E la
Il superamento del ritualismo deve andare
precisamente nella direzione di una più
genuina fascinazione spirituale del rito
comunitario.
celebrazione è molto più che un’espressione della fede: è
l’atto del suo esercizio riconoscente, che attinge ai punti di
unione dell’anima e del corpo – il midollo del nostro essere
vivente – esponendoci interamente all’incanto dell’azione di
Dio in noi. Perché qualcosa della vibrazione di Lui ci tocchi e
ci trasformi, nella parte più sensibile della nostra anima.
M
9
MUSICA, TRADIZIONE
E RIFORMA LITURGICA
di Massimo
Palombella
DIRETTORE DELLA CAPPELLA
MUSICALE PONTIFICIA
Il lavoro svolto finora in Italia per la realizzazione
degli indirizzi indicati dal Concilio Vaticano II in
merito alla musica liturgica è stato interessante e
anche coraggioso. Ha prodotto numerosi testi e
tanta nuova musica. Ha dato vita a molte
sperimentazioni e stimolato una buona
professionalità congiunta con autentica fede. Non
mancano i limiti, insiti nel lavoro stesso di
sperimentazione, limiti che diviene importante
saper riconoscere e analizzare con intelligenza
per evidenziare eventuali influssi ideologici che
hanno condotto a determinate scelte e per
lasciarsi nuovamente sfidare.
In Italia si è accolto e tradotto molta produzione
straniera, di diverso valore, e si sono creati canti
passe-partout nella viva preoccupazione di far
partecipare il popolo di Dio. Sembra normale che
in questo sforzo l’attenzione si sia concentrata,
talvolta in modo marcato, su alcuni pur
importanti particolari. Anche questo fa parte di
ogni sano ed entusiasta processo di
sperimentazione.
Oggi ci troviamo nella felice condizione di poter
riflettere, con un certo distacco e con libertà di
spirito, su tutto ciò per “armonizzarlo”,
sfuggendo alla tentazione di enfatizzare
indebitamente determinati aspetti a scapito di
altri. Ad esempio, la “partecipazione attiva” dei
christifideles laici alla liturgia, se collocata
all’interno di una corretta comprensione
ecclesiale, non può essere concepita nel senso di
“fare” a ogni costo qualcosa, di cantare
comunque tutto, quasi nel senso di un’accezione
“sociologica” del partecipare. Anche nello
specifico della musica liturgica, dall’appena
citato dato ecclesiologico deriva immediatamente
la questione testuale e musicale del repertorio
canoro del popolo di Dio e il rapporto di questo
repertorio con le fonti musicali della Chiesa in
ordine alla loro attuale normatività.
MUSICA
Actuosa participatio:
dalla teologia alla pratica liturgica
Actuosa participatio1 è un’espressione che
immediatamente rimanda a un contesto liturgico
e sembra essere il “ritornello responsoriale” di
una certa pastorale del post-concilio Vaticano II.
In forza del giusto “calare la liturgia nella vita” e
del renderla accessibile al popolo, si è arrivati
implicitamente – disattendendo le preziose linee
tracciate dalla Mediator Dei – a far coincidere la
partecipazione attiva con quella esterna, con il
conseguente appiattimento che proviene
dall’imporre lo stesso ritmo di partecipazione
“esterna” e le stesse coloriture senza tener
presente né la pulsazione liturgica (tempi
liturgici, circostanze tipiche, gruppi di fedeli,
ecc.), né l’importanza della celebrazione.
La liturgia, che è il cuore della Chiesa, nel suo
plesso cristallizza storicamente il vivere e il
10
credere della Chiesa stessa. Il ritrovare allora in un contesto
liturgico l’espressione actuosa participatio significa che
questa presuppone un lungo cammino di comprensione
ecclesiale.
Sulla base di un’attenta analisi storica si può evincere che
l’aggettivo actuosa si pone come la connotazione cattolica
della partecipatio.2 Partendo infatti da una prospettiva
cristocentrica ricuperata dalla teologia contemporanea – dove
per definire il modello antropologico cristiano si usa
l’espressione “esistenziale cristico”3 – il soprannaturale si
definisce non rispetto alla natura ma in relazione a Gesù
Cristo. Perciò, mentre il soprannaturale era definito dalla
teologia post-tridentina come un elemento affiancato a un
altro, nell’attuale prospettiva viene inteso come un tutto che
include due dati: l’essere creaturale e l’essere cristico e dove
la soppressione del cristico causa l’immediata caduta del
creaturale.4
Il rapporto tra la realtà actuosa
participatio e la liturgia compromette
l’uomo nella sua totalità e cioè la sua
ontologia e l’esercizio della sua libertà.
Nell’enciclica Mediator Dei Pio XII
definisce che la partecipazione esterna
congiuntamente a quella interna (cioè
la capacità, congiunta all’intenzione, di
associare la propria esistenza a quella
di Cristo) costituisce, liturgicamente parlando, la
“partecipazione attiva” che diviene “perfetta” quando è
concomitante alla partecipazione sacramentale.5 Alla
partecipazione esterna, si ha diritto e dovere in forza del
proprio sacerdozio. Il diritto indica una realtà che appartiene
e che non può essere negata, mentre il dovere manifesta
l’accezione morale del diritto per cui l’esercizio concreto della
partecipazione esterna dovrebbe porsi – all’interno delle reali
possibilità del soggetto – come il segno visibile della
partecipazione interna. In sostanza, in quanto diritto, la
partecipazione esterna dovrebbe condurre a quella interna e
perfetta, in quanto dovere, avrebbe il compito di essere di
questa il segno storico. L’actuosa participatio si pone allora
come un fatto ontologico che per manifestarsi nell’azione
liturgica necessità di due atti autodeteminativi: la
partecipazione esterna e interna, e cioè la volontà di esserci
congiunta a quella di interagire vitalmente con il Mistero
celebrato. Ontologia e libertà entrano dunque nella
celebrazione liturgica in feconda sinergia.
Il punto di incontro tra la cultura di un popolo (la lex vivendi)
e la liturgia (la lex orandi) si pone nel contenuto della
partecipazione esterna, la quale “filtra” ciò che della cultura di
un popolo diviene patrimonio dell’azione liturgica e può quindi
godere dell’appellativo di “sacro” conducendo con la sua
bellezza e nobiltà alla partecipazione interna, e realizzando
così quella attiva (ed eventualmente quella perfetta).
I criteri usati dalla lex orandi per recepire, attraverso il
contenuto della partecipazione esterna, i dati della lex vivendi
ci sembrano essere il sensus Ecclesiae, la tradizione e la
fedeltà alla storia. Infatti il contenuto della partecipazione
esterna sarà in grado di essere patrimonio ecclesiale solo se
informato di quella ecclesialità che con il suo respiro cattolico
lo obbliga a essere vera arte, della tradizione quale locus
dove impastarsi di “sacro” (è solo nella armonica collocazione
all’interno della tradizione che l’arte è atta a godere
dell’appellativo di “sacra”) e di quel continuo e retto
rinnovamento che gli permette di essere manifestazione del
dialogo tra fede e cultura.6 Solo la fedeltà a queste tre
dimensioni permetterà alla partecipazione esterna di condurre
a quella interna, realizzando così l’actuosa participatio del
popolo di Dio alla liturgia.
Sensus Ecclesiae, tradizione e fedeltà alla storia, sono realtà
che agiscono dinamicamente mosse dal sensus fidelium del
popolo di Dio: in poche parole, la lex orandi rigetta, con il
tempo, ciò che non conduce alla partecipazione interna e
Il punto di incontro tra la lex vivendi
e la lex orandi si pone nel contenuto
della partecipazione esterna.
dunque non realizza quella attiva, o meglio, ciò che non è
ontologicamente “connaturale” all’uomo.
La lex vivendi è il “motore” che muove le altre due leges.
Infatti la vitalità creatrice del popolo di Dio, l’esigenza vissuta
di una partecipazione concreta alla vita ecclesiale entra,
attraverso la partecipazione esterna, nella lex orandi e
“spinge” su questa quasi obbligandola a farsi presente in
modo vivo e vitale. Ma la lex orandi è ciò che permette alla
lex credendi di divenire vivo patrimonio ecclesiale in quanto
solo quando la fede arriva a essere celebrata raggiunge il
DOSSIER
11
Note
popolo. Ciò significa che lo studio e l’impegno
circa la lex orandi tocca inevitabilmente la lex
credendi obbligandola ad approfondire le
istanze e le esigenze concrete di una liturgia
che vuole sempre più farsi cibo per il popolo.
Comprendiamo quindi che, di fatto, ciò che
muove la lex credendi, è – attraverso la lex
orandi – la lex vivendi. Quindi vitalità della lex
vivendi vorrà dire, in futuro, profondità e
progresso della lex credendi e, viceversa,
povertà della lex vivendi, significherà “sterilità”
della lex credendi.7
La purificazione e il retto orientamento della lex
vivendi avviene grazie alla lex orandi attraverso
la quale il popolo si nutre nella sua ordinarietà.
Per cui di fronte a un popolo povero
culturalmente, ciò che lentamente sanerà la lex
vivendi sarà appunto l’ordinaria lex orandi che
sarà in grado di incidere sulla “povera” lex
vivendi perché si avvarrà del patrimonio
accumulato e depositato nello scorrere della
storia in quel vivo deposito che si chiama
tradizione, patrimonio che appartiene alla
cattolicità della Chiesa. La prima inculturazione
di quella povera lex vivendi si chiamerà allora
“promozione culturale” che avverrà nell’entrare
in contatto e assimilare il patrimonio ecclesiale
e dunque il diventare un po’ ebrei, un po’ greci,
un po’ latini… Insomma assumere il meglio di
tutte quelle culture nel quale il cristianesimo è
fiorito. Questo è essenzialmente il vero
processo di inculturazione che è sempre e
innanzitutto promozione culturale.
Custodire e perfezionare la liturgia è dunque
agire nel cuore della Chiesa che trova nella lex
orandi il locus dove ricomprendersi e rinnovarsi
nella fedeltà all’essere sacramento universale di
salvezza.8 Ed è proprio nella Ecclesia, una,
santa, cattolica ed apostolica, che ogni uomo
può realizzare esplicitamente il suo nativo dato
esistenziale esercitando, in forza di una
connaturalità ontologica, l’actuosa participatio a
quella grande azione liturgica che è la storia la
quale, diventando salvifica, anticipa e ci conduce
nell’eternità.
Il canto gregoriano e la sua normatività
Analizzando gli interventi della Chiesa circa la
musica emerge costantemente il correggere gli
abusi con la precisa indicazione della centralità
e priorità del testo liturgico.9 I frutti artistici di
questa indicazione li troviamo nella “polifonia
classica” additata esplicitamente come modello,
1. Circa l’origine dell’espressione liturgica Actuosa participatio, cfr.
M. PALOMBELLA, Actuosa participatio. Indagine circa la sua comprensione
ecclesiale. Apporto al chiarimento dell’interazione tra lex credendi, lex orandi
e lex vivendi nei secoli XVI-XVIII = Biblioteca di scienze religiose 179 (Roma
2002), 11-14.
2. Cfr. M. PALOMBELLA, Actuosa participatio. Indagine circa la sua
comprensione ecclesiale. Apporto al chiarimento dell’interazione tra lex
credendi, lex orandi e lex vivendi nei secoli XVI-XVIII = Biblioteca di scienze
religiose 179 (LAS, Roma 2002), 43-139.
3. Rahner parla di «esistenziale soprannaturale» come di una realtà
appartenente alla struttura dell’essere umano come esistente, e aggiunge
«soprannaturale» per dire che in astratto è possibile essere uomini anche
senza essere per il Cristo (K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede.
Introduzione al concetto di cristianesimo [Roma, 31978], 174-177).
4. Vanno dunque escluse tanto una concezione estrinsecista del
soprannaturale quanto un’idea autonoma della natura: sul piano ontologico e
dell’essere concreto dell’uomo non si verificano dualismi ma soltanto
distinzioni («La teologia oggi prende di nuovo sul serio il fatto che tutto viene
creato in Cristo e per lui, e che l’universo possiede un orientamento interiore,
un desiderium naturale verso Cristo, una potentia oboedientialis che significa
soltanto, in forma negativa, non contraddittorietà alla grazia, ma ulteriore
finalizzazione» (K ASPER W., Fede e storia [Brescia, 1975], 88)). L’essere cristico
non coincide con quello creaturale ma lo include come un proprio elemento
essenziale e dunque lo deborda. Conseguentemente vivere in modo autentico
la propria umanità è continuamente l’andare oltre la propria comprensione del
reale entrando esistenzialmente nell’appello di Dio rivolto ad Abramo: «Esci
dalla tua terra» (Gn 12,1). Scrive un contemporaneo eremita francese:
«Bisognerebbe arrivare a capire ciò che la nostra vocazione di figli di Dio ha
di terribile: noi siamo chiamati a una felicità che è al di sopra della nostra
natura» (S. BONNET - B. GOULEY, Les ermites [Paris, 1980], 146).
5. Cfr. PIO XII, Mediator Dei, in AAS 39 (1947), 552-564.
6. Ciò per non cadere nella tentazione di fare del continuo archeologismo,
credendo che esista una “purezza”, una “inegualiabilità” solo in alcune forme
tipiche di precisi momenti storici in quanto, l’assolutizzazione di queste, come
la negazione radicale di quanto ci ha preceduto, sottende in fondo una
concezione della storia che pone le sue radici nel pensiero di Hegel
(cfr. J. MARITAIN, Per una filosofia della storia [Brescia, 1979], 24-36).
7. Cfr. M. PALOMBELLA, Actuosa participatio. Indagine circa la sua
comprensione ecclesiale. Apporto al chiarimento dell’interazione tra lex
credendi, lex orandi e lex vivendi nei secoli XVI-XVIII = Biblioteca di scienze
religiose 179 (Roma 2002), 170-171.
8. Cfr. A.M. TRIACCA, La perennità dell’assioma: «Ecclesia facit Liturgiam et
liturgiam facit Ecclesiam». Osmosi tra pensiero dei Padri e preghiera liturgica,
in S. FELICI (ed.), Ecclesiologia e catechesi patristica. «Sentirsi Chiesa»
= Biblioteca di Scienze religiose 46 (Roma, 1982), 255-294.
9. Per una visione panoramica circa la situazione musicale in relazione alla
liturgia prima del Concilio di Trento e degli interventi nello stesso Concilio
cfr. F. RAINOLDI, Traditio Canendi. Appunti per una storia dei riti cristiani
cantati = A. PISTOIA - A.M. TRIACCA (edd.) Biblioteca Ephemerides Liturgicae
Subsidia 106 (CLV - Edizioni Liturgiche, Roma 2000), 329-363; A.P. ERNETTI,
Storia del Canto Gregoriano (s.e., s.l., 31990), 174-223. Cfr. anche la travagliata
edizione Medicea: Graduale de Tempore iuxta Ritum Sacrosanctae Romanae
Ecclesiae. Editio Princes (1614) = M. SODI - A.M. TRIACCA (edd.) Monumenta
Studia Instrumenta Liturgica 10 (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano
2001) (cfr. l’interessante introduzione di Baroffio, pp. XI-XXXI); Graduale de
Sanctis iuxta Ritum Sacrosanctae Romanae Ecclesiae. Editio Princes (16141615) = M. SODI - A.M. TRIACCA (edd.) Monumenta Studia Instrumenta Liturgica
11 (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2001).
10. PIO X, Tra le sollecitudini, in ASS 36 (1904), 329-339.
12
insieme al canto gregoriano, nel 1903 da Pio X nel motu
proprio “Tra le sollecitudini”.10 Anche la riforma liturgica del
Concilio Vaticano II musicalmente parlando si pone nel solco
tracciato dalla tradizione e riteniamo fondamentale per una
retta comprensione del segno “suono” all’interno dell’azione
liturgica, domandarci il perché di questa costante.
La storia del “canto sacro” è storia di testi che si fanno
suono, testi sonori che, prima di ogni altra cosa, sono “Parola
celebrata”, atto liturgico. Si potrebbe addirittura affermare
che la “qualità liturgica” di un testo dipende in gran parte
dalla sua forma sonora. La Chiesa, interpellata da questo
dato, ha saputo offrire nella sua storia risposte capaci di
porre in singolare relazione i testi e la loro componente
sonora.11
Le varie tradizioni liturgico-musicali dei primi secoli, confluite
in epoca carolingia nel comune repertorio detto poi
“gregoriano”, evidenziano in modo chiaro un punto fermo: il
suono trova piena dignità nel farsi “veicolo di significato” del
testo. Cantare un testo liturgico significa, prima di ogni altra
cosa, presentarne un’esegesi. La pronuncia sonora del testo
liturgico si presenta come l’occasione, colta dalla Chiesa
orante, non tanto per fare della “buona musica”, ma
essenzialmente per “spiegare le Scritture” e a esse dar
risposta. La Parola può risuonare se viene radicata nel
significato che la tradizione esegetica
in ambito ecclesiale le ha conferito.12
Infatti, dal momento in cui un testo
risuona nel contesto liturgico è
immediatamente sottoposto a una
operazione stilistico-formale che
costituisce un’esegesi dello stesso
testo. La costante emergente dagli
interventi magisteriali circa la musica ci
pare essere, forse in modo non
pienamente tematizzato, proprio in relazione a questo
processo. Questo “segmento nobile” della tradizione
musicale, con tutti i suoi limiti storico-culturali (esattamente
come la Parola di Dio), nella sua accezione formale contiene
una normatività che è, prima di ogni altra cosa, “teologica”.13
Attraverso le successive “tropature” di natura storicoculturale e gli oculati interventi ecclesiali si è giunti alla
maturità della polifonia rinascimentale dove, una volta di più,
la forma musicale è in grado di far risuonare il testo liturgico
che è inserito ancora in una collocazione centrale, testo
sottoposto nuovamente a una operazione stilistico formale
che riconosce la sua origine nel canto gregoriano.
Il Magistero ha allora implicitamente tutelato il fatto che si dia
un professare la nostra fede non solo con un testo ma anche
con ciò che è il “farsi suono” del medesimo testo, istanza che
tra l’altro ricupera una visione unitaria della realtà dove l’arte,
il “bello” non si aggiunge all’esistere (come se ne fosse un
ornamento) ma è costitutivo dello stesso esistere. E se siamo
onesti e conseguenti non dovrebbe darsi liturgia senza
musica esattamente come l’evento Rivelazione non si è
esaurito con il solo parlare.
Questo implicito “sentire teologico” si è espresso nel corso
della storia con interventi disciplinari, con il costante richiamo
a un ritorno alle fonti, alla “purezza del canto gregoriano”
nella consapevolezza di una normatività contenuta dallo
stesso canto gregoriano, normatività non in ordine a una
accezione meramente “formale”, ma allo specifico mandato
della Chiesa che, attraverso la tradizione, spiega e attualizza
la rivelazione.
Il Concilio Vaticano II e la musica:
dalle contestazioni alle prospettive
La vicenda della musica sacra all’interno della riforma liturgica
del Concilio Vaticano II fu – e ancora in parte è – complessa e
travagliata, vicenda nella quale si possono constatare
piccolezze e meschinità frutto di comprensioni piccole e
settoriali, incapaci di cogliere l’ampiezza dell’arcata di
pensiero sottesa dalla riforma liturgica del Concilio Vaticano II.
Ancora oggi il mondo musicale “colto” continua – spesso in
forma implicita – a definire Paolo VI come il responsabile del
disastro culturale circa la musica che si è attuato con il
Concilio Vaticano II, papa nemico della polifonia, del canto
gregoriano, l’avversario del latino e colui che permise la
In Italia si è accolto e tradotto molta
produzione straniera, di diverso valore.
tragica esclusione di questa “nobile” e “sacra” lingua dal
culto divino, tradendo l’antichissima tradizione della Chiesa.
Paolo VI è così il “demonio”, il nuovo Lutero, l’“eretico”, il
“populista”, la causa prima e principale dello sbandamento
della Chiesa nella cultura moderna.14
Contemporaneamente un altro schieramento non mancava di
accusare Montini di poco coraggio nell’attuare radicali e
decise riforme che finalmente disancorassero la Chiesa da
stilemi appartenenti a un altro tempo. Bisognava porre fine in
materia musicale alla schiavitù del motu proprio di Pio X Tra
le sollecitudini (1903) che bloccava le espressioni musicali nel
contesto liturgico al solo canto gregoriano e alla sola polifonia
a cappella del XVI secolo.
Queste due fazioni in continuo contrasto e con posizioni
sempre più divergenti e arroccate – situazione per alcuni versi
ancora oggi presente e sterilmente fomentata da alcuni degli
stessi protagonisti di quel tempo – trovavano in Paolo VI il
“capro espiatorio”, colui il quale rovinosamente lasciava
cadere ogni tradizione di cultura, e insieme non concedeva
quelle giuste aperture che avrebbero reso la Chiesa capace di
reale e fecondo dialogo con la modernità.15
DOSSIER
Papa Paolo VI si trovò in un cruciale momento
nel quale bisognava raccogliere ed essere
attenti alle voci che provenivano da un lungo
cammino storico, voci che il Concilio Vaticano II
e la conseguente riforma liturgica avrebbe
potuto disattendere, deviare, o addirittura
candidamente ignorare.
L’introduzione della lingua viva nella celebrazione
liturgica non fu una questione che spuntò come
un “fungo” nel Concilio Vaticano II, ma affondava
le sue radici dall’inizio stesso del celebrare ed
era una richiesta costante da parte dei pastori
per il bene del popolo di Dio.16 Vicende estranee
allo stretto celebrare e alla pastorale connessa
con questo imposero alla Chiesa nel Concilio di
Trento il ribadire l’uso della lingua latina, che
non impedì però di affermare il contenuto
didattico della liturgia e prescrivere di renderlo
noto ai fedeli con dovuti mezzi.17
Attraverso lo storico Movimento Liturgico si
operava lentamente un processo di integrazione
dove, dalla descrizione della liturgia come
l’insieme delle leggi canoniche che regolano il
culto, si passò a definire la liturgia come il culto
pubblico e ufficiale della Chiesa, includente sia
gli elementi di istituzione divina sia quelli di
istituzione ecclesiastica, precisando che la
liturgia in quanto culto reso a Dio, è il culto di
13
11. Cfr. M. PALOMBELLA - F. RAMPI, Nova et vetera, in Armonia di Voci 59/3
(2004), 93-94.
12. Cfr. M. PALOMBELLA, Guardando il futuro, in Armonia di Voci 60/4 (2005),
137.
13. Ad esempio, si consideri l’antifona di ingresso della messa In Cena Domini
(«Nos autem gloriari oportet in cruce Domini nostri Iesu Christi, in quo est
salus, vita et resurrectio nostra, per quem salvati et liberati sumus») e quella
della messa della Domenica di Pasqua («Resurrexi, et adhuc tecum sum:
posuisti super me manum tuam: mirabilis facta est scientia tua, alleluia»):
entrambe sono in IV modo per indicare delicatamente quella assoluta
continuità esistente tra la passione, la morte e la risurrezione di Cristo (d’altra
parte, la stessa iconografia rappresenta il Signore risorto con i segni della
passione). È ancora interessante notare circa la messa dei Defunti che
l’Introito (Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis) è
in VI modo, quel modo che rappresenta in un certo senso il “riposo della
modalità”, quel modo sul quale si “appoggia” il tempo Pasquale (cfr. ad
esempio l’Antifona di Comunione «Pascha nostrum immolatus est Christus,
alleluia, itaque epulemur in azymis sinceratati et veritatis»). E sembra
interessante ancora rilevare che il Graduale della Messa dei defunti («Requiem
aeternam…») è in II modo, lo stesso del Graduale della Messa della notte di
Natale («Tecum principium…») e lo stesso del Graduale della Messa del giorno
di Pasqua («Haec dies…») quasi a indicare che l’evento della morte è la
normale conclusione di un itinerario cristologico, conclusione avvolta di luce e
non di tenebre.
14. È curioso a questo proposito leggere “tra le righe” ASSOCIAZIONE NAZIONALE
DI SANTA CECILIA - PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA (edd.), La musica sacra
nelle Chiese Crisiane. Atti del Convegno internazionale di studi. Roma, 25-27
gennaio 2001 (Bologna 2002), ma ancora più interessante sarebbe il poter
riascoltare gli interventi “liberi” fatti nell’aula del Convegno (Aula Nuova del
Sinodo, Città del Vaticano).
15. Per esempi di contestazione della Riforma Liturgica cfr. A. BUGNINI, La
Riforma Liturgica (1948-1975) (Roma 1997), 72-73; 278-301. Per le difficoltà
circa la musica cfr. A. BUGNINI, La Riforma Liturgica (1948-1975) (Roma 1997),
36-37; 853-864.
16. Per una panoramica circa la lingua volgare nell’azione liturgica cfr.
E. CATTANEO, Il culto cristiano in occidente. Note storiche (Roma 1992), 160;
171; 191; 207; 282-284.
17. «Etsii missa magnam contineat populi fidelis eruditionem, non tamen
expedire visum est patribus, ut vulgari passim lingua celebraretur.
Quamobrem, retento ubique cuiusque ecclesiae antiquo at a sancta Romana
ecclesia, omnium ecclesiarum matre et magistra, probato ritu, ne oves Christi
esuriant, neve parvuli panem petant et non sit, qui frangat eis: mandat
sancta synodus pastoribus st singulis curam animarum gerentibus, ut
frequenter inter missarum celebrationem vel per se vel per alios, ex his, quae
in missa leguntur, aliquod exponant atque inter cetera sanctissimi huius
sacrificii mysterium aliquod declarent, diebus praesertim dominicis et festis»
(CONCILIO DI TRENTO, Doctrina et canones de sanctissimo missae sacrificio, in CT
8, 961, ll. 24-31). È da notare che la decisione del concilio di mantenere l’uso
della lingua latina nella liturgia è da intendere innanzitutto come difesa del
dogma di fronte alla posizione luterana che legava l’efficacia del rito sacro
all’intelligenza, da parte dei fedeli, delle parole che lo costituiscono. Infatti nel
1523 Lutero pubblicò una traduzione della liturgia del Battesimo: Das
Taubüchlein verdeutscht (M. LUTERO, Das Taubüchlein verdeutscht [1523], in WA
12, 38-48) accompagnandola da uno scritto giustificativo dove emerge la
nozione specificatamente luterana in materia liturgica. Il Battesimo, afferma
Lutero, deve essere amministrato in lingua volgare e ciò non è solo utile ma
necessario perché la fede dei padrini e degli altri partecipanti sarà tanto più
eccitata quanto più comprenderanno ciò che accade. Appare chiaro che in
Lutero la dottrina riassunta nelle parole «ex opere operato» («Si quis dixerit,
per ipsa novae legis sacramenta ex opere operato non conferri gratiam, sed
solam fidem divinae promissionis ad gratiam consequendam sufficere
14
tutto il Corpo Mistico di Cristo, capo e membra.
Pio XII con l’enciclica Mystici corporis del 1943, unendo in un
quadro teologico ben articolato l’aspetto visibile e societario
della Chiesa con quello invisibile e spirituale, preparò il
terreno alle idee che ebbero grande sviluppo nella successiva
enciclica Mediator Dei (1946) che fece il punto di anni di
ricerche e di esperienze in campo liturgico. Essa precisò
concetti, corresse sviamenti, denunciò estremismi, disciplinò
le varie tendenze, stimolò gli sforzi congiunti di
investigazione, di studio e di realizzazioni e mise in rilievo le
realtà dello sviluppo delle forme e dei
testi liturgici, avviando la fase di
rinnovamento della liturgia.
Durante il primo decennio del
pontificato di Pio XII il Movimento
Liturgico focalizzò l’attenzione
sull’aspetto pastorale della liturgia,
orientato a rendere questa intelligibile
a livello del popolo per condurlo a una
maggiore consapevolezza di vita
cristiana.18
Tra le riforme di particolare rilievo volute da Pio XII vi è
l’instaurazione della Veglia Pasquale come vera celebrazione
della risurrezione del Signore;19 la riforma della settimana
Santa;20 la mitigazione delle leggi sul digiuno eucaristico e
l’autorizzazione agli Ordinari del luogo di permettere la
celebrazione delle messe vespertine;21 le facilitazioni a
parecchi paesi d’Europa e America circa l’uso delle lingue vive
nell’amministrazione dei sacramenti;22 la semplificazione delle
rubriche;23 le direttive per un adattamento e un rinnovamento
della musica sacra;24 le norme della Sacra Congregazione dei
Riti sulla musica sacra e sulla liturgia per realizzare nel
miglior modo, insieme al decoro delle sacre funzioni, anche la
più viva e consapevole partecipazione dei fedeli alla Santa
Messa.25
Il movente di queste riforme è da ricercarsi in una profonda
ansia di sollecitudine pastorale che mirava a rendere più viva
e vitale la liturgia per il popolo, colmando il distacco tra altare
e fedeli.
Si era attuata la presa di coscienza della necessità di una
seria e organica riforma della liturgia. Alla creazione di questa
consapevolezza contribuirono in sinergia le direttive della
Sede Apostolica, la ricca produzione sulla liturgia, le
settimane liturgiche nazionali, le settimane nazionali di
liturgia pastorale, i corsi di metodologia e di aggiornamento
per i professori di liturgia, le lettere pastorali di parecchi
vescovi, l’attività dei centri liturgici nazionali. Una particolare
attenzione meritano i congressi liturgici internazionali, che
furono punto di incontro degli studiosi di liturgia nei suoi
diversi rami e specialità.
Tutto il lavoro giunse a coronamento con il Concilio Vaticano II
nella costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium. Quelli che
una volta erano piani audacissimi, si vedono realizzati sotto la
suprema autorità della Chiesa; propositi e mete che un lungo
cammino di riforma si era prefissato, che l’illuminismo aveva
inseguito e che il Movimento Liturgico aveva lentamente e
con grande moderazione preparato, divennero realtà di valore
decisivo per tutta la Chiesa.
Questa fu l’eredità che arrivò a papa Montini, quella di
un’idea più completa di liturgia e di come essa, in conformità
a questa migliore conoscenza che se ne ha, debba trovare la
forma che più le si addice nella cultura attuale. Dal papa
dipendeva il trasformare in realtà, attraverso la concreta
attuazione delle istanze della Sacrosanctum Concilium,
quanto la Chiesa da tempo sentiva e desiderava.
Custodire e perfezionare la liturgia
è dunque agire nel cuore della Chiesa.
La musica andava colta all’interno di questa dinamica alla
quale purtroppo era estranea la cultura musicale, anche – e
soprattutto – quella che operava dentro la Chiesa. Non si
trattava di lasciare cose vecchie senza più valore, non si
trattava neanche di inventare dal nulla nuove prassi musicali,
ma di ricomprendere il tutto all’interno di un’ecclesiologia
capace di cogliere il valore, la cultura e la professionalità di
una grande tradizione insieme alle inalienabili sfide dell’oggi.
Paolo VI apportò un sostanziale contributo alla stesura del
travagliato documento Musicam Sacram26 nella
preoccupazione di tutelare la fonte musicale della Chiesa e la
sua normatività – il gregoriano e la polifonia – ma insieme di
realizzare l’apertura alla sfida dell’incarnazione nello specifico
cattolico dell’uomo capax Dei. Cultura, lingua viva, “umano”,
storia sono allora istanze che doverosamente devono entrare
DOSSIER
nel culto non solo con funzione “didattica”
– così come accadde con la vicenda Luterana27
– ma perché costitutivamente legate all’essere
stesso della liturgia con il superamento di ogni
ideologico “sacro” e “profano”.
La contestazione, la levata di scudi da parte del
mondo “colto” musicale fu proprio per non aver
compreso la grande opportunità che era aperta
davanti a loro. La lingua vernacola implicava
finalmente il vivo coinvolgimento di coloro che,
con gli stilemi propri di una precisa lingua e
cultura, potevano finalmente esprimere il
sentire religioso di un popolo. I musicisti
potevano impiegare la loro professionalità e
fantasia, normati da una fonte “liberante” e
all’interno di una precisa cultura, e tutto ciò
diveniva finalmente parte stessa del celebrare e
non solo elemento periferico e secondario.
La sfida non fu colta in pienezza e ci siamo così
ritrovati – almeno in Italia – le chiese spesso
risuonanti di mediocre cultura disancorata dalle
fonti e non dialogante con la modernità.
E questo principalmente a causa di coloro che
– legati a interpretazioni storicistiche del
divenire le quali, o applicano lo schema
dialettico tesi-antitesi-sintesi o, al contrario,
applicano universalmente l’unico paradigma
dell’inesorabile progresso a ogni cambiamento
– inconsciamente hanno ritenuto il non esistere
più “arte” ma solo continua “ripetizione”, o, al
contrario, che ogni realizzazione successiva sia
da considerarsi necessariamente migliore della
precedente per il solo fatto di venire dopo.
Si sono codificati così gli atteggiamenti del
rimpiangere il passato rifiutando ogni sfida, o
del negarlo violentemente nell’illusione che oggi
certe cose non servano più. Entrambi gli
orientamenti affondano le loro radici in una
comune visione della realtà radicalmente
incompatibile con il fatto cristiano. Sono quegli
stilemi che oggi usiamo chiamare, mutuando
delle ormai inadeguate categorie politiche, di
“destra” o di “sinistra”, atteggiamenti che di
fatto non producono cultura e non costruiscono
la storia illudendosi – nel grande inganno
nominalista – che lo sterile parlare e protestare
cambi la realtà.
Per quanto si accusi Paolo VI di non aver
tutelato nulla della cultura musicale nella
liturgia, esistono però alcuni dati che
concretamente dicono l’opposto, e
rappresentano ancora oggi un’inalienabile sfida.
Nella musica scritta per la Cappella Sistina dal
1956 al 1996 – gli anni nei quali fu maestro di
cappella Domenico Bartolucci succedendo a
15
anathema sit» [CONCILIO DI TRENTO, Canones de sacramentis in genere, in CT 5,
995, ll. 25-26]) viene a vanificarsi. Si veda a questo proposito H. SCHMIDT,
Liturgie et langue vulgaire. Le problème de la langue liturgique chez les
premiers Réformateurs et au Concile de Trente = Analecta Gregoriana 53
(Romae 1950), 169-197.
18. Sotto l’impulso della istanza pastorale si fecero sentire più vive le
richieste di riforme e l’episcopato incominciò a interessarsi a vasto raggio del
Movimento Liturgico. In Italia sorse il Centro di Azione Liturgica (CAL) e in
Europa Istituti Liturgici di chiaro indirizzo pastorale.
19. Cfr. SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, De solemni Vigilia Paschali instauranda,
in AAS 43 (1951), 128-137; SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, De facultativa
celebratione instauratae Vigiliae Paschalis ad triennium prorogata additis
ordinationibus et rubricarum variationibus, in AAS 44 (1952), 48-63.
20. Cfr. SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Liturgicus Hebdomadae Sanctae ordo
instauratur, in AAS 47 (1955), 838-857; SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI,
Ordinationes et declarationes circa ordinem Hebdomadae Sanctae
instauratum, in AAS 49 (1957), 91-95.
21. Cfr. PIO XII, De disciplina servanda quoad ieiunium Eucharisticum, in AAS
45 (1953), 15-24; PIO XII, Indulta a Costitutione Apostolica «Christus Dominus»
extenduntur, in AAS 49 (1957), 177-178.
22. Cfr. P.M. GERLIER, I rituali bilingui e la pastorale dei sacramenti, in La
restaurazione liturgica nell’opera di Pio XII. Atti del primo congresso
internazionale di liturgia e pastorale, Assisi-Roma 18-22 settembre 1956
(Genova 1957), 65-76.
23. Cfr. SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, De rubricis ad simpliciorem formam
redigendis, in AAS 47 (1955), 218-224.
24. Cfr. SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, De musicae sacrae disciplina, in AAS 48
(1956), 5-25.
25. Cfr. SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, De musica sacra et sacra Liturgia ad
mentem litterarum encyclicarum Pii Papae XII «Musicae sacrae disciplina» et
«Mediator Dei», in AAS 50 (1958), 630-663.
26. Ricevuto il decimo schema, il papa volle avere una visione chiara dei
diversi punti di vista, e pregò i musicisti di collezionare un testo unico con le
loro varianti e la giustificazione delle divergenze. Portò con sé a
Castelgandolfo per i mesi estivi il duplice schema, del Consilium e dei
musicisti, e provò egli stesso a mettere insieme un unico testo, prendendo
ora dall’uno ora dall’altro schema il “pezzo” migliore, e annotando le sue
riflessioni. A volte mitigava le espressioni con un quantum fieri potest, altre
volte spezzava un paragrafo in due, assai spesso picchettava il testo di
interrogativi. Ogni volta che nella colonna dei musicisti trovava la parola
«omesso», annotava: «perché?», oppure «può rimanere», o «si può omettere».
Quando i testi erano identici, scriveva «idem». Il che fa vedere con quanta
attenzione avesse letto tutto, perché non di rado le differenze tra i due testi
erano impercettibili e, a una lettura svelta, sarebbero sfuggite.
Il 21 novembre 1966 mandò il lavoro al Consilium, con preghiera di ricucire il
testo secondo le indicazioni segnate a lato. Quel lavoro forzato di collazione
dei testi doveva aver messo il papa a contatto profondo con il documento,
perché vi accennò nel discorso ai membri del Consilium, il 13 ottobre 1966:
«Vi sono questioni di grande rilievo… che richiederanno grande riflessione
anche da parte Nostra. Una di queste è quella riguardante la musica sacra,
oggetto di tanto interesse, sia da parte dei liturgisti, che da parte dei cultori
della musica. È questione meritevole di grande studio, che si prolungherà
certamente a mano a mano che l’esperienza pastorale da un lato, il genio
musicale dall’altro continueranno il loro dialogo, che Noi auguriamo
amichevole e fecondo. L’Istruzione, che deve disciplinare l’accordo fra liturgia
e musica, faciliterà la buona intesa e ristabilirà, Noi speriamo, una buona
collaborazione fra queste due voci sublimi dello spirito umano, la preghiera e
l’arte. Noi teniamo qui a ricordare quanto la Costituzione conciliare
Sacrosanctum Concilium ha stabilito in proposito, in onore sia della liturgia
che della musica (n. 39, 44, 112, 114, 115, 116, 120, 121), solo rilevando che il
carattere pastorale e comunitario del rinnovamento liturgico, voluto dal
16
Concilio, domanda alla musica e al canto sacro di rivedere e di
perfezionare i suoi rapporti con lo svolgimento del sacro rito, quale
oggi ha da essere, e offre all’una e all’altro l’occasione e l’invito a
conseguire nel campo dell’arte e della religione nuovi meriti e nuova
gloria: “Musica sacra tanto sanctior erit quanto arctius cum actione
liturgica connectetur”» (n. 112).
Dopo una nuova revisione, anche stilistica, il dodicesimo schema era
presentato al papa il 9 febbraio 1967. Lo si potè pubblicare il 5 marzo
1967, domenica quarta di quaresima, Laetare. Esso fu presentato alla
stampa dal segretario del Consilium, affiancato dal P.J. López Calo,
che si era distinto negli anni precedenti nella campagna contro la
Costituzione sulla musica sacra. Quella conferenza stampa, del 4
marzo, vide altre poco liete scene di contestazione, soprattutto da
parte di mons. Virgili, maestro della Cappella Pontificia di S. Giovanni
in Laterano, il quale si faceva promotore di un dibattito nella stessa
sala stampa della Santa Sede, la sera del 6 marzo, per attaccare il
documento appena pubblicato. Gli si affiancarono i principali giornali
romani di ispirazione laica, che si scagliarono contro questo nuovo
attentato alla tradizione, naturalmente con concetti distorti, che
travisavano il senso dell’Istruzione. Fu l’ultimo atto di una serie di
amarezze che hanno accompagnato la preparazione del documento,
ma che furono il prezzo necessario da pagare per il bene della
Chiesa. Infatti l’Istruzione rimane uno dei documenti più validi della
Riforma: ha aperto la strada al cammino degli anni successivi, al
quale ha dato equilibrate linee direttive, in sintonia con lo spirito della
Costituzione e del genuino rinnovamento della liturgia (cfr. A. BUGNINI,
La Riforma Liturgica [1948-1975] [Roma 1997], 875-877).
27. Per un approfondimento circa la questione liturgica in Lutero cfr.
M. PALOMBELLA, Actuosa Participatio. Indagine circa la sua
comprensione ecclesiale. Apporto al chiarimento dell’interazione tra
lex credendi, lex orandi e lex vivendi nei secoli XVI-XVII (Roma 2002),
54-71.
28. Cfr. D. BARTOLUCCI, Messe. Alternate al Canto Gregoriano (Edizioni
Cappella Sistina, Roma 1992) 67-93. Il dato della richiesta di Paolo VI
compare nella prefazione del volume. È interessante constatare come
tutte le magnifiche messe scritte dal Maestro vennero alla luce in
forza della riforma liturgica e per venire incontro alle istanze dettate
dalla medesima.
29. «Omnia habemus in Christo, omnia nobis est Christus. Si vulnus
curare desideras, medicus est; si febribus aestuas, fons est; Si
gravaris iniquitate, iustitia est; si auxilio índiges, virtus est. Omnia
habemus in Christo, omnia nobis est Christus. Si mortem times, vita
est; si coelum desideras, via est; si tenebras fugis, lux est; si cibum
quaeris, alimentum est. Omnia habemus in Christo, omnia nobis est
Christus. Gustate et videte, quoniam suavis est Dominus. Beatus vir
qui sperat in eo» (cfr. D. BARTOLUCCI, Quarto Libro dei Mottetti
[Edizioni Cappella Sistina, Roma 1987], 88-99).
30. Cfr. D. BARTOLUCCI, Inni (Edizioni Cappella Sistina, Roma, 1993),
138-143. È interessante notare come tutti gli inni presenti nel volume
presentano l’alternanza tra schola e assemblea, prassi antica (a
questo proposito cfr. GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA, Le messe di
Mantova = R. CASIMIRI [ed.], Le opere complete di Giovanni Pierluigi
Palestrina, XVIII-XIX [Roma 1954]) ma non tematizzata all’interno di una
teologia così come fece la riforma liturgica del Concilio Vaticano II.
31. Cfr. ad esempio: Quinto libro dei Mottetti (1985); Quinto libro
delle Messe (1998); Quarto libro dei Mottetti (1987) ecc.
Lorenzo Perosi – troviamo che proprio papa
Montini chiese a Bartolucci di comporre una Messa
“De Angelis” a 6 voci dove schola e assemblea si
alternano, messa che fu eseguita alla celebrazione
di apertura della Porta Santa nell’anno giubilare
del 1975.28
Nel quarto libro dei mottetti troviamo che l’Omnia
Habemus in Christo – mottetto a 8 voci con solista
per la ricorrenza di sant’Ambrogio – fu composto
su testo proposto dallo stesso papa Paolo VI.29
In ultimo, l’inno Coelestis Urbs Jerusalem fu
composto e cantato processionalmente per
l’apertura della Porta Santa sempre nell’anno 1975
e presenta l’alternanza tra assemblea e Schola
secondo le istanze della riforma liturgica.30
Sebbene il maestro Bartolucci non abbia perso
occasione nelle prefazioni alla sua opera omnia31 di
accusare la riforma liturgica – e implicitamente
papa Montini – di aver privato la Chiesa del grande
patrimonio della musica sacra, bisogna
onestamente riconoscere che, oggi, le uniche
composizioni che continuiamo a cantare del
maestro sono proprio quelle composte su richiesta
di Paolo VI per ottemperare le istanze della riforma
liturgica, composizioni radicate e normate dalla
fonte musicale della Chiesa, dove mirabilmente
esiste la nozione di “ministerialità”, dove la Schola
non è mortificata ma agisce in perfetta sinergia
con l’assemblea chiamata a esercitare la propria
specifica ministerialità nell’azione liturgica,
composizioni oggi da additare come grande
esempio di ciò che avrebbe dovuto essere nella
sua attuazione musicale la riforma liturgica.
Conclusione
La riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II si
pone, anche per la musica, prima di ogni altra cosa
come una sfida di cultura. Occorre conoscere le
fonti, dialogare con la cultura contemporanea,
abbandonare stilemi ideologici che coartano la
nostra comprensione della realtà, uscire dal sottile
inganno che tutto sia un problema esclusivamente
“pastorale” e ritornare a comprendere che l’arte, la
musica “dice” la teologia, codifica plasticamente la
nostra comprensione del Mistero rivelato. La
povertà e banalità dell’arte destinata alla liturgia è
il segno evidente della debolezza del nostro
pensare la fede.
DOSSIER
17
LE INDICAZIONI DELLA CHIESA POSTCONCILIARE
IN MATERIA DI MUSICA SACRA
di Walter Marzilli
L’argomento è molto simile a quello che mi fu affidato per un
intervento da fare all’interno del congresso internazionale
celebrato nel 2011 in occasione del centenario del Pontificio
Istituto di Musica Sacra. Per questo motivo l’elencazione degli
articoli relativi ai documenti della chiesa non può che essere
la stessa. Però adesso vorrei impostare questo scritto sotto
forma di un improbabile e scherzoso dialogo tra un
compassato monsignore in abito talare e uno scanzonato
rocker romano dei nostri tempi, nemmeno tanto informato
sulle cose di chiesa. Il primo cita con fare accademico e tanto
di note i documenti e gli articoli, l’altro risponde a modo suo…
M. Vorrei iniziare mettendo subito il dito su ciò che la Chiesa
dice su due importanti necessità che sono strettamente
collegate con l’essenza della musica sacra: la conservazione
del patrimonio della musica sacra e la formazione alla musica
sacra stessa. Ma mi stai ad ascoltare?
R. Certo, scusa, stavo taggando un amico su FB. Ecco, ho
finito…
M. Guarda che dovrò citare un sacco di articoli e di leggi. Poi
io mi conosco: sono un tipo pignolo, e quando si tratta di
musica sacra mi piace fare le cose sul serio, con metodo
scientifico…
R. Vai tranquillo. Casomai accendo l’ipod…!
1. Il patrimonio della musica sacra
M.
Allora posso iniziare. Ascolta bene… SC 112: «La tradizione
musicale di tutta la chiesa costituisce un tesoro di
inestimabile valore, che eccelle tra le altre espressioni
dell’arte, specialmente per il fatto che il canto sacro, unito
alle parole, è parte necessaria e integrale della liturgia
solenne».1
R. In parole più semplici significa che fate male a toglierlo
dalle messe, questo «tesoro di inestimabile valore». Non
guardarmi così male…; anche se ho il chiodo, le borchie e i
piercing non mi verrebbe mai in mente di buttare la Gioconda
negli scantinati del Louvre… Non credere, nonostante il mio
aspetto da rockettaro, ho un animo ragionevole… Ma dimmi,
cosa vuol dire SC?
M. Ma non hai visto che ho specificato le abbreviazioni? Vuol
dire “Sacrosanctum Concilium”, ed è il documento più
importante della Chiesa negli ultimi cinquant’anni!
R. Mah, io ho fatto l’abbonamento alla rivista Rolling Stones e
so tutto del Rock! Ma vai avanti…
M. SC 114: «Si conservi e si alimenti con somma cura il
patrimonio della musica sacra».
R. Hai voglia a citare gli articoli… il nostro rock ha invaso il
mondo, caro mio…
M. SC 121: «I musicisti, animati da spirito cristiano, sentano di
essere chiamati a coltivare la musica sacra e ad accrescere il
suo patrimonio».
R. Ma che stai a di’? Se nemmeno li pagate, i vostri
musicisti…
M. MS 52: «Per conservare il patrimonio della musica sacra e
per favorire debitamente le nuove forme di canto sacro, si
curi molto la formazione e la pratica musicale nei seminari,
nei noviziati dei religiosi e delle religiose e negli studentati
[…], specialmente presso gli Istituti superiori creati a questo
scopo».2
R. A me sembra che sono anni e anni che non lo fate più…
M. Si dice “siano”, caro mio, siano, e non “sono”. Ci vuole il
congiuntivo…
2. La formazione alla musica sacra
M. SC
115: «Si curi molto la formazione e la pratica musicale
nei seminari, nei noviziati dei religiosi e delle religiose e negli
studentati[…]».3
R. Guarda che l’hai appena detto… Stai invecchiando, eh…?
M. MS 4b: «Sotto la denominazione di Musica sacra4 si
comprende, in questo documento: il canto gregoriano, la
polifonia sacra antica e moderna nei suoi diversi generi, la
musica sacra per organo e altri strumenti legittimamente
ammessi nella liturgia,5 e il canto popolare sacro, cioè
liturgico e religioso».
Abbreviazioni
AAS:
CHIR:
Acta Apostolicae Sedis, 1964, 1967
Chirografo ‘Mosso dal vivo desiderio’, Giovanni
Paolo II, 2003
EV:
Enchiridion Vaticanum, I, 92; II, 269; II 1013
IGMR: Institutio Generalis Missalis Romani
IO:
Inter Oecumenici, 1964
M:
Monsignore…
MS:
Instructio Musicam Sacram, 1967
R:
Rokkettaro…
SC:
Sacrosanctum Concilium, Cap. VI, 1963
18
R. Lo vedi che ho ragione io a suonare la chitarra e il pop?
L’hai detto tu: «…altri strumenti legittimamente ammessi nella
liturgia, e il canto popolare…».
M. Idem: «Per raggiungere questa formazione si preparino
con sollecitudine i maestri destinati all’insegnamento della
musica sacra.6 Si raccomanda, inoltre, se sarà opportuno,
l’erezione di istituti superiori di musica sacra».
R. Esagerato… Noi sì che abbiamo chiamato i maestri! Hai
visto in tv Amici, X Factor, The Voice?!
M. MS 25: «Ad assicurare più facilmente questa formazione
tecnica e spirituale,7 prestino la loro opera le associazioni
diocesane, nazionali e internazionali di musica sacra».
R. Chiama, chiama a raccolta i tuoi amici… hai paura, eh?
M. MS 52: «Si curi molto la formazione e la pratica musicale
nei seminari, nei noviziati dei religiosi e delle religiose e negli
studentati, […] specialmente presso gli Istituti superiori creati
a questo scopo».
R. Aho! Ma che fai, lo ridici? Allora è vero che stai
invecchiando!?
3. Il canto gregoriano
M. SC
116: «La chiesa riconosce il canto gregoriano come
proprio della liturgia romana: perciò, nelle azioni liturgiche, a
parità di condizioni, gli si riservi il posto principale».
R. Bella zio! Ti dico solo che questo…
M. MS 50: «Nelle azioni liturgiche in canto celebrate in lingua
latina: a) Al canto gregoriano, come canto proprio della
liturgia romana, si riservi, a parità di condizioni, il primo
posto».
R. Ari-Bella zio!
M. MS 52: «Si incrementi prima di tutto lo studio e l’uso del
canto gregoriano che, per le sue caratteristiche, è una base
importante nella educazione alla musica sacra».
R. E Carlos Santana dove lo metti? E i Led Zeppelin?
M. CHIR 7: «Tra le espressioni musicali che maggiormente
rispondono alle qualità richieste dalla nozione di musica
sacra, specie di quella liturgica, un posto particolare occupa il
canto gregoriano. Il Concilio Vaticano II lo riconosce come
canto proprio della liturgia romana […]. Il canto gregoriano
pertanto continua ad essere anche oggi elemento di unità
nella liturgia romana».
R. Aridaje con questo canto gregoriano. Lo vuoi capire che
non se lo fila più nessuno?!
M. Idem: «La Chiesa […] tuttora lo propone ai fedeli come suo,
considerandolo come il ‘supremo modello della musica
sacra’».8
R. Sei il solito esagerato…
4. La composizione
M. SC 121: «I musicisti […] compongano melodie che abbiano
le caratteristiche della vera musica sacra e che non solo
possano essere cantate dalle maggiori ‘scholae cantorum’,
ma convengano anche alle ‘scholae’ minori, e favoriscano la
partecipazione attiva di tutta l’assemblea dei fedeli».9
R. Quando suono io: allora sì, che la gente risponde…!
M. MS 59: «I compositori si accingano alla nuova opera con
l’impegno di continuare quella tradizione che ha donato alla
chiesa un vero patrimonio per il culto divino. Studino le opere
del passato, i loro generi e le loro caratteristiche, ma
considerino attentamente anche le nuove leggi e le nuove
esigenze della sacra liturgia, cosicché ‘le nuove forme
scaturiscano in maniera, per così dire, organica da quelle già
esistenti’».10
R. Troppo complicato. Mi sembravano già troppo cervellotici i
Pink Floyd…
M. MS 60: «Le nuove melodie per i testi in lingua volgare
hanno certamente bisogno di un periodo di esperienza per
poter raggiungere sufficiente maturità e perfezione. Tuttavia
si deve evitare che, anche soltanto a scopo di esperimento, si
facciano nelle chiese tentativi disdicevoli alla santità del
luogo, alla dignità dell’azione liturgica e alla pietà dei fedeli».
R. Mica tirerai di nuovo in ballo quelle vecchie storie di
DOSSIER
quando ti ho preso il microfono e ho chiesto un applauso
dopo l’assolo di chitarra!? E quando mi sono messo a firmare
autografi alla gente in fila per la comunione!?!
M. CHIR 12: «So bene che anche oggi non mancano
compositori capaci di offrire […] il loro indispensabile apporto
e la loro competente collaborazione per incrementare il
patrimonio della musica a servizio di una Liturgia sempre più
intensamente vissuta. Ad essi va l’espressione della mia
fiducia, unita all’esortazione più cordiale perché pongano
ogni impegno nell’accrescere il repertorio di composizioni che
siano degne dell’altezza dei misteri celebrati e, al tempo
stesso, adatte alla sensibilità odierna».
R. Ecco, hai detto bene: la sensibilità moderna. Cioè, la mia!
5. La direzione di coro, il canto, la polifonia
M. SC
113: «L’azione liturgica assume una forma più nobile
quando i divini uffici sono celebrati solennemente in canto».
R. …E lo dici a me?! Domenica ho fatto cantare tutti a suon di
“Oooh-oh-oh-oh-oh-oooh-oooh” come allo stadio!
M. SC 114: «Si promuovano con impegno le ‘scholae
cantorum’ specialmente presso le chiese cattedrali».11
R. Hai ragione, tanti anni fa c’era un complesso che si
chiamava proprio così, Schola Cantorum. Erano di Roma, tutti
capelloni pure loro. Hanno inciso qualche disco, ma poi sono
spariti dalla scena…
M. SC 116: «Gli altri generi della musica sacra (oltre al canto
gregoriano, n.d.r.), e specialmente la polifonia, non si
escludono affatto nella celebrazione degli uffici divini, purché
rispondano allo spirito dell’azione liturgica, a norma
dell’articolo 30».12
R. E che è quest’articolo 30?! Basta che non proibisce il Rock!
M. “Proibisca”, caro fratello, proibisca: ci vuole
il congiuntivo anche qui…
R. Ma vuoi finirla di correggermi?! Tra noi si
parla così!
M. Ma l’italiano è l’italiano!
R. …e il Rokkettano è il Rokkettano! Tiè!
M. “Non ce la farò mai” – pensò il
Monsignore, e continuò – CHIR 7: È presente la
stessa citazione: «Come già San Pio X, anche
il Concilio Vaticano II riconosce che ‘gli altri generi di musica
sacra, e specialmente la polifonia, non vanno esclusi affatto
dalla celebrazione degli uffici divini’».13
R. Insisti con questa polifonia. Stai a vedere che è colpa mia
se è sparita… Ma poi, dimmi un po’: il tuo congiuntivo non ci
vorrebbe anche a “vadano”?
M. Io cito gli articoli in modo esatto, caro mio… MS 7:
«Tuttavia nello scegliere le parti da cantarsi si cominci da
quelle che per loro natura sono di maggiore importanza:
prima di tutto quelle spettanti al sacerdote e ai ministri».
R. Finalmente hai detto una cosa giusta! Ma perché non
cantate mai!?
M. Fosse per me lo farei. Tanti anni fa cantavo sempre… IGMR
19
19 (molto simile al precedente MS 7): «Tuttavia, nella scelta
delle parti da cantare, si dia la preferenza a quelle di maggior
importanza, e soprattutto a quelle che devono essere cantate
dal sacerdote o dai ministri».
R. Ci sei ricascato: hai già detto pure questo. Ma perché non
prendi qualche pasticca?! Ma che hai capito: di fosforo!
M. Ma guarda che gli articoli, anche se sono simili,
appartengono a documenti diversi, e si rinforzano l’un l’altro.
Non pensare che io sia rimbambito, anche se sono vecchio…
R. Dai, non ti offendere; continua. A ogni modo… complimenti
per il congiuntivo…
M. MS 13: «Hanno un posto particolare, […] per l’ufficio che
svolgono, […] i membri della schola cantorum».
R. Ariecco la Schola Cantorum. Lo vuoi capire che si sono
sciolti nel 1980?
M. MS 18: «Tra i fedeli siano istruiti con speciale cura nel canto
sacro i membri delle associazioni religiose di laici […]».
R. Che è? Un complesso nuovo?
M. Idem: «La formazione di tutti i fedeli al canto sia promossa
con zelo e pazienza, insieme alla formazione liturgica».
R. Io sto a posto: ho fatto il catechismo e pure la prima
comunione!
M. MS 19: «È degno di particolare attenzione, per il servizio
liturgico che svolge, il ‘coro’ o ‘cappella musicale’ o ‘schola
cantorum’. In seguito alle norme conciliari riguardanti la
riforma liturgica, il suo compito è divenuto di ancor maggiore
rilievo e importanza».14
R. “…!”
M. MS 19a: «Si abbia e si promuova con cura specialmente
nelle grandi cattedrali e altre chiese maggiori, nei seminari e
negli studentati religiosi, un coro o una cappella musicale o
una ‘schola cantorum’».15
R. “…!?”
La tradizione musicale di tutta
la Chiesa costituisce un tesoro
di inestimabile valore.
M. MS
19b: «È opportuno istituire anche presso le chiese
minori identiche ‘scholae’, benché modeste».16
R. Hai visto? Finora sono stato zitto, ma ora te lo dico: magari
non sarai rimbambito, ma sei di sicuro ripetitivo!
M. MS 20: «Le cappelle musicali già esistenti presso le
basiliche, le cattedrali, i monasteri e altre chiese maggiori, e
che nel corso dei secoli si sono acquistate grandi meriti,
custodendo e sviluppando un patrimonio di inestimabile
valore, si conservino […]».
R. Giusto: si conservino… ma sottovuoto!!
M. IGMR 19: «Nelle celebrazioni si dia quindi grande spazio al
canto […]».
R. Hai ragione anche qui! E poi ho sentito che anche a voi
20
hanno una propria tradizione musicale, specialmente nelle
missioni, esige una particolare preparazione da parte dei periti».
R. Ecco, lo sapevo, li hai mandati in missione e sono periti!
Però un po’ mi dispiace...
M. A volte penso che era meglio se accendevi l’ipod…
R. Non ho capito.
M. Ecco, appunto… Idem: «Coloro che si dedicano a
quest’opera devono avere una sufficiente cognizione sia della
liturgia e della tradizione musicale della chiesa, sia della
lingua, del canto popolare e delle espressioni caratteristiche
dei popoli in favore dei quali prestano la loro opera».
R. Ah, ma allora cercate un tuttologo! In televisione ce ne
sono tanti, chiamate uno di loro!
M. CHIR 6 (citando S. Pio X): «Pur concedendosi ad ogni
nazione di ammettere nelle composizioni chiesastiche quelle
forme particolari che costituiscono in certo modo il carattere
specifico della musica loro propria, […] nessuno di altra
nazione nell’udirle debba provarne impressione non buona».17
R. Qui ci vorrebbe proprio uno bravo per capirti...
piacciono Simon & Garfunkel; ma non sono un po’ fuori
moda, zio!? A proposito, ma perché avete cambiato le parole?
“Hello darkness, my old friend” non vi piacevano…?
M. IGMR 63: «Tra i fedeli esercita un proprio ufficio liturgico la
schola cantorum […]».
R. Vedo che insisti con la Schola Cantorum. Allora, adesso ti
racconto la loro storia: c’era una volta un complesso che si
chiamava Schola Cantorum. Le canzoni gliele scriveva Sergio
Rendine, il figlio di quello che aveva scritto La Panzé. C’era
pure la nipote di Cocciante che cantava, insieme a Aldo
Donati. Nel 1975 incisero il primo LP e…
M. Lascia stare, basta così, è un’altra cosa… IGMR 67: «Per
compiere convenientemente il suo ufficio, il salmista deve
essere esperto nell’arte di salmodiare […]».
R. Non ho capito: che c’entra il salmista nel suo ufficio?
M. Lascia perdere, è troppo complicato da spiegarti… IGMR
274: «La schola cantorum […] svolge un suo particolare
ufficio; deve quindi essere agevolato il compimento del suo
ministero liturgico […]».
R. …E basta con questa storia della Schola Cantorum! L’hai
detto pure tu!
M. Va bene, basta. Ora ti parlo di altro…
6. La musicologia e l’etnomusicologia
M. SC 119: «In alcune regioni, specialmente nelle missioni, si
trovano popoli con una propria tradizione musicale, la quale
ha grande importanza nella loro vita religiosa e sociale. […]
Perciò, nella formazione musicale dei missionari, si procuri
diligentemente che, per quanto possibile, essi siano in grado
di promuovere la musica tradizionale di quei popoli, tanto
nelle scuole, quanto nelle azioni sacre».
R. Quando parli così difficile mi metti quasi soggezione…
M. MS 61: «L’adattamento della musica sacra nelle regioni che
7. L’organo
M. SC 120: «Nella chiesa latina si abbia in grande onore
l’organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui
suono è in grado di aggiungere notevole splendore alle
cerimonie della chiesa, e di elevare potentemente gli animi a
Dio e alle cose celesti».
R. L’organo a che…!?! Ma che dici?!
M. MS 60: riprende e cita esattamente il precedente articolo SC
120.
R. Stavolta te lo sei detto da solo che è una ripetizione… Vedi
che ho ragione?
M. IGMR 63: «Quello che si dice della schola cantorum (il
riconoscimento del proprio ufficio liturgico, n.d.r.) vale anche,
con gli opportuni adattamenti, per gli altri musicisti,
specialmente per l’organista».
R. Chissà come sarà contento John Lord…
M. E chi è?
R. Ma come chi è!? L’organista dei Deep Purple!
M. CHIR 14 (parlando di S. Pio X e del suo Motu Proprio): «Tra
essi (gli strumenti musicali, n.d.r.) riconosce senza esitazione
la prevalenza dell’organo a canne […]».
R. Mah, sarà…! A ogni modo io non cambierei il nostro organo
Hammond con nessun altro!
8. La formazione liturgica
M. SC 114: «Ai musicisti, ai cantori e, in primo luogo ai
fanciulli, si dia anche una genuina formazione liturgica».
R. “…!”
M. MS 18: «La formazione di tutti i fedeli al canto sia
promossa con zelo e pazienza, insieme alla formazione
liturgica […]».18
DOSSIER
21
Note
R.
“…?”
24: «Oltre alla formazione musicale, si dia ai membri delle ‘scholae
cantorum’ anche un’adeguata formazione liturgica […]».
R. “Ummh…”
M. CHIR 8: «L’aspetto musicale delle celebrazioni liturgiche […] deve essere
affidato ad una bene concertata direzione […] quale significativo frutto di
un’adeguata formazione liturgica».
R. …Formazione liturgica… formazione liturgica… Ma che è: una nuova
squadra di calcio?!?
M. MS 67: «È indispensabile che gli organisti e gli altri musicisti, oltre a
possedere un’adeguata perizia nell’usare il loro strumento, conoscano e
penetrino intimamente lo spirito della sacra liturgia […]».
R. Bhè, per essere bravo sono bravo, alla chitarra elettrica; ma per la
liturgia bastano il catechismo e la prima comunione? Ora che ci penso, mi
sa che ho fatto pure la cresima…
M. CHIR 9: «Anche in questo campo (della liturgia, n.d.r.) […] si evidenzia
l’urgenza di promuovere una solida formazione sia dei pastori che dei
fedeli laici».
R. Ma ora che c’entrano il campo e i pastori?!
M. Oh, Signore… aiutami tu!
M. MS
9. La lingua latina
M. MS
47: «A norma della costituzione sulla liturgia (SC) l’uso della lingua
latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini».
R. Ecco perché quel complesso olandese si chiamava i “Procol Harum”!
M. Guarda che si dice Procul, con la U.
R. Ah, li conosci pure tu? Che belle canzoni! Homburg, A whiter shade of
pale…
M. Ma no, procul è un avverbio latino, somarello. A ogni modo erano
inglesi, non olandesi!
R. Ma come fai a conoscerli?
M. Lascia perdere; sono stato giovane anch’io. Idem: «Curino i pastori
d’anime che, oltre che in lingua volgare, i fedeli sappiano recitare e
cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell’ordinario della messa
che spettano ad essi».
1. La frase è stata ripresa integralmente nel
Chirografo ‘Mosso dal vivo desiderio’ del Beato
Giovanni Paolo II, punto 2, 2003, scritto in
occasione del centenario del Motu Proprio di
S. Pio X ‘Tra le sollecitudini’ del 1903. Si tratta di
un concetto molto ricorrente anche nei documenti
precedenti al Concilio Vaticano II.
2. Cfr. SC 115.
3. Espressione ripresa e riaffermata da Giovanni
Paolo II, CHIR 9, oltre che nel precedente MS 52.
4. Maiuscolo e corsivo di Musica sacra conformi
all’originale.
5. SC 120 così limitava l’immissione degli altri
strumenti nella liturgia oltre all’organo: «Altri
strumenti, poi, si possono ammettere nel culto
divino, a giudizio e con il consenso della
competente autorità ecclesiastica territoriale, a
norma degli artt. 22 §2, 37 e 40, purché
convengano alla dignità del tempio e favoriscano
veramente l’edificazione dei fedeli». Gli articoli
indicati fanno riferimento ai processi di
adattamento delle tradizioni dei vari popoli.
6. Concetto già presente in SC 115.
7. Cfr. MS 24: «Oltre alla formazione musicale, si
dia ai membri delle ‘scholae cantorum’ anche
un’adeguata formazione liturgica».
8. Virgolette interne conformi all’originale.
All’inizio del paragrafo Giovanni Paolo II cita il suo
predecessore S. Pio X, Motu Proprio op. cit.,
punto 3, capoverso secondo.
9. Virgolette interne conformi all’originale.
10. Citazione tratta da SC 23, riguardante le nuove
forme liturgiche. Virgolette interne conformi
all’originale.
11. Concetto ripreso e riaffermato da Giovanni
Paolo II, CHIR 8.
12. Art. 30: «La partecipazione dei fedeli. Per
promuovere la partecipazione attiva, si curino le
acclamazioni dei fedeli, le risposte, la salmodia,
le antifone, i canti nonché le azioni e i gesti e
l’atteggiamento del corpo. Si osservi anche, a
tempo debito, il sacro silenzio».
13. Virgolette interne conformi all’originale.
14. Anche questo concetto è stato ripreso e
riaffermato da Giovanni Paolo II, CHIR 8. Virgolette
interne conformi all’originale.
15. Idem.
16. Idem.
17. Giovanni Paolo II cita espressamente un
passaggio del citato Motu Proprio di S. Pio X,
punto 2, capoverso quarto.
18. Articolo già citato a proposito della direzione
di coro e del canto.
19. Segue una lunga serie di rimandi a SC, MS, IO,
AAS 1964, 1967, EV I, 92; II, 269; II 1013.
20. Il beato Giovanni Paolo II, con il Motu Proprio
‘Ecclesia Dei’ del 1988, volle inoltre esortare i
vescovi a concedere con generosità tale facoltà in
favore di tutti i fedeli che ne facessero richiesta.
22
R.
E quali sarebbero? Se mi sforzo, qualche parola dell’Ave Maria me la ricordo…
51: «Vedano i pastori di anime se parti del patrimonio di musica sacra, composta nei
secoli precedenti per testi in lingua latina, possano usarsi, oltre che nelle celebrazioni in
latino, anche nelle celebrazioni fatte in lingua volgare. Niente infatti impedisce che nella
medesima celebrazione alcune parti si cantino in un’altra lingua».
R. Oh, ecco, bravo! Va bene l’inglese?
M. IGMR 19: «E poiché sono sempre più frequenti le riunioni di fedeli di diverse nazionalità, è
opportuno che questi fedeli sappiano cantare insieme, in lingua latina, e nelle melodie più
facili, almeno le parti dell’ordinario della messa, ma specialmente il simbolo della fede e la
preghiera del Signore (Padre nostro) […]».19
R. Eh… qui sono nei guai: mi sa che l’Ave Maria non basta, vero?
M. A proposito della lingua latina devo ricordarti che esiste il Motu Proprio di Benedetto XVI
Summorum Pontificum del 2007, riguardante l’Usus Antiquior del rito romano, interamente in
latino. Tale Motu Proprio è stato idealmente preceduto dallo speciale Indulto del Beato
Giovanni Paolo II Quattuor abhinc annos, emanato nel 1984 dalla Sacra Congregazione per il
Culto Divino, con il quale il pontefice concedeva la facoltà di riprendere l’uso del Messale
Romano promulgato dal Beato Papa Giovanni XXIII.20
R. Senti monsignore, «a proposito della lingua latina devo ricordarti» che ai miei tempi nella
scuola media era una materia facoltativa, e io scelsi il corso di musica…!!! Se non mi sbaglio
l’hanno pure soppressa da un bel po’ di anni…
M. MS
Conclusione breve
M. Ma insomma, caro fratello, di tutto quello che ti ho detto non c’è proprio niente che ti
convinca? In fondo ti ho parlato sempre di musica!
R. Ecco, hai detto bene: mi hai parlato sempre di musica; mi convinceresti di più se invece di
parlarne la facessi, un po’ di musica. Anzi, sai cosa facciamo? Ti dirò quello che mi ha
convinto solo dopo che mi avrai cantato quella bella melodia che cantavate sempre quando
ero bambino, più o meno a metà della messa, e noi stavamo tutti ad ascoltarvi con gli occhi
spalancati…
M. Ma, veramente… io… non la canto più da tanto tempo… non so se me la ricordo ancora…
R. Dai, provaci, altrimenti tutte queste leggi a che servono? Sennò parto io con un altro assolo
di chitarra, eh!!
M. No, no; va bene, te la canto. Ma tu mi prometti che poi ti rileggerai con calma tutto quello
che ti ho detto?
R. Ma come, tutta quella roba lì?!
M. Certo! Guarda che è importante: là dentro ci sono duemila anni di musica e di storia.
R. E va bene, affare fatto. Batti il cinque, zio! …Clap…!
(Il vecchio monsignore si schiarisce la voce con un elegante colpetto di tosse, poi comincia a
cantare a memoria…)
M.
DOSSIER
23
UN FILO ROSSO LUNGO MILLECINQUECENTO ANNI
di Vincenzo De Gregorio
PRESIDE DEL PONTIFICIO ISTITUTO DI MUSICA SACRA
Quanti vogliono seriamente “sapere di musica” non possono
eludere la conoscenza, pur minima, del repertorio musicale
vocale. Quanti, poi, nell’ambito estremamente specialistico,
studiano i “segni” cioè la scrittura della musica – che
costituisce il motivo fondamentale per lo sviluppo della
musica stessa perché quando si è potuta “scrivere”, è potuta
diventare repertorio/storia/musicologia – sanno bene che la
semiografia è innanzitutto lo studio del repertorio vocale (di
quello strumentale se ne parlerà molto più tardi). Quindici
secoli circa di produzione di repertorio vocale (e se
scrivessimo millecinquecento anni non farebbe effetto
maggiore?) si sono accumulati, nell’Occidente, nella scrittura
di canto per la liturgia, su un unico fondamento linguistico,
quello del latino.
Riflettiamo, perciò, da questa prospettiva, su uno degli
aspetti che hanno creato il canto nella Chiesa: la cosiddetta
“committenza”. Committenza significa sapere “chi ha voluto
un repertorio, perché e per chi”. I primi secoli, quelli della
parentela stretta con le radici ebraiche dei testi liturgici che
furono a lungo presi solo dalla Scrittura, vedono
nella veste di chi ha voluto il canto – il
“committente”, appunto – una Chiesa preoccupata di
conservare innanzitutto il contenuto della fede; per
certi aspetti questo riduceva di molto l’ambito della
produzione: pochi testi essenziali e fondamentali. Dal
momento in cui i testi cantati sono stati attinti da
autori che non fossero solamente quelli dei libri dalla
Bibbia, si allarga la produzione musicale perché si
arricchisce la quantità dei testi, innanzitutto poetici,
da cantare. Non è più la comunità orante che per cantare si
appoggia sui testi della Scrittura: è la Chiesa nella persona
dei vescovi, degli autorevoli scrittori, poeti, polemisti,
apologisti, che fornisce testi e fa committenza per la musica
perché essa, la musica, li traduca in “zona lirica” nella
liturgia. La Chiesa, esplicitamente o implicitamente ha fatto,
dunque, committenza e il motivo è stato sempre quello di
esigere il contributo essenziale per la preghiera dato dalla
musica che supporta, amplia il significato, amplifica la
potenza delle parole e della Parola.
Quella “committenza” per chi ha fatto scrivere quelle melodie
e quegli intrecci canori? Il permanere del latino come unica
lingua liturgica della Chiesa occidentale ha dato, a
quest’ultima domanda, una risposta che ha assunto delle
varianti su un unico tema: la clericalizzazione della liturgia.
Le varianti sono costituite dalle scholae cantorum e dal
monachesimo, prima, poi dalle istituzioni “collegiali” dei
canonici delle cattedrali, e, infine, dallo straordinario
fenomeno delle cappelle musicali. È per loro che il repertorio
del canto è stato elaborato rispondendo di tempo in tempo
alle esigenze di novità, di sperimentazione, di utilizzo di
nuove tecniche compositive e di nuove abilità nella
costruzione degli strumenti musicali e nel loro utilizzo sempre
più sofisticato e complesso. Si impone, allora, una
considerazione: il canto cristiano è una splendida e irripetuta
storia di sviluppo alla quale i cori che oggi cantano rendono
omaggio con l’amorevole dedizione di chi custodisce,
rendendolo vivo perché lo esegue, un patrimonio di
straordinario valore culturale prima ancora che religioso e di
fede. Tutto questo esiste perché la Chiesa non ha mai fatto
una scelta di linguaggio artistico/musicale/strumentale. Il
passaggio dalla monodia liturgica che chiamiamo canto
gregoriano, ai primi tentativi di polifonia e al suo superbo
sviluppo, fino alla musica strumentale, corale, solistica, delle
complesse architetture della musica sacra barocca e classica,
ha un nome con tre aggettivi: intelligenza pastorale, liturgica
e culturale. È stato un susseguirsi di concatenazioni tutte
Committenza significa sapere
“chi ha voluto un repertorio,
perché e per chi”.
avvenute nella Chiesa che le ha favorite e seguite elaborando
una formidabile capacità di accogliere la “storia”. L’apertura
allo sviluppo ha favorito l’invenzione di una scrittura musicale
con la conseguente possibilità di conservare un repertorio
affidato non più alla memoria orale. Da ciò è nata l’esigenza,
pertanto, di non ripetere quanto già prodotto e verificabile
perché ormai scritto. Questa stessa apertura allo sviluppo ha
innescato il bisogno, proprio dei veri musicisti, di utilizzo delle
nuove tecniche compositive/musicali e costruttive/strumentali
come esigenza insopprimibile del musicista/artista, anche di
quello a servizio della Chiesa.
Tutto questo seguendo un filo rosso lungo ben
millecinquecento anni: il latino dei testi liturgici.
Torniamo alle domande iniziali: committenza di chi? per quale
scopo? per chi? Nei nostri tempi è cambiato il soggetto
committente? In parte sì perché la configurazione pastorale e
operativa della Chiesa ha assunto altre sfaccettature proprio
nella liturgia. Questo soggetto/committente non parla più la
24
stessa lingua, non solo, ma di regione in regione, ha il compito di indicare cosa “pronunciare”
quando si canta per la liturgia. Si veda il caso del canto dell’introito come è indicato
nell’Ordinamento Generale del Messale Romano, n. 48: si può cantare quanto è indicato dal
Graduale Romano in latino/gregoriano, si può leggere il testo in lingua corrente, si può cantare
altro testo/canto autorizzato dalla Chiesa locale (Conferenza Episcopale), pertinente al momento
(inizio della celebrazione) e al tempo e festività liturgica del giorno. Come si evince, certamente
è una committenza che è sempre la Chiesa, ma in diversa posizione di coordinate culturali, e,
soprattutto, una committenza che non è “blindata” da una rigida prescrizione delle rubriche
liturgiche.
Cos’è cambiato, allora, in questi ultimi cinquant’anni, nel panorama della musica per la liturgia?
La committenza, si è scritto, è cambiata solo in parte. Sono cambiati gli obiettivi della
committenza? Si, profondamente. Nonostante l’auspicio che per secoli si è espresso con il
richiedere che “il popolo canti”, fino a quando non è stata introdotta la lingua corrente nella
liturgia, non è stato possibile realizzarlo se non in parte marginale. Ma è diventato, nei nostri
tempi, ineludibile il rispetto dello scopo principale per il quale si scrive musica per la Chiesa:
perché la preghiera sia canto del Popolo di Dio. Per “chi”, infine, la musica della Chiesa? Per se
stessa, nelle componenti che il già citato Ordinamento del Messale Romano più volte ricorda
essere costitutive: ministri, coro, assemblea, musicisti. La facilità dell’accumulo delle
composizioni con i mezzi che oggi sono a disposizione per conservare, archiviare, trasmettere su
formati sempre più sofisticati e complessi il repertorio utilizzato nella liturgia, rende da un lato
più facile ordinare un “repertorio” di canti per la liturgia. Per altro, però, è molto più difficile
oggi creare un repertorio; da qui le diverse soluzioni che a volte sono anche drastiche:
eliminazione di tutto il repertorio passato; esecuzione solo del grande repertorio gregoriano/
polifonico, inseguimento delle mode, in particolare quelle più “facili” da realizzare con mezzi più
immediati, derivate dalla musica di consumo. In tale contrasto è forte la riflessione di Giacomo
Baroffio: «Passato, presente, futuro, sono i tre poli che da sempre autenticano il linguaggio
musicale e poetico nella celebrazione. Omettere o limitare anche una sola di queste tre istanze,
significa costruire sul vuoto: chi si abbarbica al passato chiudendosi al presente è un archeologo
nostalgico senza speranza che non crede nel presente perché fondamentalmente non ha fiducia
in se stesso… il passato senza presente è un sogno fantastico. Confortante, forse, ma è un
sogno alienante che trascina fuori dalla realtà». Perché continui a vivere l’intelligenza della
Chiesa che chiede di comporre e di eseguire, è sempre necessario, però, che questa
committenza, vero esercizio di carità teologica e pastorale, sia attenta e culturalmente
preparata. Da questo punto di vista la formazione non solo teologica e pastorale ma anche
culturale, artistica e musicale, dei presbiteri e dei vari organismi parrocchiali e diocesani
(consigli pastorali, movimenti ecclesiali) è una delle grandi sfide che si sta affrontando nella
Chiesa dei nostri giorni.
Ciò che è stato non può essere disgiunto da ciò che sarà, in una continua mutua reciprocità fra la tradizione bimillenaria della
Chiesa e i frutti dei nuovi studi sulla musica sacra. Per diciassette anni ho presieduto il Pontificio Istituto di Musica Sacra,
cercando di mettere in relazione la grande tradizione della Chiesa con le prospettive di un futuro basato sulla consapevolezza, la
profondità e l’amore per la musica sacra, ancor più in questo momento storico nel quale sembra affievolirsi la forza e il
convincimento a causa di una situazione non facile. In questo senso la Chiesa si può servire del PIMS il quale, a causa
dell’adesione al noto processo di Bologna che ha avuto luogo alcuni anni fa durante la mia presidenza, si proietta nel futuro con
le solide basi del suo passato e le nuove impostazioni didattiche, recentemente elaborate per aderire sempre di più alle
aspettative di una formazione alla musica sacra che guardi anche alle necessità globali del mondo. Dopo cento lunghi anni di
storia gloriosa, questo rinnovamento dell’ordine degli studi si è reso necessario, per mantenere l’istituto perfettamente al passo
con i tempi. Il momento non è dei migliori, ma se la Chiesa per la sua musica vorrà servirsi di persone professionalmente
qualificate, troverà nel PIMS lo strumento che farà crescere tutti: dai gregorianisti ai direttori di coro, dai compositori agli
organisti e agli strumentisti, dai musicologi fino ai cantanti.
Valentino Miserachs Grau
E
TRA ETICA
ED ESTETICA
INTERVISTA A ELENA CAMOLETTO
a cura di
Mauro Zuccante
Elena, una vivace e importante tradizione corale
fa da sfondo alla tua formazione artistica e
professionale. Sia a livello professionale che
amatoriale, nel territorio piemontese, infatti,
sono cresciuti eccellenti musicisti e rinomati
complessi corali. Il loro prestigio è riconosciuto
ben oltre i confini regionali. Ritieni che questa
prossimità abbia in qualche modo stimolato e
favorito i tuoi inizi nel mondo corale?
Sicuramente: ho avuto le mie prime esperienze
corali nel coro di voci bianche dell’istituto
musicale dove ho iniziato i miei studi di
pianoforte; gli incontri che hanno dato una svolta
“corale” alla mia vita di musicista sono quelli che
ho avuto a partire dall’adolescenza con vari
maestri, dalla mia insegnante di pianoforte che
invece di farmi ascoltare musica pianistica mi
iniziava all’ascolto delle più grandiose opere di
Bach, come il Magnificat o l’Oratorio di Natale, a
Dario Tabbia, Sergio Pasteris, Gianni Cucci, che
in modo significativo hanno dato sostegno e
stimolo alla mia crescita.
Oltre all’incontro fortunato con i maestri, hanno
acceso i miei entusiasmi e la mia curiosità alcune
manifestazioni musicali nate negli anni ’70, come
il festival Settembre Musica che portava a Torino
importanti artisti, compagini corali europee,
gruppi vocali di prestigio internazionale con
esecuzioni dei capolavori della musica corale e di
allora poco frequentate composizioni
contemporanee: tra tutte, ricordo una
commovente Passione secondo san Matteo e
una mirabile esecuzione di Lux Aeterna di Ligeti;
oppure la rassegna Incontri corali che in modo
pionieristico cominciava a dar vita a un
rinnovamento della coralità piemontese con
convegni e dibattiti, ma soprattutto invitando
nella piccola città di Alba magnifici cori da tutta
Europa, come il Via Nova di Monaco, il St. Jacob
di Stoccolma, il Konevetz Quartet e grandi
maestri come Kurt Suttner, Peter Erdei, Gary
Graden, Giovanni Acciai.
ELENA
Nella foto in alto
e a pagina 26:
il Coro Maghini al
Festival Europa Cantat
XVIII Torino 2012
Vorrei mettere a fuoco la corrente stilistica – se
ce n’è una – in cui ti sei formata e nella quale
attualmente ti riconosci. Oltre all’indelebile
impronta lasciata dai tuoi insegnanti, quali sono
stati i grandi maestri che hanno segnato il tuo
apprendistato e il cui ascendente è tutt’ora
rintracciabile nelle tue opere?
Devo moltissimo al mio maestro di composizione
Gilberto Bosco che, oltre a una rigorosa
formazione scolastica, oltre all’intransigenza con
se stessi, mi ha insegnato a cercare e intuire,
non solo nel repertorio contemporaneo ma anche
nelle opere dei grandi musicisti del passato, i
26
momenti in cui il genio dell’artista imprime alla musica
un’impronta di eternità, in cui ci fa intravedere qualcosa che è
allo stesso tempo fuori del tempo e attuale.
Confesso poi che il mio apprendistato non ha seguito un
cammino lineare, ho avuto fasi in cui mi sono allontanata dai
consueti iter scolastici e professionali, e ho scelto di rivolgere
il mio impegno verso una ricerca di spiritualità e di profonda
riflessione interiore, seguendo maestri di discipline diverse,
ma anche studiando le opere di alcuni compositori in cui ho
avvertito la forte presenza di questa dimensione. Ne cito solo
alcuni: Penderecki, Schnittke, Messiaen, Ligeti.
Successivamente sono rimasta molto affascinata dal senso
delle sonorità di alcuni compositori
nordici, come Hillborg. Non so se il
loro ascendente si possa rintracciare
nelle mie composizioni, ma
sicuramente questi musicisti
rappresentano gli astri che guidano il
mio cammino.
ha per noi comporre musica? Rispondere a bisogni interiori, a
sollecitazioni pratiche, a esigenze di mercato, di
autoaffermazione, a spinte narcisistiche? Intendo dire che
viviamo nell’epoca dell’apparire e del facile successo, questo
non aiuta certo l’approfondimento, la riflessione e l’autocritica
che a mio avviso sono necessari al sapere musicale. Oggi non
tanto nelle scuole di composizione, quanto nel sistema
scolastico e culturale in generale si assiste alla consuetudine
di mettere tutto sullo stesso piano: tutto è bello, tutto è arte,
tutto si può fare. Si è persa la facoltà di attribuire il giusto
valore alle cose, quindi anche di discernere ciò che è
musicalmente valido da ciò non lo è, con la conseguenza che
sul mercato prosperano fenomeni di infimo profilo; si è
notevolmente svilito il ruolo dell’insegnamento, della
trasmissione del sapere musicale nella formazione del
musicista. Oltre a ciò si è persa gradatamente la fiducia nella
capacità della musica classica di essere comunicativa e
coinvolgente, anche nei confronti dei giovani. Ho usato
volutamente e provocatoriamente il termine “musica classica”,
visto che la distinzione tra generi è ormai diventato tabù, ma
forse è più giusto parlare di musica “forte”, come affermato di
recente da un noto filosofo della musica. Perfino le grandi
stagioni concertistiche hanno il timore che la musica “colta”
non basti a se stessa, devono sempre abbinarla a
qualcos’altro. Nel generale imperversare della superficialità va
da sé che anche l’insegnamento della composizione ha perso
quello slancio ideale e quel rigore estetico e anche etico che
lo caratterizzava.
Di certo, il tuo mestiere è molto solido. Posso affermarlo in
considerazione della mano esperta con cui sai impreziosire
Studiando la grande musica del
passato si può entrare in contatto con
una dimensione etica ed estetica che
trascende il tempo storico.
In una passata chiacchierata ho avuto
occasione di approvare una tua
osservazione. Nelle attuali scuole di
composizione circolano scarsa
conoscenza dei linguaggi storici, deficit di esercizio,
faciloneria e dilettantismo. Risultato: maldestre durezze nella
conduzione delle parti, sconclusionate concatenazioni
armoniche, squilibri formali, e così via. Condividi ancora
questo pensiero? Se sì, che ragione ti sei fatta di questo
degrado?
Come ho già accennato, sono sempre stata convinta che
studiando la grande musica del passato non solo si impara a
mettere “ordine” alle idee musicali, ma si può entrare in
contatto con una dimensione etica ed estetica che trascende il
tempo storico. Per capire l’atteggiamento dilagante nell’attività
compositiva bisogna prima farsi una domanda: che significato
una semplice melodia popolare, arrangiandola per coro.
Questione solo di allenamento o c’è dell’altro? Quali
competenze necessitano affinché l’arrangiamento acquisti
valore artistico, ma nel rispetto del contenuto espressivo
dello spunto tematico originario?
Ti ringrazio, considero la tua affermazione un bel
complimento! Come si evince dalle mie precedenti
considerazioni, lo studio tecnico, l’esercizio, l’allenamento
sono la base da cui non si può prescindere. Ma è anche
necessario entrare in “sintonia” col canto tradizionale,
conoscere il contesto in cui si è sviluppato, analizzarlo in tutti
i suoi parametri e lasciare agire su di sè le emozioni evocate
COMPOSITORE
dal testo. Nella composizione agisce anche un’importante
componente istintiva, legata alla propria sensibilità,
all’immaginazione e all’intuizione; una componente che è
anche influenzata da tutta la musica che hai ascoltato, che ti
porti dentro come bagaglio di possibilità da cui, anche
inconsapevolmente, attingi.
Accanto alle trascrizioni ed elaborazioni, la tua opera
comprende lavori originali di più ampio respiro. Vorresti
citare alcune composizioni che ritieni significative ed
esemplari della tua sensibilità e percezione estetica?
In ordine cronologico, la prima che voglio citare è Geistlich,
una composizione per coro a 8 voci sollecitata dal forte
impulso ricevuto dal primo stage sulla musica corale
contemporanea organizzato da Feniarco e anche legata a una
mia ricerca spirituale. Come per molte mie composizioni c’è,
alla base dell’ispirazione musicale, un omaggio a un autore al
27
quale sono particolarmente legata, in questo caso Robert
Schumann.
Poi voglio citare Veni creator Spiritus, per 2 cori, soli e gruppo
strumentale, una suite di musiche per un concerto spirituale
commissionata da un gruppo di cori piemontesi. La suite è
costituita da 9 brani legati dal tema dell’omonimo inno
gregoriano, ora palese ora nascosto nella trama sonora, su
testi che vanno dal Cantico dei Cantici a Shakespeare, da
Goethe a Gibran.
L’ultimo lavoro che voglio citare è in realtà un trittico ispirato
a grandi polifonisti del Rinascimento: Canticum Simeonis, una
riflessione su un mottetto di J. Desprez, che riprende, in
giochi di echi e riverberi, i motivi tematici originali; Tristis est,
per doppio coro, che prende spunto da frammenti estratti da
alcuni mottetti di Giovanni Gabrieli; Credo - et incarnatus
basato su temi della Missa “in illo tempore” di Claudio
Monteverdi.
Elena Camoletto__________
Elena Camoletto ha svolto gli studi musicali a Torino
diplomandosi in pianoforte, musica corale e direzione di coro
e composizione. Si è perfezionata nella direzione di coro con
particolare attenzione al repertorio contemporaneo seguendo
diversi corsi e seminari con i maestri G. Graden, P. Erdei e
K. Suttner.
Ha diretto varie formazioni corali, tra cui il Coro Lorenzo
Perosi di Biella, la Corale Polifonica di Sommariva Bosco e
l’Ensemble Vocale NovAntiqua, e dal 2007 svolge le mansioni
di docente e direttore di coro presso i corsi di formazione
corale per cantanti dell’Accademia Musicale Ruggero Maghini,
e di maestro assistente presso il Coro Filarmonico Ruggero
Maghini; in questa veste ha collaborato alla preparazione del
coro in occasione di importanti produzioni dell’Orchestra
Sinfonica Nazionale della Rai e dell’Academia Montis Regalis.
Le sue composizioni sono state eseguite nell’ambito di
stagioni concertistiche in Italia, Francia e Spagna, Germania,
Irlanda, Singapore e Giappone. È stata premiata a diversi
concorsi di composizione, tra cui il Concorso nazionale di
composizione Castello di Belveglio (1994), al Concorso
internazionale di composizione Città di Pavia (1995), al
Concorso nazionale di armonizzazione ed elaborazione corale
- Aosta (1999), al 6° Concorso Nazionale di armonizzazione ed
elaborazione corale dell’Associazione Cori Piemontesi (Biella,
2002), al Concorso internazionale di composizione corale
Florilège musical di Tours (Francia, 2004), e segnalata al
Concorso internazionale di composizione corale Fondazione
Guido d’Arezzo (Arezzo, Italia). Nell’ambito della composizione
corale, ha ricevuto numerose commissioni da parte di cori
italiani e stranieri ed esecuzioni in vari stage europei sulla
musica corale contemporanea. Sue composizioni corali sono
pubblicate da Bosse Verlag, La
Cartellina e altre riviste di canto
corale; suoi brani hanno avuto
incisione discografica a cura de I
Piccoli Cantori di Torino e del coro
Intonando (Alba). Nel 2011 ha
rappresentato l’Italia al progetto
internazionale Songbridge con la
composizione Arcobaleno, eseguita
nel concerto di gala svolto al Teatro
Carignano di Torino. Nel 2013 ha
curato la ricostruzione delle parti
corali della Messa concertata a 8
voci e strumenti di Benedetto Vinaccesi (1666-1719) eseguita
al Innsbrucker Festwochen der Alten Musik.
Svolge attività come cantante nell’ambito di formazioni
professionali quali il Gruppo Vocale Gli Affetti Musicali,
l’Ensemble Vocale NovAntiqua, il Coro Filarmonico Ruggero
Maghini.
Già insegnante presso i conservatori di Palermo, Alessandria e
Firenze, è attualmente docente di musica corale e direzione di
coro presso il conservatorio di Cuneo; presso lo stesso
conservatorio, ove è anche direttrice del coro di voci bianche
e dell’ensemble vocale giovanile, ha curato numerosi lavori di
ricerca, elaborazione corale, pubblicazione ed esecuzione, tra
cui il progetto Medioevo e contemporaneo attorno alle
Cantigas de Santa Maria, l’allestimento di Das Zauberwort,
opera per voci bianche e pianoforte di J.G. Rheinberger, e
l’esecuzione della Messa in La Maggiore op. 126, per coro di
voci bianche, flauto, organo e archi dello stesso Rheinberger.
28
Vorrei evitare di porti questa domanda, ma il ruolo me lo
impone. Perdonami. Nella composizione corale, sei una delle
tutt’ora poche compositrici. L’essere donna in questo settore
(e – per di più – in un paese avaro di pari opportunità come
l’Italia) è una condizione che comporta il peso dello
svantaggio e del pregiudizio?
In realtà non mi sono mai sentita discriminata in quanto
donna nella mia attività di compositrice. Forse la carenza di
compositrici nel panorama italiano della musica corale è
dovuta ad altri fattori; spesso è proprio la composizione
corale a essere “discriminata”, considerata come la parente
povera rispetto a quella strumentale o orchestrale. La
composizione corale è coltivata maggiormente da chi, oltre a
essere compositore, è anche direttore di coro, ed è forse su
questo versante che resistono ancora pregiudizi e diffidenze
verso le donne.
Parliamo dei concorsi di composizione. È
innegabile che queste iniziative favoriscano
la promozione di giovani compositori, il
rinnovamento dei repertori e – perché no?
– la distribuzione di propizi premi in denaro.
Ma ti chiedo, molto direttamente, se ritieni
preferibile ottenere il successo in una
competizione, o ricevere la commissione di
un lavoro, che verrà poi accuratamente
eseguito da un complesso corale di prestigio.
Certo, vincere fa piacere a tutti e devo dire
che a me è stato sicuramente utile essere stata premiata a
qualche concorso, ma in realtà sono sempre stata riluttante a
partecipare alle competizioni.
Penso che nella musica l’unica gara che abbia senso
ingaggiare sia quella contro i propri limiti. D’altra parte
scrivere su commissione spesso comporta altri tipi di
limitazioni alla propria libertà creativa dovute a esigenze
pratiche: devo dire che la sfida lanciata da queste costrizioni
mi ha sempre stimolato moltissimo. Credo molto nella
dimensione “artigianale” del far musica, e reputo molto
istruttivo rapportarsi con la realtà della pratica esecutiva;
quando poi capita che le commissioni giungano da cori di alto
livello, si può veramente spaziare tra mille possibilità e
scrivere diventa veramente divertente.
alcuni bravi cantanti ho fondato un piccolo ensemble vocale
con cui ho voluto sperimentare il dialogo tra antico e
contemporaneo, mettendo a raffronto, ad esempio, il
Gesualdo cromatico con nuove musiche, a lui stesso ispirate,
commissionate a giovani compositori.
Un giorno mi capitò di dovere, senza preavviso, sostituire il
direttore del Coro Maghini in una impegnativa produzione con
l’Orchestra sinfonica della RAI: dopo lo shock iniziale,
trovandomi improvvisamente di fronte a un coro di quel
livello, l’inattesa esperienza di poter affrontare un programma
di grande musica sinfonico-corale di Haydn, Schubert, Holst e
Britten, è stata esaltante.
Da allora il mio impegno nel Coro Maghini è diventato stabile,
ho potuto conoscere “dal vivo” un gran numero di partiture
del repertorio sinfonico-corale e ho avuto modo di osservare
il lavoro di famosi direttori d’orchestra; tuttavia non ho
smesso di dedicarmi alla base: da qualche anno seguo e
Lo studio tecnico, l’esercizio,
l’allenamento sono la base
da cui non si può prescindere.
Tra l’altro, Elena, non trascuri la direzione di coro. Hai al tuo
attivo la guida di diversi gruppi corali professionali e
amatoriali. Ricopri un ruolo significativo all’interno del
prestigioso Coro Maghini di Torino. Parla di questo versante
del tuo lavoro.
La mia voglia, anzi necessità, di far musica mi ha sempre
spinta in diverse direzioni e dall’aspetto esecutivo in realtà
non mi sono mai allontanata, fin dai miei esordi al pianoforte.
Come molti direttori di coro ho avuto le mie prime esperienze
con varie formazioni corali amatoriali, poi ho cominciato ad
avere contatti con l’ambiente “professionale” che mi ha dato
l’opportunità di affrontare repertori prima impensabili. Con
dirigo un coro di voci bianche e un ensemble vocale giovanile
sorti all’interno del conservatorio dove svolgo la mia attività
di insegnante; dirigo inoltre il coro dei corsi di
perfezionamento corale organizzati dall’Accademia Maghini,
perché continuo a credere fortemente nel valore educativo e
culturale della coralità. Queste sono attività che mi regalano
grandi soddisfazioni.
Tra le tue qualità, vanti quella di possedere un’ottima voce.
Una dote che ti consente di sostenere anche il ruolo di
corista. Una mansione altrettanto strategica nell’azione
musicale. Il fatto di poter cogliere il suono del coro ora
dall’esterno, ora dall’interno, quanti e quali vantaggi offre
alla tua consapevolezza musicale?
Trovo molto sorprendente la prima affermazione: “vantare” è
la locuzione meno appropriata a descrivere il mio rapporto col
canto in particolare e con quello che faccio in generale; in
realtà chi mi frequenta sa bene quanto l’insoddisfazione e
l’autocritica siano sempre pronte a pungolare il mio amor
proprio! Infatti è proprio la scarsa stima nei confronti della
mia voce ad avermi spinta in uno studio continuo e
approfondito della vocalità e del suono attraverso vari metodi
e maestri.
L’opportunità di far parte di un coro professionale, di cantare
a fianco di belle voci e musicisti intelligenti, oltre ad avermi
insegnato molto sul canto, mi ha fornito vantaggi almeno
sotto tre punti di vista: 1) quello tecnico - culturale: essere
COMPOSITORE
“dentro” una grande composizione dà la possibilità di
coglierne aspetti nascosti e soluzioni compositive, di
assaporare il clima culturale di una certa epoca e di un certo
ambiente, entrare in sintonia con la sensibilità artistica del
compositore; 2) quello della direzione e della composizione:
vivere la musica dall’interno di un coro insegna parecchio sul
modo di affrontare la direzione, sulla ricerca di soluzioni a
problemi esecutivi, sull’atteggiamento etico e psicologico
nell’approccio con una collettività; inoltre rende più
consapevoli del rapporto tra scrittura e possibilità esecutive,
tra idea compositiva e effetto sonoro; 3) quello
fenomenologico del suono vocale:
l’esperienza come cantante-corista mi ha
spinta ad addentrarmi nello studio delle
implicazioni fisiologiche, percettive, emotive,
psicologiche, spirituali del suono; l’essere
consapevole delle grandi potenzialità della
voce ha condizionato molto il mio pensiero
musicale e ha fornito nuovi spunti alle mie
riflessioni attorno alla gestualità.
29
corso di studi: nel settore della composizione rivolge il suo
campo di azione verso quelle tecniche antiche e moderne
specifiche della musica corale, come ad esempio
l’armonizzazione e l’elaborazione del canto popolare, e allarga
il terreno di esplorazione a tutto il repertorio, dalla monodia
alla musica contemporanea; dall’altro versante vuole
rinforzare l’aspetto pratico della direzione, con materie che
affrontano lo studio della prassi esecutiva, l’educazione
dell’orecchio, la direzione di ensemble vocali e strumentali.
Insomma, si è cercato di rendere più completa la formazione
dei futuri direttori di coro.
Dal punto di vista delle prospettive lavorative, invece, il
panorama italiano non è molto incoraggiante. Mi spiace dover
inserire in questa nostra conversazione una nota negativa, ma
ci si rende facilmente conto di quale enorme differenza esista
tra le opportunità lavorative esistenti in Italia e quelle offerte
nel resto dell’Europa; da noi vengono chiusi teatri e orchestre
sinfoniche, si tagliano costantemente i contributi alle attività
musicali e alla cultura, si fa di tutto per non inserire la musica
tra le materie curricolari delle scuole, mentre basta superare i
confini (non importa quali) per trovare piccole cittadine con il
loro teatro d’opera, la loro stagione sinfonica, cori sostenuti
dalle istituzioni pubbliche o da quelle religiose, insomma una
società in cui il direttore di coro ha una sua funzione e un suo
ruolo importante.
Ciò che consola è che, a dispetto del generale degrado
culturale, la coralità italiana sta vivendo un periodo di forte
rinascita: se da una parte il livello dei cori è cresciuto anche a
seguito dell’influenza positiva che ha avuto il passaggio nel
nostro territorio di maestri di prestigio internazionale,
Vivere la musica dall’interno
di un coro insegna parecchio
sul modo di affrontare la direzione.
Concludiamo questa nostra conversazione
con un cenno alla tua consolidata esperienza didattica. In
conservatorio svolgi la docenza di musica corale e direzione
di coro. Una materia originariamente concepita per formare
gli insegnanti del vecchio istituto magistrale (il quale – sia
detto – prevedeva in origine che gli studenti approfondissero
il canto corale e lo studio di uno strumento musicale).
Azzerata ormai del tutto questa disciplina – licei musicali, a
parte – quali prospettive si offrono a uno studente che
frequenta la tua classe?
Distinguiamo tra prospettive di apprendimento e di
occupazione lavorativa. Con i nuovi ordinamenti didattici dei
conservatorio la mia materia è diventata qualcosa di diverso
dal corso originario; il nome che ha adottato, direzione di
coro e composizione corale, può già indicare la peculiarità del
dall’altra un flusso inverso ha portato molti giovani direttori
italiani a ottenere in istituzioni musicali all’estero la giusta
affermazione.
Il consiglio che offro sempre ai miei allievi è proprio quello di
guardare cosa succede al di là dei nostri confini: il peggio che
può succedere è di imparare qualcosa di nuovo…
30
COMPOSIZIONI CORALI DI ELENA CAMOLETTO
Musica corale sacra
Tristis est anima mea, per doppio coro,
commissionato e pubblicato da
Feniarco
Geistlich, per doppio coro
Vergine, quante lagrime, per 4 voci,
commissionato e eseguito
dall’Hesperimenta Vocal Ensemble di
Arezzo (dir. L. Donati)
Canciòn del alma, per coro misto a 10
voci, commissionato e eseguito dal
gruppo vocale Philophonia di
Saragoza (dir. M. Castán)
Credo - et incarnatus, per 2 e 3 cori,
commissionato dal Torino
VocalEnsemble (dir. C. Pavese)
Canticum Simeonis, per coro misto,
pubblicato dalla Fondazione Guido
d’Arezzo
Veni creator spiritus, concerto spirituale
per soli, 2 cori e strumenti
Nuit de minuit, per coro femminile,
commissionato e pubblicato
dall’Arcova
Ninna nanna, per coro femminile,
premiato al Concorso internazionale
di composizione corale Florilège
musical di Tours
O lux beatissima, per coro femminile
Ave Maria, per coro misto, pubblicato da
Feniarco nell’Antologia Choraliter 6
Salve Regina, per coro femminile
Missa brevis, per coro misto
Musica corale profana
Ochiba, per coro misto
Haiku, per coro misto
Protesta, per coro misto
Chanson, per coro misto
5 Aforismi per due cori femminili,
commissionato da Carlo Pavese ed
eseguito in vari stage europei
Arcobaleno, per coro di voci bianche,
commissionato, eseguito e inciso da
Carlo Pavese per il progetto
internazionale Songbridge (Torino
2011)
Elaborazioni corali di canti popolari
e di tradizione
I disertori, per coro misto, pubblicato
dall’Associazione Cantarstorie,
eseguito negli Stati Uniti
dall’ensemble Rob Seible Singers
(Houston)
Su via pastori, per coro misto, pubblicato
dall’Associazione Cantarstorie
Casina sola, per coro misto, ha avuto
incisione discografica a cura del Coro
Sette Torri (dir. G. Cucci)
Mariun, per coro misto, premiato al 6°
Concorso nazionale di armonizzazione
ed elaborazione corale
dell’Associazione Cori Piemontesi
(Biella, 2002), pubblicato su La
Cartellina e inciso dalla Corale Sette
Torri (dir. G. Cucci)
Spunta ’l sol, per coro misto, premiato al
6° Concorso nazionale di
armonizzazione ed elaborazione
corale dell’Associazione Cori
Piemontesi (Biella, 2002), pubblicato
su La Cartellina e inciso dalla Corale
Sette Torri (dir. G. Cucci)
Se chanto, per coro misto, eseguito a
Torino durante il Festival Europa
Cantat 2012, pubblicato da Feniarco
in Voci & Tradizione Piemonte
Sonno fortunato, per coro femminile,
pubblicato su La Cartellina e inciso
dal Coro Sette Torri (dir. G. Cucci)
Quando nell’ombra, per coro misto;
elaborazione di un canto tradizionale
mariano, pubblicato e inciso dal coro
Intonando (dir. F. Biglino)
Madre dolcissima, per coro misto;
elaborazione di un canto tradizionale
mariano, pubblicato e inciso dal coro
Intonando (dir. F. Biglino)
Volgi lo sguardo, per coro misto;
elaborazione di un canto tradizionale
mariano, pubblicato e inciso dal coro
Intonando (dir. F. Biglino)
Tu del Libano, per coro misto e
sassofono contralto; elaborazione di
un canto tradizionale mariano,
pubblicato e inciso dal coro
Intonando (dir. F. Biglino)
Nome dolcissimo, per coro misto;
elaborazione di un canto tradizionale
mariano, pubblicato e inciso dal coro
Intonando (dir. F. Biglino)
Vergin Santa, per coro misto;
elaborazione di un canto tradizionale
mariano, pubblicato e inciso dal coro
Intonando (dir. F. Biglino)
Mira il tuo popolo, per coro misto;
elaborazione di un canto tradizionale
mariano, pubblicato e inciso dal coro
Intonando (dir. F. Biglino)
O Santissima, per coro misto;
elaborazione di un canto tradizionale
mariano, pubblicato e inciso dal coro
Intonando e da Bosse Verlag nel
volume Chor Aktuell 2.
Andrò a vederla un dì, per coro misto;
elaborazione di un canto tradizionale
mariano, pubblicato e inciso dal coro
Intonando (dir. F. Biglino)
Veglia ognor su me, per coro misto;
elaborazione di un canto tradizionale
mariano, pubblicato e inciso dal coro
Intonando (dir. F. Biglino)
Ave Maria di Lourdes, per coro misto;
elaborazione di un canto tradizionale
mariano, pubblicato e inciso dal coro
Intonando (dir. F. Biglino)
Invito alla danza, per voci femminili o
bianche, pubblicato su La Cartellina
(2000) e inciso dai Piccoli cantori di
Torino (dir. G. Guiot)
La pastora fedele, per voci femminili o
bianche, pubblicato su La Cartellina
(2000) e inciso dai Piccoli cantori di
Torino (dir. G. Guiot)
La pastora e il lupo, per voci femminili o
bianche, pubblicato su La Cartellina
(2000) e inciso dai Piccoli cantori di
Torino (dir. G. Guiot)
L’orologio, per voci bianche; pubblicato
su La Cartellina (2001) e inciso dai
Piccoli cantori di Torino (dir. G. Guiot)
Se d’nverno, per voci bianche; pubblicato
su La Cartellina (2001) e inciso dai
Piccoli cantori di Torino (dir. G. Guiot)
Oh dondola, per voci bianche; pubblicato
su La Cartellina (2001) e inciso dai
Piccoli cantori di Torino (dir. G. Guiot)
Mago Merlino, per voci bianche;
pubblicato su La Cartellina (2001) e
inciso dai Piccoli cantori di Torino (dir.
G. Guiot)
Nadal, per voci bianche commissionato e
inciso dai Piccoli cantori di Torino
(1998) (dir. G. Guiot)
Per ulteriori informazioni e per reperire
le composizioni inedite, potete contattare
l’autrice all’indirizzo e-mail
[email protected]
COMPOSITORE
31
TRE OMAGGI AI MAESTRI DEL RINASCIMENTO
di Pietro Numico
PIANISTA E DIRETTORE DI CORO
Questi tre lavori rientrano in quel tipo di repertorio che per la sua complessità è rivolto a cori di grandi
dimensioni e di buon livello tecnico; due di questi sono stati richiesti ed eseguiti da complessi corali
italiani di grande prestigio: Canticum Simeonis, segnalato al concorso Guido d’Arezzo, ha avuto
esecuzioni da parte del Coro Maghini di Torino (dir. Claudio Chiavazza), del Vocal Ensemble EST,
Giappone (dir. Masao Mukai) e del SYC Ensemble Singers di Singapore (dir. Corrado Margutti); Credo
- et incarnatus è stato commissionato ed eseguito dal Torino Vocalensemble (dir. Carlo Pavese); Tristis
est commissionato da Feniarco per il Coro Giovanile Italiano (dir. Filippo Maria Bressan).
Queste composizioni nascono dall’amore profondo per tre grandi polifonisti del Rinascimento che Elena
Camoletto ha avuto modo di studiare, eseguire, analizzare nella sua attività di cantante, direttrice e
insegnante; base musicale su cui poggiano sono temi, procedimenti contrappuntistici, strutture
compositive e sonorità armoniche desunte dai loro mottetti.
A differenza di molta altra musica contemporanea in cui il meccanismo della frammentazione melodico/
armonica restituisce alle orecchie dell’ascoltatore un grande disorientamento, nei brani in osservazione
è sempre molto chiara la finalità espressiva del risultato sonoro: nulla è scritto per un puro fine
estetico o per sfoggio stilistico, la scrittura appare sobria, rigorosa e precisa, al servizio della parola
esattamente come lo era nel Cinquecento.
Il primo brano che prendo in esame è Canticum Simeonis, per coro a 12 voci, che deriva i suoi motivi
dal mottetto Nunc dimittis di Josquin Desprez.
Si possono facilmente distinguere gli elementi derivati dall’antico da quelli moderni: tra i caratteri
antichi possiamo includere l’impianto modale/tonale prevalentemente diatonico, i motivi-parola tratti da
Josquin, i procedimenti imitativi e canonici, la “figura” a due note bianche per la parola «oculi»; tra
quelli moderni le sovrapposizioni armoniche, i lunghi pedali, la ritmica delle parti ribattute, l’uso dei
suoni armonici, la scrittura vocale con trilli a velocità determinata o libera.
Il testo musicato da Josquin è:
Nunc dimittis servum tuum, Domine,
secundum verbum tuum in pace:
Quia viderunt oculi mei salutare tuum
quod parasti ante faciem omnium populorum:
Lumen ad revelationem gentium,
et gloriam plebis tuae Israel.
Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto.
Nunc dimittis servum tuum, Domine,
secundum verbum tuum in pace.
Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo, Israele.
Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo
Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola.
La composizione Canticum Simeonis adotta la stessa struttura testuale, omettendo però il sesto e il
settimo versetto.
Il brano si può suddividere in quattro grandi sezioni, organizzate in una forma di tipo A-B-C-A, di cui la
prima, di circa 45 battute, termina con un “climax” alla parola «pace», una triade di do maggiore
cantata nel registro acuto dai soprani divisi a tre parti.
Il pezzo inizia con una potente invocazione (Domine) di tutte le voci, che partendo da una quinta vuota
(sol-re), si amplifica con la sovrapposizione di altri due accordi adiacenti, quello di la maggiore e quello
di fa maggiore, simboli anch’essi del bagaglio armonico della tradizione cinquecentesca; questo
procedimento si presenterà nel corso di tutto il brano a diverse altezze (Figura 1).
Gli esempi musicali (Figure)
indicati nel testo
sono disponibili sul sito
www.feniarco.it alla sezione
editoria / choraliter
32
di quinta sentito all’inizio, che acquista qui il significato di
“origine e fine” di ogni cosa.
I frammenti di Josquin, chiaramente riconoscibili fin da subito,
sono trattati in canoni ravvicinati che poco a poco si fissano e
si ripetono in un vivace gioco di rifrazioni (Figure 2 e 3).
Questo procedimento vale anche per il secondo motivo che
porta alla conclusione dell’episodio sul luminoso do maggiore
di «pace» (Figura 4).
L’effetto “ipnotico” che caratterizza la seconda sezione è
ottenuto dalla concomitanza di fissità e movimento: a partire
dall’intervallo di terza («oculi») i canoni all’unissono sui temi
di Josquin danno origine a clusters che ridondano prima su
sonorità “frigie” nelle voci femminili (Figura 5) poi su sonorità
lidie (sol maggiore con do diesis) in quelle maschili (Figura 6)
fino a raggiungere il “cuore” dell’omaggio a Desprez, la
citazione letterale del passo «quod parasti», a cui farà seguito
una sua parafrasi con sonorità armoniche moderne, vero
“centro sacro” della composizione (Figura 7).
Un nuovo impulso ritmico fa ripartire il movimento nella terza
sezione; l’accavallarsi delle imitazioni e il sovrapporsi delle
voci conducono un lungo crescendo a sfociare nello sfavillante
culmine della composizione, in coincidenza col verso «Lumen
ad revelationem», che con la sua luminosità e la sua vivacità
si addice a descrivere musicalmente “la luce che illumina le
genti” (Figura 8).
Questo sfolgorio “esplode” nell’invocazione «Domine»,
arricchita dai trilli liberi, che segna l’inizio della sezione finale
(Figura 9).
Essa si caratterizza come una sorta di ripresa con coda: poco
alla volta il movimento si placa e le voci ritornano a cantare in
modo soffuso sopra un tranquillo tappeto armonico il motivo
iniziale «nunc dimittis». La sonorità si fa evanescente per la
rarefazione del tessuto polifonico e la comparsa dei suoni
armonici che circolano tra le voci. Una a una queste ultime
“abbandonano” il canto e il tessuto polifonico si dissolve fino
al silenzio, sottolineando così il senso del distacco dalla vita
contenuto nel testo. Il pezzo si chiude con lo stesso intervallo
Anche Credo - et incarnatus adotta gli stessi procedimenti per
enfatizzare e riverberare i temi del brano da cui trae
ispirazione: il Credo della Missa In illo tempore di Claudio
Monteverdi.
La composizione, come si desume dal titolo, è divisa in due
parti che hanno diversa scrittura e diverso organico corale:
Credo è per 2 cori a 6 voci e ha una scrittura prevalentemente
contrappuntistica e a cori battenti; et incarnatus è per 3 cori
spazializzati a 5 voci, caratterizzato da lunghe fasce sonore
su cui si stagliano interventi declamati di singole sezioni; tra
l’uno e l’altro troviamo un momento di aleatorietà
(mormorato) che consente ai coristi di raggiungere la nuova
disposizione.
Ecco qualche esempio di come i temi monteverdiani vengano
“esasperati” e “fatti impazzire” in una reiterazione frenetica e
incantata; l’inizio è identico al Credo di Monteverdi, ma poi…
(Figure 10 e 11)
Nell’esempio successivo le ripetizioni ossessive si
sovrappongono a un accompagnamento accordale delle voci
maschili; da questo momento cominciano a insinuarsi nella
trama polifonica sonorità decisamente fuori contesto,
addirittura vicine a certa musica rock (Figura 12), sonorità che
poi diventano ancora più caratteristiche nella intonazione a
quinte parallele del tema gregoriano «Credo in unum Deum»
(Figura 13).
Dopo un momento di apparente staticità e frammentazione del
tessuto sonoro, la ripresa prende il via da volate ascendenti
che ne presagiscono il disegno melodico (Figura 14).
L’effetto complessivo di tutta questa prima parte è quello di
giocosità mista a straniamento.
La “catabasi” adottata già da Monteverdi per descrivere
«descendit de coelis» è qui rafforzata e ampliata dalla
scrittura a cori battenti che subito cominciano a sovrapporsi;
l’abbandono dei cieli per scendere in terra sembra
interpretata con un progressivo rabbuiarsi e intorbidirsi
dell’intreccio sonoro, fino a prendere di nuovo forma nella
cadenza finale, ripresa identica dal testo originale.
Nella seconda parte, Et incarnatus, l’atmosfera si fa più
misteriosa e meditativa.
I tre cori partono all’unisono ma poi si fermano su diversi
accordi, creando di volta in volta diversi aggregati armonici;
eccone due esempi significativi (Figure 15 e 16).
Sopra questi sfondi sonori singole voci emergono da diverse
direzioni (il brano è pensato per una disposizione dei cori
attorno al pubblico) con una sorta di declamato che
riecheggia alcune parti del testo (Figura 17).
Dalla staticità iniziale poco alla volta il movimento si
intensifica insieme alla complessità armonica e all’aumento
della dinamica fino al climax delle battute 20-23, in
corrispondenza delle parole «ex Maria». Da questo punto
tutto si placa per tornare nel “grembo” monteverdiano alla
cadenza conclusiva.
COMPOSITORE
33
La composizione Tristis est è un omaggio a Giovanni Gabrieli; il primo riferimento alla sua musica si
può cogliere nella disposizione dell’organico vocale: due cori, il primo sbilanciato verso l’acuto (CCAT), il
secondo verso il grave (ATBB), conformemente a una consuetudine tipica della policoralità veneziana.
Riporto il testo tratto dai Responsori della Settimana Santa:
Tristis est anima mea usque ad mortem:
sustinete hic, et vigilate mecum:
nunc videbitis turbam, quae circumdabit me.
Vos fugam capietis, et ego
vadam immolari pro vobis.
L’anima mia è triste fino alla morte:
restate qui e vegliate con me:
ora vedrete la folla che mi circonderà.
Voi fuggirete ed io
andrò ad essere immolato per voi.
In Tristis est il materiale derivato dalla tradizione ha un’utilizzazione diversa rispetto ai due brani visti
finora; infatti la composizione adotta non tanto motivi melodici quanto procedimenti contrappuntistici,
figure ritmiche, concatenazioni armoniche, frammenti tematici, elementi che vengono deformati in vari
modi, dilatandone a dismisura le durate, imprimendo accelerazioni improvvise, corrompendoli con
infiltrazioni armoniche o contrappuntistiche dissonanti, sovrapponendoli a frementi oscillazioni o
stanchi ondeggiamenti.
Tutto ciò conferisce al brano un clima fosco e di potente drammaticità, specie nella sezione centrale.
Brevi citazioni tematiche sono tratte da due diversi mottetti di Giovanni Gabrieli: il frammento n. 1 dal
mottetto Beata est Virgo Maria (Figura 18), il frammento n. 2 dal mottetto O Domine Jesu Christe
(Figura 19) come anche quello successivo, il n. 3 (Figura 20).
Possiamo individuare tre sezioni; nella prima, della durata di 53 battute e comprendente il versetto
«Tristis est anima mea usque ad mortem», il linguaggio musicale adottato dai due cori è contrastante:
il coro grave, che canta alla maniera antica (cita letteralmente il frammento n. 1) anche se in un ritmo
molto dilatato, in qualche modo rappresenta la realtà storica; il coro più acuto insinua dissonanze e
movimenti oscillatori nella stabile architettura armonica, come qualcosa di evanescente che vuole
liberarsi, svincolandosi, dalla materia (Figura 21).
Mano a mano che si prosegue, il primo coro si fa più “presente” e invade lo spazio sonoro alla parola
«mortem». Da questo punto prende avvio la seconda sezione, della durata di 42 battute e
comprendente i due versetti «sustinete hic, et vigilate mecum: nunc videbitis turbam, quae
circumdabit me» che è caratterizzata da una maggior concitazione. La scrittura a cori battenti è
desunta dal frammento n. 3, ma lo stretto, l’accelerazione ritmica e la progressiva ascesa portano a
un punto di massima drammaticità sulle parole «et vigilate mecum»; dopo questo episodio la
compattezza sonora si sgretola e la sonorità “collassa”, ricadendo nel grave in serpeggianti vocalizzi
(Figura 22).
Anche in questo brano compaiono i trilli disordinati, affidati al secondo coro, che con il loro fremito
agitano il tranquillo incedere del primo coro che riprende il frammento n. 1 (Figura 23).
Nella terza sezione, di nuovo calma, emergono poco alla volta elementi più luminosi e pacificanti.
Subito il brano assume un clima espressivo di commossa umanità in corrispondenza delle parole «et
ego pro vobis».
Nel finale i due cori poco alla volta si dissociano: il secondo affonda nel grave e in ambiti tonali scuri,
dissolvendosi in stanche oscillazioni, una sorta di rappresentazione sonora della discesa nella morte; il
primo rimane fisso su un chiaro accordo di sol maggiore, insistendo sulle parole «pro vobis», a
simboleggiare il perdurare dell’amore divino al di là della morte.
Queste composizioni riescono a lasciare intatta l’intensità emotiva e l’unitarietà del rapporto testomusica praticata dai grandi maestri del Rinascimento. Il grande rispetto nel mettere mano ai
capolavori contrappuntistici del Cinquecento fa in modo che ci venga restituita in sonorità
assolutamente moderne tutta la forza comunicativa dell’originale storico; la sua trasformazione non
fa perdere coerenza e intensità ma aggiunge una nuova dimensione espressiva. Il meccanismo del
canone e dell’imitazione trasforma il principio fisico dell’eco e della risonanza in quello psichico del
sogno e del ricordo, in una sovrapposizione di piani spazio-temporali molto efficace e avvincente.
34
LA MESSA DA REQUIEM
DI GIUSEPPE VERDI
GENESI E INTRODUZIONE ALL’ASCOLTO
LA MESS
REQUIEM
di Piero Monti
DIRETTORE DEL CORO
DEL TEATRO MASSIMO
DI PALERMO E MEMBRO
DELLA COMMISSIONE
ARTISTICA FENIARCO
«Un gran nome è scomparso dal mondo! Era la
riputazione la più estesa, la più popolare
dell’epoca nostra, ed era gloria italiana! Quando
l’altra che vive ancora non sarà più, cosa ci
resterà? I nostri ministri, e le gesta di Lissa e
Custoza!».1
Questo che Verdi scrisse il 20 novembre 1868
all’amica Contessa Clara Maffei ci serve per
capire la storia della genesi della sua Messa da
Requiem: la gloria appena scomparsa era
Gioachino Rossini morto a Parigi il 13 novembre,
l’altra ancora vivente era Alessandro Manzoni.
Quattro giorni dopo, Verdi scrisse al suo editore
Ricordi una lettera in cui lanciava una proposta:
«Ad onorare la memoria di Rossini vorrei che i
più distinti Maestri italiani (Mercadante a capo, e
fosse anche per poche battute) componessero
una Messa da Requiem da eseguirsi
all’anniversario della sua morte… Questa
composizione (per quanto ne possano essere
buoni i singoli pezzi) mancherà necessariamente
d’unità musicale; ma se difetterà da questo lato,
varrà nonostante a dimostrare, come in noi tutti
sia grande la venerazione per quell’uomo, di cui
tutto il mondo piange ora la perdita».2
Naturalmente questa idea fu accolta
entusiasticamente da tutti; la notizia, riportata
persino su giornali francesi, inglesi, tedeschi e
russi, ricevette l’appoggio del comune e
dell’Accademia Filarmonica di Bologna; una
commissione appositamente costituita scelse
tredici compositori per questa “Messa per
Rossini”, compreso ovviamente Verdi a cui fu
affidato l’ultimo brano, il responsorio Libera me.
Ma se i musicisti compirono nei tempi previsti il
loro dovere, coloro che dovevano poi organizzare
tutto il resto non furono altrettanto solerti e,
avendo fatto partire la “sottoscrizione artistica”
solo a ottobre, non fecero in tempo a trovare
risorse sufficienti per l’organizzazione della
NOVA ET VETERA
serata e per pagare orchestra, coro e cantanti: la
commemorazione saltò con grande amarezza e indignazione
di Verdi.
Tutto il materiale fu chiuso nei magazzini di Ricordi e là è
rimasto fino al 1970 quando fu ritrovato da David Rosen
durante i lavori per l’edizione critica della Messa da Requiem
di Verdi, mentre la prima esecuzione ebbe luogo nel 1988 con
Helmuth Rilling alla testa della Radio-Sinfonieorchester e la
Gächinger Kantorei di Stoccarda e il Coro Filarmonico di Praga.
Fu fatta anche una registrazione che, per quel che mi risulta,
è l’unica (due CD dell’etichetta Hänssler Classic). Devo
concordare con ciò che Verdi aveva pronosticato riguardo il
valore musicale: forse l’unico motivo di interesse è l’ascolto
del brano verdiano.
Dopo il fallimento dell’iniziativa per Rossini, Verdi si dedica
alla scrittura di Aida che verrà eseguita a Il Cairo nel dicembre
’71 dopodiché, a parte il lavoro di revisione di due opere
precedenti, Simon Boccanegra e Don Carlos, passarono 16
anni prima che una nuova opera, Otello, venisse
rappresentata. Forse considerava finita la propria carriera? A
58 anni pensava di essere vicino alla morte e si prendeva un
tempo per meditare sulla futura fine? Come Rossini (che nei
suoi ultimi anni a Parigi aveva scritto Stabat Mater e Petite
Messe solennelle) pensava di chiudere la carriera
avvicinandosi alla musica sacra, omaggio a una convenzione
consolidata tra i compositori d’opera quasi si volesse
attribuire alla musica sacra una nobiltà, un grado più elevato
nella gerarchia degli stili? Fatto sta che probabilmente l’idea di
scrivere un “suo” Requiem lo stuzzicava/tormentava/attirava
se dopo qualche anno (e siamo agli inizi dell’83) chiese a
Ricordi di restituirgli la partitura del Libera me, cosa peraltro
inusuale per Verdi che non provava attaccamento per i propri
autografi. E quando il 22 maggio di quell’anno morì
Alessandro Manzoni, all’indomani scrisse a Ricordi
dichiarando: «Sono profondamente addolorato della morte del
nostro Grande! Ma io non verrò domani a Milano ché non
avrei cuore d’assistere ai suoi funerali. Verrò fra breve per
visitarne la tomba, solo e senza essere visto, e forse (dopo
ulteriori riflessioni, e dopo aver pesate le mie forze) per
proporre cosa ad onorarne la memoria…».3
La proposta arrivò il 3 giugno: «Io pure vorrei dimostrare
quant’affetto e venerazione ho portato e porto a quel Grande
che non è più, e che Milano ha tanto degnamente onorato.
Vorrei metter in musica una Messa da morto da eseguirsi
l’anno venturo per l’anniversario della sua morte. La Messa
avrebbe proporzioni piuttosto vaste, ed oltre ad una grande
orchestra ed un grande Coro, ci vorrebbero anche (ora non
potrei precisarlo) quattro o cinque cantanti principali…».4
L’esecuzione ebbe luogo nella chiesa di San Marco, scelta da
Verdi su una rosa di quattro per la sua acustica e per la
facilità di disporre coro e orchestra, il 22 maggio 1874,
all’interno di una celebrazione che alternava i numeri musicali,
diretti dallo stesso compositore, alla celebrazione liturgica di
una Messa “secca” (cioè senza consacrazione del pane e del
vino). Su due gradinate predisposte per l’occasione sotto la
35
cupola furono collocati l’orchestra, a sinistra, e il coro; per
ammettere a cantare in chiesa le donne, cosa che per Verdi
era di fondamentale importanza, fu chiesta apposita
autorizzazione all’arcivescovo, che la concesse a condizione
che «fossero nascoste da una grata, da un orlo, o simile».5 Si
soddisfecero i dettami vestendole con un vestito intero nero e
coprendo il capo con un ampio velo da lutto.
La partitura eseguita6 era identica a quella che oggi noi
conosciamo eccetto per un episodio, il Liber scriptus, che era
una fuga a 4 voci per coro e che invece, dal maggio dell’anno
successivo, fu cambiato con quello che oggi sentiamo cantare
dal mezzo soprano. Il cambiamento dipese dal fatto che in
quella tournée Verdi aveva a disposizione una cantante di alto
valore, che era l’unica voce del quartetto di solisti a non avere
un assolo, e che non era soddisfatto della riuscita musicale
della vecchia versione (cosa su cui concordo pienamente;
queste sono le prime battute, il soggetto e il controsoggetto
sono poco più che scolastici)
SSA DA
EM
La Messa è divisa in sette brani che corrispondono alle varie
parti della Messa per i defunti del messale romano di cui
mancano il graduale («Requiem aeternam… In memoria
aeterna…») e il tratto («Absolve Domine») mentre è presente il
Libera me che è parte dell’ufficio della sepoltura. La sequenza
Dies irae è internamente divisa molto nettamente in più
episodi, collegati fra loro da ponti modulanti.
Verdi apostrofò Ricordi, che aveva proposto di inserire in
frontespizio l’intestazione dei singoli pezzi, con queste parole:
«Voi volete fare della Messa, a quanto parmi, un’Edizione a
pezzi come si usa per le opere!!... Non mi par bello sentire
quest’odore di Arie, Duetti, Terzetti, Quartetti…».7 Era infatti
intenzione del compositore allontanarsi formalmente dallo stile
operistico, e anche la semplice richiesta di voler specificate
nelle didascalie dei brani le diciture Sanctus, fuga a due cori
oppure Libera me, per soprano e Cori e fuga finale rivela la
volontà di evidenziare le differenze stilistiche tra la Messa e
un’opera teatrale.
L’organico orchestrale è composto da ottavino, 2 flauti, 2 oboi,
2 clarinetti, 4 fagotti, 4 corni, 4 trombe, 3 tromboni, oficleide
(strumento a fiato della famiglia degli ottoni, il cui nome
36
Non sappiamo come Verdi volesse la disposizione: oggi la
scelta spetta al direttore d’orchestra e, per mia esperienza
personale, in genere quasi tutti scelgono la classica.
Contrariamente a come si esegue oggi, senza interruzioni da
capo a fondo, Verdi era solito fare un intervallo dopo il Dies
irae e se c’erano molti applausi dopo un brano non
disdegnava bissarlo.
significa “serpente a chiavi”, derivato dall’antico serpentone,
oggi generalmente sostituito dal basso tuba), timpani, gran
cassa, archi più altre 4 trombe “in lontananza”. Un tale
organico di fiati viene oggi bilanciato da 60 archi (è il numero
che generalmente hanno le orchestre sinfoniche, divisi in 16
violini primi, 14 secondi, 12 viole, 10 violoncelli e 8
contrabbassi). Un buon equilibrio con questi 85 suonatori si
ottiene con un coro di almeno 100 cantori se la loro
impostazione vocale è di tipo lirico (con un’ottantina si può
fare ma viene un po’ a soffrirne il doppio coro del Sanctus);
con coristi senza questo tipo di impostazione ne servono
molti in più (a Londra l’ho eseguita con
240). Non c’è una disposizione ideale del
coro, in quanto la classica
T1 T2 B1 B2
S1 S2 A1 A2
Il primo numero della Messa, Requiem e Kyrie, a quattro parti
SATB e coro, inizia con un assolo dei violoncelli con sordina
appena percettibile, cui rispondono tutti gli archi sempre con
sordina mentre il coro bisbiglia sotto voce (sul fiato), prima gli
uomini e poi le donne, la parola «Requiem»; il testo «Dona eis
Domine» viene cantato da pochi soprani sull’intervallo di
seconda discendente, il tema verdiano del dolore, che tante
volte ha usato nelle sue opere, mentre le parole «Lux
perpetua» sono madrigalisticamente sottolineate dal luminoso
passaggio dalla tonalità di la minore a la maggiore. La musica
di questo primo episodio è esattamente quella del Requiem
aeternam che il soprano solo e il coro cantano a cappella nel
Libera me composto sei anni prima per la messa per Rossini.
Una cadenza d’inganno ci porta al fa maggiore del Te decet
hymnus intonato dal coro a cappella, volutamente imitazione
dello stile Palestrina, cui segue la ripresa del Requiem iniziale.
Questa forma tripartita A-B-A con la parte centrale
contrappuntistica è identica alla struttura del Kyrie della Petite
Messe Solennelle di Rossini, sottolineando una volta di più la
forte connessione tra questa Messa e la defunta gloria
Speranza, rassegnazione,
raggiungimento di una pace interiore?
è funzionale per tutta la composizione ma
non per il Sanctus a doppio coro, quella
T1 B1 B2 T2
S1 A1 A2 S2
rende bene spazialmente il doppio coro ma è molto pericolosa
poi per l’insieme delle corde di soprani e tenori specialmente
nell’altra fuga a 4 voci. Un’altra possibile è
S2 A2 T2 B2
S1 A1 T1 B1
che tiene compatte le sezioni e divisi i due cori, ma in pratica
la spazializzazione non è così evidente e l’amalgama tra le
quattro corde in tutto il resto della composizione non è
ottimale.
italiana. E non posso non ricordare che Verdi si era sempre
dedicato assiduamente allo studio della musica antica e che
nella lettera che il 4 gennaio 1871 scrisse all’amico Florimo,
declinando l’invito a divenire Direttore del Conservatorio di
Napoli, suggerisce ai giovani alunni: «Esercitatevi nella Fuga
costantemente, tenacemente, fino alla sazietà, fino a che la
mano sia diventata franca e forte a piegar la nota al voler
vostro. Imparerete così a comporre con sicurezza, a disporre
bene le parti ed a modulare senz’affettazione. Studiate
Palestrina e pochi altri suoi coetanei. Saltate dopo a
Marcello… Torniamo all’antico, sarà un progresso».8
«Due tipi di Messa funebre si sono venuti delineando nella
musica dell’Ottocento, da quando, cioè, l’esercizio della
composizione religiosa è divenuto oggetto di libera elezione
dell’artista anziché obbligo professionale. Uno è il tipo di
Requiem che si potrebbe descrivere, in modo approssimativo,
come elegiaco e, principalmente, rassegnato: la morte vi è
NOVA ET VETERA
sentita senza ribellione, in qualche caso persino come un
porto di quiete al quale sarà dolce approdare, una volta finita
l’insensata fatica terrena (Brahms, Fauré…)… Tutt’altra la
concezione che si potrebbe chiamare latina del Requiem
(Berlioz, Cherubini…) scritto ante mortem… Protagonista ne è
l’uomo vivo, non il defunto, e il luogo dell’azione ne è questa
terra, non l’al di là».9
Se poteva esserci qualche indecisione in quale tipo incasellare
quello di Verdi, il primo accordo di sol minore del Dies irae
fuga qualsiasi dubbio: il mondo esplode tra tuoni e fulmini e
l’uomo urla tutta la sua disperazione per la fine del mondo
con scale prima cromaticamente discendenti e poi
diatonicamente terzinate (quando insegno questo brano mi
chiedo sempre che tipo di voci di contralto doveva esserci
all’epoca di Verdi: guardate la partitura alle batt. 5-8, come è
possibile sentire gli alti in quel registro raddoppiati dai tenori
secondi e con tutta l’orchestra che suona ff? Io, seguendo
una tradizione che risale a Toscanini, tengo tutti i soprani sul
sol acuto fermo e mando gli alti a cantare la parte cromatica,
ottenendo così un risultato sonoro di grande impatto). Pagina
di grandi contrasti, dal cataclisma iniziale al terrore appena
bisbigliato del Quantus tremor, al giorno del giudizio
annunciato in tutto l’universo dagli squilli degli ottoni: per
dare a chi ascolta la sensazione di essere realmente coinvolto,
di non poter sfuggire alla giustizia divina, con un colpo da
37
vero uomo di teatro dispone “in lontananza ed invisibili” 2
trombe a destra e 2 a sinistra che dialogano con le 4 in
orchestra accerchiando così il pubblico; quando, oltre a
queste, si aggiungono i 3 tromboni, il basso tuba, 4 corni e il
timpano sembra di poter toccare con le mani il suono sparso
dalla Tuba mirum. Anche in questo caso è necessario
raddoppiare i bassi con i tenori e i soprani con gli alti che
altrimenti verrebbero travolti da questa valanga di suono.
L’episodio, che si chiude seccamente portandoci
armonicamente a una relazione di tritono (mi bemolle/la) con
una velocissima scala ascendente “tronca” dei legni, ottavino
in testa (anche questa tipicamente verdiana, da qualcuno
definita una “sferzata”) e con una lunga pausa, lascia
l’uditorio sbalordito, quasi l’uscita dei morti dai sepolcri si
fosse realmente materializzata di fronte a lui. E nel silenzio
che segue, il basso canta appunto, anzi è più corretto dire
recita, «Mors stupebit».
Ecco ora il brano scritto per il mezzo soprano Waldmann,
Liber scriptus, che nella sua solenne ieraticità ci mostra il
giudice supremo che apre il libro da cui il mondo sarà
giudicato, lasciando nulla di impunito. Notiamo come sulla
parola «nil» usi un altro madrigalismo, forse fin troppo
scontato, ma comunque assai efficace: una rarefazione della
musica, allungamento delle pause fino a un lungo silenzio.
Voglio ricordare come Verdi continuamente sottolineasse che
«non bisogna cantare questa Messa come si canta un’opera,
e quindi i coloriti che possono essere buoni al Teatro, non mi
accontenteranno affatto affatto. Dicasi così degli accenti
et.et.».10 Guardate l’indicazione che dà al coro quando ripete
come un’ossessione durante il canto del mezzo soprano le
parole «Dies irae»: pppppp estremamente piano con voce
cupa e tristissima (ricorderò sempre che Muti chiese al mio
coro del Maggio musicale fiorentino di cantare queste quattro
note “tra i denti”…).
Dopo la ripresa della seconda parte del Dies irae il coro si
siede per lasciare cantare a soprano, alto e tenore Quid sum
miser: il canto dei solisti si muove, quasi cantus firmus, sopra
una linea melodica di semicrome del primo fagotto che li
«Torniamo all’antico,
sarà un progresso».
accompagna per tutto il brano, lasciandoli poi soli alle ultime
otto battute quando improvvisamente il coro si rialza in piedi
sul possente attacco dei bassi Rex tremendea majestatis
sommergendo l’ultima nota del soprano. Le prime tre note
della melodia cantata per primo dal basso alla nona battuta
del brano diventeranno la chiusa dell’episodio, ripetute a
imitazione da tutte le sezioni del coro e dai solisti e in
progressione ascendente coprendo così un’estensione di quasi
38
atmosfera più meditativa e rilassata di quella fino a ora
vissuta. Bellissima la parte centrale Hostias et preces tibi che
il tenore canta a mezza voce su un tremolo fitto dei violini e
viole e su un controcanto dei violoncelli. Il testo «Quam olim
Abrahae» è, assecondando la tradizione, in stile imitativo.
Il Sanctus è una fuga reale a due cori, il brano più brillante di
tutta la Messa; dopo la solenne fanfara introduttiva ecco
l’esposizione del tema assai vivace in fa maggiore. Il primo
coro lo presenta nella sequenza S, A, T, B, mentre il secondo
coro, con la stessa sequenza, canta un contrappunto al tema
principale, per cui si può anche definire come doppia fuga;
finita l’esposizione del primo coro si invertono le parti, i S2 e
A2 cantano rispettivamente la quinta e la sesta esposizione
del primo tema mentre le rispettive dell’altro coro
contrappuntano col secondo tema, fino qui nel pianissimo.
Con la settima esposizione dei T2 inizia una serie di stretti e
divertimenti tra i due cori, i primi f sulle parole «Hosanna in
excelsis», gli altri pp col tema in tono minore del Benedictus,
e il gioco contrappuntistico tra le voci si spegne gradatamente
rarefacendo le entrate e la sonorità. Praticamente la fuga si
ferma qui e ora inizia un dolcissimo episodio a note lunghe
pp tra i due cori: al primo che canta «Pleni sunt coeli et terra»
risponde il secondo con «Hosanna», quasi il cielo e la terra
dialogassero, contrappuntati da una fioritura di crome degli
archi e legni. L’ultimo «Hosanna» accompagnato da
un’inondazione di scale cromatiche all’unisono di tutti gli
strumenti conclude in maniera pomposamente festosa il
brano.
tre ottave che ci danno l’idea di un’accorata supplica
universale.
Nuovamente il coro si siede perché seguono tre episodi
solistici, il duetto delle donne Recordare Jesu pie, l’aria del
tenore Ingemisco e quella del basso Confutatis maledictis, le
cui rispettive tonalità di fa maggiore, mi bemolle maggiore,
do diesis minore/mi maggiore sono abilmente collegate da
ponti modulanti che danno a tutta la sequenza assoluta
continuità e unitarietà; l’ultima cadenza del basso sulle
armonie mi minore/si maggiore risolve ingannevolmente su
sol minore per la ripresa del Dies irae iniziale che conduce
all’ultimo episodio, Lacrymosa, che riunisce nuovamente coro
e soli nella perorazione finale. Il bellissimo tema di questa
ultima sezione è l’unico caso a me noto di autoplagio
verdiano: è infatti stato preso da un duetto con coro maschile
del quarto atto di Don Carlos della prima versione parigina,
che però fu eliminato dall’opera nel corso delle prove per cui,
non essendo mai stato ascoltato, Verdi non ebbe problemi a
riciclarlo. La tonalità di si bemolle minore della lamentazione
si distende alle ultime battute quando sulle parole «dona eis
requiem» diventa maggiore, portando così la sequenza
iniziata in sol minore a risolvere sulla sua relativa maggiore.
L’offertorio a quattro voci sole inizia con una melodia
arpeggiata dei violoncelli in la bemolle maggiore, assai
insidiosa anche per le migliori orchestre, che ci porta in una
Dal fa maggiore ff eseguito da circa 200 esecutori si passa
alla melodia in do maggiore dell’Agnus Dei cantato dolcissimo
senza accompagnamento a distanza di un’ottava dalle due
soliste: un tema semplicissimo, arcaicizzante, cui rispondono
coro e orchestra, anche loro con la sola linea melodica a
ottave, senza armonie, una scelta che trasmette
immediatamente il senso di Requiem, di Pacem. Il secondo
Agnus ritorna alle soliste che espongono lo stesso tema in
modo minore accompagnate da un contrappunto di flauto e
clarinetto; la nuova risposta delle masse riporta il tono
maggiore e la linea melodica viene armonizzata. Per la terza
volta la stessa alternanza tra soliste, accompagnate solo da
un contrappunto di tre flauti di difficile esecuzione per
l’insieme e l’intonazione, e il coro cui segue la breve coda
sulle parole «requiem sempiternam».
I tre solisti, ATB, che cantano il brano per la comunione Lux
aeterna devono essere assolutamente sicuri nell’intonazione,
perché i due episodi a cappella che Verdi scrive loro sono sì
brevi ma armonicamente non semplici e costellati di
alterazioni, motivo questo per cui spesso si sentono
esecuzioni terrificanti in quei punti.
La Messa si conclude con il primo brano composto da Verdi, il
Libera me scritto anni prima per Rossini. Confrontando le due
NOVA ET VETERA
39
(dal fa diesis grave al do sopracuto) la supplica Libera me
Domine de morte aeterna. E l’ateo, miscredente, il materiale
uomo Verdi chiude con queste parole la sua messa da morto
usando l’accordo di do maggiore; la lunga composizione (in
totale quasi un’ora e mezza), iniziata in la minore, termina
sulla sua relativa maggiore.
Speranza, rassegnazione, raggiungimento di una pace
interiore? Chissà…
Certo è che, dopo una esecuzione particolarmente intensa
musicalmente, mi capita di essere disturbato dagli applausi:
forse sarebbe meglio, spentosi l’ultimo accordo pppp
morendo, che si restasse in silenzio rispettando quel bisogno
di intimità interiore che Verdi ha cercato per sé, e per noi.
versioni si nota che Verdi ha apportato molte variazioni,
alcune semplicissime come piccoli cambi di ritmo o di alcune
note, altre più evidenti come tutta la prima parte del Dies
irae che all’interno del brano viene ripreso per la quarta
volta. È affascinante, e anche un po’ commovente, vedere
che, come la mano del Maestro con un piccolo tratto
perfeziona il compito dell’allievo, anche il sessantunenne
compositore si mette in discussione trovando soluzioni più
semplici ma artisticamente migliori.
Avendo a disposizione per la celebrazione manzoniana un
soprano con più facilità negli acuti rispetto a quella che
avrebbe dovuto cantare per Rossini, ha trasportato l’episodio
in cui lei canta a cappella col coro mezzo tono sopra, da la a
sib minore; l’effetto che ne risulta è di così maggiore
morbidezza e rotondità che mi chiedo se il motivo sia
solamente quello contingente dell’esecutore piuttosto che un
ripensamento sul colore risultante. Come già avevo
accennato, il brano a cappella nella sua tonalità iniziale è
stato utilizzato per iniziare la Messa, e la sensazione che si
ha all’ascolto è proprio della chiusura di un percorso, che
circolarmente ci riporta all’inizio di tutto.
Ma ecco che l’uomo Verdi non si rassegna, si ribella, e scrive
ancora una fuga dove fa gridare in tutta l’estensione possibile
Avrei voluto raccontare agli amici di Choraliter qualcosa sugli
altri brani corali scritti da Verdi, il Pater noster a 5 voci a
cappella e i Quattro pezzi sacri che sono un’Ave Maria a 4
voci a cappella, Stabat Mater con orchestra, Laudi alla
Vergine per coro femminile a cappella e Te Deum anche
questo con orchestra, brani scritti separatamente nel tempo
ma per lunga tradizione generalmente eseguiti insieme in
questo ordine, ma mi sono dilungato nel parlare della
Messa. Consiglio comunque chi non li conoscesse di
ascoltarli, credo che per tanti potrà essere una piacevole
scoperta.
Nelle foto:
la chiesa di San Marco a Milano
Note
1. A. LUZIO E G. CESARI (a cura di), I Copialettere di Giuseppe Verdi,
Milano 1913.
2. C.M. MOSSA, Messa per Rossini, vol. 5 dei Quaderni dell’Istituto
di studi verdiani, pag. 57.
3. I Copialettere, CCXLVII, pag. 84.
4. F. ABBIATI, Giuseppe Verdi, 3° vol., pag. 643.
5. Appunto del 20 aprile nel diario di Don Michele Mongeri,
proposto della chiesa di San Marco.
6. Chi volesse proseguire la lettura seguendo la musica, può
trovare e scaricare la partitura completa, lo spartito canto e piano
versione 1874 e quello della definitiva versione 1875 a questo link:
http://imslp.org/wiki/Requiem_%28Verdi,_Giuseppe%29
7. Lettera dell’8 aprile a Giulio Ricordi.
8. I Copialettere, CCI, pag. 232-233.
9. M. MILA, L’arte di Verdi, pag. 257.
10. Lettera del 26 aprile a Ricordi.
DUM CLAMAREM
DUM
di Michele Lomuto
La guida all’ascolto del disco
è disponibile sul sito
www.feniarco.it alla sezione
editoria / choraliter
Com’è ormai consuetudine, il numero di dicembre di Choraliter offre ai suoi lettori
un’interessante proposta discografica, che arricchisce attraverso il suono i contenuti e gli
approfondimenti della rivista.
Quest’anno abbiamo il piacere di presentare l’ultima incisione del Mediæ Ætatis Sodalicium,
coro gregoriano femminile diretto da Nino Albarosa. Un progetto discografico voluto e
realizzato da una delle nostre associazioni regionali, l’Usci Friuli Venezia Giulia, in
collaborazione con Feniarco, e di imminente pubblicazione sotto l’etichetta discografica Tactus.
Per meglio comprendere il contenuto del disco, riportiamo di seguito la presentazione del disco
pubblicata nel booklet dell’edizione curata da Tactus, che con l’occasione desideriamo
ringraziare per la preziosa collaborazione e disponibilità.
A tutti, buon ascolto!
Per corporalia ad incorporalia
La bellezza mi commuove, ma mi proietta oltre, non mi lascia permanere in un atteggiamento
puramente estetico. Le emozioni si intrecciano a pensieri e a ricordi.
Il primo ascolto del Mediæ Ætatis Sodalicium è stato per me illuminante in relazione all’idea che
avevo di canto sacro: ancor prima di un ricorso a ragioni storico filologiche, l’esito interpretativo
proposto da Nino Albarosa si dimostrava da sé come apertura di infiniti orizzonti di senso.
Ricordo che mi tornava alla mente il verso di Alano di Lilla: In hac Verbi copula stupet omnis
regula. La resa della ragione mondana al cospetto del mistero dell’incarnazione del Verbo si
rappresentava musicalmente. La parola divina si incarnava nel canto.
Parola che oggi continua a risuonare nella sua missione kerigmatica anche in una registrazione
discografica, sfidando la “perdita dell’aura” provocata dalla riproduzione tecnica dell’opera,
Tempo totale 69'16"
DOLORE E SPERANZA NEL CANTO GREGORIANO
CHORALDISC
sfidando la perdita dell’hic et nunc della sua collocazione
spazio temporale. Perdita che inoltre cancella tutti i sensi
tranne l’udito, mentre il perfetto unisono aveva già cancellato
le tracce dei caratteri individuali.
Si fa strada fra i miei pensieri la testimonianza di S. Agostino,
la sua commozione all’udire i canti della Chiesa riunita in
Milano, ma non posso non confrontarmi con le sue
preoccupazioni.
«Tamen cum mihi accidit, ut me amplius cantus quam res,
quae canitur, moveat, poenaliter me peccare confiteor et tunc
mallem non audire cantantem». (Confessiones, X, 33, 50)
L’ascolto del Mediæ Ætatis Sodalicium mi porta a
interrogarmi: non ho avvertito alcuna preoccupazione di poter
essere mosso “più dal canto che dalle parole cantate”, perché
non è questo l’esito cui da queste voci potrei essere condotto.
Nel mio ascolto il canto è inseparabile dalla parola divina, la
musica non è un ornamento estetico isolabile e godibile per
sé.
Il canto sacro si rivela – per il mio ascolto senza riserve
– come pratica orientata a elevarsi al cielo, esperienza che
consente all’uomo di passare per corporalia ad incorporalia,
dalla realtà sensibile e corporea a quella sovrasensibile,
incorporea e spirituale.
Radicandosi nei livelli più profondi delle strutture percettive,
l’esperienza di ascolto evolve fino ai più alti livelli
dell’astrazione, dell’intelligenza logico formale. A condizione,
naturalmente, di riuscire a tener vivo l’intreccio dialogico fra il
puro piacere dell’ascolto e l’anelito della fides quaerens
intellectum. Solo isolando il respiro del corpo dal respiro
41
dell’anima che anela a innalzarsi a Dio si lascia spazio alla
voluptas che tanto preoccupava S. Agostino, strumento di
strategia diabolica, il più pericoloso diabolus in musica.
Contrastarlo richiede grande intelligenza interpretativa e
grande tecnica: ecco ciò che rende uniche queste
straordinarie voci, coordinate dalla profonda musicalità di
Nino Albarosa.
Qui tecnica vocale e tecnica direttoriale recuperano il senso
originario della techne come arte, dis-velamento, produzione
del bello come pro-duzione del vero. Non lasciano traccia di
strumentalità funzionale perché talmente musicali da essere
già musica allo stato nascente. Il respiro del corpo non si
presenta come strumento al servizio del canto perché è già
respiro dell’anima, respiro musicale.
La tecnica così intesa ci rivela musicalmente il desiderio di
ascesa dell’anima innamorata di Dio nel modo in cui offre
all’ascolto il percorso di liberazione dai turbamenti delle
passioni e dagli appetiti del corpo.
Se la pratica musicale è comunque nella sua essenza
gestione del rapporto tensione-distensione, l’ascolto del
Mediæ Ætatis Sodalicium ci permette di vivere l’esperienza di
una tensione continua verso l’alto attraverso un’articolazione
di frase in cui l’appoggio ritmico e agogico non è mai
“pesante”. L’appoggio della tesi è già slancio dell’arsi e il
dolore si alleggerisce, così, dal peso della disperazione
nell’invocazione di speranza.
DUM CLAMAREM
Dolore e speranza nel Canto Gregoriano
Mediæ Ætatis Sodalicium - direttore, Nino Albarosa
Registrato presso l’Abbazia
di Rosazzo (Manzano, Ud)
nel mese di giugno 2012
Registrazione, editing e master
Pietro Tagliaferri
Printed in Italy for Feniarco ‫ ۔‬2013
© Tactus s.a.s., Bologna 2014
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12-13.
14-15.
16-17.
18-19.
Hymnus
Benedictus es Dominus
Introitus
Dum clamarem
Graduale
Iacta cogitatum tuum
Alleluia
Deus iudex iustus
Offertorium
Precatus est Moyses
Communio
Acceptabis
Introitus
Misericordia Domini
Graduale
Adiutor in opportunitatibus
Alleluia
Exsultate Deo
Offertorium
Iubilate Deo universa terra
Communio
Unam petii
Antiphonae finales [tono semplice e tono ornato]
Alma, Redemptoris Mater
Ave, regina caelorum
Regina caeli, laetare, Alleluia
Salve, regina
7’28”
4’34”
3’58”
2’57”
9’39”
2’47”
2’12”
6’16”
2’53”
8’03”
4’17”
3’08”
2’33”
2’32”
4’52”
Feniarco in collaborazione con Arcova e
European Choral Association - Europa Cantat
presenta
european
seminar
for
young
composers
choral composers today
Il Seminario europeo è una masterclass professionale
su composizione e arrangiamento per coro, che ha luogo a Aosta,
città dominata da importanti montagne e circondata dalla natura.
I partecipanti avranno la possibilità di provare i loro nuovi lavori sul campo,
grazie alla presenza di due cori laboratorio.
Il corso termina con l’esibizione di alcune nuove opere selezionate dai docenti.
I laboratori
Bottega di composizione originale
ed elaborazione-arrangiamento
docente Vytautas Miškinis (Lituania)
Bottega di
arrangiamento vocal pop e jazz
docente da confermare
Bottega di
composizione per cori di bambini
docente Piero Caraba
Bottega di
sperimentazione-esecuzione
docente Davide Benetti (coro misto)
e Luigina Stevenin (coro di voci bianche)
Iscrizioni entro il 30 aprile 2014
AOSTA 20/26 luglio 2014
www.feniarco.it
informazioni
Feniarco - Via Altan, 83/4 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) - Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - [email protected]
CANTO POPOLARE
43
I CANTI DELLA RESISTENZA NELLA TRADIZIONE
POPOLARE PIEMONTESE
ROMANTICISMO RISORGIMENTALE
E MODERNIZZAZIONE DEL CONTESTO SOCIALE
di Ettore Galvani
ETNOMUSICOLOGO, PRESIDENTE ACP PIEMONTE E DIRETTORE DELL’ASSOCIAZIONE CORALE CARIGNANESE
La guerra non ha saputo dare che pochissimi canti di una
certa verità e di un certo carattere. A confronto con il
repertorio che si è venuto a formare negli anni prima della
guerra mondiale, il corpo delle canzoni militari dell’ultimo
conflitto è di una esiguità allarmante.
Nei casi migliori si è avuto una tardiva e incerta imitazione
dei modelli ormai classici e perfettamente assimilati della
guerra precedente, ma in un tono tetro e disperato. Le poche
pagine vive del canzoniere della guerra trascorsa sono quelle
dove il sentimento della morte sovrasta ogni altro
sentimento.
«È vero che alla guerra mussoliniana» scrive Pasolini «hanno
partecipato tutte le masse popolari della nazione: ma senza
possibilità di esprimersi, se non nel tono, e quando il tono
popolare è accertato, esso sarà sempre caratterizzato da
un’aria profondamente triste, funerea. È una guerra dominata
dalla “bandiera nera” del lutto, dalla morte inutile. Il terribile,
sordo lamento della povera armata Sagapò condotta al
massacro nel miserabile fango balcanico».
Nella ricorrenza del settantesimo anniversario della Resistenza
Italiana che principiò dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943 e
l’avvento, l’anno dopo, delle Repubbliche Partigiane1 delle
quali 7 su 17 all’interno del territorio piemontese, nasce
l’esigenza, o forse la curiosità, di fare il punto della situazione
sotto un profilo puramente etnomusicologico tralasciando
volutamente tutte le analisi e trattazioni politico-sociali che
sottendono all’argomento.
Partendo dall’affermazione di incipit tratta dal volume Canti
della Resistenza Italiana2 del 1960 a opera di Roberto Leydi,
con il particolare contributo di Pasolini, non si può non
introdurre la tematica del valore letterario e musicale delle
composizioni dell’epoca e porla a confronto con la tradizione
classica narrativa a sfondo epico lirico da cui trae la gran
parte della sua ispirazione.
Facendo capo all’affermazione precedentemente esposta,
nello svolgimento letterario di questo breve intervento,
porteremo ad esempio alcuni dei canti della resistenza
piemontese e, a ritroso, ripercorreremo il fil rouge della storia
riconciliando l’oral history del secondo dopoguerra con le
tradizioni epico liriche del territorio.
In questo senso il saggio di introduzione di Cesare Bermani3
agli atti del convegno di studi Canzoni e Resistenza4 è
esplicativo.
«A proposito del canto partigiano c’è un primo mito da
sfatare: che sia stato sufficientemente studiato. Su di esso,
infatti, si è fatta poca ricerca sul campo, e i numerosi
canzonieri della Resistenza prodotti dalle associazioni
partigiane o da gruppi politici, soprattutto della sinistra, ci
dicono poco su quanto effettivamente si cantasse in
montagna.
Nella maggioranza dei casi, infatti, quei canzonieri prima
sono stati fatti quadrare con la rivendicazione del valore
nazionale e unitario della Resistenza – arma utilizzata dalle
sinistre contro gli arresti di partigiani e le discriminazioni
anticomuniste del periodo scelbiano5 – e poi con l’ideologia
della Resistenza sviluppatasi con il centro-sinistra, che aveva
come corollario un’immagine oleografica e aconflittuale della
guerra di liberazione.
Sicché soltanto pochi canzonieri, tutti pubblicati nella prima
fase post resistenziale in cui operava ancora la gioia della
liberazione e uno spirito unitario nella differenza degli
orientamenti politici, hanno qualche utilità per conoscere che
cosa effettivamente si cantasse in alcune formazioni
partigiane».
A una lettura più attenta dunque degli scritti sull’argomento
editi fino al tramonto degli anni Ottanta si evincono eccellenti
strategie editoriali con contenuti ricomposti dalle edizioni
precedenti senza particolari apporti storico-musicali di
rilevanza.
Improntati fondamentalmente a rilanciare la lotta sociale del
“momento storico presente” sull’empatia generalizzata verso
il periodo 1943-45 e confinata in quel “mondo dei sentimenti
pubblici” guardato a lungo con sospetto per i tentativi di
utilizzare a fini di elaborazione storica i canti e i racconti dei
protagonisti, essi cercano di accattivarsi interessi e curiosità
attraverso una prosa popolare che non appartiene né come
ideologia né come spirito alla tradizione orale della
Resistenza.
In questo contesto si collocano molte opere editoriali che
trattano l’argomento Resistenza nella più ampia accezione del
termine superando i termini temporali precedentemente
enunciati e spaziando in una antologia di significati e
44
argomentazioni molto estesi e il più delle volte, come è
normale che succeda, a sfondo socio-politico. Cito ad esempio
l’opera Canzoniere della Protesta6 pubblicato tra il 1972 e il
1976 in cinque volumetti nei quali il secondo volume, Canti
della Resistenza armata in Italia, pur nella leggerezza della
pubblicazione stessa, è inserito in un contesto letterario
fuorviante e mescolato a titoli quali Canzoni Comuniste e La
linea rossa della canzone.
Ritornando sul nostro argomento dei canti resistenziali del
periodo del secondo conflitto mondiale troviamo forse la
prima pubblicazione in assoluto dei Canti della Resistenza in
Piemonte dal titolo Canta Partigiano7.
Pubblicato a Cuneo nel 1947 con le sue ridotte dimensioni e
le sue 40 pagine riporta, accompagnati alcune volte da un
piccola introduzione di collegamento storico con le varie
formazioni partigiane del luogo, 30 testi di canzoni rinvenute
sul territorio regionale.
Una breve e discreta introduzione apre la raccolta in modo
semplice, non facinoroso, senza legami e senza vessilli, con
una presa di coscienza che quello che era stato fatto andava
fatto per un bene superiore al sacrificio del singolo.
E in questa semplice retorica si scorge il messaggio di un
popolo abituato a lottare per la sua libertà facendo ritornare
a viva memoria i luoghi, i volti, i sogni e le aspettative dei
militi e dei caduti della Grande Guerra: la nostra Quarta
Guerra d’Indipendenza.
«Sono questi alcuni canti dei partigiani piemontesi: sono la
loro voce, le prime spontanee parole di una lingua nuova per
un mondo nuovo.
Vi palpita dentro in un canto, in un dolore, in un amore
ingenuo e fiero la giovinezza che vuole lottare, che, al di là
della rovina e della morte dei singoli, crede nella santa
eternità della vita, l’afferma, la conquista e con il sogno dei
suoi morti la costruisce. E se qualche volta la forma resiste e
ricalcitra – ebbene, al diavolo la forma!
Tutta l’anima della guerra partigiana sdegnosa d’indugio si
solleva dalla materia dell’onda della musica, e quest’anima
dai morti e dai vivi prorompe con questi
canti sulle terre e sulle piazze d’Italia».
Incredibile quanto il lavoro contenuto in
questa piccola pubblicazione abbia
indirizzato, contribuito e in un certo qual
modo contaminato le successive
pubblicazioni degne di nota tra le quali
Canti della Resistenza Italiana (op. cit.)
nella quale vi sono presenti 27 dei 30 canti
presentati nell’opuscolo e la pubblicazione
del 19858 dall’omonimo titolo di quella del
1960 ad opera di A. Virgilio Savona e Michele L. Straniero nel
quale ve ne sono 22.
Prima di addentrarci nell’esplorazione di alcuni dei canti che ci
riporteranno agli stadi della canzone epico-lirica dei primi del
Novecento ci sembra doveroso esplicitare il lavoro condotto
negli ultimi anni nel cercare di fare chiarezza sui canti
resistenziali ascritti al periodo.
In varie forme la ricerca etnomusicologica si è orientata allo
studio dell’oral history dell’epoca per cercare d’interpretare e
dare risalto a una parte importante di quella branca definita
come “canti sociali” e verso la quale non sempre si ha la
lucidità sociale e soprattutto politica dell’oggettività dei fatti.
Settant’anni possono essere tanti ma di fronte a determinati
avvenimenti sono solamente un granello di sabbia della
A proposito del canto partigiano c’è
un primo mito da sfatare: che sia
stato sufficientemente studiato.
clepsamia9 della storia ed evoluzione di un popolo.
Ci sembra rilevante in questo senso riportare un’affermazione
di Roberto Battaglia10 tratta dalla sua Storia della Resistenza
italiana del 1953: «[…] esistono i documenti [scritti] della
Resistenza da studiare, ma non dobbiamo farci prendere dal
feticismo dei documenti. Chi di noi ha scritto quei documenti
sa che in essi non vi era tanto la preoccupazione di accertare
CANTO POPOLARE
la verità, quanto uno scopo immediato, propagandistico, di
lotta, per cui si dicevano talune cose, magari sottolineandole
e se ne tacevano altre, non bisogna credere cioè che la storia
della Resistenza sia inesplorata perché ancora chiusa negli
archivi. Questo non è vero, questo è un errore gravissimo
tanto più che poi hanno pensato i tedeschi a sfoltire
notevolmente i nostri archivi. Su alcuni periodi della
Resistenza, su documenti di intere formazioni, sappiamo poco
[…] l’unica possibilità reale di scrivere questa storia è appunto
di avvicinarsi ai suoi protagonisti autentici, […] su un piano
che non sia quello del sociologo distaccato […] ma quello di
stabilire una collaborazione direi affettuosa tra chi interpreta
e chi risponde. Questo è l’unico metodo…».
Affermazioni importanti, viatico di studio e di ricerca, che in
una certa forma avvicinano lo studio delle tradizioni orali a
una struttura oggettiva della riproposta storica del “momento
presente” elevando la veduta da soggettiva a una
elaborazione collettiva di condivisione di idee e intenti tipica
del canto popolare.
Parlando di canto popolare e ritornando al nostro volumetto
che ci regala uno spaccato della tradizione orale partigiana
piemontese ci soffermiamo su alcuni canti contenuti nella
raccolta, partendo dal primo che l’editore cuneese utilizza
come apertura della sua piccola antologia, e del quale vi
riportiamo introduzioni e parole.
Pietà l’è morta
Fu la divisa e il canto della I Divisione Alpina G.L. (Giustizia e
Libertà).
La canzone riprende e svolge il motivo “alpino”
congiungendo idealmente l’alpino morto in Russia col
partigiano che combatte nelle valli italiane.
Intuizione felice: che veramente i partigiani sono gli eredi e i
continuatori della magnifica tradizione di quegli alpini, che su
tutti i campi di battaglia han dimostrato di essere fra i
primissimi soldati del mondo.
Va cantata sull’aria di “Sul ponte di Perati, bandiera nera…”.
Lassù sulle montagne Bandiera nera,
L’è morto un partigiano nel far la guerra.
L’è morto un partigiano nel far la guerra,
un altro italiano va sotto terra.
Laggiù sotto terra trova un alpino,
caduto nella Russia con il Cervino.
Ma prima di morire ha ancor pregato,
che Dio maledica quell’alleato.
Che Dio maledica chi ci ha tradito,
lasciandoci sul Don e poi è fuggito.
Tedeschi traditori l’alpino è morto,
ma un altro combattente oggi è risorto.
Combatte il partigiano la sua battaglia,
tedeschi e fascisti: Fuori d’Italia.
Tedeschi e fascisti: Fuori d’Italia,
Gridiamo a tutta forza «Pietà l’è morta!».
45
Come si evince dalla piccola presentazione del canto la linea
melodica viene mutuata dal canto della Prima Guerra
Mondiale Sul ponte di Perati utilizzato dalle truppe alpine
della Brigata Julia prima in Russia e in Albania e
successivamente sul fiume Vojussa, al confine grecoalbanese, per la campagna italiana di Grecia del 1940-41.
Diventato uno dei più celebri canti del movimento paramilitare
fu composto dal partigiano Nuto Revelli11 nella primavera del
1944 presso il Vallone dell’Arma a Demonte in provincia di
Cuneo.
Di impianto narrativo semplice, come del resto il testo
originale, si denotano alcune devianze dialettali nella prima e
nella seconda strofa con il posizionamento della lettera L
davanti al verbo essere coniugato in terza persona singolare
dell’indicativo presente.
I Garibaldini delle langhe
Sull’aria di “Frontiera di Dalmazia”
Noi siamo gli eroici Garibaldini
Che nelle Langhe combattiamo
Il nostro motto è arrischiare
Con viva fede seguitare.
Sempre svelti e sempre pronti
Sulle strade e sopra i ponti
Le imboscate noi tendiamo
Al feroce oppressor.
Italia, Italia
Cosa importa se si muore
Il nostro grido è di riscossa
Il tedesco scaccerà
Italia, Italia
Cosa importa se si muore
Il nostro grido è di battaglia
Per la Patria e Libertà.
Per noi fatiche non ci sono
E sempre in alto è il nostro grido
E la Germania tenta invano
La nostra marcia di arrestare.
Vessazioni impiccagioni
Dai nazisti e dai fascisti
A noi non fanno che aumentare
Il nostro orgoglio e il nostro ardir.
Italia, Italia… (Ripetuta questa volta in modo veloce alla
garibaldina)
La veste letteraria delle strofe non offre particolari spunti storici
su cui argomentare ma l’incipt del ritornello e l’indicazione
46
relativa alla melodia da utilizzare per cantarla ci riporta al più
famoso canto conosciuto con nome di Valsesia! Valsesia!
In realtà sia la melodia che gran parte del testo vengono
adottati dalla canzone irredentista Dalmazia! Dalmazia!
Cantata prima dagli arditi e dai dannunziani viene
successivamente mutuata per diventare l’inno della Divisione
San Marco della X MAS e ancora nel 1937-38 inno della GAF,
Corpo di Fanteria Alpina di Frontiera.
Solamente nel 1943 la composizione originale si trasforma a
opera della sensibilità popolare partigiana nel canto
conosciuto col titolo di Valsesia! Valsesia! 12
Il canto, dopo una rielaborazione del testo particolarmente
evocativo, diventò l’inno della Divisione Valsesia nonché una
delle canzoni più conosciute dell’area del Piemonte
nordorientale.
Per completare il quadro generale vi citiamo ancora alcuni
esempi di trasformazione di canti preesistenti che ci riportano
allo stesso schema dei due canti precedenti: La stella del
partigiano cantato sulla melodia russa di Katiuscia e oggi
meglio conosciuto come Fischia il Vento; Partigian dle
Muntagne (Partigiani delle Montagne) cantato sulla melodia
della Marcia dei coscritti piemontesi; La veglia del partigiano
sull’aria de Il cacciatore nel bosco; Boves sull’aria di Monte
Canino; Il Pilone di Moretta sull’aria di Ta Pum…
Le trasformazioni letterarie nei canti della Resistenza sono
molteplici e si può tranquillamente affermare che facevano
parte della tradizione orale della gente nella quale si insinuava,
quasi senza rendersene conto, il linguaggio musicale romantico
presente in ogni singolo territorio regionale.
Gli stili musicali tipici di una popolazione o meglio quelli
ripresi dalle tradizioni popolari e militari fino a quel momento
fruiti si fondevano dunque in una nuova forma di oralità
Valsesia
Quando si tratta di attaccare
noi di Moscatelli siamo i primi,
tutti s’affacciano a guardare
tutti s’affacciano ai balcon.
Contro i tedeschi e repubblichini,
combatteremo: siam partigiani!
Ai nostri morti l’abbiam giurato:
Vogliamo vincere o morir!
Valsesia! Valsesia!
cosa importa se si muore,
questo è il grido del valore:
Partigiano vincerà!
Le trasformazioni letterarie
nei canti della Resistenza
sono molteplici.
andando a contaminare le strutture letterarie romanticorisorgimentali attualizzandole attraverso la modernizzazione
del contesto sociale contingente.
Un lavoro di équipe, una rielaborazione condivisa dal popolo
per il popolo sulla struttura delle rielaborazioni collettive dei
canti epico lirici piemontesi già individuate da Costantino
CANTO POPOLARE
47
Note
1. Alto Monferrato (dal 2 settembre al 2 dicembre): occupa la
zona sud di Asti e arriva fino alle Langhe. Ne fanno parte 36
comuni tra cui Canelli e Nizza Monferrato. Alto Tortonese (da
settembre a dicembre): con le aree di Torriglia e Varzi costituisce
in pratica un solo vasto territorio libero, che include le Valli
Borbera, Sisola, l’alta Val Grue e la Val Curone. Langhe (da
settembre a metà novembre): si trova a nord-ovest di Mondovì,
tra il Tanaro e il Bormida. Dal 10 ottobre al 2 novembre
comprende anche la città di Alba. Ossola: è la più conosciuta tra
le Repubbliche partigiane e dura dal 10 settembre al 23 ottobre.
Data la vicinanza con la Svizzera è seguita con attenzione anche
dalla stampa internazionale. La sua storia sarà breve ma ricca di
esperienze politico-sociali. Nel suo territorio si trovano 35 comuni
con 85.000 abitanti. I centri principali sono Domodossola,
Bognanco, Crodo, Pieve Vergante, Villadossola. Val Maira e Val
Varaita (da fine giugno al 21 agosto): si trova a nord- ovest di
Cuneo. Valli di Lanzo (dal 25 giugno a fine settembre): è a 30
chilometri a nord-ovest di Torino e comprende le valli Ala, Viù e i
paesi e le città lungo lo Stura. Valsesia (dall’11 giugno al 10
luglio): comprende tutta l’alta valle fino a Romagnano e
Gattinara.
2. Canti della Resistenza Italiana. 1960, Raccolti e annotati da Tito
Romano e Giorgio Solza con una introduzione di Roberto Leydi,
Milano Collana del Gallo Grande.
3. Cesare Bermani, etnomusicologo. È fra i fondatori dell’Istituto
Ernesto De Martino ed è stato tra i primi a utilizzare le narrazioni
orali a fini storici e fra i promotori dell’Associazione italiana di
storia orale, sezione dell’International Oral History Association.
È stato redattore e direttore delle riviste Il nuovo canzoniere
italiano, Primo Maggio, Il de Martino, collaboratore de I giorni
cantati e attualmente scrive saggi per L’impegno e Musica/Realtà.
4. Canzoni e resistenza. Atti del convegno nazionale di studi a
cura di Alberto Lovatto, Istituto per la storia della resistenza e
della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in
Valsesia.
5. Mario Scelba (Caltagirone 1901 - Roma 1991). Uomo politico,
organizzatore della gioventù cattolica, aderì fin dall’inizio al
Partito popolare di L. Sturzo, di cui fu segretario particolare.
Ritiratosi dalla politica durante il fascismo, fu tra i fondatori della
Democrazia Cristiana (1942-43). Membro della Consulta nazionale,
della Costituente, della Camera dei Deputati (1948-68) e del
Senato (1968-1979). Ministro delle Poste (1945-47), tra il 1947 e il
1955 fu quasi ininterrottamente ministro dell’Interno; in questa
veste riorganizzò e potenziò le forze di polizia, massicciamente
impiegate per fare fronte alle tensioni sociali e politiche di quegli
anni. Nuovamente ministro dell’Interno (1960-62), fu contrario alla
politica del centrosinistra. Presidente del Consiglio nazionale della
DC (1966-69), dal 1969 al 1971 fu presidente del parlamento
europeo. Secondo Giuseppe Carlo Marino, docente ordinario
dell’Università di Palermo, storico e scrittore, Mario Scelba,
divenuto Ministro dell’Interno, diede il via a una politica
repressiva antidemocratica verso gli scioperi causando numerose
vittime e feriti nel corso della sua funzione pubblica. Sempre
secondo il parere di tale studioso, l’avversione
a idee di giustizia sociale di stampo socialcomunista in nome di
una priorità di ordine economico portò a violare le libertà
costituzionali di opinione e assemblea agli appartenenti alle
formazioni sindacali e delle sinistre.
6. Canzoniere della Protesta, Edizioni del Gallo: 1. Canzoniere della
protesta (1972); 2. Canti della Resistenza armata in Italia (1972); 3.
Canzoni Comuniste (1973); 4. La linea rossa della canzone (1973).
Canzoniere della Protesta, Edizioni Bella Ciao: 5. Ivan Della Mea
(1976).
7. Canta Partigiano, 1947, Edizioni Panfilo in Cuneo. Tipografia
Piemontese, corso Stura 9, 10cm x 15 cm, 40 pagg.
8. Canti della Resistenza Italiana, 1985, A. Virgilio Savona e
Michele L. Straniero, Biblioteca Universale Rizzoli.
9. La clepsamia o clessidra a sabbia è uno strumento per la
misura del tempo costituito da due recipienti di forma
approssimativamente conica collegati tra di loro.
10. Roberto Battaglia (Roma, 17 febbraio 1913 - Roma, 20 febbraio
1963). Accademico, storico e partigiano italiano, Medaglia
d’Argento al Valor militare. Storia della Resistenza italiana, I
edizione 1953, poi 1964, ristampata fino al 1979, Giulio Einaudi
Editore.
11. Benvenuto “Nuto” Revelli (Cuneo, 21 luglio 1919 - Cuneo, 5
febbraio 2004). Scrittore, ufficiale e partigiano italiano. Ufficiale
effettivo degli Alpini, durante la seconda guerra mondiale,
partecipò alla seconda battaglia difensiva del Don. A partire dal
febbraio 1944 prese parte alla Resistenza italiana, guidando le
formazioni Giustizia e Libertà nel Cuneese.
12. Di autore anonimo, racconta in prosa popolare le gesta delle
Brigate Garibaldi operanti nel settore nord-occidentale dell’Italia
durante la lotta di liberazione a opera delle agguerrite formazioni
militari guidate da Eraldo Gastone, nome di battaglia “Ciro”, e da
Vincenzo Moscatelli, il leggendario comandante “Cino”.
13. Costantino Nigra (Villa Castelnuovo, Torino, 1828 - Rapallo
1907). Diplomatico e filologo. Uomo del Risorgimento italiano,
insigne diplomatico e statista, scrittore e poeta, filologo e acuto
pensatore, l’opera più importante, Canti popolari del Piemonte,
cui dedicò molti anni della sua vita, ricercando e raccogliendo
antiche canzoni di cultura popolare, rappresenta senza dubbio
una pietra miliare nel campo degli studi antropologici e filologici.
14. Ettore Galvani, Choraliter n. 37, pagg 34-38, L’evoluzione del
canto popolare di guerra. Tra trincea e politica di regime.
15. Antonino Buttitta (Bagheria, 27 maggio 1933). È un
antropologo, docente e politico italiano. Direttore, fondatore e
contributore di numerose collane e riviste, è presidente tra le
altre anche del Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani e
della Scuola Internazionale di Scienze Umane.
16. I Canti della Resistenza, pubblicato in Ideologia e Folklore,
Flaccovio, Palermo 1971.
48
Nigra13 nel 1888 e rioperate dall’attore principale durante la Prima Guerra Mondiale, ultima
guerra di trincea.14
Proprio in questo senso si allinea la chiarificatrice precisazione di Antonino Buttitta15
nell’introduzione al suo saggio I canti della Resistenza16: «L’immissione di elementi folklorici
nell’ambiente partigiano venne […] favorita dall’assenza di una cultura, così dire, ufficiale; dalla
improvvisa carenza, cioè, dei beni culturali di più recente conquista, la quale provocò il ritorno
a forme arcaiche di vita […]. Questo ritorno all’antico patrimonio culturale venne provocato
anche dal rinnovato manifestarsi di esigenze cui esso precedentemente assolveva. La guerra
comporta bisogni nuovi non solo materiali ma anche culturali».
Non possiamo negare comunque che il canto resistenziale è stato sottoposto anche a un’altra
forma di dipendenza, e non di contaminazione, che albergava nella produzione dei canti di
regime, particolarmente intensa a partire dalla metà degli anni ’30 fino al 1943. Molti dei canti
della Resistenza nacquero per contrastare l’avanzata spietata di inni guerrafondai e per non far
dimenticare le antiche tradizioni orali anch’esse sottoposte alla censura come molte delle attività
quotidiane e dei pensieri dell’epoca. Anche se il fascismo della prima ora aveva toni palesi meno
cruenti ma più orientati a un’effimera unità nazionale e di intenti ideologici, mai completamente
raggiunta, si poteva chiaramente vedere l’intransigenza e la povertà del pensiero culturale che
serpeggiavano in essi come ci rammenta Roberto Leydi: «Per completare il discorso un cenno
meritano anche i canti fascisti, sia per i loro rapporti con le canzoni militari della guerra ’15-18,
sia per certi loro punti di contatto, più o meno esteriori, come si vedrà, con il repertorio della
Resistenza.
Anche nei canti fascisti il tono popolare è quasi completamente assente e i valori dominanti
sono semi colti. A differenza però del repertorio risorgimentale, militare e socialista (o
genericamente sociale-rivoluzionario),
quello fascista è dominato da una costante
dannunziana e non più liberale. La guida è
ancora borghese, ma di una borghesia
involgarita e depauperata delle sue forze
migliori, ridotta a negare, per sopravvivere
in un ambiente in evoluzione sociale, le
ragioni stesse della sua legittimità e quindi
della sua esistenza».
Concludo ricollegandomi all’introduzione
posta all’inizio di questo breve intervento
cercando di riassumere quanto esposto fino a ora.
In definitiva i partigiani hanno cantato un po’ di tutto, così come veniva, secondo memoria,
esprimendo il gusto e i suggerimenti del momento ma soprattutto secondo quella tradizione
secolare che ogni persona porta racchiusa nel suo sapere, nel suo saper fare, nel suo essere
quotidiano.
Nella complessa e poliedrica produzione dei loro canti, nel mutuare melodie e parole, ci hanno
raccontato chiaramente, senza mezze parole, senza nascondersi quanto il partigiano fosse
legato alla sua terra e, proprio perché legato a essa, poco avvezzo alla penna e alla musica.
Il loro repertorio ci ha tramandato poche canzoni vive e originali, ma nella sua totalità è
presente ed è percettibile una vivacità espressiva e un’energia morale che erano ormai assopiti
da tempo, tratti distanti sia dalla nostra musica popolare sia da quella patriottica che
rivoluzionaria.
«Ve qualcosa […] comune a tutti i canti della Resistenza per quanto diversi siano i loro modelli e
i loro motivi d’ispirazione: uno slancio giovanile, un impulso generoso, una fiducia nella vita
pur riaffermata di fronte alla morte: e la loro freschezza e autenticità tanto più risalta evidente
quanto più si pongano a confronto con le canzoni cantate dall’“altra parte” […]» (Roberto
Battaglia).
Negli anni bisognerà rivalutare il patrimonio tramandatoci guardandolo con obiettività e
discernimento, con metodo e analisi per poter cogliere ciò che fino a oggi le emozioni e i ricordi
ci hanno impedito di vedere.
Negli anni bisognerà rivalutare
il patrimonio tramandatoci
guardandolo con obiettività e
discernimento.
PORTRAIT
49
RIGORE NORDICO E TEMPERAMENTO MEDITERRANEO
INTERVISTA A MARTINA BATIC̆
a cura di Rossana Paliaga
Giovane, ma determinata fin dagli esordi e con le idee ben
chiare sugli obiettivi da raggiungere. Martina Batic̆ non ha
mai perso tempo, costruendo con studio, costanza e serietà
una carriera in rapida ascesa e passando in pochi anni dalle
esperienze nei cori amatoriali al settore professionale, senza
mai smettere di ricercare e accumulare esperienze di studio e
perfezionamento, premi e riconoscimenti importanti,
collaborazioni e progetti internazionali. Tra l’organizzazione
del programma in abbonamento alla Filarmonica slovena e
l’intensa attività di direzione non ha tuttavia perso il contatto
con “l’altro lato” del palcoscenico.
Cerco di rimanere con i piedi per terra, a contatto con la
realtà. Voglio stare dalla parte degli spettatori perché soltanto
in questo modo è possibile capire quali siano i loro desideri,
le tendenze del momento e poter lavorare in questo senso.
C’è anche richiesta di programmi più “commerciali”?
Certo, ma qui si impone una scelta precisa. Con il Slovenski
komorni zbor scelgo programmi che possano soddisfare un
pubblico esigente e competente che decide di acquistare un
abbonamento per ascoltare cose che difficilmente potrebbe
ascoltare altrove. Quando invece andiamo in tournée
cerchiamo sempre di incontrare i gusti del pubblico di
riferimento. Esiste soltanto un punto imprescindibile: il senso
dell’esistenza di un coro professionale è la possibilità e il
dovere di eseguire nel modo migliore ogni genere di
repertorio, che si tratti dell’ultima novità in prima esecuzione
assoluta o del più semplice arrangiamento di un canto
popolare.
Lavorando alla Filarmonica capita spesso di poter
collaborare con grandi nomi del panorama musicale. Negli
ultimi anni hai lavorato con Valerij Gergiev, Heinz Holliger,
Kirill Petrenko, recentemente con la celebre cantante Anna
Netrebko. Cosa rimane del contatto con personaggi di
questo calibro?
Si tratta di artisti con talenti fuori dal comune e caratterizzati
da un forte carisma. Con la Netrebko ho avuto la possibilità
di lavorare per un mese durante una tournée internazionale.
Nonostante la perfetta padronanza del mezzo vocale, la sua
insegnante di tecnica vocale le è stata accanto per tutta la
durata della serie di concerti, a ognuna delle prove
quotidiane. Sono rimasta molto colpita da questa disciplina e
attenzione costante, che dimostrano quanto la cantante sia
rimasta fedele a se stessa, cercando sempre di dare il
meglio. Nel corso di undici concerti con lo stesso programma
la sua interpretazione è stata sempre un po’ diversa, ma
ogni volta esemplare, significativa, piena di forza
interpretativa e di entusiasmo.
Anche l’incontro con Gergiev mi è stato di insegnamento;
pur dovendo dirigere la Sinfonia dei Mille di Mahler in
un’importante occasione ufficiale, ha incontrato orchestra e
cantanti soltanto all’ultima, breve prova. Mi sono sempre
domandata quanto profonda possa essere la consapevolezza
di un artista che confida nel fatto che mille persone saranno
capaci di seguire alla perfezione il suo gesto avendolo visto
soltanto una volta. Eppure ha funzionato.
Da cosa deriva il carisma? È un fatto di esperienza, lavoro,
un dono naturale?
Penso che il carisma, una sorta di predisposizione a essere
dominanti, sia di base qualcosa che appartiene per natura,
che sia in qualche modo già scritto nel nostro destino.
Tuttavia questo dono non è il solo fattore che rende grande
un artista. A ognuno sono dati dei talenti, ma quello che ne
fai è soltanto nelle tue mani e senza lavoro e costanza non si
arriva lontano. Il talento non serve se non viene sviluppato,
coltivato, arricchito, nobilitato con l’esercizio, il
perfezionamento, la riflessione.
Hai avuto la sensazione fin da piccola di rientrare nel numero
di quelli che hanno l’attitudine alla direzione?
Assolutamente no! Tuttavia ho avuto fin da bambina il
desiderio di dirigere, un pensiero totalmente egoistico perché
dirigere mi faceva stare bene. Non si trattava del piacere di
50
comandare, anzi, sono rimasta piuttosto delusa dalla realtà
quando ho capito che dirigere significa anche essere una
sorta di “controllore” con responsabilità precise.
Quando è iniziato il tuo percorso professionale?
A nove anni mi era già chiaro che volevo diventare direttore di
coro. I miei genitori amano la musica corale, entrambi
cantavano in vari cori. Il mio percorso musicale è iniziato
quando hanno portato a casa un vecchio pianoforte verticale;
la mamma mi insegnava a suonare melodie con una mano e
io spontaneamente aggiungevo l’accompagnamento.
Possiamo dire che anche in seguito non hai mai perso tempo.
È stato un percorso regolare, senza soste né ripensamenti.
Durante lo studio del pianoforte, mi esercitavo anche
suonando l’organo in chiesa. Non ho scelto di proseguire gli
studi superiori al liceo musicale di Ljubljana perché volevo
acquisire una cultura generale più ampia, quindi ho scelto il
liceo classico vescovile, al di fuori del quale ho terminato gli
studi di pianoforte e mi sono iscritta alla scuola d’organo. In
seguito ho terminato il regolare corso di studi all’Accademia
di musica di Ljubljana.
E la Germania?
Volevo dirigere cori, ma all’epoca non
esisteva ancora un corso apposito in
Slovenia. Quindi dopo il diploma ho
affrontato l’esame di ammissione alla
scuola superiore di musica di Monaco,
senza sapere nemmeno una parola di
tedesco. Ho chiesto a mio cugino che parla
tedesco di scrivermi una frase sul bordo di
uno spartito, con le indicazioni fonetiche:
«Non sono orgogliosa della mia conoscenza del tedesco, ma
la musica è un linguaggio internazionale. Per favore,
seguitemi!». L’ho letta all’inizio della prova con il coro
accademico e ho proseguito in inglese. Ma il momento più
difficile è stata l’interrogazione con la commissione di docenti.
Il presidente mi si è avvicinato e mi ha sussurrato in inglese:
«Gentile signora, è al corrente del fatto che questo esame
dovrebbe svolgersi in tedesco?»; e io: «Certo, ma inizierò a
studiarlo soltanto se passo l’esame…». Se ci ripenso oggi mi
sembra veramente scandaloso, non ho mai risposto a nessuno
in questo modo. A ogni modo, ho mantenuto la parola e
appena mi hanno ammessa all’istituto, mi sono
immediatamente iscritta a un corso intensivo di tedesco.
candidati vengono invitati alle preselezioni in Svezia. Io ho
inviato il materiale per le insistenze di alcuni amici, convinta
di non essere scelta. Il mio primo incontro con Ericson ha
preceduto di poco la notizia di essere stata selezionata per il
concorso. Mi ero iscritta infatti a una masterclass diretta da
lui. Il Maestro ci osservava e prendeva appunti, parlava
pochissimo. Non aveva contatti con gli allievi, a correggere le
posizioni e parlare secondo le sue indicazioni era l’assistente
Cecilia Rydinger Alin. Due momenti sono stati però
memorabili. Il primo è stata l’incursione dei giornalisti
durante la mia prova con il coro laboratorio: il giorno dopo
hanno pubblicato sul giornale una foto di me che dirigo,
sfocata, mentre Ericson in fondo, a fuoco, ascolta la mia
esibizione. La conservo ancora oggi. Ma il ricordo più forte è
stato il colloquio con lui alla fine della masterclass. Tutti
avevano deciso di approfittare di questo “confessionale”, io
invece avevo mille dubbi perché avrebbe potuto influire molto
sul mio stato d’animo nel caso fossi stata scelta per il
concorso. Alla fine però ho deciso di andare. Lui prendeva
appunti su fogli A4 che erano pieni di indicazioni per ognuno
dei candidati. Quando ho visto il mio foglio mi sono sentita
Il talento non serve se non viene
sviluppato, coltivato, arricchito,
nobilitato con l’esercizio, il
perfezionamento, la riflessione.
Nell’autunno 2006 hai vinto il concorso per giovani direttori
Eric Ericson Award che ha rappresentato probabilmente la
svolta nella tua attività professionale, come anche l’incontro
con questo grande personaggio che ha segnato la tua
carriera.
Una situazione, un onore particolare, difficile definirlo. A quel
concorso, che si svolge con cadenza triennale, ci si può
iscrivere inviando curriculum e dvd, sulla base dei quali alcuni
male. Tutto quello che vi si poteva leggere erano tre lettere:
S.O.S. Mi sono detta: “prendi i bagagli e ritorna a casa, non è
il tuo mestiere”. Anche negli anni successivi non ho mai avuto
il coraggio di chiedergli cosa significassero quelle tre lettere.
Poco dopo è arrivato l’invito al concorso e poi la vittoria.
Subito dopo la consegna del premio, lui e sua moglie mi
hanno invitata a prendere un caffè a casa loro. Era un uomo
semplice, affettuoso, sensibile. Mi ha detto soltanto: «questo
premio lo hai veramente meritato!». Per me era già un premio
essere stata scelta per il concorso, tutto il resto era confuso
in un vortice di emozioni. Da allora sono stata ospite ogni
anno a Stoccolma per dirigere cori e ogni volta sono andata a
trovarlo. Da lui ho imparato il valore dell’ascolto. Aveva
l’abitudine di registrare ogni prova o concerto per poi
analizzarli a casa e programmare il lavoro successivo. Amava
il proprio lavoro, in un rapporto simbiotico con la musica
corale.
Il tuo rapporto con la Scandinavia e il Nord Europa continua
con collaborazioni ormai regolari con il Coro da camera della
Radio svedese, il Coro da camera Eric Ericson, il coro delle
Radio nazionali olandese, danese e bavarese e il
PORTRAIT
51
Vokalensemble Stuttgart. Cosa ha portato l’esperienza
scandinava nella coralità internazionale?
Certamente i cori scandinavi sono stati maestri in un periodo
in cui nel resto dell’Europa non avevamo ancora sviluppato
una coralità di tale livello e modernità. Senza dubbio Ericson
ha avuto un grande ruolo in questo primato, ma le radici del
fenomeno risiedono nella stessa cultura di questi paesi, dove
la rete sociale si fonda sulla coralità, scolastica e liturgica. La
presenza del canto corale in tutte le fasi della vita e
dell’istruzione ha permesso lo sviluppo di cori professionali di
altissima qualtà. Le mie esperienze con i cori svedesi sono
estremamente positive per la loro apertura mentale che mi
permette una grande libertà nell’approccio ai repertori e ai
metodi di lavoro, alle diverse mentalità e pratiche esecutive.
La novità non li inibisce, anzi, è per loro un grande stimolo
che affrontano con entusiasmo. Il miracolo corale svedese è
ormai parte della storia e molti cori in ogni parte del mondo
ne hanno fatto tesoro. Oggi l’ago della bilancia si è spostato
verso la coralità dei Paesi Baltici.
Essere direttore di coro significa avere una buona cultura di
base o comunque la necessaria curiosità per poter offrire
stimoli ed educare un gruppo di persone che si affidano alle
tue competenze. L’ignoranza è sinonimo di mancanza di
motivazione anche nella ricerca del repertorio. Sempre più
spesso ho l’impressione che molti direttori partecipino ai
seminari non perché interessati a metodologia o didattica, ma
per accumulare spartiti ed evitare di perdere tempo nelle
ricerche.
Il secondo motivo di fastidio riguardo al fattore ignoranza è la
mancanza di tecnica vocale. Imparare a utilizzare il proprio
strumento è la base dell’attività corale. Poi c’è la tecnica del
direttore, al quale non deve bastare agitare le braccia davanti
al coro, magari senza nemmeno distinguere i tempi. Inoltre
molti direttori, oltre a non conoscere il proprio mestiere, sono
anche chiusi al confronto e quindi a un possibile
miglioramento. Non importa se le cose non vanno sempre
bene, alla base deve esserci l’onestà degli intenti. La peggior
cosa è ascoltare un buon coro limitato da un cattivo direttore.
Hai avuto l’opportunità di lavorare anche in Italia?
Le mie uniche esperienze italiane sono state la direzione del
coro di voci bianche Vesela pomlad a Opicina e la più recente
collaborazione come docente di atelier al festival Europa
Cantat a Torino. È stata una bella esperienza, che mi permette
di sottolineare il mio piacere di lavorare con i cori amatoriali
che riescono a trasmetterti una grande energia, la semplicità
di emozioni autentiche al di là della maggiore o minore
perfezione del risultato.
Collabori spesso nelle giurie di concorsi corali internazionali:
quale qualità senti sempre di premiare in un coro?
È il fattore totalmente irrazionale della “pelle d’oca”. Si tratta
di un’opzione che trova sempre la via al di là dei criteri
matematici. Quando un’esecuzione mi tocca il cuore, il
risultato è raggiunto.
Quale errore o mancanza ti infastidisce di più?
Di inaccettabile c’è soltanto l’ignoranza. Viviamo in un’epoca
nella quale anche nel più sperduto paese è possibile ottenere
informazioni sui più svariati argomenti: attraverso internet, la
televisione o la radio. Quindi non sopporto la giustificazione
di chi mi dice che è difficile vedere o ascoltare cori, o
addirittura chiedere informazioni a qualcuno del ramo.
Martina Batic̆_______
Nata ad Ajdovs̆c̆ina, ha conseguito il diploma presso il dipartimento di
pedagogia musicale dell’Accademia di musica di Ljubljana, proseguendo poi
gli studi alla Hochschule di Monaco nella classe di Michael Gläser. Nel 2006
ha vinto il primo premio al prestigioso concorso di direzione Eric Ericson a
Stoccolma. Per cinque stagioni consecutive direttore stabile del coro
dell’Opera di Ljubljana, dal 2009 è direttore artistico del coro della
Filarmonica slovena e assistente alla direzione della storica istituzione di
Ljubljana per il settore della musica corale, funzione alla quale affianca
costantemente l’attività di direttore ospite e a progetto di importanti cori
europei, la direzione di corsi di perfezionamento, la collaborazione nelle
giurie di concorsi corali internazionali.
IN PRINCIPIO
LA MOTIVAZIONE
ALPE ADRIA CANTAT 2013
ALPE AD
CANTAT
di Lucia Vinzi
La settimana Alpe Adria Cantat è un concentrato
di vita corale, un tempo dedicato, un luogo
deputato; sono cantori e maestri che si
coalizzano attorno a un progetto, un repertorio,
un direttore. A pensarci bene una situazione non
molto diversa da quella che viviamo, in tempi più
dilatati, nella normale “vita corale”: prove,
concerti da ascoltare, concerti da fare, momenti
di svago e divertimento. Un concentrato di
coralità appunto, in una settimana intensa da
vivere in ogni momento. La formula è quella
collaudata in anni di esperienze simili in tutta
Europa: atelier su diversi argomenti e periodi
della storia della musica, concerti, occasioni di
viaggi culturali, momenti comuni di svago.
Scandiscono le giornate gli atelier, condotti da
direttori con esperienza, preparazione e doti
artistiche e umane, capaci di concentrare persone
diverse su repertori a volte complessi e di
trasformarle, per un tempo limitato, in un coro.
La settimana permette una totale concentrazione,
una continuità di lavoro, occasioni di
approfondimento e studio, ascolti, incontri.
La capacità e l’esperienza dei direttori e la
disponibilità dei cantori tutti accolti da
un’organizzazione accogliente e eccellente,
produce quasi sempre un insieme vincente e
risultati apprezzabili. Molto conta il clima che si
instaura, il valore e la qualità delle relazioni, che
via via, con lo scorrere dei giorni si fanno più
strette: ci si conosce, si mettono in comune
risorse e competenze e tutto diventa sciolto e
naturale. Tre gli atelier attivati nell’edizione 2013
di Alpe Adria Cantat che si è svolta a Lignano
dall’1 all’8 settembre e che ha visto quest’anno la
partecipazione di circa 200 cantori e maestri,
molti stranieri: Luigi Leo ha condotto Musica per
cori di bambini, Rainer Held Musica romantica e
Rogier JImker l’atelier dedicato al Vocal pop.
Molte le occasioni di concerto da seguire sia
all’interno del villaggio Getur che in altri luoghi
della regione, in un circuito attivato anche grazie
alla collaborazione con i cori locali a partire dal
concerto di apertura con il coro IMT Vocal Project
ASSOCIAZIONE
di Thiene, coro vincitore del Gran Premio al 47° concorso nazionale
Città di Vittorio Veneto. E poi il coro russo di voci bianche Detstvo e il
Rauma Musikkskoles Ungdomskor dalla Norvegia, il Coro de Cámara
de Mérida dal Venezuela, il coro Sine Tempore di Gonars. Goricizza di
Codroipo, Trieste, Sacile hanno poi ospitato tre concerti dei cori
presenti a Lignano.
Nel proporre occasioni di questo tipo, Feniarco svolge il suo ruolo
istituzionale di promozione della cultura corale facilitando e creando
contesti e occasioni. Contesti formativi di eccellenza in cui possono
essere trasferite tecniche, modalità di studio, atteggiamenti, repertori.
Ma soprattutto contesti
emozionali forti, momenti ricchi
e profondi vissuti attraverso il
canto e la musica.
Nei processi di apprendimento,
la motivazione è essenziale, è
la molla da cui si parte; è, se
manca, la causa della mancata
partenza. Senza una
motivazione, sia essa palese,
consapevole, evidente o
inconscia, l’azione è compromessa. Incontri fortuiti con le forme
artistiche provocano spesso cambiamenti, piccoli o grandi, nelle nostre
vite perché vengono chiamate in causa le emozioni. Il coro e la musica
corale non fanno eccezione. Si inizia quasi per caso spinti da genitori,
amici, conoscenti o maestri di qualche tipo. Poi, se scatta quel
qualcosa che tocca le nostre corde, si continua. Spesso con delle
esigenze crescenti di approfondimento, di ricerca di qualcosa di nuovo
e stimolante. Qualcosa che, a volte, il nostro coro non è ancora in
grado di offrire, qualcosa che cerchiamo senza sapere bene come
definire, un clima, un’atmosfera che abbiamo voglia di “respirare”.
Diventa così essenziale, nel nostro percorso di cantori, maestri,
appassionati trovare contesti che questo consentano. È di motivazioni
e di senso che questo tempo ha bisogno. Di incontrare, prima di tutto,
l’arte, la musica e la bellezza.
53
DRIA
T 2013
Feniarco svolge il suo ruolo
istituzionale di promozione della
cultura corale facilitando e creando
contesti e occasioni forti.
1984>2014
per trent’anni
la voce dei cori!
Iniziative per il trentennale della Federazione…
festeggia anche tu con noi!
Come e quando?
1
Feniarco Day
2
I concerti del trentennale
3
Diffondiamo la musica corale!
4
La mostra sulla coralita’
Le celebrazioni inizieranno con la giornata dedicata a Feniarco, il Feniarco Day, nel giorno ufficiale della
fondazione: giovedì 23 gennaio 2014. In questa occasione, ciascuna Associazione Regionale organizzerà
un concerto dal nome “Buon compleanno, Feniarco!”, a cui siete tutti invitati, con tanto di brindisi finale e
fotografie che saranno poi pubblicate nell’album dei concerti del trentennale. Anche Feniarco organizzerà un
evento e un concerto presso la sua sede istituzionale nel suggestivo Palazzo Altan di San Vito al Tagliamento
(Pn). Sarà una giornata di festa per tutti!
Le iniziative per le celebrazioni proseguiranno con l’inserimento degli eventi più significativi di ogni coro
nel cartellone del trentennale. Al fine di permetterci un maggior coordinamento degli eventi sul territorio
nazionale, sono state predisposte delle linee guida che potrete trovare sul sito www.feniarco.it o richiedere via
mail a [email protected]
Uno degli obiettivi importanti della Federazione è da sempre la divulgazione della pratica corale e la diffusione
del canto anche in luoghi nuovi e meno convenzionali. Per esempio avete mai cantato in metropolitana, in
stazione, nei supermercati, nelle case di riposo, in ristoranti o in un bar? Cercate il luogo più strano e
andate a cantarci con il vostro coro: filmate la vostra esibizione “insolita” e inviateci la clip video (o il link
se il filmato è stato già caricato su YouTube) all’indirizzo mail [email protected]. I filmati più originali
verranno segnalati e pubblicizzati da Feniarco nel sito e sui social network. Le clip dovranno avere la durata
massima di 5 minuti e concludersi con la frase “Buon compleanno Feniarco!” scandita da tutto il coro.
Sul canale youtube della Federazione potrete visualizzare e condividere con i vostri amici la mostra sulla
coralità realizzata in occasione del Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012. Buona visione!
State connessi! Seguiteci sul sito e sui social network per tutte le prossime iniziative.
L’anniversario di Feniarco sta arrivando e questo è solo l’inizio!
ASSOCIAZIONE
55
ACCADEMIA EUROPEA PER DIRETTORI DI CORO
L’ESPERIENZA DI UN CORSISTA
di Alessandro Drigo
Quando mi è stato chiesto di mettere giù qualcosa in merito
alla mia esperienza come direttore durante l’Accademia di
Fano da poco conclusa, ho pensato subito: “questo sì che è
un bell’articolo da scrivere!”; in realtà mi sono reso conto
durante la stesura che non basterebbero le pagine di questa
rivista per descrivere la moltitudine di informazioni, esercizi,
consigli e insegnamenti e soprattutto le emozioni che una
settimana di corso con Nicole Corti ha saputo dare al
sottoscritto. Cercherò quindi di sintetizzare tutto questo nello
spazio che mi è consentito…
Giunta quest’anno alla settima edizione, l’Accademia Europea
per direttori di coro, organizzata da Feniarco in
collaborazione con ECA-Europa Cantat e ARCOM - Associazione
Regionale Cori Marchigiani, si rivela anno dopo anno un
appuntamento di notevole importanza per tutti i direttori di
coro, siano essi alle prime armi oppure con una già avviata
carriera artistica, che vogliono approfittare dell’opportunità
di lavorare un’intera settimana full-immersion con un docente
di alto livello, approfondendo le diverse tematiche inerenti la
direzione di coro: dall’analisi della composizione oggetto di
studio alla tecnica di prova, alla concertazione e alle
problematiche vocali. L’affluenza di quest’anno ha contato 15
allievi provenienti, oltre che dall’Italia, un po’ da tutta Europa
(Cipro, Croazia, Polonia, Turchia…) a dimostrazione di come
tale avvenimento corale sia ormai recepito a livello
internazionale.
Nell’edizione di quest’anno, svoltasi dall’8 al 15 settembre, il
periodo storico-musicale scelto come oggetto di studio si è
concentrato quasi esclusivamente sul ’900 francese, a
esclusione di qualche digressione verso la musica corale
inglese e italiana: una scelta repertoriale molto bella e
interessante, che ha permesso a ciascun direttore di
approfondire le proprie conoscenze al
riguardo nel caso di composizioni già
note (un esempio per tutti: Requiem di
G. Fauré) oppure di scoprire
piacevolmente l’esistenza di autori
considerati “minori” ma non per questo
meno interessanti e piacevoli (Poèmes
Franciscains di Joseph-Ermend Bonnal,
quanti conoscevano questo autore
prima della settimana di Fano?) e quindi
ampliare il personale bagaglio culturale in materia.
Così come nell’edizione 2011, anche per quest’anno Nicole
Corti è stata confermata docente del corso, così come il coro
laboratorio guidato da Lorenzo Donati. L’impatto con un
docente di tale levatura è stato subito forte, almeno per il
sottoscritto, sia per quanto riguarda le notevoli doti artisticomusicali sia per la grande capacità didattica che ha
dimostrato nei confronti di ogni direttore con il quale ha
lavorato: a ogni lezione, man mano che passavano i giorni,
anche il più semplice passo musicale diveniva l’occasione per
sviscerare una moltitudine di informazioni, concetti e spunti di
lavoro per i direttori (ma anche per il coro laboratorio) ai quali
è stata data importanza fondamentale (e come poteva essere
altrimenti?) per la buona riuscita di un lavoro corale. Dalla
gestualità essenziale ma efficace, al dialogo verbale
essenziale e mai ridondante, alla ricerca dell’idea musicale
dentro se stessi prima che dagli esecutori, tutti i diversi
aspetti che fanno parte del lavoro direttoriale sono stati
L’Accademia Europea di Fano si rivela anno
dopo anno un appuntamento di notevole
importanza per tutti i direttori di coro.
trattati con estrema chiarezza ma anche con una semplicità a
volte disarmante da una docente che si è rivelata molto più
che un’insegnante di direzione corale: partendo
dall’educazione all’ascolto infatti, ha portato ciascun corsista
a comprendere come il coro possa diventare uno strumento
56
nelle mani del direttore al quale permettere di rapportarsi gli altri e con i propri
sentimenti, dandone la possibilità di esprimere la propria interiorità attraverso la musica
e le emozioni che da essa scaturiscono.
Una delle cose più piacevolmente sorprendenti, oltre a tutti gli insegnamenti infusi, è
stata il vedere come ciascun partecipante abbia iniziato un percorso assolutamente
personale e indipendente dagli altri e, prova dopo prova, giorno dopo giorno, sia
riuscito a esprimere quella che è la propria idea, il proprio modo personale di vedere e
intendere un brano musicale: a questo processo ciascun direttore è arrivato per gradi,
chi aggiungendo nuove nozioni e nuovi concetti al proprio stile e alla propria tecnica, chi
invece togliendo qualcosa di proprio per poter aggiungere alti elementi, e in entrambi i
casi, come già citato, di fondamentale importanza è stato l’ascolto, sia interiore che
esteriore, rapportato all’ambiente circostante e, chiaramente, alle voci del coro.
Una delle frasi più ripetute e che probabilmente la maggior parte dei partecipanti
all’Accademia ricordano è «non ci può mai essere più suono che ascolto»: con questa
definizione è chiaro quanto si sia lavorato in questa direzione, attraverso la ricerca delle
sensazioni e dell’energia interiore con le quali ciascun direttore deve lavorare, di
concerto con il coro, per poter esprimere attraverso la musica corale quella che è la
propria personale idea della composizione, frutto della propria sensibilità musicale ma
anche del proprio vissuto e delle proprie esperienze. In questo modo Nicole Corti ha
lavorato in un modo assolutamente personale e unico con ciascun direttore, i cui
risultati (ovvero: la cui “musica”) si sono percepiti chiaramente man mano che il tempo
passava. Ne è scaturito un lavoro assolutamente unico e personale il cui risultato ha
permesso, durante le esecuzioni delle varie giornate e in occasione del concerto finale
(al quale, purtroppo, per impegni pregressi chi scrive non ha potuto partecipare…) di
ascoltare da ciascun direttore un’esecuzione di ogni brano assolutamente personale e
mai scontata: magari a volte non condivisibile pienamente ma sicuramente unica e
originale in quanto frutto della propria personalità e delle proprie idee musicali: niente
di scontato o di “già sentito” insomma, ma, pur nel rispetto della scrittura musicale e
delle indicazioni stilistiche che, soprattutto nella musica francese, Nicole Corti ha
portato a Fano quale profonda conoscitrice della materia, si sono potute ascoltare
alcune tra le più belle pagine musicali del novecento francese, inglese e italiano
attraverso le quali ciascun direttore ha espresso la propria idea musicale, oltre che il
frutto del personale lavoro durante la settimana di studio.
Un plauso e un ringraziamento particolare va sicuramente al coro laboratorio e al suo
direttore Lorenzo Donati: la riuscita del corso e la bellezza della musica ascoltata non
sarebbe stata tale senza il prezioso contributo che il coro ha saputo dare, partecipando
e cantando con impegno ed entusiasmo durante tutte le giornate dell’Accademia, e
sapendosi adattare ai diversi direttori che via via si sono succeduti con grande
professionalità. Nonostante la notevole mole di lavoro, visto il numero dei brani di
studio in programma e la loro difficoltà, il coro e il suo direttore hanno affrontato la
settimana con grande entusiasmo e partecipazione, talvolta anche partecipando alle
sessioni di studio prettamente dedicate ai direttori (tra i cantori vi erano anche direttori
di coro) a dimostrazione di quanto il lavoro effettuato da Nicole Corti sia stato
interessante e stimolante per tutti.
Alla fine della settimana di studio le informazioni, i consigli e gli insegnamenti ricevuti
sono stati molti, moltissimi: credo che ciascun partecipante sia tornato a casa con un
bagaglio di esperienza notevole che, una volta sedimentato e metabolizzato, non può
che portare a una crescita personale di ogni direttore, dal punto di vista musicale ma
non solo.
La settima edizione dell’Accademia per direttori di coro di Fano si conclude quindi con
un bilancio decisamente positivo, che fa notare ancora una volta come in Europa, ma
anche in Italia, la coralità sia viva e in perenne fermento sia dal punto di vista di chi
canta che attraverso le nuove figure direttoriali che piano piano stanno emergendo
grazie alle loro capacità e competenze, ma anche alla voglia di far bene e migliorarsi
continuamente, anche in occasioni di confronto di questo tipo.
ASSOCIAZIONE
INTERVISTA A NICOLE CORTI
a cura di Lorenzo Donati
Cara Nicole, la tua esperienza e fama di formatore per i
direttori di coro, è ormai conosciuta a livello internazionale;
cosa provi a tornare di tanto in tanto in Italia a lavorare con i
giovani aspiranti direttori di coro? Anche il tuo italiano è
ottimo!
Grazie, la mia famiglia ha origini del Friuli e ho ancora alcuni
parenti in quella regione. L’Italia rappresenta una parte
importante delle mie radici e sono sempre molto felice di poter
tornare a fare musica qui.
Sei tornata nel 2013 come docente all’Accademia per direttori
di coro di Fano; cosa ti aspettavi, rispetto agli altri corsi che
tieni in giro per il mondo?
Il livello dei direttori di coro italiani è in continuo
miglioramento. Ho avuto modo di conoscerlo anche alla scuola
di Arezzo, ma anche nei conservatori di Trento e di Udine.
A Fano non ci sono solo studenti italiani, ma anche alcuni
provenienti da altre parti d’Europa, questo crea un bello
scambio di idee.
Quali cose hanno caratterizzato l’Accademia 2013?
Il fatto di trovare tutto pronto ha aiutato lo studio e il canto.
Il coro laboratorio era bene preparato e con ottime voci, il tuo
lavoro è servito a unire questi giovani direttori e cantori
provenienti da tante parti diverse. A livello organizzativo lo
staff ha preparato tutto molto bene. Ho sentito un fondo di
sicurezza che rende tranquillo il lavoro.
La città di Fano accoglie ormai da anni l’Accademia con grande
attenzione, questa si percepisce?
Certamente. Tutte le cose che riguardavano il nostro lavoro
erano ben organizzate, anche la chiesa dove si teneva il corso
era molto buona e c’erano delle persone che la tenevano
pulita. Abbiamo lavorato su repertorio con pianoforte e anche
lo strumento e il pianista hanno reso possibile una buona
concentrazione. Il tempo era molto bello, abbiamo fatto tante
passeggiate; una situazione ottima, era tutto molto piacevole.
Nel 2013 insieme all’Accademia si svolgevano i festeggiamenti
per i 40 anni del festival Incontro Polifonico città di Fano, una
sinergia che ha reso possibile a tutti di ascoltare ottima
musica corale. Cosa ne pensi?
Anche il festival è stato un momento importante. Certo per gli
studenti avere ogni sera un concerto forse era un po’ faticoso,
perché studiavano tutto il giorno, ma meglio avere questa bella
opportunità. I concerti erano vari e di ottima qualità, anche
questo ha reso possibile creare una bella attenzione per la
musica.
Passiamo a domande più tecniche: cosa si riesce a dare in una
settimana a dei giovani direttori, che possa essere per loro
motivo di riflessione e di crescita?
La cosa che abbiamo cercato di imparare in questa settimana è
57
stato che il direttore ha bisogno dei coristi. Sembra una cosa
semplice da dire, ma non lo è. Abbiamo studiato per imparare
a lavorare per aiutare a cantare i coristi sempre meglio. Questo
è un messaggio pedagogico molto importante, il nostro lavoro
è aiutare a cantare sempre meglio.
Come possiamo aiutare i nostri coristi a cantare meglio?
Nel nostro lavoro l’autorità viene data dalla conoscenza, non
imporre ma proporre, il direttore deve proporre qualcosa di
interessante che crei attenzione e porti un messaggio, ma per
fare questo c’è bisogno di una grande preparazione.
Quindi dobbiamo studiare, prepararci, per riuscire a proporre
un’idea musicale forte?
Sì. La preparazione di base permette la forma e se hai una
buona preparazione la fase dell’interpretazione sarà libera.
Libera e tranquilla.
Oltre alla conoscenza della partitura su che cosa hai posto la
tua attenzione?
Per me il senso di umiltà e la serietà del lavoro sono due
importanti elementi della nostra attività. Essere umili non
significa essere deboli ed essere seri nel lavoro non significa
non essere divertenti. Se noi siamo umili e seri i nostri cantori
sentiranno questa energia e cercheranno anche loro di lavorare
bene.
Durante il corso hai spesso ripetuto la frase «Sapere, saper
fare, saper essere»?
Questa coscienza non è sempre presente e invece dobbiamo
riflettere quanto sia importante, perché spesso durante la
prova si parla troppo e invece è importante sapere e poi fare
qualcosa con questo sapere e poi riuscire a essere questo
sapere.
Hai parlato molto del costruire, in prova e nel percorso con il
proprio coro. Quali sono i segreti per riuscire a realizzare
questi obiettivi?
Non dobbiamo mai dire «No questo non va bene», dobbiamo
dire «questo si deve fare così». In questa settimana gli studenti
e i coristi hanno cercato di costruire nella positività. Ai direttori
ho detto che non ci sono problemi, per i direttori ci devono
essere solo soluzioni.
Cosa rimane a Nicole Corti dopo questa esperienza?
Il senso del costruire, lentamente, con umiltà e anche con
orgoglio. Per un didatta e per un direttore di coro è importante
sapere che il proprio percorso e il proprio tempo serve per
aiutare qualcun altro a continuare questa costruzione. Costruire
una coscienza comune nella semplicità e nel bello.
Quando tornerai in Italia a insegnare?
Nell’agosto 2014 a Roma terrò una masterclass durante il
Convegno Internazionale dell’Associazione Willems. Sarà una
masterclass speciale, perché avrò il mio coro di professionisti,
come coro laboratorio. Sarà un’occasione per i direttori italiani
che potranno lavorare con una prospettiva musicale
professionale su un repertorio italiano e francese.
IL GRANDE
POTENZIALE DI UN
GIOVANE FESTIVAL
IL 4º FESTIVAL CORALE NAZIONALE DI SALERNO
di Rossana Paliaga
Ci sono posti e situazioni dove anche l’Italia della
crisi e delle incertezze può riscoprire, almeno per
alcuni giorni, il piacere spensierato ma
importante di entusiasmarsi, condividere il
piacere di far musica insieme e magari anche
credere, per quanto possa apparire retorico, nel
valore della bellezza. Accade facilmente in
contesti come quello offerto dal Salerno Festival,
organizzato per il quarto anno consecutivo da
Feniarco e ARCC - Associazione Regionale Cori
Campani.
A brevissima distanza dalle rovine di Pompei e
dalla Costiera amalfitana, in un Sud da cartolina,
l’atmosfera serena del festival permette alla
musica di diventare veicolo di scoperte turistiche
e culturali nella città, ma anche sul territorio: il
castello Doria di Angri, la Badia della Santissima
Trinità di Cava de’ Tirreni, il Santuario della Beata
Vergine del Rosario a Pompei, il duomo di Vietri
sul Mare, il castello del principe longobardo
Arechi II a Salerno, e poi ancora Nocera Inferiore,
Sant’Arsenio, Vallo della Lucania o Atrani, rifugio
del rivoluzionario Masaniello, che accoglie con
scorci di paesaggio costiero che sembrano uscire
dall’immaginario cinematografico di un’Italia da
sogno.
Tutti questi luoghi hanno ospitato uno dei
concerti della serata che ha diffuso la musica del
festival nella regione. All’interno di un’unica
edizione è possibile infatti assistere soltanto a
una minima parte dei molti eventi che si
svolgono contemporaneamente in siti diversi,
quindi l’impressione generale sarà sempre
parziale. Tuttavia la cura dedicata dai volontari
all’organizzazione di ogni singolo evento, inoltre
l’attenzione di autorità e pubblico locale
(dimostrazione tangibile dell’importanza che il
festival ha acquisito a pochi anni dalla
fondazione come evento che ormai appartiene al
territorio) alimentano la fondata convinzione che
ovunque coristi e spettatori abbiano goduto di
un’accoglienza veramente speciale.
Dopo il saluto corale alla regione ospitante, la
manifestazione si è concentrata nella città di
Salerno tra chiese, saloni di rappresentanza,
musei e piazze. Usciti dalle sedi dei concerti, i
coristi sono partiti alla ricerca degli spazi dedicati
alla libera espressione, il cosiddetto “Frijenn
Cantann” che, mutuando un modo di dire locale,
indica un cibo da strada all’italiana, una specie di
“cartoccio di musica fritta al momento” per i
passanti desiderosi di uno spuntino corale.
Questo è anche un modo per vivere il festival
confondendosi tra la gente nelle strade affollate
del centro storico, tra il profumo del pesce fritto
e delle castagne arrostite, le luci colorate,
SALERN
FESTIVA
ASSOCIAZIONE
l’attenta curiosità dei passanti per le esibizioni corali
estemporanee, entrando nelle chiese decorate da mosaici
dorati o piastrelle di maiolica per farsi sorprendere da trionfi
di marmi policromi o da un dipinto del Solimena, o
semplicemente facendosi coinvolgere dalla magia delle Luci
d’artista, luminarie natalizie che fanno apparire nelle vie del
centro e nei giardini draghi, tappeti volanti o ghirlande di fiori
ricavate da bottiglie di plastica colorate, modellate con abilità
per trasformarle in decorazioni d’effetto.
La pioggia ha costretto gli organizzatori ad annullare l’evento
all’aperto in piazza Portanuova che avrebbe riunito in un
imponente canto comune tutti i partecipanti: 45 cori da nove
regioni per un totale di circa 1200 coristi. Il popolo del festival
si è dato così appuntamento direttamente all’Augusteo per la
serata di gala che ha coinvolto venti cori in una variopinta
maratona corale. Il concerto è stato introdotto dal coinvolgente
Musicateneo Percussion Ensemble che ha portato il saluto
musicale della città come aveva già fatto il gruppo di danze
antiche Il Contrappasso al concerto inaugurale.
NO
AL
Il Salerno Festival ha incontrato il territorio con la sua
presenza diffusa, i molti momenti informali, la voglia di far
entrare il proprio entusiasmo musicale nel quotidiano e con
questo spirito ha concluso la serie di eventi con un’appendice
della domenica mattina che ha visto alcuni cori impegnati a
collaborare con il loro canto nella celebrazione delle sante
messe.
In un ventaglio così diversificato di situazioni musicali ogni
coro è riuscito a trovare la propria dimensione, mentre la
condivisione dei concerti con altri gruppi ha stimolato nei
coristi e nel pubblico la curiosità del confronto (per il pubblico
locale è stato ad esempio un motivo di particolare interesse
poter ascoltare cori maschili, “specialità” del Nord, ma una
rarità al Sud). I partecipanti hanno affrontato i repertori più
vari, esibendosi all’unisono oppure con programmi polifonici,
impegnati in brani contemporanei o nella ricerca della veste
corale di un brano pop, senza dimenticare il sempre
59
apprezzato filone gospel. È stato accolto con interesse anche
l’omaggio al bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi,
anniversario non facile da celebrare per i cori amatoriali a
causa di difficoltà e prevalenza di brani operistici, ma che ha
rappresentato un invito gradito per le corali di definizione
L’atmosfera serena del festival
permette alla musica di
diventare veicolo di scoperte
turistiche e culturali nella città
e sul territorio.
“lirica”. Ma a Verdi è stato reso omaggio anche con le parole,
nella sede ideale dell’ottocentesco teatro municipale a lui
dedicato, grazie a un relatore che assieme alla professionalità
ha rivelato anche capacità comunicativa in un convegno che è
stato capace di arricchire sia i neofiti che gli esperti. Piero
Monti, attualmente direttore del coro del Teatro Massimo di
Palermo e membro della Commissione artistica di Feniarco, ha
raccontato in un dialogo con Roberto Maggio della vita e delle
opere del maestro bussetano, aggiungendo le spezie di
interessanti digressioni sui costumi teatrali dell’epoca, su
aneddoti e particolari che hanno permesso di delineare un
ritratto sfaccettato che aveva come obiettivo la definizione
del ruolo del coro nella produzione musicale verdiana, da
essenziale portatore di messaggi politici a commento in
rapporto a una sempre più evidente priorità del singolo
personaggio rispetto alla collettività. Non sono mancate le
note di stile: l’amore di Verdi per i polifonisti antichi che si
riflette ad esempio nelle idee arcaicizzanti presenti nel
monumentale Requiem, che i partecipanti del convegno hanno
anche avvicinato concretamente, imparando assieme al
relatore alcune battute da interpretare con la solista Maria
Teresa Polese e la pianista Maria Scala. Infine non sono
mancati i consigli ai cori, ovvero considerare più spesso la
letteratura non operistica di Verdi, ovvero le sue opere sacre
tra le quali si distinguono le Laudi e il Pater Noster.
Questi brani sono spesso utilizzati in sede di concorso per la
verifica di capacità tecniche e musicali che un contesto
festivaliero non richiede necessariamente di mettere in
campo. Anche l’atmosfera festosa di un momento di incontro
e divertimento non prescinde però da alcune buone regole di
base per poter ottenere il massimo dell’effetto, ovvero una
vittoria in termini di soddisfazione reciproca dei coristi e degli
spettatori. Un festival nazionale è specchio degli orientamenti
attuali, la vetrina che offre un’immagine autentica della
normale attività dei cori partecipanti, repertori inclusi. Si può
scegliere di guardare passivamente alle immagini riflesse, ma
utilizzarle come spunto di riflessione può essere più utile per
60
confrontarci anche con qualche interrogativo. C’è chi decide di dedicarsi esclusivamente a un
repertorio specifico, ma la maggior parte dei direttori preferisce offrire ai propri coristi una
panoramica su stili diversi, considerando capacità e inclinazioni del proprio gruppo. Nelle scelte
ci sono tuttavia alcuni grandi assenti che testimoniano di un rapporto ancora in fase di sviluppo
tra molti cori italiani e il concetto stesso di musica corale, come anche nella consapevolezza
delle esigenze specifiche di ogni singolo genere. Sarebbe ad esempio un valore aggiunto
accostarsi a questo grande evento come a un palcoscenico sul quale presentare anche quel
repertorio specificamente corale che sta a metà strada tra un brano di Gesualdo e il cantare
all’unisono un successo della Pausini, un programma che può essere anche leggero, divertente,
ma soprattutto che può rappresentarci per stile, lingua e spirito. Oppure, per quanto possa
suonare antico (perché nel nostro paese, per comprensibili motivi storici, si è investito
pochissimo in questo settore culturale),
riscoprire il grande patrimonio popolare
nazionale, quello che ci assomiglia e del quale
cogliamo le sfumature, magari in arrangiamenti
inconsueti e attuali. Sarebbe un atto normale,
importante, non un passo indietro, ma un
passo avanti verso una maggiore
consapevolezza e fiducia nelle proprie radici,
in fondo semplicemente quello che accade di
regola nella coralità della maggior parte degli
altri paesi europei e soprattutto di quelli che
sono per qualità ai vertici. Alcuni cori lo fanno
abitualmente e lo hanno dimostrato anche sui palcoscenici salernitani, ma il loro esempio
dovrebbe diventare una consapevolezza diffusa, così come una maggiore attenzione per la
vocalità il fondamento sicuro sul quale basare anche la propria curiosità e il giusto approccio ai
linguaggi musicali di altre culture.
Salerno Festival rivela un enorme potenziale di sviluppo non soltanto in quanto può essere al
tempo stesso specchio per conoscersi e scuola per crescere, ma perché ha incontrato il prezioso
sostegno di persone che ne condividono lo spirito e credono nella manifestazione in tutti i suoi
aspetti, infine perché ha assunto per posizione e concetto un’importanza strategica nel tentativo
di mettere in comunicazione l’Italia corale.
Un festival nazionale è specchio
degli orientamenti attuali, la vetrina
che offre un’immagine autentica
dell’attività dei cori partecipanti.
ASSOCIAZIONE
61
UN FESTIVAL PER UNIRE L’ITALIA CORALE
Intervista con il presidente dell’ARCC Vicente Pepe
a cura di Rossana Paliaga
«Salerno Festival è diventato un momento imprescindibile
dell’attività Feniarco e gode ogni anno dell’accoglienza
meravigliosa di una città che attende i coristi anche con le
espressioni della coralità campana, forte di un’importante
componente giovanile». Così il vicepresidente Feniarco
Pierfranco Semeraro ha definito alla serata di gala una
manifestazione alla quale l’ARCC garantisce un sostegno forte.
Accanto al lavoro quotidiano dei volontari c’è infatti la
risposta numerosa e attiva dei cori campani in una rete di
collaborazioni ed entusiasmo che abbiamo fatto descrivere al
presidente dell’associazione regionale Vicente Pepe.
Per noi è importante la condivisione del piacere di cantare
con gli altri e questo messaggio è molto recepito e
apprezzato nella nostra città e nel territorio in generale. Il
canto diventa quindi aggregazione, piacere di conoscere gli
altri e incontra l’istintiva disponibilità all’accoglienza che è
anche una caratteristica della città.
Ai cori provenienti dalle altre regioni italiane il festival offre
anche l’opportunità di conoscere la coralità campana. Se
consideriamo la vetrina del concerto di apertura che ha dato
il benvenuto ai partecipanti, i cori locali hanno evidenziato
una spiccata inclinazione verso repertori pop. È l’immagine
fedele di una tendenza generale a “navigare” ai margini del
classico?
Un festival è vissuto comunque con un’emozione, una
sensazione diversa e i direttori nel proporre il repertorio
adatto riflettono certamente su questa situazione. Non si
tratta di un concorso, quindi un brano più accattivante
potrebbe essere più giusto, soprattutto nei momenti come il
concerto di gala. Nella nostra regione abbiamo una bella
tradizione corale e polifonica, di conseguenza molta passione
e rispetto per gli autori classici. Tuttavia nel corso di questi
ultimi anni molti cori hanno iniziato a studiare, divertendosi
molto, il repertorio pop, per cercare di avvicinare sempre più
giovani alla musica e grazie anche ai continui scambi con
tanti giovani maestri che fanno parte del nostro mondo di
Feniarco. Per fare un esempio, nella nostra associazione
regionale abbiamo Ciro Caravano, leader dei Neri per caso,
gruppo molto conosciuto che ha vinto al festival di Sanremo,
quindi portavoce di una musica diversa dai percorsi classici,
ma con la quale riesce a coinvolgere con successo i giovani
del Coro Pop dell’Università di Salerno. Questo è soltanto un
esempio, ma potrei citare ancora molti altri validi maestri che
ci propongono repertori simili. Dal mio punto di vista è un
modo per percorrere, magari in senso inverso, una strada che
ti può portare alla coralità, risalendo dal pop alla polifonia.
Oltre a chi lavora nella coralità, si percepisce un grande
entusiasmo collettivo attorno al festival anche da parte di chi
accoglie i vari concerti sul territorio.
Sono convinto che la musica corale abbia il dovere di proporsi
anche al di fuori di quelli che sono gli spazi consueti e
canonici, perché accanto ai luoghi “giusti” e per questo
meravigliosi, la musica deve a volte ritornare anche nel
mondo dove nei secoli è stata sempre di casa, ovvero nelle
osterie, negli incontri conviviali, nei luoghi della vita sociale.
Partendo da quest’idea proponiamo all’interno del festival i
Frijenn Cantann, che invitano a cantare liberamente in coro in
luoghi non convenzionali: nell’atrio di un palazzo, in una
salumeria storica, nelle case private magari un po’ particolari
come la Casa museo Natella, il cui proprietario realizza
presepi bellissimi. Abbiamo la fortuna di poter contare sulla
disponibilità della Sovrintendenza ad aprire i propri spazi,
dove i coristi possono andare a cantare e scoprire al tempo
stesso tesori artistici e storici unici. Sono situazioni belle e
particolari che utilizzano il canto anche come mezzo per
apprezzare meglio altre manifestazioni artistiche. Le corali che
partecipano al festival trovano sempre l’opportunità di
conoscere la storia e la cultura di questo luogo.
Nella cultura e nella tradizione della regione Campania c’è
anche la grande tradizione del canto solista, della canzone
italiana nella sua forma più conosciuta e apprezzata in tutto
il mondo. Quanto questo importante retaggio ha influito su
una consapevolezza più tarda dell’essenza e della pratica
della musica corale?
Nella nostra nazione esiste una vera e propria dicotomia tra le
esperienze corali delle regioni del centro nord e del sud. Da
noi è stato preponderante l’aspetto solistico del canto, la
canzone napoletana, quindi è stato più difficile iniziare a
lavorare sul fronte della polifonia e “convincersi” che anche
questo aspetto dell’espressione vocale è bellissimo. Nella
coralità entrano in gioco altri fattori fondamentali: condividere
un’esperienza, una passione, crescere, formarsi, ascoltarsi,
ascoltare. È inoltre vero che i festival come questo aiutano a
far diminuire le distanze, anche culturali. Lungo i 1300
chilometri del nostro paese si incontrano storia e tradizioni
diverse, ma la musica corale ci aiuta a condividere queste
esperienze. Stiamo imparando molto e ci auguriamo di poter
dare un segno importante, come regione e come Sud in
generale, alla musica corale italiana.
62
INVENTARE FUTURO
L’ASSEMBLEA FENIARCO AD ALGHERO
di Alvaro Vatri
C’è un’espressione ricorrente negli interventi del presidente
Sante Fornasier, nelle diverse sedi: «inventare futuro».
Inventare nel senso etimologico della parola, cioè scoprire,
portare alla luce, trovare qualcosa che già esiste allo stato di
potenzialità ma che aspetta solo di essere svelata e
valorizzata. Cosa significa per noi, cosa deve fare la coralità
amatoriale e chi la rappresenta? Significa fare in modo che le
grandi potenzialità dell’associazionismo corale, nelle sue varie
espressioni (dai singoli cori alle federazioni internazionali), in
termini di valori, di capacità di mobilitazione e promozione, in
termini di rilevanza sociale e civile, emergano, diventino
consapevoli, condivise e consolidate per essere energia di
progresso e base di confronto con le altre realtà e le
istituzioni. Ebbene, se dovessimo dare una cifra all’assemblea
nazionale di Feniarco che si è riunita, per la prima volta in
Sardegna, ad Alghero, munificamente
ospitati dalla FERSACO, il 12 e 13 ottobre
scorsi, questa sarebbe proprio “inventare
futuro”. In questa direzione, infatti,
vanno alcune delle decisioni prese
dall’assemblea, che ha ragionato sulle
strategie e le iniziative più efficaci per
dare base solida sul piano “interno” alla
rilevante posizione di Feniarco in ambito
internazionale, conclamata dal successo
del Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012 e dall’attuale ruolo
che i nostri rappresentanti esercitano nella leadership della
associazione europea. Ma andiamo con ordine.
Anche in questa occasione i lavori assembleari sono stati
organizzati in modo da concentrare l’analisi e la discussione
del sempre nutrito ordine del giorno nella giornata di sabato
e dedicare la mattinata della domenica a una libera e
“polifonica” riflessione su un tema comune. Per questa
occasione è stato scelto “Fare coro ai tempi della crisi”. Una
tematica viva che ha suscitato un ricco ventaglio di
esperienze che ci ha convinto a formalizzare questo momento
dei lavori in un vero e proprio “convegno” con conseguente
redazione di un documento di sintesi da mettere poi a
disposizione. Ecco dunque una prima, interessante e
innovativa “invenzione” che arricchisce in modo organico
l’ormai rilevante patrimonio di idee e pensiero prodotto in
tutti questi anni. E si comincia subito: infatti Franco Colussi e
Salvatore Panzanaro si sono impegnati a stendere una
relazione su quanto trattato ad Alghero.
Tornando alla sessione di sabato, almeno due elementi fanno
intravedere una prospettiva interessante ed efficace per il
futuro: l’importanza, condivisa con convinzione, del “fare
rete”, del “fare sistema”, da realizzare progressivamente, ma
costantemente, attraverso iniziative comuni quali la
realizzazione di un cartellone unico per il Natale, denominato
Nativitas, che riporti tutti i concerti del periodo natalizio
organizzati in tutte le regioni (si partirà con una
sperimentazione nel 2014, ma intanto alcune associazioni
regionali adotteranno la denominazione comune già
quest’anno).
Un altro progetto denso di sviluppi è quello di un Festival
delle Alpi (di rete), per ora allo stato di proposta da
approfondire e verificare e per la quale sarà costituito un
gruppo di lavoro delle regioni interessate (Liguria, Piemonte,
Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Trentino, Alto Adige, Friuli
Venezia Giulia), e che, in un secondo tempo, potrebbe essere
esteso anche alle altre nazioni alpine (Francia, Svizzera,
Un clima di lavoro straordinario in cui
“inventare futuro” è stato molto più che
uno slogan.
Austria, Slovenia). Sono progetti e iniziative importanti non
solo dal punto di vista dei contenuti, ma anche dei metodi di
lavoro e dei processi produttivi.
Un secondo elemento che proietta efficacemente in avanti le
prospettive di Feniarco è la disponibilità offerta dalle regioni a
ASSOCIAZIONE
contribuire, in relazione al numero degli associati, alla
pubblicazione di alcuni volumi (Giro Giro Canto 5 e Teenc@nta
2) da tempo pronti e attesi dagli operatori. Nella stessa
direzione va l’impegno a sostenere e promuovere la rivista
Choraliter portandola tra i cori e tra i cantori da cui
sicuramente ritornerebbe un aiuto concreto tramite la
sottoscrizione di abbonamenti. Non è impossibile arrivare ad
almeno 2-3000 abbonamenti, ma è necessario un impegno da
parte di tutti.
Altri importanti argomenti trattati sono stati: le celebrazioni
per il trentennale della federazione, per il quale è stato
allestito il logo, fissato il Feniarco Day (23 gennaio) e sono
previste due celebrazioni ufficiali, la prima inaugurale a San
Vito, il 23 gennaio, e la seconda conclusiva a Roma in ottobre,
più altre iniziative che sono in fase di
approfondimento.
Poi il Coro Giovanile Italiano per il quale,
nella attuale compagine, è stata approvata
la partecipazione al Concorso di Tours, alla
fine di maggio, come conclusione di un ciclo
brillante che ha dato grandi soddisfazioni
alla coralità italiana. Per il futuro è stato
deciso che la nuova compagine sarà
affidata a due direttori, un italiano e uno
straniero, un uomo e una donna, e sono
stati confermati Roberta Paraninfo e Ragnar Rasmussen (NO).
È previsto già un primo appuntamento, nell’agosto 2014, a
Roma nell’ambito del Congresso Willems. Anche l’altra
compagine giovanile nazionale, il Coro Accademia Feniarco,
continuerà la sua attività sotto la direzione di Alessandro
Cadario e nel frattempo si studieranno soluzioni per il futuro.
Sul fronte dei festival si prevede per Salerno Festival una
proiezione internazionale e una rimodulazione cronologica,
mentre per Veneto Canta sarà incrementata la collaborazione.
Per la circolazione delle esperienze e delle conoscenze tra gli
organismi delle singole associazioni regionali è stata ribadita
63
l’importanza del Convegno Nazionale delle Commissioni
Artistiche (probabilmente in giugno, ospitato dall’ASAC) e
dell’incontro dei comitati di redazione delle riviste regionali,
che con ogni probabilità si terrà a Bologna. Sul piano
internazionale, infine, Feniarco favorirà la presenza e la
partecipazione di due o tre cori di voci bianche e giovanili
italiani a Europa Cantat Junior 2014, che si svolgerà a Bergen
(Norvegia) dal 30 luglio al 6 agosto, così come sarà
necessaria (e si vedrà come favorire) una significativa
presenza di cori italiani al Festival Europa Cantat Pécs 2015
(24 luglio-2 agosto), in cui si può pensare alla presenza di
“Casa Feniarco” quale punto di snodo e di valorizzazione
della nostra coralità, in tutte le sue componenti, in quella
vetrina internazionale.
L’assemblea ha ragionato sulle strategie
e le iniziative più efficaci per dare
base solida alla rilevante posizione di
Feniarco in ambito internazionale.
Gli splendidi tramonti sul Golfo di Alghero che rendevano
ancor più suggestivo il profilo “da neonato” del Capo Caccia,
la splendida ospitalità della FERSACO e del presidente Luigi
Polano, la bella serata musicale con il Coro Polifonico Città di
Olbia, l’Associazione Musicale G. Rossini di Sassari, il
Complesso Vocale di Nuoro e i Cantori della Resurrezione di
Porto Torres, hanno creato un clima di lavoro straordinario in
cui “inventare futuro” è stato molto più che uno slogan, o
una parola d’ordine: è stato un entusiasmante stimolo, una
sfida foriera di gratificanti soddisfazioni.
64
PÉCS 2013-2015
DALL’ASSEMBLEA GENERALE ECA-EC
AL XIX FESTIVAL EUROPA CANTAT
di Giorgio Morandi
Mi viene da pensare e presentare Pécs come la città del
viaggio. Dal punto di vista fisico-geografico, da Milano dista
poco meno di 900 chilometri in auto, ma i chilometri
diventano 1100 se si sceglie la combinazione aereo più treno
poiché l’aeroporto è a Budapest (ma non viene poi così male
l’occasione di visitare anche la capitale!).
Dal punto di vista linguistico-toponomastico, il viaggio parte
almeno da Sopianae, va a Quinque Ecclesiae – quindi in
italiano (ora desueto) Cinquechiese e in tedesco Fünfkirchen –
e arriva a Pécs, nome preso durante i 150 anni di dominazione
turca e derivato dalla parola turca be che significa “cinque”.
Anche dal punto di vista storico è un bel viaggio: Pécs (più di
10.000 abitanti ai tempi dei romani e quasi 160.000 abitanti
oggi) è tra le città più antiche dell’Ungheria essendo stata
luogo di insediamento già in epoca preistorica. Celti e Illiri
l’abitarono prima che i Romani ne facessero la capitale della
Pannonia Valeria e cedessero poi il passo a Barbari, Unni,
Avari e Slavi, prima che all’impero Carolingio, agli Ungheresi
che arrivarono verso il 900 e quindi all’Impero Ottomano che
vi si instaurò per più di 650 anni. E gli ultimi 90 anni… sono
storia moderna e ben conosciuta.
Dal punto di vista economico, altri viaggi, a cominciare da
quello del famoso scrittore ottomano Evliya Çelebi (1611-1684)
che visitò Pécs e la descrisse come una fiorente città
mercantile. Ed è ben noto che in epoca moderna la fama di
Pécs è basata sulla produzione di birra e ceramica,
quest’ultima con la famosa fabbrica Zsolnay.
E dal punto di vista culturale e religioso? Il viaggio è
altrettanto lungo e interessante. La bella cattedrale che
nacque romanica, poi fu “neoclassicizzata” e infine ripulita
dagli interventi neoclassici ottocenteschi del Pollack (figlio di
Leopoldo Pollack che operò anche a Bergamo e a Milano
dove morì nel 1806, non prima di costruire il Palazzo Reale) e
riportata all’originale stile romanico come la vediamo oggi.
Essa ci dice, con la cattedra vescovile allocata dietro l’altare
maggiore, sotto il bellissimo catino absidale, essere Sede
Vescovile. Il cristianesimo in questa regione era arrivato (lo
dimostra il ben restaurato cimitero paleocristiano di centro
città) prima del IV sec. d.C.
In campo culturale Pécs è sede (dal 1367) di una delle quattro
università più antiche di tutto il Sacro Romano Impero, e
ancor oggi gode di una vita universitaria vivace e
internazionale. Il già citato nome Zsolnay ci porta all’età
contemporanea poiché identifica un grande e moderno
quartiere culturale (nato sull’area e sulle strutture della
famosa fabbrica di ceramica) che ospita attività significative
di ogni campo dell’arte. Non c’è dubbio che la funzione di
Capitale Europea della Cultura svolta da Pécs nel 2010 ha
lasciato un forte segno nel campo culturale, ne è prova il
completamento dell’informazione con la citazione del grande
e stupendo Kodály Center.
Arrivando al tema specifico musicale, che ci interessa
direttamente in quanto praticanti l’arte della coralità, il viaggio
si fa un po’ più breve nel tempo, ma rimane di grande
intensità: fondamentale è stata la tappa del 1988 con il
Festival Europa Cantat che abbatté il primo muro di
separazione con i paesi dell’est; importante sarà dal 24 luglio
al 2 agosto del 2015 una nuova moderna edizione del Festival
Europa Cantat: “Hung(a)ry for singing”. E nel mezzo, fra le
due date, tanti importanti eventi di valore internazionale: Pécs
Cantat 2010, Symposium sull’Educazione Musicale, Eurochoir,
Assemblea Generale Annuale di ECA-EC… per citare soltanto gli
eventi più importanti e più recenti.
Ora ci soffermiamo un po’ più a lungo proprio sulla recente
assemblea generale di European Choral Association - Europa
Cantat che sotto il titolo Inspiring Cooperation through VOICE
(“cooperazione che ispira attraverso il progetto VOICE”, ma
potremmo anche tradurre “suggerire cooperazione attraverso
“Quale sarà il mondo
culturale entro il 2020?”
il progetto VOICE”) ha avuto luogo proprio a Pécs dall’8 al 10
novembre 2013.
All’importante evento l’Italia è stata ben rappresentata da una
non numerosissima ma significativa delegazione formata da
Sante Fornasier e Lorenzo Benedet, rispettivamente
presidente e segretario di Feniarco, dai maestri Carlo Berlese
(presidente di USCI Pordenone) ed Ettore Galvani (presidente
di ACP Piemonte) e da Giorgio Morandi (del comitato di
redazione di Choraliter). Oltre la delegazione, importantissima
presenza italiana naturalmente è stata quella di Carlo Pavese
che è vicepresidente di European Choral Association - Europa
Cantat e che pertanto, con i colleghi del board, ha svolto
grande e importante lavoro per la specifica preparazione
dell’assemblea e per la gestione futura dell’associazione.
ASSOCIAZIONE
Nell’anno delle celebrazioni per il 50° anniversario di
fondazione dell’associazione europea dei cori (ricordato anche
con una piccola cerimonia augurale – taglio della torta e
brindisi con tutti i presenti, tra cui il Dr. Péter Hoppál,
presidente della Commissione Cultura di Pécs e membro del
Parlamento Ungherese), l’assemblea è stata l’ultimo evento di
un programma annuale ricco e molto vario.
Ricordiamo che parlando di ECA-EC (European Choral
Association - Europa Cantat) la parola “assemblea” è
riduttiva, non riuscendo a esprimere in chiarezza e
completezza l’insieme di tutte le attività che in tre giorni
vengono espletate:
- le riunioni degli organi istituzionali portanti
dell’associazione: il board, la commissione musicale, la
commissione giovanile, il consiglio dei revisori dei conti;
- i discorsi ufficiali: quello del presidente di ECA-EC Gábor
Móczár che accoglie saluta e ringrazia tutti, relaziona e
informa, segue con attenzione lo svolgersi di tutte le attività;
quello di Szolt Páva, sindaco della città, quello del direttore
del Zsolnay Heritage Management Nonprofit Ltd, István
Márta, quello di Aurél Tillai, professore emerito dell’Universitá
di Pécs, dirigente del Coro da Camera di Pécs, già direttore
artistico del Festival Europa Cantat 1988 da lui ufficialmente
ricordato con la lettura della dichiarazione comune che nel
1988 era stata sottoscritta dalla Cittá di Pécs, dal Ministero
della Cultura Ungherese e dalla federazione Europa Cantat
per esprimere e sottolineare la loro convinzione che il festival
serve per l’amicizia fra le nazioni e il canto corale è un mezzo
molto importante di pace. E infine il discorso di Péter Hoppál,
presidente della Commissione Cultura di Pécs e membro del
Parlamento Ungherese;
- l’assemblea vera e propria per l’approvazione di bilanci e
relazioni finaziarie, la ratifica delle attività annuali realizzate e
la programmazione delle attività future;
- la conferenza “Quale sarà il mondo culturale entro il 2020?”
tenuta da Ferdinand Richard, fondatore dell’A.M.I. - Centro
Nazionale per lo Sviluppo della Musica Innovativa nonché
dirigente responsabile per il Fondo Internazionale per le
Diversità Culturali dell’UNESCO.
E ancora: incontri di studio, workshop, concerti,
dimostrazione di attività corali in progress…
65
E non possiamo dimenticare la grande e importantissima
opportunità che l’assemblea ha rappresentato ancora una
volta per incontrare persone (singole e rappresentanti di
piccole e grandi associazioni corali regionali e nazionali),
scambiare opinioni ed esperienze corali musicali e
associative, ma anche in generale di… vita vissuta nelle
proprie realtà – realtà che ancor oggi talvolta sono molto
lontane dalla nostra. Circa 130 musicisti e rappresentanti di
associazioni corali di 24 diversi paesi europei (tra questi
alcune persone dei paesi dell’Europa centro-orientale che
partecipavano per la prima volta e i rappresentanti di Libano
e Israele) si sono riuniti per tre giorni e hanno cercato
ispirazione nuova, si sono incontrati, hanno parlato e
discusso di attività e collaborazioni passate, ma soprattutto
di quelle proiettate verso il futuro.
Nelle tre ore di assemblea generale formale (che è solo una
parte minore, anche se necessaria e importante, della
riunione di tre giorni) il board, che era stato eletto un anno fa
a Toulouse, ha presentato – sotto il titolo di “Benefici della
comunità che canta” – le strategie dell’associazione per i
prossimi anni. Cinque i punti essenziali evidenziati:
modernizzare ECA-EC, facilitare un approccio paritario tra i
membri, investire nella creazione di nuove capacità e di
training, dare efficacia alla comunicazione e incrementare la
consapevolezza. Tutto il tempo restante è stato impiegato:
nella presentazione – nelle sue diverse articolazioni – del
progetto VOICE (Vision On Innovation for Choral Music in
Europe), il progetto corale globale triennale (2012-2015)
finanziato dall’Unione Europea; nell’esposizione di esempi di
cooperazione fra i partner di VOICE e di diversi progetti di
ricerca pianificati nell’ambito dello stesso progetto; nella
considerazione di esempi di collaborazione paritaria tra i
membri dell’associazione e di modi efficaci per suggerire la
partecipazione a eventi internazionali.
Il programma è stato completato da sessioni musicali,
concerti e gruppi di lavoro che hanno offerto ai partecipanti
la possibilità di discutere possibili progetti futuri di
collaborazione.
Tutte le attività che vengono raggruppate sotto il titolo
generico di “assemblea generale annuale della European
Choral Association” – e che è stato proposto per il futuro di
chiamare più propriamente “convegno” – sono state ospitate
dalla città di Pécs in collaborazione con la Zsolnay Heritage
Management LTD (ZSÖK) nelle meravigliose strutture del
Quartiere Culturale Zsolnay e del Centro Kodály (costruiti in
occasione di Pécs Capitale Europea della Cultura nel 2010) e
nella splendida cattedrale di Pécs. Queste strutture e il bel
centro storico della città lasciano immaginare concretamente
la meravigliosa atmosfera che ci si può aspettare fin d’ora
per il Festival Europa Cantat che qui avrà luogo tra il 24
luglio e il 2 agosto del 2015. Il successo del festival mi
sembra poi garantito già fin d’ora dalle capacità organizzative
e dalla cordiale simpatia espressa dagli amici ungheresi
nell’organizzazione di questa tre giorni corale per l’assemblea
generale di European Choral Association - Europa Cantat.
CD
66
CD
CHORALITER
Bando di partecipazione
Feniarco intende selezionare registrazioni
dotate dei requisiti necessari per essere allegate alla rivista nell’anno 2014.
Al presente bando potranno partecipare tutti
i cori italiani. Le registrazioni, inedite o edite in
tiratura limitata, dovranno essere state realizzate, alla data di scadenza del bando, da non più di
5 anni e dovranno rispondere ai seguenti criteri:
> avere carattere unitario, presentandosi come
un progetto focalizzato su un tema omogeneo
e artisticamente significativo, tale da poter
essere oggetto di un dossier della rivista;
> essere di qualità sul piano dell’esecuzione, della registrazione e del repertorio proposto;
> avere una durata non inferiore ai 50
minuti.
Le registrazioni andranno inviate a
Feniarco entro il 31 maggio 2014 unitamente a un curriculum del coro e del direttore e una dichiarazione di autenticità dell’esecuzione.
Una commissione d’ascolto costituita dal direttore della rivista e da due componenti della commissione artistica nazionale valuterà le registrazioni pervenute, formulando una graduatoria in
base ai predetti criteri.
La redazione si riserva la possibilità di utilizzare anche parzialmente le registrazioni pervenute,
pubblicando un CD antologico.
I costi di realizzazione del master sono a carico
dei cori. Feniarco provvederà alla duplicazione,
alla stampa dell’eventuale booklet e alla diffusione. Il coro interprete del CD selezionato fornirà
inoltre una liberatoria che autorizzi Feniarco alla pubblicazione e diffusione, rinunciando ai diritti che saranno esercitati da Feniarco in quanto editore.
Per le registrazioni eventualmente già edite,
dovrà essere allegata una liberatoria da parte
dell’editore, che autorizzi alla duplicazione e diffusione.
Al coro interprete del CD pubblicato saranno riservate 50 copie omaggio della rivista e ulteriori 100
copie del CD.
CRONACA
67
“QUATTRO VOLTE POLIFONICO” TRA SORPRESE E NOVITÀ
Lo storico concorso tra i grandi eventi dell’estate aretina
di Rossana Paliaga
Con un impegno «ben oltre i limiti tradizionali consolidati
nelle passate edizioni», come giustamente ribadito dal
presidente della Fondazione Guido d’Arezzo Carlo Pedini, lo
staff del Polifonico ha dato vita quest’anno a ben quattro
manifestazioni: il LXI Concorso polifonico internazionale e il
XXX Concorso polifonico nazionale Guido d’Arezzo, il XXVIII
Festival corale internazionale di canto popolare e la
finalissima del XXV Gran Premio europeo di canto corale.
È tangibile il lavoro degli organizzatori per confermare il ruolo
che il Polifonico merita per la sua lunga e prestigiosa storia e
in quanto competizione italiana di riferimento nel mondo.
Eppure sembra sempre che il concorso
rimanga alla ricerca, concreta e metaforica,
del posto “giusto”. Il direttivo, che continua
a perseguire la ripresa sobria ma
importante e piena di buoni propositi
dell’anno scorso, è stato infatti condizionato
non soltanto dai mezzi economici necessari
a sostenere un evento competitivo
occasionalmente raddoppiato, ma anche da
un eccesso di zelo dovuto all’inserimento
del concorso all’interno di una serie di
eventi turistici e culturali di grande richiamo. Nello stesso fine
settimana la città ha proposto infatti la celebre rievocazione
della Giostra del Saracino, la rinomata Fiera antiquaria e la
biennale d’arte Icastica che ha riempito la città di installazioni
d’autore. Nonostante il veicolo pubblicitario “cumulativo” e le
iniziative per mettere in dialogo gli eventi, ad esempio con un
concerto del coro Vox Cordis creato appositamente per
includere l’elemento acustico e musicale all’interno di una
delle mostre di arte contemporanea, il concorso ha dovuto
piuttosto cercare una via esclusiva, data anche dalla nuova
sede delle selezioni e dei concerti al di fuori dei percorsi più
frequentati del centro storico. La chiesa di Sant’Ignazio, sede
abituale del concorso, ha ospitato infatti un’installazione di
Yoko Ono, mentre il Polifonico ha incontrato spazi e acustica
nuovi nella basilica di San Domenico. Adattarsi al nuovo
ambiente non è stato difficile, anche perché ha portato i
vantaggi di una maggiore ampiezza, una migliore acustica e
non da ultimo di una piazza antistante dove incontrarsi e
assistere al concerto all’aperto.
Sotto il magnifico crocifisso di Cimabue hanno aperto la
competizione i cori già laureati, vincitori dei concorsi
consorziati di Tours, Varna, Debrecen, Arezzo e Tolosa,
impegnati nell’ultima sfida per il Gran Premio Europeo. I
MusicaQuantica di Buenos Aires, diretti da Camilo
Santostefano, hanno portato dal lungo viaggio la compattezza
di un coro unito e appassionato, con il pregio di avere sempre
chiaro l’obiettivo musicale al di là di qualche imprecisione di
percorso. Gli indonesiani del Batavia Madrigal Singers di Avip
Priatna hanno mostrato un suono omogeneo e morbido, ma
con perdite di tensione e una pronuncia poco chiara dei testi,
mentre manierismo stilistico e un suono grande, ma tagliente
non hanno probabilmente favorito il coro ucraino Credo di
Bogdan Plish.
Nella rosa dei migliori c’era anche il coro accademico Tone
Toms̆ic̆, che Sebastjan Vrhovnik ha fatto concorrere
scegliendo un programma interessante, proposto ed eseguito
Il concorso internazionale ha vissuto
un rilancio con un grande aumento
dei partecipanti rispetto all’edizione
precedente.
con cura minuziosa, che mettesse in luce le diverse capacità
del coro, forse un po’ offuscate dalla tensione.
Sull’assegnazione del prestigioso trofeo non ci sono stati
dubbi per l’evidente, superiore qualità vocale del coro
giovanile lettone Kame- r, diretto da Ja- nis Liepins̆. Con un
programma contemporaneo perfettamente nelle loro corde,
un suono vivo e intenso, e una sensibilità più rivolta al suono
che all’espressione, le giovani voci del Baltico hanno
conquistato la giuria formata, citando il direttore artistico del
68
Polifonico Piero Caraba, da «professionisti che sostengono la coralità amatoriale».
Dopo l’apertura eccezionale all’insegna del Grand Prix, la giuria presieduta da Marco Berrini ha
inaugurato le regolari giornate di competizione con il concorso nazionale, quest’anno suddiviso
nelle categorie di adulti e voci bianche e dedicato alla memoria di Orlando Dipiazza, pioniere
della coralità italiana, «uomo schivo che ha lavorato con grande passione», come ha voluto
ricordare il presidente di Feniarco Sante Fornasier.
A dedicargli un omaggio musicale hanno pensato le Voci bianche del Contrà di Fontanafredda,
ensemble armonioso per il quale la direttrice Jessica Lot ha scelto un programma poco vivace in
rapporto all’età dei coristi, ma rivolto alla valorizzazione di autori della regione di provenienza
del coro e che è valso al gruppo il premio Feniarco. La sezione ha dimostrato in generale una
lodevole attenzione al repertorio corale italiano, affrontato in gruppi poco numerosi, ma molto
motivati. Il primo premio in questa categoria non è stato assegnato, ma il secondo ex aequo è
andato al coro C. Eccher di Cles (diretto da Chiara
Biondani), ben preparato ma trattenuto
nell’espressione, e al coro Garda Trentino di Riva
del Garda con il programma lieve ma non scontato
scelto dal direttore Enrico Miaroma.
Sono stati soltanto tre anche i partecipanti alla
sezione di cori di adulti, numero ridottissimo che
però nulla toglie al merito della vittoria del
gruppo femminile Bodec̆a nez̆a di San Michele del
Carso, arrivato ad Arezzo con un programma e
un’esibizione meditati in tutti i dettagli ed eseguiti
con precisione e concentrazione, in modo da far
risaltare le voci educate e l’eleganza nell’interpretazione dimostrate dalle giovani coriste di
Mateja C̆ernic. Il secondo premio non assegnato ha reso ancora più evidente la qualità
dell’ottima esibizione su brani di de Victoria, Lajovic e Bonato. Il terzo premio ex aequo è stato
assegnato ai Laeti Cantores di Salerno, che con il direttore Roberto Maggio lavorano
sull’omogeneità del suono, ma potrebbero osare una maggiore gamma dinamica, e al Coro da
Camera Trentino di Giancarlo Comar, tradito da qualche imprecisione vocale e stilistica.
Se il concorso nazionale ha dimostrato quanto il Polifonico sia temuto ma al tempo stesso
quanto non rischiare possa diventare un’occasione perduta, il concorso internazionale ha vissuto
un rilancio con un grande aumento dei partecipanti rispetto all’edizione precedente: undici cori
tra i quali ben tre cori italiani (due dei quali hanno partecipato anche al concorso nazionale).
All’interno della competizione internazionale non è stato possibile attivare la categoria di voci
bianche, ma come novità principale è stato reintrodotto il pezzo d’obbligo: Sub tuum praesidium
È tangibile il lavoro degli
organizzatori per confermare il ruolo
che il Polifonico merita per la sua
lunga e prestigiosa storia.
CRONACA
69
RISULTATI 30º CONCORSO POLIFONICO NAZIONALE
di Palestrina per le voci pari, Sospirava il
mio core di Gesualdo per le voci miste. Con
queste scelte appropriate la direzione del
Polifonico ha messo seriamente alla prova i
partecipanti, al tempo stesso interpretando
la vocazione all’antico che caratterizza il
Polifonico. Imperfezioni nei tempi, nella
conduzione musicale, nell’interpretazione
stilistica hanno penalizzato in linea generale
l’approccio allo splendore rinascimentale
palestriniano, mentre sono state più
convincenti le prove su Gesualdo, che
tuttavia è diventato un chiarissimo rilevatore
delle capacità espressive e dell’intensità
delle interpretazioni che non possono
derivare dalla sola impostazione tecnica.
Nella sezione a voci pari non è stato
assegnato il primo premio, mentre il
secondo è andato a un gruppo che si è
distinto con la solidità della tradizione
ungherese, il coro giovanile Magnificat
diretto da Valéria Szebellédi, gruppo dal
suono levigatissimo, con maggiore
freschezza nel colore che
nell’interpretazione, che ha convinto la giuria
nel contemporaneo e il pubblico nel
popolare.
Al terzo posto in questa categoria si è
classificato il Vocalia Taldea di Basilio
Astulez con le sue scelte di programma
rischiose e una vivacità peculiare nelle
esecuzioni che deriva da una grande
simbiosi con l’approccio del direttore. Il coro,
dal profilo molto definito, tanto da risultare
a tratti aggressivo, ha vinto il primo premio
nella categoria con programma
rinascimentale con l’energia (a volte
eccedente) che allontana questo gruppo
dallo stereotipo dell’ensemble femminile
“angelicato”. Non ha fatto breccia invece
l’impostazione schematica del gruppo
indonesiano Parahyangan Catholic University
Choir.
I cori italiani non sono riusciti a salire sul
podio, ma meritano una lode per l’impegno
e il coraggio di mettersi in gioco (senza
sfigurare affatto) in un contesto così
importante. Hanno partecipato
all’impegnativo agone internazionale il Coro
da Camera Trentino, che si è distinto con
una buona prova nel contemporaneo, le
ragazze del coro Bodec̆a nez̆a, molto
musicali, mature e sempre capaci di
dimostrare la condivisione totale di un
obiettivo artistico, infine l’Ensemble La Rose
Sez. 1 - Polifonia
1° premio Gruppo vocale femminile Bodec̆a nez̆a di San Michele del
Carso (Go)
2° premio non assegnato
3° premio ex aequo Laeti Cantores di Salerno; Coro da Camera Trentino di
Borgo Valsugana (Tn)
Premio speciale Feniarco: non assegnato
Sez. 2 - Cori di voci bianche o giovanili
1° premio non assegnato
2° premio ex aequo Coro voci bianche C. Eccher di Cles (Tn); Coro voci
bianche Garda Trentino di Riva del Garda (Tn)
3° premio Voci bianche del Contrà di Fontanafredda (Pn)
Premio speciale Feniarco: Voci bianche del Contrà di Fontanafredda (Pn)
RISULTATI 61º CONCORSO POLIFONICO INTERNAZIONALE
Sez. 2 - Cori a voci miste
1° premio Collegium Cantorum Yokohama (Giappone)
2° premio Cantatrix di Dokkum (Paesi Bassi)
3° premio New Dublin Voices di Dublino (Irlanda)
Sez. 3 - Gruppi vocali
1° premio New Dublin Voices di Dublino (Irlanda)
2° premio Vocalia Taldea di Bilbao (Spagna)
3° premio Collegium Cantorum Yokoama (Giappone)
Sez. 4 - Cori a voci pari
1° premio non assegnato
2° premio Magnificat Youth Choir di Budapest (Ungheria)
3° premio Vocalia Taldea di Bilbao (Spagna)
Sez. 6 - Rassegna per periodi storici
Premio speciale periodo A Vocalia Taldea di Bilbao (Spagna)
Premio speciale periodo B non assegnato
Premio speciale periodo C non assegnato
Premio speciale periodo D ex aequo
Collegium Cantorum Yokohama (Giappone); Magnificat Youth Choir di
Budapest (Ungheria)
Sez. 7 - Rassegna di libera espressione
Premio speciale del pubblico
Vocal Ensemble Gregorianum di Varsavia (Polonia)
Sez. 8 - Festival corale internazionale di canto popolare
Premio speciale del pubblico
Magnificat Youth Choir di Budapest (Ungheria)
Premi speciali
Premio speciale per il miglior direttore:
Jose Borgo dell’Ensemble La Rose di Piovene Rocchette (Vi)
Gran Premio “Città di Arezzo”: New Dublin Voices di Dublino (Irlanda)
70
di Piovene Rocchette che ha avuto la soddisfazione di vedere assegnato il premio
speciale per il miglior direttore a Jose Borgo.
La competizione dei cori a voci miste è stata aperta da un fuoriclasse come Ko
Matsushita con il suo Collegium Cantorum Yokohama, capace come sempre di
armonizzare la disciplina e la precisione orientali con un’intensità interpretativa
tipicamente europea. Il coro ha vinto il primo premio nella sezione a voci miste e un
meritatissimo premio ex aequo con le ragazze ungheresi del Magnificat nel
programma contemporaneo.
Le aspettative nei confronti della partecipazione del coro dell’Università del Litorale
di Capodistria, diretto dall’apprezzato direttore e compositore Ambroz̆ C̆opi, sono
state purtroppo deluse dai risultati che non hanno visto il coro rientrare nei primi
posti delle classifiche, anche a causa di uno scarso equilibrio del suono d’insieme.
Da Dokkum in Olanda è arrivato il coro Cantatrix che si è distinto per l’attenzione ai
dettagli di stile sotto la direzione di Geert-Jan van Beijeren; questo pregio gli è valso
il secondo premio nella categoria a voci miste, mentre ha un po’ sorpreso il mancato
riconoscimento nella categoria dedicata alla musica barocca che costituisce
evidentemente una delle specialità di questo gruppo. Nella categoria per periodi
storici non è stato assegnato nemmeno il premio per il repertorio romantico.
Ha avuto un percorso di nicchia il Vocal Ensemble Gregorianum di Varsavia, eptetto
di solisti dalle voci ben timbrate e capaci di dare il giusto rilievo al testo nel
repertorio rinascimentale, che ha saputo essere spiritoso e accattivante nella
rassegna open-air di libera espressione Arezzo Colours (altra novità dell’edizione di
quest’anno), dove il suo giocoso piglio pop ha conquistato il pubblico che gli ha
assegnato il premio speciale di categoria.
Il vincitore assoluto del Gran Premio Città di Arezzo è stato, a sorpresa, il coro
irlandese New Dublin Voices con una scalata al traguardo talmente inaspettata e
improvvisa, da stupire gli stessi coristi. A differenza di quanto solitamente accade, la
giuria ha voluto premiare quel fattore insondabile che è la capacità di emozionare.
Forse non è stato il coro più irreprensibilmente preciso e il suo organico non è tale
da travolgere l’uditorio con un fortissimo, ma ha avuto la sensibilità di lavorare sulle
preziosità vocali, sulla capacità di raccontare una storia con ogni brano, su un suono
ben calibrato, sull’affettuosa condivisione di un modo di sentire con il suo direttore
Bernie Sherlock. Con un terzo premio nella sezione a voci miste il coro non avrebbe
avuto diritto a partecipare alla competizione finale per il Grand Prix, ma proprio nella
giornata conclusiva ha avuto uno scatto inatteso nella categoria dei gruppi vocali. La
vittoria in questa prova, affrontata probabilmente come “accessoria” a causa della
necessaria formazione ridotta, ha garantito al coro la partecipazione alla finalissima,
a confronto con il volume sonoro del Vocalia Taldea, la perfezione del Magnificat e
l’eleganza quasi intellettuale del Yokohama, portandolo rapidamente al vertice della
classifica con la conquista del diritto a partecipare alla prossima finale europea per il
Grand Prix che Debrecen ha fissato nel mese di marzo.
La vittoria è andata a un coro misto, ma il concorso ha visto quest’anno una forte
presenza di gruppi femminili e la quota rosa del Polifonico si è espressa anche nel
premio speciale consegnato alla cerimonia di chiusura con la Medaglia del Presidente
della Repubblica alla carriera assegnata a Bruna Liguori Valenti, «antesignana
dell’esperienza corale italiana grazie alla promozione e diffusione di nuove
prospettive didattiche».
Alla chiusura della manifestazione è stato sottolineato quanto «il Polifonico tenda a
rinnovarsi sempre per rimanere vivo e non adagiarsi sugli allori del passato»; non si
può che attendere con curiosità le novità dell’edizione 2014, per la quale è già stato
preannunciato l’accento sul trentennale di Feniarco, fondata proprio ad Arezzo.
+ notizie>
+ approfondimenti>
+ curiosità>
+
rubriche>
+
+
musica>
servizi sui principali>
avvenimenti corali
LA RIVISTA DEL CORISTA
Anche per il 2014
rinnova il tuo abbonamento
e fai abbonare anche i tuoi amici
CHORALITER + ITALIACORI.IT
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
abbonamento annuo: 25 euro / 5 abbonamenti: 100 euro
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
Via Altan, 83/4
33078 S. Vito al Tagliamento (Pn) Italia
Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554
www.feniarco.it - [email protected]
modalità di abbonamento:
• sottoscrizione on-line dal sito www.feniarco.it
• versamento sul c/c postale IT23T0760112500000011139599 intestato a Feniarco
• bonifico bancario sul conto IT90U063406501007404232339S intestato a Feniarco
72
“CHORALISTI” TRA TRADIZIONE… E RIVOLUZIONE!
I 60 ANNI DEL FESTIVAL CHORALIES A VAISON-LA-ROMAINE
di Rossana Paliaga
Vaison-la-Romaine è un luogo che ispira: così perfetto nella
sua bellezza conservata, restaurata e curata nei minimi
dettagli decorativi da sembrare una scenografia teatrale, al
tempo stesso così reale nel suo bagaglio storico che lo
riconduce, attraverso lo splendore medievale, fino ai fasti
della Gallia romana, testimoniata con magnifica concretezza
dalle vestigia della colonia di Vasio (da cui prende il nome),
del grande teatro antico, del ninfeo, dal ponte romano ancora
in uso e che collega le due parti del suggestivo borgo
provenzale. Nel cuore della città bassa, in piazza Montfort, è
scolpito lungo un rivolo d’acqua il commiato di Adriano,
l’imperatore poeta, quel saluto all’Animula vagula blandula
consegnato ai contemporanei anche dal romanzo
della Yourcenar, veicolo letterario francese per
un’eredità romana, in una combinazione che riflette
in modo esemplare la doppia anima del retaggio
storico e artistico di Vaison.
L’incantevole borgo della Vaucluse va fiero di una
caratteristica ulteriore, ben nota ai francesi ma che
agli occhi dei turisti appare con evidenza accanto
alle altre attrazioni una volta ogni tre anni. Vaison è
infatti una città dove la musica corale è di casa con i 60 anni
di tradizione di un festival tanto importante, da meritare
anche l’intitolazione di una delle arterie del paese: le
Choralies. Dalla sua fondazione nel dopoguerra, la
macromanifestazione non ha mai cambiato sede, radicandosi
nella storia di questo paese come un motivo d’orgoglio,
condiviso a livello nazionale. Le prime pagine e gli ampi spazi
nei media locali sono uno specchio fedele degli effetti di una
lunga tradizione; le Choralies non sono il ritrovo della “tribù”
corale che periodicamente colonizza un sito, ma sono
diventate parte integrante del tessuto culturale della regione.
Nelle strade dei borghi e delle città provenziali parla
dell’evento anche chi non vi partecipa e magari non è
direttamente interessato e questa è la prova più autentica del
ruolo che la manifestazione ha assunto nel territorio. Alle
Choralies prendono parte in media oltre 4000 persone, quindi
nel periodo del festival la popolazione di Vaison letteralmente
raddoppia e gli abitanti accolgono con reale piacere
l’invasione di volontari e coristi che riempiono le strutture
turistiche e si accampano con tende e camper in un
paesaggio di grande suggestione. I coristi sanno di essere
ospiti graditi della “città europea della coralità”, la cui
vocazione si esprime anche con iniziative istituzionali che
coinvolgono la municipalità, in primo luogo la ricerca di una
convenzione con Namur e Pécs, città che condividono una
particolare attenzione per il canto corale. Amatissimo dai
francesi e ben frequentato dai francofoni, l’evento è pronto
per il passo ulteriore, ovvero una più ampia apertura
internazionale che porti il mondo a dialogare coralmente con
l’anima storicamente e profondamente francese di questo
festival.
Quest’anno ha soffiato su Vaison, insieme al Mistral, anche
un vento di novità; l’hanno percepito chiaramente i
frequentatori abituali delle Choralies, ai quali non è
dispiaciuto cogliere questa voglia di aggiornamento.
Portavoce del cambiamento è stato Jacques Barbier,
impegnato per la prima volta nella direzione del festival da
La Vaison delle Choralies
è un luogo dove cantare,
ma soprattutto dove ascoltare.
quando ha assunto la presidenza di À Coeur Joie France.
Affiancato dal direttore artistico Jean-Claude Wilkens e dal
coordinatore tecnico Olivier Blanchoz, ha ribadito più volte la
parola d’ordine, “apertura”, da applicare ai programmi, alle
idee, all’energia dei giovani: «Occorre fare una rivoluzione in
testa, portare nuova linfa a una mentalità che negli anni è
invecchiata e sono i giovani che devono condurre le danze.
Abbiamo voluto Michael Gohl per la prima volta a Vaison per
proporre un canto comune divertente, che parlasse più lingue
CRONACA
e abbracciasse più culture. Nei programmi ci siamo aperti al
jazz e alla musica leggera. La definizione originaria di
“movimento” va sostituita con “associazione”, per rendere
l’idea di un luogo di incontro, aperto alla conoscenza
reciproca. Guardo infatti alla musica come a un mezzo per
vivere meglio e condividere il presente».
La Vaison delle Choralies è un luogo dove cantare, ma
soprattutto dove ascoltare, con atelier tematici la mattina, i
pomeriggi costellati di concerti, il canto comune e infine i
grandi concerti serali al teatro antico (il modello è quello di
Europa Cantat), con l’organizzazione interamente gestita e
concentrata su una sola associazione nazionale: À Coeur Joie.
L’esperienza pluridecennale si riflette nello staff, serenamente
a proprio agio nonostante le dimensioni imponenti della
manifestazione, ma anche nei fedelissimi partecipanti. Quasi
tutti, a qualsiasi età, possono vantare infatti una lunga
frequentazione della manifestazione: ci sono coristi che non si
sono persi un’edizione, ma anche giovani per i quali è stato
naturale continuare una tradizione alla quale li avevano
introdotti i genitori. Nell’aria è tangibile la gioia dell’incontro
con vecchi e nuovi amici, la voglia di conoscere persone e
repertori, un desiderio che le Choralies hanno esaudito con
almeno undici concerti pomeridiani al giorno in sei siti, alcuni
dei quali di grande rilevanza storica e artistica (la suggestiva
cattedrale romanica, la cappella di Saint Quenin nell’antica
necropoli romana, la chiesa quattrocentesca della città alta),
seguiti dal canto comune e dai grandi concerti nell’imponente
teatro risalente al I secolo, ma anche, per una serata, da
concerti sul territorio regionale.
Nei nove giorni di festival (1-9 agosto) i “choralisti” hanno
scelto i più disparati percorsi tematici di atelier a diversi livelli
di difficoltà e di diversa durata. L’esperienza negli atelier è
73
stata l’occasione per partecipare all’esecuzione di grandi
composizioni, magari con solisti e orchestra (ad esempio la
Krönungs messe di Mozart o i Carmina burana di Orff),
oppure cimentarsi in programmi inconsueti. Oltre alla propria
esibizione di fine atelier, i partecipanti hanno potuto scegliere
tra una grande varietà di concerti pomeridiani di gruppi ospiti
provenienti in gran parte dalla Francia, ma anche da Stati
Uniti, Ungheria, Belgio, Svizzera, Spagna, Indonesia, Brasile,
Russia, Canada, Gabon e Congo (il rapporto con i paesi
africani deriva dai legami creati e coltivati da À Coeur Joie
International). Accanto ai classici programmi storici, i concerti
hanno proposto anche repertori fantasiosi e rarità, tra i quali
la Misa tango di Palmieri, il Requiem alla memoria di Maria
Antonietta, il dovuto omaggio a Britten e Poulenc, la
particolarità della tradizione gitana provenzale, i progetti
d’autore, il genere barbershop, la musica di César Geoffray
(indimenticato fondatore di À Coeur Joie) con una raccolta di
inni usciti per la prima volta dalle mura del monastero per il
quale sono stati scritti, senza dimenticare infine l’apprezzato
filone swing e pop, arricchito da una nota cantautoriale
francese.
Il programma del festival ha offerto tutti i presupposti per
un’immersione totale nelle sfaccettature del mondo corale,
con partecipanti sempre pronti alla scoperta e all’ascolto e
che ogni sera hanno atteso il tramonto imparando canti
svedesi, giocosi canoni, cullandosi su La Mer di Trenet,
ballando su una celebre filastrocca bretone, cimentandosi in
classici dei secoli passati o gospel assieme all’effervescente
Gohl, affiancato da numerosi direttori ospiti e da qualche
sorpresa come la visita graditissima della popolare attrice e
comica Mimie Mathy e della cantautrice Alice Dona.
Che la musica sia una passione imprescindibile lo ha
74
confermato anche l’incontro inaspettato con un ex corista del
Coro Giovanile Italiano che dopo essersi trasferito in Francia
ha trovato immediatamente il modo di inserirsi in diversi
gruppi e cori amatoriali e professionali e che all’interno delle
Choralies si è esibito con il coro parigino Wesley, ma anche
con il Choeur National des Jeunes che, assieme al
Choeur Suisse des Jeunes (entrambi cori giovanili
nazionali), è stato protagonista di uno dei concerti
serali con un grande omaggio a Johannes Brahms
sotto la direzione di Frieder Bernius.
I concerti serali hanno raccontato molto della natura
e degli obiettivi delle Choralies: l’apertura con il
concerto del gruppo ucraino Oreya, ben noto ai
frequentatori di concorsi internazionali, il misto di
jazz e musica brasiliana della serata con Gold Company e
Terra Brasilis, il sapore internazionale e i colori del concerto di
quattro cori da tre continenti, il preludio sinfonico
dell’orchestra di Cluj all’esibizione dei cori riuniti di À Coeur
Joie per rendere omaggio all’eleganza e alla sensibilità di
Poulenc con le immagini poetiche e musicali di Sécheresses
su testi di Edward James. Ma i concerti hanno voluto parlare
soprattutto di giovani, con un concerto affidato interamente ai
cori giovanili nazionali di Francia e Svizzera, insieme
all’energia dei Leioa Kantika dai Paesi baschi spagnoli, questi
ultimi protagonisti anche di un bel progetto di collaborazione
internazionale realizzato con l’ottimo coro giovanile La Cigale
de Lyon e con i coristi di uno degli atelier che insieme hanno
dato vita al concerto finale, un’esplosione di energia ed
entusiasmo sostenuta dalle percussioni del gruppo
Percussions Claviers di Lione. Coreografici, ironici, divertenti,
espressivi, i ragazzi diretti da tre direttori altrettanto
adrenalinici come Anne-Marie Cabut, Maria Guinard e Basilio
Astulez, hanno entusiasmato la folla del teatro antico, ma
soprattutto hanno vissuto un’esperienza umana e artistica
che non resterà senza conseguenze, grazie all’intelligenza
degli organizzatori che hanno voluto far lavorare fianco a
fianco (in questo come negli altri progetti delle Choralies
dedicati ai cori giovanili) giovani di paesi confinanti per i quali
non sarà poi così difficile pensare di continuare a collaborare.
Le Choralies 2013 hanno dimostrato così di essere una grande
Le Choralies sono diventate
parte integrante del tessuto
culturale della regione.
e festosa tradizione rinnovata nei contenuti, un festival
dall’anima francese, ma con la voglia di guardare sempre di
più anche oltre i propri confini e che crede nei giovani che
devono portare avanti e coltivare la cultura della coralità.
E VIVA ITALIA!
Tra i direttori e i partecipanti di questa edizione non c’erano italiani, ma all’Italia è stato dedicato un approfondimento nell’atelier
“E Viva Italia!”, un percorso attraverso i colori del Bel paese nelle espressioni di compositori italiani e nell’ispirazione di autori
stranieri. La direzione è stata affidata a un giovane, ma già affermato direttore francese il cui cognome tradisce esplicitamente
l’origine: Clément Esposito. Frequentatore fin da bambino delle Choralies, amatissimo dai corsisti, ha cercato di trasmettere ai
partecipanti lo spirito italiano e la musicalità di una lingua che ha imparato in famiglia: «Ho scelto brani profani di carattere
festoso, danzante, accostati a un’immagine più austera della musica religiosa. Lo spirito italiano passa attraverso l’arte di
Banchieri, Nanino e Rossini, del “veneziano” di adozione Willaert, e si riflette nella musica di Lasso, de Victoria, e infine, con un
salto temporale, Lauridsen, ma in un brano che riprende un poema del rinascimento italiano».
Cosa affascina dell’Italia? «L’immagine che l’Italia esporta è sempre quella che riguarda il suo lato caloroso, il buonumore,
l’allegria, l’espressione diretta dei sentimenti ed è quello che all’estero si ricerca, quello che più attira del carattere italiano».
Lo confermano i partecipanti all’atelier, che dichiarano di essere stati conquistati da brani «pieni di energia e colore», ma anche
dal fascino della polifonia rinascimentale, o della stessa lingua, della quale hanno voluto imparare al meglio la pronuncia,
«perché nell’italiano sono le parole stesse a cantare».
CRONACA
IN MEMORIAM
Orlando Dipiazza (1929-2013)
Veniva da lontano, Orlando Dipiazza.
Nato nel decennio successivo alla fine
della Grande Guerra, ha vissuto la
giovinezza in un ambiente (il goriziano),
in cui persisteva l’impronta culturale
austro-ungarica. E la musica, in
particolare, aveva ancora una notevole
rilevanza nella vita sociale. L’organista
assunto “a stipendio”; il parroco che
radunava i ragazzini, per far loro
conoscere le opere liriche radiotrasmesse dai grandi teatri; il
maestro elementare che sapeva suonare uno strumento; i
pomeriggi musicali nei salotti dei benestanti, in cui capitava di
ascoltare Nikita Magaloff al pianoforte. E poi Trieste; i giardini
di Trieste, dove tutte le sere si esibiva in concerto la banda.
Orlando Dipiazza ha studiato presso il conservatorio di
Trieste. Una scuola fatta da personaggi che definiva
“inavvicinabili”. Grandi musicisti, la cui sapienza andava ben
oltre le necessità del magistero. «Per insegnare bene – diceva
– devi sapere il triplo del bisogno degli studenti». La sua
scelta di optare per il ruolo di docente nella scuola media va
letta nel segno di questa rispettosa consapevolezza. Un
ammirevole messaggio di etica professionale. Una lezione che
punta il dito contro le facili, opportunistiche e inconsistenti
carriere odierne.
Lo sguardo, ma soprattutto l’orecchio di Orlando puntavano
lontano… e in alto.
I riferimenti: il canto gregoriano e i grandi compositori della
tradizione, i polifonisti dell’epoca rinascimentale, in primis, i
classici e certuni – accuratamente selezionati – moderni.
Il mezzo: il contrappunto, disciplina musicale sobria e severa,
uno stile compositivo trasferitosi anche in uno stile di vita.
La lunga esistenza gli ha permesso di assistere alla nascita e
al tramonto delle avanguardie del secondo dopoguerra:
«Quelli che si ricordano sono i nomi di quei pochi che hanno
ispirato i cambiamenti. Poi sono venuti gli epigoni, gli
emulatori. Nella musica corale di oggi abbondano – in
particolare nel nord Europa – le goffe imitazioni». Ma non
stimava granché nemmeno quei pochi “padri rivoluzionari”:
«A Mestre, prima di raggiungere la sede dell’ASAC, si
attraversava un quartiere, le cui vie erano intitolate ai
musicisti veneziani. Una di queste era via Luigi Nono, una
stradina, lunga circa una ventina di metri, in fondo… chiusa!».
Additava alle avanguardie la “colpa” di avere svilito il
rapporto del canto con la parola. Testi (spesso “pretesti”)
spezzettati, sbriciolati nel significato, sminuiti a puro effetto
sonoro. Detestava quei lavori dove i gloria, gli eleison e gli
osanna diventano spunto di artifici vocali gratuiti e monotoni.
«Un po’ come Mozart (sic!)… che potresti cambiare le parole e
75
non cambia la sostanza, mentre con Beethoven si stravolge il
dramma».
Orlando mal tollerava ogni forma di banalizzazione. Grave, a
suo dire, quella che ha “inquinato” la musica sacra negli
ultimi cinquant’anni. Imperdonabile la responsabilità della
Chiesa cattolica, che ha affidato a uno stuolo di dilettanti la
cura della musica liturgica. «Un mulo, a cui avevo insegnato
un po’ di pianoforte, una volta messo piede in chiesa, si è
cimentato con l’invenzione di melodie sacre: testo e musica,
tutto compreso. Mia figlia, tornata a casa dopo aver ascoltato
quelle canzonette, mi ha detto: Hai creato un “mostro”!».
Delle sue opere – corali e non – ho detto e scritto volentieri a
più riprese. Ora si suonino e si cantino. Ero bocia quando ho
conosciuto di persona Orlando Dipiazza. Un incontro casuale,
lungo una via di Trento, prima di una cerimonia di premiazione.
Laconico il suo primo saluto: «Poche ciacole, che già oggi
dovremo sopportarne in abbondanza. Quello che resta è la
musica».
Mauro Zuccante
Domenico Bartolucci (1917-2013)
1956 - 1997 sono due date che
segnano il magistero del card.
Domenico Bartolucci alla Cappella
Musicale Pontificia (Sistina): per
più di quaranta anni il maestro
toscano ha ricoperto il ruolo
musicale più importante della
Chiesa Cattolica. In realtà, la sua
personalità musicale va al di là di
questi confini temporali e dagli
anni Trenta del ’900 arriva fino alla sua morte spaziando in
quasi tutti generi musicali, soprattutto nell’ambito della
musica sacra. O Sacrum Convivium, Crux Fidelis sono solo
due titoli a cui corrispondono due dei brani tra i più
suggestivi e famosi di una smisurata produzione musicale
fatta di messe, mottetti, salmi, cantate, oratori, madrigali,
sonate, fughe ecc. Chi ha avuto la fortuna di averli ascoltati o
meglio ancora, cantati, non può che rimanere conquistato
dalla bellezza di una musica che racchiude in sé tradizione e
innovazione, in cui la sostanza del canto gregoriano e della
polifonia classica sono riplasmate in una sapientissima quanto
originale modernità. Questa è l’opera del card. Domenico
Bartolucci, l’opera di un vero musicista che ha dedicato tutta
la sua vita alla musica sacra.
Ricordo ancora quando quasi venticinque anni fa l’ho
incontrato per la prima volta: ero tra una cinquantina di alunni
che aspettavano nell’aula magna del Pontificio Istituto di
Musica Sacra il suo arrivo quasi nel tremore, quando in realtà
si è presentato a noi un semplice sacerdote, che attraverso
suoi ricordi e aneddoti, ma soprattutto con il suo
insegnamento, ha messo tutti a proprio agio e ha iniziato una
delle cose a lui più care, insegnare e dirigere la polifonia
76
5x
classica. Domenico Bartolucci compositore, direttore,
insegnante, in più di ottanta anni di attività ininterrotta ha
plasmato centinaia di allievi o cantori, e tutti coloro che a
vario titolo lo hanno incontrato sul loro cammino, o hanno
avuto il privilegio di far musica con lui, certamente sono
rimasti colpiti dalla statura del musicista e del sacerdote.
Se l’apparenza lo mostrava in tutta la sua severità e la sua
fama lo presentava come un uomo intransigente, in realtà
posso testimoniare in prima persona che questo prima di
tutto era rivolto a se stesso e all’atto pratico invece si
dimostrava spesso molto comprensivo. Aveva un’idea della
musica e della liturgia talmente alta che ogni compromesso
era per lui inconcepibile; ecco quindi che pretendeva da tutti
massimo rispetto e dedizione assoluta al proprio lavoro,
voleva vedere e parlare con persone dedite alla musica, non
importa a quale livello, purché fossero musicisti nel senso più
vero del termine; quante volte mi avrà ripetuto questa frase:
«ragazzo mio, la musica la deve studiare chi la sa!». Con chi
lo frequentava più da vicino, pur nel rispetto profondo dei
ruoli, era molto aperto ed era una miniera di informazioni su
tutto ciò che concerne la musica sacra e le vicende delle
Cappelle Musicali Romane. Compositore fine, il cui intento è
stato quello di porgere il testo nella maniera più appropriata e
concepire la musica come una solida architettura; direttore dai
mille gesti ancora una volta con l’intento di mettere in risalto
il testo, a volte con un solo sguardo riusciva a ottenere il
suono cercato; insegnante esigente nella speranza di creare
una coscienza musicale critica negli allievi; infaticabile,
sempre impegnato nel suo lavoro, fino all’ultimo lo si poteva
trovare al pianoforte, a sistemare la sua musica.
Ora, mi piace pensarlo in quel convito che la sua fede e la
sua genialità musicale ha descritto con tanta dolcezza, lassù,
insieme al coro degli angeli; e per tutti noi che lo abbiamo
conosciuto, è stato e rimarrà sempre il “Maestro” con la M
maiuscola al quale non possiamo che rivolgere una preghiera
unita a un sincero “grazie”!
Michele Manganelli
Luciano Migliavacca (1919-2013)
«Noi non sappiamo quale
sortiremo domani, oscuro o
lieto…». Questo l’incipit
poetico di una lirica di
Eugenio Montale messa in
musica da Luciano
Migliavacca e questa è la
domanda che ci poniamo
guardando all’opera musicale
del maestro milanese,
interrogandoci su quale sarà l’evolversi storico della Cappella
Musicale del Duomo di Milano e quanto tempo ci vorrà per
rivedere una figura di maestro di cappella di così rilevante
impatto estetico e musicologico.
Luciano Migliavacca pare collegarsi, al suo ingresso quale
maestro di cappella del Duomo di Milano avvenuto
nell’ottobre 1957, alla figura di Franchino Gaffurio (1451-1522),
icona e modello di riferimento perenne per chi si troverà a
indossare i panni di direttore dell’istituzione musicale
ambrosiana. Migliavacca, innanzitutto compositore, irrora di
sana modernità il ruolo di conductor musicale con un’attività
di poeta e liturgista, di storico della musica, di trascrittore
delle perle musicale dell’archivio quale cultore della memoria
di musicisti che lo hanno preceduto, di redattore di testi di
didattica musicale sacra, di direttore di riviste musicali
impegnate nella battaglia a difesa della musica liturgica. Tutto
ciò non limita, comunque, il primo compito del maestro di
cappella: è la funzione del comporre che qualifica il suo
compito e che trasversalmente irrora tutta la sua opera.
Il mottetto, ovvero dell’origine della scrittura. A ben vedere
questa è la forma musicale che invade buona parte dell’opera
di mons. Migliavacca. Rispetto al catalogo musicale delle
composizioni dei maestri del Duomo di Milano si potrà
leggere la sostanziale differenza che corre tra la mottettistica
di don Luciano e gli storici precedenti exempla musicae.
Le messe, ovvero della modernità. È rivivere poeticamente
l’Ordinario, da parte del compositore milanese, il luogo eletto
per tracciare ancora più marcatamente le differenze nel
rileggere il testo della messa, il luogo per presentare
un’alternativa estetica a una musica sacra che, a ridosso del
Concilio Vaticano II, vedeva complessivamente spegnersi lo
slancio di inizio ’900 dettato da un ristretto gruppo di
musicisti di formazione o ascendenza perosiana, usciti dal
conservatorio di Milano e ferratissimi nel trattare la pagina
liturgica.
Il trascrittore, ovvero l’oscura fatica. Ci piace qui ricordare,
seppur con mano leggera e con brevi cenni, l’attività
dell’artista impegnato nell’area più strettamente musicologica,
ma nella quale il tocco del musicista sa restituire “prodotti” di
alto profilo.
Il quotidiano, o della semplicità. Come dimenticare gli oltre
venti anni delle riunioni editoriali di Polyphonia in casa
Carrara. Il passare rapido delle partiture, il giudizio che era
chiarissimo già nel suo sguardo: poche o nulle le parole per
declinare una scelta o negarne la pubblicazione. In occasione
dell’80° compleanno di don Luciano si apre una serie di
splendidi momenti di vita condivisi in prima persona da chi
scrive. L’incontro ideale era una cena casalinga: una semplice
benedizione, un risotto, un buon assaggio di vino rosso, ma
soprattutto musica da ascoltare. Tutto all’insegna della
sobrietà del giudizio o, addirittura, di un silenzio che era
ancora più significativo e espressivo di tante parole. Don
Luciano era un uomo minimalista. Minuto nel suo modo di
essere, essenziale nel suo modo di vivere come vero
sacerdote.
Gian Nicola Vessia e Marco Rossi
5
5
Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali
33078 San Vito al Tagliamento (Pn) via Altan, 83/4
tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 - [email protected] - www.feniarco.it
x
x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x1
0
0
0
1
O
5
C
R
A
I
i
r
N
o
c
E
i
F
e
x 10 0 0 5 x
x 10 0 0 5 x
10 0 0 5 x 1
10 0 0 5 x 1
0005x1
0005
R
E
P
0 0 5 x 10
0 0 0 5 x 10
d
e
c
o
v
la
0 0 5 x 10 0
0 5 x 10
0 5 x 10 0
0 0 5 x 10 0
0005x1
10 0 0 5 x 1
0 5 x 10 0 0
0 0 0 5 x 10
5 x 10 0
005x1
5 x 10 0 0
0 5 x 10 0 0
0 0 5 x 10
0 0 0 5 x 10
5 x 10 0 0 5
0 0 5 x 10 0
O
C
R
A
I
N
E
F
i
ella
n
d
o
e
i
i
z
t
a
p
s
s
So a nell’apposito
gno
10 0 0 5 x
x 10 0 0 5 x
10 0 0 5 x 1
0005x
ste
o
s
l
e firm
a
o
t
a
v
riser
i
t
)
i
S
d
P
d
e
A
(
r
i
e
l
e
a
d
i
c
e
n
So
dichiarazio ioni di Promozione
D,
U
C
e
O
z
C
I
a
N
ci
delle Asso i nei modelli 730, U ice fiscale:
d
o
c
o
r
t
che trov
s
o
n
l
nco i
a
fi
a
o
6
d
1
n
5
0
indica
4
3
04
920
t
i
.
o
c
r
a
i
n
www.fe
x 10
0 5 x 10
78
DISCOGRAFIA
Coro SAT 2013
‫ ۔‬2013 Azzurra Music srl - © Fondazione Coro della sat - TBP11618
Dal 1997 a oggi il Coro SAT ha dedicato la propria produzione discografica alla riedizione del repertorio “storico”. Sotto forma di singole monografie, sono via via
usciti gli album dedicati ai cosiddetti “quattro evangelisti”, cioè ai quattro musicisti che, più di altri, hanno dato corpo al repertorio della celebre compagine trentina: Arturo Benedetti-Michelangeli (1997), Antonio Pedrotti (1999), Renato Dionisi (2003) e Luigi Pigarelli (2005). S’intenda che questi prodotti non contengono
ristampe (o ri-masterizzazioni) di passate esecuzioni, ma nuove interpretazioni
“firmate” da Mauro Pedrotti, succeduto allo zio Silvio, alla guida del coro.
Mancavano al completamento della rilettura integrale del repertorio-SAT i lavori di
un reparto di compositori di “seconda linea” che, negli anni, hanno realizzato un
cospicuo pacchetto di brani per il coro.
Sono finiti quindi nella tracklist del nuovo CD Coro SAT 2013 i nomi di Bruno Bettinelli, Giorgio Federico Ghedini, Luciano Chailly, Andrea Mascagni, Renato Lunelli,
Teo Usuelli e Aladar Janes. Nomi di assoluta notorietà artistica, soprattutto i primi quattro. Musicisti che han voluto misurarsi con il canto alpino, conquistati dal
modus canendi della SAT.
Ascoltiamo il disco.
Se non fosse per quella chiusura “in gloria”, la parafrasi di G.F. Ghedini del canto
risorgimentale Son morti per la patria si evolve in un tono espressivo fiero e
commovente.
Arie (oggi si direbbe “rimpianti”) da vecchio Impero spirano in Quando saremo
giunti. Un motivo che B. Bettinelli trascrive con mano esperta.
Un classico O ninine. Una vilota furlana bitematica, armonizzata da A. Mascagni
nel rispetto del modello stilistico SAT.
Bi-ritmico, invece, l’impianto di Se la Marieta è picola. Eccentrica sperimentazione di R. Lunelli, ma «ben proporzionà», come sembrano confermare le parole in
chiusura del testo.
Una hit dei cori alpini la “sacrilega” Montagnes Valdôtaines, rivoltata in modo minore da T. Usuelli per la colonna sonora del film ITALIA K2 (1955), di cui il Coro della SAT fu, all’epoca, valido interprete.
Queste alcune delle 21 canzoni contenute nel CD.
Ma non vorrei tralasciare un’annotazione per la spumeggiante Che cos’è?. Un arrangiamento del tradizionale contrasto più conosciuto come Giovanottina che vieni alla fonte, opera di “zio Silvio” (Pedrotti, s’intenda!), che, una tantum, ha voluto cimentarsi con l’arte della scrittura musicale, facendo leva sulle competenze
acquisite negli anni trascorsi alla direzione del coro trentino.
Benvenuta questa nuova realizzazione del Coro SAT. Un coro che, come si recita
nelle note di presentazione, debutta «rinnovato quasi per intero, più brillante, più
duttile, più aperto agli esperimenti, più consapevole delle proprie capacità tecniche ed interpretative».
RUBRICHE
Conforta, quindi, constatare che il Coro SAT, «saldo come il Monte Sion», preserva e tutela con successo la tradizione del suo
stile corale, nonostante gli evidenti segnali di invecchiamento
generazionale che, in generale, gravano sui cori alpini. Un invecchiamento che fa temere la fine di una stagione corale.
Ma il Coro SAT, fondato nel 1926, fra un paio d’anni celebrerà il
Novantesimo, e poi… chissà?!
Mauro Zuccante
Giovanni Legrenzi:
Testamentum; Missa Lauretana quinque
vocibus
Oficina Musicum, dir. Riccardo Favero
Dynamic CDS 710 (2012)
Di recente pubblicazione è la registrazione Dynamic CDS 710
(2012) di Oficina Musicum, l’ensemble strumentale e vocale vicentino fondato e diretto da Riccardo Favero e specializzato in
musica barocca e classica. In collaborazione con istituzioni, storici e musicologi l’ensemble si sta occupando in particolare della diffusione della musica del compositore e organista barocco
(e bergamasco, Clusone/Bg 1626) Giovanni Legrenzi (morto a
Venezia nel 1690), incidendo – oltre al qui citato Testamentum
– i CD dal titolo Concerti musicali per uso di Chiesa, Op. 1, Messa e Vespro e anche Il Sedecea. Attraverso l’incisione
Testamentum gli ascoltatori hanno ricevuto un regalo: una bella esecuzione che incarna il pathos del momento artistico
Barocco.
L’incisione, del 2012, rappresenta una ben studiata offerta di
musica del tardo barocco italiano o, meglio ancora, della Basilica di Loreto. Le composizioni di Legrenzi contengono elementi drammatici indicativi della sua attività nella scena operistica
veneziana, e gli guadagnano la reputazione di sviluppatore dello stile barocco italiano. Legrenzi, compositore poco famoso,
meriterebbe un maggior riconoscimento. Prima della sua nomina a vice-maestro (nel 1682) e poi Maestro di Cappella di San
Marco a Venezia (nel 1685) aveva già lavorato a Bergamo e a
Venezia. A parte la produzione di musica sacra, Legrenzi fu uno
dei maggiori compositori d’opera italiani avendone composte
ben diciannove.
79
In Testamentum l’attenzione è incentrata sulla Missa Lauretana quinque vocibus (del 1689), ma Favero, direttore con un debole per la ricerca del suono originale attraverso strumenti
dell’epoca o loro ricostruzioni artigianali, ricostruisce la Missa
Properium quale sarebbe stato possibile ascoltare nella cappella
del Legrenzi stesso. Utilizzando questa messa di Legrenzi come modello, Favero inserisce nel CD sia opere del compositore
bergamasco, sia musiche di fonti strettamente collegate con la
Basilica di Loreto. I tre canti mariani Congratulamini Filia Sion,
Alma Redemptoris Mater e Hodie Collaetantur Coeli sono di Legrenzi mentre l’introito Terribilis est locus, il graduale Unam Petii a Domino e l’Alleluia col versetto sono presi da Proprium in
Festo Translationis Almae Domus Lauretanae.
In questo CD Favero e la sua Oficina Musicum riescono a ottenere un’esecuzione che incarna la passione retorica della partitura entro i dettami della prassi esecutiva. Il risultato è una
registrazione impeccabile contenente attributi stilistici sia di stile antico sia di stile moderno. Degno di particolare nota è il piccolo gruppo di strumentisti che suona con precisione e fluidità
ritmica.
È bello e davvero incoraggiante sapere che musicisti come Favero e la sua Oficina Musicum continuano a esplorare l’ancor
poco conosciuto ma culturalmente molto significativo Barocco
italiano.
Giorgio Morandi
80
LA VITA CANTATA
Rubrica dedicata al canto di ispirazione popolare
a cura di Puccio Pucci
Una tesi di laurea sul canto di ispirazione popolare
Sabato 2 marzo 2013, presso il conservatorio di Como, Manuel Rigamonti ha conseguito la laurea di secondo livello in musica corale e direzione di coro.
Il fatto assume un certo rilievo, non solo perché segna la conclusione di un percorso di studi, ma perché, probabilmente, siamo in presenza di una delle prime
tesi sul canto di ispirazione popolare.
Il titolo della tesi è So dove nasce la voglia di cantare (citazione di un canto di Bepi De Marzi), analisi dell’evoluzione del linguaggio musicale nel canto corale di
ispirazione popolare. Relatore è Sergio Bianchi, docente di teoria e analisi, ma anche direttore di coro.
Manuel Rigamonti, diplomato in pianoforte, composizione, musica corale e direzione di coro, è musicista a “tutto tondo” (è anche direttore d’orchestra). I titoli
di studio evidenziano la serietà e la completezza della sua formazione ed è quindi importante che si sia avvicinato a un mondo considerato poco allettante per chi
proviene da studi accademici.
È interessante scorrere i titoli dei capitoli che compongono il lavoro:
1. Musica popolare e musica corale ad ispirazione popolare
2. Il coro della S.A.T. e Arturo Benedetti Michelangeli
3. Il canzoniere del Monte Cauriol
4. La “nuova coralità”, il Simposio di Cortina del 1970
5. Le storie raccontate da Bepi De Marzi
6. Il mondo corale di Gianni Malatesta
7. Paolo Bon e l’arcaico
8. Le nuove vie del canto corale ad ispirazione popolare
9. Conclusione
Un excursus ampio e dettagliato in cui di volta emergono le differenze di ispirazione, le caratteristiche dei destinatari e le peculiarità dei compositori.
La scelta di iniziare dal coro della S.A.T. non è solo il doveroso omaggio a una compagine che ha “tracciato una via” nel panorama corale italiano ma è soprattutto
il segno della meraviglia di fronte alla scoperta che un grandissimo pianista come
Benedetti Michelangeli si sia dedicato alla composizione per un coro di dilettanti
(inteso nel senso più alto e nobile del termine).
Il lavoro si rivela un utile supporto per tutti coloro che desiderassero avvicinarsi
a tale repertorio, perché, pur nella ristrettezza dello spazio, di ogni autore si è
messo in luce il tratto caratteristico inserendo esempi musicali analizzati e spiegati, che ci permettono di capire in modo semplice, ma non superficiale, i diversi
pensieri compositivi.
Il linguaggio, in alcuni momenti, è necessariamente tecnico ma è accessibile a tutti coloro che abbiano dimestichezza con il mondo musicale.
Si nota infine un interesse che va oltre la pura ricerca e rivela la scoperta di un
mondo in grado di dischiudere tesori di grande valore a chi si avvicina con amore e umiltà.
La speranza è che altri studenti seguano le orme di Manuel Rigamonti, contribuendo a elevare la qualità delle direzioni e delle interpretazioni.
Sergio Bianchi
RUBRICHE
E se pensassimo di partecipare
attivamente all’organizzazione sociale
del paese?
Così dice l’art. 3 della Costituzione Italiana e così sostengono
gli operatori dell’Accademia Europea d’Arte Le Muse di Casale
Monferrato.
L’esperienza musicale, in quanto esperienza sensoriale, ben si
sposa al territorio che dalle vigne estrae musica per il palato,
il vino del Basso Monferrato.
E come si partecipa alla vendemmia? Si raccoglie l’uva, si pigia
e insieme si respira aria di festa, così l’esperienza diventa appartenenza senza pregiudizi, insieme per rinnovare la memoria
di una terra.
Su questa idea di educazione alla musica si inseriscono i progetti dell’Accademia.
Della storia cantiamo la memoria e Cantare a scuola
In collaborazione con la Sezione ANA di Casale Monferrato e con
il Comune di Occimiano, entrambi i progetti coinvolgono i giovani del territorio per farli partecipare a un’esperienza democratica attraverso il linguaggio e la pratica della musica
corale.
Il territorio racconta di storie di alpini, solidali, capaci di sacrificio, coraggiosi gioiosi e capaci di condividere ogni esperienza e
con un repertorio vocale che racconta questi valori e partecipando ai laboratori scolastici che formano anche i docenti della scuola primaria, i giovani cittadini potranno attraverso il canto, divulgare un patrimonio prezioso alla storia del nostro Paese.
Accompagnati nel percorso da docenti di certificata professionalità, insegnanti e alunni si troveranno coinvolti in un percorso corale strutturato, che contribuirà concretamente anche alla riscoperta dei canti della nostra tradizione.
Il progetto Della storia cantiamo la memoria, che è stato premiato, proprio in questi giorni, dalla presidente della Camera
dei Deputati, Laura Boldrini, segno tangibile della sensibilità rivolta ai linguaggi del popolo, si articola in diverse fasi ed eventi: per prima cosa un concorso creativo che si intitola Cantiamo
la democrazia, riservato alla scuola primaria e secondaria di
primo grado. Il tema di questa seconda edizione è quello sopra citato, “l’articolo 3 della Costituzione Italiana”, descrivibile
con linguaggi verbali e non verbali, utilizzando disegni, foto,
racconti e poesie o forme multimediali. A questo già ricco programma si aggiunge la Rassegna di cori scolastici che si svolgerà sabato 5 e domenica 6 aprile 2014 ed è riservato alla scuola primaria e secondaria di primo grado.
81
Ai cori scolastici che parteciperanno sarà fornita una dispensa
di materiale didattico suggerito dall’Accademia, ma verrà anche
data la libertà di scelta, con la sola richiesta di attinenza
tematica.
E, per chiudere il progetto scolastico che abbraccerà un intero
anno di lavoro, l’Accademia Le Muse propone il Concorso nazionale di composizione ed elaborazione corale “Dante e
Battista”.
L’obbiettivo di questo concorso è di unire e trasmettere la tradizione alpina alle nuove generazioni. Le composizioni e le elaborazioni saranno per coro di voci bianche e cori giovanili. Il
concorso è aperto a compositori di ogni età e nazionalità e le
partiture, selezionate dalla giuria, saranno eseguite in concerto durante la Seconda rassegna internazionale cori di voci bianche e giovanili che si svolgerà il 31 maggio 2014 a Casale Monferrato (Al).
Un progetto complesso e articolato che vuole promuovere la
diffusione e la valorizzazione della musica a tutti i livelli: dal
percorso didattico, formando insegnanti e coinvolgendo con la
pratica corale gli allievi delle scuole, all’ambito professionale
con il concorso rivolto a musicisti compositori e la rassegna di
cori giovanili affermati. Tutto questo unito alla salvaguardia e
riscoperta, per le nuove generazioni, di un importante patrimonio storico-musicale da non dimenticare.
I lavori di composizione o elaborazione corale per il concorso
“Dante e Battista” dovranno essere inviati entro e non oltre il
18 febbraio 2014.
Tutte le informazioni sul sito:
www.accademialemuse.com/progetti.php
La responsabile didattica del progetto, Patrizia Barberis, e la
presidente Ima Ganora vi attendono in Accademia per ulteriori
informazioni.
Accademia Europea d’Arte Le Muse
sede operativa: Palazzo Vitta - via Trevigi 12
15033 Casale Monferrato
[email protected]
Maristella Dessì
82
MONDOCORO
a cura di Giorgio Morandi
Il volume del canto mi innamora:
come vorrei io invadere la terra
con i miei carmi e che tremasse tutta
sotto la poesia della canzone.
Io semino parole, sono accorta
seminatrice delle magre zolle
e pur qualcuno si alza ad ascoltarmi,
uno che il canto l’ha nel cuore chiuso
e che per tratti a me svolge la spola
della sua gaudente fantasia.
(Alda Merini)
Il nostro mondo: il canto che innamora!… tanti cori, tante canzoni… tante canzoni,
quanta poesia! Quante persone che il canto l’hanno nel cuore! Sarebbe presunzione perfino il solo parlare di parafrasi della poetessa Alda Merini, né lo vuole essere. È… così… soltanto un pezzo di catena ritrovata per strada, alcuni anelli ferrosi che saldamente ancora si intrecciano risuonando, quasi ritmando a canzone
i colpi di incudine/martello del lavoratore che diede loro forma, pensiero che riporta e riassume in modo perfino eccessivamente stringato il mondo corale che
viviamo e che siamo.
Leggerete i versi della poetessa milanese e questo Mondocoro quando – ormai al
termine del primo quadrimestre di grande attività – i bimbi del Natale che abbiamo
cantato e del Nuovo Anno appena accolto si avviano a diventare grandi, ricchi di
nuove esperienze, di musica dolce, forte o a volte persino drammatica, che narra la
nostra vita, che la accompagna verso un futuro migliore – lo speriamo tutti, non ne
possiamo più, vero? – un futuro intenso, non facile ma sereno, lo stesso che in nobile lingua bergamasca Mondocoro augura ai suoi lettori: «Nedal e fì de l’an i è dù
bambì ’n de cüna. Ch’i pòrte ’l prim la Pas, l’óter Furtüna» (Natale e fine dell’anno
son due bimbi nella culla. Che portino il primo la Pace, l’altro la Fortuna).
Lo studio della musica religiosa in un contesto
educativo è una parte vitale di una educazione
musicale completa
In questo numero di Choraliter è previsto il dossier su La musica nella liturgia e
quindi mi aspetto che ne leggeremo “di cotte e di crude”, comunque a sufficienza per farci un’idea dello stato dell’arte (come s’usa dire) di questo ambito che solo apparentemente sembra non essere di nostra competenza. Qual è infatti il coro italiano che non ha mai reso più intenso e solenne un servizio liturgico o
paraliturgico? Mondocoro non vuole certo raddoppiare o appesantire questo argomento, ma suggerire un tema di discussione completamente diverso e particolare. La riflessione che qui viene proposta, comunque, con la “musica sacra” ha
certamente qualcosa a che fare e vedere.
Da qualche tempo capita sempre più spesso di leggere che alcuni studenti non
vogliono cantare “musica sacra” a scuola e nulla gliene importa delle ragioni e
RUBRICHE
motivazioni del loro educatore/insegnante/direttore di coro. Per
la verità questo avviene più all’estero che in Italia (ma in Italia
la musica nelle scuole c’è? Da quanto tempo? E soprattutto come? Ma questo è un altro problema).
La situazione citata, ormai, è comunque attuale o può esserlo
di giorno in giorno anche in Italia – in alcune zone in modo particolare – da quando la scuola ha cominciato a ospitare un considerevole numero di studenti che proviene dal di fuori della
tradizione cristiana occidentale. È cronaca recente (avvio del
nuovo anno scolastico) quella delle classi con alta presenza di
studenti di cultura non rigidamente italiana e/o occidentale!
L’argomento degli studenti che non vogliono cantare canti religiosi a scuola, nei mesi scorsi è stato oggetto di specifico dibattito, per esempio, nel newsgroup o forum ChoralNet dove
numerosi “addetti ai lavori” si sono sentiti coinvolti e hanno
espresso pareri, suggerimenti, esempi di operatività: «La mia
programmazione di “pezzi sacri” è motivata da ragioni educativo-musicali… Esponendo le mie ragioni lo dico ai miei dirigenti scolastici… e poi ai genitori e agli studenti.
Fornisco anche note esplicative al pubblico dei concerti che così si rende conto del mio ragionare… sono aperto a qualsiasi
discussione, ma fino a ora non ho mai dovuto annullare una
mia programmazione».
Sull’argomento c’è chi ricorda che i programmi di formazione
prevedono «musica nel senso più ampio del termine, comprendendo esplicitamente la musica sacra, la cui scelta è fatta esclusivamente a scopo educativo-musicale senza intento alcuno di
promuovere o denigrare particolari punti di vista».
Non è assolutamente concepibile – sostiene qualcuno – l’idea
che una persona coinvolta nella musica corale possa evitare di
confrontarsi con la musica sacra di qualsiasi tradizione e periodo. Sarebbe come sostenere che lo studio della matematica è
significativo e completo senza lo studio dell’algebra o della geometria; sarebbe come voler studiare storia ignorando la Guerra Civile o studiare scienze politiche senza considerare le diverse forme di governo. «Inoltre gli studenti non devono imporre
la loro visione dell’universo; essi vanno a scuola per imparare
come agire di fronte alle diverse visioni dell’universo che esiste
già, prima di loro».
NAfME è la sigla che identifica l’importante associazione statunitense National Association for Music Education (Associazione Nazionale per l’Educazione Musicale) che sull’argomento dice la sua. Alla domanda «La musica su testo sacro ha posto
nella scuola?», NAfME risponde che «lo studio e l’esecuzione
della musica religiosa in un contesto educativo è una parte vitale e appropriata di una educazione musicale completa. L’omissione della musica sacra dai programmi scolastici sarebbe
una esperienza educativa incompleta». La scuola non può cancellare dai programmi tutti i materiali che possono turbare una
sensibilità religiosa. Lo studio della storia dell’arte, per esempio, sarebbe incompleto e inconcepibile senza riferimento alla
Cappella Sistina o al David di Michelangelo, e lo studio dell’architettura richiede per forza di cose un esame delle cattedrali
rinascimentali. Allo stesso modo, «uno studio completo della
83
musica ha l’obbligo di acquisire familiarità anche con la musica corale su testi religiosi, tanto più che è un dato storico di
fatto, e ben documentato dalla storia della musica, che c’è più
musica sacra che musica profana perché, specialmente nella
cultura occidentale, la Chiesa fu fruitrice e patrona principale
della musica. …E più si va a ritroso nella storia, più questo è
confermato».
«Certo» aggiunge un altro insegnante di musica «si possono
trovare pezzi corali su testo non sacro scritti da Byrd, Tallis, e
Bach, ma sono relativamente poco conosciuti e non sono generalmente considerati tra le più grandi opere di questi compositori. Perché dovrei spendere tempo prezioso di classe/prove per insegnare ai miei studenti della musica oscura, evitando
altre opere che dagli storici della musica sono considerate le
più grandi del loro genere?».
Senza dilungarci troppo e farne un trattato (proprio della sezione “dossier” di Choraliter) riteniamo che non sia fuori luogo fare un’ultima riflessione sul ruolo del compositore di musica sacra, in questo senso: siamo certi che Händel con il suo Messiah
intendeva fare un grande trattato evangelistico e teologico? Io
non sono esperto e non ho fatto ricerche, ma il dubbio mi viene: il Messiah è davvero uscito spontaneamente dalla personale esperienza di cristiano dell’autore? E non dimentichiamo che
innanzitutto era un lavoro commissionato, come spesso è stato – e ancora è – il caso della grande musica sacra.
Eccesso di musica nei riti religiosi
Un modo diverso di vedere i cori in chiesa… una provocazione?
Forse! Ma c’è comunque anche chi la vede così!
«Questo è qualcosa che avrei voluto dire da molto tempo. Spero che sia utile per ispirare qualche riflessione sull’argomento.
Ciò che ogni luogo di culto o ogni autorità preposta deve fare,
è decidere come vuole promuovere la Parola di Dio, come vuole onorare Dio.
L’esperienza porta a pensare che la musica durante i riti religiosi sia diventata una malsana ossessione. È certamente bello ascoltare grande musica di alta qualità, ma se questo è lo
scopo di coloro che vanno in chiesa, allora questi possono anche comperarsi il biglietto per un bel concerto. Sta diffondendosi sempre più una cultura per la quale è l’esecutore che attira l’attenzione su di sé e non l’ascoltatore che la offre
umilmente dopo aver accolto contenuti attentamente considerati. Dopo tutto la vita non è un musical.
Ci sono molte persone di culto che vengono da ogni parte del
mondo e che, sia per la chiesa frequentata, sia per le scuole a
indirizzo musicale e le borse di studio musicali di cui hanno goduto, sono stati formati professionalmente nella musica. Sanno suonare cinque strumenti diversi affrontando qualsiasi cosa, da Mozart a Rihanna al John Cage di 4,33 e sono generosi
nel condividere tutto ciò con la propria chiesa o la chiesa che
li ospita. Accade anche con alcuni cori.
RUBRICHE
Saranno anche poetici per quanto riguarda il significato profondo radicato nella loro esibizione, ma a che scopo tutto questo?
La loro autopromozione stile X-factor non serve a nulla al fine
di aiutare i fedeli in ciò che veramente conta. Non sarebbe più
desiderabile una comunità di fedeli in cui la musica non svolge alcun ruolo? Una comunità attiva nel fare cose che realmente
beneficiano le comunità, come il volontariato in centri per persone senza casa, l’aiuto ai tossicodipendenti, il volontariato con
gli ammalati e nelle case per persone bisognose… Non cori più
grandi e più bravi! Non sarebbe bello e più giusto mantenere
il lusso di essere pedanti in musica ed essere capaci di intonare un suono perfetto durante il proprio tempo libero e non quando si va in chiesa?».
Premi, riconoscimenti e medaglie
Riceviamo in redazione e segnaliamo con piacere alcuni risultati conseguiti da cori italiani nel mondo.
Alla 27ª edizione del concorso corale internazionale Praga Cantat (31 ottobre - 3 novembre 2013), quattro cori italiani si sono
distinti con i seguenti risultati: Gruppo vocale Laeti Cantores di
Cagliari, fascia d’oro nella categoria Cori Misti e nella categoria Repertorio Popolare, e premio speciale per l’interpretazione
del brano romantico; Coro Calicanto di Salerno, fascia d’oro nella categoria Repertorio Popolare; Coro Monte Calisio di Martignano (Tn), fascia d’argento nella categoria Cori Maschili; Coro
Santanna di Tortolì (Og), fascia d’argento nella categoria Repertorio Popolare.
Presenza italiana anche al concorso corale internazionale di
Derry (Irlanda del Nord), svoltosi dal 24 al 27 ottobre 2013, con
il terzo premio aggiudicato dal coro Polifonico di Ruda (Ud), exequo con il coro Polifonica (Bielorussia).
Educazione musicale in Italia:
ma chi l’ha detto che è importante?
Che l’educazione musicale in tutti i livelli scolastici – iniziando
dalla scuola primaria per via delle connessioni con la crescita
di un futuro cittadino più consapevole, attento e creativo – sia
importante, è stato ribadito da una delegazione del Forum Nazionale per l’Educazione Musicale composta dal coordinatore
Checco Galtieri, da Giovanni Piazza (co-promotore dell’iniziativa) e da Annalisa Spadolini, funzionario della Direzione Generale per il personale del MIUR. Giovedì 10 ottobre alle ore 15 questa delegazione ha incontrato il Ministro dell’Istruzione Maria
Chiara Carrozza.
Alla signora Ministro sono state presentate le tre richieste
dell’appello sostenute dalle oltre undicimila firme raccolte e da
un drappello di sostenitori illustri: 1) l’inserimento organico nel
primo ciclo d’istruzione di un insegnante specializzato in didattica della musica in ogni scuola come promotore e coordinato-
85
re delle attività musicali; 2) l’inserimento organico nella scuola
secondaria di secondo grado di docenti di materie musicali al
fine di garantire un’adeguata presenza della musica, della sua
cultura e della sua storia nella formazione degli studenti; 3) il
sostegno alle attività formative musicali, e in generale artistiche, anche attraverso deduzioni fiscali come già avviene per le
attività sportive (su questo punto il Ministro ha illustrato le difficoltà frapposte dalla Ragioneria dello Stato […E ti pareva che
potessero non esserci difficoltà prima ancora di finire la proposta! ndr]).
In precedenza al Ministro era stato presentato il Forum stesso
e i suoi scopi, sottolineandone la forza numerica (si parla di
una utenza di circa 150.000 unità) e la forza qualitativa insita
nella sua composizione: un luogo di incontro tra il Terzo Settore e docenti di conservatorio, università e scuola pubblica; il
tavolo di discussione tra cori e scuole di musica, associazioni
disciplinari e metodologiche con l’apporto di centri studi, l’approssimarsi del grande mondo corale, delle bande musicali e
quant’altro.
Considerato il ruolo di supplenza alle Istituzioni Statali che singoli insegnanti e il mondo dell’associazionismo in generale hanno svolto in questi trenta anni, è stata portata all’attenzione
del Ministro la necessità che questo ruolo sia superato attraverso una collaborazione più ampia con l’istituzione pubblica.
La delegazione ha inoltre illustrato le possibilità e le opportunità che il protocollo di intesa (al quale il Ministro è sembrato
fare particolare attenzione) stipulato in primavera fra il Forum
e il MIUR DGPER può produrre.
Infine è stato sottolineato il lavoro congiunto di tutto il Forum
ed è stato richiesto che almeno un rappresentante del Forum
stesso sia inserito nei vari gruppi di lavoro e tavoli che – al Ministero – prendono le decisioni concrete e pratiche. Il Ministro ha seguito con crescente interesse la presentazione
e ha mostrato la massima disponibilità in particolare sull’ultima
richiesta, ringraziando il Forum per quanto tutti facciamo per la
musica in Italia. Anche Mondocoro augura buon lavoro al Ministro e lo ringrazia per quanto farà per aiutare la nostra società,
ma soprattutto per la società del futuro cui la sua opera deve
essere mirata con decisione, concretezza e precisione.
86
Cantore in autodifesa
Non potermi fregiare tra gli amici cantori della bella altisonante etichetta (quante
volte pure vuota e poco onesta!) “Io so leggere la musica”, di primo acchito come cantore mi fa sentire in imbarazzo e un po’ limitato, facendomi pensare soprattutto “Quanta musica mi sfugge!”. Ma razionalmente poi mi riprendo. Infatti
per quanto riguarda i “cantori non-abili-lettori di partitura” e i “cantori non-lettori di partitura ma entusiasti”, c’è una vecchia battuta che si raccontata sia nei circoli musicali jazz che in quelli folk: «Tu sai leggere la musica?». «Non abbastanza
per rovinare il mio modo di suonare».
Nessuno dubita che saper leggere la musica sia una competenza preziosa, certo,
ma probabilmente non è indispensabile. Infatti, se consideriamo tutti i lettori di
Mondocoro o tutti i cantori italiani o addirittura le tradizioni musicali di tutto il
mondo, quanti sono coloro che sanno leggere una partitura? Sono probabilmente una piccola minoranza. Se soltanto costoro cantassero avremmo un mondo…
silenzioso (e quanto noioso?!).
Non leggiamo le note, è vero, ma il momento di tirare il naso fuori dal libro poi arriva. È allora sì che si ascolta la musica, che si può riprodurre ciò che veramente si
sente nel profondo dell’anima, e si canta, si canta tanto, si canta tanto che… si balla. O no?!
Evento corale dell’anno 2014
Eric Whitacre vincitore del prestigioso Grammy Award è stato selezionato per dirigere, nel 2014, il coro Choir of Thousands sui gradini del Campidoglio a Washington. Il Kennedy Center, l’operatore turistico Classical Movements e l’associazione
corale Chorus America con orgoglio hanno dato questa notizia (non importa se il
Campidoglio è chiuso al pubblico per mancanza di fondi per la sua gestione! Questo è un problema di Mr Obama!). L’evento corale Voices of Our Nation Star Spangled Salute avrà luogo il 14 giugno 2014 e sarà il gran finale di una settimana di
celebrazione della musica corale organizzata dal Centro Kennedy in collaborazione
con Corus America. Migliaia di voci da tutti gli States si riuniranno nella loro capitale Washington per presentare Voices of our Nation: Celebrating the Choral Tradition. Questo evento rappresenterà la celebrazione della tradizione corale nel Giorno della Bandiera e del 200° anniversario della Star Spangled Banner, l’inno
nazionale Usa (vedi “nota storica” a piè articolo). A causa della natura di questo
significativo evento, e considerando che per le risposte di conferma potrebbero essere necessari alcuni giorni, tutti i cori e i singoli cantori sono invitati a completare e a presentare on-line, al più presto, la domanda di partecipazione, anche se le
domande singole saranno prese in considerazione in un secondo momento.
Per questo evento Flag Day nella capitale degli Stati Uniti, il progetto prevede
2.000 cantori e 50 cori provenienti da tutto il paese; prevede anche la partecipazione di migliaia di persone che potranno esplorare Washington DC e prolungare
il viaggio onde poter visitare le altre eccezionali città della East Coast!
È risaputo che molti cori italiani coglierebbero volentieri l’occasione per far visita
allo “zio d’America”, ma mentre per questo evento è ammessa la partecipazione
anche dei singoli residenti negli Stati Uniti d’America, non sono, invece, ammessi
a parteciparvi i cantori stranieri e nemmeno i gruppi internazionali.
Nota storica: Le parole di The Star-Spangled Banner (“la bandiera adorna di stelle”) sono quelle del poema The Defence of Fort McHenry scritto nel 1814 da Francis Scott Key, un avvocato e poeta dilettante trentacinquenne. Il testo, diventato
poi un canto patriottico sulla musica di To Anacreon in Heaven (canzone popolare di John Stafford Smith, inno di un club amatoriale di musicisti nella Londra del
RUBRICHE
1700) venne adottato come inno nazionale dal Congresso degli Stati Uniti il 3 marzo 1931, anche se già da tempo ne era
stato riconosciuto l’uso ufficiale da parte sia della Marina degli USA (nel 1889) sia dalla Casa Bianca (nel 1912).
Canti in un coro? Si capisce al volo!
Tutti sappiamo che c’è qualcosa di speciale nell’essere cantore
di coro. Chorus America (vedi nota) ha svolto un’indagine dalla quale risulta inequivocabilmente che i cantori sono
tendenzialmente cittadini migliori e che danno contributi positivi alla propria comunità più delle persone che non cantano in
un coro. Inoltre, ci sono altre qualità che distinguono i membri
di un coro facendoli un po’ più… unici. Con un po’ di creatività
e con l’aiuto dei seguaci in Facebook, Chorus America ha definito ben 11 elementi che possono indicare la probabile qualifica di “corista” di una persona:
1. Quando il tuo amico ha un raffreddore, lo eviti come la
peste.
2. Ti ritrovi a cantare e armonizzare con la radio.
3. Difendi fino alla morte il fatto che la tua parte vocale è la
migliore di tutte.
4. Hai memorizzato il Coro Alleluia e lo canti anche nel
sonno.
5. «Non posso, ho le prove» diventa una scusa frequente, e con
questa sei a posto.
6. Quando il direttore artistico annuncia che il tuo pezzo preferito è parte del repertorio per il prossimo concerto, ti senti come se festeggiassi in una volta sola il tuo compleanno e tutte
le altre feste importanti.
7. Non ti viene da nominare nemmeno uno dei brani che canti
abitualmente, ma sai tutti i movimenti del Requiem di Brahms.
8. Quando vedi un bel paio di scarpe comode, nere… in vendita… hai una strana reazione.
9. Sai che uno è… (Eric Whitacre)… e perché egli è una rockstar.
10. Non hai bisogno di noleggiare una divisa, ne possiedi una
personale.
11. Quando qualcuno ti definisce “testa da corista”, con orgoglio lo accetti come un complimento.
Mondocoro sollecita una collaborazione dai suoi lettori: secondo voi, quale altro segno inequivocabile è stato tralasciato?
Scrivetelo a [email protected]!
Nota: Negli Usa, Chorus America è la principale organizzazione nazionale per la difesa e la promozione della coralità in ogni
suo aspetto. Si dedica alla ricerca sul mondo corale, fornendo
dati che definiscono il carattere, la portata e l’impatto della
partecipazione corale sui cantori e le loro comunità. Chorus
America dà voce al campo corale globale, collabora con colleghi di altre arti nelle iniziative fondamentali di difesa e promozione, e fornisce gli strumenti per rendere evidente che la musica corale merita un supporto convinto da parte della società.
Maggiori dettagli e tutto quello che volete sapere sulla musica corale e sui cori cercateli navigando in
www.chorusamerica.org.
87
Musica Rinascimentale:
una guida pratica per il direttore di coro
Renaissance music for the choral Conductor: A Practical Guide,
di Robert J. Summer (Lanham, MD; Scarecrow Press, 2013).
Nella prefazione al libro l’autore stesso R.J.Summer dice che al
giorno d’oggi si esegue meno musica rinascimentale che nel
passato e si augura che il suo libro incoraggi i direttori di coro
a programmare più spesso questo genere di repertorio. Il libro
è davvero una guida pratica. Basandosi sull’esperienza e gli
studi di vari esperti musicologi, Summer presenta una guida
molto utile per l’avvicinamento alla musica del Rinascimento.
Egli comincia contestualizzando brevemente la musica, fornendo interessanti dettagli storici in modo molto piacevole. Tutta
l’informazione è fornita in misura essenziale, senza appesantire
il lettore con inutili complicazioni. E comunque, per chiunque desiderasse maggiori dettagli, l’autore fornisce abbondanti riferimenti a molte risorse a cui poter accedere a proprio piacere.
Ogni capitolo è riservato a un argomento che viene sviluppato
completamente con esempi chiari e con suggerimenti per l’ascolto. Analizzando a mo’ di esempio alcuni dei capitoli, osserviamo che il capitolo 5, Cercare una buona edizione (Finding a
good edition), è molto utile. R.J. Summer dà indicazioni pratiche
per la scelta di una edizione musicale valida: davvero le
informazioni sono ottime per un direttore di coro all’inizio della
sua esperienza. Allo stesso modo il capitolo 6, Realizzare la partitura (Making the Score): l’autore dedica due sottocapitoli a come fare le prove e come dirigere la partitura e offre molti suggerimenti pratici per il primo insegnamento.
Tutti conosciamo il famoso Sicut Cervus di Palestrina. Ebbene,
il capitolo 9 è interamente dedicato a questo brano, riportando ampie citazioni da Paul Salamunovich che esprime il suo
pensiero e la sua esperienza circa il tono appropriato, il colore,
il fraseggio per non dire delle indicazioni circa lo studio della
partitura e la sua direzione.
L’uso degli strumenti nella musica vocale rinascimentale è il
titolo del capitolo 10. Veramente intrigante. Andando oltre
l’ormai noto concetto che la musica di questo periodo offre
possibilità di esecuzioni diverse sia ai cantori che agli
strumentisti, R.J.Summer suggerisce i modi in cui gli strumenti
di oggi possono essere usati per cogliere lo spirito e il carattere
del suono degli strumenti d’epoca.
Le brevi presentazioni dei grandi compositori Josquin, Di Lasso, Palestrina, Hassler, Byrd e Monteverdi, nel capitolo 11, sono molto utili. Per il direttore di coro interessato alle musiche
di questi autori è fornita una informazione biografica e musicale ben bilanciata.
Il capitolo 12, che s’intitola Presenting a madrigal dinner (vedi
nota), è completo di ampi suggerimenti per tutti gli aspetti di
una simile impresa, compresi gli aspetti musicali, la messa in
scena e la programmazione. Per i gruppi che amano arricchire
l’evento con la danza c’è un eccellente sottocapitolo sulle forme di danza nel periodo rinascimentale.
88
Nella prefazione del libro il famoso direttore Dale Warland dice che un simile libro
l’avrebbe apprezzato molto quand’era neolaureato e all’inizio della sua attività musicale in campo corale. Quello di R.J. Summer è certamente un libro da consigliare agli studenti che vogliono intraprendere la professione di direttore di coro. R.J.
Summer è generoso e meticoloso nel fornire risorse informative. La discografia e
la bibliografia indicate sono dettagliate e complete. Lo scopo dell’autore è quello
di dare assistenza ai direttori di coro nel prendere – a riguardo della musica rinascimentale – decisioni intelligenti e nel demistificare talvolta questa musica. Cosa
che gli riesce molto bene. Musica Rinascimentale è un libro che vale la pena di
leggere ed è consigliabile ai direttori di coro che lavorano con cori della scuola,
dell’università, della comunità, della parrocchia.
Nota: Madrigal Dinner (Cena del madrigale) o anche Madrigal Feast (Festa del madrigale) è una tipica forma americana di intrattenimento serale impostato su cena, recitazione, canto e danza. È solitamente organizzata durante la stagione natalizia nelle scuole e presso le parrocchie. La parte teatrale – di solito del genere
commedia – si sviluppa tra una portata e l’altra del pranzo, mentre un concerto
corale conclude la serata.
Associazioni corali internazionali: una alla volta
Euro Arab Youth Music Center
Basandosi sulla convinzione che l’accesso alla musica sia un diritto umano fondamentale e un fattore che contribuisce allo sviluppo sostenibile dei giovani e delle
comunità locali, Jeunesse Musicale International ( JMI), il movimento culturale Epilogi di Limassol (Cipro) e l’Accademia Araba della Musica (Lega degli Stati Arabi)
si sono uniti per fondare un organismo istituzionalizzato che faciliti un’ulteriore e
maggiore cooperazione tra i propri membri e con le altre organizzazioni giovanili
e musicali della regione: Euro Arab Youth Music Center (Centro Euro Arabo per la
Musica ai Giovani). Avviato a Limassol (Cipro) nel settembre 2012 alla presenza
delle più importanti organizzazioni musicali arabe ed europee, l’Euro Arab Youth
Music Center è una organizzazione non-governativa e non-profit che procura ai
giovani europei e a quelli arabi uguali opportunità di sviluppo, crea consapevolezza
e scambio di conoscenze, facilitando, attraverso la musica, la cooperazione, la
comprensione e il rispetto reciproci. Nell’area mediterranea quest’associazione mira a incrementare la collaborazione tra i principali interessati nel campo giovanile e nella musica e, quindi, fa sì che un maggior numero di giovani dei paesi europei e dei paesi arabi possano partecipare a dei programmi musicali interessanti
e possano essi stessi creare programmi musicali di alto valore educativo e
sociale.
Una recente attività di questa giovane “associazione per i giovani” è stata l’organizzazione, lo scorso mese di settembre 2013, del secondo incontro dei cori giovanili intitolato Choral Crossroads 2013 avente per tema Singing the Bridges.
Choral Crossroads è un progetto che per quattro giorni ha visto raggruppati, in
cinque cori, più di 200 cantori europei e arabi. Essi hanno sperimentato il canto
corale come strumento di responsabilizzazione dei giovani, di costruzione della
pace e di cooperazione euro-mediterranea. Il progetto/evento si è concretizzato in
concerti, workshop e conferenze che hanno focalizzato il lavoro giovanile, il dialogo interculturale e interreligioso e il canto come strumento per la costruzione
della pace e la mobilità dei giovani artisti.
in collaborazione con
Di fronte al mare, vicino alla meravigliosa Venezia e alla suggestiva Trieste,
questa settimana internazionale di canto corale, che giunge nel 2014 alla sua
sedicesima edizione, ospiterà 6 atelier e 3 discovery atelier (della durata di un
pomeriggio), aperti a cori, direttori, singoli cantori e amanti della musica!
Ogni sera ci saranno dei concerti, introdotti da un open singing, e tutti i
partecipanti sono invitati a unirsi a questa magica atmosfera e vivere la musica.
Alla fine della settimana, ogni atelier si esibirà in un concerto finale.
international
singing week
•ATELIER 1 Classical is young
voci bianche e corso per direttori
Docente Denis Monte (IT)
•ATELIER 2 Rinascimento italiano
Docente Walter Testolin (IT)
•ATELIER 3 African roots: singing spirituals and gospel
Docente André J. Thomas (US)
•ATELIER 4 Discovering a Romantic repertoire: Mendelssohn
and Schubert Lieder
Docente da confermare
ALPE
ADRIA
CANTAT
2014
Lignano Sabbiadoro
•ATELIER 5 Dop, ba duba dop… get into the groove!
Docente Kjetil Aamann (NO)
24 »31 agosto
•ATELIER 6 A taste of world sounds
Docente Silvana Noschese (IT)
informazioni
Feniarco
Via Altan, 83/4 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn)
Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - [email protected]
www.interattiva.it
con il sostegno di
Regione Friuli Venezia Giulia
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Fondazione CRUP
Iscrizioni entro il 31 maggio 2014
www .fen iar co.i t
Festival organizzato da
Associazione
Cori della
Toscana
i
d
l
a
v
i
t
s
fe
a
r
e
v
a
m
i
r
p
o
d
n
a
t
n
a
c
a
r
t
n
o
c
la scuola si in
2014
e
m
r
e
T
i
n
i
t
a
c
e
Toscana Mont
internazionale
festival per cori scolastici
3•5 aprile
scuole elementari e scuole medie
con il patrocinio di
Ministero per i Beni
e le Attività Culturali
Regione Toscana
Provincia di Pistoia
Comune di Montecatini Terme
9•12 aprile
scuole superiori
Festival associato a
iscrizioni entro il 31 gennaio 2014
seguici su
www.feniarco.it