CAP. 17 L’UNIFICAZIONE DELL’ITALIA UNO STATISTA DI GRANDE VALORE: CAVOUR (PAG. 287) Il processo di unificazione dell’Italia proseguì grazie all’azione diplomatica di Camillo Benso, conte di Cavour, che fu a capo del governo del Regno di Sardegna dal 1852 al 1861. Egli era un liberale leader della destra moderata, ed era dotato di una straordinaria intelligenza e capacità diplomatica. Durante il suo governo consolidò il modello della monarchia costituzionale attribuendo più poteri al Parlamento; sviluppò inoltre nello Stato sabaudo (ce la ricordiamo questa parolina? ) l’agricoltura e l’industria, ed intensificò i rapporti commerciali con gli Stati europei più sviluppati. Per quanto riguarda i rapporti con la Chiesa, egli ridimensionò non poco la sua supremazia sullo Stato piemontese, sostenendo il principio di separazione e reciproca autonomia tra le due istituzioni, principio riassunto nella famosa espressione “libera Chiesa in libero Stato”. Pag. 288 - 289 Cavour sapeva bene che la questione italiana doveva essere conosciuta dalle grandi potenze europee, se si voleva in qualche modo giungere all’unificazione dei vari Regni. L’occasione si presentò quando scoppiò la Guerra di Crimea; il Piemonte vi prese parte con un contingente di soldati, e al termine del conflitto fu ammesso alle trattative di pace (Congresso di Parigi, 1856) senza ricevere nessun compenso per la guerra vinta contro la Russia e al fianco di Turchia, Gran Bretagna e Francia. Il Congresso di Parigi, tuttavia, diede a Cavour la possibilità di presentare alle altre potenze la questione italiana: Cavour denunciò il malgoverno di diversi Stati della penisola e lamentò la presenza di truppe austriache in varie parti d’Italia; questi erano fattori che, secondo lo statista, suscitavano il malcontento e l’attività dei rivoluzionari. In questo modo veniva messa a repentaglio la stabilità di tutto il continente europeo, perché un’eventuale vittoria dei rivoluzionari in Italia avrebbe acceso movimenti di opposizione anche negli altri Stati europei. Solo sotto la guida del Regno di Sardegna, asseriva Cavour, si sarebbe potuto compiere il processo di indipendenza nazionale evitando pericolose rivoluzioni (E qui sta la grandezza e la raffinatezza politica e diplomatica di Cavour). Francia e Gran Bretagna non posero ostacoli, e pochi anni dopo Napoleone III, l’imperatore francese, stipulò con il Piemonte un’alleanza difensiva (gli accordi di Plombières, 1858), secondo la quale se l’Italia fosse stata aggredita dall’Austria, la Francia sarebbe intervenuta al fianco dell’alleata (cioè l’Italia), ed in cambio avrebbe ottenuto Nizza e Savoia. La Seconda Guerra d’Indipendenza (pagg. 290 – 291) Siccome la Francia, secondo gli accordi di Plombières, sarebbe intervenuta al fianco dell’Italia solo in caso di un attacco da parte dell’Austria, Cavour fece in modo di provocare un’iniziativa militare austriaca contro il Regno di Sardegna. Per raggiungere tale scopo, egli fece dislocare alcuni reparti militari al confine con il Lombardo- Veneto. Anche Vittorio Emanuele era a favore dei progetti antiaustriaci di Cavour. L’Austria, ignara degli accordi di Plombieres tra Italia e Francia, inviò all’Italia un ultimatum (v. significato della parola a pag.290 e riporta sulla rubrica), chiedendo il disarmo delle truppe italiane. L’ultimatum venne respinto, pertanto nell’aprile del 1859 l’Austria dichiarò guerra al Piemonte. Le fasi vittoriose della guerra Gli Austriaci invasero il Piemonte. A questo punto i Francesi vennero in aiuto agli italiani secondo gli accordi di Plombieres, e, guidati da Napoleone III, insieme riportarono la vittoria di Magenta (giugno 1859). Poco dopo Vittorio Emanuele II e Napoleone III furono accolti in trionfo a Milano. Contemporaneamente Garibaldi liberò l’Alta Lombardia. Gli Austriaci, che avevano tentato la controffensiva nell’area del Lago di Garda, furono invece sconfitti a Solferino e a San Martino dai Piemontesi. Tutte queste vittorie animarono i patrioti: a Firenze, Modena e Parma i sovrani dovettero fuggire e si instaurarono governi provvisori che chiesero l’annessione (cioè l’unione) con il Piemonte. Ribellioni sorsero anche nello Stato della Chiesa (Bologna e Romagna). IL RITIRO DI NAPOLEONE III E L’ARMISTIZIO DI VILLAFRANCA (pag. 291) Le richieste di annessione di Firenze, Modena e Parma scombinarono i piani di Napoleone III. Cerchiamo di capire perché: torniamo un attimo indietro agli accordi di Plombieres, te li ricordi? Essi prevedevano che i Savoia annettessero solo l’Alta Italia (cioè quella del nord). Con queste nuove annessioni (Firenze, Modena, ecc.) il dominio sabaudo si estendeva anche all’Italia centrale. E guarda caso Napoleone III aveva in mente di estendere i propri domini sulle regioni centrali e meridionali della penisola. Inoltre la Prussia (l’abbiamo citata in classe da poco, ricordi? Controlla gli appunti presi sulla Prussia) minacciò di intervenire a fianco dell’Austria. A questo punto Napoleone III concluse autonomamente con l’Austria l’armistizio di Villafranca (luglio 1859) ed anche Vittorio Emanuele si adattò alla situazione. La Seconda Guerra di Indipendenza si concluse con la pace di Zurigo, che stabilì: La cessione della Lombardia alla Francia, la quale, a sua volta, l’avrebbe passata al Regno di Sardegna; Il ritorno dei sovrani spodestati nei loro domini; La permanenza del Veneto sotto il dominio austriaco. LE NUOVE ANNESSIONI E L’IMPRESA DEI MILLE (pagg. 292 – 293) Visto il parziale insuccesso della guerra Cavour diede le dimissioni. A questo punto però avvenne qualcosa di inatteso: animate dall’entusiasmo della guerra, le città di Firenze, Parma, Modena, Bologna e Ferrara si rifiutarono di lasciar tornare sul trono i vecchi sovrani e si coalizzarono per intervenire militarmente, mentre ovunque si riunivano assemblee popolari che chiedevano l’annessione al Regno di Sardegna. Cavour fu richiamato al governo e capì che non bisognava lasciarsi sfuggire un’occasione del genere. Riprese dunque le trattative diplomatiche per annettere le nuove regioni. Ottenne così l’appoggio della Gran Bretagna (vedi, questa è la diplomazia: intessere rapporti vantaggiosi tra Stati. Quando vedi in tv che un Presidente del Consiglio o un Re vanno in altri Stati, talvolta lo fanno per mettersi d’accordo nel modo più indolore possibile su qualcosa che interessa ad entrambi). La Gran Bretagna infatti temeva che la Francia mirasse all’egemonia sul continente. Intanto Napoleone III reclamava Nizza e Savoia (sempre secondo gli accordi di Plombieres!), ma Cavour, con grande coraggio, gli disse che l’imperatore (Napoleone stesso), firmando separatamente l’armistizio (di Villafranca) con l’Austria, aveva perso automaticamente il diritto di ricevere i compensi territoriali pattuiti. Così, di fronte alla fermezza di Cavour, Napoleone accettò un nuovo patto: se davvero l’imperatore voleva Nizza e Savoia doveva riconoscere l’annessione al Piemonte di Toscana, Emilia, Romagna (ti faccio notare che Emilia e Romagna non sono ancora un’unica regione…), Parma e Modena. Per non fare gesti eclatanti nei confronti degli altri Stati, Cavour e Napoleone si accordarono in modo che l’annessione al Regno di Sardegna dei nuovi territori avvenisse per mezzo di plebisciti (…parola che dovresti già conoscere dai tempi di Napoleone Bonaparte … tuttavia, se non te la ricordi, STUDIALA PERFETTAMENTE a pag. 292 in basso nel riquadro giallo e metti in rubrica! Poi ne riparliamo in classe) con i quali le popolazioni potessero esprimersi liberamente sull’annessione o meno al Regno di Sardegna. L’11 e il 12 marzo 1860 i plebisciti , con una maggioranza schiacciante, sancirono l’annessione dell’Italia centrale al Regno di Sardegna.( Ricordiamoci che il Veneto era ancora in mano agli Austriaci…). I patrioti italiani cominciavano a sperare davvero in un’Italia unita. LE INIZIATIVE NELL’ITALIA MERIDIONALE (PAG.293) Nell’Italia meridionale i patrioti volevano sfruttare il malcontento popolare nei confronti del governo dei Borbone. In Sicilia, poi, era particolarmente attivo il movimento mazziniano. Nel marzo del 1860 i mazziniani siciliani chiesero a Giuseppe Garibaldi di guidare una spedizione per la liberazione dell’isola. Cavour non era d’accordo (temeva infatti l’intervento delle potenze europee, che avrebbe complicato la situazione). Tuttavia, alla fine, egli dovette accettare in quanto Vittorio Emanuele II si dimostrò segretamente favorevole all’impresa. Eccoci giunti alla IMPRESA DEI MILLE Nella notte del 5 maggio 1860 Garibaldi salpò dal porto ligure di Quarto con 1089 volontari (i famosi Mille) e sbarcò a Marsala, in Sicilia, l’11 maggio, accolto con entusiasmo dal popolo. Nei giorni successivi Garibaldi ottenne numerose vittorie contro l’esercito borbonico, a Calatafimi, Milazzo e Palermo. Assunse quindi il governo dell’isola in nome di Vittorio Emanuele II (al quale Garibaldi era molto devoto) e decretò l’abolizione dell’odiosa tassa sul macinato dei cereali che vessava ed impoveriva i contadini. Egli fece anche molte altre promesse, come quella della distribuzione della terra al popolo, ma non riuscì a mantenerle tutte, per non perdere l’appoggio della borghesia (la quale certo non vedeva di buon occhio le masse popolari). Pag. 294 Garibaldi non si limitò alla Sicilia, ma nell’agosto dello stesso anno con le sue truppe sbarcò in Calabria, avendo come obiettivo quello di risalire la penisola fino a Napoli, capitale del Regno borbonico. Il 6 settembre il re Francesco II di Borbone lasciò Napoli e si rifugiò a Gaeta. Il giorno successivo Garibaldi entrò a Napoli come “liberatore” del Sud. Le truppe borboniche vennero definitivamente sconfitte nella battaglia del Volturno.(Consulta attentamente la carta di pag. 294 che illustra il tragitto di Garibaldi). Ma…colpo di scena! Il buon Cavour, che era stato a guardare la risalita di Garibaldi, intervenne direttamente. Egli temeva che il “liberatore” (Garibaldi) puntasse direttamente verso Roma, provocando così la reazione militare della Francia, che proteggeva lo Stato della Chiesa. Quindi lo statista (Cavour) parlò con Vittorio Emanuele II per convincerlo ad intervenire e ad assumere il controllo della situazione. Cavour si rivolse poi alla Francia ottenendo il permesso di inviare un esercito nelle Marche e in Umbria, due regioni pontificie dove erano scoppiate alcune agitazioni, per ripristinare l’ordine sociale. Il Papa, che non era persona stupida, intuì che in realtà Cavour si voleva impossessare delle due regioni suddette, e gli oppose il suo esercito, il quale fu però sconfitto a Castelfidardo nel settembre del 1860. Marche ed Umbria furono annesse al Regno di Sardegna, come confermò anche il plebiscito indetto per chiedere il parere del popolo. Vittorio Emanuele, a capo dell’esercito piemontese, incontrò nell’ottobre del 1860 Garibaldi a Teano e da lui ricevette ufficialmente i territori che il condottiero aveva conquistato in suo nome. Il 21 e 22 ottobre, nel frattempo, un altro plebiscito aveva votato l’annessione dell’Italia Meridionale al Regno di Sardegna. LA PROCLAMAZIONE DEL REGNO D’ITALIA Dopo l’incontro con il re, Garibaldi si ritirò senza troppi clamori nell’isola di Caprera, di sua proprietà, al nord della Sardegna. Nel gennaio 1861 si svolsero le elezioni per il nuovo Parlamento. La vittoria fu dei moderati. Il 17 marzo 1861 a Torino il Parlamento proclamò ufficialmente la NASCITA DEL REGNO D’ITALIA e dichiarò Vittorio Emanuele II re d’Italia “per grazia di Dio e volontà della nazione”. All’appello mancavano Roma e il Lazio, il Veneto (come dicevamo), il Trentino ed il Friuli. Il vero grande orchestratore di tutto ciò, Cavour, non potè vedere compiuta l’unità d’Italia, perché morì il 6 giugno 1861. NB: Non incorrere anche tu nell’errore di molti studenti: l’Italia unita, all’inizio della sua storia, è un REGNO: ciò significa che è governata da un RE (certo, con una monarchia costituzionale, ma pur sempre monarchia). La penisola diverrà repubblica quasi cent’anni dopo, per essere più precisi con il referendum del 1946, come vedremo nella seconda parte dell’anno scolastico. LA TERZA GUERRA D’INDIPENDENZA (Pag. 298) Dunque dicevamo che il Veneto era ancora nelle mani degli Austriaci. Ebbene, nel 1866 all’Italia si presentò l’occasione propizia per conquistarlo: la Prussia, che era in guerra contro l’Austria, chiese all’Italia di entrare in guerra al suo fianco. L’apporto italiano non fu rilevante, anzi, gli Italiani subirono molte sconfitte, ma alla fine ci fu un vantaggio anche per il nostro Paese: la Prussia aveva vinto la guerra, quindi il Veneto ritornò in mano italiana. Per completare l’unificazione della penisola mancavano ancora Roma con il Lazio e il Trentino, dove Garibaldi aveva già inutilmente tentato una campagna di conquista. ROMA CAPITALE DEL REGNO D’ITALIA (Pag. 299 – 300) L’annessione del Lazio e di Roma era rimasto un obiettivo importantissimo per i patrioti. Già Cavour aveva tentato senza successo una soluzione diplomatica del problema. Dal canto suo, Garibaldi, nel 1862 e nel 1867 tentò la conquista militare (Garibaldi, come avrai ormai capito, è sempre favorevole alle vie di fatto, all’azione), trovandosi però costretto a ritirarsi in quanto la Francia (ricordi?) proteggeva militarmente il Papa. Nel 1870, invece, la Francia entrò in guerra contro la Prussia, e fu quindi costretta a togliere le guarnigioni militari dallo Stato della Chiesa (in quanto ne aveva bisogno per la guerra). A questo punto, il 20 settembre 1870 l’esercito italiano, penetrato in Lazio, aprì una breccia nelle mura di Roma, presso Porta Pia, e riuscì a penetrare nella città senza alcuna resistenza. Pochi giorni dopo, un plebiscito sancì l’annessione del Lazio all’Italia, e nell’estate del 1871 Roma divenne capitale del Regno (mi raccomando…) d’Italia LA LEGGE DELLE GUARENTIGIE E IL “NON EXPEDIT”: SI APRE LA “QUESTIONE ROMANA” Il Papa aveva subito un affronto imperdonabile. Perciò per risarcirlo della perdita dello Stato Pontificio (sul quale aveva detenuto il dominio per secoli!) il Parlamento italiano votò la Legge delle Guarentigie (“Guarentigia” è una parola italiana ormai non più in uso che significa “Garanzia”), nel 1871: si assegnavano al Papa i palazzi vaticani e Castelgandolfo (che di certo avrai sentito nominare alla televisione) per sempre; si riconosceva alla Chiesa la libertà di organizzazione, di culto e di propaganda e una rendita annua (cioè denaro) per il mantenimento del clero (vescovi, cardinali, preti, ecc.). Pio IX scomunicò il Re ed il governo italiano. Inoltre, nel 1874, pubblicò il documento dal titolo Non expedit (che significa “Non è opportuno”), con il quale vietò ufficialmente ai cattolici di partecipare attivamente alla vita politica dello Stato italiano (in altre parole i cattolici non potevano candidarsi o votare alle elezioni per il Parlamento nazionale). Si apriva così la cosiddetta “Questione Romana”, che si risolse dopo quasi cinquant’anni, ai tempi di Benito Mussolini.