PILE E ACCUMULATORI
5.1 CELLE ELETTROCHIMICHE
Abbiamo visto che, per ottenere una qualche informazione su un elettrodo, è necessario
“accoppiarlo” con un altro elettrodo (magari impolarizzabile). Tale accoppiamento viene realizzato
collegando elettricamente i due conduttori ionici, costituendo così una cella elettrochimica, che,
per realizzare una catena galvanica regolarmente aperta, cioè una catena che abbia alle due
estremità lo stesso conduttore elettronico, è costituita da almeno tre interfacce:
M | S | M1 | M’
dove M ed M’ sono le opposte estremità dello stesso metallo.
Molto spesso però i due conduttori ionici sono diversi e devono essere mantenuti separati per
evitare reazioni chimiche dirette tra i componenti degli stessi (ad esempio due soluzioni
elettrolitiche che non possono essere mescolate). In questo caso il contatto elettrico tra i due
conduttori ionici deve essere realizzato in modo tale da garantire il veloce trasporto di cariche
elettriche, che deve essere però reversibile. Un modo molto diffuso di realizzazione del contatto
elettrico tra due soluzioni elettrolitiche è quello di frapporre un setto poroso.
Ricordiamo che il setto poroso crea una interfaccia tra due fasi in qualche modo diverse. Si tratta
naturalmente di una interfaccia elettrificata, cui corrisponde un  che viene denominato
potenziale interliquido EL. Per poter ottenere informazioni termodinamiche e/o cinetiche su un
singolo elettrodo, è però necessario che le due soluzioni abbiano lo stesso potenziale elettrico, cioè
EL dovrebbe essere nullo. Una metodologia largamente utilizzata per minimizzare il contributo di EL
al sistema elettrochimico consiste nell’utilizzazione di un ponte salino, cioè di una soluzione
elettrolitica frapposta tra le due soluzioni elettrodiche.
M  MS  SS  SD  MD  M
Per ciascuno degli elettrodi (al quale avvenga un processo redox reversibile) si hanno le seguenti
relazioni termodinamiche
Ox + ne
E  Eo 
R
RT aOx
ln
nF aR
rG = nFE
rGo = nFEo
dove i valori delle grandezze in questione sono tutti relativi alla convenzione elettrochimica per
l’elettrodo standard ad idrogeno, per il quale il processo
H+(aq, a = 1) + e
EHo 
H2
½H2(g, p = 1 bar)
 0 a tutte le T, il che significa rGo = 0 e rSo = 0
Ciò significa che i valori di qualsiasi potenziale elettrodico E sono sempre relativi a E o dell’elettrodo
standard ad idrogeno, mentre i valori di rG e rGo sono relativi al rGo del processo dell’elettrodo
ad idrogeno su riportato.
71
5.2 CELLE GALVANICHE
Una cella elettrochimica consente la conversione di energia chimica in energia elettrica e/o
viceversa. In realtà esistono molte situazioni di celle elettrochimiche che operano solo un tipo di
conversione: energia chimica in energia elettrica (cella galvanica: pila, cella a combustibile)
oppure energia elettrica in energia chimica (cella elettrolitica).
cella
energia chimica
galvanica
   
   
energia elettrica
cella elettrolitica
cella galvanica
cella elettrolitica
I dispositivi che sono in
grado di operare entrambe
le conversioni vengono
chiamati accumulatori o
batterie, anche se, in
realtà, il termine batteria
andrebbe
riferito
più
correttamente
ad
un
assemblaggio (in serie o,
più raramente, in parallelo)
di più pile, cioè una batteria
di celle (quello al piombo è
il più noto accumulatore ed è da questo, che normalmente è costituito da una batteria di celle, che
deriva l’uso del termine batteria per indicare un accumulatore). Mentre le celle a combustibile
costituiscono un capitolo a parte, sia per l’importanza che stanno sempre più assumendo, che per
la particolarità che le contraddistingue (in effetti sono delle pile, dato che operano solo il primo
tipo di conversione, ma sono chimicamente ricaricabili, cioè possono essere rifornite dei reagenti).
La distinzione tra pile e accumulatori viene espressa più chiaramente attraverso la diversa
denominazione, rispettivamente di celle (o batterie) primarie e celle (o batterie) secondarie
(che peraltro, con il termine batteria, non è del tutto scevra da confusione,).
Sono quindi sorgenti energetiche primarie (pile) quelle che una volta utilizzate non possono essere
più ricaricate, mentre sono definite sorgenti energetiche secondarie (accumulatori) quelle che
possono essere ricaricate. Le pile sono dei dispositivi ad accumulo energetico; il massimo di
energia disponibile è determinato dalla quantità di reagenti chimici immagazzinata all'interno del
dispositivo stesso. Esse cessano di fornire energia elettrica una volta che hanno completamente
72
consumato i reagenti chimici. Gli accumulatori differiscono dalle pile in quanto, una volta che i
reagenti chimici sono stati consumati, questi possono essere ripristinati in situ fornendo energia
elettrica dall'esterno, cioè convertendo energia elettrica in energia chimica.
Nelle pile si ha la trasformazione dell’energia chimica di una reazione spontanea (rG < 0) in
energia elettrica, ricordando che il rG di un processo a T e p costanti, com’è quello che avviene in
una pila, è pari a lavoro massimo utile. Se il processo viene condotto in modo tale da tenere
separate le due semireazioni, “tutto” il rG (in termini termodinamici ideali) viene trasformato in
energia elettrica.
In realtà, l’energia elettrica che si può ottenere è inferiore, in valore assoluto, al rG, poiché il
processo non avviene “reversibilmente” e quindi una parte dell’energia chimica viene dissipata
sotto forma di calore. In altri termini, la reversibilità termodinamica presume che i processi siano
infinitamente veloci per cui è sufficiente un discostamento infinitesimo dalla condizione di equilibrio
per produrre il decorso del processo, cioè un piccolo spostamento del sistema. Così di scostamento
infinitesimo in scostamento infinitesimo, si ottiene una trasformazione finita in modo reversibile
(una velocità infinita per un discostamento infinitesimo, producono uno spostamento finito). Nei
sistemi reali invece i processi hanno una velocità finita per cui è necessario un discostamento finito
dalla condizione di equilibrio per produrre un qualche decorso del processo (una velocità finita per
un discostamento finito produce uno spostamento finito); ciò significa che il processo non avviene
in modo reversibile.
La possibilità di trasformare energia chimica in energia elettrica è legata alla disponibilità di una
reazione ossido-riduttiva spontanea (appunto, con rG < 0):
Ox1 + R2
R1 + Ox2
il che significa che, se mescolassimo in una soluzione Ox1 ed R2, avremmo spontaneamente la
riduzione di Ox1, per dare R1, e l’ossidazione di R2 per dare Ox2. Ad esempio
Cu2+ + Zn
Cu + Zn2+
se introduciamo una lamina di Zn in una soluzione di solfato di rame (CuSO4), avviene la reazione
su scritta, per cui lo zinco si ossida e produce ioni Zn2+ che vanno in soluzione, mentre gli ioni Cu2+
vengono ridotti a rame metallico (che si deposita sulla lamina di Zn, per cui, dopo breve tempo, la
lamina risulterà totalmente ramata e a questo punto il processo si ferma perché il contatto si ha
tra Cu e Cu2+). In queste condizioni, cioè quando il processo ossido-riduttivo avviene per via
chimica, si ha la trasformazione dell’energia chimica in calore, secondo la nota equazione
Q = rH
che vale per ogni reazione chimica, che avvenga nelle condizioni di validità della suddetta
equazione, cioè, a T e p sostanzialmente costanti (in realtà la condizione termodinamica è meno
rigorosa). Quando rH < 0 (reazione esotermica), Q < 0 significa che il calore è rilasciato dal
sistema all’ambiente (cioè a noi). Viceversa, quando rH > 0 (reazione endotermica), Q > 0
significa che il calore è assorbito dal sistema e fornito dall’ambiente (cioè da noi).
Se la stessa reazione ossido-riduttiva viene condotta per via elettrochimica, cioè in una cella
elettrochimica, si ha la separazione della stessa in due processi redox (semireazioni) che
avvengono in due luoghi diversi e fisicamente separati (collegati solo elettricamente), che sono
appunto i due elettrodi. Ad uno dei due elettrodi avviene la semireazione di riduzione
Ox1 + ne
R1
mentre all’altro elettrodo avviene la semireazione di ossidazione
R2
Ox2 + ne
73
In tali condizioni, si ha la trasformazione dell’energia chimica libera (cioè la parte del rH
corrispondente al rG) in lavoro utile che è, appunto, lavoro elettrico.
In condizioni di equilibrio, quando cioè la pila non lavora, non eroga corrente elettrica
(cosiddetto circuito aperto) esiste una differenza di potenziale elettrico tra i due metalli
elettrodici, che viene definita forza elettromotrice (fem o Erev) della pila, che è data
esattamente dalla differenza tra i due potenziali elettrodici nernstiani (che si hanno, appunto, in
condizioni di equilibrio per ciascun elettrodo e, quindi, anche per la pila).
fem = Erev = E+ – E – = –rG/nF
Come si vede, la fem è una quantità positiva, essendo legata all’opposto del rG, che è negativo,
dato che la reazione che avviene nella pila è spontanea. Per tale motivo è sempre data dalla
differenza tra il potenziale dell’elettrodo più positivo (o meno negativo) meno quello dell’elettrodo
meno positivo (o più negativo).
Ricordando che, secondo la convenzione IUPAC, i processi redox elettrodici vengono scritti sempre
come processi di riduzione (proprio per non correre il rischio di fare confusione sulle convenzioni)
Ox1 + ne
R1
Ox2 + ne
R2
la reazione di cella è espressa e si ricava sempre come differenza tra i due processi redox
elettrodici, in particolare come differenza tra il processo redox dell’elettrodo con potenziale più
positivo (o meno negativo) e quello dell’elettrodo con potenziale meno positivo (o più negativo),
come avviene per ricavare la fem. Ciò significa che, quando la pila lavora, cioè trasforma l’energia
chimica in lavoro elettrico, il processo ossido-riduttivo avviene (decorre da sinistra a destra)
Ox1 + R2
R1 + Ox2
per cui il processo redox del primo elettrodo decorre nel verso della riduzione, mentre quello del
secondo elettrodo avviene nel verso opposto (per questo viene sottratto), cioè nel verso della
ossidazione. Il primo elettrodo, al quale avviene la riduzione è denominato catodo (catodo è
sempre sinonimo di processo di riduzione), mentre il secondo elettrodo, al quale avviene
l’ossidazione, è denominato anodo (ugualmente, anodo è sempre sinonimo di ossidazione). Per
una pila è chiaro quindi che il catodo è il polo positivo, cioè l’elettrodo con potenziale maggiore,
mentre l’anodo è il polo negativo, cioè l’elettrodo con potenziale minore.
Convenzionalmente, nello schematizzare una pila, si scrive a destra il catodo e a sinistra l’anodo,
per cui la pila nella quale avviene il processo ossido riduttivo su indicato va schematizzata nel
modo seguente (ammesso che tutte le specie chimiche siano presenti nelle rispettive soluzioni
M  MS  Ox2(aq, c = ), R2(aq, c = )  Ox1(aq, c = ), R1(aq, c = )  MD  M
Riassumendo:
Destra  Catodo  Positivo
Ox1 + ne–
R1
Sinistra  Anodo  Negativo
Ox2 + ne–
R2
CELLA
=
(DESTRACATODOPOSITIVO)
– (SINISTRAANODONEGATIVO)
Ox1 + R2
R1 + Ox2
fem = EC – EA = ED – ES = E+ – E –
rG = nFfem
74
Il rG ricavato dalla fem della cella è proprio il rG della reazione chimica di cella, dato che è la
differenza dei due valori rG C e rG A, entrambi relativi allo stesso riferimento (rG o del processo
dell’elettrodo ad idrogeno), per cui nella differenza si elide il riferimento. La cella elettrochimica
consente quindi di ottenere informazioni termodinamiche precise sul processo di cella, purché la
fem sia effettivamente uguale alla differenza dei due potenziali elettrodici, cioè il potenziale
interliquido EL sia nullo.
Dal valore del rG del processo ossido-riduttivo di cella, si possono ricavare le altre grandezze
termodinamiche relative a tale processo
rG = nFfem
  r G 
 fem 

   r S  nF 

 T P
 T P

 fem  
 r H  nF fem  T 
 
 T  P 

rH = rG + TrS
fem  fem o 
RT
ln
nF
Ox1 R 2 
R 1 Ox 2 
rGo = nFfemo = RTlnK
dove K è la costante di equilibrio del processo di cella.
PILA DANIEL
La pila Daniel (1836) è una citazione storica; concettualmente è molto
simile a quella inventata da Alessandro Volta: è costituita da due
comparti collegati tra loro da un setto poroso o, come indicato in figura,
da un ponte salino. Nel compartimento anodico vi è Zn immerso in una
soluzione acquosa di ZnSO4 e in quello catodico Cu in una soluzione
acquosa di CuSO4. Essa può essere rappresentata dalla seguente catena
galvanica:
Zn|ZnSO4(aq, c= )|CuSO4(aq, c= )|Cu
(a )
Zn|ZnSO4(aq, c= )||CuSO4(aq, c= )|Cu
(a’ )
Pt|Zn|ZnSO4(aq, c= )||CuSO4(aq, c= )|Cu|Pt
(a”)
(a’) se si mette un ponte salino (||) tra le due soluzioni elettrolitiche e (a”) se si vuole avere una
catena galvanica regolarmente aperta. La reazione globale di cella è la seguente:
Zn + Cu2+ → Zn2+ + Cu
e la fem a 25 °C, con concentrazione di entrambe le soluzioni 1 M, è 1.10 V.
Durante il processo di scarica la concentrazione degli ioni rame diminuisce per cui, ad un certo
punto, incomincia ad essere favorita la scarica degli ioni H+ presenti in soluzione. Al polo negativo
la reazione elettrochimica è ancora l'ossidazione dello zinco, che rappresenta il processo di
ossidazione largamente più favorito (dato il suo potenziale standard sensibilmente negativo).
Parallelamente il compartimento anodico si un arricchisce, per migrazione attraverso il setto
poroso, di ioni SO42, oppure, attraverso il ponte salino, degli ioni Cl, per il bilanciamento delle
cariche elettriche.
75
Per quanto riguarda le celle secondarie, la tabella seguente elenca i principali processi ossidoriduttivi che vengono utilizzati (alcuni sono stati oramai eliminati per l’inadeguatezza ambientale
e/o commerciale) nelle batterie secondarie più diffuse.
Reazioni di cella delle principali celle secondarie
Reazione di cella


 carica
Soluzione acquosa acida
PbO2
Pb
Pb + PbO2 + 2H+ + 2HSO4
Soluzione acquosa alcalina
NiOOH
Fe
2NiOOH + Fe + 2H2O
NiOOH
Cd
2NiOOH + Cd + 2H2O
NiOOH
Zn
2NiOOH + Zn + H2O
NiOOH
H2
2NiOOH + H2
MnO2
Zn
2 MnO2 + Zn + H2O
O2
Al
4Al + 6H2O + 3O2
O2
Fe
2Fe + 2H2O + O2
O2
Zn
2Zn + 2H2O + O2
Sale fuso
S
NiCl2
FeS2
Na
Na
LiAl
Litio ione
LiCoO2
Li–C
A flusso
Br2
Cl2
Zn
Zn
Wh/kg
max
scarica 
2Na + 3S
2Na + NiCl2
4LiAl + FeS2
Li(y+x)C6 + Li(1 – (y+x))CoO2
Zn + Br2
Zn + Cl2
2PbSO4 + 2H2O
2Ni(OH)2 + Fe(OH)2
2Ni(OH)2 + Cd(OH)2
2Ni(OH)2 + ZnO
2Ni(OH)2
2MnOOH + ZnO
4Al(OH)3
2Fe(OH)2
2Zn(OH)2
Na2S3
2NaCl + Ni
2Li2S + 4Al + Fe
LiyC6 + Li(1 – y)CoO2
ZnBr2
Zn Cl2
166
267
217
341
387
317
2815
764
888
760
790
650
320
436
833
Si tratta di un settore di enorme rilevanza, data la larghissima diffusione di questi dispositivi (la cui
produzione annua supera i 50 miliardi di pezzi (per un giro d’affari stimato nel 2005 in 50 miliardi
di US$), dei quali ca. il 90% di celle primarie ed il restante 10% di celle secondarie; peraltro le
seconde sono in crescita a scapito delle prime. Esistono svariate tipologie sia per le celle primarie
che per le secondarie, alcune con elettrolita liquido altre con elettrolita solido o polimerico.
5.3 CONSIDERAZIONI ENERGETICHE
5.3.1 Energie in gioco
Come si è visto nel capitolo 5.2, la fem di una cella rappresenta il lavoro elettrico massimo
possibile che quella catena galvanica può produrre in condizioni di circuito aperto (cioè se
lavorasse in modo reversibile). Esiste quindi una precisa relazione tra il potenziale a circuito aperto
e il G della reazione globale di cella. D'altra parte la cinetica elettrochimica ha evidenziato che in
condizioni di non equilibrio (j  0) il potenziale d'elettrodo non è più quello reversibile, ma varia di
una certa quantità (sovratensione) funzione della corrente.
Detti Ea ed Ec i potenziali d’elettrodo dell’anodo e del catodo, sotto corrente, Ea,rev e Ec,rev quelli in
condizioni di equilibrio (j = 0), si definisce sovratensione anodica (cioè relativa all’elettrodo che
funziona da anodo):
76
a,tot = Ea – Ea,rev = a – a,rev
(5.1)
e analogamente sovratensione catodica (cioè relativa all’elettrodo che funziona da catodo):
c,tot = Ec – Ec,rev = c – c,rev
(5.2)
Dette ΔE e ΔErev (per per una cella primaria ΔErev corrisponde alla fem), rispettivamente, le
differenze di potenziale di cella sotto corrente e in condizioni di reversibilità, si hanno due diverse
relazioni tra i ΔE e le sovratensioni, a seconda che si abbia a che fare con una cella galvanica o
una cella elettrolitica. Per una cella elettrolitica si ha:
ΔE – ΔErev = a,tot – c,tot = ηtot
(5.3)
dato che il polo positivo è l’anodo ed il polo negativo è il catodo, per cui ηtot è una quantità
positiva, cioè la tensione che dobbiamo fornire all’elettrolizzatore per fare avvenire il processo è
maggiore di quella reversibile. Nel caso di una pila la relazione è esattamente opposta, dato che il
il polo positivo è il catodo ed il polo negativo è l’anodo, per cui si ha:
ΔE – ΔErev = c,tot – a,tot = ηtot
(5.4)
e questa volta ηtot è una quantità negativa, cioè la tensione che la pila eroga è inferiore alla sua
fem (ΔErev).
E' quindi evidente che in un sistema elettrochimico in condizioni operative, sia di scarica
(erogazione di energia elettrica) che di carica (accumulo di energia chimica), la differenza di
potenziale (ddp) V sarà:
V(I) = Erev  RI  |(I)|
(5.5)
dove V è la ddp in condizioni di esercizio (passaggio di una corrente I), Erev è invece la tensione a
circuito aperto (cioè in condizioni di equilibrio), R la resistenza interna del dispositivo,  sono le
diverse sovratensioni, sia relative al processo che avviene all’anodo che al processo che avviene al
catodo. Il segno "+" o ""
dell’equazione
(5.5)
carica anodica: 2H2O → O2 + 4H+ + 4e
dipende dalla direzione in
cui avviene il trasferimento
di energia. Se si fornisce
scarica catodica: O2 + 4H+ + 4e → 2H2O
energia
al
sistema
elettrochimico i segni sono
potenziale di scarica →
0
log i
positivi,
mentre
sono
scarica anodica: M → M+ + e
negativi quando si ottiene
← Erev
energia
dal
sistema
← potenziale di carica
elettrochimico. Il primo
caso si verifica sia in un
carica catodica: M+ + e → M
processo
d'elettrolisi
(galvanotecnica), sia durante la carica di una cella secondaria, mentre il secondo caso corrisponde
al processo di scarica di una cella (sia primaria che secondaria).
In fase di scarica una batteria eroga quindi una tensione inferiore a quella presente a circuito
aperto, in dipendenza della corrente erogata, mentre in fase di carica di un accumulatore deve
essere applicata una ddp maggiore di Erev.
E' evidente che i termini in  dell’equazione (5.5) rappresentano perdite irreversibili di energia
(sotto forma di calore), che abbassano il rendimento dei processi sia di scarica che di carica. Nel
progetto di una batteria occorre studiare i modi per ridurre tali perdite di rendimento per quanto
possibile. Ciò può essere ottenuto con l'opportuna scelta della geometria e della struttura dei
conduttori elettronici e con l'introduzione, in prossimità degli elettrodi, di sostanze chimiche, dette
depolarizzatori, che neutralizzino e/o rimuovano i prodotti della reazione di scarica (per evitare, ad
esempio, il ricoprimento dei conduttori elettronici con materiale non conduttore, come ossidi o
77
sali). Infine, per ridurre il termine ohmico è importante aumentare per quanto possibile la
conducibilità dell'elettrolita (anche riducendone il più possibile lo spessore, cioè la lunghezza del
conduttore ionico), ma assume importanza, nel caso di batterie, anche l’assemblaggio delle varie
celle.
5.3.2 Parametri funzionali di una cella secondaria
La qualità di una cella secondaria, ma anche di una primaria, è determinata da una serie di
parametri che ne definiscono le caratteristiche. Alcuni di essi sono estranei al processo di accumulo
e di erogazione di energia elettrica, come ad esempio la presenza di sostanze tossiche che
possono creare problemi di produzione e di smaltimento, altri ne sono strettamente collegati.
Tra questi ultimi dobbiamo annoverare quelli relativi al funzionamento della cella, che in particolare
sono: la capacità, cioè il rapporto carica totale utilizzabile/peso (Ah/kg), la potenza specifica
(W/kg), l’energia specifica (Wh/kg), la densità di energia (Wh/dm3), la curva di scarica, la
corrente residua di perdita e, nel caso delle celle secondarie, anche il numero di cicli di
scarica-carica fatti sotto ben definite condizioni.
Tra potenza specifica ed energia specifica esiste una
relazione di proporzionalità inversa, descritta dal W/kg
cosiddetto plot di Ragone (Fig. V.3.1, dove la curva
continua rappresenta il plot ideale, mentre le curve
tratteggiate rappresentano esempi di accumulatori
reali). Come avviene per il consumo di carburante in
un’automobile, se si vuole avere tanta potenza si fa
meno strada con un litro e viceversa. Generalmente le
Wh/kg
batterie servono come sorgenti ad alta potenza e
bassa energia (breve durata), mentre le fuel cells
Figura V.3.1 Plot di Ragone
come sorgenti ad alta energia e bassa potenza, anche se si stanno realizzando fuel cells sempre
più competitive anche in termini di potenza specifica.
La curva di scarica (Fig. V.3.2) definisce
V
l'andamento della tensione nel tempo durante un
processo di scarica su un carico resistivo di valore
noto e costante. Durante la scarica, l'accumulo in
eccellente
inutilizzabile discreta
prossimità degli elettrodi dei prodotti della
reazione elettrochimica determina una graduale
diminuzione della tensione erogata, effetto
t (h)
indesiderato dal momento che riveste grande
Figura V.3.2 Curve di scarica di una pila
importanza applicativa avere caratteristiche di
erogazione di potenza energetica il più possibile
78
costante. Questo è possibile quanto più sono costanti, durante il tempo di erogazione, le attività
delle specie elettroattive agli elettrodi e la resistenza interna del generatore. In altri termini, il
generatore ideale è quello in grado di erogare, almeno fino a certi valori di corrente, una tensione
costante sotto scarica per poi decadere bruscamente a valori prossimi a zero.
La corrente residua di perdita è quella che circola nella batteria in condizioni di circuito aperto (ad
esempio durante lo stoccaggio in magazzino). Essa agisce come farebbe un piccolo carico
applicato; il suo valore determina la vita massima di una batteria e i tempi di immagazzinamento.
L’ultimo parametro è il numero di cicli di scarica-carica che riguarda specificamente gli
accumulatori i quali non possono essere scaricati e ricaricati un numero infinito di volte. A ogni
ciclo si hanno lievi alterazioni della struttura dei componenti con conseguente perdita progressiva
della capacità di accumulo del sistema. Ne consegue che dopo un certo numero di cicli anche
questi dispositivi devono essere smaltiti. Dal punto di vista economico e operativo è importante
che tale smaltimento abbia luogo dopo un numero di cicli quanto più possibile elevato, numero che
deve essere definito in base ai costi e ad altre intuibili specifiche condizioni operative di utilizzo.
In generale, per l'apprezzamento delle caratteristiche funzionali delle batterie ricaricabili nelle
prove cicliche di scarica-carica si assume convenzionalmente come scarico un accumulatore che
abbia ceduto una carica pari all’80% della sua capacità totale.
Accumulatore
Piombo-acido
Ni-Cd
Zn-MnO2
Zn-aria
Ni-metallo idruro
Li ione
Al-aria
Cicli
500-1000
700-1200
25
600
700-1200
400-1200
?
Wh/kg
35-40
45-55
8-64
100-200
70-80
100-200
200-300
5.4 DISPOSITIVI CON ELETTROLITA LIQUIDO
Nel capitolo 5.2 abbiamo illustrato il caso “storico” di pila ad elettrolita liquido: la pila Daniel
Pt|Zn|ZnSO4(aq, c= )||CuSO4(aq, c= )|Cu|Pt
(5.6)
Un altro caso storico è la pila Weston, di cui diamo solo la costituzione
Pt|Cdx(Hg)|CdSO4
(saturo)
in H2SO4 0.1 M |Hg2SO4
(solido)
|Hg|Pt
(5.7)
Una pila di enorme successo, che ha contribuito alla diffusione dell’elettronica di consumo, è stata
la pila Leclanché.
5.4.1 Pila Leclanché
Questa pila, introdotta nel 1866 da
Leclanché, rappresenta il primo tipo di
pila con elettrolita immobilizzato e fa
parte di quella categoria di pile che sono
definite a “secco”. Essa è costituita da un
contenitore di zinco, che è anche l'anodo,
nel quale vi è una soluzione acquosa al
20% di NH4Cl (immobilizzata con
sostanze gelatinose, come ZnCl2 o altre
paste) e una barretta di carbone (grafite)
introdotta in un impasto di MnO2,
miscelato a grafite per diminuirne la
79
resistenza elettrica, NH4Cl e H2O. Essa può essere rappresentata con la seguente catena galvanica:
Zn|NH4Cl(soluzione acquosa al 20%)|MnO2|C
Il processo elettrochimico è abbastanza complicato; fra l’altro dipende dal tipo di elettrolita
(esistono infatti almeno tre versioni di pila Leclanché: NH4Cl acquoso, ZnCl2 + NH4Cl, alcalina).
All’anodo (polo negativo) possiamo avere:
Zn + 2NH4Cl
Zn(NH3)2Cl2 + 2H+ + 2e
(a)
oppure
Zn + 2OH
ZnO + H2O + 2e
(a’)
e al catodo (polo positivo):
2MnO2 + 2H+ + 2e
Mn2O3 + H2O
(c)
MnO2 + 2H2O + 2e
Mn(OH)2 + 2OH
(c’)
oppure
e la reazione globale di cella:
2MnO2 + Zn + 2NH4Cl
Zn(NH3)2Cl2 + Mn2O3 + H2O
(5.8)
oppure
MnO2 + Zn + H2O
ZnO + Mn(OH)2
(5.8’)
La fem a 25 °C è di 1.5 V.
La pila Leclanché ha consentito l’esplosione dell’impiego delle pile e della realizzazione di dispositivi
e apparecchiature a pila, grazie alla sua estrema manegevolezza e sicurezza. Per lungo tempo è
stata ritenuta una cella primaria, anche per il basso costo e il relativamente basso impatto
ambientale, per cui l’eliminazione non costituiva un grosso problema. Più recentemente però si è
riusciti a rendere questa pila ricaricabile con una buona efficienza, in un primo tempo limitando il
processo alla riduzione monoelettronica di MnO2 (limitando la quantità di Zn disponibile).
Successivamente si è arrivati ad una pila ricaricabile con processo bielettronico.
5.4.2 Pila Mallory
Altro tipo di pile a secco sono quelle “alcaline”, il cui nome deriva dall'avere immobilizzato un
elettrolita a base di idrossido alcalino. Di questa specie ne esistono numerose varianti, tra queste
va sicuramente ricordata la pila Mallory la cui catena galvanica è di seguito riportata:
Zn|gel di KOH saturo di Zn(OH)2|HgO+Grafite|C
(5.9)
In questa pila il catodo è costituito da HgO o una
miscela di HgO + MnO2, impastato/ti con grafite per
aumentare la conducibilità elettrica; questa pasta è
depositata nel contenitore della cella e separata
dall’elettrolita con una membrana permeabile (anche
carta). L’elettrolita è un gel di KOH o NaOH e l’anodo
è Zn. La fem a 25 °C è di 1,35 V. Un’importante
proprietà delle
pile Mallory è
quella di avere
una curva di
scarica con un grande plateau, per cui garantiscono una
tensione quasi costante fino al momento in cui scende
bruscamente (il che è fondamentale per il funzionamento di
80
dispositivi che devono garantire un’alimentazione costante).
Peraltro l’uso di ossido di mercurio (che produce quindi Hg nel processo di scarica), rende queste
pile molto inquinanti, per cui sono state largamente rimpiazzate (esiste una direttiva del 1996 che
ne vieta la commercializzazione in diversi Paesi).
5.4.3 Accumulatori al piombo-acido
Questi dispositivi sono tra i più antichi (Planté, 1839) e costituiscono il primo esempio di batterie
secondarie. Essi rivestono grande interesse industriale ed economico in quanto rappresentano le
uniche sorgenti elettriche ricaricabili di una certa potenza, largamente diffuse in tutto il mondo.
Molto del loro interesse è legato allo sviluppo dell’autotrazione: come è ben noto tutti gli
autoveicoli hanno almeno un accumulatore al piombo-acido, poiché sono quelli che hanno le
migliori prestazioni come starter, cioè quando serve un breve impulso di elevata potenza, come
quello dell’avvio del motore a combustione. La loro grande disponibilità ne ha fatto anche il primo
esempio di utilizzo per alimentare l’autotrazione elettrica, anche se è rimasto tuttora un uso
confinato in ambiti piuttosto limitati.
Prima
della
carica
la
cella
elettrochimica è costituita da due
elettrodi di seconda specie: uno
costituito da Pb/PbO2 (reversibile agli
ioni H+), che è il polo positivo, e
l’altro a Pb/PbSO4, cioè Pb ricoperto
da PbSO4 (reversibile agli ioni SO42),
che è il polo negativo.
Il metallo elettrodico è in entrambi i
casi il Pb, anche se la costruzione dei
due elettrodi richiede una diversa
tecnologia, per garantire il migliore
contatto fisico e l’alloggiamento dei
composti solidi di Pb (PbO2 e PbSO4),
Processo elettrochimico di una cella al piombo-acido
che non devono distaccarsi dal
metallo elettrodico per non ridurre la
reversibilità del processo, con la riduzione drastica del numero di cicli di scarica-carica.
Pb|PbSO4 (solido)| H2SO4 ~1 M (=~10% w/w)| PbO2 (solido)|Pb
(5.10)
Durante la scarica al polo negativo (anodo) ha luogo la seguente reazione (di ossidazione):
Pb + HSO4
PbSO4 + H+ + 2e
(5.11)
considerando che al pH molto basso della soluzione H2SO4 è monodissociato. Secondo la
convenzione IUPAC il processo va scritto come:
PbSO4 + H+ + 2e
Pb + HSO4
(5.12)
Il cui potenziale è espresso dalla seguente equazione di Nernst:
E  Eao 
a 
RT aPbSO 4 aH
RT
ln
 Eco 
ln H
2F
aPb aHSO 2F aHSO 4
(5.13)
4
Al polo positivo (catodo) ha luogo la riduzione:
PbO2 + 3H+ + HSO4 + 2e
PbSO4 + 2H2O
cui corrisponde il seguente potenziale elettrodico
81
(5.14)
aPbO aH3  aHSO aH3  aHSO RT
RT
2
4
4
E  Eco 
ln
 Eco 
ln
2F
aPbSO aH2 O
2F
aH2 O
4
2
(5.15)
2
La reazione globale di cella è:
Pb + PbO2 + 2H+ + 2HSO4
2PbSO4 + 2H2O
(5.16)
Quando la scarica è completa i due elettrodi tendono a diventare identici:
Pb|PbSO4|SO42
(5.17)
e la tensione ovviamente tende a zero. Durante la carica le reazioni elettrodiche precedentemente
riportate procedono da destra a sinistra e si ripristinano i due elettrodi originali.
La fem di questa cella può essere calcolata secondo:
Erev  Eco  Eao 
3
RT aH aHSO -4 aHSO -4
RT aH2SO 4
o 
ln


E
ln
2F
aH2 O
aH
F
aH O
(5.18)
2
2
dove l'attività dell'acido solforico è legata, attraverso l'equilibrio di dissociazione, a quella degli ioni
bisolfato e degli ioni idrogeno, cioè aH2SO4 = (aH+)(aHSO4); a 25 °C si ha:
Erev V   2.04  0.059 log
aH
2 SO 4
aH
(5.19)
2O
Durante la scarica il valore del potenziale
diminuisce in quanto l'attività dell'acqua
aumenta, poiché viene prodotta a scapito
dell’acido solforico che viene consumato. In ogni
30
32
caso la cella eroga una tensione di ~2 V.
griglie, connessioni, terminali
separatori
L’accumulatore al piombo è anche l’esempio più
Starter
contenitore
classico di “batteria” (da cui il significato
Sottomarino
20
50
equivoco di questo termine, quando viene usato
come sinonimo di cella secondaria); infatti
utilizzo parziale del materiale
attivo (25-60%)
normalmente gli accumulatori sono costituiti da
un certo numero di celle in serie: 3 celle per 6 V,
12
85
eccesso di acido
6 celle per 12 V, 12 celle per 24 V, a seconda
10
100
dell’uso cui sono destinati.
diluizione dell’acido
Gli accumulatori al piombo, sebbene in uso da
6
166
molti decenni, sono tuttora oggetto di impiego
per la loro affidabilità. Molti progressi tecnologici
Pb + PbO2 + 2H+ + 2HSO4
2PbSO4 + 2H2O
sono stati fatti e sono tuttora ancora allo studio e
in fase di evoluzione. Con particolare riferimento
Figura V.4.1 Energia specifica di una cella al piombo
ai parametri di utilizzo per autotrazione, l’energia
specifica è stata notevolmente migliorata. Come
si può osservare dalla Fig. V.4.1, l’energia specifica sarebbe pari a 166 Wh/kg (considerando solo
il peso delle sostanze chimiche), ma si deve aggiungere una certa quantità di peso per l’impiego di
acido diluito (~34%), dato che l’acido concentrato avrebbe una conducibilità troppo bassa. Inoltre è
necessaria una certa quantità (15%) in eccesso, altrimenti si arriverebbe ad acqua pura durante la
scarica; ancora bisogna considerare che solo una parte del materiale attivo può essere realmente
convertita. Bisogna poi considerare il peso dei materiali accessori. Infine bisogna considerare il
tipo di utilizzo, il numero di cicli e il livello di scarica al quale viene sottoposta la batteria.
Si è portato rimedio alla cosiddetta “solfatazione delle piastre”, fenomeno consistente nella
formazione di strati di solfato, difficilmente solubilizzabili in fase di ricarica, che riducevano
notevolmente di numero di cicli possibili. Si è migliorata anche la resistenza alla corrosione delle
griglie di Pb.
kg/kWh
35
Trazione
Wh/kg
27
82
Un aspetto di grande rilevanza è la
realizzazione di batterie prive di
manutenzione
(maintenance-free
batteries), che cioè non hanno
bisogno di interventi, in particolare
il rabbocco di H2O, che richiedevano
le precedenti batterie al piombo. In
effetti durante i cicli di carica si
realizza sempre una sovraccarica
che, poiché tutto il PbSO4 è stato
consumato (trasformato in Pb o in
PbO2), comporta l’elettrolisi dell’H2O
con formazione di H2 e O2 che
venivano dispersi nell’aria (con la
precauzione di una adeguata
ventilazione per evitare che si
formasse la miscela tonante).
Questo problema è stato risolto innanzi tutto realizzando una limitazione del processo di
ossidazione durante la carica, cioè la quantità di PbSO4 al polo positivo è minore di quella presente
al polo negativo (rispettivamente anodo e catodo durante il processo di carica). Ciò significa che
all’anodo comincia a svilupparsi O2, per sovraccarica, prima che cominci a svilupparsi H2 al catodo.
L’ossigeno che si sviluppa all’anodo diffonde verso il catodo dove reagisce con Pb ossidandolo e
formando PbSO4 (data la presenza di H2SO4). Il quale viene ridotto dal processo di carica,
riformando Pb e H2SO4. Di fatto la sovraccarica viene smaltita con una sorta di riciclaggio
dell’ossigeno (che viene prodotto all’anodo e ridotto al catodo, attraverso il passaggio a solfato).
Tutto ciò evita la produzione di H2, che sarebbe più difficilmente recuperabile.
Un secondo importante contributo è stato ottenuto con la immobilizzazione dell’elettrolita. Ciò può
essere realizzato sostanzialmente in due modi: mediante assorbimento dell’elettrolita su lana di
vetro, costituita da fibre del diametro dell’ordine del m, così da realizzare un materiale spugnoso
capace di assorbire la soluzione elettrolitica per capillarità. In questo modo si realizza un
separatore tra gli elettrodi, evitando la cortocircuitazione, e si immobilizza l’elettrolita.
L’altra possibilità prevede la formazione di un gel con SiO2 (circa 6%) ottenendo un gel di lunga
stabilità. Nel primo caso si evita di saturare tutti i pori con l’elettrolita, per consentire la rapida
diffusione dell’ossigeno in modo da garantire un efficiente ciclo dell’ossigeno durante la
sovraccarica. Nel secondo caso durante la solidificazione del gel si ha la formazione di fessure, per
espulsione dell’elettrolita, che consentono sempre la rapida diffusione dell’ossigeno.
83
5.5 DISPOSITIVI CON ELETTROLITA ALCALINO
Lo sviluppo di celle con elettrolita alcalino è cominciata già a partire dal 1890. Sostanzialmente si
tratta di celle nelle quali il processo è la reazione di un metallo con l’ossigeno, che può essere
fornito come tale direttamente dall’aria oppure da un ossido metallico.
Le principali coppie redox utilizzabili sono:
Elettrodo
positivo
Ag
Ni
O2
MnO2
negativo
Al
Zn
Fe
H2
Cd
Semireazione di scarica
2AgO + H2O + 2e
Ag2O + H2O + 2e
NiOOH + H2O + e
O2 + 2H2O + 4e
MnO2 + H2O + e
Al + 4OH
Zn + 2OH
Fe + 2OH
H2 + 2OH
Cd + 2OH
Ag2O + 2OH
2Ag + 2OH
Ni(OH)2 + OH
4OH
MnOOH + OH
Al(OH)4 + 3e
ZnO + H2O + 2e
Fe(OH)2 + 2e
2H2O + 2e
Cd(OH)2 + 2e
E o (V)
0.57
0.34
0.49
0.40
0.27
2.33
1.25
0.88
0.83
0.81
Tutti gli accoppiamenti possibili sono stati sperimentati e trovano specifiche applicazioni. L’impiego
di elettrodi a H2 consente i più elevati valori di energia specifica (anche se si pongono problemi di
costo e di sicurezza), problemi superati con l’impiego di idruri metallici, per cui si sono sviluppate
pile Ag/H2 e Ni/H2. Anche la pila argento/zinco ha un’elevata energia specifica (per cui viene
utilizzata nei satelliti). Gli altri accoppiamenti utilizzati sono: Ni/Fe, Ni/Cd, Ni/Zn, Mn/Zn, Fe/aria,
Al/aria, Zn/aria.
I dispositivi ad elettrolita alcalino presentano alcune importanti caratteristiche positive:

elevato numero di cicli di scarica-carica;

l’elettrolita (quasi sempre KOH, solo in casi speciali si usa NaOH) non partecipa al processo
redox; solo H2O è coinvolta, per cui la concentrazione di KOH e, di conseguenza, la
conducibilità elettrica non cambiano durante il processo;

non è necessario avere un grande spazio tra gli elettrodi, come nel caso delle batterie al
piombo (dove invece è necessario poter alloggiare una quantità sufficiente di elettrolita, che
serve al processo di cella);

non cambia l’effetto crioscopico dell’elettrolita, dato che la sua concentrazione rimane
sostanzialmente costante; ciò significa che queste pile possono essere utilizzate
tranquillamente anche a temperature relativamente basse;

è possibile realizzare una versione completamente sigillata, che consente una grande
manegevolezza.
5.5.1 Batterie Ni/Fe
Si tratta di batterie commercializzate da oltre un secolo, che trovano larghe applicazioni in ambito
industriale, come ad esempio i muletti da magazzino, locomotive da miniera, autonavetta,
locomotive ferroviarie. L’elettrodo positivo è costituito da un idrossido di Ni(III), NiOOH, anche se
la situazione è un po’ più complessa dato che la stechiometria di tale idrossido non è ben definita
ed è presente sia del Ni(II) che del Ni(IV), per cui il potenziale elettrodico reversibile non è
chiaramente definibile. L’elettrodo negativo è costituito da Fe (anche se la tecnologia costruttiva è
un po’ più complessa e utilizza quasi sempre delle reti di acciaio nichelato come collettori elettrici,
sulle quali vengono depositati gli idrossidi, impastati con polveri conduttrici, come grafite e gli
stessi metalli, per rendere la pasta abbastanza conduttrice).
84
Fe|( Fe(OH)2) | KOH ~3 M (=~20% w/w)| NiOOH (solido)|Ni (5.20)
Il processo di cella è:
2NiOOH + Fe + 2H2O
2Ni(OH)2 + Fe(OH)2
(5.21)
Naturalmente il Fe potrebbe ossidarsi fino a Fe(OH)3, però la cella è progettata per essere limitata
positivamente, cioè la quantità di Ni(III) all’elettrodo positivo è tale da consentire solo l’ossidazione
di Fe a Fe(OH)2. L’elettrolita è una soluzione concentrata di KOH con una certa quantità di LiOH,
per aumentare il numero di cicli di scarica-carica dell’elettrodo di Ni. La tensione erogata da una
cella Ni/Fe completamente carica è 1.4 V, ma mediamente è pari a 1.2 V, per cui la batteria più
diffusa è costituita da 5 celle per erogare una tensione media di 6 V.
5.5.2 Batterie Ni/Cd
Sono del tutto simili alla Ni/Fe, sia per quanto riguarda il processo di cella che le caratteristiche,
anche costruttive.
Cd|(Cd(OH)2)| KOH ~3 M (=~20% w/w)| NiOOH (solido)|Ni
(5.22)
Il processo è infatti:
2NiOOH + Cd + 2H2O
2Ni(OH)2 + Cd(OH)2
(5.23)
La tecnologia costruttiva utilizza delle reti di metallo sinterizzato che vengono impregnate in
soluzioni di sali di Ni e di Cd; successivamente vengono trattate chimicamente per far precipitare il
Ni come idrossido e il Cd come mistura di metallo e idrossido (dopo aver lavato ed asciugato il
deposito, si ripete il ciclo più volte).
La cella così costruita è scarica per cui va sottoposta al processo di carica in cui si ha la riduzione
del Cd(OH)2 a Cd e l’ossidazione del Ni(OH)2 a NiOOH.
A: sigillo
B: terminale positivo
C: coperchio
D: connessione con la lamina positiva
E: contenitore
F: lamina di metallo sinterizzato con pasta per l’elettrodo
positivo
G: se paratore (cellofan e poliammide per impedire
passaggio di O2)
H: lamina di metallo sinterizzato per l’elettrodo negativo
I: pasta negativa
J: connessione con la lamina negativa
Anche in questo caso la tensione erogata è ca. 1.2 V per
cella. Si tratta della batteria secondaria probabilmente più
largamente diffusa fino a non molti anni fa (attualmente è
stata completamente sostituita), anche per alcuni
Anche per questi accumulatori si può immobilizzare
l’elettrolita in un feltro di lana di vetro.
85
5.5.3 Batterie Ni/H2 e Ni/Metallo idruro
Come è stato detto, l’impiego di H2 consente di realizzare dispositivi ad alta energia specifica (dato
che è il reagente a minor peso molecolare). In queste batterie H2 viene utilizzato al posto del Cd,
al polo negativo, mentre il polo positivo continua ad essere lo stesso delle precedenti.
Sostanzialmente Ni/H2 e Ni/Metallo idruro sono lo stesso tipo di batteria, cioè presentano lo stesso
processo elettrochimico; la differenza sta nel modo in cui viene immagazzinato il reagente (H2) del
processo che avviene al polo negativo.
Nelle batterie Ni/H2, H2 è presente come gas ad alta
pressione e si deve utilizzare un elettrodo di Pt come
catalizzatore per favorire il processo elettrochimico
che lo coinvolge. Nelle batterie Ni/Metallo idruro si
utilizzano delle speciali leghe come materiale
elettrodico, che fungono da catalizzatori per il
processo elettrochimico e sono in grado di assorbire
H2 formando dei metallo-idruri a basse pressioni.
Le batterie Ni/H2 hanno trovato un notevole impiego
in applicazioni aerospaziali, ma non hanno avuto
possibilità di sviluppo commerciale, dato l’elevato
costo.
Queste celle presentano alcuni importanti vantaggi:

alta energia specifica (70÷80 Wh/kg),

elevato numero di cicli (alcuni modelli arrivano fino a 10.000),

lunga vita (fino a 15 anni),

possibilità di sovraccarica e di inversione della polarità senza danni,

sigillatura totale e nessun bisogno di manutenzione.
Naturalmente c’è il rovescio della medaglia. Infatti alcuni svantaggi sono:

costo molto elevato (per cui è giustificato solo in situazioni particolari),

elevata velocità di autoscarica, a causa della possibile reazione diretta di H2 con NiOOH,

relativamente bassa densità di energia (20÷40 Wh/dm3) a causa del volume necessario per
alloggiare H2.
Pt(H2,g, p=50 bar)| KOH ~3 M (=~20% w/w)| NiOOH (solido)|Ni
Il processo di cella è:
2NiOOH + H2
2Ni(OH)2
(5.24)
combinazione delle due semireazioni che, nel processo di scarica, sono:
H2 + 2OH
2H2O + 2e
2NiOOH + 2H2O + 2e
(a)
2Ni(OH)2 + 2OH
(c)
Un altro aspetto particolarmente positivo di queste batterie è il cosiddetto ciclo interno
dell’idrogeno. Quando si ha una scarica eccessiva, cioè al di sotto del potenziale per il quale è
previsto l’utilizzo (al quale dovrebbe intervenire quindi il processo di carica), si ha l’esaurimento del
composto ossidato (NiOOH), per cui al catodo avviene la riduzione di H2O (non essendoci altra
possibilità):
2H2O + 2e
H2 + 2OH
(c’)
l’idrogeno che si forma è comunque riequilibrato da quello che si ossida all’anodo
H2 + 2OH
2H2O + 2e
86
(a)
per cui non si ha alcun danneggiamento della cella.
I problemi che pongono le celle Ni/H2, cioè l’alta pressione di H2 e l’alto costo, sono stati superati
con la possibilità di utilizzare metalli capaci di assorbire idrogeno, che sta alla base della versione
Ni/Metallo idruro (Ni/MH). Lo sviluppo della seconda versione, grazie alla scoperta di alcune leghe
speciali capaci di sostituire il Pt, per l’azione catalitica e, soprattutto, di immagazzinare l’idrogeno
come idruro metallico, ha consentito una larga diffusione commerciale di queste batterie, che
hanno sostituito completamente le Ni/Cd (anche se, a loro volta sono state sostituite dalle Li-ione,
che hanno il grande vantaggio di non avere l’effetto memoria). Rispetto alle Ni/Cd, infatti, le Ni/MH
hanno il vantaggio di evitare il Cd che è un metallo tossico, per cui lo smaltimento di quelle
batterie costituisce un grave problema ambientale. D’altra parte, a parità di volume, le batterie
Ni/MH hanno un’energia pari a quasi il doppio di quella delle Ni/Cd, per cui sono molto più utili per
tutti i dispositivi portatili. L’immagazzinamento di H2 avviene grazie alla formazione di idruri
metallici:
2M + xH2
2MHx
(5.25)
con x dipendente dal metallo, cioè dalla sua valenza (molto spesso x = 2). Tale proprietà è stata
evidenziata inizialmente dal Pd che, se disperso in una polvere di Pt (nero di platino), a
temperatura ambiente può assorbire fino al 2% in peso di H2. Ciò significa che 1 cm3 di Pd (~12 g)
assorbe mediamente (1%) 0.12 g di H2, pari a 1.3 dm3 di H2 gassoso in condizioni normali, con
una densità di H2 superiore a quella dell’H2 liquido (a 20 K).
Questa possibilità dipende ovviamente dalla
pH 2 /bar
pressione di H2 gassoso e dalla temperatura
10
capacità utilizzabile
(l’assorbimento diminuisce all’aumentare della
temperatura), ma costituisce una grande
assorbimento
potenzialità.
Esiste una grande varietà di elementi in grado di
1.0
dessorbimento
dare idruri, gran parte tra i metalli di transizione,
ma anche alcalini e alcalino-terrosi. Quasi tutti
però sono difficilmente utilizzabili come elettrodi,
poiché pochi presentano un assorbimento
adeguato a basse pressioni e temperatura
0.1
ambiente.
0
0.5
1.0
1.5
2.0 %w/w
Fortunatamente si è verificato che diverse leghe
(composti intermetallici) tra elementi che danno un alto assorbimento (come ad esempio La, Y, Zr)
ed elementi con basso assorbimento (come Ni) possono realizzare ottimi materiali, sia per la
funzione elettrodica che per l’assorbimento di H2.
Le leghe utilizzate prevedono diverse stechiometrie, gran parte basate su due metalli AB, ma ci
sono anche realizzazioni con tre o più metalli. Le leghe AB5 realizzano facilmente assorbimenti fino
ad 1 H/M, cioè 6 atomi per formula.
L’utilizzo di queste leghe come
AxBy
Elementi
note
AB5
A: La, Ce, Ti
Attualmente la lega più
materiali elettrodici in celle Ni/Metallo
(LaNi5)
B: Ni, Co, Mn, Al
usata
idruro non dà risultati soddisfacenti a
AB2
A: V, Ti
Base per elettrodi
causa della rapida corrosione della
(TiNi2)
B: Zr, Ni (+Cr, Co, Mn, Fe)
multicomponenti
lega dovuta all’ambiente alcalino. Il
AB
A: Zr, Ti
problema è stato superato realizzando
(ZrNi)
B: Ni, Fe, Cr, V
Prime leghe impiegate
uno strato superficiale su tali leghe
A2B
A: Mg, Ti
(Ti2Ni)
B: Ni
che consenta di prevenire la
corrosione ed avere elevate correnti di
scambio. Ciò è stato possibile con la cosiddetta tecnica a doppia fase, con la quale, ad esempio, in
LaNi5 si sostituisce parzialmente il La con miscele di vari elementi, in particolare si è visto che il Ce
svolge un’azione inibitrice, molto efficace, per la corrosione.
87
La tensione erogata da una cella Ni/MH è del tutto
simile a quella delle celle Ni/Cd, ma con una
1.5
durata nettamente superiore. Un problema che si
pone con le celle Ni/MH riguarda la velocità di
1.4
scarica, che è senz’altro più bassa delle altre celle,
1.3
dato che il dessorbimento di H2 è un processo
Ni-MH
1.2
piuttosto lento, anche se si può accelerare
Ni-Cd
1.1
giocando sullo spessore degli elettrodi, cioè
1.0
rendendoli più sottili.
0
200
400
600
800
1000 mAh
Naturalmente la lentezza del dessorbimento
costituisce un grande vantaggio per quanto
riguarda il problema dell’autoscarica, dato che, anche in questo caso, essa è dovuta alla reazione
diretta tra H2 e NiOOH, che viene rallentata appunto dalla difficoltà di dessorbimento (tanto
maggiore quanto minore è la temperatura, per cui è bene conservare queste batterie a bassa
temperatura).
V
5.5.4 Batterie ad argento
Le più diffuse batterie ad argento sono ad argento ossido: si tratta di batterie primarie del tipo
alcalino descrivibili con la seguente catena galvanica:
Zn|gel di KOH |Ag2O + MnO2|M
(5.26)
Il compartimento catodico è costituito da una miscela
di Ag2O, con tracce di MnO2, che favorisce il processo
catodico (ma esiste anche una versione cosiddetta
“ibrida”, nella quale la quantità di MnO2 è
preponderante); questa miscela è contenuta nel
contenitore metallico (M) che funge da contatto
elettrico. Il compartimento anodico è costituito da
un’amalgama di Zn, impastata con l’elettrolita, che è un
gel di KOH (o NaOH, quest’ultimo va bene per
alimentare orologi al quarzo o orologi digitali a basso consumo, cioè senza backlight, mentre il
KOH va meglio quando servono alte correnti).
Tra il materiale anodico (impasto di Zn) ed il materiale catodico si pone un separatore che
impedisca il passaggio di particelle, cioè il contatto diretto tra Zn ed Ag2O, poiché si avrebbe la
reazione chimica diretta
Ag2O + Zn
2Ag + ZnO
(5.27)
che invece deve avvenire come somma delle due semireazioni separate:
Ag2O + H2O + 2e
Zn + 2OH
2Ag + 2OH
(c)
ZnO + H2O + 2e
(a)
Anche se non raggiungono il livello delle prestazioni delle pile Mallory, si ha comunque una buona
curva di scarica con un plateau molto piano, il che garantisce una tensione costante durante tutto
il funzionamento, dopo di che si ha una brusca diminuzione.
5.6 CELLE AL LITIO
L’importanza di queste celle è legata innanzi tutto al fatto che il Li è il più leggero dei metalli (peso
atomico 6.94), che gli conferisce una capacità specifica di 3.86 Ah g1, quasi tre volte quella del Na.
Così come il potenziale di riduzione della coppia Li+/Li è il più negativo (3.045 V) tra i metalli
88
Inoltre Li fonde ad una temperatura abbastanza elevata (97.8 °C) rispetto al Na, che è un alòtro
metallo alcalino utilizzato in alcuni dispositivi di grande interesse, ed è molto più facilmente
maneggiabile di Na, in particolare anche per la minore ossidabilità all’aria, grazie alla formazione di
un film semiprotettivo all’aria. Si capisce quindi perché Li sia un metallo fortemente attrattivo come
materiale anodico di diverse tipologie di celle, che costituiscono oggetto di studio da alcuni decenni
in tutto il mondo, oltre che un mercato di enorme importanza.
Il problema che si pone immediatamente è l’impossibilità di utilizzare Li come metallo anodico in
soluzioni acquose dato che si avrebbe la reazione diretta tra Li e H2O (reazione esplosiva).
5.6.1 Celle primarie al litio
5.6.1.1 Celle con elettrolita liquido
Le batterie commercialmente disponibili utilizzano come anodo litio metallico. Ciò è stato reso
possibile grazie all’impiego di solventi organici, come etilene carbonato (EC), propilene carbonato
(PC), -butirrolattone, esteri lineari, dietil carbonato, acetonitrile, ecc. In questi solventi si usano
come elettrolita sali di Li come LiClO4, LiAlCl4, LiBF4, LiPF6, LiCF3SO3, ottenendo così soluzioni con
una conducibilità specifica abbastanza elevata, anche se non come le soluzioni acquose. Come
materiale catodico si possono usare diversi tipi di ossidi metallici, tra questi MnO2, CuO.
Queste pile presentano generalmente elevata stabilità termica, possibilità di operare in un ampio
intervallo di condizioni ambientali, possibilità di lungo tempo d’immagazzinamento (da 5 a 10 anni,
almeno) a causa della bassissima corrente di autoscarica e densità energetiche comprese tra 0.3 e
0.7 Wh/cm3.
Le prime batterie primarie al Li sono state impiegate per le loro piccole dimensioni, in dispositivi
come orologi, macchine fotografiche, pacemakers.
5.6.1.2 Celle con elettrolita solido
In alternativa alle batterie primarie con soluzioni elettrolitiche sono state sviluppate delle batterie
completamente allo stato solido, utilizzando un catodo costituito da polivinilpiridina (in particolare
la poli-2-vinilpiridina P2VP), mescolata con I2, mentre l’anodo è costituito da una lamina di Li. Né la
P2VP, né lo I2 sono conduttori elettrici, per cui non sarebbero adatti a costituire un elettrodo;
quando si mescolano vengono però riscaldati a ~150 °C per tre giorni, per cui reagiscono e
formano un composto nero che ha una discreta conducibilità elettrica. Questa massa fusa viene
versata direttamente sulla lamina di Li per cui si ha la formazione di un sottile strato di LiI, che
funge da elettrolita, avendo una buona conducibilità ionica, ma con il grande vantaggio di essere
impermeabile allo iodio, per cui previene la diffusione di I2 verso la lamina di Li dove si avrebbe la
reazione chimica diretta.
La reazione di scarica:
2Li + P2VPn(I2)m
P2VPn(I2)(m-1) + 2LiI
(5.28)
produce LiI che va ad aumentare lo spessore
dell’elettrolita; la resistenza di quest’ultimo cresce
esponenzialmente con il procedere del processo di
scarica. Nello stesso tempo inoltre sono
consumati i cristallini di iodio al catodo con
diminuzione progressiva della conducibilità. La
fem misurata a 25 °C è circa 2.8 V, in perfetto
accordo con i dati termodinamici di formazione
del LiI. Durante la scarica il volume diminuisce di
circa il 12% con la formazione di prodotti porosi o
di microscopici buchi. La capacità energetica è di
circa 2000 mAh. L'autoscarica dovuta alla
diffusione dello iodio attraverso lo strato di
89
elettrolita è in pratica trascurabile, la perdita d'efficienza è stata stimata essere 5-10% in dieci anni
d'immagazzinamento.
Queste pile sono largamente utilizzate per alimentare i pacemakers, dato che possono essere
realizzate di dimensioni anche molto piccole e sono in grado di erogare per un lungo periodo una
tensione praticamente costante di ~2,5 V con un carico di 20 A, come viene richiesto da questi
dispositivi.
5.6.2 Celle secondarie al litio
Indubbiamente il ruolo più rilevante le batterie al Li lo rivestono nel settore delle celle secondarie.
Esistono diverse tipologie di celle secondarie al Li, sia con elettrolita liquido che con elettrolita
solido, come pure con diversi materiali catodici ed alcune diverse possibilità anche per il materiale
anodico (che deve comunque coinvolgere il Li).
Figura V.6.1 Densità d'energia verso fem di celle con differenti materiali catodici.
5.6.2.1 Celle con elettrolita liquido
Anche in questo caso si deve usare ovviamente un solvente organico, con le stesse considerazioni
fatte per le primarie. Un aspetto importante della soluzione elettrolitica è che la reversibilità della
cella è tanto maggiore quanto più il numero di trasporto del Li+ si avvicina ad 1.
Una combinazione particolarmente efficace è risultata essere una soluzione di LiAsF6 2 M in metil
formato. Qualche problema si pone per la possibilità di reazione tra l’anione e il Li metallico, con
formazione di un film superficiale.
Come materiale per il polo negativo il Li non consente ottime performances, data la sua instabilità
in contatto con i solventi organici, per cui nel proseguire dei cicli di scarica-carica si ha la
formazione di uno strato passivante. L’aspetto più grave è però il fatto che il Li che viene
ridepositato nella fase di carica assume una morfologia che lo rende meno reversibile. Ciò porta ad
una progressiva perdita di capacità, per cui è necessario un largo eccesso di Li se si vuole avere
una lunga vita della batteria. Una soluzione di particolare efficacia è stata introdotta utilizzando
leghe di Li anziché Li puro. Li-Al, Li-B o Li-Si possono facilmente essere decomposte e riformate
elettrochimicamente con ottima reversibilità. Peraltro è necessario lavorare ad alte temperature
anche perché la diffusione di Li all’interno della lega è lenta a temperatura ambiente. D’altra parte i
cicli di scarica-carica danneggiano seriamente la lega e portano ad un aumento della rugosità
superficiale e alla disintegrazione dell’elettrodo. Una nuova frontiera per gli elettrodi al Li si è
aperta con l’impiego di elettrodi ad intercalazione di carbone.
Per quanto riguarda il polo positivo, esistono diversi materiali in grado di dare intercalazione di Li,
90
senza alcuna sostanziale modificazione della struttura cristallina durante i processi di carica e
scarica. Tra questi materiali largo impiego trovano degli ossidi misti come LiCoO2, LiNiO2 e
LixMn2O4 (spinello) dove 0  x  2.
5.6.2.2 Celle con elettrolita solido
In questo tipo di batterie un sottile (25-50 m) film di PEO drogato con sali di litio (ad esempio litio
triflato, LiCF3SO3) separa il comparto anodico da quello catodico, generalmente costituito da ossidi
(V6O13, TiS2, MnO2, Cr3O8, ecc.) in grado d'intercalare ioni litio. In molti casi l’elettrodo positivo è
un composto costituito da particelle di ossido e di carbone tenute assieme da un po’ di elettrolita
polimerico. Questa pasta è depositata con uno spessore di 50-75 m su un portacorrente (< 25
m di spessore) di Cu o Ni.
La cella è rappresentata dalla seguente catena galvanica:
Li|(PEO)9LiCF3SO3|V6O13+PEO+C
(5.29)
la cui fem dovrebbe essere di 2.8 V. Durante il processo di scarica, alla densità di corrente di circa
1 mA/cm2, il potenziale si stabilizza intorno ai 2 Volt, con una energia specifica di circa 200 Wh/kg.
L’ossido di vanadio riesce ad intercalare fino a 8 ioni Li:
xLi+ + V6O13 + xe
LixV6O13
(5.30)
l’ingresso degli ioni Li non altera la struttura
cristallografica del V6O13. L’ossido di vanadio ha
però una bassa conduttività, per cui si usa un
composito impastando V6O13 con PEO (sempre
drogato con sale di Li) e grafite, per
aumentare la conduttività.
Questa cella può essere costruita laminando
assieme un foglio di Li, un foglio di PEO ed uno
di Ni ricoperto di composito. La cella ha uno
spessore complessivo di 150÷200 m e può
essere avvolta a spirale per costituire un
cilindro.
5.6.2.3 Celle ricaricabili Litio ione o "sedia a dondolo" – “rocking-chair”
Negli ultimi 15 anni lo sviluppo di
batterie ricaricabili al litio ha fatto enormi
progressi e molti dispositivi sono oggi
disponibili sul mercato. Tuttavia queste
batterie presentano limitate possibilità di
numero di cicli, elevati costi e pericolose
operazioni di produzione a causa
dell’utilizzo di litio metallico come polo
negativo.
Per cercare di ovviare a questi
inconvenienti recentemente sono state
proposte nuove batterie secondarie al litio-ione, che come anodo non utilizzano il metallo puro, ma
composti che possono intercalare litio generalmente a base di carbone. Naturalmente come
materiale catodico vengono utilizzati ugualmente composti in grado di dare intercalazione (ossidi
come LiCoO2, LiNiO2, LiMn2O4, ecc.). Sostanzialmente il processo di cella è il passaggio di ioni Li+
dal materiale anodico al materiale catodico: si tratta di un processo altamente reversibile, che non
comporta alcuna modificazione strutturale dei materiali elettrodici, per cui non si ha alcun effetto
memoria. Nella figura V.4.2 è schematicamente rappresentata una batteria "sedia a dondolo".
Queste batterie presentano modalità di produzione sicuramente molto meno pericolose di quelle al
91
litio della generazione precedente. Inoltre, a differenza di quelle fin qui descritte, quando vengono
assemblate sono completamente scariche; il trasferimento di litio da un comparto (materiale
intercalato) all’altro (materiale che può intercalare) non è termodinamicamente favorito. Bisogna
quindi imporre un potenziale dall’esterno al fine d’intercalare litio nel materiale che opererà da polo
negativo durante il processo di scarica. Il voltaggio della batteria dipende dalla differenza di
potenziale chimico del litio tra i due materiali d’intercalazione. Nel caso di LiMn2O4/C il potenziale di
cella è compreso tra 4.35 e 2.3 V.
Questi tipi di batterie possono essere realizzati utilizzando come materiali anodici e catodici due
differenti materiali d’intercalazione nei quali il potenziale chimico del litio differisce di alcuni
elettronvolt. In particolare, per il materiale anodico il potenziale chimico del litio intercalato
dovrebbe avvicinarsi il più possibile a quello del metallo puro.
Figura V.6.2 Rappresentazione schematica di una batteria "sedia a dondolo" durante il processo di scarica.
Nella scelta del conduttore elettrolitico deve essere posta una certa cura; infatti, i tradizionali
elettroliti non acquosi decompongono a potenziali superiori a 4.5 V. Per superare questo problema
sono stati usati nuovi elettroliti (LiAsF6 in polipropilencarbonato, LiPF6 in polietilencarbonato e
dietilcarbonato, ecc.). Queste batterie, al momento attuale, presentano una capacità di circa 25
Ah/kg, un potenziale compreso tra 3 e 3.7 V e una energia specifica intorno a 80 Wh/kg: valori
questi molto superiori a quelli offerti da altre batterie ricaricabili senza litio (Ni-Cd e Ni-MH) che
presentano valori di potenziale più bassi ( 1.3 V) e quindi densità energetiche inferiori.
L’evoluzione più recente delle batterie Li ione è rappresentata dalle cosiddette Li polimero (Li-Poly
o LiPO), che sono sempre batterie secondarie che funzionano sullo stesso principio del
trasferimento degli ioni Li+ dall’intercalazione anodica a quella catodica (e viceversa), ma con la
grande differenza che il conduttore ionico non è un solvente, bensì un polimero solido permeabile
agli ioni Li+ (con l’importante vantaggio di non essere infiammabile, come sono invece i solventi
organici usati nelle celle Li ione).
La caratteristica innovatrice di queste celle è quella di non avere bisogno di un contenitore rigido di
metallo, di poter assumere qualsiasi dimensione ed avere una grande flessibilità. La cella si ottiene
infatti per laminazione dei due elettrodi (intercalatori) ed il separatore (il polimero conduttore)
ottenendo una lamina sottile (quindi con resistenza interna non eccessiva), di area estesa quanto
si vuole (quindi con grande capacità), di basso peso (quindi con grande energia specifica, 20% in
più delle classiche Li ione e circa tre volte le Ni-Cd e Ni-MH).
Il polimero conduttore può essere il PEO + LiPF6, ma anche altri conduttori ionici permeabili al Li+.
Naturalmente si capisce che si tratta di celle completamente allo stato solido, con tutti i vantaggi
che ne derivano.
92
5.7 BATTERIE METALLO-ARIA
La consolidata tecnologia dei processi di ossidazione dei metalli nelle diverse tipologie di batterie,
sia primarie che secondarie, assieme allo sviluppo del processo di riduzione dell’ossigeno, che si è
avuto negli ultimi decenni, grazie allo sviluppo delle Fuel Cells, ha suggerito un accoppiamento che
costituisce probabilmente la frontiera più promettente per le batterie per autotrazione: le batterie
metallo-aria. Si tratta cioè di batterie nelle quali il processo anodico di scarica è sempre
l’ossidazione di un metallo, mentre il processo di scarica catodica è la riduzione dell’ossigeno
presente nell’aria. In effetti sono batterie alcaline, che potevano essere inserite a tutti gli effetti nel
capitolo 6.3, ma per l’importanza che stanno assumendo e per la proprietà che hanno di essere
ricaricabili anche meccanicamente, oltre che elettroliticamente, meritano un cenno a parte.
Il grande punto di forza di queste batterie è costituito dal fatto che uno dei due elettrodi (il polo
positivo) non ha bisogno di reagente, dato che l’O2 può essere preso direttamente dall’aria
circostante. Ciò significa abbassare sensibilmente il peso della batteria aumentando quindi l’energia
specifica e la capacità (dato che per il polo positivo è illimitata e per il polo negativo è limitata dalla
quantità di metallo, che può essere però molto elevata). Si tratta, com’è ovvio, di due aspetti di
enorme importanza per una batteria destinata all’autotrazione.
La riduzione dell’O2 è un processo largamente indagato e oggetto di un notevole impegno di
ricerca e sviluppo per numerose applicazioni elettrochimiche, ma in particolare nel campo delle
Fuel Cells. Si tratta di un processo che è caratterizzato da una bassa corrente di scambio, anche su
elettrodi particolarmente efficaci per tale processo (i migliori valori in soluzione alcalina sono
dell’ordine di 108 A cm2), il che comporta alte sovratensioni e quindi una grande dissipazione di
energia anche a basse densità di corrente, mentre è necessario avere densità di corrente
abbastanza elevate.
5.7.1 Batterie Zinco-Aria
Costituiscono il passaggio naturale dalle batterie precedenti (grazie alle conoscenze ed alla
tecnologia delle batterie Zn/MnO2) a questa nuova impostazione. Si tratta di batterie secondarie
che realizzano come processo di scarica anodica l’ossidazione dello Zn:
Zn + 2OH
ZnO + H2O + 2e
(5.31)
cui corrisponde un potenziale standard pari a 1.26 V (0.5 V più negativo di quello della coppia
Zn2+/Zn, grazie al contributo del G di formazione di ZnO). Il processo di scarica catodica è invece
la riduzione di O2:
O2 + 2H2O + 4e
4OH
(5.32)
cui corrisponde un potenziale standard pari a +0.4 V.
Si sono ottenute batterie con energia specifica
di ca. 100 Wh/kg, cioè circa il triplo delle
piombo-acido e circa il doppio delle Ni-Cd. Si
sono realizzati diversi formati di batterie Znaria, per le possibili diverse utilizzazioni, per cui
si hanno batterie per dispositivi elettronici
portatili, anche se l’interesse principale è
focalizzato sulla possibilità di utilizzare tali
batterie per l’autotrazione elettrica.
In questo caso si pone il problema dell’elettrodo
per il polo positivo (riduzione di O2) per il quale
si sono adottate due strategie: da una parte
l’individuazione di materiali con buone proprietà
catalitiche, cioè con elevate correnti di scambio per la reazione (5.32) (attualmente vengono
utilizzati compositi del tipo La0.6Ca0.4CoO3); dall’altra una maggiore superficie dell’elettrodo positivo
93
rispetto a quello negativo, in modo che il
primo lavori con una densità di corrente più
bassa.
Quest’ultima
condizione
può
essere realizzata con un assemblaggio come
quello schematizzato in Fig. V.7.1, cioè
ponendo un elettrodo di Zn (polo negativo)
tra due catodi. In questo modo si ottiene
una batteria secondaria perfettamente
ricaricabile, con ottime curve di scarica e
tensioni erogate attorno a 1.2 V.
Figura V.7.1. Schema di batteria Zn-aria
Un ulteriore sviluppo è rappresentato dalla possibilità di passare dalla ricarica elettrica a quella
meccanica. Quando la batteria si è scaricata per una percentuale adeguata della propria capacità
(ca. 80%), si rimuove l’elettrodo a Zn (in gran parte trasformato in ZnO) e si sostituisce con un
nuovo elettrodo di Zn, per cui la batteria può riprendere a funzionare tranquillamente daccapo.
Naturalmente si tratta di un intervento di “manutenzione” (che probabilmente dovrà essere svolto
in un’apposita officina, ma non si esclude che possa essere fatto anche direttamente dall’utente.
In questo modo si realizzano due vantaggi: da una parte non è più necessario che l’elettrodo ad
ossigeno sia bifunzionale, cioè debba funzionare anche da anodo (come sarebbe necessario nel
processo di carica elettrica della batteria), ma è sufficiente che funzioni bene da catodo, dato che il
processo elettrochimico è solo quello di scarica; dall’altra si realizzano energie specifiche fino a 200
Wh/kg, cioè doppie di quelle della versione ricaricabile elettricamente. Inoltre è chiaro che non si
pone più alcun problema di numero di cicli di scarica-carica, dato che la ricarica meccanica può
avvenire indefinitamente e l’elettrodo ad aria, in linea di principio può funzionare sempre
(naturalmente non c’è nulla che duri “per sempre”, ma non si pongono i problemi che
accompagnano i cicli di scarica-carica). Infine, cosa non trascurabile, si evitano i lunghi tempi di
attesa per la ricarica elettrica, che richiedono la sosta dell’autoveicolo (o la sostituzione delle
batterie).
Naturalmente gli elettrodi rimossi dovranno essere raccolti e avviati ad opportuni impianti per il
recupero dello Zn, che potrà avvenire anche per via elettrochimica, ma certamente con una
maggiore efficienza di quanto non possa avvenire nella singola batteria.
Uno degli sviluppi sui quali è attiva la ricerca riguarda la realizzazione di batterie alimentate con
pellets di Zn ed elettrolita, cioè delle palline di impasto di Zn e KOH acquoso in forma di gel, con le
quali riempire degli opportuni anodi nei quali queste pellets giungono alla posizione di reazione per
gravità. Una volta esaurita la carica la batteria viene ricaricata meccanicamente semplicemente
riempiendo il “serbatoio” di pellets. Naturalmente questa soluzione renderebbe l’utilizzazione di
queste batterie per autotrazione molto favorevole, dato che si potrebbe fare rifornimento ad un
qualsiasi distributore di pellets come oggi si fa per il carburante per il motore a scoppio. In queste
condizioni le “raffinerie” per lo Zn, cioè il recupero dello Zn dalle pellets esaurite (ZnO) e la
produzione di nuove pellets, non avrebbero più bisogno di essere delocalizzate sul territorio (come
non lo sono quelle di petrolio).
Queste batterie hanno raggiunto la commercializzazione verso la fine del 1900 e sono in grado di
consentire ad un autoveicolo una autonomia di ca. 300-400 km.
5.7.2 Batterie Alluminio-Aria
In modo del tutto analogo alla batterie Zn-aria, si è pensato di realizzare delle batterie Al-aria. In
questo caso il processo di scarica anodica è costituito da:
Al + 3OH
Al(OH)3 + 3e
(5.33)
dato che in ambiente alcalino l’idrossido di alluminio precipita, salvo che il pH non sia troppo
94
elevato per cui potrebbe sciogliersi come Al(OH)4.
Rispetto alle Zn-aria le batterie Al-aria offrono alcuni vantaggi:

Al è più leggero di Zn (il peso atomico di Al è 27, quello di Zn è 65) e la sua densità è
abbastanza bassa; inoltre Al scambia tre elettroni rispetto ai due di Zn; ciò consente di
arrivare a energie specifiche del valore di 4-500 Wh/kg;

Al è più stabile alla corrosione (l’ambiente alcalino è particolarmente aggressivo) rispetto a
Zn;

il recupero di Al dagli elettrodi esausti è più agevole di quello dello Zn, dato che la produzione
di Al avviene proprio per riduzione elettrolitica di Al2O3 per cui si tratta di una tecnologia
matura (la produzione di Al è tra i più importanti processi elettrochimici industriali, con 2107
ton/anno è secondo solo al processo cloro-soda) e con impianti già esistenti distribuiti in tutto
il mondo;

anche in questo caso è possibile realizzare batterie ricaricabili meccanicamente, in modo
sostanzialmente analogo a quello delle Zn-aria, anche se la tecnologia del processo anodico è
meno matura.
Queste batterie non hanno ancora raggiunto il livello di commercializzazione, ma sono altamente
promettenti, potendo consentire autonomie superiori ai 1000 km.
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