UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI MILANO - Istituto Nazionale di Fisica

UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI MILANO
Facoltá di scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso di laurea in Fisica
Studio teorico e sperimentale di un preamplificatore di carica
integrato dotato di range – booster innovativo
Relatore: Prof. Alberto PULLIA
Correlatore: Prof. Stefano Riboldi
Tesi di laurea di:
Capra Stefano
Matr. N. 790776
PACS 85.40.V
Anno Accademico 2011 - 2012
1
Indice
Introduzione...............................................................................................................................
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Capitolo 1 - Relatori HPGe e relative front – end come detector per la fisica nucleare..........
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1.1 – Caratteristiche generali di un rivelatore HPGe..........................................................
1.2 – Front – end elettronico: requisiti per la spettroscopia..............................................
1.3 – Il preamplificatore di carica: un integratore approssimato.......................................
1.4 – Analisi strutturale del circuito....................................................................................
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Capitolo 2 – Il preamplificatore di carica: dispositivo integrato ottimizzato per rivelatori
HPGe ....................................................................................................................... Pagina
2.1 – Motivazioni e difficoltá legate al passaggio da un dispositivo ad elementi discreti
ad una soluzione integrata.........................................................................................
2.2 – Studio del preamplificatore: stadio di ingresso discreto e stadio integrato...............
2.2.1 – A0(s) e A0(0): calcolo del guadagno ad anello aperto in frequenza
e in continua..................................................................................................
2.2.2 – Guadagno del preamplificatore (configurazione closed loop) e
valutazione della banda passante ................................................................
2.3 – Valutazione delle principali sorgenti di rumore riferite all’ingresso..........................
2.3.1 – ENC: equivalent noise charge.......................................................................
2.3.2 – Misura in laboratorio della ENC....................................................................
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Capitolo 3 – Stadio di uscita del preamplificatore di carica: buffer a bassa impedenza ........... Pagina
3.1 – Stadio di uscita: descrizione e confronti con altre soluzioni.......................................
3.2 – Stadio di uscita e source follower a confronto...........................................................
3.3 – Analisi time – domain dello stadio di uscita e del suo anello di retroazione..............
3.4 – Analisi in frequenza dello stadio di uscita e della sua rete di feedback......................
3.5 – Struttura del bootstrap...............................................................................................
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Capitolo 4 – Dispositivo di fast reset ............................................................................................ Pagina
4.1 – Analisi circuitale del dispositivo di reset ..................................................................... Pagina
4.2 – Comparatore con retroazione resistiva in configurazione “Trigger di Schmitt”.......... Pagina
4.3 – Lo switch deviatore di corrente................................................................................... Pagina
4.4 – Processo di fast reset: metodo di generazione della corrente ed effetti
sul preamplificatore.................................................................................................... Pagina
4.4.1 – Analisi time – domain del processo di reset.................................................. Pagina
4.4.2 – Comportamento del circuito in caso di profonda saturazione...................... Pagina
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Capitolo 5 – Recupero dell’informazione energetica durante la procedura di fast reset ........... Pagina
5.1 – Recupero dell’informazione energetica di un segnale che provoca saturazione........
5.1.1 – Relazione tra carica iniettata e tempo di reset..............................................
5.2 – Relazione tra tempo di reset ed energia dell’evento all’interno del rivelatore..........
5.3 – Studio del segnale digitale di reset.............................................................................
5.3.1 – Dipendenza del transiente di reset dalla temperatura di lavoro.....................
5.3.2 – Analisi del segnale FR nella condizione di “worst case”...................................
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Capitolo 6 – Layout dell’integrato e prove sperimentali ............................................................ Pagina
6.1 – Layout del dispositivo in versione “compatta”..........................................................
6.2 – Layout del dispositivo in versione “estesa”...............................................................
6.3 – Layout dei singoli blocchi circuitali............................................................................
6.4 – Risultati sperimentali.................................................................................................
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Conclusioni................................................................................................................................... Pagina
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INTRODUZIONE
Nei moderni esperimenti di fisica nucleare, per esempio quelli rivolti all’indagine delle risonanze giganti o
dei nuclei lontani dalla valle di stabilitá, si possono generare fasci di particelle cariche di notevole energia,
arrivando a sfiorare i 100MeV. In tali contesti, a rivelatori al germanio iper puro (HPGe), segue un
tradizionale front – end costituito da premplificatore di carica, amplificatore formatore e, per finire, un ADC
con conseguenti strumenti per la memorizzazione dei dati.
A basse energie (ragionevolmente fino a qualche MeV) tale catena soddisfa pienamente i requisiti degli
sperimentatori. Essi possono spingersi ben oltre la banale registrazione dell’informazione energetica: si
effettua ormai comunemente la Particle Discrimination applicando tecniche di Pulse Shape Analysis e con
analisi di tipo temporale si ottengono informazioni spaziali sul luogo dell’interazione all’interno del
rivelatore.
I problemi sorgono quando i rivelatori producono segnali di corrente equivalenti a decine di MeV. I
preamplificatori di carica possiedono uno swing di tensione limitato dai rail di alimentazione. In tali contesti
il segnale troppo intenso porta tali dispositivi in saturazione e l’informazione viene irrimediabilmente persa.
Bisogna sottolineare che questo fenomeno diviene logicamente piú grave all’abbassarsi delle tensioni di
alimentazione, trend che va consolidandosi negli ultimi anni a causa del passaggio dalla tecnologia discreta
a quella integrata: infatti i singoli transistori all’interno di un ASIC possiedono tensioni di rottura
decisamente minori rispetto ai componenti tradizionali a causa dei processi di miniaturizzione.
Ulteriore parametro da considerare, il tempo di recovery: in proporzione un preamplificatore in saturazione
impiega molto piú tempo a scaricarsi rispetto ad uno in condizioni di utilizzo normali. Questo comporta un
“acciecamento prolungato” del dispositivo, durante il quale si perde qualunque segnale in arrivo.
Dato il contesto iniziale, non intuendo in quale modo si possa riprogettare un preamplificatore di carica
senza passare per il consueto integratore retroazionato, l’unica soluzione consiste nel realizzare un
dispositivo ausiliario in grado di riconoscere quando il sistema entra in saturazione e capace di intervenire
in modo mirato per riportare lo stadio di integrazione in condizione operativa.
Il circuito analizzato in questo lavoro di tesi non solo svolge le mansioni sopra definite, ma, se sopraggiunge
una saturazione, recupera, in fase di reset, l’informazione energetica per mezzo di un sistema di
conversione carica – tempo dotato di ottima linearitá. Al di sotto dei 10MeV il circuito di “fast reset” resta
quiescente, permettendo al preamplificatore di svolgere il suo normale ruolo. Superata tale soglia, quando
il segnale porta l’elettronica al limite di utilizzo, il circuito di sense attiva la scarica forzata del condensatore
di retroazione ed in contemporanea viene generato un segnale digitale con durata proporzionale alla carica
recuperata, in quanto il circuito di fast reset opera per mezzo di un generatore di corrente costante (la
costante tempo / energia é 150 nS / MeV).
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A causa della complessitá di tale struttura, il funzionamento del dispositivo non é perfettamente
simmetrico, ossia non presenta uguale comportamento cambiando la polaritá del segnale in ingresso. Nel
caso specifico il circuito di fast reset interviene esclusivamente per segnali negativi, mentre la saturazione
positiva non viene recuperata.
Sono state eseguite simulazioni accurate sul comportamento del dispositivo includendo i parassitismi
dovuti al layout. In laboratorio sono state effettuate misurazioni sul comportamento di alcuni prototipi e
sulle loro effettive prestazioni di rumore. Si é inoltre scovata la causa di un comportamento iniettante del
sistema in corrispondenza dell’accensione e spegnimento del circuito di reset.
Sebbene il design iniziale preveda l’aggiunta di alcuni componenti discreti esterni tra cui un transistore JFET
posto all’ingresso, futuri sviluppi possono portare ad una soluzione monolitica, senza l’utilizzo di elementi
esterni all’integrato. Nello specifico, si prospetta di sostituire tale primo stadio con una struttura CMOS, che
sia le simulazioni che una realizzazione fisica confermano avere prestazioni equivalenti (fatto salvo il
problema del rumore). Lavoro di piú ampio respiro sará invece la sostituzione della resistenza di feedback
(troppo grande e dispendiosa per essere tradotta su silicio) con una struttura CMOS complessa dotata delle
medesime caratteristiche elettriche e, possibilmente, di grande linearitá.
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Capitolo 1
Rivelatori HPGe e relativo front – end come detector per la
fisica nucleare
La spettroscopia γ impone determinate caratteristiche alla catena di misura. La scelta del Germanio Iper –
Puro (HPGe) non é casuale, ovviamente, ma ponderata in base ai pregi ed ai difetti dei vari tipi di cristalli. Le
richieste non si esauriscono qui, ma coinvolgono ovviamente anche l’elettronica ad essi associata. Le linee
guida che si perseguono nel design di un front – end prestazionale sono la massima linearitá, la velocitá,
basso rumore ed elevata dinamica. Nel corso del seguente capitolo si giustifica la scelta di questa tipologia
di detector e si analizza, scomponendolo in macroblocchi, il funzionamento dell’ASIC. Dapprima si delinea il
funzionamento del preamplificatore e in seguito si analizza l’applicazione al circuito precedente del nuovo
blocco di fast reset. Sebbene il primo sia efficiente e ben progettato, la vera innovazione é costituita dal
secondo blocco, il quale libera l’integratore di carica dai comuni vincoli di dinamica imposti dalle
alimentazioni ed apre nuove possibilitá in campo spettroscopico, garantendo linearitá anche per segnali da
svariate decine di MeV (fino ad un massimo di circa 100MeV).
1.1 – Caratteristiche generali di un rivelatore HPGe
Un detector a semiconduttore per la fisica nucleare presenta una struttura molto semplice. Essa infatti é
costituita da un cristallo (in questo caso di Germanio, ma puó anche essere realizzato in Silicio) contattato
alle estremitá da due poli. Tipicamente la configurazione é quella riportata in figura 1.1. In prossimitá del
primo polo viene diffusa una regione con forte drogaggio di donatori (regione N+). Il corpo del cristallo non
viene drogato, in modo da ottenere proprietá elettriche il piú vicine possibile a quelle di un semiconduttore
intrinseco: tale condizione risulta ovviamente un asintoto teorico mai raggiungibile in una realizzazione
pratica. Infatti nonostante si possa prestare estrema cura durante l’estrusione del pezzo, non sará mai
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possibile evitare la contaminazione della struttura cristallina da parte di elementi presenti nell’ambiente di
lavoro.
Figura 1.1 – Schema di principio di un rivelatore al Germanio
Il risultato finale é pertanto un semiconduttore con una concentrazione di impurezze inferiore a 1010
atomi/cm3: puó essere considerato come lievemente drogato P. All’allontanamento dalla condizione ideale
concorrono anche le imperfezioni del reticolo cristallino, che, rompendo la periodicitá spaziale del reticolo,
possono dare luogo a trappole elettroniche localizzate, con comportamento simile a quello di un atomo
accettore. In prossimitá del secondo polo viene diffusa una regione P+, senza altro scopo se non fungere da
contatto. Il risultato globale é una giunzione PN, ovvero, in termini piú prosaici, un diodo di dimensioni
macroscopiche. Tale giunzione viene polarizzata in inversa a tensioni anche molto elevate (nell’ordine di 1
KV). In questo modo attorno alla linea di inversione di drogaggio si crea una zona svuotata, ossia una
regione nel quale non sono presenti portatori di carica liberi, in quanto tutti ricombinati con le impuritá
della struttura a dare origine a cariche localizzate. Nella regione P ogni accettore lega a sé un elettrone
creando carica localizzata negativa. Simmetricamente in regione N ogni donatore perde un elettrone
caricandosi positivamente. Lo spessore dello “svuotamento” dipende dalla tensione inversa applicata e
dalla concentrazione di drogante secondo l’equazione 1.1 .
 1
1  2
 i  V 
W  

 N A ND  q
7
1.1
Laddove W = XA + XD ossia la somma dello spessore di svuotamento in regione P e in regione N+.
ε é la costante dielettrica del semiconduttore in questione, q la carica del protone, V la tensione diretta
applicata alla giunzione dall’esterno,  i é il potenziale di built – in ossia
i 
KT  N A N D 
ln
q  ni 2 
1.2
NA e ND sono rispettivamente le concentrazioni di accettori nella regione P e di donatori in quella N+. Dalla
formula 1.1 si evince quale sia la dipendenza tra drogaggio di un semiconduttore, tensione applicata e
spessore della regione di svuotamento. Inoltre vale la legge
ND X D  N A X A
1.3
Dal momento che la regione di contatto N+ presenta una concentrazione di drogante superiore per ordini di
grandezza rispetto a quella del corpo del rivelatore, nella formula dello spessore di svuotamento la
percentuale relativa alla zona N+ é quasi trascurabile, mentre quasi tutto il corpo centrale del detector si
trova senza portatori di carica liberi.
Affinché un rivelatore svolga le proprie mansioni é necessario che l’interazione avvenga proprio in zona
svuotata. La cessione di energia da parte di un γ o una particella carica provoca fenomeni di ionizzazione,
cioé permette la separazione di elettroni e lacune inizialmente legati in forma di carica localizzata: il campo
elettrico provvede a separare gli uni dalle altre e a raccoglierli sotto forma di corrente ai contatti. Risulta
ora chiaro per quale motivo sia necessario utilizzare un cristallo iper – puro: considerando una densitá di
impurezze di soli 1010 atomi/cm3 per svuotare 1 cm lineare di semiconduttore occorre applicare una
tensione di circa 1KV. Una densitá superiore di impurezze provocherebbe un ulteriore riduzione, a paritá di
tensione di alimentazione, della regione svuotata. Utilizzando un cristallo di Silicio, al contrario, non é
possibile scendere sotto le 1020 impurezze/cm3. Questo elemento costituisce una limitazione allo spessore
utile di tali detector, che generalmente non superano pochi millimetri. Al contrario rivelatori HPGe possono
avere dimensioni di svariati centimetri, rendendoli i perfetti candidati per bloccare con assorbimento totale
raggi γ con energia dell’ordine del MeV.
Il rivelatore, in quanto diodo polarizzato in inversa, presenta ovviamente un suo rumore parallelo bianco di
tipo Shot. Infatti quando una corrente flusce attraverso una barriera di potenziale, i portatori di carica
riescono a compiere l’attraversamento a tempi casuali. Il flusso di corrente non é costante e risente della
granularitá della carica. Bisogna inoltre ricordare che il Band – gap del Germanio (0.67 eV) é minore di
quello del Silicio (1.11 eV). Le oscillazioni termiche, nel primo caso, riescono piú facilmente in zona svuotata
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a ionizzare una coppia e-/p+ rispetto al secondo caso, contribuendo ad una maggiore corrente di buio del
detector, e, di conseguenza, un maggior rumore parallelo. Per questo motivo, al contrario dei rivelatori al
Silicio, gli HPGe vengono fatti lavorare alla temperatura di 77K, mettendoli a contatto, per mezzo di un
“dito freddo”, con l’azoto liquido. Allo stesso modo, peró, l’energy gap inferiore permette un rapporto
molto piú basso tra l’energia dell’evento e il numero di coppie di portatori di carica liberati (2,96 contro
3,76 ev/#), contribuendo a una miglior statistica e quindi ad una maggior risoluzione energetica (2 KeV @
1.332 MeV – 0.2%). Per la rivelazione dei neutroni é altresí importante un alto numero di massa al fine di
garantire un’elevata efficienza (anche in questo caso Ge 72,64 contro Si 28,08). Sempre per motivi di
efficienza, sarebbe desiderabile un rivelatore di grande superficie: bisogna peró giungere ad un
compromesso, in quanto maggiore l’area del detector, maggiore la corrente di buio che lo percorre e quindi
maggiore il rumore parallelo generato.
Normalmente un rivelatore HPGe lavora a tensioni ben piú alte (anche 4500V) di quelle necessarie per
ottenere svuotamento completo: questo per assicurarsi che anche il campo elettrico minimo presente nel
cristallo sia sufficiente a saturare la velocitá di deriva dei portatori di carica. In questo modo si minimizzano
gli effetti indesiderati dovuti ad un eventuale tempo di raccolta delle cariche eccessivamente prolungato
nel tempo, nonché si limitano gli effetti di ricombinazione elettrone - lacuna.
Questi rivelatori riescono a sopportare rate di eventi nell’ordine di 10KHz senza pile – up, avendo un rise
time di 200-300 nS: per mezzo di tecniche CFD si discriminano tempi nell’ordine dei 4-5 nS.
1 . 2 – Front end elettronico: requisiti per la spettroscopia ϒ
La ricerca nucleare odierna si spinge in aree insolite nella mappa dei nuclei: gli atomi vengono portati in
condizioni estreme al fine di porre delle risposte agli interrogativi sulla struttura nucleare. Ció é possibile
solamente grazie ad una nuova generazione di fasci radioattivi e sfruttando tecniche di spettroscopia γ.
Al fine di produrre nuclei esotici con un rate sufficiente occorrono intensitá di fascio progressivamente
crescenti. Infatti l’unico modo per popolare canali di reazione particolarmente deboli é aumentare il rate di
reazioni. Questo comporta ovviamente delle difficoltá, in quanto tanto il detector quanto la catena
elettronica si trovano ad operare a frequenze sempre piú elevate. Il singolo evento di interesse, come puó
essere la produzione di un nucleo esotico, si trova circondato da innumerevoli eventi di background, dovuti
ad un ambiente ostile con alta radioattivitá di fondo. Segnali di particelle cariche e neutroni precedono e
seguono il segnale desiderato. La gamma di energie rilasciate nel rivelatore é estremamente ampia, e, al
fine di non perdere dati preziosi, l’efficienza degli spettrometri deve essere massimizzata su tutto lo
spettro. Fondamentale é anche un’ottima risoluzione angolare: a tale scopo si prediligono rivelatori
segmentati a struttura radiale. In tal modo é possibile registrare non solo l’intensitá del γ ma anche la sua
direzione di provenienza.
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A titolo di esempio si consideri la struttura dei detector di AGATA (Advanced Gamma-ray Tracking Array):
gli spettrometri sono costituiti da array a 4π di Germanio Iper-puro, monolitici e multi-elettrodo. Essi sono
position-sensitive e vengono implementate anche tecniche avanzate di pulse-shape analysis.
Visti i requisiti “fisici” dei dispositivi di misura, possiamo ora dedurre quali siano le richieste per l’elettronica
di front-end.
In primo luogo si chiede ovviamente basso rumore. Volendo ricostruire degli spettri con la maggior
precisione possibile bisogna evitare che il rumore circuitale provochi un’eccessivo broadening delle righe
spettrali. Per porre un limite fisico di accettabilitá, basti pensare che l’elettronica non deve corrompere il
segnale in misura maggiore di quanto non faccia il rivelatore stesso. Infatti al suo interno i processi
randomici di generazione e ricombinazione elettrone – lacuna disturbano i segnali e diminuiscono la
risoluzione energetica del setup.
Come giá accennato precedentemente, i rivelatori HPGe lavorano con un dito freddo immerso nell’azoto
liquido. Se la circuiteria dissipasse una quantitá eccessiva di energia, potrebbero verificarsi fenomeni di
microebollizione del refrigerante. Pertanto si impone un consumo energetico del preamplificatore
(anch’esso a temperature criogeniche) non superiore ai 20mW.
Al fine di applicare tecniche di tracking γ, bisogna poter analizzare la forma esatta del fronte di salita del
segnale del preamplificatore. In essa é infatti contenuta l’informazione relativa al punto di interazione del γ
all’interno del rivelatore. Si deduce quindi che il preamplificatore di carica associato debba godere della piú
ampia banda possibile, in modo da non mascherare, con il proprio fronte lento di salita, informazioni utili
agli sperimentatori. Dimensionalmente parlando, si richiede un rise time non superiore ai 20nS.
Dovendo studiare nuclei esotici, le energie di interesse vanno da pochi KeV a decine di MeV. Per questo
motivo la catena elettronica (ma soprattutto il preamplificatore di carica) deve godere di un ampio range
dinamico (anche 60 dB). Nonostante ció, capita che segnali troppo intensi portino i sistemi (il
preamplificatore o l’ADC) in saturazione. La condizione operativa non viene raggiunta subito: si parla infatti
di “tempo morto”, ossia un periodo durante il quale l’elettronica non é più in grado di ricevere e registrare
nessun segnale in arrivo. Evidentemente si desidera il piú breve tempo morto possibile. Parimenti, data
l’alta frequenza di eventi da registrare, il preamplificatore deve avere una costante di tempo breve, in
modo da riportare il segnale alla linea di base abbastanza velocemente: in caso contrario possono
verificarsi pile – up indesiderati.
Sempre al fine di poter popolare canali dell’esperimento molto rari, le misure sotto fascio possono protrarsi
per lungo tempo. Durante l’esperimento, peró, la catena elettronica deve subire, al fine di non corrompere
i dati, il piú piccolo drift possibile. Infatti fluttuazioni nel guadagno (per esempio a causa di variazioni di
temperatura) possono deteriorare la risoluzione spettrale della presa dati.
Nel caso specifico del
preamplificatore, si cerca un guadagno di anello particolarmente elevato (nell’ordine di 103), in modo da
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garantire un guadagno ad anello chiuso stabile. Considerando le prestazioni del rivelatore come deadline di
riferimento, si tollerano errori dello 0,2% nell’ordine di grandezza del MeV.
Nonostante possa apparire una richiesta di secondaria importanza, i preamplificatori devono anche avere
dimensioni contenute. Si pensi infatti ai rivelatori segmentati e al numero elevato di front – end elettronici
in gioco: la miniaturizzazione puó risolvere innumerevoli problemi di natura logistica.
1.3 – Il preamplificatore di carica: un integratore approssimato
In seguito all’interazione con un raggio γ, nella zona svuotata del rivelatore si creano, per ionizzazione,
coppie elettrone – lacuna. I forti campi elettrici dovuti alla polarizzazione inversa provvedono a separarli e a
raccoglierli ai due poli. Il flusso di elettroni viene raccolto dall’anodo, mentre quello di lacune dal catodo. Si
puó quindi modellizzare il rivelatore come un generatore di impulsi di corrente. Nonostante tali impulsi
abbiano una forma propria, in prima approssimazione possono essere considerati come delle delte di dirac
δ(t0). Dal momento che il detector é costituito da una giunzione PN in inversa, essa avrá una certa capacitá
parassita, dovuta alla formazione delle regioni svuotate, tanto piú grande all’aumentare dell’area del
rivelatore. In definitiva la modellizzazione del detector per piccolo segnale é quella in figura 1.2. La
resistenza parallela di enorme valore non é di nostro interesse.
Figura 1.2 – Modellizzazione elettronica del detector HPGe per piccolo segnale
Ovviamente la polaritá del segnale in uscita dipende dalla scelta del polo del rivelatore al quale si é
applicato il preamplificatore. Normalmente il design circuitale é ottimizzato solo per segnali con polaritá
definita, soprattutto per quanto riguarda problemi di dinamica. Nel caso specifico del circuito preso in
esame, il blocco di fast reset opera solo per segnali di corrente in ingresso positivi.
Scopo del preamplificatore é integrare la corrente in input al fine di ottenere un’escursione di tensione in
uscita proporzionale alla carica prodotta dal rivelatore: essa é proporzionale all’energia rilasciata
dall’evento all’interno del semiconduttore e ci fornisce informazioni sulla particella carica o sul γ incidente.
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A tale scopo basterebbe riversare la corrente proveniente dal Germanio (Formula 1.4) su di un
condensatore e misurare le variazioni di tensione ai suoi capi. Per ottenere ció si utilizza un amplificatore
operazionale retroazionato capacitivamente (Figura 1.3).
Figura 1.3 – Modello elementare di preamplificatore di carica
L’espressione della tensione in uscita é data dalla formula 1.5, ottenuta considerando come ideali tutti i
componenti rappresentati.
iD  Q t  t0 
vout t   vbaseline 
t
1.4
t
1
Q
Q
iD t 'dt '  vbaseline 
 t 't 0 dt '  vbaseline  1t  t 0 


CF 0
CF 0
CF
1.5
Giustamente l’integratore nella configurazione presentata ha la caratteristica di essere invertente, pertanto
ad una corrente in ingresso positiva corrisponde un’escursione di tensione in uscita negativa: in questo
modo si giustifica il segno (-) nella formula 1.5.
Se non fosse presente un dispositivo in grado di scaricare periodicamente il condensatore CF il circuito
saturerebbe dopo poco tempo. A tale scopo si é soliti aggiungere una resistenza RF (Figura 1.4) di grande
valore in parallelo a CF, in modo da riportare, in assenza di segnale in ingresso, l’uscita del preamplificatore
alla linea di tensione di base (valore di tensione arbitrario scelto dal progettista a seconda delle esigenze).
É comunque indispensabile che la costante di tempo  F  RF CF sia molto piú lunga rispetto ai tempi
caratteristici dei segnali del rivelatore, in quanto, su tali scale temporali, il circuito deve comportarsi come
un integratore.
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Figura 1.4 – Preamplificatore di carica con resistenza di Feedback
In questo modo risposta del circuito nel dominio della trasformata di Laplace diviene:
~
~
V out s   I in s 
1
s  F
 1
 
 CF



1.6
Mentre la tensione in uscita, dal momento che abbiamo approssimato l’impulso del rivelatore ad una delta
di Dirac, sará uguale, a meno della tensione di baseline, alla risposta all’impulso del sistema, ottenuta
antitrasformando la formula 1.6.
t t 0
Q  F
vout t   vbaseline 
e
1t  t 0 
CF
1.7
Si noti che la resistenza di feedback RF deve essere molto grande, in modo da generare sul condensatore CF
il piú piccolo rumore di corrente parallelo possibile. Tale rumore é bianco, con densitá spettrale
matematica data dalla 1.8:
2
I noise

2 KT
R
1.8
Il ruolo della resistenza RF é anche quello di fornire un percorso in continua tra l’ingresso e l’uscita: ció é
indispensabile per definire un punto di polarizzazione del transistor J-FET di ingresso (argomento su cui si
tornerá nei prossimi paragrafi).
Fino ad ora si é mantenuta l’approssimazione di guadagno ideale dell’amplificatore operazionale: ció
significa che il moresso negativo dell’OP-AMP si considera come una massa virtuale perfetta. Non si
permette alla capacitá parassita del detector di effettuare charge-sharing con la capacitá di feedback e si
forza la corrente in ingresso a caricare unicamente CF. Nella realtá il guadagno dell’operazionale é finito, la
13
massa virtuale subisce piccole variazioni di tensione e parte della carica in arrivo dal detector flusce nella
sua capacitá interna. Si consideri, infatti, che CF é dell’oridine del decimo di pF (realisticamente 0,17pF),
mentre il detector puó anche avere una capacitá di 16pF. Se le due capacitá venissero messe in parallelo
senza ulteriori sistemi al contorno, la corrente di segnale fluirebbe quasi esclusivamente nella CDET. D’altro
canto, una piccola CF é necessaria per ottenere un guadagno ragionevole dello stadio integratore (vedi
formula 1.7). Se da un lato un circuito ideale presenza un nodo a massa virtuale con impedenza di ingresso
nulla, dall’altro un circuito reale presenta un’impedenza di ingresso finita, dettata da CF e dal guadagno
dell’amplificatore. Secondo la legge di Miller, ipotizzando che l’operazionale guadagni - K, l’impedenza di
ingresso (vista cioé dal detector) sará pari a:
Z in 
~
~
Vin
Vin
~
I in



sCF Vin  Vout 


~
~

1
sCF 1  K 
1.9
Quindi, essendo K dell’ordine di 103, nel momento in cui il detector eroga della carica, questa viene ripartita
su CDET e su CF come se fossero in parallelo due capacitá da 16 pF e 170 pF. Ovviamente il circuito si
comporta a livello pratico come se quasi tutta la corrente venisse raccolta dal preamplificatore: comunque
lo sperimentatore deve essere cosciente del possibile cambio di prestazioni del circuito al variare della
capacitá del rivelatore, fenomeno non comprensibile considerando l’amplificatore operazionale come
ideale e a guadagno infinito. In un circuito analogico prestazionale un elemento chiave nella progettazione
é la gestione del rumore elettronico. In un amplificatore / preamplificatore, qualora si abbia a che fare con
segnali deboli in ingresso, lo stadio che richiede maggior cura é sicuramente il primo. Infatti eventuali
rumori aggiunti al segnale dopo che questo é stato amplificato saranno meno dannosi in termini di signalnoise ratio. Nel caso di un preamplificatore di carica solitamente la scelta dello stadio d’ingresso ricade su
un transistor J-FET discreto, in quanto caratterizzato da basso rumore (rispetto ad un transistore MOS) e
altissima impedenza di ingresso (praticamente solo capacitiva, rispetto ad un BJT).
Figura 1.5 – Schema riassuntivo di un preamplificatore di carica con stadio di ingresso a JFET
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La configurazione complessiva é riportata in figura 1.5 (pagina precedente).
A seguito di un evento all’interno del rivelatore, la tensione di uscita vout seguirá l’andamento descritto nella
formula 1.7: tuttavia il comportamento “a gradino” caratteristico della funzione 1(t) rispecchia solo
parzialmente il comportamento reale del sistema. In realtá tale espressione andrebbe ulteriormente
convoluta con un’esponenziale decrescente con tempo caratteristico dovuto ai poli dell’amplificatore
operazionale. In termini pratici il fronte di salita si sviluppa in circa una ventina di nanosecondi, con
un’escursione di tensione di picco legata all’energia depositata nel Germanio dalle formule 1.10 e 1.11 e
11.12.
vout 
QDET
CF
1.10
Con QDET la carica erogata dal rivelatore e, come nel resto del capitolo, CF la capacitá di feedback su cui
viene integrata la carica.
La carica corrisponde al numero di coppie elettrone – lacuna generate dall’interazione, a meno di fenomeni
di ricombinazione e di scarsa efficienza di raccolta.
QDET  q
E

1.11
E = energia rilasciata nel detector,  é l’energia media necessaria per generare una coppia e- - p+
all’interno del semiconduttore. Con q si intende la costante elementare di carica 1,602·10-19 C.
Si parla di energia media in quanto la generazione di coppie di portatori é dettata da fenomeni di natura
statistica. Nel caso di un cristallo di Germanio iper-puro  vale 2.92 eV / coppia.
vout 
q
E
CF 
1.12
CF determina ovviamente il fattore di scala Volt / MeV: avendo scelto CF = 0.17 pF vale la 1.13:

q
mV
 323
CF 
MeV
1.13
In fase di simulazione risulta poco attendibile un generatore di corrente deltiforme: al contrario si
preferisce adottare un generatore di tensione esponenziale con rise time di pochi nS e fall time
estremamente prolungato (anche un secondo): rispetto ai tempi caratteristici del circuito il segnale puó
essere considerato una funzione a gradino ( 1(t) ). Tale generatore di tensione inietta corrente sulla
capacitá del detector tramite un condensatore chiamato CIN o CTEST. Il risultato viene ottenuto poiché il
15
nodo sul quale si opera é una terra virtuale, la quale raccoglie la corrente che scorre tramite il
condensatore di iniezione. Il circuito nel complesso é rappresentato in figura 1.6.
Figura 1.6 – Preamplificatore di carica applicato ad un generatore di segnali che simula il rivelatore
La corrente che scorre attraverso un condensatore con ai suoi capi una tensione della forma VCIN· 1(t) é:
~
~
I CIN  VCIN sCIN
~

I CIN  VCIN

1
sCIN
s
1.14
1.15
E antitrasformando:
I CIN (t )  VCIN CIN  (t )
1.16
Palesemente il prodotto VCINCIN risulta uguale a QIN, ossia alla carica iniettata nel nodo di ingresso del
preamplificatore. Volendo definire un’equivalenza tra energia rilasciata nel detector e valore del gradino di
tensione corrispondente in fase di simulazione, si ottiene:
E DET 
C IN VCIN
q
1.17
Un gradino di tensione positivo corrisponde ad una delta di corrente di lacune entrante nel nodo di massa
virtuale: ad esso corrisponde uno swing negativo della tensione di uscita secondo il comportamento di un
normale integratore invertente.
Lo stesso setup viene utilizzato non solo per le simulazioni ma anche per i test in laboratorio, dove, per
praticitá, il sistema rivelatore – sorgente viene sostituito da un generatore di segnali: grazie ad esso si
possono produrre, con la tecnica descritta, impulsi di corrente corrispondenti alle energie necessarie per le
misurazioni di interesse.
16
1.4 – Analisi strutturale del circuito
Il circuito puó essere suddiviso in tre macroblocchi concettuali, il preamplificatore di carica e il circuito di
fast reset, a sua volta suddiviso in dispositivo di sense e generatore di corrente controllato (figura 1.7).
Figura 1.7 – Diagramma a blocchi dell’ASIC
In modo piú specifico possiamo riconoscere le parti inserite all’interno dell’ASIC (Application specific
integrated circuit) e i componenti discreti esterni (figura 1.8). In particolare lo stadio di ingresso del
preamplificatore (JFET BF862) e l’anello di retroazione (RF e CF) non fanno parte dell’integrato, mentre al
suo interno sono posti il secondo stadio e lo stadio di uscita.
Il secondo stadio, vista la configurazione adottata, puó essere considerato un amplificatore di
transconduttanza. Infatti un segnale sul gate del JFET provoca una generazione di corrente al suo drain.
Questa viene letta su una resistenza e nuovamente amplificata, tradotta in tensione e inviata allo stadio di
uscita.
Quest’ultimo é uno stadio a bassa impedenza in grado di pilotare un cavo coassiale di discreta lunghezza. Il
segnale di output viene infatti inviato direttamente al front-end digitale per essere convertito da un ADC e
processato numericamente. Come si puó notare dagli schemi riportati, il dispositivo di fast reset agisce
direttamente sul nodo in ingresso. Tale soluzione puó sembrare “rischiosa” dal punto di vista prestazionale:
il nodo di input é il piú debole in tutto il sistema, in termini di rumore, capacitá parassite e generazione di
distorsioni. Infatti ogni parassitismo capacitivo su tale linea si somma in parallelo alla capacitá del detector
e riduce, come giá spiegato in precedenza, l’efficienza di raccolta della carica iniettata su CF, a causa di
fenomeni di charge-sharing. Essendo un polo di ingresso di un amplificatore ad alto guadagno, ogni sua
oscillazione di tensione puó creare problemi al segnale in uscita: sia che questa sia provocata dal naturale
funzionamento del dispositivo di reset, sia che essa derivi dal rumore elettronico aggiunto dai transistor che
costituiscono il generatore di corrente di scarica.
17
Figura 1.8 – Schema a blocchi del preamplificatore con fast reset
Tuttavia le simulazioni e le prove sperimentali hanno dimostrato che i vantaggi superano di gran lunga gli
svantaggi (anche in termini di ENC, equivalent noise charge).
Infatti, in caso di piccoli segnali, il circuito di fast-reset non interagisce in nessun modo con l’integratore,
permettendo un funzionamento normale del medesimo. La presenza di ulteriore capacitá sul nodo in
ingresso si é rivelata del tutto tollerabile, e i test sperimentali dell’ENC sono piú che soddisfacenti, come si
mostrerá nei prossimi capitoli. Essendo lo stadio di uscita integrato, l’escursione di tensione negativa é
limitata dalla tensione di alimentazione. La tecnologia implementata é una C-MOS 350nm 5V. Per evitare di
raggiungere tensioni di rottura, i rail impiegati sono + 2.5 V e - 3V. Considerando la modalitá di lavoro
adottata (segnali di lacune, swing di tensione in uscita negativo), la limitazione di dinamica in uscita é
costituita essenzialmente dalla VEE (- 3V).
In termini piú pratici, un segnale da 8.5 MeV provoca un’escursione di tensione in uscita pari a 2.8V. In
questa configurazione i transistor dell’ultimo stadio sono giá in regione di triodo. Essendo τF = 170 μs, il
tempo di discesa di vout totale é pari a 375 μs. Bisogna peró notare che, se il sistema entra in saturazione, il
nodo di ingresso non si comporta piú come una terra virtuale. Parte della carica si deposita anche su C DET e
il raggiungimento della condizione operativa ha tempi molto piú lunghi di quelli caratteristici dettati da C F e
RF. Nel prossimo capitolo si analizzerá in dettaglio questo aspetto, suffragando i calcoli teorici con adeguate
simulazioni. Fortunatamente tale condizione di “accecamento” (caratterizzata da tempi di recovery lunghi)
viene risolta dall’intervento del blocco di fast reset.
18
Qualora si presentino segnali molto ampi (sopra ai 10 MeV) il sistema cambia modalitá di funzionamento: il
circuito di sense riconosce la saturazione del preamplificatore. Viene quindi aperto un canale che permette
al generatore controllato di scaricare manualmente CF. In questra seconda fase di funzionamento si eleva il
range dinamico del sistema di un fattore 10: si possono gestire segnali fino a 100MeV Si recupera inoltre
l’informazione energetica misurando i tempi di scarica per mezzo di un TAC (time to amplitude converter),
direttamente applicato al segnale in uscita dal trigger di Schmitt del sistema di sense. Questo metodo peró
non riesce a discriminare la carica dovuta all’evento corrente dalla carica residua presente in CF: le due
vengono naturalmente sommate tra di loro. Fortunatamente tutte le acquisizioni vengono ora eseguite in
digitale ed un semplice ma efficace algoritmo permette di aggirare questa difficoltá.
Lo stadio di uscita del preamplificatore deve possedere determinate caratteristiche affinché possa essere
applicabile nell’ambito della fisica nucleare. In primo luogo deve poter funzionare perfettamente anche a
temperature criogeniche, in quanto tale circuito lavora alle stesse temperature dei cristalli HPGe. In
secondo luogo deve possedere bassa impedenza di uscita, in quanto deve pilotare cavi coassiali terminati
piuttosto lunghi. Deve essere in grado di erogare molta potenza nel piú breve tempo possibile e deve
produrre poco rumore. Nel nostro caso tutte queste specifiche sono pienamente rispettate. Inoltre il rise
time, valutato pilotando un cavo coassiale con impedenza nominale di 100Ω, é inferiore ai 20nS, con swing
rail to rail.
Si analizza ora piú in dettaglio il blocco di fast reset.
Il circuito di sense é costituito da un comparatore. Alcune resistenze esterne di retroazione lo rendono un
trigger di Schmitt, ossia un circuito bistabile. I valori delle resistenze determinano i due livelli di tensione di
attivazione e spegnimento del dispositivo: la prima viene collocata a -2.6V, mentre la seconda circa a 0V.
Quando l’uscita del preamplificatore scende sotto la prima soglia, il trigger si attiva, inviando il segnale di
controllo al current sink. Nel momento in cui vout ritorna al valore predefinito di baseline, il trigger si
spegne, e lo stesso fa anche il current sink: il preamplificatore é pronto per ricevere nuovi impulsi in
modalitá operativa tradizionale.
Per questioni di design, il generatore di corrente controllato é sempre attivo, con corrente costante. Essa
permette infatti un rapporto lineare tra tempo di scarica e carica prelevata. Il segnale del trigger provvede
semplicemente a deviare tale flusso di corrente da un punto di terra al nodo di ingresso del circuito. Tale
soluzione, vincente sul piano della linearitá della risposta, ha peró presentato alcune sue debolezze in fase
di layout. Un’errata disposizione dei pad di contatto su silicio ha portato alla generazione di un canale
capacitivo tra il segnale di controllo e il nodo di terra virtuale, causando un’indesiderata iniezione di carica
ad ogni accensione/spegnimento. In fase sperimentale tale malfunzionamento é stato corretto per mezzo
di una capacitá di controiniezione, applicata tra il nodo in questione e il segnale di controllo negato.
Nei capitoli successivi si descriverá ogni parte del circuito in maggiore dettaglio.
19
Nelle immagini seguenti si mostra il comportamento del sistema, con o senza intervento del dispositivo di
fast reset.
Figura 1.9 – Transienti di risposta del preamplificatore senza saturazione: il generatore di segnali fornisce
gradini di tensione da 0.1V (minor escursione) a 0.7V (massimo swing)
Figura 1.10 – Transienti di risposta del preamplificatore in caso di saturazione con intervento del dispositivo di
fast reset: il generatore di segnali fornisce gradini di tensione da 0.8V a 2V (a passo di 0.2V) e, in ultimo, un
gradino da 2.5V e uno da 3V (i segnali sono presentati per durata crescente).
In particolare l’ultima immagine presenta la sovrapposizione del comportamento di due versioni differenti
del dispositivo: una in configurazione standard (segnali di durata maggiore) e una con una lieve capacità di
controiniezione (segnali di durata minore), che cerca di limitare l’insinuarsi del segnale di controllo dello
switch all’interno del nodo di ingresso del preamplificatore per via capacitiva (si analizzerà in dettaglio
questo fenomeno nei capitoli successivi).
20
Capitolo 2
Il preamplificatore di carica: dispositivo integrato ottimizzato
per rivelatori HPGe
In questo capitolo si analizza in dettaglio il preamplificatore di carica integrato che costituisce il primo dei
tre macroblocchi che compongono il circuito. Dal momento che lo stadio di uscita é stato studiato in modo
da avere prestazioni particolari, ad esso é stato dedicato un capitolo a parte, nel quale ne viene esposta
l’architettura e delineate le caratteristiche. In particolar modo si vuole sottolineare il grande range
dinamico del dispositivo, nonostante le naturali limitazioni dovute ad un design integrato.
Viene eseguita un’analisi di piccolo segnale (approssimazione al primo ordine) del preamplificatore a
circuito aperto e circuito chiuso, calcolo del guadagno di anello e banda passante. Si valuta la dinamica di
uscita e la forma dei segnali.
Non ultimi, vengono presentati i risultati di un’accurata analisi di rumore, suffragata da misure in
laboratorio.
Si sottolinea nuovamente la possibilitá di inserire il dispositivo nei setup elettronici degli esperimenti di
fisica nucleare: tale circuito rispetta infatti pienamente i requisiti per poter essere adottato in misure di
spettroscopia γ, con range energetico compreso tra 10KeV e 10MeV.
2.1 – Motivazioni e difficoltá legate al passaggio da un dispositivo ad elementi discreti ad una soluzione
integrata
I piú recenti esperimenti di fisica nucleare prevedono l’utilizzo di rivelatori altamente segmentati. Questo
implica un grande numero di canali di lettura. Ciascuno di questi richiede ovviamente un proprio
preamplificatore di carica. Dal momento che tale dispositivo viene applicato a contatto con il detector,
anche le sue dimensioni fisiche giocano un ruolo importante in fase di progettazione. I tradizionali
21
preamplificatori a componenti discreti presentano tutti i vantaggi legati alle alte tensioni di alimentazione,
ma soffrono delle difficoltá legate al proprio imgombro (Figura 2.1).
Figura 2.1 – Confronto tra le dimensioni di un preamplificatore a componenti discreti e un ASIC
Dal momento che i trend attuali prevedono un incremento notevole dei canali di lettura di un esperimento,
passare dalla tecnologia discreta a quella integrata puó essere sicuramente un ottimo passo in avanti. Per
esempio si considerino i 6660 canali di acquisizione della configurazione a 4π del detector AGATA:
l’elettronica deve essere in grado di gestire i segnali provenienti da 180 cirstalli segmentati di Germanio
Iper Puro. Ció comporta, come giá accennato nell’introduzione, una serie di difficoltá. La miniaturizzazione
dei componenti prevede una consistente riduzione delle tensioni di alimentazione, a causa delle basse
tensioni di rottura dei singoli transistor miniaturizzati. Nel caso in esame, la tecnologia CMOS a 350 nm
adottata prevede una tensione di rottura pari a 5V. Per questo motivo si sceglie un’alimentazione duale +/3V. I segnali in uscita da un tale dispositivo dovranno rispettare i limiti di dinamica che tali valori di tensione
impongono. Lo studio deve allora orientarsi in modo da sfruttare al meglio tutto il range di tensioni
disponibile, avvicinandosi il piú possibile a prestazioni rail – to rail (a tale proposito si sottolinea che una
dinamica di almeno 60dB è una specifica comune).
Quest’ultima richesta é particolarmente onerosa, in quanto i design integrati devono fronteggiare
problematiche relative alle tensioni di soglia e di overdrive dei MOS, che generalmente limitano
notevolmente l’escursione dei segnali utili. Nel nostro caso, é vantaggioso sapere, giá in fase di
progettazione, che il dispositivo sará solito lavorare con tenisoni di uscita negative: questo permette di
scegliere un’architettura mirata (soprattutto per lo stadio di output) che riesca a sfruttare il piú possibile la
dinamica inferiore, a discapito, ovviamente, di quella superiore.
22
Dal momento che parte dell’informazione in arrivo dal detector é contenuta anche nel fronte di salita del
segnale, il dispositivo deve avere tempi di risposta tali da non corrompere il dato fornito.
Sorge peró la necessitá di collegare il front-end digitale ad una certa distanza dal detector. Il
preamplificatore deve essere in grado di pilotare componenti elettroniche remote tramite cavo coassiale:
per questo motivo serve un dispositivo di potenza a bassa impedenza di uscita.
La soluzione piú semplice é il classico source-follower (figura 2.2).
Figura 2.2 – Source follower: la resistenza RS può anche essere sostituita da un componente attivo
Molto semplice da implementare, questa configurazione risente peró di numerosi difetti: la non linearitá
(problema del tutto relativo, essendo il macroblocco retroazionato), la scarsa banda passante e soprattutto
lo scarso swing di tensione. La limitazione sorge dalla tensione di soglia (tipicamente 1 V) caratteristica del
transistor MOS, alla quale va a sommarsi il contributo dovuto all’effetto body.
Focalizzando l’attenzione sull’escursione rail to rail, la letteratura fornisce numerose soluzioni, le quali,
purtroppo, solitamente fanno uso di stadi di output ad alta impedenza. Nel caso in esame questo potrebbe
essere dannoso, in quanto il guadagno del preamplificatore varierebbe a seconda del carico collegato
all’uscita.
La scelta della tecnologia é anche basata sulle variabili di ambiente nel quale il circuito sará costretto ad
operare: i dispositivi CMOS funzionano perfettamente anche alle temperature criogeniche impiegate per i
rivelatori HPGe (77K). Non sarebbe stato possibile realizzare un design circuitale basato su transistor
bipolari (BJT) in quanto, a tali temperature, le prestazioni dei dispositivi elettronici a giunzione precipitano,
a causa di fenomi di freeze – out. Per evitare simili problemi, si potrebbe adottare una soluzione ibrida:
tenere il primo stadio a discreti a contatto con il detector e portando il secondo stadio integrato a distanza
23
dal rivelatore. Tale soluzione peró comporta delle difficoltá tecniche: infatti la lunghezza dell’anello di
retroazione genera dei ritardi di linea che possono causare instabilitá di tipo oscillante del sistema. Si
potrebbe porre rimedio a tale fenomeno per mezzo di filtri numerici, oppure riducendo fortemente la
banda passante del preamplificatore (a discapito dell’informazione contenuta nel fronte di salita dei
segnali).
2.2 – Studio del preamplificatore: stadio di ingresso discreto e stadio integrato
Figura 2.3 – Schema concettuale del preamplificatore: il guadagno di andata del dispositivo si ottiene come
prodotto tra il gain del primo stadio a discreti e quello dello stadio ASIC
Nella figura precedente é stato riportato il design concettuale del preamplificatore, compreso il primo
stadio a discreti. Esso é costituito da un transistor JFET, il B862 prodotto da Philips. La scelta ricade su
questo componente principalmente per tre motivi. Il primo é il basso rumore, specialmente alle frequenze
inferiori, laddove nei dispositivi CMOS un contributo pesante é dato dal rumore 1/f (rumore rosa).
In secondo luogo, il basso consumo di potenza: come giá accennato in precedenza, essendo il circuto
termalizzato dall’azoto liquido, una minor dissipazione di calore evita il formarsi di fenomeni di
microebollizione nel refrigerante. In ultimo, avendo a che fare con un componente discreto, si ha la
possibilitá di sostituirlo in caso di guasto (al contrario un dispositivo integrato deve essere sostituito per
intero). A differenza di un CMOS, il JFET non presenta una vera e propria tensione di soglia, permettendo
una tensione di 0V gate – source: in questo modo si puó ridurre l’offset di uscita del preamplificatore.
Bisogna comunque ricordare che la resistenza di feedback RF, essendo di grande valore (1GΩ), deve essere
necessariamente un componente discreto. Infatti la traduzione di un simile dispositivo su silicio
occuperebbe un’enorme quantitá di spazio: la sua area sarebbe quasi sicuramente superiore a quella di
24
tutto il preamplificatore. Futuri sviluppi dell’ASIC potrebbero portare alla realizzazione di una struttura
CMOS integrata volta ad emulare il comportamento di una resistenza simile: in tal caso, i problemi piú
difficili da risolvere saranno legati alla non linearitá del sistema, eventualmente correggibile per mezzo di
tecniche di cancellazione POLO – ZERO.
Un’eventuale integrazione di RF porterebbe necessariamente all’integrazione di tutto il primo stadio,
ottenendo cosí una struttura monolitica, con tutti i benefici (e gli svantaggi) del caso.
La figura 2.4 offre una visione schematica del funzionamento dell’ASIC.
Figura 2.4 – Rappresentazione concettuale della porzione ASIC del preamplificatore
Vengono riportate in sequenza la larghezza e la lunghezza dei transistor in μm. I generatori di corrente sono
I1 = 170 μA e I2 = 300 μA.
Come si puó notare, l’ASIC prevede una struttura a tre sezioni: la prima é costituita dal cascode di T1 e T2
(pMOS), con un bias fornito da I1, la seconda é unvece uno stadio ad alto guadagno con compensazione alla
Miller (CM definisce il polo dominante dell’operazionale) in configurazione common source. Per finire si
chiude con un buffer di uscita.
Di seguito, in figura 2.5, é invece presentato lo schematico completo del preamplificatore di carica.
A T1 e T2 corrspondono M1 e M2: m5 svolge la funzione di T3. I due generatori di corrente sono realizzati
rispettivamente con i transistor M3, M4 e M6 e M14 (in configurazione a specchio). La prima realizzazione
del sistema prevede due resistenze di polarizzazione esterne per determinare le correnti I1 e I2: futuri
sviluppi possono includere, una volta trovata la configurazione ottimale, l’integrazione di R3 ed R4.
Al fine di migliorare la dinamica negativa del circuito sarebbe stato interessante diminuire il valore di
tensione di alimentazione positiva in favore di quella negativa: purtroppo ció non é stato possibile a causa
dei valori di polarizzazione del drain del BF862. Infatti la sua tensione drain-source non deve scendere sotto
1.5 V: del resto la tensione di drain é dettata anche da VCC e dalla soglia di M1 (circa 1V). Pertanto 2.5 V di
25
alimentazione positiva sono obbligatori. Allo stesso modo, essendo la tecnologia disposta a sopportare un
massimo di 5.5V, il rail negativo non puó scendere sotto i -3V.
Figura 2.5 – Schematico completo del preamplificatore di carica
Gli unici transistor che possono soffrire problemi di eccessivo stretching sono il driver M13 e M5. Il primo lo
si analizzerá piú approfonditamente nel prossimo capitolo, mentre il drain di M5 ha la stessa tensione del
gate del follower M12. Dal momento che quest’ultimo presenta un source forzato dalla retroazione a circa
0V e visto che la sua VGS sará pari alla tensione di soglia VTH del dispositivo (non più di 1.7 V) lo stretching di
tensione massimo su M5 non supera mai i 4.7V.
La presenza dei transistor M16 e M17 non deve trarre in inganno il lettore: il loro scopo é solamente quello
di fungere da diodo di protezione per il gate del transistor di input (M1) dell’asic. É noto che l’accumulo di
carica elettrostatica dall’esterno su tale nodo potrebbe facilmente portare, con un’alta tensione di Gate,
alla rottura dell’ossido del dispositivo.
2.2.1 – A0(s) e A0(0) : calcolo del guadagno ad anello aperto in frequenza e in continua
L’operazionale che costituisce il cuore del preamplificatore di carica é diviso in quattro stadi. Uno discreto
(stadio JFET a source comune) e tre integrati. Essendo tali stadi in cascata, il guadagno totale del dispositivo
26
si ottiene come prodotto dei guadagni dei singoli stadi. Per convenzione si intende A0(s) il guadagno di
andata, ossia il guadagno ad anello aperto, dell’amplificatore operazionale.
A01(0): guadagno in continua dello stadio a JFET
Figura 2.6 – Stadio di ingresso a JFET
La configurazione adottata per il primo stadio (discreto) é il common source. Volendo valutare il guadagno
di tensione tra l’ingresso e l’uscita gli elementi di interesse sono la transconduttanza del BF862 (gmJ), la
resistenza di drain (RD) e la resistenza di early del dispositivo (r0). Il risultato é il seguente:
A010  g mJ RD // r0 
2.1
Infatti il transistor puó essere considerato come un generatore di corrente comandato in tensione. Per
valutare il segnale di tensione in output bisogna moltiplicare la corrente generata dal dispositivo verso il
nodo di uscita per la resistenza equivalente dell’uscita stessa verso massa (vedi il modello a π in figura 2.7).
Figura 2.7 – Modello a π del transistore JFET in configurazione common source
27
Si riporta una tabella contenente i valori fisici dei dispositivi in esame:
Elemento
Valore
gmJ
34.4 mS
RD
1.2KΩ
r0
5KΩ
Rout1=(RD//r0)
970Ω
Si sottolinea che tali valori sono relativi ad una misurazione a temperatura ambiente. Nello specifico la
transconduttanza del JFET é stata ricavata a partire da alcune simulazioni, effettuate sempre a 300k.
Dal momento che, con l’abbassarsi delle temperature, la resistenza di Early del transistor tende ad
aumentare, si puó supporre che, a temperature criogeniche, r0 abbia un ruolo sempre meno influente nel
calcolo del parallelo Rout. In tali condizioni ambientali il JFET eroga correnti piú basse: si puó a buon ragione
supporre che anche il consumo energetico sia inferiore ai 15mW stimati a temperatura ambiente.
A02(0): guadagno in continua del secondo stadio (il primo all’interno dell’ASIC)
Figura 2.8 – Secondo stadio di guadagno: esso è posto all’ingresso dell’ASIC
28
Il secondo stadio di guadagno é costituito dal transistor M1 che inietta corrente su una resistenza di uscita
costituita dal parallelo di due resistenze. La prima é la r0 di M4, la seconda, Req, é costituita dalla resistenza
equivalente del cascode M2-M1 vista dal drain di M2.
Req  r02 1  g m 2 r01   r01 = 2.5MΩ
2.2
Dove gm2 é la transconduttanza di M2, r01 e r02 rispettivamente le resistenze di Early di M1 e M2.
Pertanto la resistenza di uscita di questo stadio vale:
Rout2  r04 // Req  855k
2.3
A02  g m1Rout2  6.5  103
2.4
Sapendo che gm1 = 7.6mS:
Ovviamente tale calcolo é stato effettuato nell’approssimazione che la resistenza vista verso il gate di M5 si
pressoché infinita.
A03(0): guadagno in continua del terzo stadio
Figura 2.9 – Terzo stadio di guadagno con rete di polarizzazione
Questo é uno stadio common source ad alto guadagno con compensazione alla Miller (la tipica
conformazione del secondo stadio dell’amplificatore operazionale convenzionale).
29
Il transistor M5 inietta corrente su una resistenza di uscita costituita dal parallelo delle resistenze di Early
r05 e r06, rispettivamente dei transistor M5 e M6. Essendo la transconduttanza gm5 = 5.6 mS, r05=8.6kΩ e
r06=45KΩ, il guadagno puó essere stimato essere:
A03  g m5 r05 // r06   g m5 Rout3  40.4
2.5
Anche in questo caso si trascura completamente la resistenza di ingresso dello stadio successivo.
A04(0): guadagno in continua dello stadio di uscita
Figura 2.10 – Stadio di uscita e rete di polarizzazione
Come é noto, lo stadio di uscita non ha funzione amplificante. La sua funzione é quella di fornire un segnale
robusto (con alta erogazione di potenza) ad alta dinamica. Essendo lui stesso un sistema retroazionato, il
suo guadagno viene calcolato a circuito chiuso, e, come si mostra nel capitolo successivo, é pari a:
A04  0.75
30
2.6
A0(0): guadagno in continua dell’operazionale
Il guadagno in continua ad anello aperto dell’intero operazionale si ottiene facendo il prodotto del
guadagno dei singoli stadi. Riepilogando quanto affermato nei paragrafi precedenti:
A0 0  A010A02 0A03 0A04 0  A04 0g mj g m1 g m5 Rout1 r04 // Req r05 // r06 
2.7
Tale espressione ci fornisce ovviamente un valore approssimato del guadagno ad anello aperto del
dispositivo: esso puó essere stimato attorno a A0(0) = 6.6 · 106 . Si presenta di seguito una tabella
contenente i principali dati utilizzati:
Grandezza
Valore
Grandezza
Valore
Grandezza
Valore
A04
0.75
r04
1.3MΩ
RD
1.2KΩ
gmJ
34.4mS
Req
2.5MΩ
Rout1
970Ω
gm1
7.6mS
Rout2
855KΩ
r06
45KΩ
gm5
5.6mS
r05
8.6KΩ
Rout3
7.2KΩ
La stima effettuata, sebbene fortemente approssimata, non si discosta molto dai risultati del simulatore:
dall’immagine seguente (figura 2.11) si evince che il valore teorico calcolato (6.6·106) é perfettamente
compatibile con quello ottenuto al calcolatore (A0(0) = 2.3·106).
Figura 2.11 – Diagramma del guadagno di andata in frequenza dell’operazionale
31
Si sottolinea che tale valore é riferito ad un segnale in tensione posto all’ingresso dell’operazionale e
valutato all’uscita del medesimo senza chiusura di retroazione.
Nel grafico é incluso anche il guadagno di anello G0(s), ossia il guadagno in tensione per un segnale
immesso tramite la rete di retroazione (ovviamente aperta) e valutato sempre all’uscita dell’operazionale
(schema di principio in figura 2.12).
Figura 2.12 – Modellizzazione circuitale per la misura del guadagno di anello
Tale valore nasce, oltre che da A0, dalla partizione delle impedenze che costituiscono la rete di feedback.
G0 0  A0
CF  CDET
CF
 CGS  CGD 1  g mJ Rout1 
2.8
Nella formula 2.8 é stata inclusa anche la capacitá del rivelatore oltre a quelle parassite tra i poli del
transistor JFET. Come si puó notare il polo dominante presenta la stessa frequenza in entrambe le curve:
ció é assolutamente normale, in quanto la seconda funzione di trasferimento é uguale alla prima
moltiplicata a sua volta per la risposta in frequenza della rete di retroazione.
Un alto guadagno a circuito aperto é importante per garantire la stabilitá del guadagno ad anello chiuso.
Dal momento che G0 si aggira attorno al valore di 5·103 nel range 1KHz – 10KHz (mantenendosi al di sopra
di 104 sotto al KHz) possiamo garantire una stabilitá del fattore di amplificazione closed-loop (GCL, o piú
semplicemente G) attorno allo 0.02%.
32
Per comprendere meglio il significato fisico del guadagno d’anello, si analizza la sua funzione di
trasferimento a partire dai poli e dagli zeri noti.
Gs  
~
Vout
~
 A( s) 
VT
1  s Z 1 1  s Z 2 
1  s P1 1  s P 2 
2.9
A(s) é ovviamente il guadagno del preamplificatore: per semplicitá si considera solamente la sua risposta a
frequenza zero (A0(0)) e il polo dominante, ossia quello del secondo stadio ASIC, determinato da M5, dalla
resistenza di carico vista sul nodo di guadagno e dalla capacitá di Miller CM. Poli e zeri a frequenze superiori
possono essere momentaneamente trascurati, dopo aver appurato che la frequenza del polo dominante é
sufficientemente bassa da garantire la stabilitá in tutte le condizioni di funzionamento.
In sintesi:
A0 ( s) 
A0 (0)
1  s PDOM 
2.10
I due zeri al numeratore nascono rispettivamente dalla coppia RF – CF (formula 2.11) e dallo zero dello
stadio di ingresso (2.12).
 Z 1  RF CF
2.11
CGD
g mF
2.12
Z2  
Quest’ultimo zero viene generato dall’esistenza di un percorso diretto del segnale tra ingresso e uscita dello
stadio a scource comune fornito dalla capacitá parassita CGD. Un’ulteriore caratteristica di tale zero é quella
di essere posto nella parte destra del piano complesso (fenomeno tipico degli stadi compensati alla Miller).
Analizziamo ora in dettaglio i due poli.
Il primo é dettato dal taglio in frequenza provocato dal primo stadio. Come si puó notare la capacitá
parassita CGD viene amplificata per un fattore pari al guadagno in tensione dello stadio a JFET (effetto
Miller).
 P1  RF CGD 1  K   CDET  CGS  CF 
 P2 
RK CGD CDET  CGS  CF 
CGD 1  K   CDET  CGS  CF
33
2.13
2.14
Alla definizione del secondo polo concorrono le medesime capacitá ma non piú RF, bensí la resistenza vista
dal drain del BF862.
Per maggiore chiarezza si ribadiscono le definizioni dei simboli adottati. CDET é la capacitá parassita dovuta
alla giunzione in inversa del rivelatore. RF e CF sono rispettivamente la resistenza e il condensatore che
costituiscono la retroazione dell’amplificatore operazionale. Sono state indicate le capacitá parassite
interne al transistor JFET con le iniziali dei terminali a cui fanno riferimento (CGS = capacitá parassita tra
Gate e Source, CGD = capacitá tra Gate e Drain). La resistenza che in precedenza era stata definita Rout1 ora si
identifica con RK. K é il fattore di guadagno dello stadio.
Si inserisce quindi la figura 2.13: essa riporta una simulazione effettuata con una CF di 1pF (diversamente
dai 0.17 pF reali). Le due curve riportate presentano il guadagno d’anello (G(s)) e il guadagno
dell’operazionale non retroazionato. La scelta di CF ha esclusivamente lo scopo di mostrare al meglio le
caratteristiche della funzione di trasferimento: il grafico ha quindi solamente valore dimostrativo.
Figura 2.13 – Diagramma di bode delle grandezze A0 e G0 valutate con CF = 1pF
In questa configurazione la banda passante é molto elevata: questo comporterebbe delle instabilitá, in caso
di applicazione pratica.
Come dimostrato dai calcoli esposti in precedenza, τp1 e τz1 sono i principali responsabili del
comportamento a basse frequenze.
Per quanto riguarda τp2 esso si trova a frequenza piú alta rispetto a quella in cui il sistema raggiunge il
guadagno unitario (pertanto non compromette la stabilitá). Al contrario τz2 non é visibile in quanto
34
mascherato da un polo della funzione di trasferimento dell’operazionale. Per dare un’idea al lettore delle
dimensioni dei componenti in questione (compresi quelli parassiti) viene fornita una tabella riassuntiva.
Grandezza
RF
RD
CF
CDET
CGS
CGD
gmJ
K
Valore
1GΩ
1.2KΩ
1pF
15pF
7.0pF
6.2pF
34.4mS
1.69
Evidentemente la differenza di guadagno tra la regione a bassa frequenza e quella appena superiore a τz1
dovrebbe essere la minore possibile: la caduta del fattore di amplificazione riduce la stabilitá del guadagno
dell’intero sistema. Può essere dimostrato che la caduta del guadagno d’anello è legata alla tensione VGD
che cade tra gate e drain nel JFET. La stessa tensione VGD è anche responsabile dell’effetto Miller che si ha
sulla capacità CGD, ovvero CGD è aumentata di un fattore moltiplicativo (1 + K).
La funzione di guadagno ad anello aperto A0(s) della formula 2.9 puó essere scritta in termini semplici
facendo uso dell’approssimazione a polo dominante.
Il polo dominante è determinato, come già accennato, dalla costante τpDOM = RL∙CL, dove la resistenza di
carico RL è quella vista sul nodo di guadagno e CL la capacità totale verso massa vista sullo stesso nodo. La
funzione di trasferimento ad anello aperto, in trasformata di Laplace, è data dalla 2.15.
Vout s 
~
A0 s  
Vin s 
~

g m RL
1  sRL C L
2.15
Nella 2.15 la tensione Vout(s) è quella in uscita dall’amplificatore, mentre Vin(s) è quella presa sul gate del
JFET. É possibile ipotizzare di tagliare l’anello sul nodo di uscita e iniettare un segnale di prova.
Il circuito idealizzato per fare questa operazione è mostrato nella figura 2.14, in cui la capacità in ingresso
rappresenta la somma di tutte le capacità. Lo stadio di ingresso del preamplificatore è inglobato
nell’operazionale della figura che comprende anche l’ASIC.
Figura 2.14 – Circuito ideale per il calcolo del guadagno d’anello.
35
Il guadagno d’anello è calcolabile tramite la (2.8): come giá spiegato in precedenza, esso è dato dal
guadagno d’andata open loop moltiplicato per il partitore tra le impedenze della rete di feedback e quella
di ingresso.
Gs  
CF
C
C
gmR L
As   F As   F
CD  CF
CTOT
C TOT 1  sR L C L
2.16
Nella precedente CD è la somma di tutte le capacità presenti sul nodo in ingresso, mentre CTOT = CD + CF; gm è
la transconduttanza del JFET. Il guadagno reale Gr di un amplificatore reazionato è legato al guadagno
ideale ad anello chiuso dalla relazione:
Gr 
1
1 
1 

H  G L 
2.17
Dove GL è il guadagno d’anello, e 1/H il guadagno ideale ad anello chiuso. È evidente che, poiché Gr sia il più
prossimo possibile a 1/H, il fattore 1/GL debba essere minimizzato: pertanto il guadagno d’anello GL deve
essere massimizzato. La (2.16) dimostra che, una volta fissati i valori delle capacità in gioco, il valore di G
dipende unicamente da RL. Quest’ultima deve pertanto assumere il valore più alto possibile. Per questo
motivo è stato scelto uno stadio di ingresso a JFET in configurazione common source, seguito dagli stadi di
gain dell’amplificatore integrato; ció garantisce un guadagno ad anello aperto elevato, il che consente
un’alta GLOOP. Nella tabella seguente si presenta una serie di valori numerici utili, alcuni dei quali giá esposti
in precedenza. I valori riportati sono stati valutati con la capacità di feedback CF = 0.17pF, ovvero tramite la
curva della figura 2.11: tale é infatti il valore della capacità adeguato per l’utilizzo del preamplificatore. Tutti
i parametri dinamici riportati sono stati ricavati tramite simulazioni circuitali.
I valori riportati A0 e G0 della tabella sono bene in accordo con quelli delle formule (2.7) e (2.8); il valore
calcolato è: A0 = 6.6∙106 e G0 = 4.7∙103; il rapporto tra le due grandezze è sufficientemente piccolo: G0 / A0 =
1.34∙10-3.
In conclusione la scelta effettuata di porre uno stadio a source comune (JFET) seguito da uno stadio
cascode (ingresso preamplificatore) consente un elevato guadagno ad anello aperto che permette,
conseguentemente, di mantenere elevato anche il guadagno d’anello.
Vengono di seguito elencate alcune caratteristiche salienti del preamplificatore.

Guadagno ad anello aperto a bassa frequenza (A0)
2.3 ∙ 106

Guadagno d’anello a bassa frequenza (G0)
5 ∙ 103
36

Prodotto guadagno – banda (GBWP)
185 MHz

Capacità equivalente del rivelatore (CD)
15 pF

Capacità di feedback (CF)
0.17 pF

Resistenza di feedback (RF)
1 GΩ

Banda passante
41.1 MHz

Transconduttanza JFET (gmJFET)
34.4mS

Resistenza di Drain sul JFET (RD)
1.2KΩ

Capacità di compensazione alla Miller (CC)
0.3pF

Capacità gate – source JFET (CGS)
6.2pF

Capacità gate – drain JFET (CGD)
7.0pF
2.2.2 – Guadagno del preamplificatore (configurazione closed loop) e valutazione della banda passante
La figura 2.11 riporta indicata la frequenza in cui il guadagno d’anello diviene unitario. Tale valore viene
anche definito come banda passante del circuito integrato. Infatti adottando l’approssimazione di polo
dominante, il valore in questione (41.1MHz) rappresenta il prodotto guadagno banda di un amplificatore
retroazionato. Per utilizzare una notazione comune indichiamo con G il guadagno di andata del dispositivo
(invertente) e H il guadagno di retroazione. In definiva il guadagno dell’intero dispositivo retroazionato é:
GAIN 
G
1

1  GH H
2.18
Dove ovviamente GH é il guadagno di anello: in caso di G molto grande vale l’approssimazione precedente.
Come segnale in ingresso si considera la tensione VIN sulla capacità di test Ctest; il preamplificatore è visto
come un amplificatore operazionale in configurazione invertente, retroazionato tramite la sola capacità CF
(trascurando RF). Il guadagno ideale di tensione ad anello chiuso, pertanto, risulta:
C
1
  test
H
CF
2.19
Tramite la relazione fondamentale della teoria della reazione è possibile ricavare il guadagno ad anello
aperto G:
G  GH 
C
C
g mJ RL
1
 test A( s)  test
H CTOT
CTOT 1  sRLCL
37
2.20
Nella 2.20 con CTOT si intende la somma di tutte le capacità al nodo di ingresso, come introdotto nel
paragrafo precedente, mentre RL e CL, anch’esse definite nella precedente sezione, sono la resistenza e la
capacità di carico viste sul nodo di guadagno; la transconduttanza gmJ è quella del JFET in ingresso. Nella
figura 2.15 è mostrata la situazione: ad anello aperto il guadagno in continua G0 è pari a gmRLCtest / CTOT,
mentre la banda passante è fp = 1 / (2πRLCL). Il prodotto guadagno banda GBWP (Gain BandWidth Product)
è allora quello riportato nella (2.19).
GBWP  G0  f P 
g mJ Ctest
2 CTOT CL
2.21
La frequenza fH del polo del guadagno reale ad anello chiuso (figura 2.15), che rappresenta la banda
passante del preamplificatore, si ottiene tramite il rapporto di GBWP e il modulo del guadagno ideale ad
anello chiuso, come mostrato nell’espressione (2.20).
Figura 2. 15 - Guadagno ad anello aperto e ad anello chiuso: conservazione di GBWP.
fH 
g mJ CF
GBWP

1H
2 CLCTOT
2.22
Il valore del guadagno ideale ad anello chiuso |1/H| è rappresentato dal rapporto tra l’impedenza di
feedback e quella in ingresso (Ctest), allora il suo valore numerico è |1/H| = Ctest / CF = 5.88. Tramite la (2.20)
è immediato calcolare la banda passante ad anello chiuso dell’amplificatore: fH = 31.5MHz; in realtà, come
mostrato nella figura 2.10, la banda passante è di 41.1MHz. Il guadagno ad anello chiuso rappresenta la
funzione di trasferimento del circuito e può essere considerata come VOUT(s) / VIN(s) oppure come VOUT(s) /
IIN(s); uno schema concettuale é fornito in figura 2.16.
38
Figura 2. 16 - Circuito equivalente per calcolare la funzione di trasferimento ad anello chiuso.
(A) L'ingresso è in tensione, mentre in (B) è in corrente.
Considerando il solo generatore di tensione in ingresso VIN, caso (A) della figura 2.16: la funzione di
trasferimento del circuito è:
TV S  
VOUT ( s)
s
 Ctest RF
VIN ( s)
1  sRF CF
2.23
Essa presenta uno zero nell’origine e un polo alla frequenza f = 1 / 2πRFCF = 940 Hz.
Facendo, ora, riferimento al caso (B) della figura 2.16 si trova la funzione di trasferimento della rete
considerando l’ingresso in corrente; essa è indicata dalla formula 2.24.
TI S  
VOUT ( s)
RF

I IN ( s)
1  sRF CF
2.24
Ancora il polo è alla frequenza f = 940Hz. Nei grafici della figura 2.17 si mostrano le due funzioni di
trasferimento ad anello chiuso. Il secondo polo delle curve è quello introdotto dalla non idealità
dell’amplificatore e rappresenta la banda passante del preamplificatore (41.1MHz).
Facendo riferimento al primo grafico della figura 2.17 si vede la presenza dello zero nell’origine, annullato
dal polo dovuto alla costante di tempo τ = RFCF, come indicato nella (2.23); il secondo polo è quello dovuto
alla banda passante del preamplificatore. Il valore della zona senza pendenza è circa 6, che rappresenta il
valore del guadagno ad anello chiuso Ctest / CF.
Nel secondo grafico della figura 2.17 il valore a bassa frequenza è quello della resistenza di feedback, il
primo polo è dato dalla stessa τ = RFCF del caso in tensione, e, ancora, il secondo polo è rappresentato dalla
banda passante del preamplificatore.
39
Figura 2.17 - Guadagno ad anello chiuso nel caso di ingresso in tensione in alto e nel caso di ingresso in
corrente in basso.
2.3 - Valutazione delle principali sorgenti di rumore riferite all’ingresso
Il rumore elettronico di un preamplificatore di carica può essere rappresentato da due generatori: uno di
tensione serie e uno di corrente parallelo, posti al nodo d’ingresso del circuito, cioè al gate del transistor
JFET, come mostrato in figura 2.18.
Figura 2. 18 - Generatori di rumore serie e parallelo riferiti all’ingresso.
40
Le densità spettrali di potenza di rumore di tensione SV e di corrente SI sono entrambe date, in prima
approssimazione, da un contributo bianco e da uno dipendente dalla frequenza, secondo le espressioni:
af
d eS2
SV 
a
df
f
2.25
d iP2
 b  bf f
df
2.26
SI 
Il contributo bianco di tensione (rumore serie) è dovuto al rumore termico di canale del JFET; il contributo
bianco di corrente (rumore parallelo) è causato invece dal rumore granulare della corrente di gate del JFET,
dalla corrente di perdita del rivelatore e dal rumore termico della resistenza di feedback RF. Esprimendo gli
spettri di potenza di rumore in termini di spettri matematici bilateri (riferiti cioé anche a frequenze
negative) si ottengono per i coefficienti a e b delle relazioni (2.25) e (2.26) le seguenti espressioni:
a 
2 KT
gm
b  q I G  I L  
2.27
2 KT
RF
2.28
dove gm è la transconduttanza del JFET, α è un coefficiente variabile tra 0.5 e 0.7 in dipendenza dal punto di
lavoro del transistor stesso, K è la costante di Boltzmann, T è la temperatura assoluta, IG e IL sono le correnti
di leakage del gate del JFET e del rivelatore. Il contributo di tensione di rumore serie proporzionale a 1 f ,
espresso dal coefficiente af, è causato essenzialmente dalle fluttuazioni nella densità di portatori di carica
nel canale del JFET, dovute a fenomeni d’intrappolamento e di ricombinazione nelle zone di carica spaziale
e, a basse temperature, a incompleta ionizzazione dei donatori e degli accettori. Il contributo di corrente di
rumore parallelo proporzionale a f , espresso dal coefficiente bf, è invece dovuto alle non idealità dei
dielettrici utilizzati.
Dei quattro contributi analizzati, quello più importante è il contributo bianco di tensione serie. Per questo
motivo l’elemento più critico nella minimizzazione del rumore di un preamplificatore è la scelta del JFET
d’ingresso.
41
2.3.1 - ENC: equivalent noise charge
Per consentire la miglior risoluzione possibile delle energie degli eventi che si verificano nel rivelatore, il
preamplificatore di carica deve essere seguito da un sistema di formatura del segnale e di ottimizzazione
del rapporto segnale-rumore. Collegando l’uscita di questo sistema di amplificazione e filtraggio ad un
analizzatore di ampiezze multicanale, è possibile ricostruire la conformazione spettrale di emissione della
sorgente radioattiva che ha generato i raggi γ. Il parametro che caratterizza l’errore commesso nella misura
della carica rilasciata dal rivelatore colpito da un raggio γ è la cosiddetta carica equivalente di rumore (ENC).
Essa è in relazione alla larghezza a metà altezza (fwhm) di una determinata riga spettrale, secondo la
formula 2.29:
fwhm (eV ) 
ENC (C )
  2.355
q
2.29
Nella formula precedente q è la carica elementare, ψ = 2.92eV/coppia è l’energia media necessaria per la
formazione di una coppia elettrone-lacuna nel germanio e il fattore 2.355 è il noto fattore di conversione
tra la deviazione standard di una distribuzione gaussiana e la sua ampiezza a metà altezza.
La carica equivalente di rumore ENC è legata ai parametri elettrici del sistema rivelatore-preamplificatore,
al rumore elettronico riferito all’ingresso del preamplificatore e al tipo di sistema di filtraggio utilizzato:
ENC 2 
bf 

2
2
CTOT
A1  2 a f CTOT

A2  b A3

2 

a
2.30
I parametri a, b, af e bf corrispondono ai coefficienti che caratterizzano le densità spettrali di potenza dei
generatori di rumore riferiti all’ingresso del preamplificatore, riportate nelle relazioni (2.25) e (2.26). La
capacità CTOT è la somma di tutte le capacità (già introdotta nei precedenti paragrafi) che si collegano al
nodo d’ingresso del preamplificatore: la capacità del rivelatore Cdet, quelle d’ingresso del JFET, quella
d’integrazione CF e quella di test Ctest. I fattori A1, A2 ed A3 dipendono invece dalla forma della funzione di
risposta del sistema complessivo dato dal preamplificatore e dal filtro formatore e, quindi, per un dato tipo
di preamplificatore, dipendono soltanto dalla scelta del filtro formatore. Il parametro τ, infine, è legato
all’estensione temporale della funzione di risposta incluso il filtro formatore. Il quadrato della carica
equivalente di rumore risulta quindi dato da tre contributi principali: uno dovuto al rumore bianco serie,
legato al coefficiente A1 e inversamente proporzionale a τ, uno dovuto al rumore bianco parallelo, legato al
coefficiente A3 e direttamente proporzionale a τ e uno dovuto ai rumori serie e parallelo dipendenti dalla
frequenza, legato al coefficiente A2 e indipendente da τ. Dalla (2.30) appare evidente che, una volta fissato
il tipo di filtro e quindi i fattori A1, A2 e A3, ENC2 può essere considerata funzione del valore scelto per il
parametro τ di tempo che caratterizza la funzione di risposta del filtro stesso. In particolar modo, è chiaro
42
che questa funzione ha un minimo in corrispondenza di un particolare valore di τ, che risulta perciò quello
ottimale per il tipo di filtro scelto. Nella figura 2.19 vengono mostrate le densità spettrali di rumore
equivalenti del circuito riferite al suo ingresso in corrente, secondo le espressioni (2.25) e (2.26). Nel grafico
in alto è considerato solo il circuito del preamplificatore, mentre nel grafico in basso il rumore considerato
è quello generato da tutto il circuito integrato, compreso anche il dispositivo di fast reset. Il valore
b ph
rappresenta il parametro fisico di rumore ed è uguale a:
b ph  2bbilatero 
4 KT
RF
2.31
Nella (2.31) si suppongono nulli i contributi delle correnti di leakage del JFET e del rivelatore. La frequenza fc
di corner del rumore, visibile in figura 2.19, è pari a 38kHz. La minima carica equivalente di rumore, che
caratterizza il circuito, ottenibile con il filtro che massimizza il rapporto segnale rumore, è indicata nella
(2.32).
ENC 
b ph c
q

b ph
q
1
 48.5 elettroni r.m.s.
2f c
2.32
Come è evidente dalla figura 2.19 il rumore introdotto dal dispositivo di reset è limitato, infatti il valore di
ENC indicato nella (2.32) ottenuto con un filtro formatore ottimo assoluto è di 48 elettroni r.m.s.
43
Figura 2.19 - Densità spettrale di rumore equivalente del circuito riferita all’ingresso in corrente. Il grafico
sopra rappresenta il solo preamplificatore, mentre il grafico sotto rappresenta il circuito nella sua
completezza, compreso il dispositivo di reset.
2.3.2 – Misura in laboratorio della ENC
Presentiamo di seguito una tabella che elenca le prestazioni di rumore effettive del circuito testato in
laboratorio. Per tali misure si é fatto uso di uno shaper ORTEC 572. Con un generatore di segnali sono stati
simulati eventi da 1 MeV di energia. Al fine di valutare la variazione di prestazioni al variare di CF, sono stati
raccolti due set di dati: il primo di questi con CF = 1.25p (nominale 1pF), il secondo con CF = 0.4pF.
La capacitá simulata del detector é pari a 15 pF, la CTEST (precedentemente definita anche CIN) é presa del
valore di 1pF.
τ [μs]
VMAX [Volt]
σRMS [mV]
ENC [elettroni rms]
0.5
5.69
3.15
189.6
1
6.09
2.90
163.1
2
6.27
2.62
143.1
3
6.13
2.47
138.0
6
6.01
2.37
133.1
10
6.05
2.40
135.9
44
Sono stati riportati anche i tempi di formatura perché, come é noto, tale valore influenza le prestazioni di
rumore. Per maggiore chiarezza di seguito si presenta la formula per il calcolo della ENC:
ENC
 RMS  1000 1
VMAX
2.92
e RMS 

2.33
I dati rilevati applicando una CF di 0.4pF sono i seguenti:
τ [μs]
VMAX [Volt]
σRMS [mV]
ENC [elettroni rms]
0.5
7.40
3.96
181.3
1
7.86
3.58
155.9
2
7.97
3.24
139.2
3
7.79
3.08
135.4
6
7.58
2.99
135.1
10
7.44
3.04
140.5
Si apprende dai dati sopra riportati che le prestazioni non cambiano significativamente al variare di CF.
Si sottolinea che tali valori sono stati registrati con il circuito in condizione “full-serivce”, ossia non sono
stati scollegati i blocchi di sense e di fast reset. Tali prestazioni di rumore sono quindi influenzate anche
dalla presenza di transistor esterni al semplice preamplificatore. Nonostante questo le prestazioni sono
ottime e giustificano pienamente la direzione progettuale seguita.
45
Capitolo 3
Stadio di uscita del preamplificatore di carica: buffer a bassa
impedenza
Lo stadio di uscita progettato per questo ASIC costituisce un’ottima soluzione ad alcune problematiche
tipiche. Soluzioni comuni adottate per un buffer di output prevedono una bassa impedenza di uscita. Tali
soluzioni, peró, se applicate alla progettazione CMOS integrata, forniscono pessime prestazioni in termini di
dinamica. Al contrario, volendo raggiungere un Voltage swing elevato, solitamente si ricorre a soluzioni ad
alta impedenza di uscita (la cui applicazione in questo caso renderebbe instabile il guadagno del
preamplificatore al variare del carico applicato). La soluzione adottata é estremamente funzionale in
quanto riesce a garantire, per mezzo di un’architettura innovativa, tanto una bassa impedenza di uscita,
quanto un elevatissimo swing in tensione. Si raggiungono infatti livelli di tenisone in uscita prossimi al rail di
alimentazione negativo su carichi da 100Ω o superiori. Di seguito si presentano in dettaglio i difetti legati
alle soluzioni tipiche della letteratura e si espongono i pregi del dispositivo analizzato.
3.1 – Stadio di uscita: descrizione e confronti con altre soluzioni
La soluzione tipica di un amplificatore nella tecnologia CMOS per lo stadio d’uscita è ad alta impedenza,
come mostrato nella figura 3.1. Come è possibile notare, il guadagno per il piccolo segnale è fortemente
legato al carico posto in uscita. Il tipico stadio è formato da un invertitore con due transistor di cui uno a
canale n e uno p; una struttura di questo tipo è in grado di sostenere una escursione rail-to-rail della
tensione tra i valori delle alimentazioni, ed è in grado di fornire la potenza necessaria a pilotare un cavo
coassiale terminato anche lungo.
46
Figura 3.1 - Tipico stadio d’uscita ad alta impedenza. Il guadagno per piccolo segnale è fortemente
dipendente dal carico in uscita.
Il problema sorge quando si considera il guadagno in tensione di questo tipo di stadio; esso è dato dal
prodotto della transconduttanza dei transistor gm e l’impedenza Z del carico collegato.
Quando lo stadio d’uscita viene inserito nel preamplificatore di carica, il guadagno complessivo del
dispositivo diventa dipendente dal valore di impedenza del carico posto in uscita. Dal momento che si
desidera un guadagno particolarmente stabile in tutte le condizioni di lavoro, la soluzione ad alta
impedenza in uscita deve essere assolutamente scartata. Si sceglie pertanto una soluzione a bassa
impedenza.
La più semplice struttura a bassa impedenza è quella di un source follower a singolo transistor come quella
mostrata nella figura 3.2.
Figura 3. 2 - Lo stadio d’uscita standard a bassa impedenza è formato da un transistor CMOS in
configurazione source follower.
47
Il source follower per avere uno swing negativo dell’uscita deve essere costituito da un transistor di tipo p:
in questo caso sorge un problema legato alla tensione di innesco dello stesso dispositivo. Se consideriamo
un’impedenza in uscita Z = 100Ω (cavo coassiale terminato), il generatore di polarizzazione indicato nella
figura 3.2 deve essere in grado di fornire sia la corrente del follower che quella del carico; questo fatto è
possibile per un follower di tipo p solo con una tensione negativa in uscita. Lo swing di tensione ottenibile
con un semplice follower non può essere certamente rail-to-rail sulle alimentazioni; infatti per avere in
uscita una tensione di 0V, la sua tensione di gate dovrebbe essere inferiore di un valore pari alla tenisone di
soglia; allo stesso modo la tensione al gate di controllo non sará mai sufficientemente negativa per fornire
in uscita un segnale a contatto col rail inferiore. La tensione di soglia del resto viene influenzata dall’effetto
body del transistor; la tensione di soglia VT del transistor dipende infatti dalla caduta di tensione presente
tra il terminale di source e il substrato.
VT  VT 0  

2 f  VSB  2 f

3.1
Nella (3.1) VT0 è la tensione di soglia in mancanza di effetto body, ovvero quando VBS = 0V; γ è un parametro
che dipende dal processo di fabbricazione e tipicamente è γ = 0.5 V1/2;  f è un parametro fisico,
tipicamente 2 f = 0.6V, che dipende dalla concentrazione di drogaggio e dalla concentrazione intrinseca
dei portatori di carica. In generale il substrato viene polarizzato alla tensione più alta disponibile per
transistor di tipo p, e alla tensione più bassa per i transistor n, per mantenere la giunzione p-n tra source e
substrato polarizzata inversamente, limitando correnti di leakage. Tornando a considerare il follower della
figura 3.2, una tensione negativa all’uscita produce uno spostamento negativo della tensione di source che
provoca un incremento della tensione VBS; la conseguenza è quella di un innalzamento della tensione di
innesco VT. Tutto questo mostra che lo swing di tensione dell’uscita (source del follower) è ridotto rispetto
all’escursione della tensione di gate. In conclusione i tipici stadi d’uscita, sia ad alta che a bassa impedenza,
non soddisfano contemporaneamente tutte le richieste, perciò il progetto deve cadere sulla struttura
circuitale più complessa di un source follower con corrente costante autoregolata.
La nuova soluzione coniuga l’escursione rail-to-rail dell’uscita (da 0V a –3V) e bassa impedenza in uscita; la
struttura circuitale dello stadio d’uscita è, allora, mostrata nella figura 3.3.
48
Figura 3. 3 - Schema di principio dello stadio d’uscita, formato da un source follower con corrente costante
autoregolata.
La struttura principale dello stadio d’uscita è formata dai transistor M1 e M2, che fungono da follower e da
driver; il driver M1 è di tipo n-MOS e agisce come generatore di corrente controllato e stabilisce un
collegamento diretto tra il carico e l’alimentazione negativa. La corrente fornita dal driver è controllata
tramite una rete di feedback formata dagli specchi di corrente, indicati nella figura 3.3 con n-MIRROR e pMIRROR. La corrente I2 che scorre attraverso il follower M2 è portata sul gate del driver attraverso gli
specchi di corrente il cui fattore di guadagno è k1·k2. La corrente convogliata I2 è confrontata con quella di
riferimento IB al nodo N e la differenza tra queste due correnti produce la carica della capacità di gate di M1,
producendo, conseguentemente una variazione della tensione allo stesso gate del driver. Questa stessa
tensione al gate di M1 controlla la corrente di drain del driver che, nel caso, raggiunge il follower M2
chiudendo la retroazione dello stadio d’uscita. L’equilibrio viene raggiunto quando la differenza tra la
corrente I2 e IB si annulla e, allora, la corrente di drain del follower M2 viene mantenuta al valore costante
indicato dalla (3.2).
IM 2 
IB
k1  k2
3.2
I valori numerici delle correnti, forniti dal simulatore, sono IB = 80μA e IM2 = 340μA; esse sono state scelte il
più piccolo possibile per dissipare la minor potenza possibile. Il rapporto di specchiamento k1·k2 ha un
valore di 0.2 teorico, mentre quello effettivo è 0.24 e la discrepanza è dovuta alle effettive dimensioni dei
canali dei transistor in gioco, che sono stati scelti piuttosto piccoli per avere una risposta veloce alle
variazioni della tensione sul gate del driver. La conseguenza di avere questo tipo di retroazione nello stadio
d’uscita è quello di mantenere costante la corrente IM2 per qualsiasi valore della tensione in ingresso (gate
del follower M2), mentre quando un segnale di tensione a gradino negativo entra nel circuito accade uno
sbilanciamento tra le correnti IM2 e IB come descritto prima. Il transistor driver M1 reagisce a questo
49
sbilanciamento del nodo N pompando corrente per ristabilire l’equilibrio; nell’istante in cui l’equilibrio
viene raggiunto, il driver sta erogando la corrente indicata nella (3.3)
IM1  IM 2  I L 
V
IB
 OUT
k1  k2
RL
3.3
Dove IM1 è la corrente di drain del driver, IM2 quella di drain del follower, mentre IL è la corrente assorbita
dal carico in uscita. Il driver è, allora, in grado di fornire sia la corrente che scorre sul carico sia quella
necessaria a mantenere costante la corrente che fluisce sul follower. La potenza necessaria a pilotare il
carico, come ad esempio un cavo coassiale terminato, viene quindi fornita solo quando è necessario,
permettendo di evitare un’inutile dissipazione di potenza. Il secondo requisito che è soddisfatto da questa
soluzione dello stadio d’uscita è quello di consentire un’escursione rail-to-rail della tensione. La più elevata
tensione negativa in uscita è ottenuta nel momento in cui la tensione di gate del driver M 1 raggiunge il suo
picco più elevato, idealmente VCC; in questo caso il valore della tensione VOUT è definita dal partitore
resistivo formato dalle resistenze di carico RL e dalla resistenza di canale del driver RCH.
Le dimensioni del canale di M1 sono state appositamente scelte per ottenere che RCH << RL; la dimensione
W del canale deve anche tenere in conto dell’area di occupazione nel processo di fabbricazione e della
larghezza di banda. Per queste ragioni il canale del driver ha larghezza W = 500μm, che non impone
limitazioni dovute ad effetti capacitivi parassiti della banda passante, che, in questa tecnologia CMOS è
intrinsecamente elevata. La relazione (3.4) consente di valutare la massima ampiezza raggiungibile
dall’uscita.
VOUT  VCC
max
RL
RCH  RL
3.4
Quando la tensione VOUT raggiunge la massima escursione, essa forza la tensione di drain del driver
all’alimentazione negativa –VEE, mentre la tensione al gate è chiamata verso VCC. Questo determina il
funzionamento del driver in zona di triodo, ovvero in una regione molto vicino all’origine della caratteristica
ID - VGS; il transistor agisce proprio come una resistenza, quella indicata come RCH nella (3.4). Il valore
numerico della resistenza di canale è di circa 4Ω, perciò anche con un carico di soli 100Ω il picco della
tensione in uscita è molto vicino alla tensione di –3V: il valore indicato dalla (3.4) e verificato in simulazione
è di 2.88V.
50
3.2 – Stadio di uscita e source follower a confronto
Il semplice source follower introdotto nel capitolo precedente e usato nelle simulazioni è mostrato nella
figura 3.4.
Figura 3. 4 - Source follower utilizzato nelle simulazioni.
Figura 3. 5 - Schema del source follower a corrente costante auto regolato.
51
Nella figura 3.4 il transistor M3 rappresenta il source follower, mentre lo specchio M1-M2 fornisce la
polarizzazione; nella figura 3.5 è, invece mostrato lo schema circuitale completo del nuovo stadio di uscita. I
transistor M7-M11 formano lo specchio di corrente indicato con n-Mirror nella figura 3.3, mentre i transistor
M8-M9 formano lo specchio p-Mirror. M12 è il follower, M13 è il driver, mentre la struttura di specchi
composta da M3, M46, M47 e M10 fornisce la corrente di polarizzazione IB introdotta nel paragrafo 3.2 e
gestiscono la tensione da fornire al condensatore di bootstrap, fatto che verrà approfondito nel seguito.
M15 è un transistor in configurazione diodo di protezione che non permette al gate del driver di subire
fenomeni di latch-up quando esso tende a VCC, ovvero non permette il formarsi di cammini parassiti a bassa
impedenza tra l’alimentazione e la massa. Al fine di illustrare le problematiche esposte nel paragrafo 3.2 è
stata fatta una simulazione della dinamica dell’uscita in funzione di una tensione continua in ingresso; è
stato mostrato anche il guadagno di piccolo segnale (dVOUT / dVIN) su un carico di 100Ω che rappresenta
l’impedenza del cavo coassiale terminato.
Figura 3. 6 - Dinamica della tensione in uscita VOUT e del guadagno di picco segnale in funzione della
tensione continua in ingresso VIN su un carico di 100Ω.
Come mostra la figura 3.6, entrambe le configurazioni hanno una dinamica positiva molto limitata: nel caso
dello stadio d’uscita in esame è pari a 210mV (contro i soli 60mV del source follower, in cui lo specchio di
corrente che lo alimenta non è in grado di fornire la corrente). Nello stadio d’uscita con corrente costante
52
autoregolata la dinamica positiva è limitata perché il driver non è in grado di fornire corrente al carico se
l’uscita è positiva e il follower non può affatto fornirla in quanto l’anello di reazione la mantiene costante. Il
semplice follower ha un’escursione negativa che raggiunge solo i –450mV imposti dalla caduta di tensione
dovuta al suo innesco legato all’effetto body; lo stadio d’uscita progettato consente il raggiungimento,
invece, della tensione di –2.88V, molto vicina alla tensione di alimentazione (-3V). L’effetto body è
responsabile dell’andamento delle curve del guadagno per un piccolo segnale, in quanto, quando i
terminali di body e di source non possono essere cortocircuitati, la tensione VBS non è nulla e dal punto di
vista del piccolo segnale si ha una tensione vbs. In questo modo il body si comporta come se fosse anch’esso
un terminale di gate: il segnale vbs modula la corrente di drain di una quantitá data dal prodotto tra vbs e la
transconduttanza gmb di body. Le formule (3.5) e (3.6) ci ricordano che:
g mb  g m

3.5
VT


VSB 2 2 f  VSB
3.6
Il valore di χ è compreso tra 0.1 e 0.3, quindi l’effetto body produce, per il source follower, un decremento
del guadagno di piccolo segnale dato dalla formula (3.7).
vout
gm

vin
g m 1     1
R r 
L
3.7
o
Dove ro è la resistenza vista sul drain del follower e RL è il carico. Quello che accade è che se RL è piccola è
dominante nel parallelo con ro e non può essere trascurata con la resistenza d’uscita 1/gm del follower;
pertanto la (3.7) può essere scritta come:
vout
gm

vin g m 1     1
3.8
RL
È evidente che il guadagno non può che essere inferiore all’unità, come è mostrato nella curva della figura
3.6. Il source follower sviluppato nello stadio d’uscita, in questi termini, può essere equiparato ad un source
follower semplice ma con una resistenza di carico infinita (essendo la sua corrente mantenuta costante); il
guadagno di piccolo segnale è ancora dato dalla relazione (3.7), ma, adesso, la ro è dominante nel parallelo
con RL, vista infinita. La (3.9) esprime il guadagno in questo caso:
53
Vout
gm

Vin
g m 1     1

ro
gm
g m 1   
3.9
Ora, nella (3.9) è possibile trascurare 1/ro in confronto con gm ed è evidente che il guadagno è ancora
inferiore all’unità: 1/(1 + χ). Esso è comunque superiore a quello ottenibile con un semplice source follower,
in quanto raggiunge il valore di 0.8.
Anche in questo caso è evidente l’azione dell’effetto body, in particolare perché il follower M 12 non ha il
body cortocircuitato al suo source. Nel caso di una resistenza di carico elevata, diciamo 1MΩ, il guadagno di
piccolo segnale si attesta attorno al valore di 0.8 per entrambe le configurazioni; nella figura 3.7 è mostrata
la situazione analoga a quella della figura 3.6, ma con un carico di, appunto 1MΩ.
Figura 3. 7 - Dinamica della tensione in uscita VOUT e del guadagno di picco segnale in funzione della
tensione continua in ingresso VIN su un carico di 1MΩ.
Nel caso di un carico elevato, è dimostrato che l’espressione (3.9) è valida e, quindi, il guadagno risulta
uguale in entrambe le configurazioni. In accordo con la (3.4) lo swing di questo nuovo stadio d’uscita può
raggiungere la tensione di –3V.
54
3.3 – Analisi time-domain dello stadio di uscita e del suo anello di retroazione
Concetto fondamentale dietro la progettazione dello stadio di uscita é la presenza di una rete di feedback
che mantiene costante la corrente che attraversa il transistor M12. Tale retroazione é costituita non da
elementi passivi (come la retroazione esterna al preamplificatore), ma da elementi attivi: per essere piú
precisi il feedback é fornito da due specchi di corrente. Dal momento che il sistema deve trattare segnali
veloci e non si desiderano interferenze tra la funzione di trasferimento del preamplificatore e quella dello
stadio di uscita retroazionato, la banda dello stadio di output deve essere maggiormente estesa. A tale
scopo, per realizzare gli specchi menzionati, sono stati scelti transistor di piccole dimensioni: in questo
modo si garantisce una maggiore velocitá nel riportare, in seguito a variazioni provocate dal segnale, la
corrente di M12 al valore di default.
Per rendere l’idea di cosa accada nell’ultimo stadio in seguito ad una variazione della tensione di uscita,
viene mostrata di seguito (figura 3.8) il risultato di una simulazione. Il generatore di segnali all’ingresso
fornisce un gradino di 500mV: nel grafico si possono osservare le risposte in corrente del driver, quella del
follower e quella che fluisce nel carico. Si sottolinea inoltre che buona parte della corrente in uscita é
fornita proprio dal driver.
Figura 3.8 - Correnti sul driver, sul follower e sul carico in risposta a un gradino di tensione negativo di
ampiezza 500mV.
55
Siamo ora interessati alle correnti dei transitor M12 e M13, non in seguito ad un transiente, ma con una
tensione in uscita costante. Si utilizza sempre un carico di 100Ω. I risultati sono visibili nei grafici 3.9 e 3.10.
Figura 3. 9 - Correnti in funzione sul driver e sul follower in funzione della tensione in uscita VOUT.
La figura seguente (3.10) ci mostra invece la tensione di output e la corrente fornita dal driver al variare del
carico collegato.
Tale analisi é stata eseguita in un range di tensioni border – line, ossia ai limiti della dinamica negativa,
condizione considerata come la piú critica, dove il dispositivo dimostra ancora il suo funzionamento. Si
evince il ruolo del feedback: effettivamente riesce a mantenere costante la corrente del follower con
qualsiasi valore di tensione di uscita, fino al limite di dinamica.
56
Figura 3. 10 - Tensione massima in uscita e corrente erogata dal driver in funzione del carico in uscita.
3.4 – Analisi in frequenza dello stadio di uscita e della sua rete di feedback
Dopo aver esposto il comportamento dello stadio di uscita e della sua rete di retroazione nel dominio del
tempo, trattiamo ora la sua risposta in frequenza. Per l’esattezza, visto che si ha a che fare con un sistema
reazionato, verrá presentato il guadagno di anello per piccolo segnale al variare della frequenza e del punto
di lavoro in continua del dispositivo. A tal proposito, la figura 3.11 é assolutamente esplicativa: si nota un
aumento del fattore di guadagno quando l’uscita si porta da 0V a -2.1V. Superata questa soglia, il valore
torna a decrescere fino al limite di -3V. La GLOOP presenta quindi un massimo proprio in corrispondenza del
valore di tensione in uscita di -2.1V. La figura successiva, invece, ci mostra un trend equivalente, ma riferito,
questa volta, alla frequenza di guadagno unitario del sistema, ossia alla sua banda passante (figura 3.12).
57
Figura 3. 11 - Guadagno d’anello in funzione della frequenza per alcuni punti di lavoro del circuito.
Questo comportamento é facilmente giustificabile se si prende in considerazione l’espressione analica del
guadagno d’anello: a tal proposito ipotizziamo di aprire il circuito all’altezza del gate del driver e di
applicare ad esso un segnale di test. La corrente di drain del follower, dopo essere stata moltiplicata per il
fattore k1∙k2, viene specchiata sul transistor M9, per poi fluire verso massa attraverso l’impedenza vista sul
gate del driver. Tale impedenza è data dal parallelo tra la resistenza di drain di M9 e la capacità tra gate e
source CGS del driver. Facendo uso di un’approssimazione di polo dominante, il guadagno d’anello puó
essere scritto in questo modo:
Gs   k1  k2  g mD
RL
RL  1
58
g mF
ro9
1  s ro9CGS
3.10
Figura 3.12 - Larghezza di banda e guadagno d’anello in funzione dell’intervallo dinamico della tensione
d’uscita.
Nella formula 3.10 si indicano le transconduttande del driver e del follower rispettivamente con gmD e gmF.
Come si evince dal grafico 3.11, il polo dominante non si sposta in modo apprezzabile al variare del punto di
lavoro. Infatti, almeno in condizione di alto guadagno, RL non puó subire variazioni sensibili. Parimenti gmF
(cosí come k1·k2) vengono mantenuti pressoché costanti grazie all’azione della rete di feedback.
Si conclude, quindi, che il comportamento della GLOOP visibile in 3.10 é dovuto soprattutto al valore assunto,
al variare del punto di lavoro, dalla transconduttanza del driver. Ad una tensione di uscita minore
corrisponde una maggior corrente fornita da tale transistor. In un dispositivo MOS, la gm é proporzionale
alla radice della sua corrente di drain (a paritá di dimensioni).
Del resto al drain del driver corrisponde proprio l’uscita del circuito, mentre il suo source é connesso alla
tensione negativa di rail. Quando l’uscita tende a –VEE, diminuisce progressivamente la tensione drain –
source. Quando tale valore scende sotto l’overdrive del transistor, esso esce dalla zona di saturazione ed
entra in regione di triodo, con conseguente crollo della transconduttanza.
I risultati di figura 3.11, facenti riferimento alla formula 3.10, sono ricavabili a partire dai seguenti valori
fisici:
59
VOUT (V)
gmD (mS)
gmF (mS)
ro6 (KΩ)
-2.8
16.22
4.21
52.1
-2.1
55.51
4.71
50.4
-1.4
51.11
4.67
49.9
-0.7
41.37
4.94
49.2
0
6.83
5.11
47.4
In particolar modo, a partire dai precedenti valori numerici, per mezzo della 3.10 si puó ricavare la G LOOP:
tale risultato sará piú accurato quanto piú grande il guadagno delle curve in questione. A titolo
dimostrativo, consideriamo l’uscita a -2.1V. In tale condizione, definibile come “condizione di massimo
guadagno”, il risultato numerico (157.5) si avvicina notevolmente a quello ottenuto per mezzo di una
simulazione (168).
Proprio nella situazione in cui il guadagno é maggiore, il margine di fase diventa una variabile importante
per garantire la stabilitá del sistema. La figura mostra il margine di fase con un punto di lavoro in uscita
fissato a -2.1V.
Figura 3.13 - Diagramma della fase nel caso più critico per la stabilità del circuito.
60
Si presentano alcuni valori utili riguardandi la condizione giá analizzata nella precedente tabella.
VIN (V)
VOUT (V)
Guadagno in continua
Larghezza di banda (MHz)
Margine di fase (°)
-1.9
-2.8
3
17
107.5
-0.9
-2.1
168
572
51.2
0
-1.4
156
630
47.9
0.9
-0.7
128
635
46.3
1.8
0
32
259
69.1
Con i dati presentati in questo paragrafo si puó garantire la stabilitá del circuito anche nelle condizioni di
lavoro piú critiche. Infatti il margine di fase non supera mai il valore di π/4 (limite di sicurezza imposto dal
criterio di Bode). Come giá accennato, si desidera una banda passante dello stadio di uscita molto piú
ampia di quella dell’intero sistema, in modo da evitare possibili interferenze tra le due funzioni di
trasferimento. Il guadagno di anello del preamplificatore diviene unitario alla frequenza di 185 MHz,
mentre quello dello stadio di output oltre i 600MHz.
3.5 - Struttura del bootstrap
Essendo il circuito immerso in azoto liquido e portato a temperature criogeniche, si desidera avere la minor
dissipazione di calore possibile. A tale scopo le correnti di polarizzazione dei rami costituiti da M7, M8 e
M10, M9 sono molto piccole: rispettivamente 44µA e 80µA. In particolare la corrente che scorre sul ramo di
M9 rappresenta la corrente di polarizzazione IB utilizzata per essere confrontata con la corrente I2 che
fluisce sul follower. Se peró il driver deve erogare molta potenza, il suo gate sale in tensione, provocando lo
spegnimento di M9. Esso non è quindi in grado di rispondere velocemente alla variazione che il driver
impone.
L’idea che ha suggerito l’introduzione del bootstrap è quella di fornire corrente in modo dinamicamico, solo
nel momento in cui il gate del driver è chiamato in alto, mentre l’uscita viene chiamata in basso. La
soluzione adottata è stata quella di porre un condensatore tra l’uscita e il gate di M10; un capo del
condensatore si trova allora sulla linea che collega i gate in uno specchio di corrente, quindi a tensione
fissata, mentre l’altro capo è collegato all’uscita del circuito.
61
Quando l’uscita si porta verso le tensioni inferiori, in risposta ad uno stimolo in ingresso, la tensione ai capi
del condensatore aumenta. Ció genera una corrente in grado di supportare la richiesta del ramo di circuito
con M9. La struttura reagisce con una costante di tempo di 0.5ns, mentre la durata del funzionamento del
bootstrap è legata alla velocità con cui reagisce l’uscita; nella figura 3.14 è mostrata l’azione del bootstrap
contemporaneamente al segnale in uscita. È evidente che la corrente di bootstrap viene erogata solo sul
fronte di discesa della tensione.
Figura 3.14 - Corrente di bootstrap sullo stadio d’uscita per un piccolo segnale.
62
Capitolo 4
Dispositivo di fast reset
Passiamo ora ad analizzare il secondo macroblocco di questo ASIC, ossia il circuito di fast reset. Esso, pur
rimanendo quiescente in condizioni normali, é in grado di riconoscere la saturazione del preamplificatore
ed intervenire per riportarlo in punto di lavoro operativo in un tempo molto veloce. Infatti un comparatore
in configurazione di trigger di Schmitt confronta la tensione del segnale in uscita con un livello imposto dal
designer: esso corrisponde al limite noto di dinamica del preamplificatore di carica. Non appena un segnale
in ingresso particolarmente ampio fa saturare l’uscita dell’operazionale il trigger scatta e avvia una scarica
controllata del condensatore CF per mezzo di un generatore di corrente costante.
Nei paragrafi seguenti vengono presentati i dettagli del design circuitale.
4.1 – Analisi circuitale del dispositivo di reset
All’inizio di questa tesi sono state esposte le motivazioni per introdurre nell’architettura di un
preamplificatore un dispositivo di reset veloce. Riassumendo quanto giá esposto, tale necessitá sorge
quando al processo di integrazione dei circuiti di front-end corrisponde uno scaling delle tensioni di
alimentazione, con conseguente riduzione della dinamica utile in uscita. Quando l’integratore si trova a
dover gestire segnali in ingresso molto ampi ed entra in saturazione, ogni informazione proveniente dal
detector viene persa. Il sistema torna attivo quando, per scarica spontanea, tutta la carica erogata dal
detector fluisce attraverso RF. Questo processo puó essere anche molto lungo: infatti il tempo caratteristico
τF relativo alla coppia CFRF é relativo al preamplificatore retroazionato in normali condizioni di
funzionamento. Quando l’uscita converge al rail negativo ed il sistema entra in profonda saturazione (vedi
paragrafo 4.4.2), la funzione del dispositivo cambia: la carica iniettata resta contenuta nel nodo di ingresso
(quindi su CDET e sulle capacitá parassite - e non - ad essa in parallelo), provocando una variazione anomala
63
della tensione della massa virtuale (che ora smette di essere tale). Il τ caratteristico di scarica del sistema in
queste condizioni diventa RF(CDET + CF + Cparassite). Dal momento che CDET si aggira attorno ai 16 pF e CF ai 0.17
pF, la saturazione provoca un aumento del tempo caratteristico di scarica di un fattore 100.
A causa di questo fenomeno, i tempi morti in fase di saturazione possono avere durata prolungata, con
grande perdita di dati. Nasce cosí la necessitá di un dispositivo che permetta un tempo di recovery rapido,
come é appunto il circuito di fast reset qui presentato.
Rimanendo quiescente se il preamplificatore é attivo, quando il segnale in uscita supera la soglia massima,
il circuito di sense fa scattare un deviatore, il quale collega al nodo di ingresso un generatore di correnter
costante che ne drena la carica fino a riportare l’uscita del pre al livello di baseline predefinito. Dal
momento che la corrente é nota (e regolabile dall’esterno dell’integrato per mezzo di alcune resistenze nella prima versione del dispositivo) la carica recuperata é in relazione lineare col tempo di apertura dello
switch. Siccome il segnale di controllo del medesimo é disponibile anche all’esterno del chip, per mezzo di
procedure Time – to – amplitude, si puó ricostruire il valore energetico dell’evento saturato.
I macroblocchi del dispositivo in questione sono visibili in figura 4.1.
Figura 4.1 - Schema di principio del dispositivo di reset; la parte racchiusa nella linea tratteggiata
rappresenta il circuito integrato.
64
4.2 - Comparatore con retroazione resistiva in configurazione “trigger di Schmitt”
Nonostante siano molteplici le soluzioni che la letteratura riporta per questo genere di situazioni, in fase di
progettazione la scelta é caduta su un semplice OP-AMP con retroazione positiva. Nonostante il design
preveda una soluzione integrata, alcuni componenti sono stati lasciati all’esterno del chip, in modo da
permettere allo sperimentatore di testare varie configurazioni circuitali in vista di una realizzazione
definitiva. Alcuni di questi componenti sono per esempio le resistenze di retroazione del comparatore di
sense. La scelta opportuna dei loro valori permette di settare le tensioni di intervento e stacco del trigger,
senza doversi confrontare con realizzazioni CMOS (che tipicamente soffrono di un problema di instabilitá
della tensione di soglia al variare della temperatura). Bisogna inoltre sottolineare che la soluzione adottata
non prevede l’utilizzo di ulteriori tensioni di riferimento, e quindi non richiede ulteriori piedini di contatto
sull’integrato. La figura 4.2 riporta lo schema circuitale del comparatore.
Figura 4.2 - Schema circuitale del comparatore.
Come si puó notare la coppia differenziale M20 M22, alimentata dal generatore di corrente a specchio M21
M18, confronta l’uscita dell’ASIC con il segnale di feedback (gestito dalle resistenze esterne). Il segnale in
corrente viene mandato al secondo stadio tramite un carico a specchio (M25 e M23). Il guadagno avviene
per mezzo del source coune M24 (alimentato da un carico attivo, M19): il segnale viene quindi invertito dai
mos M26 e M27 e utilizzato tanto per generare la retroazione quanto per pilotare lo switch. Se la soglia
65
inferiore di scatto é programmabile, quella superiore é costituita dalla massa. L’impulso digitale di controllo
si muove tra la massa e il rail di tensione negativo.
Palesemente la retroazione é positiva: sei il segnale dell’ASIC scende invia corrente al nodo di uscita (Drain
di M23) facendolo salire in tensione. Ció comporta una maggiore corrente drenata da M24: la tensione di
V1 scende, mentre l’uscita, a valle dell’invertitore sale. Le resistenze portano la salita di tensione alla coppia
differenziale di ingresso che, invece di stabilizzarsi, verrá portata ulteriormente fuori equilibrio (retroazione
positiva). La tenisone di intervento (Vs) é definita dal rapporto tra le resistenze R8 e R9, secondo la formula
4.1:
VS  VEE
R9
R8  R9
4.1
La scelta dei valori R8 = 2KΩ e R9 = 13KΩ impongono la soglia al valore –2.6V facendo scorrere una corrente
di soli 200μA sulla rete di reazione. Essendo la tenisone A una media pesata tra Vout (compreso tra 0V e il
rail negativo) e massa, il suo valore non puó ovviamente essere maggiore di 0V.
La figura 4.3 mostra il ciclo d’isteresi del comparatore implementato.
Figura 4.3. Ciclo d'isteresi del trigger di Schmitt valutato tramite una variazione in continua della tensione al
suo ingresso.
66
4.3 – Lo switch deviatore di corrente
Passiamo ora alla descrizione del deviatore di corrente. Come giá anticipato esso si occupa di prelevare la
corrente del generatore alternativamente dal nodo in ingresso al preamplificatore o da massa. La possibilitá
di scegliere il nodo al quale appendere il generatore é data dalla particolare configurazione adottata. I
segnali di controllo utilizzati sono rispettivamente l’uscita del comparatore e il rispettivo impulso negato.
Dal lato verso massa M31 funge da semplice interruttore. Esso é spento quando il segnale di controllo
negato é basso, accendendosi quando raggiunge la tensione di 0V. Si sarebbe potuta adottare una
soluzione uguale per il ramo rivolto verso il nodo di ingresso del preamplificatore. Al contrario, peró, si é
preferito adoperare un sistema a control gate, costituito da due transistor complementari in parallelo (M41
e M42). Essi sono rispettivamente un n-MOS e un p-MOS: il drain del primo é collegato al source dell’altro e
vice-versa. Questa scelta é volta ad annullare le possibili iniezioni di carica che un segnale unipolare
potrebbe iniettare nel nodo di ingresso tramite la capacitá parassita Gate – Drain di un singolo interruttore
a transistor. M41 e M42 sono rispettivamente pilotati dal segnale di controllo “fast reset” e dal suo impulso
negato. Si sottolinea che, in condizioni normali di lavoro del preamplificatore di carica, il gruppo di fast
reset puó dirsi praticamente scollegato dal resto del dispositivo, senza possibilitá di interferire con il suo
normale funzionamento. Infatti se FR é al livello logico basso, solamente M31 conduce corrente, mentre
M41 e M42 sono spenti. Il drain di M31 é fisso a massa come il gate, mentre il source segue la tensione di
gate a seconda della corrente forzata dal generatore sottostante. Diversamente M42 si ritrova con VGS nulla
e si spegne. M41 é palesemente spento.
Figura 4.4 - Schema circuitale del deviatore
67
Diversamente, quando FR sale e FR negato scende (condizione derivante dall’attivazione del trigger), la
tensione tra Source e Gate di M42 si avvicina ai 3V accendendo il transistor. Il gate di M41 si porta a 0V
come il Drain: il Source segue la tensione di Gate secondo la corrente forzata dal generatore sottostante. In
questa condizione M31 é sicuramente spento.
Come accennato precedentemente la configurazione a control gate cerca di eliminare le possibili iniezioni
di carica che i segnali di controllo possono provocare nel nodo di ingresso attraverso le capacitá parassite
dei transistor dello switch. Ma affinché ció accada, le due iniezioni devono essere opposte ma simmetriche:
dal momento che i due segnali hanno polaritá opposta ma uguale ampiezza, le due capacitá (CGD di M41 e
CGS di M42) devono essere uguali.
4.4 – Processo di fast reset: metodo di generazione della corrente ed effetti sul preamplificatore
Figura 4.5 - Circuito che genera la corrente IR di reset.
Come si puó notare dallo schematico del circuito il cuore del sistema di generazione della corrente é un
amplificatore operazionale analogo a quello adottato per realizzare il dispositivo di sense presentato
precedentemente. All’ingresso positivo é collegata la massa, mentre a quello negativo giunge un segnale di
retroazione proveniente dalla coppia di R10 (resistenza responsabile del valore della corrente di reset) e
M43 (un MOS di tipo p inserito nell’anello di reazione). Con semplici considerazioni si mostra che la
retroazione é negativa. La corrente generata da R10 e M43 viene raccolta dallo specchio (M44) e riprodotta
68
(M45). R10 presenta un valore di 1MΩ. Lo specchio di corrente in realtá non riproduce fedelmente la
corrente di M43, ma la riduce di un fattore 10. L’espressione della corrente di reset é, pertanto:
IR 
1 VCC
10 R10
4.2
Nonostante la formula sopra suggerisca un valore della corrente di reset pari a 300nA, le simulazioni al
calcolatore hanno invece proposto un valore di 360nA. Questo effetto é dovuto a fenomeni di
sovrapposizione (che riducono le dimensioni effettive dei MOS) che si verificano nei transistor dello
specchio e soprattutto in M45, date le sue piccole dimensioni. Il reale rapporto di specchiamento é circa
8.3.
4.4.1 - Analisi time – domain del processo di reset
Figura 4.6 - Segnale in uscita dal preamplificatore durante il transiente di reset
Nella figura precedente si puó osservare il comportamento del segnale in uscita durante la fase di fast
reset. É stato simulato un evento nel detector da circa 10MeV per mezzo di un segnale in tensione a
gradino di 500mV, iniettato sul nodo di ingresso per mezzo di CIN (per maggiori dettagli fare riferimento ai
69
precedenti capitoli). Non appena vout scende sotto la soglia del comparatore, il circuito di reset interviene,
scaricando con corrente costante dapprima il nodo di input e, una volta usciti dalla saturazione, la capacitá
CF. La validitá della simulazione é garantita dal principio di sovrapposizione degli effetti, secondo cui
l’iniezione di carica ad opera del generatore di segnali e la scarica dovuta IRESET possono essere considerati
separatamente e sommati al termine del calcolo. Al gradino di tensione corrisponde una carica iniettata
pari a:
I IN t   VIN Ctest t 
4.3
A partire dalla 4.3 si puó scrivere l’espressione della Vout in funzione di IIN, facendo uso del formalismo della
trasformata di Laplace:
VOUT s   
I IN s 
C 1
Q
 VIN test  
s CF
CF s
sCF
4.4
Dal momento che l’antitrasformata di 1/s é il gradino 1(t), il preamplificatore risponde ad un gradino di
tensione positivo in ingresso con un gradino di tensione negativo in uscita, moltiplicato per il fattore
CTEST/CF.
Se ora definiamo IIN come la corrente drenata dal circuito di reset, avendo essa un’andamento del tipo
IR·1(t), la sua trasformata di Laplace diventa IR/s. Riscrivendo l’espressione di Vout a partire dalla 4.4 si ha:
VOUT s  
I IN s  I R 1

s CF
CF s 2
4.5
L’antitrasformata di 1/s2 é la rampa lineare. Sommando le due espressioni di Vout trovate, secondo il
principio di sovrapposizione il segnale di uscita (in seguito ad un evento che fa intervenire il circuito di fast
reset) nel dominio del tempo presenta la seguente forma:
I
Q
VOUT t    R t 
CF
 CF

1t 

4.6
Questa formula é valida solo fino a quando il trigger non spegne nuovamente il circuito di fast reset: da
quel momento il segnale rispetta la funzione di trasferimento tipica del solo preamplificatore.
Durante il transiente di reset, come detto, si sta scaricando la capacità CF di feedback e come indicato nella
(4.6) l’andamento atteso è una rampa lineare. La pendenza della rampa è, quindi, assegnata dalla corrente
di reset e dal valore della capacità CF, ed esso è 2.18V/µs; tramite la simulazione circuitale è agevole
70
misurare il rapporto tra la tensione di picco in uscita e la durata T dell’intervallo di tempo in cui è attivo il
dispositivo di reset. Questo valore è indicato nella formula 4.7:
VOUT
2.843V

 2.10 V
s
T
1.352s
4.7
Il risultato ottenuto in simulazione è in accordo con quello atteso, anche perché la (4.7) indica il rapporto
tra la tensione di picco e la durata del reset, ma una misura dell’effettiva pendenza della rampa, effettuata
dal simulatore, indica che il valore è 2.18∙106 V/s atteso. Moltiplicando il precedente valore per la capacità
di feedback si risale alla corrente di reset, ottenendo esattamente i 370nA erogati dal generatore.
Si noti che uno dei punti deboli di questa procedure potrebbe essere la presenza di cammini parassiti in
grado di disperdere la carica che invece, deve essere misurata con una certa accuratezza.
Nella figura 4.7 è mostrato l’andamento della carica sulla capacità CF di feedback durante il transiente di
reset; è piuttosto evidente che la carica iniettata corrisponde al valore atteso e che dopo un intervallo di
tempo T, corrispondente alla durata del reset, la carica si attesta ad un valore pressoché nullo.
La carica iniettata nel circuito e accumulata sulla capacità di feedback è data dal prodotto:
Q  VIN Ctest
4.8
Nel caso della figura 4.7 il valore di Ctest è di 1pF, mentre VIN = 500mV pari ad un evento di poco inferiore a
10MeV di energia; il valore atteso di Q è di 500fC, esattamente quello ottenuto in simulazione. Nell’istante
in cui termina il lavoro del circuito di reset la carica indicata dalla simulazione è pari a 12fC, perciò la carica
effettivamente rimossa dal dispositivo di reset è 488fC. Come verrà approfondito nel prossimo capitolo il
valore di 12fC rappresenta un parametro di offset. Considerando i tempi caratteristici del dispositivo di
reset e della coppia RFCF, si puó approssimare che la carica fluita in RF durante il transiente di scarica sia
nulla.
71
Figura 4.7 - Andamento della carica sulla capacità di feedback
La simulazione conferma pienamente l’andamento lineare di rimozione della carica. Non essendoci percorsi
parassiti che possono dissipare la carica, il processo di reset é in gradi di raccogliere tutta quella che resta
depositata sul nodo di ingresso. Dal momento che vale la definizione di seguito, ecco trovata la relazione
tempo – carica (e quindi tempo - energia) che ci permette di recuperare l’informazione contenuta nel
preamplificatore durante il transiente di ripristino.
I t  
dQt 
 Q  I RT
dt
4.9
Nella formula 4.9 Q è la carica, IR la corrente di reset e T l’intervallo di tempo durante il quale il reset è
attivo. La pendenza della curva mostrata nella figura 4.7 dà un’indicazione della velocità con cui viene
scaricato il condensatore CF; il valore ottenuto in simulazione (vedi formula 4.10) é in perfetto accordo con i
risultati numerici. Esso è stato calcolato valutando la carica totale iniettata (0.5pC) e la durata del
transiente T: il simulatore fornisce un valore della pendenza del grafico 4.7 (derivata discreta) di 367nA.
Q
 360nA
T
72
4.10
Bisogna peró sottilineare la presenza di alcune deviazioni dall’idealitá nel processo di reset. Il sistema non
comincia subito a scaricare linearmente CF, ma per i primi 100nS circa presenta un comportamento
anomalo. Esso é dovuto ad alcune non linearitá generate dallo stadio di uscita del preamplificatore che
fatica ad uscire dalla condizione di saturazione. Il principale responsabile é il driver, che, con le sue grandi
dimensioni, risulta lento ad attivarsi e a tornare in condizioni operative standard.
Nel prossimo capitolo si dimostrerá che tali fenomeni non inficiano la linearitá di misurazione dell’energia
dell’evento in base al tempo di reset.
Si sottolinea, inoltre, che la linea di base raggiunta dopo il processo di reset (-8mV) non corrisponde a
quella a cui il circuito si riporta naturalmente (-38mV). Ció non costituisce assolutamente un problema, in
quanto il sistema raggiunge nuovamente la baseline naturale con una costante di tempo pari a RFCF =
170μs.
4.4.2 - Comportamento del circuito in caso di profonda saturazione
L’analisi del paragrafo precedente é riferita a segnali che portano il preamplificatore in leggerissima
saturazione. Analizziamo ora il caso di un segnale in ingresso molto intenso, in grado di indurre profonda
saturazione nell’integratore. In tale circostanza la carica in arrivo sul nodo di ingresso non si accumula piú
solo su CF, ma su tutta la capacitá riferita al polo di input. Infatti, dal momento che la retroazione non é piú
attiva, CF diventa una semplice capacitá tra l’ingresso e la massa, in parallelo alle altre (la terra virtuale non
é piú tale). Nonostante ció la carica non viene dispersa, ma efficacemente raccolta dal dispositivo di reset.
Nei grafici seguenti si mostra quanto accaduto in seguito all’iniezione di un segnale a gradino da 2.5V: esso
fornisce al nodo di ingresso una carica di 2.5pC. Nella figura seguente (4.8) vengono riportati due grafici
riguardanti la carica contenuta sul nodo di ingresso e quella persa attraverso RF in condizione di saturazione
se si tiene spento il dispositivo di reset.
73
Figura 4. 8 - La figura mostra la carica che viene iniettata nel circuito quando il dispositivo di reset è spento
e la carica totale che si accumula sul nodo di ingresso. La differenza tra le due curve rappresenta la carica
definitivamente persa attraverso la resistenza di feedback (in alto).
La corrente che fluisce attraverso la resistenza di feedback é pressoché costante nel tempo: assume un
valore di 2.8nA. Tale corrente dipende da RF e dalla tensione ai suoi capi. Quest’ultima, in caso di forte
saturazione, é quasi indipendente dalla quantitá di carica iniettata. Infatti il suo polo negativo é fisso, per la
saturazione, a -3V. Quello positivo, invece, é riferito ad una “piastra” di CDET. Essendo quest’ultima di
grande valore, le variazioni di tensione ai suoi capi in seguito alle iniezioni di carica del detector (seppur
grandi) sono quasi trascurabili. Quindi la tensione ai capi di RF é costante in condizioni di profonda
saturazione e costante sará anche la corrente che fluisce su di essa.
La carica che viene persa sulla resistenza di feedback è pari alla corrente di 2.8nA moltiplicata per la durata
T del transiente. In questo caso è pari a circa 20fC. Tale carica è irrimediabilmente persa e costituisce un
errore di misura di energia dell’evento, come trattato nel prossimo capitolo.
Nella figura successiva è mostrata, invece, la medesima situazione, ma con il dispositivo di reset attivo.
Partendo da un segnale in ingresso uguale al caso precedente, ora la carica totale al nodo di input
diminuisce progressivamente, fino ad annullarsi nel momento in cui, avendo il fast reset portato a termine
il suo compito, il trigger ne provoca lo spegnimento.
74
Figura 4. 9 - Nel grafico in basso è mostrata la carica totale al nodo d’ingresso sotto l’azione del fast reset.
Nel grafico in alto è mostrata la carica rimossa dal solo dispositivo di reset.
Il transiente di reset ha una durata molto breve: il tempo morto del dispositivo viene drasticamente ridotto
e il preamplificatore é subito pronto per ricevere nuovi segnali.
In questo caso la sua durata vale 6.82μs e la carica residua presente sul nodo di ingresso al termine del
processo è pari a 90fC.
La carica totale rimossa dal dispositivo di reset è 2.49pC, mentre quella totale iniettata nel circuito era di
2.15pC.
Tale differenza di carica deriva dal problema di linea di base giá esposto in precedenza. Il circuito di fast
reset riporta il preamplificatore ad un valore di tensione leggermente piú alto rispetto al livello della sua
baseline naturale. Questo comporta un eccesso di carica prelevata, costante di evento in evento, che
costituisce un offset noto e stabile nelle misurazioni tempo – energia, che deve essere sommato a quello
dovuto alla corrente di leakage su RF.
75
Capitolo 5
Recupero dell’informazione energetica durante la procedura di
fast reset
Come giá anticipato nei precenti capitoli, il circuito di fast reset non si occupa solamente di riportare
velocemente il preamplificatore in condizioni operative, ma, in caso di saturazione, riesce ad estrarre
l’informazione energetica e a riproporla non come segnale in ampiezza, ma come durata di un impulso.
Infatti a seguito di un’iniezione di corrente ad opera del rivelatore, anche in caso di saturazione dell’uscita
del preamplificatore, la carica iniettata non viene persa ma resta “intrappolata” sul nodo di ingresso del
circuito. Dal momento che la procedura di scarica avviene per mezzo di un generatore di corrente costante,
in questo capitolo analizzeremo il rapporto tra la durata del tempo di reset e la carica effettivamente
recuperata. Al fine di dimostrare la stabilitá del dispositivo, verranno presentati gli esiti delle simulazioni
effettuate al variare della temperatura: in particolar modo bisogna valutare il suo funzionamento a
temperature criogeniche.
5.1 – Recupero dell’informazione energetica di un segnale che provoca saturazione
Il circuito non genera solamente il normale segnale di uscita: é anche possibile monitorare la condizione del
segnale digitale FR, ossia il comando generato dal circuito di sense per l’accensione del current sink.
Ovviamente i due segnali sono in stretta correlazione: entrambi, in caso di saturazione, ci mostrano
l’attivitá e gli effetti del sistema di fast reset.
In particolar modo, il segnale FR é fondamentale per il recupero dell’informazione energetica. Supponiamo
che un’iniezione di corrente troppo intensa abbia fatto saturare il preamplificatore. Nel momento in cui la
carica viene raccolta e il segnale in uscita supera la soglia del trigger, quest’ultimo scatta e accende il
current sink. Drenando corrente dal nodo di ingresso con intensitá costante, questo si disattiverá solo dopo
76
aver riportato la baseline del preamplificatore al valore di 0V. Il tempo impiegato per compiere tale
operazione é ovviamente in relazione con la quantitá di carica prelevata, secondo la formula 5.1:
Q  I RT
5.1
Dove IR è la corrente di reset. Da questa si deduce, in modo del tutto banale, la 5.2:
T
Q VIN Ctest

IR
IR
5.2
Ipotizziamo di simulare un evento molto energetico per mezzo dell’usuale generatore di tensione e una
CTEST da 1 pF: immettendo un gradino da 500mV si sta iniettando una carica di 0.5 pC. In tale situazione il
circuito di fast reset dovrebbe impiegare 1.351 μs per riportare, per mezzo di una corrente IR di 370 nA, il
segnale in uscita alla baseline desiderata.
Effettivamente la simulazione del fenomeno conferma quanto previsto: il tempo di reset equivale a 1.352
μs, con un errore dello 0.01%. Si noti che in questo calcolo non é stato considerato l’effetto della resistenza
di feedback RF: potendo essa drenare un massimo di 2.8 nA, costituisce solamente lo 0.75% di IR e l’errore
che ne deriva é assolutamente trascurabile.
Affinché la durata dell’impulso FR possa essere utilizzata con profitto come misura energetica, essa deve
mantenere un buon livello di linearitá rispetto alla carica iniettata su tutto lo spettro 10MeV – 100MeV.
Al contrario, eventuali offset di natura sistematica non costituiscono una limitazione al processo di misura,
in quanto sono cancellabili per mezzo di algoritmi digitai che operano direttamente sul segnale in uscita dal
preamplificatore.
5.1.2 – Relazione tra carica iniettata e tempo di reset
Partendo dalla formula 5.1 e cercando di definire una relazione tra carica iniettata e tempo di reset, si
giunge alla scrittura di una semplice relazione lineare. Il coefficiente angolare dipende dall’intensitá della
corrente IR, mentre il termine noto ingloba tutti i fenomeni che generano offset sistematico nella misura.
Traducendo in formula quanto affermato si giunge alla 5.3:
T  aQ  b

6 1
a  2.680 10 A
77
b  12.9ns
5.3
In fase di simulazione, il circuito rispetta bene le aspettative teoriche riguardo il comportamento lineare
della formula 5.3. Nella figura successiva si mostra un grafico “carica iniettata vs tempo di reset”.
Figura 5.1 - Relazione lineare tra la durata del transiente di reset e la carica rilasciata dal rivelatore.
Se passiamo ai differenziali, dalla 5.3 si deduce che:
Q
1
 IR 
t
a
5.3.1
Per mezzo di un fit lineare effettuato sulle simulazioni di figura 5.1, si estrae un valore di 1/IR pari a
2.702∙106 A-1. Volendo ricavare IR a partire da tale parametro si otterrebbe il valore 373nA. Esso é
perfettamente coerente con i 370nA nominali ottenuti come valore registrato in simulazione circuitale.
L’esistenza di un coefficiente b (termine noto) non nullo, significa che le misure temporali risentono di un
offset indipendente dalla durata del tempo di reset. Esso impedisce che il fit lineare passi esattamente per
l’origine. Lo scarto temporale sistematico registrato é 14.6ns. Ció ovviamente non inficia la linearitá della
relazione: la correlazione lineare dei dati, valutata con il software Microcal Origin, vale infatti 0.9999.
Si conclude che quanto affermato nella formula 5.1 é perfettamente rispettato, e che la misura della durata
del tempo di reset puó essere utilizzata per recuperare l’informazione energetica.
78
La linearitá di uno strumento di misura é una qualitá fondamentale, in quanto permette una calibrazione
veloce ed efficace. Diversamente basti pensare agli effetti negativi della saturazione dei fototubi accoppiati
a cristalli scintillatori particolarmente luminosi (come i LaBr3).
Analizzando la forma dei segnali provenienti dal preamplificatore in fase di reset, si notano brevi transienti
di comportamento anomalo, che non seguono cioé la rampa lineare. Il fatto che le misure carica – tempo
restituiscano relazioni cosí precise significa che le oscillazioni visibili in uscita non sono dovute all’azione del
dispositivo di fast reset ma al comportamento del preamplificatore, il quale mostra qualche difficoltá
nell’uscire dalla condizione di saturazione. Ció é molto importante, perché significa che i comportamenti
anomali non sono dovuti ad indesiderate iniezioni di carica sul nodo di ingresso, cioé intaccano solamente il
segnale in uscita e non la carica drenata dal current sink.
Lo sperimentatore non sará peró interessato ad applicare alle misure effettuate la formula 5.3: al contrario
avrá bisogno della formula inversa per convertire la durata degli impulsi in carica equivalente.
Q  aT  b

a  373nA
b  4.8 fC
5.4
Il nuovo coefficiente angolare corrisponde esattamente alla corrente di reset, mentre l’offset non sará piú
di natura temporale ma di carica.
5.2 – Relazione tra tempo di reset ed energia dell’evento all’interno del rivelatore
In base alle considerazioni fatte nel primo capitolo, esistono relazioni di natura statistica che legano
l’energia depositata nel rivelatore con la quantitá di portatori di carica generati. Fortunatamente tale
relazione é lineare, ed esprimibile con la formula 5.5:
E
Q

q
5.5
Dove q è la carica elementare e ψ l’energia sufficiente alla produzione di una coppia di portatori di carica;
nel caso del germanio iper-puro ψ = 2.92 eV/coppia.
Evidentemente, in base alle considerazioni fatte nel precedente paragrafo, l’energia depositata sará in
relazione lineare anche con il tempo di reset. Per mezzo di semplici passaggi arriviamo alla formula 5.6:
79
E  aT  b

MeV
 
a  6.8 s

b  88KeV
5.6
L’unitá di misura di a” é MeV/ s : infatti tale parametro rappresenta proprio il fattore di scala che gli
sperimentatori desiderano conoscere per effettuare la conversione tempo – energia.
A seguito delle considerazioni effettuate, presentiamo di seguito un equivalente della figura 5.1, ma non
piú riscalato sulla base della carica, bensí su quella dell’energia.
Figura 5.2 - L'intervallo di tempo di funzionamento dello strumento di reset dipende linearmente
dall'energia E dell'evento rivelato
Sulla base delle simulazioni effettuate si conclude che l’idea di desaturare il preamplificatore agendo
proprio sul nodo di ingresso é assolutamente valida. La grande linearitá ottenuta, assieme alle eccellenti
prestazioni di rumore costituiscono il principale risultato legato al progetto di questo dispositivo integrato.
80
I problemi di saturazione tipici dei segnali in tensione sono dovuti alle non linearitá delle architetture
adottate. Non valendo per i segnali in tensione alcuna legge di conservazione, la precisione di un dispositivo
viene degradata da ogni forma di distorsione indotta dai componenti elettronici. Al contrario il principio su
cui si basa il circuito di fast reset é una legge fisica nota a tutti, ossia la conservazione della carica elettrica.
Nel momento in cui essa viene iniettata dal detector sulla capacitá di ingresso, a meno di cammini resistivi
essa non puó essere dissipata. Al contrario resta intrappolata su tale nodo ed é solamente il segnale in
tensione in uscita al preamplificatore che perde coerenza.
Il recupero di tale carica non solo costituisce esattamente il recupero dell’informazione, ma permette al
sistema di tornare immediatamente operativo.
Pertanto la misura energetica tradizionale verrá in questo dispositivo affiancata da un’altra, meno
convenzionale, basata sull’analisi di durata dei segnali di reset. Le due misure non interferiscono, in quanto
attive in diverse regioni dello spettro energetico: sotto ai 10MeV é attiva la prima, mentre al di sopra di tale
valore e fino a 100MeV, le misure energetiche sono fornite dal segnale di FR.
Riportiamo una tabella recante una serie di coppie di valori Energia – Tempo:
Energia E dell’evento
(MeV)
Carica Q rilasciata (pC)
Durata T transiente di Durata T transiente di
reset atteso (µs)
reset simulato (µs)
10MeV
0.55
1.486
1.486
25MeV
1.37
3.703
3.685
50MeV
2.74
7.405
7.375
75MeV
4.11
11.108
11.031
100MeV
5.49
14.838
14.728
Anche tenendo in opportuna considerazione i vari offset, discussi in precedenza, appare evidente che la
durata del transiente di reset è sistematicamente minore rispetto a quella attesa, calcolata tramite la
formula 5.2. Il coefficiente angolare che rappresenta 1 / IR è differente per le due curve: 2.702∙106 A-1 nel
caso simulato e 2.680∙106 A-1 estrapolato dalla correlazione lineare.
81
Sulla base di tali dati, si forniscono due relazioni “efficaci” per descrivere il comportamento del sistema,
basate su considerazioni di tipo empirico.
E  T  6.8
MeV
 0.088MeV
s
5.7
nC
 4.6 fC
s
5.8
Q  T  373
Dal momento che il circuito presenta un comportamento stabile, ma leggermente differente rispetto al
previsto, proviamo ora a sondare le cause alla radice di tali discrepanze.
Per prima cosa si valuta l’errore percentuale al variare dell’energia dell’evento simulato.
Durata T transiente di Durata T transiente di
Errore %
reset atteso (µs)
reset simulato (µs)
1.486
1.486
0.01
3.703
3.685
0.48
7.405
7.375
0.40
11.108
11.031
0.67
14.838
14.728
0.74
Allo stesso modo visualizziamo graficamente la differenza tra valori attesi e valori simulati nel grafico di
figura 5.3.
La curva spessa rappresenta l’energia in funzione della durata del reset ottenuta in simulazione, mentre
quella sottile rappresenta i valori attesi calcolati con la formula 5.7.
Dal momento che l’errore percentuale dipende dalla fascia energetica, si mostrano solamente i dati con
discrepanza maggiore, corrispondenti all’intervallo 60 MeV – 100MeV.
82
Figura 5. 3 - Discrepanza tra i valori attesi e quelli simulati.
La spiegazione di questo errore risiede nel fatto che la curva simulata non è perfettamente lineare, ma
possiede un termine quadratico, ovvero l’equazione che lega l’energia al tempo è di tipo E = aT2 + bT + c; i
valori dei coefficienti sono riportati nella formula seguente.
E  4.01  10 6
MeV 2
MeV
T  6.79
T  0.075MeV
2
s
s
5.9
Ovviamente il coefficiente di secondo grado é considerevolmente inferiore rispetto a quello lineare, in
quanto é dovuto ad effetti resistivi parassiti, che rendono la corrente drenata leggermente dipendente
dalla tensione tra ingresso e uscita del preamplificatore.
83
5.3 – Studio del segnale digitale di reset
Vista l’importanza di cui gode il segnale FR all’interno dell’architettura del preamplificatore, se ne
analizzano in dettaglio le caratteristiche. Come si é soliti fare in caso di circuiti digitali, é opportuno
effettuare delle simulazioni focalizzate sul principio del “worst case”, ossia del caso peggiore.
Dal momento che i circuiti a CMOS fanno uso sia di pMOS che di nMOS, tali studi sono orientati a valutare
le prestazioni del dispositivo nel caso che una delle due tipologie di transistor presenti prestazioni
particolarmente scarse. Si parla di analisi “worst case zero” se vengono penalizzati gli nMOS, viceversa nel
“worst case one” sono i pMOS ad avere prestazioni particolarmente scadenti.
I risultati ottenibili sono da considerarsi come valori di confine, ossia come livelli di prestazioni minime
garantite dal dispositivo.
In questo paragrafo i segnali di reset vengono ottenuti simulando eventi da 35MeV, corrispondenti a
gradini di tensione in ingresso di 2V. Il segnale disponibile all’uscita del trigger di Schmitt é visibile in figura
5.4.
Figura 5. 4 - Sviluppo temporale tipico del segnale FR.
La forma del segnale di reset è un’onda rettangolare: il fronte di salita si presenta in concomitanza con
l’ingresso del preamplificatore in zona di saturazione, mentre quello di discesa rappresenta il termine della
84
procedura di fast reset. Effettuando misure della distanza temporale dei due fronti si puó ottenere
un’informazione di tipo energetico.
5.3.1 – Dipendenza del transiente di reset dalla temperatura di lavoro
Dal momento che le curve caratteristiche dei dispositivi dipendono fortemente dalla temperatura di lavoro,
é opportuno stimare quali siano le variazioni di comportamento del circuito fast reset al variare della
temperatura. Le simulazioni dimostrano, come é prevedibile, che, a paritá di energia, il tempo di reset
diminuisce all’abbassarsi della temperatura.
Questo fenomeno é dovuto ai transistor del generatore del current sink, che alle basse temperature
divengono piú performanti e drenano piú corrente.
Si riporta nella tabella sottostante l’esito di simulazioni a temperature differenti.
Temperatura (K)
Tempo di reset (µs)
Corrente di reset (nA)
300
5.95
360
273
5.45
366
250
5.36
371
220
5.25
377
Il trend mostrato suggerisce, a temperatura criogenica, un’ulteriore riduzione dei tempi di reset.
Cerchiamo di dare una spiegazione dettagliata del fenomeno a partire dalle caratteristiche dei MOS e dalla
dipendenza dei singoli fattori dalla temperatura.
I DS  K VGS  VT 
2
5.9
K
 n C ox W
2 L
La (5.9) descrive il comportamento di un transistor nMOS.
85
µn rappresenta la mobilità degli elettroni nel cristallo, Cox è la capacità per unità di superficie del
condensatore tra il gate e il substrato (dipende ovviamente dallo spessore dell’ossido isolante).
W e L sono la larghezza e la lunghezza del canale e VT è la tensione di soglia del dispositivo.
La temperatura influenza sia il coefficiente K che la tensione di soglia VT. Quest’ultima aumenta di circa
1.1mV per ogni grado di decrescita della temperatura. Questo potrebbe far pensare, passando da 300K a
70K, ad una diminuzione della corrente di drain del dispositivo a paritá di polarizzazione. Tuttavia l’effetto
complessivo é dominato dal fattore K, inversamente proporzionale alla temperatura. Al suo interno é infatti
presente la mobilità elettronica µn; in un dispositivo a semiconduttore i principali fattori che agiscono sulla
mobilità, oltre alla concentrazione di drogaggio del cristallo, sono fenomeni di scattering dei portatori di
carica. Questi possono essere provocati da collisioni con le vibrazioni reticolari o con le impuritá del
cristallo. Ad alta temperatura il fenomeno prevalente é l’interazione con i fononi (al crescere della
temperatura le vibrazioni del reticolo sono sempre più consistenti). Questo porta ad avere una diminuzione
della mobilità al crescere della temperatura, con un andamento proporzionale a T-3/2 (T rappresenta la
temperatura assoluta). A bassa temperatura gli atomi presentano minori vibrazioni termiche, quindi questo
tipo di scattering diviene meno rilevante. Parimenti, peró, la velocità media dei portatori è più lenta, cosa
che favorisce l’interazione con le impurezze del semiconduttore. Pertanto a temperature criogeniche lo
scattering con le imperfezioni reticolari diventa predominante. Tale meccanismo provoca una diminuzione
della mobilità dei portatori di carica al diminuire della temperatura, con un andamento proporzionale a T3/2.
Essendo il circuito integrato realizzato su silicio, in figura 5.5 viene presentato l’andamento della mobilitá
dei portatori di carica in questo tipo di cristallo al variare della temperatura.
Figura 5. 5 - Mobilità elettronica in funzione della temperatura nel silicio.
86
É evidente che nel silicio a 77K la mobilitá dei portatori é molto piú elevata rispetto a quanto accade a
temperatura ambiente. Questo garantisce migliori prestazioni dei dispositivi elettronici alle temperature
criogeniche.
5.3.2 – Analisi del segnale FR nella condizione di “worst case”
I cicli di processo per la realizzazione dei circuiti integrati possono subire fluttuazioni statistiche che
deteriorano le prestazioni dei dispositivi integrati. Tali fluttuazioni si possono valutare quantitativamente e
possono essere inserite nelle simulazioni sotto forma di analisi di caso peggiore. In particolar modo le
carenze prestazionali (tipicamente focalizzate sulla velocitá di risposta) possono essere concentrate sui
transistor a canale p o su quelli a canale n. Infatti tali dispositivi prevedono diffusioni differenti e sono
pertanto realizzati con maschere diverse. Le variabili che sono maggiormente soggette a fluttuazioni sono
lo spessore dell’ossido di gate, le tensioni di soglia e le dimensioni. Per questi motivi i progettisti cercano di
non sfruttare mai, per il funzionamento dei circuiti analogici, i valori assoluti dei componenti, utilizzando
altresí delle soluzioni basate sul rapporto tra variabili. Allo stesso modo anche le concentrazioni dei
droganti nel substrato e nel canale possono subire variazioni inaspettate, con conseguente fluttuazione
della mobilitá. Dispositivi dello stesso tipo, a paritá di tensioni di polarizzazione, possono portare correnti
differenti.
Tempo di reset
Corrente di reset
(µs)
(nA)
Caso tipico
5.37
370
Worst case power (n-MOS e p-MOS veloci)
5.33
373
Worst case speed (n-MOS e p-MOS lenti)
5.51
360
Worst case one (n-MOS veloci e p-MOS lenti)
5.36
371
Worst case zero (n-MOS lenti e p-MOS veloci)
5.48
363
Nella tabella precedente sono stati presentati tempi di reset differenti per eventi da 35 MeV, a seconda del
caso peggiore considerato. Il circuito di fast reset si é dimostrato robusto nel sopportare le fluttuazioni dei
valori dei propri componenti, garantendo tempi di reset stabili con una variazione massima del 3,3%.
87
Capitolo 6
Layout dell’integrato e prove sperimentali
Il circuito integrato in esame non é stato studiato solamente al simulatore, ma anche realizzato
concretamente. Il dispositivo é stato prodotto in piú versioni da Austria Microsystem in tecnologia CMOS
AMS C35B4C3 350nm. L’azienda ha fornito alcuni campioni giá bondati all’interno del package, oltre ad una
serie di dispositivi da collegare manualmente. I layout che vengono effettivamente tradotti in circuito non
sono esattamente quelli sottoposti. Infatti l’azienda, per motivi legati al processo produttivo, esegue sui
diagrammi forniti degli script definiti “script di post – layout”. Essi provvedono a riempire le aree libere tra i
dispositivi con porzioni di metal o diffusioni in modo da garantire percentuali minime di copertura per ogni
layer della tecnologia. Solitamente queste modifiche sono assolutamente irrilevanti in quanto non
intaccano la fisionomia del circuito. Tuttavia potrebbero generare dei percorsi parassitici di natura
capacitiva tra i nodi dell’integrato, causando in alcuni casi dei malfunzionamenti non previsti in fase di
simulazione.
Sfruttando un chip giá provvisto di bonding, é stato realizzato un box sperimentale in grado di fornire al
dispositivo alimentazioni stabilizzate e di portare all’esterno i segnali di interesse per mezzo di connettori
BNC, con il quale sono stati effettuati i test necessari. L’integrato é stato montato su schedina PCB (figura
6.1).
Figura 6.1 – Immagini della PCB su cui é stato montato l’integrato
88
6.1 – Layout del dispositivo in versione “compatta”
La prima versione del circuito (figura 6.2) prevede quattordici pin di cablaggio e costituisce la versione
“compatta” del dispositivo. Infatti i singoli macroblocchi (preamplificatore, circuito di sense e current sink)
sono giá cablati internamente.
Figura 6.2 – Layout del circuito in versione “compatta”
I 14 pad presentano una disposizione che separa i segnali (fila superiore) dalle alimentazioni (fila inferiore).
Nella fila superiore, procedendo da sinistra verso destra si trovano i seguenti contatti: uscita del generatore
di corrente (Ireset), ingresso e uscita del preamplificatore, uscita (segnale FR) e ingresso positivo del
comparatore, segnale di FR negato e ground.
Nella fila inferiore, procedendo da destra a sinistra, sono collocate le alimentazioni positive dello stadio di
ingresso e di uscita, il primo ingresso per le correnti di bias, ingresso per la resistenza di polarizzazione del
current sink, alimentazione negativa dello stadio di uscita, secondo ingresso per le correnti di bias e, per
finire, alimentazione negativa dello stadio di ingresso.
Le dimensioni totali sono 1000 μm x 340 μm. I pad sono di forma quadrata con lato 95 μm e vengono
cablati con un cavo di diametro pari a 25 μm.
89
6.2 – Layout del dispositivo in versione “estesa”
La seconda versione del dispositivo (Figura 6.3) prevede invece una coppia di pin in piú rispetto al layout
“compatto”. Il suo scopo é puramente sperimentale, in quanto permette di monitorare alcuni segnali
interni che, in condizioni normali di utilizzo, non hanno necessitá di essere visualizzati dall’utente.
I macroblocchi non sono interconnessi: questo permette uno studio separato di preamplificatore,
comparatore e current sink. La loro struttura circuitale non subisce variazioni rispetto alla versione
precedente, ad eccezione di alcuni transistor di protezione aggiunti sulle linee che nella versione compatta
non vengono portate all’esterno.
Figura 6.3 – Layout del circuito in versione “estesa”
I 16 pin sono disposti secondo il medesimo criterio della versione compatta: segnali nella fila superiore e
alimentazioni in quella inferiore.
In alto, procedendo da sinistra a destra, sono collocati i seguenti contatti: corrente di reset (Ireset),
comando di azionamento dello switch, ingresso e uscita del preamplificatore, ingresso negativo e positivo
del comparatore, segnale di FR e di Inhibit.
Nella fila inferiore, procedendo da destra a sinistra si trovano il ground, le alimentazioni positive dello
stadio di ingresso e di quello d’uscita, il primo ingresso delle correnti di bias, l’ingresso per la resistenza di
polarizzazione del current sink, la tensione di alimentazione negativa dello stadio di uscita, il secondo
ingresso delle correnti di bias e, per concludere, l’alimentazione negativa dello stadio di ingresso.
Le dimensioni totali sono 1150 μm x 340 μm. I pad, come nel caso precedente, sono di forma quadrata con
lato 95 μm e vengono cablati con un cavo con diametro pari a 25 μm.
90
6.3 – Layout dei singoli blocchi circuitali
In questo paragrafo vengono presentati i layout dei singoli blocchi circuitali. Si sottolinea che essi non
presentano differenze tra la versione “compatta” e quella “estesa” al di fuori di alcuni transistor di
protezione (non riportati nelle figure).
Current sink
Il primo dispositivo collocato nella parte a sinistra dell’integrato é il current sink: le sue dimensioni sono
circa 240 μm x 60 μm. Al suo interno si possono riconoscere i transistor che compongono lo switch: sono
collocati nell’angolo in alto a destra e caratterizzati da dimensioni ridotte.
Figura 6.4 – Layout del current sink
Preamplificatore
In entrambe le realizzazioni costituisce il dispositivo centrale: le sue dimensioni sono 320 μm x 75 μm.
Come accade in quasi tutti gli amplificatori operazionali, il dispositivo che occupa piú area al suo interno é
la capacitá di compensazione: essa é la figura quadrata di color rosa al centro del circuito.
Figura 6.5 – Layout del preamplificatore
91
Comparatore
Basato anch’esso su un amplificatore operazionale, non presenta la capacitá di compensazione in quanto,
non essendo retroazionato negativamente, non presenta problemi di stabilitá.
Nell’integrato é sempre collocato sulla destra e le sue dimensioni sono 200 μm x 40 μm.
Figura 6.6 – Layout del comparatore
6.4 – Risultati sperimentali
Dopo aver inserito la versione “estesa” all’interno del box sperimentale, sono state eseguite alcune
misurazioni sul comportamento del preamplificatore sia in condizione operativa standard, sia con l’innesco
del circuito di fast reset. Nonostante nel primo caso il circuito abbia dimostrato piena funzionalitá, non
appena si é fatto intervenire il dispositivo di scarica forzata si é manifestato immediatamente un problema.
In seguito ad ogni commutazione del comando di reset il segnale in uscita subiva gravi sbalzi di tenisone.
Questi ultimi erano cosí consistenti da portare il preamplificatore in saturazione passando da un rail di
alimentazione all’altro, con conseguente accensione e spegnimento del fast reset (il quale, intervenendo
una volta, entrava in un ciclo infinito).
La prima interpretazione fornita (rivelatasi poi errata) si concentrava sul transistor PMOS dello switch:
infatti il suo bulk, al posto di essere riferito alla tensione di alimentazione superiore, era stato collegato alla
massa virtuale del nodo di ingresso.
Si ipotizzava che l’instabilitá del sistema in fase di commutazione fosse provocata da indesiderate iniezioni
di carica ad opera di tale transistor attraverso il bulk in seguito alla variazione di carica di canale indotta
dalla tensione di controllo FR.
Per verificare la validitá di tale supposizione sono state effettuate delle simulazioni post – layout: si é
estratto dal layout dell’integrato un nuovo circuito con inclusi tutti i parassitismi dettati dalla sua
conformazione fisica. Il bulk di tale transistor non si é dimostrato iniettante, mentre si é riscontrato un
92
discreto accoppiamento capacitivo (circa 9.35 fF ) tra i pad “Ireset” e “Current In”. Il primo collega il current
sink al nodo di ingresso, mentre il secondo porta il segnale FR allo switch. Tale capacitá in simulazione era
responsabile di piccole iniezioni di carica in corrispondenza del cambiamento di stato del comparatore.
All’interno del package dove é contenuto il dispositivo, i fili di bonding collegati ai piedini possono avere un
accoppiamento capacitivo dell’ordine del pF.
Partendo da questo presupposto si é dedotto che l’instabilitá del preamplificatore in fase di accensione e
spegnimento del fast reset sia provocata da un’iniezione di carica indesiderata sul nodo di ingresso ad
opera del segnale FR per mezzo di un canale capacitivo parassita.
Per valutare le prestazioni effettive del dispositivo é stata aggiunta pertanto una capacitá di
controiniezione, collegata tra il nodo di ingresso e il segnale di fast reset negato (Inhibit).
Il valore della capacitá che permette al circuito di avere un comportamento stabile con una minima
iniezione di corrente in fase di commutazione é 0.8pF, in linea con le dimensioni stimate dei parassitismi.
Sono state pertanto eseguite misurazioni di linearitá del preamplificatore in entrambe le modalitá di
funzionamento (tradizionale e fast reset), i cui risultati sono visibili in figura 6.7.
0.4
0
(5)
(1)
(2)
(3)
(4)
Out [ V ]
-0.4
-0.8
-1.2
(6) (7)
(8)
-1.6
(9)
.......................................
(22)
(23)
Legenda:
(1) to (4) = 2 to 8 MeV, 2 MeV step
(5) to (23) = 10 to 100 MeV, 5 MeV step
-2.0
-2.4
Vcomp [ V ]
0
-1
(5) (6) (7) (8) (9)
.......................................
(22)
(23)
-2
-3
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Time [ µs ]
Figura 6.7 – Risposta del preamplificatore ad eventi simulati nel range 2 MeV – 100MeV
93
Come si puó osservare, il preamplificatore presenta un’ottima risposta lineare in entrambe le condizioni di
funzionamento. Di seguito riportiamo un grafico dei tempi di reset in funzione della carica iniettata nel
preamplificatore. La linea continua rappresenta un fit lineare dei dati a disposizione. Gli errori relativi sono
riferiti allo scarti da tale retta.
0.002
Reset velocity ~ 12 MeV / µs
8
Measurement
Linear fit
0.001
0
4
y-axis read
y-axis read
2
Relative error
Reset time [ µs ]
6
-0.001
EGe [ MeV ]
10
0
20
30
40
50
60
70
80
90
100
-0.002
0
1
2
3
4
5
Charge [ pC ]
Figura 6.8 – Curva energia – tempo ed errori relativi
L’errore relativo nella fascia energetica 10 MeV – 100MeV non supera mai una parte su mille.
Questi dati sono la conferma definitiva che il dispositivo di fast reset non costituisce solamente un mezzo
per desaturare velocemente il preamplificatore, ma anche un valido strumento per estendere il suo range
energetico di un fattore 10.
Ovviamente il sistema é estremamente lineare anche nella modalitá di funzionamento tradizionale: tuttavia
l’aspetto piú interessante é quello di riuscire ad ottenere misure accurate e lineari dell’energia di un evento
anche quando il segnale di uscita é completamente distorto.
Come giá accennato nei capitoli precedenti, quando un preamplificatore entra in saturazione, il tempo
morto é molto piú lungo del tempo caratteristico dettato da RFCF.
Nella prossima figura si mostra una simulazione nella quale il dispositivo di fast reset viene spento, e si
valutano i tempi morti in attesa del recupero dalla saturazione.
L’analisi é stata eseguita con CF = 0.4pF CTEST = 1 pF e CDET = 16pF.
94
Figura 6.9 – Segnali in uscita con dispositivo di fast reset disattivato. Gradini di tensione in ingresso da 0.2V
(segnale piú piccolo) a 2V (segnale piú grande e saturato) / Passo costante 0.1V
I segnali fortemente saturati impiegano molto tempo per tornare alla baseline.
Ipotizziamo ora di considerare solamente i rami esponenziali di tali curve, trascurando la componente
saturata. Supponiamo inoltre di avere a disposizione un preamplificatore a dinamica pressoché infinita.
Interpolando le curve si ricavano le ampiezze originali di quei segnali (del tutto teorici) di cui le nostre curve
costituiscono la coda. Nel grafico seguente si presenta, per ogni ampiezza di segnale in ingresso nel
preamplificatore reale, l’ampiezza del segnale teorico immesso in un preamplificatore a dinamica infinita
35 il medesimo tempo per raggiungere la tensione di baseline.
che impiegherebbe
30
Equivalent input voltage [V]
25
20
15
10
5
0
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
4
Input voltage [V]
Figura 6.10 – Grafico Input voltage – equivalent input voltage
95
4,5
I dati in blu sono relativi a segnali in condizione lineare, mentre quelli arancioni provocano saturazione.
Come si puó notare dal grafico precedente, piú l’energia del segnale in ingresso aumenta, piú il tempo
morto diventa un problema rilevante, in quanto la relazione tra l’energia di un evento e il relativo tempo
morto non é lineare.
Il dispositivo di fast reset, in quest’ottica, costituisce una brillante soluzione al problema.
Nell’immagine seguente si mostra il comportamento del circuito caso di segnale grande immediatamente
seguito da segnali piú piccoli.
Test in [ V ]
2
1
(1)
(2)
(1)
(2)
(3)
0
Out [ V ]
0
-1
(3)
-2
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
20
Time [ µs ]
Fig. 6.11 – Effetto di riduzione del tempo morto: i segnali (2) e (3) da 1 e 2 MeV non sono più oscurati dal
segnale (1) da 40 MeV che è decine di volte più grande
Nella simulazione un segnale a gradino in ingresso impiegava 500 μs per uscire dalla saturazione e piú di
1ms per tornare alla baseline. Al contrario il dispositivo di fast reset é stato in grado di riportare il sistema in
condizione operativa in 6μs, permettendo al preamplificatore di leggere perfettamente segnali molto
piccoli solamente 8μs dopo.
La linearitá del preamplificatore é garantita anche per misurazioni acquisite immediatamente dopo una
forte saturazione: nella figura successiva si mostra il segnale di output ottenuto facendo seguire, a un
gradino di tensione in ingresso di 2V, una serie di impulsi di ampiezza minore (il loro valore é riportato in
legenda):
96
0,25
Tensione di uscita [V]
-0,25
0,054 V
0,108 V
0,162 V
0,216 V
0,270 V
0,324 V
0,378 V
0,432 V
0,486 V
-0,75
-1,25
-1,75
-2,25
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
Tempo [us]
Figura 6.12 – Segnale di output del preamplificatore: Cin=1pF CDET = 16pF CF=0.17pF
Primo gradino di tensione in ingresso: 2V
I valori del secondo gradino sono riportati in legenda
Come si puó notare il sistema risponde con eccellente linearitá a piccoli segnali nonostante sia appena
uscito dalla condizione di forte saturazione. Nel grafico sottostante riportiamo il fit lineare e relativa
correlazione per il set di dati relativo al secondo impulso.
Figura 6.13 – Fit lineare della risposta del dispositivo per piccoli segnali
97
Conclusioni
Il dispositivo, che giá mostrava la sua funzionalitá in fase di simulazione, nella sua realizzazione concreta é
dotato di ottime prestazioni. La linearitá del preamplificatore in modalitá tradizionale é elevata, ma non
costituisce di per sé una forma di innovazione. Al contrario il range – booster, che opera in una fascia
energetica da 10MeV a 100MeV, riesce a coniugare un’elevata linearitá alla capacitá di riduzione dei tempi
morti di almeno tre ordini di grandezza (dal millisecondo al microsecondo).
Futuri sviluppi prevedono l’integrazione totale del dispositivo. Ció comporta la sostituzione del primo stadio
a JFET con una struttura CMOS.
La resistenza di feedback da 1GΩ, per poter essere integrata, richiederá un lavoro di ricerca approfondito,
in quanto essa dovrá essere sostituita da un’architettura circuitale a transistor che abbia caratteristiche
elettriche equivalenti e dotata di elevata linearitá e ampio range di funzionamento.
Si prospetta una futura applicazione del dispositivo a sistemi di rivelatori con molti canali come i pixel
detector, per i quali le soluzioni a componenti discreti non costituiscono una soluzione ottimale.
98