Integrazione del libro di testo (Appunti A.A. 2016/17

Integrazione del libro di testo
(Appunti A.A. 2016/17 - Analisi Matematica 3)
Le note che seguono costituiscono un’integrazione del libro di testo adottato.
Vengono approfondite alcune parti del programma non presenti nel libro e
fornite alcune precisazioni, con riferimento alle pagine del libro (si considera
la seconda edizione), già sottolineate durante le lezioni.
Le notazioni usate sono le stesse del libro di testo.
Nella parte finale vengono segnalate alcune sviste trovate nel testo in adozione e riportate alcune piccole osservazioni fatte in classe.
Il seguente teorema viene enunciato in PS2 (come criterio di compattezza nello spazio C 0 ([a, b])) nella parte degli esercizi del Capitolo 3, pag. 134.
Teorema di Ascoli-Arzelà. Sia {fn (t)} una successione di funzioni appartenente allo spazio C 0 ([a, b]) tale che:
i) {fn } è equilimitata, cioé esiste una costante M , indipendente da n e da
t, tale che
|fn (t)| ≤ M
∀n ∈ N
e
∀t ∈ [a, b];
ii) {fn } è equicontinua, cioé ∀ > 0 ∃ δ() > 0 (indipendente da n) tale che,
per ogni coppia di punti t1 , t2 tali che |t1 − t2 | < δ si abbia |fn (t1 ) − fn (t2 )| <
.
Allora esiste una sottosuccessione convergente.
Talvolta il precedente teorema è chiamato Teorema di Ascoli; qui è enunciato, in particolare, per successioni nello spazio metrico C 0 ([a, b]).
Il teorema di Ascoli-Arzelà può essere interpretato come una generalizzazione del teorema di Bolzano-Weierstreiss agli spazi funzionali.
Una delle principali applicazioni del Teorema di Ascoli-Arzelà riguarda l’esistenza locale di soluzioni del problema di Cauchy. In tal caso si parla anche
di soluzioni “in piccolo”, cioé di soluzioni definite in un intorno a priori non
precisato dell’istante iniziale t0 .
1
Nella dimostrazione del teorema seguente, soltanto citato a pag. 186 in PS2,
viene utilizzato il Teorema di Ascoli-Arzelà:
Teorema di Peano. Dato il problema di Cauchy
(
y 0 = f (t, y)
y(t0 ) = y0 ,
(1)
se f (t, y) è continua in un aperto D contenente il punto (t0 , y0 ), allora il
problema ammette almeno una soluzione in piccolo, cioé esistono un intorno
[t0 −δ, t0 +δ] e una funzione ϕ(t), derivabile in tale intorno, tale che ϕ(t0 ) =
y0 e ϕ0 (t) = f (t, ϕ(t)) ∀t ∈ (t0 − δ, t0 + δ).
Dimostrazione. Sia D1 il disco chiuso di centro (t0 , y0 ) e raggio minore della
distanza di (t0 , y0 ) dalla frontiera di D. Essendo D1 chiuso e limitato, la funzione f , continua per ipotesi, è limitata in D1 . Sia M = max(t,y)∈D1 |f (t, y)|,
e consideriamo le rette di equazioni y −y0 = ±M (t−t0 ), passanti per (t0 , y0 )
e aventi coefficienti angolari ±M . Tali rette, insieme alle rette di equazione
t = t0 ± δ, determinano nel piano ty due triangoli, opposti al vertice; scegliamo δ in modo tale che tali triangoli risultino contenuti in D1 .
Fissato n ∈ N, costruiamo una funzione ϕn (t) col seguente procedimento:
ϕn (t) = y0 + f (t0 , y0 )(t − t0 ),
Sia t1 = t0 +
t0 ≤ t ≤ t0 +
1
.
n
1
f (t0 , y0 )
e y1 = y0 +
; poniamo
n
n
ϕn (t) = y1 + f (t1 , y1 )(t − t1 ),
Analogamente, posto t2 = t1 +
t1 ≤ t ≤ t1 +
1
.
n
1
f (t1 , y1 )
e y2 = y1 +
, poniamo
n
n
ϕn (t) = y2 + f (t2 , y2 )(t − t2 ),
t2 ≤ t ≤ t2 +
1
.
n
Proseguiamo in tal modo finché risulta
tk = tk−1 +
1
k
= t0 + ≥ t0 + δ;
n
n
per t ≤ t0 procediamo in modo analogo. Otteniamo cosı̀ una funzione definita in [t0 − δ, t0 + δ] e continua in tale intervallo, il cui grafico è una poligonale
2
tale che il lato passante per (t0 , y0 ) ha pendenza f (t0 , y0 ) (la stessa che deve
avere ogni soluzione dell’equazione), e il lato che parte dal generico punto
(ti , yi ) ha pendenza f (ti , yi ).
Osserviamo che questa poligonale non attraversa i lati obliqui dei triangoli
ottenuti in precedenza: infatti, la pendenza dei lati obliqui dei triangoli è
±M , e risulta −M ≤ f (ti , yi ) ≤ M . Inoltre, essa dipende ovviamente da n,
e il numero dei suoi lati aumenta al crescere di n.
Per n = 1, 2, . . . si ottiene una successione {ϕn } equilimitata. Infatti
y0 − M δ ≤ ϕn (t) ≤ y0 + M δ
∀n e per t0 − δ ≤ t ≤ t0 + δ,
e ciò si deduce dal fatto che il grafico delle ϕn è contenuto nei triangoli
isosceli considerati prima e che y0 ± M δ sono le ordinate dei vertici del
triangolo.
Inoltre, poiché, fissato n, per ogni coppia di punti ta , tb ∈ [t0 − δ, t0 + δ] si
ha
|ϕn (ta ) − ϕn (tb )| ≤ M |ta − tb |,
(2)
la successione {ϕn } risulta anche equicontinua. Infatti se ϕn fosse derivabile,
per il teorema di Lagrange il suo incremento sarebbe uguale alla derivata
prima calcolata in un punto intermedio, moltiplicata per la differenza |ta −tb |;
in questo caso, dato che abbiamo una funzione lineare, la derivata in un
punto è proprio la pendenza della retta, che è sempre minore di M , e quindi
l’incremento che compare nella (2) è maggiorabile con M |ta − tb |.
Allora, per il Teorema di Ascoli-Arzelà, esiste una sottosuccessione ϕnk (t)
(che per comodità continueremo a chiamare ϕn ) che converge uniformemente
a una funzione ϕ(t) continua in [t0 − δ, t0 + δ]. La successione ϕn non è
derivabile, dato che è una spezzata e quindi ha dei punti angolosi; al crescere
di n, però, cresce il numero dei lati della poligonale, e quando n → ∞ essa
tende a una curva derivabile.
Mostriamo ora che tale funzione limite ϕ(t) soddisfa il problema di Cauchy
(1). Per poter soddisfare l’equazione, ϕ(t) deve essere derivabile in (t0 −
δ, t0 + δ) e si deve avere
ϕ0 (ta ) = f (ta , ϕ(ta )) ∀ta ∈ (t0 − δ, t0 + δ);
dobbiamo quindi dimostrare che, ∀ta ∈ (t0 − δ, t0 + δ),
lim
tb →ta
ϕ(tb ) − ϕ(ta )
= f (ta , ϕ(ta )).
tb − ta
3
Sfruttando il fatto che ϕ è il limite uniforme di ϕn e quindi vale lo scambio
dei limiti, l’ultima relazione può essere scritta come
lim lim
n→∞ tb →ta
ϕn (tb ) − ϕn (ta )
= f (ta , ϕ(ta )).
tb − ta
Essendo ta , tb due punti qualunque dell’intervallo (t0 −δ, t0 +δ), supponiamo
che tb > ta (se fosse tb < ta si ragionerebbe in modo analogo). Applicando la
definizione di limite, si deve avere che, fissato ε > 0, devono esistere η = η()
e K = K() tali che, per tb − ta < η ed n > K, si abbia
ϕ (t ) − ϕ (t )
n a
n b
− f (ta , ϕ(ta )) < ,
tb − ta
cioé
[f (ta , ϕ(ta )) − ](tb − ta ) < ϕn (tb ) − ϕn (ta ) < [f (ta , ϕ(ta )) + ](tb − ta ). (3)
Per dimostrare la (3), ricordiamo che, per ipotesi, f è continua nel punto
(ta , ya ), con ya = ϕ(ta ); quindi, in corrispondenza dell’ che compare in (3),
possiamo scegliere η tale che
f (ta , ya ) − < f (t, y) < f (ta , ya ) + (4)
nel rettangolo
Q = {(t, y) ∈ R2 : |t − ta | < η, |y − ya | < 2M η}
(per comodità, in questo caso scegliamo un rettangolo anziché un intorno
sferico). In corrispondenza di η() scegliamo quindi K() in modo che, per
n > K, si abbia |ϕn (ta )−ϕ(ta )| < M η (è sempre possibile fare questa scelta,
per la convergenza uniforme di ϕn a ϕ). Da quest’ultima relazione e dalla
(2) segue che, per |t − ta | < η
|ϕn (t)−ϕ(ta )| ≤ |ϕn (t)−ϕn (ta )|+|ϕn (ta )−ϕ(ta )| < M |t−ta |+M η < 2M η.
Questo implica che la poligonale grafico di ϕn (t) è, per il tratto |t − ta | < η,
contenuta nell’intorno Q, cioé se |t − ta | < η, il punto (t, ϕn (t)) appartiene
a Q. Quindi, per |tb − ta | < η e n > K, dalla (4) segue che
ϕn (tb ) − ϕn (ta ) ≤ sup f (t, y)(tb − ta ) < [f (ta , ϕ(ta )) + ](tb − ta )
Q
4
e
ϕn (tb ) − ϕn (ta ) ≥ inf f (t, y)(tb − ta ) > [f (ta , ϕ(ta )) − ](tb − ta ),
Q
cioé quello che volevamo dimostrare.
La dimostrazione del teorema di Peano fornisce anche il metodo di costruzione di una soluzione approssimata, che differisce dal metodo di Picard (PS2,
pag. 189), in genere più difficile dal punto di vista pratico per i calcoli.
Teorema di Peano (per i sistemi). Dato il problema di Cauchy
(
y0 = f (t, y)
y(τ ) = ξ,
(5)
con f = (f1 , . . . , fn ), y = (y1 , . . . , yn ) e ξ = (ξ1 , . . . , ξn ), se f : D → Rn , con
D aperto di Rn+1 contenente il punto (τ, ξ), è continua, allora il problema
ammette almeno una soluzione in piccolo, cioé esistono un intorno di τ e
una funzione ϕ(t), definita e derivabile in tale intorno, tale che ϕ(τ ) = ξ e
ϕ0 (t) = f (t, ϕ(t)).
La dimostrazione è analoga alla precedente. Le successioni approssimanti,
utili nella pratica per ottenere una soluzione approssimata del problema,
sono definite in tal modo:
ϕni (t) = ξi + fi (τ, ξ1 , . . . , ξn )(t − τ )
posto τ1 = τ +
per τ ≤ t ≤ τ +
1
, i = 1, . . . , n;
n
1
fi (τ, ξ1 , . . . , ξn )
e yi1 = ξi +
, si pone
n
n
ϕni (t) = yi1 + fi (τ1 , y11 , . . . , yn1 )(t − τ1 )
per τ1 ≤ t ≤ τ1 +
1
, i = 1, . . . , n,
n
e cosı̀ via. Si sfrutta poi il fatto che il teorema di Ascoli-Arzelà vale anche
per successioni di funzioni vettoriali.
5
Teorema di esistenza e unicità locale: unicità.
Nella conclusione della dimostrazione del Teorema di esistenza e unicità
locale del problema di Cauchy (PS2, pag. 188) si giunge ad affermare che,
scegliendo δ < min a, Mb , L1 , esiste un unico punto fisso ϕ per F in Yδ .
Facciamo notare che, se ϕ1 ∈ C(Is ) è una soluzione dell’equazione integrale
di Volterra e posto δ1 = min {s, δ}, non è detto che ϕ1 ∈ Yδ1 .
Per mostrare l’unicità dobbiamo far vedere che ogni eventuale soluzione ϕ1
dell’equazione integrale definita in Iδ appartiene allo spazio Yδ ed è, quindi,
tale che kϕ1 (t) − ξk ≤ b ∀ t ∈ Iδ .
Dimostrazione. Consideriamo, per semplicità, il caso n = 1 (in tal caso è
possibile fare anche una rappresentazione grafica per capire meglio).
Per assurdo, sia ϕ1 una soluzione dell’equazione integrale con immagine non
contenuta nell’intervallo [ξ − b, ξ + b]; allora, essendo ϕ1 continua, esiste t1 ,
con |τ − t1 | < δ, tale che |ϕ1 (t1 ) − ξ| = b e |ϕ1 (t) − ξ| < b per ogni t tale che
|τ − t| < |τ − t1 |. Ma allora si ha
Z t1
b = |ϕ1 (t1 ) − ξ| = f (s, ϕ1 (s)) ds ≤ M |t1 − τ | < M δ ≤ b,
τ
assurdo.
Misura e integrale di Lebesgue.
Definizione 1. Dato un n-intervallo di Rn I = I1 × I2 × . . . × In , dove
Ik = [ak , bk ] oppure (ak , bk ] oppure [ak , bk ) oppure (ak , bk ) per k = 1, . . . , n,
poniamo
|I| := (b1 − a1 )(b2 − a2 ) . . . (bn − an ).
La misura di un n-intervallo coincide quindi con la misura dell’insieme formato dai suoi punti interni.
Seguendo ora la notazione del PS2 (pag. 344), indichiamo con Q un nintervallo dato dal prodotto cartesiano di n intervalli chiusi e limitati, e con
R un plurintervallo (ottenuto come unione di un numero finito di sottointervalli di Q determinati da una suddivisione D di Q). Dalla Definizione 1
6
segue che anche la misura di un plurintervallo coincide con la misura dell’insieme dei suoi punti interni.
Proprietà della misura dei plurintervalli.
Le seguenti proprietà sono enunciate a pag. 345 e proposte come esercizio
(pag 366 n. 2); qui ne viene fornita una dimostrazione, ma si consiglia di
fare anche qualche disegno nel caso n = 2.
i) se R1 ⊆ R2 , allora |R1 | ≤ |R2 |;
ii) |R1 ∪ R2 | ≤ |R1 | + |R2 |, e l’uguaglianza vale se e solo se R1 e R2 non
hanno intervalli in comune.
Dimostrazione. i) Dato che la misura non dipende dalla scelta della suddivisione, consideriamo la stessa suddivisione D per entrambi i plurintervalli.
Se R1 = R2 , si ha |R1 | = |R2 |.
Se R1 ⊂ R2 , allora R2 è costituito dall’unione degli n-intervalli che formano
R1 e di almeno un altro n-intervallo.
Quindi risulta |R1 | ≤ |R2 |.
ii) Poiché
R1 = R1 \ R2 ∪ (R1 ∩ R2 ),
R2 = R2 \ R1 ∪ (R1 ∩ R2 )
e
R1 ∪ R2 = R1 \ R2 ∪ (R1 ∩ R2 ) ∪ R2 \ R1 ,
si ha
|R1 | + |R2 | = |R1 \ R2 | + |R1 ∩ R2 | + |R2 \ R1 | + |R1 ∩ R2 |
= |R1 ∪ R2 | + |R1 ∩ R2 | ≥ |R1 ∪ R2 |,
come volevasi dimostrare.
Inoltre, se R1 e R2 non hanno intervalli in comune, allora R1 ed R2 non sono
sovrapposti, |R1 ∩ R2 | = 0 e
|R1 | + |R2 | = |R1 ∪ R2 |.
Viceversa, se |R1 | + |R2 | = |R1 ∪ R2 |, allora |R1 ∩ R2 | = 0 e R1 e R2 non
hanno intervalli in comune.
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Misure interna ed esterna coincidenti per insiemi aperti e chiusi.
Quella che segue è la dimostrazione dell’Osservazione 2.1 a pag. 347. Si
ricordi che, se X, Y ⊂ R sono limitati e tali che X ⊆ Y si ha
inf Y ≤ inf X ≤ sup X ≤ sup Y.
Dimostrazione. Sia E aperto. Allora, dalla definizione di misura esterna,
risulta che |E|∗ = |E|. Inoltre, dal fatto che |E|∗ ≤ |E|∗ , si ha |E|∗ ≤ |E|;
d’altra parte, dalla definizione di misura di insieme aperto e dal fatto che i
plurintervalli sono particolari insiemi chiusi, risulta
|E| = sup {|H| : H plurintervallo, H ⊂ E}
≤ sup {|C| : C chiuso, C ⊂ E} = |E|∗ .
Confrontando le due disuguaglianze ottenute, si ha anche che |E|∗ = |E|.
Sia, ora, E chiuso. Allora, dalla definizione di misura interna, risulta che
|E|∗ = |E|. Inoltre, dal fatto che |E|∗ ≤ |E|∗ , si ha |E| ≤ |E|∗ ; d’altra parte,
dalla definizione di misura di insieme chiuso e risulta
|E| = inf {|K| : K plurintervallo, K ⊇ E}
≥ inf {|A| : A aperto, A ⊇ E} = |E|∗ ,
dove A è un qualunque aperto contenente K. Confrontando le due disuguaglianze ottenute, quindi, si ha anche che |E|∗ = |E|.
Confronto tra misura secondo Lebesgue e misura secondo PeanoJordan (Osservazione 2.2, pag. 348).
Un insieme E contenuto in un intervallo Q è P-J-misurabile se la sua funzione
caratteristica è integrabile in Q, cioé se il sup delle somme inferiori s(D), al
variare di tutte le possibili suddivisioni di Q, coincide con l’inf delle somme
superiori S(D). Ricordando che le s(D) sono costruite considerando gli inf
assunti dalla funzione nei sottointervalli determinati da D, mentre le S(D)
sono costruite considerando i sup della funzione in tali sottointervalli, una
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s(D) non è altro che la misura di un plurintervallo H, H ⊆ E, mentre una
S(D) non è altro che la misura di un plurintervallo K, K ⊇ E. Dunque
risulta
sup s(D, 1E ) = sup{|H| : H ⊆ E}
e
inf S(D, 1E ) = inf{|K| : K ⊇ E},
cioé, essendo i plurintervalli insiemi chiusi,
sup s(D, 1E ) = |E|∗
e
inf S(D, 1E ) = |E|∗ .
L’insieme E è quindi P-J-misurabile se la sua misura interna coincide con
quella esterna, solo che in tal caso le misure interna ed esterna vengono
definite usando i plurintervalli, anziché gli insiemi aperti e chiusi come nella
teoria di Lebesgue.
D’altra parte, poiché la misura di un plurintervallo coincide con la misura
dell’insieme aperto formato dai suoi punti interni, si ha che se E è P-Jmisurabile, allora è anche L-misurabile, e le due misure coincidono.
Definizione di σ-algebra.
Riportiamo qui la definizione di σ-algebra, che viene nominata in PS2 a pag.
350 ma di cui non viene data esplicitamente la definizione.
Sia X un insieme e F una famiglia di sottoinsiemi di X (cioé F ⊆ P(X),
dove P(X) denota l’insieme delle parti di X); F è detta σ-algebra su X se
valgono le seguenti condizioni:
i) ∅, X ∈ F;
ii) E, F ∈ F ⇒ E r F ∈ F;
S
iii) Ei ∈ F, i = 1, 2, . . . ⇒ ∞
i=1 Ei ∈ F.
A differenza della famiglia dei sottoinsiemi di Rn misurabili secondo PeanoJordan (che forma un’algebra), la famiglia dei sottoinsiemi di Rn misurabili
secondo Lebesgue forma una σ-algebra.
9
Dalla definizione di σ-algebra segue (usando le leggi di De Morgan) che, se
T
Ei ∈ F, i = 1, 2, . . . allora anche ∞
i=1 Ei ∈ F. Dall’osservazione che l’unione di un’infinità numerabile di aperti non è in generale un aperto e che
l’intersezione di un’infinità numerabile di chiusi non è in generale un chiuso,
si ricava che la topologia di Rn non è una σ-algebra.
Esempio di insieme non misurabile secondo Lebesgue: l’insieme di
Vitali.
In PS2 la costruzione di tale insieme è fornita nell’Esercizio 9 a pag. 367.
Nell’intervallo [0, 1] introduciamo la seguente relazione di equivalenza
x ∼ y ⇔ x − y ∈ Q.
Consideriamo ora l’insieme A ottenuto quozientando [0, 1] rispetto all’equivalenza appena introdotta; tale insieme è formato da una infinità non numerabile di classi di equivalenza: se fossero un’infinità numerabile, anche
[0, 1] risulterebbe numerabile in quanto unione numerabile di insiemi numerabili; infatti, che ogni classe C sia numerabile segue dal fatto che, fissato
x ∈ C, ogni altro elemento y ∈ C è della forma y = x + r, r ∈ Q (dato che
x − y = r ∈ Q); essendo Q numerabile, anche ogni classe di equivalenza lo è.
Chiamiamo V ⊂ [0, 1] l’insieme ottenuto scegliendo da ogni classe di equivalenza di A un solo elemento (rappresentante). L’esistenza dell’insieme V
è garantita dall’assioma di scelta (o di Zermelo); in base a tale assioma,
però, possiamo solo affermare l’esistenza di tale insieme, senza riuscire ad
assegnare una legge esplicita per la sua costruzione.
Mostriamo che l’insieme V (insieme di Vitali) non è misurabile.
Esso ha le seguenti proprietà:
a) se r ∈ Q, r 6= 0, il traslato di r di V , Vr = {y ∈ R : y = x + r, x ∈ V } e
V stesso, sono disgiunti. Infatti, se fosse V ∩ Vr 6= ∅, esisterebbero x, y ∈ V ,
x 6= y tali che y = x + r, cioé tali che y − x = r ∈ Q, il che è assurdo essendo
x e y appartenenti a classi diverse; da ciò segue che anche due qualunque
traslati Vr e Vs sono disgiunti, per r 6= s;
b) per ogni x ∈ (0, 1) esiste r ∈ (−1; 1) ∩ Q tale che x ∈ Vr ; infatti, detto y un rappresentante di x in V , e posto r = x − y, risulta che r ∈ Q
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in quanto x e y appartengono alla stessa classe di equivalenza e, inoltre
−1 = 0 − 1 < r = x − y < 1 − 0 = 1.
Consideriamo ora l’insieme ottenuto unendo tutte le possibili traslazioni di
V di numeri razionali compresi tra −1 e 1, cioé l’insieme
[
E=
Vr ;
r∈(−1,1)∩Q
se, per assurdo, V fosse misurabile, anche E lo sarebbe in quanto unione
numerabile di insiemi misurabili e, essendo E ⊆ (−1, 2), si avrebbe |E| ≤ 3.
D’altra parte, essendo E unione di insiemi disgiunti per la proprietà a),
risulta:
X
|E| =
|Vr | =
r∈(−1,1)∩Q
X
|V |
r∈(−1,1)∩Q
dato che, per la proprietà di invarianza per traslazioni della misura, |Vr | =
|V | per ogni r. Poiché non può essere che |V | > 0, perché se cosı̀ fosse, la
P
P
r∈(−1,1)∩Q |V | ≤ 3, allora
r∈(−1,1)∩Q |V | sarebbe infinita, mentre risulta
deve essere |V | = 0, e quindi |E| = 0. Ma, per la b), E ⊇ (0, 1), |E| ≥ 1.
Essendo giunti a una contraddizione, la conclusione è che V è non misurabile.
Successioni di funzioni misurabili.
Ciò che segue approfondisce la dimostrazione della Proposizione 2.13 i) a
pag. 363: Sia {fk } una successione di funzioni misurabili. Allora la funzione supk fk (x) è misurabile.
Dimostrazione. Per mostrare che la funzione supk fk (x) è misurabile dobbiamo far vedere che l’insieme A = {x : supk fk (x) > t} è misurabile
∀ t ∈ R. Mostriamo che A risulta misurabile perché è esprimibile come
unione numerabile di insiemi misurabili:
A = ∪∞
k=1 {x : fk (x) > t} := B.
Infatti si ha B ⊆ A: sia x ∈ B; allora ∃e
k ∈ N tale che fek (x) > t e, poiché
supk fk (x) ≥ fek (x) > t, risulta che x ∈ A.
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D’altra parte, si ha anche A ⊆ B: sia x ∈ A; allora x è tale che L =
supk fk (x) > t; per le proprietà dell’estremo superiore, ∀ > 0 esiste c ∈
{fk (x)}∞
k=1 tale che L < c + , cioé tale che c > L − . Possiamo inoltre
scegliere sufficientemente piccolo in modo tale che L − > t e, quindi, tale
che c > t. Ma allora ∃ e
k ∈ N tale che fe (x) = c e fe (x) > t, e quindi x
k
k
appartiene a uno degli insiemi la cui unione forma B, e quindi x ∈ B. Ma
allora A ⊆ B.
Somme superiori e inferiori alla Lebesgue.
A pag. 369 viene mostrato che, infittendo la suddivisione, le somme superiori non aumentano; mostriamo ora che, infittendo la suddivisione, le somme
inferiori non diminuiscono.
Dimostrazione. Inserendo β tra αi−1 e αi nella suddivisione D, il termine
αi−1 |Ωi | = αi−1 |{αi−1 ≤ f < αi }|
nelle somme inferiori viene sostituito da
αi−1 |{αi−1 ≤ f < β}| + β|{β ≤ f < αi }|
≥ αi−1 |{αi−1 ≤ f < β}| + αi−1 |{β ≤ f < αi }| = αi−1 |Ωi |.
Il teorema di Vitali-Lebesgue.
Questo teorema viene citato a pag. 370: Sia f : [a, b] → R una funzione
limitata. Allora f è integrabile secondo Riemann se e solo se l’insieme dei
suoi punti di discontinuità è un insieme di misura nulla secondo Lebesgue
(cioé se f è continua q.o. in [a, b]).
Il Teorema di Vitali-Lebesgue afferma quindi che la Riemann-integrabilità
di una funzione f : [a, b] → R limitata è legata all’insieme dei suoi punti di
12
discontinuità. Ricordiamo che se f : [a, b] → R è continua, oppure è limitata
con al più un numero finito di punti di discontinuità, oppure è monotona
con al più un’infinità numerabile di punti di discontinuità, allora essa è integrabile secondo Riemann.
La funzione di Dirichlet invece, discontinua in ogni punto, non è R-integrabile
in nessun intervallo.
Enunciamo ora alcuni dei teoremi fondamentali della teoria di Lebesgue. Alcune delle seguenti formulazioni sono leggermente diverse da quelle fornite
nel PS2. Del teorema di Lebesgue viene data anche la dimostrazione, con
alcuni dettagli in più rispetto a quella del libro.
Lemma (dell’assoluta continuità). Sia f ∈ L(Ω), con Ω ⊆ Rn misurabile. Allora ∀ε > 0 ∃ δ(ε) > 0 tale che, per ogni insieme misurabile A ⊆ Ω
R
con |A| < δ, si ha A |f | dx < ε.
Teorema di Lebesgue (o della convergenza dominata). Sia {fn } una
successione di funzioni misurabili definite su un insieme misurabile Ω ⊆ Rn ,
tale che:
i) fn converge a f q.o. in Ω;
ii) esiste g ∈ L(Ω) tale che |fn (x)| ≤ g(x) ∀ n ∈ N e ∀ x ∈ Ω.
Allora anche f ∈ L(Ω) e si ha
Z
Z
f dx = lim
fn dx.
Ω
n→∞ Ω
Dimostrazione. Prima di tutto osserviamo che la funzione f è misurabile,
essendo il limite puntuale di una successione di funzioni misurabili.
Inoltre, dalla relazione |fk | ≤ g, passando al limite per k → ∞ si ottiene
|f | ≤ g q.o. in Ω; allora, per le proprietà di monotonia dell’integrale di Lebesgue, risulta che anche le fk sono integrabili per ogni k e, in particolare,
f ∈ L(Ω), che dimostra la prima parte della tesi.
13
Per dimostrare che vale il passaggio al limite sotto il segno di integrale,
supponiamo prima che |Ω| < ∞. Sia B ⊆ Ω l’insieme in cui fk → f ; per
ipotesi |Ω r B| = 0 e, quindi, |Ω| = |B|. Fissato ε > 0, definiamo gli insiemi
ε
se h ≥ k , k = 1, 2, . . .
Bk := x ∈ B : |fh (x) − f (x)| <
2|Ω|
S
Tali insiemi sono misurabili, dato che le fk e f lo sono; si ha B = ∞
k=1 Bk ,
con B1 ⊆ B2 ⊆ . . .; quindi, per la proprietà di continuità verso l’alto della
misura risulta |B| = |Ω| = limk→∞ |Bk |.
Applichiamo ora il Lemma dell’assoluta continuità alla funzione g: in corrispondenza dell’ε fissato prima esiste δ = δ(ε) tale che, per ogni insieme
R
misurabile A ⊆ Ω con |A| < δ, si ha A g dx < 4ε ; inoltre, essendo anche le
R
fk e |f | integrabili in Ω, per ogni A ⊆ Ω con |A| < δ si ha A |fk | dx < 4ε
R
ε
A |f | dx < 4 .
Poniamo, ora, A = ΩrBk , con k da determinare (l’idea è che, per come sono
fatti i Bk , per k sufficientemente grande si può fare in modo che |A| < δ);
dato che |A| = |Ω| − |Bk | → 0 per k → ∞, esiste un indice k = k(ε) tale
che |A| < δ = δ(ε) se k = k(ε). Sia allora A = Ω r Bk . Risulta dunque, per
ogni k ≥ k, usando anche la definizione di Bk , che
Z
Z
Z
|fk − f | =
|fk − f | +
|fk − f |
Ω
<
Bk
ε
|B | +
2|Ω| k
A
Z
Z
|fk | +
A
|f | <
A
ε
ε
ε
+ + .
2 4 4
Allora si ha
Z
Z
Z Z
fk −
|fk − f | < ε.
f = (fk − f ) ≤
Ω
Ω
Ω
Ω
Per l’arbitrarietà di ε, la seconda parte della tesi è dimostrata.
Consideriamo ora il caso in cui |Ω| = ∞; ponendo Ωj = Ω r Qj , dove i Qj ,
j = 1, 2, . . ., sono gli ipercubi |xi | ≤ j, i = 1, . . . , n, ed essendo |Ωj | ≤ |Qj | <
∞, per quanto appena mostrato segue che
Z
Z
lim
fk =
f
k→∞ Ωj
Allora si ha
Z
Z
f = lim
Ω
j→∞ Ω
j
∀j.
Ωj
Z
f = lim lim
Z
j→∞ k→∞ Ω
j
fk = lim lim
14
k→∞ j→∞ Ωj
Z
fk = lim
k→∞ Ω
fk ,
dove la prima e l’ultima uguaglianza seguono dalla definizione di integrale
di Lebesgue e dove il terzo segno di uguale è giustificato purché sia lecito
effettuare lo scambio dell’ordine dei limiti in k e j; tale scambio si può
R
effettuare se il limj→∞ Ωj fk esiste uniformemente rispetto a k (in base
all’osservazione, riguardante le successioni doppie, successiva al Teorema
R
1.4 a pag. 112, con t0 = ∞). Posto, allora, limj→∞ Ωj fk = Fj (k) e
R
F (k) = Ω fk , dobbiamo mostrare che la successione Fj (k) (di indice j e
variabile k) converge uniformemente a F (k) per k → ∞; si ha
Z
Z
|Fj (k) − F (k)| = |F (k) − Fj (k)| = fk −
fk Ω
Ωj
Z
Z
Z
Z
Z
=
f ≤
|fk | ≤
g=
g−
g,
ΩrΩj k ΩrΩj
ΩrΩj
Ω
Ωj
dove l’ultima quantità ottenuta tende a zero quando k → ∞ (per definizione di integrale); essendo tale limite indipendente da k, la convergenza è
uniforme, come volevasi dimostrare.
Teorema (della convergenza limitata).
Sia {fn } una successione di
funzioni misurabili definite su un insieme misurabile Ω ⊂ Rn di misura
finita, tale che
i) fn converge a f q.o. in Ω;
ii) esiste M ≥ 0 tale che |fn (x)| ≤ M ∀ n ∈ N e ∀ x ∈ Ω (cioé, la successione
è equilimitata);
Allora
Z
lim
n→∞ Ω
Z
fn (x) dx =
f (x) dx.
Ω
Osserviamo che, dal fatto che |fn (x)| ≤ M ∀ n ∈ N segue, passando al limite
per n → ∞, che |f (x)| ≤ M , cioé che la funzione limite è limitata.
Osserviamo anche che il teorema della convergenza limitata si ottiene dal
Teorema della convergenza dominata considerando l’insieme Ω di misura
finita e la funzione g = costante.
Lemma di Fatou.
Sia {fn } una successione di funzioni misurabili non
negative definite su un insieme misurabile Ω ⊆ Rn , convergente a f q.o. in
15
Ω. Allora
Z
Z
f dx ≤ lim inf
n
Ω
fn dx.
Ω
Se si rimuove l’ipotesi di convergenza q.o. dalla precedente formulazione, la
tesi diventa
Z
Z
lim inf f dx ≤ lim inf
n
Ω
n
fn dx.
Ω
Teorema di Beppo Levi (o della convergenza monotona). Sia {fn }
una successione crescente di funzioni misurabili non negative definite su un
insieme misurabile Ω ⊆ Rn , convergente a f in Ω. Allora
Z
Z
f dx = lim
fn dx.
Ω
n→∞ Ω
Se si rimuove l’ipotesi di convergenza dalla precedente formulazione, la tesi
diventa
Z
Z
lim f dx = lim
Ω n→∞
n→∞ Ω
fn dx.
Esistono diverse formulazioni del Teorema della convergenza monotona. Alcuni testi parlano di funzioni integrabili (o sommabili) anziché misurabili
(una funzione misurabile può avere insieme delle ordinate, misurabile, di
misura infinita), prendendo in considerazione solo integrali convergenti (naturalmente, in questo caso il risultato è significativo).
Inoltre tali teoremi vengono quasi sempre formulati per successioni di funzioni non negative.
In genere il teorema dello scambio della serie con l’integrale è enunciato come corollario del Teorema di Beppo Levi :
Corollario (del Teorema di Beppo Levi: scambio della serie con
l’integrale). Sia {fn } una successione di funzioni misurabili non negative
P
definite su un insieme misurabile Ω ⊆ Rn , e sia f (x) = ∞
n=1 fn (x). Allora
Z
f (x) dx =
Ω
∞ Z
X
n=1 Ω
16
fn (x) dx.
Osserviamo che, dato che fn è misurabile per ogni n ∈ N, la somma parP
ziale n-esima della serie sn (x) = nk=1 fk (x) = f1 (x) + . . . + fk (x) risulta
misurabile come somma di funzioni misurabili; dire che la serie converge
con somma f significa dire che sn (x) converge puntualmente a f (x) quando
n → ∞, e quindi f è misurabile essendo il limite puntuale di una successione
di funzioni misurabili.
Talvolta la proprietà di additività rispetto al dominio di integrazione viene
enunciata come corollario del Teorema di Beppo Levi.
Il Teorema della convergenza monotona si può formulare anche per successioni decrescenti:
Teorema. Sia {fn } una successione decrescente di funzioni misurabili non
R
negative definite su un insieme misurabile Ω ⊆ Rn , tale che Ω f1 dx < ∞.
Allora
Z
lim
n→∞ Ω
Z
fn dx =
lim fn dx.
Ω n→∞
Sottolineiamo che, se {fn } è una successione di funzioni misurabili che converge q.o. a f , i tre teoremi sopra dimostrati stabiliscono sotto quali ipotesi
R
R
si può dire qualcosa su f in termini di fn . Il Lemma di Fatou ha le ipotesi più deboli fra i tre teoremi citati: richiede soltanto che la successione {fn }
sia limitata inferiormente da zero (più in generale, da una funzione integrabile); di conseguenza, il risultato è più debole, e coinvolge solo il lim inf n
dell’integrale in Ω di fn . Il Teorema di Lebesgue richiede che le fn siano
limitate sia inferiormente che superiormente da una funzione integrabile, e
infatti il risultato é molto più forte. Il Teorema della convergenza monotona
è intermedio fra i due: richiede che {fn } sia limitata inferiormente da zero
(più in generale, da una funzione integrabile) e superiormente dalla funzione limite stessa. Naturalmente, se il limite è integrabile, questo è un caso
particolare del Teorema di Lebesgue.
Il vantaggio del Lemma di Fatou e del Teorema di Beppo Levi è che essi
17
sono applicabili anche quando f non è integrabile e forniscono spesso uno
strumento per mostrare l’integrabilità di f .
Altre importanti proprietà che riguardano l’integrale di Lebesgue sono le
seguenti:
Teorema. Sia f ∈ L(Ω), con Ω ⊆ Rn misurabile. Allora gli insiemi
{x ∈ Ω : f (x) = +∞} e {x ∈ Ω : f (x) = −∞} hanno misura nulla
(cioé, una funzione integrabile è q.o. finita).
Dimostrazione. Sia f ≥ 0 e Ω4+∞ = {f = +∞}; mostriamo che |Ω4+∞ | = 0.
Posto Ωk = {f ≥ k}, k ∈ N, si ha
Z
Z
∞>
f dx ≥
Ω
f dx ≥ k|Ωk |,
Ωk
1R
f dx. D’altra parte, poiché Ωk ⊇ Ω4+∞ ∀ k ∈ N,
k Ω
Z
1
4
|Ω+∞ | ≤ lim |Ωk | ≤ lim
f dx = 0.
k→∞
k→∞ k Ω
da cui segue che |Ωk | ≤
si ha
Quindi |Ω4+∞ | = 0.
Analogamente, se f ≤ 0 si dimostra che |Ω4−∞ | = |{f = −∞}| = 0.
Il Teorema di Fubini (Teorema 3.11 a pag. 383) e quello di Tonelli (Teorema
3.12 e Corollario 3.13) sono spesso raggruppati in un unico enunciato:
Teorema di Fubini-Tonelli: Sia f misurabile in R2 . Se uno dei due
seguenti integrali
Z +∞ Z
dx
−∞
+∞
Z
|f (x, y)| dy
+∞
o
−∞
Z
+∞
|f (x, y)| dx
dy
−∞
−∞
esiste finito, allora f è integrabile secondo Lebesgue in R2 e si ha
Z +∞ Z +∞
f (x, y) dx dy
−∞
−∞
18
Z
+∞
Z
+∞
−∞
Z
+∞
Z
−∞
−∞
+∞
f (x, y) dx.
dy
f (x, y) dy =
dx
=
−∞
Viceversa, se f ∈ L(R2 ), allora gli integrali iterati sono assolutamente convergenti, gli integrali ripetuti coincidono con l’integrale doppio, e vale lo
scambio dell’ordine di integrazione.
Integrabilità e integrabilità assoluta.
Nell’integrale di Lebesgue si ha equivalenza tra integrabilità e integrabilità
assoluta (Proposizione 3.2 a pag. 373):
f ∈ L(Ω)
⇔
|f | ∈ L(Ω);
nell’integrale di Riemann (consideriamo ora funzioni di una variabile) l’integrabilità implica l’assoluta integrabilità in intervalli limitati:
f ∈ R(a, b)
⇒
|f | ∈ R(a, b);
per gli integrali in senso generalizzato (impropri) questa implicazione non
vale, cioé esistono funzioni integrabili in senso improprio, ma non assolutamente integrabili (si veda l’Esempio 1 più avanti).
Consideriamo il caso di una funzione definita in un intervallo illimitato:
Teorema. Sia f : [a, +∞) → R, assolutamente integrabile in senso improprio; allora essa è integrabile secondo Lebesgue e i due integrali coincidono.
Osserviamo che si possono considerare in modo analogo i casi in cui f sia
definita in intervalli della forma (−∞, b] e, quindi, in (−∞, +∞).
Essendo l’intervallo di integrazione illimitato, si tratta di integrali impropri
(mentre nella Proposizione 3.1 a pag. 371 si considerano funzioni f : Ω → R
con Ω P-J-misurabile, limitato).
cos3 x
, x ≥ 0. Per stabi1 + ex
lire se f ∈ L[0, +∞), sfruttiamo il risultato enunciato sopra. Definiamo la
Consideriamo, per esempio, la funzione f (x) =
19
successione
(
f (x)
fn (x) =
0
se 0 ≤ x ≤ n
se x > n;
le funzioni fn , n = 1, 2, . . ., sono misurabili (gli insiemi delle ordinate Γn sono
misurabili per ogni n). Osserviamo infatti che introdurre tale successione fn
equivale a considerare gli insiemi Ωn = Ω ∩ Qn dove, in tal caso, i Qn , n ∈ N,
sono gli intervalli chiusi del tipo [−n, n] (ipercubi |xi | ≤ n, i = 1, 2, . . . , n
nel caso n-dimensionale) utilizzati nel PS2 quando l’insieme di definizione
Ω della funzione considerata è illimitato.
Si ha anche limn→∞ fn (x) = f (x) in [0, +∞); inoltre
1
= g(x) ∀ n ∈ N e ∀ x ≥ 0;
1 + ex
la funzione g è positiva (quindi la sua integrabilità e la sua integrabilità
|fn (x)| ≤
assoluta coincidono) e integrabile in senso improprio in [0, +∞), e quindi
integrabile secondo Lebesgue per il teorema precedente.
Sono dunque soddisfatte le ipotesi del teorema della convergenza dominata;
segue allora che f è integrabile secondo Lebesgue in [0, +∞) e si ha
Z +∞
Z +∞
lim
fn (x) dx =
f (x) dx,
n→∞ 0
0
cioé si può effettuare il passaggio al limite sotto il segno di integrale.
Esempio 1: funzione integrabile in senso improprio, non assolutamente integrabile in senso improprio e non integrabile secondo Lebesgue.
La funzione f (x) =
consideriamo
Z
0
+∞
sin x
è integrabile in senso improprio in [0, +∞). Infatti,
x
sin x
dx =
x
Z
0
1
sin x
dx +
x
+∞
Z
1
sin x
dx;
x
la funzione integranda del primo integrale a secondo membro è continua
in (0, 1]; in zero, possiamo eliminare la discontinuità ponendo f (0) = 1;
essendo continua e limitata in [0, 1], è quindi R-integrabile in [0, 1]; il secondo
integrale diventa
Z
1
+∞
sin x
dx = lim
δ→+∞
x
20
Z
1
δ
sin x
dx
x
"

cos x
= lim
−
δ→+∞ 
x
#δ


δ
Z
cos x
dx = cos 1 − lim

δ→+∞
x2
−
1
1
Z
δ
1
cos x
dx.
x2
| cos x|
1
1
≤ 2 ∀ x ≥ 1 e la funzione 2 integrabile in senso improprio
2
x
x
x
[1, +∞), per il criterio del confronto per integrali impropri (Siano f, g :
Essendo
[a, +∞) → R integrabili in ogni intervallo limitato [0, δ], δ ≥ a, ed esista
x0 ≥ a tale che 0 ≤ f (x) ≤ g(x) per x ≥ x0 . Allora, se g è integrabile in
cos x
[a, +∞), anche f lo è) anche la funzione
lo è, e quindi è integrabile in
x2
sin x
tale intervallo. In conclusione, f (x) =
è integrabile in senso improprio
x
in [0, +∞).
Non è, invece, assolutamente integrabile in senso improprio in [0, +∞):
Z +∞ +∞ Z (n+1)π X
sin x sin x dx
=
dx
x x nπ
0
n=0
≥
+∞
X
n=0
1
(n + 1)π
Z
(n+1)π
| sin x| dx
nπ
1
decrescente nell’insieme considerato).
x
Posto x = t + nπ, sfruttando la periodicità della funzione seno si ha
Z +∞ Z π
+∞
X
1
sin x | sin(t + nπ)| dt
dx ≥
x (n + 1)π 0
0
(essendo la funzione
n=0
=
+∞
X
n=0
1
(n + 1)π
Z
π
sin t dt =
0
+∞
2X
1
= +∞.
π
n+1
n=0
Risulta anche che f non è L-integrabile [0, +∞); se per assurdo lo fosse,
anche |f | lo sarebbe, mentre f non è assolutamente integrabile nell’intervallo
considerato. Infatti, introducendo la successione di funzioni (costruita in
modo simile a quello dell’esempio precedente)
(
|f (x)|
0 ≤ x ≤ n,
φn (x) =
0
x > n,
si osserva che le φn sono L-integrabili in [0, +∞) essendo continue e limitate
in [0, n] e nulle per x > n; inoltre limn→∞ φn (x) = |f (x)| e 0 ≤ φn (x) ≤
|f (x)|; applicando, allora, il teorema delle convergenza dominata, si ha
Z +∞
Z +∞
Z +∞
lim
φn (x) dx =
lim φn (x) dx =
|f (x)| dx.
n→+∞ 0
0
n→+∞
21
0
Ma, d’altra parte:
Z
+∞
lim
n→+∞ 0
= lim
n→+∞
n Z
X
k=0
Z
φn (x) dx = lim
n→+∞ 0
(k+1)π
|f (x)| dx =
kπ
+∞ Z
X
n
|f (x)| dx
(n+1)π
|f (x)| dx = +∞,
n=0 nπ
come si è visto dai calcoli precedenti.
Testo adottato:
PS2: C.D. Pagani, S. Salsa - Analisi Matematica Vol. 2 - ZANICHELLI.
22
Elenco delle sviste e/o precisazioni.1
- Teorema 1.4 a pag. 112: t0 ∈ I è punto di accumulazione.
- Pag. 117: dC 0 (Ω) (f, g) = maxx∈Ω |f (x) − g(x)|; |α| = α1 + · · · + αn ; nella
riga 17 partendo dal basso: “...tutte le derivate Dα fm ...” (e non Dα f ).
- Pag. 128: quando si parla della continuità della funzione prodotto scalare
si deve mostrare che “...se [...] e ym → y (non yn → y), allora...”.
- Pag. 136: nell’enunciato del criterio di Cauchy, “fissato ε > 0, ∀ t ∈ I (non
∀ t ∈ A)...”; nel criterio di Cauchy per successioni a valori in uno spazio di
Banach è preferibile mettere la norma kxp + · · · xp+q k anziché il modulo (che
qui è una notazione di norma).
- Pag. 137: nel Teorema della convergenza totale a primo membro della
disuguaglianza è preferibile mettere la norma anziché il modulo (che qui è
una notazione di norma); nel Teorema 2.3: t0 ∈ I è punto di accumulazione
(si veda l’Esempio 2.2 a pag. 138); si noti che la formulazione analoga al
Corollario 2.4 per una serie di funzioni limitate convergente uniformemente
non è necessaria, dato che la limitatezza della funzione somma segue dalla
definizione di convergenza uniforme per serie di funzioni.
- Pag. 141: Il criterio della radice è chiamato anche criterio di CauchyHadamard ; nella dimostrazione di tale criterio è usata (per l) la definizione
di estremo inferiore e quella di limite superiore come “inf della classe dei numeri definitivamente maggioranti” della successione considerata. Nel caso
1
in cui l = 0, la relazione |z| < diventa |z| < ∞ (si sta considerando, cioé,
l
tutto il piano complesso); allora la relazione |z|(l + ε) < 1 diventa |z|ε < 1,
da cui si conclude che la serie converge ∀ z (cioé, il raggio è infinito); se
1
l = ∞, la condizione |z| <
non è mai verificata, ed è invece verificata
l
1
l’altra (|z| > = 0), che corrisponde al caso in cui la serie converge (cioé:
l
il raggio è zero).
Pag. 141: il criterio del rapporto è chiamato anche criterio di d’Alembert; i
casi l = 0 e l = ∞ (come per il criterio della radice) sono stati approfonditi
a lezione.
Pag. 143: nella dimostrazione della Proposizione 2.12
1
Sono ben accette eventuali altre segnalazioni.
23
∂f
(x + iy) = g(z)
∂x
(non g(x)).
- Pag. 153: il massimo (non minimo) periodo comune a tutte le funzioni
periodiche sin nx e cos nx è 2π.
Pag. 167: nella dimostrazione del Teorema 2.18, nella riga 10, la funzione
integranda è F (t) sin n + 21 (non F (t) sin n + 2t ).
Pag. 186: nella Definizione 1.3 è preferibile usare la norma anziché il modulo
(che qui è una notazione di norma).
Pag. 187: nell’Esempio 1.11, f (t, y) =
Pag. 189: nell’Esempio 1.12 ϕn (t) = 1
di questa somma non è
tn
n!
|y|α
1+t2
2
+ t2
(non |y|a ).
+ ··· +
tn+1
(n+1)!
(l’ultimo termine
, ma la conclusione è la stessa).
Pag. 190: nella dimostrazione della Proposizione 1.5 si pone g(t, y) :=
ft (t, y(t)) + Dy (t, y(t))y (l’argomento non è (t, ϕ(t))).
Pag. 194: nella prima riga della dimostrazione del Teorema 1.6 “Siano
(τ, ξ)...” (non (r, ξ)); nella terzultima riga:
∂fi
∂yj
Pag. 195: nell’Esempio 1.16, nella riga 9 si ha
Pag.
(non
∂fj
∂yj
∂fi
∂yj (t, y)
).
(non
∂fi
∂yi ).
200: nel Lemma di Gronwall (di cui esistono diverse formulazio-
ni, e qui è data quella con
la disuguaglianza
integrale)
l’ipotesi (1.34) è
R
t
R t
v(t) ≤ c + τ u(s)v(s) ds (e non v(t) ≤ c τ u(s)v(s) ds).
Pag. 201: nella dipendenza continua dai parametri “si richiede che f sia
[...] e localmente lipschitziana rispetto...” (non solo lipschitziana); inoltre,
“...supponiamo che per ogni λ in un intorno di λ...” (il secondo λ è segnato).
Pag. 216: nella riga 8 partendo dal basso “...essendo ψ una soluzione di
(2.6)...” (e non (2.1)).
Pag. 228: nella quart’ultima riga, a secondo membro della formula i pedici
di a sono gli indici jk (ajk e non aik ).
- Pag. 235: l’uguaglianza dalla riga 7 alla riga 8 segue dalla proprietà dello
P
P
P
P
scambio di sommatorie doppie nj=0 jk=0 ajk = nk=0 nj=0 ajk (in questo
caso j parte da k perché c’è il termine λj−k ).
- Pag. 244: nella riga 9 si ha W(t, τ ) = e(t−τ )A (e non (t−s)A); nella formula (2.63) la funzione integranda è e(s−t)A b(s) (e non e(t−s)A b(s)); nell’ultima
(n−2)
equazione della formula (2.66) si ha c01 ϕ1
(n−1)
+ · · · (e non c01 ϕ1
+ · · · ).
Pag. 246: prendere la regola per trovare una soluzione particolare di un’equazione a coefficienti costanti non omogenea dal testo consigliato per gli
esercizi (P. Marcellini, C. Sbordone - Esercitazioni di Matematica Vol. 2,
24
parte prima e seconda - LIGUORI EDITORE) oppure dagli appunti della
lezione.
Pag. 305: nella riga 8 partendo dal basso si ha graf(g) ⊂ S(D1 , g) − s(D1 , g)
(non S(D, g) − s(D1 , g)).
Pag. 323: nella Proposizione 1.70 le ipotesi sulla funzione g è che sia limitata
e integrabile in Ω.
Pag. 345: nella Proposizione 2.1, la proprietà iii) relativa agli insiemi chiusi
vale con l’ipotesi C1 ∩ C2 = ∅ oppure (dato che per qualunque chiuso C si
può avere |C| = 0 nonostante C 6= ∅) con l’ipotesi |C1 ∩ C2 | = 0; la proprietà
iv) è detta, talvolta, proprietà di sottrattività.
Pag. 348: la proprietà riguardante gli insiemi di misura nulla enunciata
nell’ultima riga è detta proprietà di completezza della misura.
Pag. 349: la Definizione 2.5 è valida per un insieme X qualunque (che
è preferibile sostituire all’ n-intervallo Q usato nel libro); la (2.7) è detta proprietà di monotonia; la (2.8), che può essere espressa anche come
|E ∪ F | ≤ |E| + |F |, è detta proprietà di subadditività finita; la (2.9) è detta
proprietà di additività finita; nella riga 7 partendo dal basso sostituire la
parola “misurabile” con “numerabile”; nel Teorema 2.4 la proprietà ii) è
detta di subadditività e la iii) di additività numerabile o completa.
Pag. 350: le proprietà iv) e vi) sono dette, rispettivamente, proprietà di
continuità verso l’alto e proprietà di continuità verso il basso; nella riga 7 e
nella riga 4 partendo dal basso sostituire Q con X.
Pag. 361: gli insiemi {f > t} sono chiamati, in letteratura, insiemi di livello
di f (come, talvolta, anche gli insiemi {f > t}), anche se sarebbe più corretto
chiamarli insiemi di sopralivello (e, rispettivamente, insiemi di sottolivello).
Pag. 362: nella dimostrazione della Proposizione 2.10 per mostrare l’equivalenza della misurabilità degli insiemi Ωit , i = 0, 1, 2, 3 (posto Ωt = Ω0t ) si
potrebbero dimostrare anche le varie implicazioni in senso inverso sfruttan3
∞
0
2
do il fatto che Ω1t = ∩∞
k=1 Ωt+ 1 e Ωt = ∩k=1 Ωt− 1 ; quello dimostrato nella
k
k
nota 14 (con R∗ al posto di R) è il Teorema di Cantor: Sia A un aperto di
R. Allora A è esprimibile come unione numerabile di intervalli aperti a due
a due disgiunti.
Pag. 370: il teorema enunciato dopo la costruzione delle somme inferiore
e superiore della funzione di Dirichlet in [0, 1] è detto Teorema di VitaliLebesgue.
25
Pag.
373: nella riga 6 sostituire {Ωk } con {Qk } (successione degli n-
intervalli).
Pag. 375: la proprietà della 3. ii) segue dalle (3.14) e (3.19) (non dalle (3.16)
e (3.17)); nella dimostrazione della 4. si ha Γ = Γ(f, Ω) (e non Γ(g, Ω)).
Pag. 376: nell’ipotesi ii) del Teorema 3.4 eliminare “q.o.” (l’enunciato corretto è fornito nelle pagine precedenti di queste note), e cosı̀ nell’ipotesi ii)
del Corollario 3.5.
Pag. 375: il Lemma 3.6 è detto Lemma dell’assoluta continuità; nell’enunciato (riformulato anche in questi appunti) A può essere anche un sottoinsieme
improprio di Ω (A ⊆ Ω); si può dimostrare il lemma nel caso f ≥ 0, dato
che l’integrabilità di f implica la sua integrabilità assoluta; esprimendo per
esteso il limite nella riga 6 della dimostrazione si ha che, ∀ ε > 0 ∃ N = N (ε)
tale che valga la riga 8 se N ≥ N (ε); in particolare, le disuguaglianze nella
riga 8 valgono anche per N = N (ε); posto N (ε) = N , si giunge alla riga 10.
Pag. 385: nella (3.25) dentro l’integrale va scritto, per esempio, f 0 (t) dt
(la variabile di integrazione è muta, ma deve essere diversa da x che è un
estremo di integrazione).
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