Higgs-OssRom - Scienza Fede e Società

Più che sforzarsi di spiegare cosa sia questa scoperta banalizzandola bisogna
mostrare il suo vero significato
di Piero Benvenuti
Università di Padova
Nel 1993, l'allora ministro britannico per la ricerca, William Waldgrave,
promise una bottiglia di champagne a chi fosse stato in grado di spiegargli, in
una singola pagina dattiloscritta, la natura del bosone di Higgs e l'importanza
della sua eventuale scoperta. Nei giorni scorsi non c'erano bottiglie in palio,
ma gli articoli che sui giornali facevano a gara per cercare di spiegare al
lettore comune, con parole semplici e similitudini prese dalla vita quotidiana,
cosa sia questo famoso bosone, si sono contati a decine.
Mettendomi dalla parte del lettore comune e immaginando i dubbi che gli
possono esser sorti sulla propria capacità di comprendonio, vorrei
tranquillizzarlo dicendogli che l'impresa di far capire in poche parole la natura
dell'ultima particella scoperta dai fisici del Cern, è di fatto impossibile.
Sarebbe come se, consegnando a un immigrato cinese, appena approdato
nel nostro Paese, una paginetta scritta in italiano che descrive succintamente
il Paradiso di Dante, pretendessimo che egli riuscisse ad apprezzare la
bellezza poetica e la profondità di contenuti della terza cantica dantesca.
Dovrebbe innanzitutto imparare l'alfabeto occidentale (la matematica), poi la
grammatica e la sintassi (la fisica classica), infine la filosofia e la teologia
scolastiche (la fisica quantistica e il modello standard). A quel punto però il
nostro amico cinese si sarebbe trasformato in un cultore di letteratura italiana
(o in un fisico moderno) e quindi non avrebbe più bisogno di spiegazioni
metaforiche.
Sforzi inutili quindi? Certamente no: gli esempi che sono stati ideati per farci
almeno intravvedere la rilevanza fondamentale della scoperta, o meglio, della
verifica dell'esistenza del bosone di Higgs, sono molto ingegnosi ed
encomiabili. Forse però soffrono tutti di una prospettiva limitata in partenza
(sempre dal punto di vista del lettore comune): tutti indistintamente si
sforzano di farci comprendere solo la "fisica" del bosone, il modo con il quale
il "campo" di Higgs interagisce con le altre particelle elementari
determinandone la natura, in particolare la massa di ciascuna di esse.
Un aspetto sicuramente interessante e affascinante per chi abbia una
minima conoscenza della fisica moderna, ma che lascerà perplessi o
disinteressati tutti gli altri. Un peccato e un'ingiustizia perché - come
correttamente ricordava il ministro Waldgrave nel promettere la sua bottiglia "Gli scienziati hanno l'obbligo di spiegare al pubblico l'importanza delle loro
ricerche, se pretendono di essere poi finanziati con denaro pubblico".
È evidente che un'ennesima esemplificazione, simile a quelle apparse nei
giorni scorsi, non avrebbe effetto. A mio parere, è necessario sollevare lo
sguardo dall'ambito puramente fisico e scientifico e, anche a costo di qualche
inevitabile imprecisione e semplificazione, portarlo a un livello più "filosofico"
, non in senso accademico, ché le cose peggiorerebbero, ma nel senso di
riavvicinare il problema alle questioni essenziali del nostro essere nel mondo.
Infatti, al di là dei tecnicismi, la discussione sulla esistenza o meno del
bosone di Higgs, ci riporta alla fondamentale e storica questione sulla natura
dello spazio, in particolare dello spazio vuoto e se quest'ultimo sia
identificabile con il "nulla".
Quando io mi alzo dalla poltrona e mi avvicino alla finestra, che cosa ne è
dello "spazio" che occupavo mentre ero seduto? Oggi diciamo senza
esitazione (e Aristotele con noi) che esso viene subito occupato dall'aria
circostante. Ma oggi sappiamo anche (questa volta con Leucippo, Democrito,
Epicuro e Lucrezio) che l'aria e noi stessi siamo composti di "atomi",
particelle elementari indivisibili che "sono" e "si muovono" nello spazio.
Qual è la natura di questo spazio? È la domanda che si poneva Lucrezio nel
De rerum natura: "indaghiamo dunque se il vuoto che abbiamo scoperto,
luogo o spazio dove ogni evento avviene, sia nel suo insieme finito oppure
s'apra sterminato e infinitamente profondo (an immensum pateat vasteque
profundum)". Una visione, quella degli atomisti ionici, incredibilmente
moderna, ma oscurata per secoli dall' horror vacui aristotelico che non
ammetteva in natura l'esistenza del vuoto.
Gli esperimenti di Torricelli, ma soprattutto la fisica newtoniana, riportavano
sulla scena lo spazio come un concetto assoluto e inerte - per così dire rispetto ai corpi che in esso si muovevano. Concetto comunque esistente e
necessario, tanto che Kant lo definirà (unitamente al tempo) forma "pura" apriori dell'intuizione.
È interessante ricordare, visto il nomignolo "teologico" distrattamente
assegnato al bosone di Higgs, che il passaggio dello spazio vuoto dalla nonesistenza aristotelica all'entità assoluta e onnipervasiva della fisica
newtoniana suscitò all'epoca un'accesa discussione teologica, testimoniata
da una fitta corrispondenza tra Gottfried Leibniz e Samuel Clarke: se lo
spazio era dovunque, dove si collocava Dio? Oggi saremmo tentati di
giudicare ingenua una tale diatriba, ma di fatto era molto più "filosoficamente"
seria di certe superficiali affermazioni lette nei giorni scorsi.
Il concetto di uno spazio vuoto assoluto cominciò a vacillare quando Einstein
dimostrò come la presenza di massa gravitazionale modifichi la geometria
dello spazio stesso, riportandolo quindi "dalle altezze irraggiungibili dell'apriori" - per usare le parole di Einstein - al livello dell'esperienza empirica.
Non è più possibile, dal punto di vista fisico, immaginare uno spazio che
"contenga" l'universo: spazio e cosmo sono inscindibili.
L'equivalenza tra massa ed energia e la fisica quantistica hanno
ulteriormente arricchito la nozione di spazio, che dobbiamo immaginare
popolato di particelle e antiparticelle virtuali che emergono e si annichilano in
continuazione. Il "campo di Higgs", dal quale, quando l'energia è
sufficientemente alta, il bosone omonimo si materializza, rappresenta
l'essenza dello spazio fisico: si avvicina, dopo secoli, a fornire la risposta che
Lucrezio cercava.
La conclusione, provvisoria (o falsificabile) nei dettagli, ma difficilmente
sovvertibile nella sostanza, è che lo spazio, ancorché vuoto, non coincide
con il "nulla" e una fluttuazione quantistica del vuoto può sì far emergere
materia-energia lì dove non c'era, ma si tratta sempre di una
"trasformazione", non di "creazione dal nulla" (creatio ex nihilo). Ecco quindi
che la scoperta del bosone di Higgs offre interessanti spunti di riflessione
sulla nostra stessa esistenza, sul nostro essere qui e ora e sulla nostra
origine.
Naturalmente questi accenni balbettati andrebbero approfonditi in una seria
discussione interdisciplinare tra fisici, filosofi e teologi, ma, guardando
indietro nella storia con una certa nostalgia, ci accorgiamo improvvisamente
che oggi queste discipline si sono via via arroccate dietro barriere
impenetrabili, dalle quali tutt'al più si lanciano alla rinfusa strali e irridenti
vituperi verso l'"avversario". La situazione non è sempre così estrema, ma i
commenti letti in questi giorni testimoniano comunque una certa
incomunicabilità. In una recente intervista pubblicata da "Avvenire", Michael
Heller lanciava l'appello: "Teologi, studiate la scienza". Io aggiungerei
sommessamente: "Colleghi scienziati, studiamo teologia o, quantomeno, un
po' di filosofia", le nostre ricerche risulteranno più comprensibili, soprattutto
quelle che non sembrano avere applicazioni pratiche immediate. Speriamo
quindi che il clamore e l'interesse generale suscitati dal successo
dell'esperimento cruciale dell'Lhc, invogli tutti a riflettere, allargando i propri
orizzonti culturali. Se il bosone di Higgs, oltre ad agire sulle particelle
elementari, riuscisse a far riavvicinare il pensiero scientifico a quello
umanistico, si trasformerebbe davvero in "super-particella di Dio"!