La scoperta del Bosone di Higgs

Facoltá di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso di Laurea in Fisica
La scoperta del Bosone di Higgs
Dissertazione di Laurea Triennale
Relatore:
Prof. Rahatlou Shahram
Candidato:
Tanga Alfonso Alessandro
Matricola: 1393690
Anno Accademico 2013-2014
1
Indice
1 Il Modello Standard
2 Large Hadron Collider
2.1 Gli acceleratori di particelle
2.1.1 Acceleratori lineari .
2.1.2 Ciclotrone . . . . . .
2.1.3 Sincrociclotrone . . .
2.1.4 Sincrotrone . . . . .
2.2 Scelta dell’acceleratore . . .
2.3 L’acceleratore . . . . . . . .
2.4 I rivelatori . . . . . . . . . .
2.4.1 ATLAS . . . . . . .
2.4.2 CMS . . . . . . . . .
4
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13
3 Produzione e decadimento del bosone di Higgs
3.1 Intervallo di misura . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2 Sezione d’urto e luminosità . . . . . . . . . . . .
3.3 Il branching ratio . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3.1 H → γγ . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3.2 H → ZZ . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3.3 H → W W . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3.4 H → bb e H → τ τ . . . . . . . . . . . . .
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4 Analisi dei dati raccolti
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4.1 Massa del bosone di Higgs . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
4.2 Consistenza del segnale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
Bibliografia
31
2
Introduzione
La fisica delle particelle elementari è stato uno dei campi della fisica più prolifici
del XX secolo, ed il Modello standard ne è il più importante emblema. Una
teoria che spicca per eleganza ed efficienza, che ha portato a predizioni, poi
riscontrate negli esperimenti, con una precisione altissima.
L’ultimo tassello mancante a questa teoria cosı̀ ben corroborata era il meccanismo di Higgs, mediato dal campo di Higgs. Il campo di Higgs sarebbe il campo
che, interagendo con altre particelle, darebbe loro massa. Il Modello standard
prevede che se questo campo veramente esiste, allora, se opportunamente eccitato, verrà prodotta una particella massiva di spin 0: il famoso bosone di Higgs
(H).
Nonostante sia stato cercato per molti anni, è stato teorizzato nel 1964 da
Peter Higgs, solamente il 4 luglio 2012 è arrivata la conferma della scoperta di
una particella con proprietà consistenti con quelle del bosone di Higgs.
Contemporaneamente a Higgs, anche Englert, Brout, Gurialnik, Hagen e
Kibble, teorizzarono l’esistenza di questo campo, ma Higgs fu l’unico a parlare
nel proprio articolo dell’esistenza di un bosone massivo.
Questa scoperta è valsa a Higgs ed Englert il premio Nobel nel 2013, mentre
gli altri fisici sono stati premiati nel 2010 col premio Sakurai.
Obiettivo di questa dissertazione è, partendo dalle basi teoriche, passando
per gli strumenti tecnologici e tecniche di ricerca utilizzate, arrivare ad analizzare
i dati che evidenziano l’effettiva esistenza di una nuova particella.
3
Capitolo 1
Il Modello Standard
Tra la fine degli anni ’40 e gli anni ’50, sono state scoperte molte particelle, le
cosiddette particelle strane. Per anni i fisici non riuscirono ad inserire queste
particelle all’interno di una teoria che comprendesse anche le già note particelle elementari, come protoni ed elettroni. Fu solo dagli anni ’60 che si iniziò a
definire una teoria che le comprendesse tutte. Il Modello Standard (MS) delle
interazioni fondamentali è una teoria che descrive le interazioni forti, elettromagnetiche e deboli, ma non quelle gravitazionali, che sono trascurabili a livello
microscopico. Per esempio, le forze che tengono insieme i nuclei atomici sono
dovute alle interazioni forti, il legame del nucleo con gli elettroni atomici o degli
atomi nelle molecole è dovuto alle interazioni elettromagnetiche, mentre la forza
debole è responsabile del decadimento beta dei nuclei atomici, associato alla radioattività, per il quale un neutrone si trasforma in un protone con l’emissione
di elettroni (radiazione beta) e neutrini.
Il MS rappresenta un esempio di unificazione delle interazioni fondamentali. Ha infatti permesso di capire che ad alte energie (sopra i 100 GeV circa)
l’interazione elettromagnetica e quella debole si comportano nello stesso modo,
quindi sono solo due aspetti differenti della stessa forza, come l’elettricità e il
magnetismo.
Tutte le interazioni fondamentali sono invarianti sotto trasformazioni di gauge locali: i rispettivi gruppi di simmetria sono U(1), SU(2), SU(3) per le interazioni elettromagnetiche, deboli e forti. La descrizione delle interazioni elettromagnetiche tramite il gruppo U(1) prende il nome di elettrodinamica quantistica (QED). Per energie superiori ai 91 GeV (massa del bosone Z) l’interazione
elettromagnetica e quella debole devono essere considerate come una sola interazione, quella elettrodebole, il cui gruppo di simmetria è SU(2)×U(1) La
descrizione delle interazioni forti tramite il gruppo SU(3) è chiamata cromodinamica quantistica (QCD). Il MS è dunque basato sul gruppo di simmetria
SU(3))×SU(2))×U(1) [2].
4
Figura 1.1: Particelle elementari
Il modello comprende tutte le particelle fondamentali di cui si pensa sia
composta la materia nell’universo, ed anche le particelle mediatrici delle forze
fondamentali, come mostrate in figura 1.1. Le prime sono i fermioni, particelle
di spin 1/2, che seguono la statistica di Fermi-Dirac. Questo gruppo si divide a
sua volta in altri due sottogruppi, composti entrambi da 6 elementi: i quark e i
leptoni.
I 2 quark più leggeri, il quark up e il quark down, sono anche quelli che
formano i protoni e i neutroni, i nucleoni di tutti gli elementi presenti nella
tavola periodica. Gli altri quark sono invece più pesanti e instabili, e si possono
produrre e rivelare solo in esperimenti di fisica di alte energie. Non è tuttavia
possibile rivelare singolarmente un quark, poiché li si può incontrare solo a
gruppi di tre (barioni), come all’interno dei nucleoni, o a coppie. Le coppie, i
mesoni, devono essere formate da un quark e un antiquark. Gli antiquark sono
le antiparticelle dei quark, uguali al quark corrispettivo, ma con alcuni numeri
quantici diversi, come la carica elettrica. Quindi in realtà in tutto ci sono 6
quark e 6 antiquark, per un totale di 12.
I leptoni invece, a differenza dei quark, possono essere trovati isolati in natura. Il leptone più conosciuto è sicuramente l’elettrone, che con i nucleoni
va a formare tutti gli atomi della tavola periodica. Oltre all’elettrone (e− ) ci
sono il muone (µ− ) e il tau (τ − ), i quali hanno proprietà simili a quelle dell’elettrone, ma hanno una massa rispettivamente 200 e 3500 volte più grande di
quest’ultimo. Gli altri leptoni sono i neutrini, particelle neutre molto difficili da
individuare, dato che non interagiscono elettromagneticamente con la materia,
ma solo attraverso l’interazione debole. I tre neutrini sono correlati agli altri tre
leptoni dalla legge di conservazione del numero leptonico. Il neutrino elettronico
(νe ) ha lo stesso numero leptonico dell’elettrone, cosı̀ come il neutrino muonico
(νµ ) ha lo stesso del µ e il neutrino τ (ντ ) ha lo stesso del τ . Anche i leptoni
hanno le loro antiparticelle, di nuovo per un totale di 12, caratterizzate come
per gli antiquark da diversi numeri quantici (nel caso dei neutrini non si può
usare la carica elettrica per discriminarli, essendo particelle neutre) [1].
Le altre particelle presenti nel MS sono i bosoni, particelle a spin intero,
sottoposte alla statistica di Bose-Einstein. Queste particelle, mostrate in tabella 1.1, sono le mediatrici delle forze fondamentali presenti in natura (forte,
elettromagnetica e debole).
5
Tabella 1.1: Bosoni di gauge
Interazione
Forte
Elettromagnetica
Debole
Meccanismo di Higgs
Bosone
gluone (g)
fotone (γ)
Bosoni W ± e Z
Bosone di Higgs (H)
Massa
0
0
80/90 GeV
125,3 GeV
Spin
1
1
1
0
Mentre il gluone e il fotone hanno massa nulla, i bosoni dell’interazione debole hanno invece massa. Nel MS questa massa è ottenuta attraverso l’interazione
con un campo complesso debole, ovvero il campo di Higgs. È sempre il campo
di Higgs che da massa anche ai fermioni. La necessità di questo campo nasce
anche dall’impossibilità di aggiungere manualmente le masse nel MS. Infatti se
aggiunte manualmente senza considerare il campo di Higgs, si arriva a degli
assurdi, come probabilità superiori a 1 per energie maggiori di una certa soglia
(poco più di un TeV) [10].
6
Capitolo 2
Large Hadron Collider
2.1
Gli acceleratori di particelle
All’inizio XX secolo, per poter studiare particelle ad alta energia, ci si poteva
affidare solo ai raggi cosmici. Ma dalla costruzione del tubo catodico in poi,
il mezzo più utilizzato sono gli acceleratori di particelle. Un acceleratore è un
dispositivo nel quale un campo elettrico è utilizzato per variare l’energia di una
particella carica. Tuttavia, finché ci si limita all’uso di campi elettrostatici, che
non possono superare il limite della scarica in aria, le energie che si possono
raggiungere sono decisamente inferiori a quelle fornite dai raggi cosmici.
2.1.1
Acceleratori lineari
Per superare il limite sul campo accelerante dovuto alla scarica, una possibile
soluzione è di far passare piú volte le particelle attraverso dei campi acceleranti.
Per fare in modo che la particella trovi ad ogni passaggio un campo accelerante
senza raggiungere voltaggi elevati, si possono usare tensioni alternate che ad
ogni passaggio si trovino in fase con le particelle da accelerare. Il percorso è
spezzato in una serie di tubi metallici che costituiscono delle gabbie di Faraday.
I poli di un unico generatore di tensione alternata sono collegati tra ogni tubo
ed il successivo in modo che la tensione venga invertita nell’intervallo di tempo
in cui la particella percorre il tubo: in questo modo, all’interno della gabbia di
Faraday la particella viaggia indisturbata, mentre nella zona tra le pareti trova
sempre un campo accelerante. Per realizzare questa condizione, le lunghezze
dei diversi tubi che si susseguono devono essere fissate in modo che il tempo che
impiegano le particelle di velocitá via via crescente per attraversare ciascun tubo
sia sempre lo stesso, e sia l’inverso della semifrequenza della tensione alternata.
Se si vogliono raggiungere velocitá pari a frazioni significative di c, il generatore
dovrá operare nelle radiofrequenze.
2.1.2
Ciclotrone
Una maniera molto elegante di realizzare successivi passaggi della particella
attraverso lo stesso campo oscillante è realizzata nel ciclotrone progettato da
Lawrence e dal suo allievo Livingston nel 1929. Un circuito oscillante fa variare
continuamente la differenza di tensione tra due semicirconferenze A e B, che
7
costituiscono due gabbie di Faraday e sono immerse in un campo magnetico
ortogonale al piano su cui sono poste. Degli ioni di idrogeno molecolare sono
emessi nella zona tra le due semicirconferenze. Assumiamo che nell’istante dell’emissione la differenza di potenziale sia tale da accelerare gli ioni in un verso.
Nel momento in cui entrano nella gabbia di Faraday, gli ioni non risentono piú
del campo elettrico e, se hanno una velocitá all’incirca parallela al piano su cui
sono poste le gabbie, saranno mantenuti su un’orbita circolare dal campo magnetico per effetto della forza di Lorentz. Il tempo necessario per descrivere una
semicirconferenza e raggiungere di nuovo il bordo della gabbia superiore, finché
la particella non è relativistica, è dato da
t=
p
m
πr
=π
=π
v
qBv
qB
(2.1)
dove r è il raggio della camera, v la velocitá della particella, q la sua carica,
m la sua massa, p il suo impulso e B il campo magnetico esterno.
Se il circuito oscillante ha una frequenza pari a νc = 1/2t = qB/2πm, detta
frequenza di ciclotrone (che, dato il rapporto tra carica e massa del protone,
risulta essere una radiofrequenza), quando la particella arriva tra le piastre troverá una differenza di potenziale invertita rispetto al primo passaggio, e verrá
accelerata di nuovo. Poiché il tempo di percorrenza non dipende dalla velocitá, anche la seconda semicirconferenza sará percorsa nello stesso tempo t, e la
particella passerá di nuovo tra le piastre attraverso una differenza di potenziale
accelerante. La particella nei passaggi successivi continuerá a trovarsi in fase
con la differenza di potenziale, e verrá continuamente accelerata, finché il raggio non supererá quello del magnete, e le particelle non piú deflesse usciranno
in linea retta dall’acceleratore. Con il primo ciclotrone, nel 1931, Livingston
riuscı́ ad accelerare gli ioni di idrogeno fino ad 80 KeV dopo una quarantina di
giri. Come abbiamo visto, perché la frequenza non cambi con l’impulso della
particella è necessario che la velocitá della particella sia piccola rispetto alla
velocitá della luce. La relazione relativistica tra p e v è infatti p = γmv e per
γ sensibilmente maggiore di 1 la frequenza diventa quindi ν = qB = 2γm e
dipende dall’impulso tramite γ. Questo è il motivo per cui il ciclotrone non è
utile per accelerare elettroni, che sono relativistici giá a bassi impulsi, e anche
per protoni l’energia massima è limitata a qualche decina di MeV.
2.1.3
Sincrociclotrone
Per ovviare a questo problema, è necessario far variare la radiofrequenza, man
mano che le particelle vengono accelerate, sincronizzandola con il tempo di rivoluzione del fascio. Una macchina del genere prende il nome di sincrociclotrone.
Un limite importante delle macchine fin qui descritte, nelle quali le orbite delle
particelle sono contenute all’interno di un unico magnete, è dato dalla relazione
pc(GeV ) = 0.3 · B(T esla) · R(m)
(2.2)
che lega impulso, campo magnetico e raggio, limitando per esempio a 300
MeV l’impulso di un (sincro)ciclotrone con campo di 1 Tesla e raggio di 1 metro.
8
2.1.4
Sincrotrone
Una alternativa per mantenere la sincronizzazione tra la radiofrequenza e il fascio è di variare il campo magnetico in maniera proporzionale a γ. In questo
modo, non appena le particelle sono relativistiche, (β ' 1 → p ' γmc), il campo
magnetico risulta proporzionale anche all’impulso, ed il raggio della traiettoria
diventa quindi costante. Il grande vantaggio di una macchina di questo tipo,
che prende il nome di sincrotrone, è che il campo magnetico deve coprire una
traiettoria fissa, e puó quindi essere realizzato con una serie di dipoli magnetici
disposti lungo un percorso circolare, anziché con un unico grande magnete che
copra l’intera superficie che racchiude la traiettoria. Inoltre, poiché il raggio non
aumenta durante l’accelerazione, le particelle possono passare moltissime volte attraverso la radiofrequenza, che non richiede quindi campi elettrici troppo
elevati. Nel 1949 viene realizzato il primo elettrosincrotrone ossia un sincrotrone per elettroni. Nel 1952 viene realizzato a Brookhaven il Cosmotrone, un
sincrotrone per protoni da 3 GeV. In una macchina circolare, un aspetto molto
importante è la perdita di energia delle particelle dovuta all’irraggiamento provocato dall’accelerazione della loro carica elettrica. La formula classica di Larmor
che esprime la potenza irraggiata va modificata per particelle relativistiche nel
modo seguente:
W =
1
1 − →
1
e2 a2 −→
γ 6 e2 (a2 − 2 (→
v ∧−
a )2 )
6π0 c3
6π0 c3
c
(2.3)
dove 0 è la costante dielettrica del vuoto, c la velocitá della luce nel vuoto,
e la carica elementare ed a l’accelerazione centripeta.
−
−
Nel moto circolare uniforme, (→
v ∧→
a )2 = v 2 a2 e a = v 2 /R, per cui la formula
precedente diventa
W =
e2 γ 4 v 4
6π0 c3 R2
(2.4)
W =
e2 c E 4
6π0 (mc2 )4
(2.5)
e per v → c
Quindi la potenza dissipata per irraggiamento cresce con la quarta potenza
dell’energia ed è inversamente proporzionale alla quarta potenza della massa
della particella accelerata. Cosı́, la potenza irraggiata da un elettrone è 1013
volte maggiore di quella irraggiata da un protone della stessa energia. Mentre
in un protosincrotrone la massima energia della macchina è fissata dal massimo
valore raggiungibile dal campo magnetico deflettore, in un elettrosincrotrone,
quando l’energia fornita per giro dalle radiofrequenze uguaglia l’energia dissipata per irraggiamento, il processo di accelerazione termina e l’energia delle
radiofrequenza serve solo a mantenere costante l’energia delle particelle.
2.2
Scelta dell’acceleratore
Una scelta importante è stata quella di costruire un acceleratore a collisione
piuttosto che a bersaglio.
9
L’energia in una collisione è data, nel centro di massa, semplicemente dalla
somma delle energie delle due particelle collidenti. Nel caso di una particella
che colpisce un bersaglio l’energia è data da
q
√
s = 2Emp c2
(2.6)
√
dove s è la massa invariante (o l’energia nel sistema di riferimento del centro di massa), mp la massa della particella proiettile ed E l’energia del proiettile
prima dell’impatto sul bersaglio. Quindi la scelta di un acceleratore a collisione
piuttosto che a bersaglio è tanto piú conveniente quanto lo è l’aumento dell’energia delle particelle accelerate. Questa differenza di energia tra i due metodi è
quella che viene usata per mettere in moto il centro di massa nell’accelerazione
a bersaglio, dove all’inizio il bersaglio è fisso.
La collisione usata è quella protone-protone (p-p), che presenta alcuni vantaggi e alcuni svantaggi rispetto a collisioni tra materia e antimateria. Queste
ultime sono le collisioni usate da Tevatron (pp), il secondo collisore per energia
raggiungibile nel centro di massa (1,96 TeV), e LEP (e− e+ ), l’acceleratore del
CERN prima di LHC.
L’utilizzo di elettroni e positroni darebbe un segnale molto pulito, perché
producono molto meno background dei protoni. Un background, o rumore,
molto minore rispetto al segnale, permette di studiare gli eventi selezionati senza
troppi altri segnali non interessanti intorno. Gli acceleratori con questo tipo di
collisione vengono usati per lo più per effettuare misure di precisione su particelle
già scoperte.
Sull’altro piatto della bilancia ci sono peró dei fattori non trascurabili. Per
quanto riguarda gli elettroni e i positroni bisogna considerare che arrivati a una
certa energia (circa 500 GeV, date le dimensioni dell’acceleratore), non riescono
ad arrivare ad energie superiori, come già descritto nel paragrafo 2.1.4.
L’altro ostacolo nasce dall’assenza di antimateria stabile nel nostro universo.
Quindi questo implica che ogni volta che dobbiamo far collidere una particella
con un’antiparticella, quest’ultima va prima creata. Al Tevatron ad esempio,
facevano collidere un fascio di protoni opportunamente accelerato contro una
lastra di nickel, e solo una volta ogni 100000 collisioni col bersaglio veniva generato un antiprotone. Ciò implica un bassissimo numero di antiprotoni in
circolo, diminuendo drasticamente la luminosità, spiegata nel paragrafo 3.2 ,
fattore fondamentale per la ricerca del bosone di Higgs.
2.3
L’acceleratore
Il Large Hadron Collider è attualmente l’acceleratore di particelle più grande e
con l’energia più alta raggiungibile al mondo. Sito al CERN di Ginevra (Svizzera), misura 27 km di circonferenza, e una volta a pieno regime potrà arrivare
fino a 14 TeV di energia nel centro di massa.
Per raggiungere l’energia di 14 TeV ci sono vari passaggi.
Il primo passaggio è ionizzare attraverso un campo elettrico dell’idrogeno
gassoso, per ottenere dei protoni liberi dagli elettroni. A questo punto vengono
accelerati attraverso un acceleratore lineare, LINAC 2, fino a un’energia di 50
MeV. Dopo quest’accelerazione lineare, che porta i protoni a un terzo della
velocità della luce, le tre successive sono attraverso acceleratori circolari, dei
10
sincrotroni in particolare, schematizzati in tabella 2.1 e rappresentati in figura
2.1, sempre più grandi.
Tabella 2.1: Acceleratori circolari
Acceleratore
PSB
PS
SPS
Circonferenza
157 m
628 m
7000 m
Energia
1.4 GeV
25 GeV
450 GeV
Velocitá
0.916 c
0.9993 c
0.999998 c
Figura 2.1: Sistema di accelerazione
Il primo è il Proton Synchrotron Booster, in realtà composto da quattro
canali paralleli per massimizzare l’intensità del fascio. Qui un campo elettrico
alternato accelera il fascio di protoni, mentre un campo magnetico ne dirige la
traiettoria, in modo da renderla esattamente della forma dell’acceleratore.
Dopo che i quattro canali vengono ricongiunti si arriva al Protosincrotrone.
Qui si separa il fascio in due gruppi, sfasandoli di mezzo giro. Questi due gruppi
sono i pacchetti di protoni che gireranno in senso orario e in senso antiorario
all’interno dell’LHC. La permanenza nel Protosincrotrone è di solo 1,2 secondi,
e la differenza sostanziale dal precedente acceleratore è il fatto che non sia più
la velocità delle particelle ad aumentare significativamente, essendo ormai quasi
giunta al suo limite, ma la massa. Infatti i protoni arrivano ad avere una massa
circa 25 volte la loro massa a riposo.
Il Super Protosincrotrone ha lo stesso funzionamento del suo predecessore,
ma è lungo più di 10 volte tanto, portando cosı̀ i protoni all’energia di 450 GeV.
Solo a questo punto i protoni vengono immessi all’interno di LHC, anch’esso
un grande sincrotrone, divisi in pacchetti da circa 100 miliardi di protoni l’uno e lanciati in direzioni opposte. Ci sono circa 2800 pacchetti, per senso di
marcia, che girano contemporaneamente all’interno di LHC, distanti circa 50 ns
(corrispondenti a circa 16 m) l’uno dall’altro. Ogni secondo i fasci di protoni
compiono 11245 giri completi dell’acceleratore, portando a circa 600 milioni di
collisioni al secondo [3] [4].
11
2.4
I rivelatori
Lungo LHC sono presenti quattro rivelatori di particelle: ATLAS, CMS, ALICE,
LHCb. Di questi, solo i primi due hanno lo scopo di cercare e studiare il bosone
di Higgs.
2.4.1
ATLAS
ATLAS (A Toroidal LHC ApparatuS) ATLAS è lungo 46 metri con un diametro
di 25 metri e pesa circa 7000 tonnellate. È composto da diversi rivelatori in modo
da identificare e misurare l’energia e il momento di molte particelle e ricostruire
cosı̀ la dinamica della collisione.
Il disegno del rivelatore ATLAS era ottimizzato per studiare una vasta gamma di processi fisici, compresi la produzione di bosoni di Higgs, su un vasto
intervallo di massa . Le quantità di moto delle particelle cariche vengono misurate da un rilevatore di tracciamento interno (ID) immerso in un campo assiale
a 2 T fornito da un magnete superconduttore. Le energie di elettroni e fotoni
sono misurati in un calorimetro elettromagnetico (ECAL) che circonda il rivelatore interno e il magnete. Un ulteriore livello di calorimetri di adroni (HCAL)
esterno all’ECAL serve anche come assorbitore, in modo che solo i muoni energetici e i neutrini penetrino. Lo spettrometro di muoni circonda i calorimetri;
esso consiste di magneti superconduttori che forniscono un campo toroidale e
un sistema di rivelatori di particelle cariche di precisione. La combinazione dei
sottorivelatori fornisce l’energia delle particelle e le misure di moto, per oltre il
98% dell’angolo solido. Le misurazioni sono fatte da circa 90 milioni di elementi
sensori, molti dei quali sono nel rivelatore interno.
I jets (stretti coni di particelle prodotte dalla conversione di quark e gluoni
in adroni) sono ricostruiti utilizzando i quasi 4π di copertura dell’angolo solido
dei calorimetri. Nelle collisioni ad alta energia protone-protone, un unico costituente (un quark o un gluone) da ogni protone prende parte alle interazioni che
si traducono in una grande varietà processi di noti e forse sconosciuti, tra cui la
produzione del bosone di Higgs. Il resto dei due protoni in collisione tendono a
viaggiare lungo la direzioni del raggio e uscire dal rivelatore inosservati, quindi è
possibile studiare l’equilibrio dei momenti solo nel piano trasversale all’asse del
fascio di protoni. I neutrini , che normalmente non sono rivelabili direttamente
, sono dedotti dal loro momento trasversale; si usano per bilanciare la somma
delle quantità di moto trasversali degli elettroni, muoni, fotoni e jets osservati:
la loro presenza è quindi indicato dalla grandezza della momento trasversale
mancante (ETmiss ). Durante il normale funzionamento di LHC , due pacchetti
di protoni che ruotano in versi opposti attraversano il centro di ATLAS ogni
50 ns . L’elevata intensità dei fasci porta a molte collisioni protone-protone che
si verificano contemporaneamente durante ogni incrocio di pacchetti di protoni,
un effetto noto come pile up. Il numero medio di interazioni per incrocio di
pacchetti di circa 10 nel 2011; aumentata a circa 20 nel 2012.
L’insieme dei segnali digitalizzati registranti i prodotti delle collisioni di un
singolo incrocio di pacchetti di protoni è noto come un evento . Un sistema di
trigger a tre livelli decide quali eventi devono essere registrati; tipicamente , vengono selezionati 20 eventi potenzialmente interessanti su 1 milione di prodotti.
Ogni livello di trigger riduce il tasso di un fattore tra 10 e 100. In questo modo,
soltanto gli eventi più interessanti (quelli con elettroni, muoni, fotoni, o jets
12
ad alto momento trasverso) sono riconosciuti e registrati. Ogni evento richiede
circa 1 megabyte di spazio di archiviazione, e in genere vengono registrati 400
eventi ogni secondo [6].
Figura 2.2: Struttura di ATLAS
2.4.2
CMS
Il rivelatore CMS (Compact Muon Solenoid) misura particelle prodotte in collisioni protone-protone. La caratteristica centrale del rivelatore è un solenoide
superconduttore lungo 13 m, con un diametro interno di 6 m. Dentro di esso è
generato un campo magnetico uniforme di 3.8 T lungo l’asse dei fasci di LHC.
All’interno ci sono un calorimetro elettromagnetico con cristalli di tungstato di
piombo (PbWO4) scintillanti e un calorimetro adronico in ottone (HCAL). I
muoni sono identificati e misurati nei rivelatori più esterni.
Il rivelatore è suddiviso in una parte cilindrica e dei dischi su ogni lato del
punto di interazione. Calorimetri lungo l’anello completano la copertura fornita
dal rivelatore cilindrico e da quelli laterali. Il rivelatore CMS ha una grande
accettanza angolare , rilevando particelle nell’intervallo azimutale pieno e con θ
maggiore di 0.8◦ , dove θ è l’ angolo polare rispetto all’asse del fascio.
I 66 milioni di pixel di silicio e 9,3 milioni di strisce di silicio che compongono
il rivelatore vengono utilizzati per determinare le traiettorie delle particelle cariche. I rivelatori multistrato al silicio forniscono il monitoraggio accurato delle
particelle cariche con eccellente efficienza , che è particolarmente importante
per le condizioni di alta pile up a LHC. Il campo magnetico curva le traiettorie delle particelle cariche, consentendo la misura della loro quantità di moto.
L’efficienza di rivelazione è superiore al 99% , e l’incertezza nella misurazione
dell’impulso trasverso, pT (proiezione del vettore momento sul piano perpendicolare all’asse del fascio), è compresa tra 1.5 e 3% per tracce cariche con pT di
circa 100 GeV. Estrapolando le tracce all’indietro verso le loro origini, i precisi
punti di interazione protone-protone, o vertici di collisione, possono essere determinati. Vertici di decadimento di particelle dalla vita relativamente lunga
13
contenenti quark pesanti, come i mesoni B, possono parimenti essere identificati e ricostruiti. Tale b-tagging è particolarmente utile nelle ricerche per le
particelle non osservate precedentemente, come il bosone di Higgs.
Il calorimetro elettromagnetico (ECAL) assorbe fotoni ed elettroni. Questi
producono una pioggia di particelle all’interno del cristallo denso, che producono a loro volta luce di scintillazione rilevata dai fotorivelatori attaccati alle
facce posteriori dei 75848 cristalli. La quantità di luce rilevata è proporzionale
all’energia degli elettroni o dei fotoni entranti, permettendo di determinarne le
energie con una precisione dell’ 1% circa nella regione di interesse per le analisi qui riportate. Poiché gli elettroni sono particelle cariche, possono essere
discriminati dai fotoni facendo corrispondere il segnale ECAL con una traccia
ricostruita nel tracciatore interno. Anche gli adroni possono avviare cascate nell’ECAL, ma generalmente penetrano ulteriormente nel rivelatore, raggiungendo
il HCAL circostante l’ECAL. Le misurazioni delle energie delle particelle nel
HCAL non sono precise come quelle dell’ECAL, ma sono comunque sufficienti
alle esigenze del programma di fisica di CMS.
Il solenoide è circondato da un grande sistema di rivelazione che
identifica e misura i momenti dei muoni. Esso
comprende tre diversi tipi di rivelatori a ionizzazione che permettono di
misurare i momenti dei
muoni con una precisione
inferiore all’1% nella regione interesse. La combinazione delle informazioni da tutti i rivelatori viene utilizzata per ricostruire il contenuto di
particelle in un evento
di collisione attraverso un
algoritmo noto come flusFigura 2.3: Struttura interna di CMS
so di particelle. I quark e
gluoni si combinano e formano jets di adroni collimati nel rivelatore. Una volta ricostruita dai dati, l’energia del jet è tarata per fornire una misurazione accurata dell’energia dei quark
e gluoni da cui viene prodotto. Una somma vettoriale delle quantità di moto
di tutte le particelle visibili viene calcolata, e il momento trasverso mancante
dedotto dalla conservazione del momento porta alla scoperta della presenza di
particelle non rilevate, come i neutrini. Anche se l’LHC produce tipicamente
circa mezzo miliardo di collisioni in approssimativamente 20 milioni di incontri
fra pacchetti al secondo, solo una piccola frazione di questi contengono potenzialmente interessanti fenomeni nuovi, quindi non è né necessario né fattibile
registrare tutti i dati da ogni singola collisione. CMS utilizza un sistema di
trigger online a due livelli per ridurre il tasso di eventi da circa 20 MHz a circa
500 Hz, conservando solo gli eventi che sono degni di ulteriori indagini. Il primo
livello utilizza l’elettronica analogica vicino al rivelatore per analizzare le infor14
mazioni poco precise che escono dai calorimetri e rivelatori di muoni, in modo
da ridurre il tasso di a 100 kHz o meno. Il secondo livello utilizza un insieme
di 13000 processori per analizzare le informazioni complete da tutti i sottorivelatori al fine di prendere la decisione definitiva in merito alla registrazione
di un evento. CMS ha finora scelto diversi miliardi di eventi, corrispondenti a
più di 4 petabyte di dati relativi agli eventi memorizzati. Gli eventi registrati
vengono inviati a centri di calcolo al CERN e in tutto il mondo per ricostruire
completamente le particelle prodotte in ogni collisione e consentire successive
analisi [5].
15
Capitolo 3
Produzione e decadimento
del bosone di Higgs
3.1
Intervallo di misura
Quando nel 2000 fu disattivato LEP, quest’ultimo aveva escluso l’esistenza del
bosone di Higgs con una massa inferiore ai 114.5 GeV. I dati provenienti dal
Tevatron escludevano invece una regione di massa dai 147 GeV ai 180 GeV,
dando peró un piccolo eccesso di eventi nella regione tra i 115 GeV e i 140 GeV.
Il piú alto valore possibile teorico della massa del bosone è circa 1.4 TeV, soglia dopo la quale il MS diventa inconsistente senza il meccanismo di Higgs, dato
che l’unitarietá della probabilitá verrebbe violata in alcuni processi di scattering.
Quindi gli intervalli di massa nei quali potrebbe essere il bosone di Higgs
sono solo due: 115-147 GeV e tra i 180 GeV e gli 1.4 TeV. Grazie ai dati del
Tevatron il primo intervallo appare piú probabile.
LHC è stato perciò costruito con dei rivelatori in grado di rivelare una
particella con le proprietà del bosone di Higgs nell’intervallo 110-600 GeV.
3.2
Sezione d’urto e luminosità
Naturalmente non basta che vi sia una semplice collisione tra 2 protoni per
ottenere un bosone di Higgs, perché questa collisione può dare luogo alla nascita
di diverse particelle.
Per definire la probabilità di un certo evento in fisica delle particelle, si usa
la sezione d’urto (σr ). Quest’ultima ha le dimensioni di una superficie [L2 ], e,
per un esperimento a fasci incrociati, si ricava da
σr =
dNr /dt
·A
N1 · N2 · f
(3.1)
dove dNr /dt è il numero di reazioni che avvengono nell’unità di tempo, fi
è la frequenza di interazione tra pacchetti di particelle, N1 e N2 il numero di
particelle in un pacchetto e A la sezione trasversale media dei fasci.
In pratica, le macchine ad anelli incrociati, come LHC, utilizzano per ogni
fascio un gran numero di pacchetti np , sincronizzati in modo da incrociarsi
16
sempre a due a due nella zona di interazione, il che equivale a porre fi = np · fr ,
dove fr è la frequenza di rotazione del singolo pacchetto.
Date le piccole dimensioni della sezione d’urto viene definita una nuova unità
di misura, il barn
1barn = 1b = 10−28 m2
(3.2)
e i suoi sottomultipli, il mb, il µb, il nb.
Per sapere quanti eventi con una certa sezione d’urto (probabilità) avvengono
in un dato intervallo di tempo, bisogna invece tenere conto della luminosità .
La luminosità istantanea dà una misura del tasso di collisioni che si verificano
in un acceleratore di particelle, in base a quanto sono intensi i fasci di particelle
circolanti e quanto sono compressi al punto di collisione. Anche se ciò non
implica che tutte queste particelle si scontrino, stringendo più particelle in uno
spazio ristretto le collisioni sono più probabili. La luminosità istantanea si
esprime in inverso barn (b−1 ) al secondo, e rappresenta quindi il numero di
eventi prodotti con una certa sezione d’urto ogni secondo.
L=
N1 · N2
· fi
A
(3.3)
È quindi anche usato cm−2 s−1 come unitá di misura. Se si integra questa
luminosità nel tempo si ottiene la luminosità integrata, che ci da il numero di
eventi con una certa sezione d’urto generati nell’intervallo di tempo integrato.
Z
Lint = Ldt
(3.4)
Quindi se ad esempio nell’intervallo di tempo T otteniamo una luminosità
integrata di 1 pb−1 , alla fine della raccolta dati ci aspetteremo di trovare indicativamente 1 evento da 1 pb, 1000 eventi da 1 nb, 5000 eventi da 200 µb e via
dicendo. Per avere una quantità sufficiente di dati su cui iniziare a lavorare, era
necessario ottenere almeno 20000 bosoni di Higgs, quindi raggiungere una luminosità integrata di almeno un inverso femtobarn (1f b−1 ). Tuttavia era previsto
che per arrivare a una significanza statistica di 5σ bisognava arrivare ad almeno
10 f b−1 [5].
Nel 2011, con l’acceleratore portato all’energia di 7 TeV, ATLAS e CMS
raggiungono rispettivamente le luminositá integrate di 4,8 e 5 f b−1 . Nel 2012
invece, con LHC portato a 8 TeV, vengono raggiunti già in estate i 5,8 e i 5,3
f b−1 , portandoci quindi a superare i 10 f b−1 richiesti [6] [5].
Come detto in precedenza, la massa del bosone di Higgs non è nota a priori,
e questo crea un problema, dato che la sezione d’urto dipende fortemente dalla
massa. Tuttavia l’LHC è stato costruito per cercare il bosone di Higgs in un
range di massa dai 120 GeV fino ad 1 TeV, e per ogni data massa la sezione
d’urto teorica è ricavabile, vedi figura 3.1 e 3.2.
17
Figura 3.1: Sezione d’urto in funzione della massa a 7 TeV
Figura 3.2: Sezione d’urto in funzione della massa a 8 TeV
Per motivi già menzionati, la ricerca si è andata ad incentrare soprattutto
tra i 120 e i 135 GeV. Nel caso particolare di una massa di 125 GeV, con i
protoni accelerati a 7 TeV, la sezione d’urto attesa di pp → H è di 22 pb (il 25%
più alta se ad 8 TeV) [5] [7].
18
Finora si è parlato di collisione protone protone, ma date le energie disponibili, in realtà le collisioni sono tra i quark o i gluoni all’interno del protone. Queste
collisioni danno luogo alle reazioni presentate con i diagrammi di Feynman nella
figura 3.3., con sezione d’urto:
Fusione gluone-gluone: σpp→H = 19.5pb
Fusione di bosoni vettori: σpp→qqH = 1.58pb
Higgsstrahlung: σpp→W H = 0.697pb, σpp→ZH = 0.394pb
Fusione di due quark top: σpp→ttH = 0.130pb
Figura 3.3: Produzione del bosone di Higgs
3.3
Il branching ratio
Come tutte le particelle instabili, anche il bosone di Higgs decade in particelle
piú leggere. Il suo decadimento è direttamente proporzionale alla massa, quindi
è più probabile che decada in particelle pesanti.
Tuttavia le probabilità dei decadimenti dipendono dalla massa del bosone,
e non sono quindi note a priori. Si possono però studiare tutte le possibili
probabilità in funzione della massa.
Figura 3.4: Branching ratio in funzione della massa [8]
19
Vediamo quindi che i decadimenti più probabili a 125 GeV sono bb, W + W − ,
ZZ, gg e τ τ . Nonostante ciò, il decadimento più studiato è quello in γγ, con la
sua branching ratio di solo 2, 29 · 10−3 .
Figura 3.5: Branching ratio a 125 GeV [8]
3.3.1
H → γγ
La scelta di questo decadimento è dovuta soprattutto alla pulizia del segnale
lasciato da 2 fotoni nei rivelatori, più precisamente nel calorimetro elettromagnetico (ECAL). Gli altri possibili decadimenti, decadono a loro volta in più particelle leggere, costringendo quindi ad una ricostruzione dell’evento sicuramente
più lunga e molto spesso più complicata.
Il decadimento in γγ avviene attraverso loop quantistici di particelle pesanti,
come il quark top o il bosone W illustrati anche in figura 3.6 [6].
Figura 3.6: H → γγ
Uno dei problemi da affrontare in questo caso è quello di capire da quale
collisione nascono i 2 fotoni, richiesta necessaria ai fini della determinazione della
massa della particella di partenza. Infatti in un singolo incontro fra pacchetti
di protoni (bunch crossing), avvengono circa 40 collisioni (con l’energia e la
luminosità raggiunte nel 2012) concentrate in uno spazio di 10 cm al centro del
rivelatore. Ma grazie alla segmentazione del calorimetro, riusciamo a ricostruire
la traccia del fotone fino alla sua origine, fino ad una precisione di 15 mm,
sufficiente per i nostri scopi [5].
20
Per studiare l’effettiva presenza di una particella di una certa massa attraverso il numero di fotoni osservati, si studia il numero di coppie prodotte in
funzione della loro energia nel centro di massa, usando l’equazione 3.5, valida
sempre per particelle a massa nulla.
p
√
s = 2E1 E2 (1 − cos θ12 )
(3.5)
√
dove s è la massa invariante, E1 ed E2 l’energia dei due fotoni rivelati e
θ12 l’angolo tra i due fotoni.
Ci si aspetterebbe infatti un andamento decrescente (fittato nello specifico
con un polinomio al quinto ordine) del rumore (o background). Questo andamento è osservato, ma nella zona intorno ai 125 GeV c’è un leggero picco, indice
della presenza di un segnale che non è di background.
Figura 3.7: Distribuzione della massa invariante (mγγ )dei difotoni candidati (CMS)
21
Figura 3.8: Distribuzione della massa invariante (mγγ )dei difotoni candidati (ATLAS)
3.3.2
H → ZZ
Un altro canale di decadimento interessante è quello in ZZ. Naturalmente uno
dei due bosoni è virtuale, dato che hanno una massa di 91 GeV e supererebbero
quindi di quasi 60 GeV la massa del bosone di Higgs stimata. Entrambi questi bosoni pesanti decadono (nel 7% dei casi) in 4 leptoni (llll): o in 2 coppie
di elettroni-positroni (e− e+ e− e+ ), o in 2 coppie di muoni con cariche opposte
(µ− µ+ µ− µ+ ), o in una coppia elettrone-positrone e una coppia di muoni. Anche se non è tra i suoi decadimenti più probabili, è però il più pulito, con un
basso rumore di fondo. Infatti, come nel caso di H → γγ, la configurazione di
decadimento ideale è quella in cui ci sono meno passaggi dal bosone di Higgs
allo stato finale studiato.
Non basta peró vedere 4 leptoni per stabilire il decadimento di un bosone
di Higgs. Potrebbero essere per esempio dovuti alla creazione diretta di ZZ da
un’annichilazione qq o una fusione gluone-gluone. A parte il tasso di produzione
diretta di ZZ, che si può ricavare dalle simulazioni, il numero di eventi di fondo
è stato estratto dai dati. I leptoni che decadono da Z sono di solito ben isolati
nel rivelatore, ovvero ben separati da jets o altre particelle prodotte nella collisione. Sono state analizzate soltanto collisioni che davano luogo a 4 leptoni, in
particolare solo quelle con muoni ed elettroni con un momento trasverso rispettivamente di almeno 5 GeV e 7 GeV. Tra l’altro le coppie di dileptoni devono
avere una massa invariante compresa tra i 40 e i 120 GeV la piú pesante e tra
i 12 e i 120 GeV la più leggera. Può anche succedere che un elettrone molto
energetico irradi un fotone all’interno del rivelatore, quindi, quando è stato possibile, si è aggiunta l’energia di un fotone vicino che era compatibile con tale
evento.
22
Figura 3.9: Distribuzione della massa invariante nel decadimento a 4 leptoni (ATLAS)
Figura 3.10: Distribuzione della massa invariante nel decadimento a 4 leptoni (CMS)
In entrambe le figure è visibile un picco a 125 GeV. Questa analisi completamente indipendente dalla precedente indica la presenza di un segnale nella
stessa regione di quella che si trova nella modalitá di decadimento del difotone.
Questo è ció che ci si aspetta se effettivamente il segnale deriva dalla stessa
particella di partenza [5].
23
3.3.3
H → WW
Il canale H → W W potrebbe sembrare molto simile a quello in ZZ (anche
in questo caso uno dei due bosoni pesanti sarebbe virtuale), tuttavia stiamo parlando di particelle cariche, quindi il decadimento studiato sarebbe H → W W → eνµν, con le cariche propriamente distribuite. È evidente
che il problema principale di questo decadimento è la presenza di ben 2 neutrini, che rende impossibile ricostruire completamente l’evento e ricavare quindi la
massa del bosone di Higgs. È stato comunque possibile ottenere alcune informazioni da questi decadimenti, come la massa trasversa, correlata alla massa
del bosone di Higgs [6].
3.3.4
H → bb e H → τ τ
Altri canali di decadimento come quello in bb, in τ τ o altri decadimenti dei
bosoni W e Z, non hanno prodotto ad oggi risultati significanti. Nonostante la
loro alta branching ratio, sono comunque eventi molto complessi da studiare,
sia per la presenza di neutrini, sia per l’elevato numero di eventi di fondo.
H → bb è il decadimento più probabile del bosone di Higgs, con una probabilità di circa il 57%. Entrambi i quark daranno vita a un jet, grazie al quale,
studiandone tutte le particelle, si potrà risalire all’energia del quark b di partenza, ma è soggetto a grande incertezza. Si è scelto di studiare soprattutto eventi
nei quali vengono prodotti anche W e Z. Per provare a minimizzare il rumore
di fondo, gli eventi sono stati divisi in diverse classi, differenziate le une dalle
altre dal momento trasverso delle coppie di jet e dalla natura dei decadimenti
dei bosoni associati [5].
Il decadimento H → τ τ non è nemmeno uno tra i più probabili, rendendolo
anche più problematico di quello in bb. Il leptone τ ha una vita media di circa
10−12 s, ovvero decade dopo aver percorso pochi millimetri. Può decadere sia
in leptoni più leggeri (elettroni o muoni) e i rispettivi neutrini per bilanciare
i numeri leptonici, sia in un neutrino e uno o tre pioni carichi, possibilmente
accompagnati da pioni neutri. Per i motivi esposti precedentemente, non hanno
ancora dato dei risultati statisticamente validi, ma questo problema potrebbe
essere risolto quando verrà aumentata la luminosità di LHC [5].
Quindi per ora i decadimenti in coppie di fermioni restano molto meno
significativi rispetto a quelli in coppie di bosoni e i loro straordinari risultati.
24
Capitolo 4
Analisi dei dati raccolti
4.1
Massa del bosone di Higgs
Come accennato, la massa del nuovo bosone è stata ricavata studiando lo spettro
di massa invariante dei prodotti del decadimento e cercando un picco emergente
dal segnale di fondo. Nel caso del decadimento in due fotoni, che hanno massa
nulla, si ha:
p
mH = 2E1 E2 (1 − cosθ)
(4.1)
dove la massa di H è uguale alla massa invariante dei due fotoni, E1 ed E2
sono le energie dei fotoni nel sistema del laboratorio e θ è l’angolo tra di essi.
Dall’equazione(4.1) si ricava:
∆θ
∆mH
1 ∆E
+
=√
mH
E
θ
2
(4.2)
in cui si è supposto E1 ≈ E2 = E e cosθ ≈ 1 − θ2 /2. La ricostruzione
della massa invariante dei due fotoni tramite l’equazione 4.1 richiede quindi una
buona misura delle energie dei fotoni (compito svolto dai calorimetri elettromagnetici in cui i fotoni rilasciano tutta la loro energia) e dell’angolo relativo. La
misura di energia viene calibrata dallo studio del decadimento Z → e+ e− ed è
possibile ottenere δE = 1.3GeV . Considerando anche il contributo proveniente
dall’angolo, nel complesso si ha δm ≈ 1.4GeV .
Per misurare l’angolo occorre risalire alla posizione del vertice di interazione;
per farlo, è possibile utilizzare le tracce delle altre particelle prodotte insieme al
Bosone di Higgs (i fotoni non hanno carica e non sono rivelati dal tracciatore).
Infatti, i pacchetti di protoni hanno una dimensione lungo la direzione dei fasci
di circa 5.6 cm: di conseguenza, ipotizzare che i fotoni vengano prodotti nel
centro nominale di interazione può tradursi in un errore di qualche grado su θ.
Nell’esperimento ATLAS l’angolo è misurato dall’intersezione delle direzioni dei
due fotoni, le quali vengono ricavate a partire dai baricentri delle tracce lasciate
nei diversi strati del calorimetro elettromagnetico, oltre che dall’identificazione
del vertice di interazione.
Per quanto riguarda il canale di decadimento in due Z, la strategia consiste
nella ricostruzione dello stato finale composto da quattro leptoni; si cercano due
coppie di leptoni di carica opposta, una con momento trasverso pT > 20 Gev,
25
l’altra con pT > 7 Gev con le quali si ”costruiscono” due canditati bosoni Z di
cui uno virtuale (off mass-shell ).
Lo studio del canale H → W W fornisce uno eccesso di eventi distribuito in
un largo intervallo di massa; sebbene questo eccesso non consenta una misura
precisa di mH , i risultati sono comunque compatibili con le misure degli altri
canali più sensibili. Questo canale risulta svantaggioso anche per il fondo dovuto
alla produzione di coppie di bosoni W senza partecipazione dell’Higgs. Per
discriminare i due eventi si sfrutta il fatto che l’angolo di apertura tra i leptoni
(prodotti a seguito del decadimento dei bosoni W) è solitamente minore di 90◦
nel caso di decadimento dell’Higgs e maggiore di 90◦ altrimenti [5].
Dall’analisi del campione completo di dati è emerso:
ˆ Canale H → γγ:
– ATLAS: mH = 126.8 ± 0.2stat ± 0.7sys GeV
– CMS: mH = 125.4 ± 0.5stat ± 0.6sys GeV
ˆ Canale H → ZZ ∗ → (4l):
– ATLAS: mH = 124.3 ± 0.6stat ± 0.6sys GeV
– CMS: mH = 125.8 ± 0.5stat ± 0.2sys GeV
Combinando i risultati per i due canali si è ottenuto:
ATLAS:
mH = 125.5 ± 0.2stat ± 0.6sys GeV
CMS:
mH = 125.7 ± 0.3stat ± 0.3sys GeV
In base a questi risultati, la massa del nuovo bosone è nota con una precisione
dello 0.5%. La figura 4.1 mostra lo studio sulla compatibilità dei valori di
massa misurati da ATLAS per i canali H → γγ, H → ZZ → 4l e H → W W :
il valore di massa ricavato dal best fit vale mH = 125.5 ± 0.2stat ± 0.6sys GeV
mentre la differenza tra i due valori di massa misurati vale ∆m = 2.3+0.6
−0.7 (stat)±
0.6(sys) GeV .
Figura 4.1: Intervalli di confidenza in funzione della massa e di µ per i tre canali principali
26
Le figure 3.7 e 3.8 mostrano i risultati degli esperimenti ATLAS e CMS nello
studio del canale H → γγ: indicando il segnale di fondo con b e supponendo che
le sue fluttuazioni siano di natura poissoniana, se s è la differenza tra il segnale
e il fondo, allora la significanza σ del segnale è data da:
s
σ=√
(4.3)
b
La scoperta viene proclamata se σ > 5, come avvenuto nel luglio 2012 e
riportato nella figura 4.2.
Figura 4.2: P value locale per i 5 canali studiati e la loro combinazione
4.2
Consistenza del segnale
Un parametro importante nello studio del Bosone di Higgs è la consistenza del
segnale (signal strength) indicata con µ. Essa è definita come µ = σ/σM S ,
ovvero come rapporto tra la sezione d’urto sperimentale e quella prevista dal
MS. Un valore di µ compatibile con l’unità implica che la misura sia coerente
con quanto previsto dalla teoria. La figura 4.3 espone i risultati ottenuti dagli
esperimenti ATLAS e CMS nello studio dei diversi canali di decadimento. A
ciascuno dei canali di decadimento analizzati corrisponde un valore di µ; da
questi è possibile estrarre un valore complessivo per la forza del segnale, la
quale risulta essere
µ = 1.30 ± 0.13(stat) ± 0.14(sys).
(4.4)
Il fatto che si ottenga un valore di µ diverso da 1 può essere dovuto a delle
fluttuazioni statistiche o all’esistenza di fenomeni non previsti dal MS. Per risolvere la questione si dovrà attendere che LHC riprenda la sua attività fornendo
nuovi dati da analizzare [5].
I test statistici sono stati ripetuti per vari valori di mH e µ. Nel grafico 4.4
vediamo i livelli di confidenza al 68% (1σ) e al 95% (2σ).
In assenza di un segnale , si potrebbe escludere l’esistenza del bosone di Higgs
per tutte le masse tra 110 e 582 GeV , come illustrato nella Figura 4.4. Questo
intervallo si sovrappone con quello minore vincolato da LEP (114,4 GeV); se
27
Figura 4.3: Forza del segnale µ per i diversi canali di decadimento studiati da ATLAS e
CMS. Vi è una buona compatibilità tra i diversi canali e il valore complessivo risultante è
µ = 1.30 ± 0.13(stat) ± 0.14(sys).
tutto l’intervallo fosse stato escluso, ciò avrebbe dimostrato che l’ipotesi dell’esistenza del bosone di Higgs sarebbe stata completamente sbagliata. I nostri
dati escludono un segnale del Bosone di Higgs al 95 % di livello di confidenza
(CL) nelle due regioni , 111-122 GeV e 131-559 GeV. Nella regione intorno a 126
GeV , questa analisi è più che sensibile per escludere la presenza di un bosone
di Higgs segnale al 95 % CL; l’incapacità di farlo implica che la possibilità di
una scoperta deve essere considerata [6].
Figura 4.4: Livelli di confidenza su µ
28
Conclusioni
Il futuro di LHC
La prima fase dei lavori di LHC si è conclusa con un evidente successo nel dicembre del 2012: l’acceleratore e i rivelatori hanno avuto prestazioni eccezionali.
Finora si è lavorato con una luminosità di picco di 7.5 × 1033 cm−2 s−1 , con
pacchetti di protoni distanti 50 ns e una condizione di pile-up pari a 20-25 (valore massimo raggiunto nel corso dei lavori), raggiungendo una statistica finale
di circa 24 f b−1 .
LHC verrà riattivato nel 2015, dopo essere stato sottoposto a dei lavori di
manutenzione e aggiornamento che lo porteranno a lavorare alle condizioni di
progetto. Raggiungerà un’energia nel centro di massa di 13-14 T ev e una luminosità di 1034 cm−2 s−1 con i pacchetti di protoni distanziati di 25 ns . Con
queste nuove caratteristiche, mantenute fino al 2018, si prevede di acquisire una
statistica di quasi 100 f b−1 . Successivamente seguirà una fase di aggiornamento
che, secondo un piano già approvato, vedrà LHC raddoppiare la luminosità fino
a 2 × 1034 cm−2 s−1 . La macchina sarà portata ad un energia fissa di 14 T ev
e manterrà queste prestazioni nell’arco di tempo tra il 2019 e il 2021, periodo
nel quale la statistica accumulata verrà arricchita di altri 300 f b−1 di dati. Affinché ciò sia possibile, sarà necessario migliorare le proprietà già eccellenti dei
rivelatori, che dovranno essere in grado di sopportare le dure condizioni di lavoro connesse all’aumento della luminosità; in particolare, i rivelatori dovranno
resistere ai danni da radiazione ed essere in grado di lavorare in una condizione
di pile-up almeno cinque volte superiore rispetto a quella attuale. Inoltre, sarà
necessario perfezionare il sistema di trigger e di tracciamento.
Risultati ottenuti
I miglioramenti discussi in precedenza consentiranno, seppur con le inevitabili
limitazioni, di studiare in modo più approfondito la nuova particella. Infatti,
se da un lato l’aumento dell’energia delle collisioni implica un aumento della
sezione d’urto di produzione dell’Higgs, dall’altro lato l’aumento della luminosità
significa un maggior numero di eventi e quindi l’accesso ai canali di decadimento
rari come H → µ+ µ− . Sarà anche possibile ricavare maggiori informazioni sul
decadimento H → τ + τ − (attualmente CMS ha osservato un segnale superiore
a 3σ combinando i risultati dei canali di decadimento in due τ e in due b),
studiando di conseguenza l’accoppiamento tra l’Higgs e i leptoni.
Ma nonostante tutti questi miglioramenti LHC rimane una macchina adatta
alla scoperta di nuove particelle piuttosto che ad uno studio ad alta precisione
di queste ultime. A tale scopo, è un’idea piuttosto diffusa che sia necessario
29
costruire una nuova macchina che faccia collidere elettroni e positroni, in modo
da avere una copiosa produzione di bosoni di Higgs: questo perché una macchina
del genere produce un segnale più pulito di quello che si otterrebbe usando un
collisore adronico quale è LHC, il cui punto debole è rappresentato dall’enorme
rumore di fondo.
A questo proposito è opportuno ricordare che già nell’agosto del 2005 circa
600 fisici provenienti da tutto il mondo si sono incontrati a Snowmass, in Colorado, per cominciare a pianificare lo sviluppo dell’International Linear Collider
(ILC), un acceleratore lineare per elettroni e positroni in grado di raggiungere
un’energia nel centro di massa di 500 GeV, sufficiente a studiare le proprietà del
Bosone di Higgs con una precisione dell’uno per mille.
Ad ogni modo, in base ai dati raccolti attualmente e alle analisi condotte su
di essi è possibile concludere che la particella osservata risulta compatibile con
quanto previsto dal MS.
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