In Italia la scuola statale è sempre

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Bellerofonte
Anno IX, Numero 1 (2007), 5–6
IL LAICISMO
Laicismo significa “indipendenza dei cittadini dal potere ecclesiastico”.
In Italia la scuola statale è sempre stata in concorrenza con la scuola confessionale cattolica. Dall’espulsione dei Gesuiti dagli Stati preunitari inizia la storia del laicismo in Italia. L’ala più radicale è costituita dalla tradizione “anti–concordatoria”. C’è poi la tradizione moderata legata alla
formula di CAVOUR della libera Chiesa nel libero Stato.
Il liberalismo seguiva la concezione di Giordano BRUNO, per cui la filosofia è la religione dei dotti e la religione è la filosofia del popolo. Tale
liberalismo accettava le restanti istituzioni educative della Chiesa. I positivisti furono maggiormente schierati in difesa della laicità dello Stato e
del suo sistema scolastico. Sopra tutto, dopo la svolta parlamentare della
Sinistra storica prevalse la corrente che abbiamo definito “anti–concordataria”. L’insegnamento della religione fu ostacolato, senza essere radicalmente soppresso, come è avvenuto nella Russia sovietica.
Né d’altra parte l’Italia seguì la strada e l’ideologia di paesi europei
come il Belgio, dove esiste una massiccia presenza di scuole private
cattoliche, finanziate con denaro pubblico. L’“anti–laicismo” vorrebbe
una scuola privata con finanziamento pubblico. Ciò in Italia per motivi
giuridici non è possibile. Cosicché soltanto il 10,2% degli allievi frequenta, in media, una scuola privata secondaria in Italia. Il rafforzamento della scuola pubblica dipende dalla volontà dei genitori. Di solito, i genitori continuano a scegliere la scuola pubblica e non solo per
motivi di scelta ideologica, ma anche e non da ultimo per motivi economici. Del resto la scuola privata non è interessata a far concorrenza
allo Stato italiano.
Nella società democratica attuale la laicità è caratterizzata dalla mentalità pluralistica. Le teorie filosofiche sono presentate nel loro carattere ipotetico. Il materialismo storico era l’ideologia ufficiale dello Stato sovietico. Negli Stati democratici europei nessuna teoria è imposta come “assolutisticamente” dominante; anche i filosofi cattolici (Rosmini e Gioberti
per es.) vengono spiegati e discussi, ma non imposti alle coscienze. Tale
storicismo (o indeterminismo speculativo) ha conquistato le stesse scuole
private, secondarie e universitarie. Cosicché la cultura laica penetra nella
stessa area confessionale, benché gestita con criteri privatistici.
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Giorgio Vuoso
Nella scuola confessionale, la religione è a fondamento dell’insegnamento. Ma la storia della filosofia moderna è insegnata. La sociologia
viene discussa, benché con la pretesa di contrastare il progressivo allontanamento dalla verità stabilita dalla fede.
Nella scuola pubblica tutte le teorie hanno diritto di cittadinanza, comprese le dottrine teologiche di qualsiasi provenienza. Da ciò deriva l’atmosfera di libertà che attrae tutti gli studenti, laici e cattolici, nonché gli
studenti di altre confessioni religiose e di tutti i continenti. Per gli studenti non è soltanto una scelta economica, ma è sopra tutto una scelta di
libertà.
L’indottrinamento, inteso come insegnamento ideologizzato, può esservi anche nella scuola pubblica. Ma è contrastato dalla presenza di docenti di differente formazione. Nella scuola privata, può esservi insegnamento libero, ma è soffocato dall’atmosfera di indottrinamento. Comunque, lo
Stato italiano laico concede la libertà di scegliere la scuola che meglio si
addica alle caratteristiche personali, dogmatiche o anti–dogmatiche, purché non si venga a dire che il vero laicismo è il dogmatismo. Tale argomentazione non convince nessuno che sia sinceramente laico.
Giorgio Vuoso
Bellerofonte
Anno IX, Numero 1 (2007), 7–22
GNOSEOLOGIA ED ESTETICA IN FRANCO LOMBARDI*
Nel febbraio 1957 il prof. Franco Lombardi, il cui centenario della
nascita è caduto il 28 giugno 2006, mi accolse tra i suoi allievi come studente — ancora tale ero — ‘interno’ all’Istituto di Filosofia che Egli dirigeva, rimanendo poi suo Assistente fino al novembre 1968. Questi undici
anni furono per me ricchi di stimoli, insieme umani e intellettuali, trovando nella sua filosofia ciò che poteva dare architettonica e profondità a pensieri, per un verso slegati e per un altro improvvisati, che crescevano in me
dal tempo del liceo. Da allora ho percorso molti altri sentieri — non strade maestre, ma tratturi incerti nella densa vegetazione boschiva, quasi
degli Holzewege — però sempre con me ho recato certi punti fondamentali costituenti l’importanza e la novità del suo pensiero, particolarmente
quelli concernenti il problema della conoscenza, perché ho sempre creduto che prima di affrontare un particolare contenuto, io debba verificare la
mia possibilità di conoscerlo e quindi di poterne far parola. ‘Come è possibile…?’: la domanda kantiana della prima Critica e dei Prolegomeni è
l’ineludibile domanda fondamentale di ogni filosofia che si ponga il problema della possibilità delle proprie affermazioni, ma è anche la domanda
fondamentale del filosofare lombardiano. E proprio questo problema vorrei in primo luogo affrontare nel ricordare il pensiero del mio antico
Maestro.
E. Garin riporta approvandole, nelle Cronache di filosofia italiana
(Laterza, Roma 1955, p. 189), le parole che Franco Lombardi scriveva a
proposito di Croce e Gentile nel 1952: “Destinati nel tempo che già
discende su di loro, ad essere ravvicinati sotto la volta di una comune dottrina”, essendo in Italia questa comune dottrina rappresentata da quello
sfondo di trascendentalismo, cui si rifaranno non solo, e ovviamente, i
pensatori del neoidealismo, ma anche quei cattolici ai quali non era più
sufficiente la temperie neoscolastica. Ma questo spiritualismo che certamente l’Autore non accettava — e la sua prima opera di rilievo, nei due
volumi del 1935, porta l’indicativo titolo Il mondo degli uomini — conteneva quello che l’Autore stesso definisce “il principio della gnoseologia
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Relazione, con alcune aggiunte, letta a Roma il 13 giugno 2006 all’Accademia
dei Lincei in occasione del Memorial Lombardi.
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Giovanni Rocci
moderna” (p. 145. Tutte le citazioni sono tratte da F. LOMBARDI, Filosofia
e civiltà di Europa, I, Istituto di filosofia della Università, Roma, 1972) e
che per la prima volta fu avanzata da Immanuel Kant.
Contro l’idea, di origine platonico–aristotelica, di una verità “in sé,
prima e indipendentemente dal pensiero dell’uomo” (p. 41) — e questo è
il concetto di ‘oggettivismo in gnoseologia’ — l’Autore pone il principio
nuovo avanzato da Kant secondo cui l’umana esperienza non ha il suo
fondamento su principi a priori rispetto a colui che la pensa, ma “si regge
e sussiste solo sul principio sintetico o relazionale del pensiero nostro,
cioè in quanto noi interveniamo, in forza e per la forza del principio sintetico o relazionale del pensiero, a costruire l’esperienza” (p. 41). Questo
principio nuovo viene però stravolto nel senso che in Kant la struttura del
giudizio, secondo Lombardi, costituisce un a priori, sia pure trascendentale, rispetto alla realtà, per cui la validità della conoscenza è per modum
cognoscentis, legata alle modalità del soggetto e dunque fenomenica: “Se
noi ora formiamo l’esperienza sulla base di quei concetti e principi che
sarebbero in noi, […] è chiaro che una simile esperienza non potrà ritenere validità se non nell’ambito di quello stesso pensiero dell’uomo dai cui
principi e concetti soggettivi essa discende” (p. 143. Cfr. pp. 59, 142–4).
Contemporaneamente e parallelamente, la reazione contro il Valore e la
Verità assoluti porta a “decretare la fine della Verità o del Valore che si
dicevano assoluti in quanto si assumevano come absoluti o distaccati dalle
circostanze di tempo e di luogo, ma con ciò credono anche di decretare la
fine di ogni verità e di ogni valore” (p. 44): per mezzo secolo l’intera opera
dell’Autore sarà tesa a riconfermare la possibilità di una conoscenza
‘vera’ della realtà da parte del pensiero dell’uomo, perché “non ha senso
parlare di verità, e perciò di nessuna verità e di nessun ‘criterio’ della verità, se non si intende che, ad assicurarsi della verità, deve essere il pensiero, cioè debbo essere io, in quanto vedo, esperimento, mi assicuro, ecc.,
che ‘questo è vero’ (verità non essendo: ‘A’ bensì essendo: ‘A=A’)” (p.
226). In questo senso la parola è il vertice di quel cono bergsoniano, la cui
base è costituita dalla totalità dell’esperienza dell’individuo, ed è appunto
essa a costituire, nella criticità del soggetto, il riconoscimento della verità
dell’oggetto.
La verità nasce così dall’esperienza storica, psicologica e biologica dell’individuo, esperienza sempre in situazione, una verità frutto della “attività riflessa del pensiero discorsivo o parlato, [che] non costituisce infatti
Gnoseologia ed estetica in Franco Lombardi
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se non un’isola piccolissima nel grande mare oscuro della vita” (pp.
271–3). In questo senso la verità — che vive nella parola che si sta pronunciando (pp. 34–5) — è sempre personale, è interpretazione personale
della realtà, basata sulla criticità del soggetto e coerente, quanto possibile,
con la situazione quale essa si mostra e con le altre eventuali interpretazioni (pp. 220, 227. Per la verità come ‘crisi’ cfr. pp. 185–6 e per la criticità interna al pensiero cfr. pp. 36–8). Vediamo come.
La storia della filosofia, da Kant in poi, è stata un progressivo cammino, culminato nel ‘nuovo idealismo italiano ‘, affinché “si riconducesse il
peso ed il centro della considerazione filosofica nel soggetto e l’individuo,
nato di donna, se si vuole intanto cominciare con l’intendere la storia in
quanto è fatta dagli uomini” (p. 47). Da qui scaturisce il principio della
gnoseologia moderna — inaugurato, come si è visto, da Kant —– che
nell’Estetica di Croce e particolarmente nella Teoria generale dello
Spirito di Gentile trova la sua ultima affermazione, ma insieme la sua
negazione, perché lo Spirito o il Soggetto universale diventa l’unico attore di “quel pensiero in atto, in forza del quale si giudica e non si può non
giudicare di tutto ciò di cui si parla. In forza del quale, anzi, è solo possibile parlare di tutto, che non sussisterebbe neanche per noi, se non ci fossimo intanto noi a parlarne e a giudicarne” (p. 61).
Nella disputa che la filosofia italiana viveva tra le due guerre, la posizione lombardiana è quella del realismo, cui si può aggiungere la connotazione di ‘critico’: il realismo
afferma l’esserci di una realtà che spetta all’uomo di conoscere, e, per quanto a lui
è dato, di trasformare. […] Il compito della filosofia si faceva con ciò quello, non
già di fissare una volta per tutte, e quasi fuori del tempo, il concetto del Bello, del
Buono, del Vero, […] bensì di fornirci il concetto […] dei fatti e di ogni fatto che
si produca nella nostra storia di tutti i giorni (p. 46).
E poco prima aveva chiarito che con Croce e Gentile si era avanzata
“l’esigenza di un concetto, filosofico, che possa renderci conto di tutta e
l’infinita storia, facendosi il concetto — universale e con ciò attuale — di
ogni e qualsiasi positivo fatto, a volta artistico, politico, ecc., senza che
tuttavia si identifichi con nessuno” (p. 46).
Ciò contro cui Lombardi combatte tenacemente, fino agli ultimi anni
del suo cammino filosofico, è l’equivoco per cui la ‘realtà’ (materiale e
oggettiva) viene identificata con la ‘verità’ (atto del pensare e dunque sog-
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Giovanni Rocci
gettivo): fuori del pensiero esiste una realtà strutturata, ma il riconoscimento di questa realtà e del suo modo d’essere, la struttura, è proprietà del
giudizio, vale a dire del pensiero dell’uomo, che dovrà “conquistarne il
concetto attraverso quel processo di una sensata o piuttosto ragionata
esperienza” (p. 116). Scrive l’Autore:
Quale che sia la costituzione in re della natura, ciò che importa è che nulla noi
possiamo pensare, se non ci facciamo a pensarlo noi, in forza e sulla base del
nostro pensiero. Ciò che tuttavia non implica l’‘imposizione’ da parte del soggetto, di leggi o di principi ‘suoi’, apriori, in funzione dei quali l’esperienza nostra si
atteggerebbe come ‘soggettiva’ in un significato negativo del termine (p. 141),
cioè nel significato fenomenistico. E ancora:
La natura era prima del pensiero dell’uomo secondo la dimensione dell’esserci o
del sussistere; non lo è viceversa, in quanto ‘concetto’ della natura, secondo la
dimensione della verità o del pensiero. Però è soltanto in forza e per la forza del
pensiero critico che noi siamo in grado di renderci conto di ciò che è, e perciò
anche di ciò che era prima che comparisse l’uomo (p. 461).
Lo snodo sottile del pensiero dell’Autore è nel rapporto tra realtà e
verità: la prima (la realtà) è in sé, nell’autonomia dei suoi modi d’essere e
indipendente dal pensiero, la seconda (la verità) è costituita dall’atto sintetico del pensiero che coglie tali modi d’essere e ‘a ragion veduta’ li riconosce ‘essere così’ e dunque li riconosce ‘veri’. È qui da sottolineare fortemente la dimensione ‘umanistica’ del concetto lombardiano di ‘verità’:
poiché il pensiero procede sempre ‘per ignes’, nulla può garantire i suoi
giudizi per sempre e assolutamente ma, secondo il principio cibernetico
della ‘scatola chiusa’, “nessuno sta, come si dice, dentro la cosa, per modo
da poter garantire una sicurezza al cento per cento dei nostri criteri interpretativi” (p. 422). Per cui “la coerenza o la coesione della nostra immagine e rappresentazione del mondo è il criterio della verità di essa. […]
Reale è di qui, abbiamo detto, ciò che si dimostra come possibile nel quadro della nostra esperienza totale” (pp. 225, 383), e se tale coerenza viene
meno si deve o sottoporre a verifica la nuova esperienza, o riformare i
principi o negare che nel mondo vi sia coerenza (Cfr. pp.
31,380–1,383–4). Se ‘a ragion veduta’ — quindi con ogni mezzo disponibile di prova, attestazione e controllo — ci si rende conto che i fenomeni
vanno in un certo modo, è da riconoscere che quello è il loro oggettivo
Gnoseologia ed estetica in Franco Lombardi
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modo d’essere, finché qualcosa non interverrà a far riconoscere un modo
d’essere più appropriato e congruo. Si potrà obiettare: ma ciò riguarda
solo il pensiero dell’uomo! E di quale altro pensiero si potrebbe parlare?
— risponderebbe Lombardi!
Se questi sono il significato e i limiti della conoscenza, quale sarà allora il valore del pensiero e del concetto? Il “pensiero razionale ed apriori
[…] sta […] nella immaginazione dei filosofi del concetto puro” (p. 30) è
la lapidaria apertura dell’Autore, perché “ogni pensiero in tanto è tale in
quanto è o si fa centro di un’esperienza, che in esso si raccoglie ed illumina. Il pensiero, è esperienza” (p. 409). Il pensiero nasce dalla totalità dell’esperienza psicobiologica dell’individuo, il processo del pensare è il processo stesso della vita che dalla dimensione silente dei vissuti profondi (la
base del cono bergsoniano) si incentra nel vertice del cono rappresentato
dalla parola che costituisce l’unificazione ‘al possibile’ — quindi non
metafisica! — dell’umana esperienza dell’individuo.
Mentre si può intendere “più specificamente ‘oggettivismo’ quel
principio gnoseologico per il quale si vorrebbe ricondurre il criterio
della verità nella realtà secondo che essa è in sé, prima e perciò senza
del pensiero” (p. 106. Per l’oggettivismo in gnoseologia, cfr. pp. 108,
114, 149), per il principio ‘positivo’ della gnoseologia moderna seguita
a Kant, la verità sarà da ritrovare nel pensiero quale mediazione, attraverso il giudizio, tra l’oggetto ‘A’ e ciò che è riconosciuto ed affermato
appunto come tale oggetto ‘A’: non A è la verità, ma A=A, “riconosciuto con ciò nella mediazione del pensiero” (107. Cfr. pp. 115–6).
Torniamo con ciò ancora al ‘principio della gnoseologia moderna ‘, vale
a dire al “concetto di una verità critica, la quale vive della libertà del
pensiero e riconferma sulla base di una tale libertà critica il valore di
verità del pensiero” (pp. 232–3). In questo senso “di tutta l’esperienza
che mi si presenta dinanzi non posso essere che centro e principio io, se,
a pensarla, devo essere io” (p. 149). Proprio per questa forza germinale,
‘autocritica’ (p. 173), del pensiero, nella libertà delle sue scelte, “ciascuno di noi porta su di sé sempre il peso del mondo” (p. 48), perché il pensiero non si muove nella stratosfera dei concetti puri, ma continuamente si confronta con il peso della realtà e ne rappresenta la conoscenza
nella misura in cui riesce a stringerla nel giro del suo giudizio. La verità non solo è adaequatio intellectus et rei, come “concetto adeguato […]
nei confronti della realtà medesima” (p. 230) — ‘realtà’ o ‘essere’ che
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Giovanni Rocci
non avrebbe senso alcuno dedurre, ma che semplicemente ‘è’ (cfr. pp.
237–8): questa è la dimensione umanistica e non teologale del pensiero
di Franco Lombardi! — ma tale rapporto tra pensiero e realtà non è mai
e in nessun modo garantito auf immer, bensì la “verità […] è tale ‘in
quanto e fino a quando’ essa venga convalidata dal nostro pensiero critico, e in ultima analisi da ciò che si dice l’esperienza” (p. 442), è “la
verità dell’uomo” (p. 445).
È stato inevitabile, trattando il tema ‘pensiero’ di usare anche il termine ‘concetto’, ma quale valenza filosofica esso ha, secondo l’Autore?
Qual’è il suo quid iuris? Se non ha senso parlare di un pensiero puro,
apriori, allo stesso modo non ne avrà il parlare di un concetto puro, apriori, ma esso, identificato con la parola — e tale identificazione è resa possibile dall’essere ambedue la sintesi, su piano mentale l’uno e linguistico
l’altra, della varia esperienza individuale — rappresenta il coagulo critico
dell’esperienza psicobiologica dell’individuo:
Nel formulare anche la più semplice delle parole [… in essa] converge e si riflette l’intero mondo della nostra esperienza potenziale e insieme ciò che possiamo
dire del nostro mondo memoriale, cioè l’intero giro delle nostre esperienze passate, e di ciò che abbiamo visto ed udito, i nostri giudizi antefatti, o i nostri pre–giudizi, bensì anche ciò che altri potrebbe eventualmente obiettarci e che noi in pensiero ci obiettiamo già (p. 35. Cfr. pp. 70, 183, 283–4).
Il concetto così formulato, di volta in volta, sembra essere quello ‘più
adeguato’ alla situazione e in questo senso è un concetto ‘vero’, cioè un
concetto ‘oggettivo’ (cfr. p. 99), come è ‘vera’ la sensazione, non in quanto riflessa sullo specchio che dovrebbe esser costituito dal soggetto, ma
perché prodotta dalla forza autocritica del pensiero che ‘inside’ nella sensazione stessa, che è quindi interpretazione e non rispecchiamento (cfr. pp.
189–90). Se la gnoseologia oggettivistica “trasmuta la validità concreta
della parola […] con le universalità morte di un concetto logico […] che
dovrebbe essere nell’individuo, senza essere tuttavia dell’individuo” (pp.
186, 38. Cfr. pp. 54–55), questa nuova concezione del concetto come
interpretazione, lo radica nella libertà, ma una ‘libertà pesante’, non quella di un puro spirito e di una adamantina razionalità, ma di un organismo
strutturato in un certo modo e che è in una certa situazione, anzi che ‘è’
quella situazione:
Gnoseologia ed estetica in Franco Lombardi
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Più specificamente parliamo di una libertà pesante, nel senso che io devo sollevare quasi con uno sforzo, come una coltre pesante, l’intera condizione umana
della mia stanchezza e delle preoccupazioni o delle paure consapevoli ed anche
di più di quelle inconscie, per formulare sia pure una sola parola, che sia perspicua (p. 71).
Il ‘concetto oggettivo’ sarà allora il ‘concetto più adeguato della cosa’:
‘il concetto vero’, “in quanto esso riassume in sé le opinioni diverse e fra
loro discordanti, esso si pone come il concetto più adeguato —o come il
concetto adeguato — del reale, e, in questo senso, come il concetto v e r
o; ciò che vale lo stesso: come un concetto oggettivo” (pp. 100, 101 n.).
Il concetto, nell’unica forma in cui i ‘nati di donna’ possono parlarne,
nasce dalla dimensione organica propria del vivente, “un organismo che
vede, sente, e pensa per così dire — nel vedere — con i moti del nostro
cuore, anzi di tutto il corpo nostro, prima ancora di passare a giudicarne
attraverso i giudizi espliciti o discorsivi della parola” (p. 199). Il pensiero
ha una ‘germinale o riposta sapienza’, una ‘intelligenza profonda del vivere’ (cfr. pp. 178, 381–2),
un’intelligenza più ampia o diversa da quella dell’intelligenza discorsiva o per
parole. Al di sotto della razionalità del pensiero parlato, anzi come sottostante ed
identica con quella razionalità stessa, vi è una intelligenza più profonda, che ritorna nel processo stesso del mio cervello e tutt’insieme del mio pensare, così come
è tutt’insieme il movimento delle labbra e del respirare, anzi dell’organismo tutto
(pp. 50–1. Cfr. pp. 71–2).
La posizione lombardiana è estremamente importante perché apre la
via al riconoscimento delle diverse psicologie del profondo e delle dimensioni ulteriori che esse sottendono. Una via, però, che l’Autore non ha mai
voluto percorrere.
Questi ultimi richiami alla dimensione biologica e psicologica dell’uomo rinvierebbero all’esame del rapporto del pensiero dell’Autore con la
conoscenza scientifica, rapporto intensificatosi particolarmente negli ultimi due decenni della ricerca lombardiana, ma che qui si può delineare solo
con rapidi cenni. Il compito della riflessione critico–filosofica è agire “non
più in disaccordo, bensì di conserva con la moderna indagine
scientifico–positiva” (p. 52). Se il primo approccio del soggetto con la
realtà, tramite la sensazione, si risolve in un quadro ancora incoerente dell’esistente, il pensiero scientifico riconduce questo quadro sotto un concet-
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Giovanni Rocci
to unico che vale quale conoscenza del mondo. Il “dubbio sulla verità di
quel sapere stesso e di ogni sapere”, il pensiero che si riflette in sé stesso
“per cercare le ragioni o il fondamento” di ogni sapere, è la filosofia (p.
213; cfr. p. 217). Laddove la scienza tende “verso la periferia dell’esperienza e dei fatti”, la filosofia va verso un “ripensamento per così dire centripeto della nostra esperienza” (p. 381; cfr. p. 409): essa è la dimensione
critica del pensiero che si pone il problema del suo proprio fondamento.
Così il filosofo “fornisce […], con l’analisi e la giustificazione dei concetti che adoperiamo nella nostra vita di ogni giorno, la base e la giustificazione critica del discorso che avanza lo scienziato, lo storico ed il sociologo, o l’uomo morale ed il politico” (p. 83; cfr. pp. 96–7).
Si giunge così all’ultimo fondamentale snodo della riflessione lombardiana in gnoseologia: se pensiero e concetto nascono sempre e soltanto
dall’individuo nell’irripetibilità della sua esperienza del mondo e degli
altri, non significherà allora che ogni esperienza è conoscenza dell’oggetto secondo la prospettiva tutt’insieme culturale, psicologica e biologica
del soggetto, entrando così in una prospettiva relativistica o addirittura
scettica? L’Autore ha sempre fortemente e decisamente rifiutato una simile conclusione, giustamente, perché pensare il ‘relativo’ è possibile solo se
insieme si pensa l’‘assoluto’. Ma qui vale la domanda kantiana ‘Come è
possibile?…’. Infatti “se fosse possibile di ricevere della realtà in sé anche
una sola nota e sensazione, senza che vi sia intervenuto ancora, con la sua
propria criticità, il soggetto, è chiaro che quella sarebbe l’oggettività, per
così dire, oggettiva” (p. 191), ma ciò significherebbe essere ancora prigionieri dell’oggettivismo gnoseologico, mentre il principio della gnoseologia moderna, comporta che la conoscenza sia la scintilla dell’arco voltaico i cui elettrodi sono l’individuo e la realtà. “In questo modo vi sono nel
mondo le molte verità, o, per meglio dire, i molti e diversi pensieri dei
molti e infiniti uomini. E, tuttavia, vi è ciascuna volta il pensiero solo in
forza del quale non posso non pensare e giudicare tutto” (p. 73). La molteplicità e diversità dei pensieri significa che della verità ha senso parlare
solo come risultato quintessenziale dell’esperienza individuale, da riproporre sempre a prova nel confronto con la realtà e con gli altri. Verità è ciò
che, a ragion veduta e con argomentazioni che si stimano probanti sembra
essere, appunto, ‘vero’: oltre non è possibile andare! Sarebbe a questo
punto inevitabile un conflitto delle verità nella loro molteplicità, con la
conseguente domanda quale possa essere il criterio di scelta tra di esse, e
Gnoseologia ed estetica in Franco Lombardi
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soprattutto il criterio di scelta del criterio, ma appunto questa domanda
esula dall’umanismo positivo dell’Autore.
Prima di concludere questa rapida presentazione del pensiero lombardiano sarà opportuno considerare anche la sua prospettiva estetica, abbastanza strettamente legata alla sua gnoseologia (a tal proposito si prenderà qui in considerazione, con la sigla AI, il volume F. LOMBARDI, Aforismi
inattuali sull’arte, Firenze, Sansoni, 1965).
Innanzi tutto, qual è il compito della filosofia di fronte all’arte, del concetto di fronte alla forma? Mentre la prospettiva storico–sociologica prende in considerazione una singola opera nell’ambito di una specifica società e cultura, e parimenti la critica d’arte o l’ideale artistico —la ‘poetica’
dell’artista!– esprimono il modo d’essere di un artista o di un’opera, la
considerazione filosofica deve esser tale da render ragione di ogni opera
d’arte (AI, 20; cfr. 15, 59–60). In forza della sua filosofia, che si è vista
esprimere, nel modo più forte, la centralità dell’individuo nell’atto del
pensare, in cui si attua l’intera base esperienzale psico–biologica dell’individuo, l’Autore rifiuta polemicamente la filosofia crociana dei ‘distinti’.
Non ha senso parlare di un ‘pensiero’ come separato dalla ‘volizione’ o
dall’estetica (AI, 19–20), di una facoltà ‘poetica’ separata da un pensiero
‘razionale’, bensì nella considerazione unitaria dell’opera cambia il punto
di vista dal quale questa è considerata, se da quello espressivo o da quello del suo contenuto di verità: nel primo caso la considerazione si limita
al rapporto forma–contenuto nella sua individua particolarità cui tale rapporto è indissolubilmente legato, nel secondo, invece, la considerazione si
puntualizza attuandosi in un concetto che valga per quella molteplicità di
significati storicamente particolari che lo stesso concetto sottende (AI, 23,
120). Come si è già visto, unica è la verità cui l’uomo tende, pur nella molteplicità indefinita degli infiniti pensieri umani, quella verità per cui il pensiero afferra, a ragion veduta, che la ‘cosa’ è così e non altrimenti, mentre
molteplici sono le rappresentazioni dell’arte, perché molteplici sono i
‘sentimenti del vivere’ che esse sottendono (AI, 119), anche se il gusto
personale può far tendere verso l’una anziché l’altra:
In quanto ci indirizziamo a ricercare il vero, tendiamo a raggiungere un concetto
nel quale si possono unificare i pensieri e discorsi diversi degli uomini, e che
tende perciò a enuclearsi, come il concetto di ciò che è la verità, di contro a quelle espressioni diverse. Perciò l’arte tende a identificarsi con l’espressione, e il pensiero che si dice logico tende a distaccarsi dall’espressione individua in quanto
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Giovanni Rocci
tale, o a distinguersi dalle molte espressioni, come il concetto di ciò che è vero
(AI, 119–20).
Tenendo sempre presente che, sia nell’opera di poesia che di pensiero,
“tanto vi ha di pensiero, quanto vi ha di espressione, e viceversa” (AI, 120).
Forti critiche vengono rivolte da Franco Lombardi al crociano ‘nesso
dei distinti’: l’attività spirituale dell’individuo è, gentilianamente, un
‘fatto in sé unico’, che va però considerato sotto prospettive diverse e,
nella fattispecie, sotto “l’angolo visuale dell’arte” (AI, 15): non esistono il
pensiero, l’arte, la volontà, “bensì esiste la volontà unica dell’individuo
che può dirigersi nel senso di ciò che diciamo arte” o nel senso della verità, dell’azione, ecc. (AI, 15–16). L’arte non è immediata, in quanto
pre–logica, intuitiva, scrive l’Autore, ma lo è nel senso che “per la poesia
noi non vogliamo se non esprimere quel nostro sentimento fondamentale
del vivere o fermare una nostra immagine o rappresentazione del mondo,
che perciò anche si ferma in sé stessa”, laddove, nella ricerca della verità,
la proposizione dello scienziato o del filosofo non vale nella sua espressione immediata, ma per ciò che essa significa, e nei suoi rapporti con il
pensiero degli altri (AI, 23–4; cfr. 33–4n., 56, 123–4). Insomma, il punto
da tenere fermo nel giudizio estetico, — ma anche in ogni tipo di giudizio! — è sempre l’individuo che, nei vari atteggiamenti esistenziali permessi dalle sue potenzialità psico–biologiche (arte, morale, conoscenza,
religione, …), impegna sempre l’unità in atto (il riferimento a Gentile è
voluto!) della sua vita psichica, ma secondo la prospettiva del particolare
atteggiamento coinvolto di volta in volta.
Cos’è dunque l’arte? “L’arte è il vagheggiamento di quel sentimento
fondamentale del vivere di cui è intrisa ogni nostra giornata, […] senza
altro scopo o finalità della rappresentazione di esso e del nostro godimento in questo stesso rappresentare” (AI, 16; cfr. 56–7, 119), essa è l’interpretazione di quel “mondo di relazioni e di vibrazioni” nel quale l’uomo è
immerso (AI, 38). Gli stati d’animo e il sentimento del vivere, che “appare […] infuso e calato nella varia giornata del nostro vivere”, nell’arte è
‘gustato’ non riguardo al vivere “bensì per il puro gusto di un tale sentimento per sé stesso preso ed espresso, e perciò con riferimento all’espressione in quanto tale” (AI, 119). Però non è il sentimento del vivere nella
sua aurorale immediatezza, ma è, quella dell’arte, una vita in qualche
modo innaturale, ove l’uno o l’altro dei sensi (vista, suono, tatto…) viene
Gnoseologia ed estetica in Franco Lombardi
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tratto fuori dalla sua unità organica e strutturato secondo la dialettica psicologica tra consapevolezza critica e ispirazione creativa (AI, 21–2).
L’ipertrofia della consapevolezza critica porta all’oblio e alla scomparsa
dei vissuti individuali nell’opera, ad una fondamentale “paura del soggetto”, per la “ricerca di una oggettività in cui perdersi — o in cui salvarsi”:
“la nuova arte è lo scacco dell’individuo di contro alla società totalitaria,
anzi è lo scacco dell’individuo tout court”, per cui “la cosiddetta arte
oggettiva, a partire dal cubismo, e la soggettività mera in quanto scardinata dall’oggetto, fino alla cosiddetta arte astratta, sono le due facce di uno
stesso fenomeno” (AI, 43–4, 47).
Tra le altre critiche dell’Autore ai principi dell’estetica crociana, quali
l’identificazione del 1902 tra arte e linguaggio (AI, 73–5) e il grado
pre–logico dell’opera poetica (AI, 75), più rilevante sembrerebbe quella
dell’identità posta da Croce, dell’intuizione–espressione e della sua realizzazione esterna, vale a dire “che vi sia, prima, un’esperienza spirituale (o
immateriale), interna, e che, poi, si debba tradurre questa esperienza in
una realtà immateriale (o dell’anima) nella materia”. Ma è proprio il
momento dell’espressione–comunicazione che è
un nuovo atto, per il quale io debbo saper ritrovare l’ispirazione, e fondere o tradurre nella parola ciò che innanzi avevo pensato per così dire tra me, e devo perciò pensare ex novo e ritrovare la vivacità dell’immagine […]. In una parola, in
quanto io risolvo nel mio atto, e padroneggio, quella ‘tecnica’, che non è già un
posterius di un presunto momento artistico, ad essa precedente, bensì viene insieme presupposta e risolta nell’atto dell’artista che in sé la padroneggia (AI, 77–8,
cfr. 22).
Ossia la tecnica è il momento oggettivante senza il quale l’opera sarebbe solo un vagheggiamento soggettivo, privo di realtà.
Ogni opera d’arte “porta dentro di sé una tensione tra l’immagine o la
superficie e l’oggetto rappresentato, tra la parola e ciò che essa ci dice, tra
l’espressione e l’intuizione o l’intenzione. Ciò non significa dire che vi sia
una intuizione senza o fuori dell’espressione, bensì significa che questa
non è appieno tale senza quella interna tensione”. Per questo, il giudizio
estetico non può fermarsi solo sul contenuto o solo sulla forma, ma deve
rilevare “la tensione interna a essa [l’opera] tra la forma o l’immagine e il
significato” e questa tensione, appunto, costituisce la grandezza dell’opera (AI, 48–9; cfr. 121). È insomma una tensione tra la realizzazione del-
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Giovanni Rocci
l’opera e quindi la forma, da una parte, e l’intenzione artistica che la
guida, il credo e le aspirazioni morali e intellettuali del poeta, costituenti
il contenuto dell’opera, dall’altra. Ciò comporta però, secondo Lombardi,
che difficilmente si sia in grado di intendere un’opera il cui mondo ideale
e di valori è difforme e lontano da quello del ‘fruitore’, e comporta insieme che il mutamento di un tale mondo spieghi le epoche di mutazione e
crisi dell’arte (AI, 58).
Quando la tensione tra immagine e contenuto viene a mancare si cerca
di sostituirla con il commento che il critico fa, per esempio di un quadro
astratto, “che per sé può significare tutto, —o che non significa nulla”. E
“l’arbitrarietà delle chiacchiere dei nostri critici filosofanti” è indice non
solo dell’inferiorità e della pochezza dell’arte astratta rispetto alle forme
più compiute e univoche, ma anche denuncia “l’esigenza non sopprimibile di quell’arte maggiore ed umana, per cui l’uomo vive nell’opera d’arte,
e questa è, in un senso superiore del termine, dialogo” (AI, 50). Questa
tensione tra significante e significato, tra la forma e i vissuti che ne costituiscono il contenuto —tensione che lega in un reciproco rapporto dialogico l’autore e i fruitori attraverso l’opera —– avrebbe potuto indicare
all’Autore un varco verso gli strati profondi della psiche ma, come si è
detto a proposito della gnoseologia, per questa strada Egli non si è mai
incamminato.
Un ulteriore problema è costituito dal rapporto tra l’opera e il milieu in
cui essa nasce. Lo svolgimento storico dell’arte ha una sua logica, nella
quale rientrano le opere e gli artisti, “come che questi la modifichino o
anche intervengano a crearla”, le une e gli altri in relazione tra loro in
quanto “tutti e ciascuno un’espressione del nostro tempo” (AI, 11–3).
Questa relazionalità tra l’opera, il suo tempo e gli individui che in tale
tempo vivono, relazionalità che rappresenta la possibilità della comprensione dell’opera stessa, ha il suo fondamento nella fisicità organica e biologica dell’individuo e prima di essere un portato della società scaturisce
“attraverso la storia delle generazioni e della specie”. L’arte, conclude
l’Autore, al pari delle manifestazioni economico–politiche, ideali, religiose e filosofiche è espressione della struttura centrale di una civiltà, che è
sempre costituita dalla simultanea concorrenza di rapporti socio–culturali
e biologico–organici (AI, 35–7). Per esempio, la ribellione dell’arte contemporanea è diretta contro la prospettiva sociale, culturale e politica
dell’Ottocento, e dopo il cubismo essa è espressione di una società indu-
Gnoseologia ed estetica in Franco Lombardi
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strializzata in cui l’individualità dell’artista retrocede o scompare (AI,
46–7; cfr. 45).
È appunto la non assoluta indipendenza dell’opera rispetto al suo
tempo a rendere possibile un discorso di ordine storico–sociologico sull’arte, discorso che non coinvolge solo l’esterno dell’opera, l’esteriorità di
essa o la forma, mentre il nucleo o il contenuto verrebbe da ignote lontananze extramondane: essa esprime invece, nella sua vitalità, il proprio
tempo e l’esperienza storica di tale tempo, ma secondo la prospettiva individuale dell’artista che incentra e puntualizza il senso dell’epoca nella personale e specifica esperienza storica. Ciò vale sia per la creazione che per
la fruizione dell’opera d’arte: saper guardare secondo il punto prospettico
dell’artista (AI, 58–60; cfr. 13–5). L’opera d’arte va rivista con gli occhi
del poeta e dal suo interno, rivivendo il mondo del poeta e riconducendo
con ciò, nella considerazione dell’opera, “l’intera considerazione della
storia contemporanea e precedente, anzi, se si vuole, l’intera storia del
mondo”, valendo ciò per ogni opera dell’uomo, d’arte o di pensiero (AI,
33). Proprio perché l’arte rappresenta, nel momento della creatività, il vertice di un cono la cui base è costituita dalla totalità dei vissuti dell’artista,
dai suoi valori, nella molteplicità di questi valori, quale influenzerà l’opera e la dominerà dandole la propria impronta (religiosa, politica, morale, …)?
“La verità è” — scrive l’Autore —
che il compromesso o la transazione tra i diversi valori si compie in ogni attimo e
per ogni atto della nostra vita: e si compie secondo una diagonale degli interessi,
in ragione di quella che si presenta nel momento e nella situazione data come la
morale compossibile in una certa situazione del mondo, e per essa con una certa
organizzazione dell’economia e della società (AI, 45–2).
L’arte è, ed è sempre stata, creatività ma oggi — quando Lombardi formula questi concetti sono i primi anni Sessanta! — nell’inventività, nella
materia, nell’operatività nel gesto, vi è il carattere frenetico di una cosiddetta inventività che, in verità, non è più nulla […], bensì soltanto fregola
e frenesia”. Il critico segue tale processo, e corre innanzi al carro “disfrenato dell’artista operativo”, la cui ‘arte operativa’ ha corroso dietro il
piano della forma il piano del contenuto, dell’idea, di ciò che il quadro
vuole dire (AI, 24–5). Per una ricostruzione della civiltà, del pensiero,
quindi dell’arte d’Europa si deve abbandonare il “soggettivismo alienato
e demiurgico” dell’arte astratta, si debbono vincere il trionfo della labilità
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Giovanni Rocci
[e il] trionfo dell’immagine”, tornando “alla civiltà della parola e del dialogo”, costituente i fondamenti della civiltà europea, “riportando con ciò,
nell’opera d’arte, non soltanto l’ordine, bensì anche quella chiarezza, e in
primo luogo quella definitezza dell’espressione, in cui è l’onestà, insieme
morale ed estetica, dell’artista” (AI, 48).
Da questa sia pur veloce presentazione si comprende che il pensiero
lombardiano mira, secondo il titolo di una sua opera alla ‘ricostruzione filosofica’ della cultura europea, riproponendo secondo la propria prospettiva
gli interrogativi sul senso dell’esistenza, del mondo, dell’uomo. Ne risulta
“una posizione nuova dell’uomo dinanzi all’universo” (p. 82), una posizione puntualizzabile in questa domanda: “Che senso può avere una vita, dopo
la quale è il niente?”. (La fuga dal tempo, o il diario, ‘Archivio di filosofia’, 1959, pp. 127–40. Cfr. p. 140). La risposta a questa domanda costituisce il testamento filosofico di Franco Lombardi: “Accetta di essere un
uomo. Vivi come uomo; porta la tua pietra all’edificio della umanità, e
insieme il fardello che ogni individuo porta con sé nell’esistenza. E accetta quindi, come individuo e come uomo, di scomparire” (Ibid., p. 140).
A guisa di conclusione. Essendo io stato per lunghi anni in diuturno
rapporto con il pensiero del Prof. Lombardi, credo di poter riconoscere
nella sua filosofia la possibilità di un’apertura verso orizzonti ulteriori non
definibili razionalmente, verso quelle dimensioni costituenti l’Abyssos
della psiche. Però, come Alessandro Magno, che si ferma ai confini
dell’Indo, e non procede oltre, pur se, canta il Pascoli, “egli ode forze
incognite, incessanti, // passargli a fronte nell’immenso piano // come trotto di mandre d’elefanti”, così anch’Egli ha avvertito una terra incognita,
ma non vi è mai entrato.
Giovanni Rocci
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
“Scritti di Franco Lombardi”, presso l’Editore Sansoni, Firenze:
Il mondo degli uomini, voll. 2, 1967 [1935].
Nascita del mondo moderno, 1967 [1952].
Dopo lo storicismo, 1970 [1955].
Gnoseologia ed estetica in Franco Lombardi
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Ricostruzione filosofica, 1973 [1961].
Il piano del nostro sapere, 1971 [1958].
Filosofia e civiltà di Europa. Cinque tesi per una ricostruzione in filosofia, vol. I, 1972.
Aforismi inattuali sull’arte seguiti da alcune noterelle in tema di linguaggio, 1965.
e inoltre:
La libertà del volere e l’individuo, Milano, Bocca, 1941.
Le origini della filosofia europea nel mondo greco, Asti, Arethusa, 1954.
Su F.L. consultare:
AA.VV., Franco Lombardi, Torino, Ed. di ‘Filosofia’, 1961.
AA.VV., European Philosophy Today, A Quadrangle Paperback Orig.,
Chicago, 1965.
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