Storia della filosofia antica, Cambiano

LA FILOSOFIA
Il termine deriva da philìa (=amore) e sophia (=sapere) = amore per il sapere. È vista come un emergere di
questioni e perché. Nasce in Grecia, questo perché ci sono delle differenze con la civiltà orientale: diversa
configurazione politica, quelle orientali erano monarchie, quindi il sapere era elaborato nel palazzo del re,
mentre il grecia c’era la polis con l’aristocrazia. Altra differenza sul piano delle credenze religiose, infatti la
Grecia non conosce libro sacro con cui imporsi.
Aristotele dice nel libro primo della metafisica che la filosofia è epistème, cioè scienza, una forma di
conoscenza che non si accontenta di sapere che una certa cosa sta in un certo modo, ma vuole sapere
perché sta in quel modo LA FILOSOFIA VUOLE CONOSCERE LE CAUSE DELLE COSE.
Delle cause prime se ne occupavano anche i poeti in chiave di teogonia (=generazioni dei). Il mito non era
fondato su osservazioni, ma su credenze popolari. I filosofi invece ricercano le cause di tutte le cose non
negli dei, ma in natura (ci si basa sul ragionamento). La differenza dal mito è anche che esso è un racconto
irrazionale e ciò che si narrava non veniva messo in discussione essendo rivelata dal Dio. Al contrario il
filosofo sottopone tutto a critica e a indagine razionale.
Mancano gli scritti dei primi filosofi, per cui le prime fasi della filosofia sono ricostruite da Aristotele che
dice che la forma più alta di sapere è quella che ricerca le cause prime. I primi che vede a condurre
un’indagine filosofica furono i physiologi (=studiosi della natura). Sulla linea aristotelica, un suo allievo,
Teofrasto compose uno scritto sulle opinioni dei fisici (presocratici) e da questo si formò un tipo di
letteratura, la dosso grafia (scrittura di opinioni).
La prima fase della filosofia greca fu quindi dominata da un problema, la physis la natura, nel senso di ciò
che da luogo alla generazione delle cose.
La figura del filosofo nasce in Grecia. Il vero e proprio filosofo si ha nel IV secolo a.C. con la nascita delle
scuole che si propongono la formazione di un nuovo tipo di uomo. Nei primi sviluppi il confine tra filosofo e
sapiente (colui che si proclama possessore di sapere) è molto labile e sono anche poeti (che si
presentavano come ammaestrati dalla Musa che come figlia di Mnemosyne, la Memoria, è garante della
veridicità di quanto il poeta racconta) e l’indovino.
La caratteristica della filosofia è di essere una contemplazione disinteressata, l’esigenza che fa nascere la
filosofia è la meraviglia (stupore di fronte le cose)che genera il bisogno di spiegazioni. Platone dice infatti
nel Teeteto “è proprio del filosofo essere pieno di meraviglia; né altro cominciamento ha il filosofare che
questo essere pieno di meraviglia”. La meraviglia di fronte una cosa particolare genera le scienze particolari,
che ricercano le cause di un particolare aspetto della realtà. La meraviglia di fronte a tutto genera la
filosofia che ricerca le cause della realtà nel suo complesso.
Oggi il termine causa indica ciò che determina il prodursi di qualcosa. Questo è solo un modo che Platone e
Aristotele hanno di spiegare cosa sia la causa, quella che in particolare chiamò efficiente pensando alla
causa del movimento. Accanto a questo significato, Aristotele distingue quattro cause: quella efficiente ( ciò
che mette in moto una cosa), materiale (la materia di cui è fatta, ci fa capire la natura), formale (l’essenza di
una cosa, ciò che la fa essere quella che è) e finale (lo scopo per cui è stata fatta). La causa prima, ricercata
dalla filosofia, le racchiude tutte.
Aristotele ammette che la filosofia sia una scienza inutile, per sottolineare che non serve ad altro, non è
serva di altre discipline. È un sapere perseguibile per sé, per rispondere al bisogno di comprendere le cose
che è istintivo e naturale. È un sapere radicale perché è l’unica disciplina che si mette in questione e indaga
ciò che è fondamentale, che sta alla radice.
GLI IONICI
I primi filosofi appartengono alla IONIA tra il VII e VI secolo a.C. Si sviluppò qui grazie alla libertà che poteva
vivere la Grecia rispetto all’oriente. La filosofia nasce prima sulle colonie elleniche dell’Asia minore e Italia
meridionale e poi nel continente greco, questo perché le colonie, rispetto alla madrepatria godono di
maggiore indipendenza politica e mobilità commerciale che fa fare uno scambio non solo di merci, ma
anche di idee.
I primi che filosofarono furono chiamati da Aristotele fisiologi o filosofi perché conducevano un’indagine
razionale sulla natura. Operarono a Mileto, una città della Ionia (costa meridionale dell’Asia minore).
Di contro ai poeti che raccontavano, loro spiegavano con la sola ragione, e no tradizione.
Ritennero che il principio di tutte le cose archè fosse la causa materiale (ciò di cui le cose sono composte).
Introdotto da Anassimandro, deriva da archèin (=essere il
primo/guidare). Indica l’origine delle cose, la materia e la legge che le regola
Aristotele infatti nella Metafisica dice che i primi filosofi pensavano che il principio di tutte le cose fosse
quello materiale, in quanto è una realtà che permane e rimane identica pur nel trasformarsi nelle sue
affezioni.
TALETE
Visse tra il VII e Vi secolo a.C. (640 ac). Scienziato che coltiva la scienza come mero desiderio di sapere,
come attesta l’aneddoto secondo cui mentre camminava osservando il cielo cadde in un pozzo suscitando
le risa di una servetta tracia dicendogli che si occupava delle cose del cielo non prestando attenzione a ciò
che aveva sotto i piedi.
Per lui il principio di tutte le cose, chiamato phisis è l’acqua: il nutrimento delle cose è umido, i semi delle
cose hanno natura umida e l’acqua è il principio naturale delle cose umide. Sostiene che la terra poggia
sull’acqua che quindi sorregge tutte le cose. Inoltre senza acqua non c’è vita. Principio materiale secondo la
distinzione aristotelica. Era componente di tutte le cose. La visione di talete non è teologica, ma si basa su
ragionamenti e sull’esperienza.
Acqua come principio di vita e generazione.
ANASSIMANDRO
Allievo di talete. Mileto. 610 ac. Scrisse un libro “sulla natura” peri physeos in prosa. La terra ha una forma
di un cilindro, immobile, il sole gira intorno. Costruì uno gnomone ( misura i tempi di rivoluzione annuale
del sole) e orologio solare (misura ore) disegnò per primo una carta geografica. Lo spazio e il tempo
divengono entità misurabili.
Forse il primo ad utilizzare il termine archè come principio. Non lo identifica con i quattro elementi perché
tra loro c’è una reciproca opposizione quindi uno non può derivare dall’altro. Inoltre questi sono finiti,
limitati e determinati, mentre per Anassimandro l’infinito deve essere principio per dare origine alle altre
cose.
L’archè è l’apeiron (=indeterminato/infinito/illimitato, privo di limiti) intermedio tra l’aria e il fuoco.
Considerato ingenerato e incorruttibile immortale e indistruttibile e divino.
La realtà è poi costituita per lui da un dualismo di forze, l’infinito (apeiron) e il finito (i contrari). Il mondo è
formato da un insieme di elementi contrari che tendono a sopraffarsi commettendo così un’ingiustizia
reciproca. Grazie a Simplico abbiamo l’unico Frammento di Anassimandro: “principio degli esseri è l’infinito.
Da dove gli esseri hanno l’origine, ivi anche la distruzione secondo necessità; poiché essi pagano l’una e
l’altra la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo”- dall’infinito si generano realtà
contrarie che si alternano nell’esistenza usurpando il posto tra di loro e destinate tutte a morire. Queste
realtà forse sono i quattro elementi di cui sono composte tutte le cose, dotate di proprietà contrarie.
Il frammento affronta il problema della nascita e morte delle cose. Queste si sviluppano e si dissolvono,
vengono al mondo e poi finiscono tornando al principio generatore. Il separarsi degli elementi dall’apeiron
indica il loro entrare nel tempo che è ciò che caratterizza il divenire della natura. Il divenire del mondo si
spiega attraverso i contrari (alternarsi del giorno e della notte). L’espiazione della colpa si attua con il
riassorbimento nel principio primo. La nascita delle cose è un’ingiustizia che solo la morte può espiare.
I processi con cui le cose si generano sono concepiti come contrari: rarefazione (all’apeiron al fuoco) o
condensazione (dall’apeiron all’aria, all’acqua, alla terra). Così si spiegano anche le vicende umane, non
solo l’universo, i rapporti umani sono fatti di contrasti che portano alla costruzione d nuove realtà, alla
morte di altre. Unica realtà immortale è quella divina, l’apeiron che si sottrae alla lotta.
ANASSIMENE
Scolaro di Anassimandro. 548 ac.. Morì nel 588. VI secolo a.C.
Concepì la terra come un corpo piatto sospeso nell’aria. Le stelle come corpi di fuoco infissi nel cielo
ruotanti con esso intorno la terra.
L’archè è aria che è determinata, ma infinita. Riprende quindi i due predecessori, vedendo il principio come
un elemento della natura, ma infinito e in movimento. Mentre per Anassimandro la realtà è duale, con
l’aperoin che è infinito e la finitezza del mondo fisico della nostra esperienza, per Anassimene non sussiste
tale dualità.
Dall’aria derivano per rarefazione e condensazione gli altri elementi (fuoco acqua e terra). Tali elementi
hanno qualità contrarie. L’aria inoltre non ha bisogno di un sostegno. Concepisce l’universo come un
grande organismo vivente che respira l’aria di cui è immerso.
Spiegazione generazione elementi: la parte condensata diventa fredda, quella rarefatta calda, dall’aria così
nascono i due contrari fondamentali, caldo e freddo. Da questi derivano gli altri elementi: l’aria rarefatta
diventa fuoco e condensandosi acqua.
L’aria per lui è divina. La nostra anima anche è fatta di aria.
Aria come principio di vita e soffio (pneuma) che abbraccia tutto il mondo.
ERACLITO
540 ac Efeso.
Di famiglia aristocratica, polemico contro i concittadini democratici per aver esiliato un suo amico
Ermodoro. Scrisse un trattato sulla natura. Ritenuto un pensatore oscuro, anche perché i suoi testi non
presentavano punteggiatura. Difficoltà anche per la mancanza di accenti, ad esempio bìos vuol dire vita e
biòs arco (quindi morte). S’interesso di argomenti scientifici, morali e politici riguardanti quindi il bene e
male per il singolo individuo e la società.
Si vantava di aver appreso tutto solo e di non aver avuto maestri. Secondo la tradizione conservò il suo
testo nel tempio di Artemide perché nutriva molta sfiducia nella capacità di comprensione degli uomini.
Per la prima volta con lui l’uomo diventa l’elemento determinate di questa ricerca. La verità per lui infatti
va cercata prima dentro di noi. La maggior parte degli uomini però è ignara di questo e vive lasciandosi
ingannare dalle apparenze. Critica sia gli uomini con una mentalità media che i sapienti del suo tempo che
secondo lui non colgono la verità. Gli esperti tecnici infatti conoscono molte cose, ma non il LOGOS, la legge
universale che governa il mondo naturale e umano.
Afferma che al di sopra di tutte le impressioni prodotte dai sensi e dalle opinioni degli individui esiste un
punto di vista valido per tutti, universale e comune: LOGOSconoscenza razionale.
Questo permette agli uomini di considerare le cose da un punto di vista comune, valido per tutti che gli
permette di comunicare. Il problema è che gli uomini non se ne curano e seguono le impressione generate
dai sensi (punti di vista particolari).
Il libro inizia “Di questo logos che è sempre gli uomini non hanno intelligenza, sia prima di averlo ascoltato,
sia subito dopo averlo ascoltato; benché infatti tutte le cose accadono secondo questo logos, essi
assomigliano a persone inesperte, pur provandosi in parole e opere tali quali sono quelle che io spiego,
distinguendo secondo natura ciascuna cosa e dicendo com’è. Ma agli altri uomini rimane celato ciò che
fanno da svegli, allo stesso modo che non sono coscienti di ciò che fanno dormendo”.
Coloro che seguono il logos (ragione) sono quelli Desti per i quali il mondo appare in un solo, unico modo,
quelli che seguono i sensi sono i Dormienti, perché seguono ognuno un loro mondo. Anche se il logos è ciò
che è comune, gli uomini vivono come se avessero una propria e particolare saggezza (le opinioni).
Il termine logos è polivalente: è la legge universale del cosmo, è la ragione umana che comprende e spiega
le leggi del mondo. Infine è discorso, parola che annuncia la verità, ciò che da espressione al nostro nous.
Il logos trova il linguaggio nella filosofia, che si distingue quindi come un sapere specifico, conduce alla
verità. Qual è la verità enunciata dal logos?
La realtà per Eraclito si presenta come elementi perennemente in lotta tra loro (lotta tra contrari). Il
divenire delle cose deriva dalla lotte incessante. “Polemos è padre di tutte le cose, di tutte re” la guerra,
cioè, presiede alla vita di ogni cosa. Ogni elemento è legato al suo opposto, unità degli opposti (=ciascuna
cosa vive in virtù del proprio opposto).
Esempi: la malattia rende piacevole e buona la salute, la fatica il riposo. Come l’acqua del mare è potabile
per i pesci e no per gli uomini.
Per Anassimandro il conflitto generava ingiustizia che richiedeva espiazione, in Eraclito esprime l’armonia
che regna tra le cose. Infatti per lui la natura è animata da una profonda razionalità e la verità enunciata dal
logos è l’armonia dei contrari. Chi non presta ascolto al logos non si rende conto di tale armonia.
La realtà appare come un continuo divenire. La paragona a un fiume, TUTTO SCORRE: “nello stesso fiume è
impossibile scendere due volte”filosofo del divenire. Panta rei (espressione attribuita forse da Cratilo).
Per simboleggiare il perenne divenire delle cose e l’armonia ricorre all’immagine del fuoco che è vivo e
sempre in movimento capace di trasformare ogni cosa. Visto come l’archè perché meglio rappresenta la
legge cosmica. Raffreddandosi diventa acqua e poi terra (via ll’in giù) che diventa di nuovo acqua e poi
fuoco ( via all’in su).
Le anime sono fatte di aria e differiscono a seconda che siano più vicine all’acqua (i dormienti) o al fuoco
(sapienti).
I PITAGORICI
Contemporaneamente al fiorire della filosofia della Iona (estremità orientale del mondo greco), si ha il
fenomeno opposto in Occidente, nella magna grecia (colonie greche dell’italia meridionale).
I pitagorici erano una scuola (fondata a Crotone) con dottrine e medesimo stile di vita, fondatore
PITAGORA
Samo, 580 ac.
Indicato con il pronome Lui. Considerato l’autorità indiscussaipse dixit (autòs ephp). Il pitagorismo si
sviluppa nelle colonie italiche della Magna Grecia. Condusse una vita ascetica con annesse pratiche di
astinenza. Comunità vittima di un complotto del partito democratico che portò ad un incendio.
Attribuiti tre libri: -sulla natura – sul governo della città – sull’educazione (messe in circolazione da Filolao).
Due momenti dell’insegnamento:
1) Acusmatici: gli ascoltatoricoloro che si limitavano ad ascoltare. Conoscevano la dottrina in
maniera superficiale.
2) Matematici: gli addottrinaticoloro che conoscevano le dottrine segrete, insegnamento orale e
potevano fare domande e avere proprie opinioni.
Si narra che Ippaso di Metaponto rivelò le dottrine segrete, per questo allontanato e considerato morto.
Archè erano i numeri, raffigurati con configurazioni ordinate di punti. Forse l’interesse per il numero si era
sviluppato a partire dallo sviluppo della musica e i rapporti armonici, poiché questi risultavano da
determinati rapporti numerici. Noi indichiamo con i numeri qualcosa di astratto, loro concreto, alla base di
ogni costituzione di un corpo fisico. Ammettere che le cose sono costituite da numeri che compongono la
realtà in toto vuol dire ritenere che l’universo è ordinabile e misurabile attraverso la matematica. Le
opposizioni tra le cose vengono ricondotte alle opposizioni fra numeri, l’opposizione fondamentale è tra
pari e dispari.
Le cose venivano ricondotte ai numeri perché si riscontravano molte somiglianze tra la realtà e i
numericiascuna cosa corrisponde a un numero.
L’aritmetica antica non era a conoscenza dello zero, per questo il numero 1 diviene la sorgente di tutti i
numeri parimpari: aggiunto a un pari da un dispari e aggiunto a un dispari da un pari.
Questi suddivisi in due classi: illimitati (apeiron) e limitati (pèras). Quelli illimitati sono i pari, i limitati i
dispari. Questi ultimi rappresentano la perfezione essendo il limite misurabile. È limite perché se divido un
numero dispari in due parti uguali rimane sempre un unità che pone un limite alla divisione.
Il 10 è la somma dei primi quattro numeri e una sorta di compendio dell’universo (tetraktys).
Vedevano il cosmo come un fuoco centrale intorno al quale ruota la terra, luna, sole e il cielo delle stelle
fisse. Poiché questi corpi non raggiungevano il numero perfetto di dieci, immaginarono intorno all’orbita
della terra, l’antiterra, in senso contrario.
I numeri dominano non solo il cosmo, ma anche il mondo umano. La giustizia è rappresentata dal 4 o 9
(primo quadrato del primo numero pari e dispari). Il 5 il matrimonio (somma del primo numero pari con il
primo disparo).
Altra dottrina: metampsicosi (passaggio delle anime): l’anima si reincarna dopo la morte dell’uomo e avrà
una vita buona o meno in base al corpo di cui aveva fatto parte. Da qui deriva un’etica con cui purificare
l’anima (ascetica). Teoria influenzata dall’orfismo, secondo cui l’anima a causa di una colpa originaria si
trova nel corpo e deve trasmigrare in molte vite fino a giungere una purificazione, CATARSI, e dopo potrà
tornare alla patria celeste. Di differente con l’orfismo è che questi concepivano la purificazione come una
progressiva apertura mistica alla rivelazione divina attraverso pratiche iniziatiche. Il processo purificatorio
per i pitagorici era attraverso il sapere (matematica, astronomia, musica).
ALCMEONE
Parla delle differenze tra l’uomo e la divinità. “Delle cose invisibile e delle cose visibili soltanto gli dei hanno
conoscenza certa: gli uomini possono solo congetturare”. La conoscenza degli dei è rappresentata dalla
luce. Nella condizione divina la conoscenza è in stato d chiarezza e scompare la distinzione tra le cose
visibili e quelle invisibili. Nella condizione umana la conoscenza è passaggio da ciò che è visibile a ciò che
non lo è. Comunque l’uomo non ha solo la sensazione come gli animali, ma è capace di unificare le varie
informazioni provenienti dai sensi. Il congetturare umano consiste solo in inferenze a partire da cose visibili
aggiunte come segni di ciò che non può essere percepito direttamente dai sensi.
SENOFANE
Nacque in Occidente ad opera di Senofane che proveniva dalla Ionia.
Contro i poeti, Omero e Esiodo, che antropomorfizzavano gli dei (attribuendogli quindi anche azioni
riprovevoli). Questo perché gli uomini li rappresentavano come loro, lo stesso che farebbero gli animali: se
potessero rappresentare i propri dei, li farebbero con le loro sembianze.
Teologia sugli dei di Senofane, ovvero il discorso sulla divinità: non erano affatto simili agli uomini, né per
aspetto, né per intelligenza. Inoltre la divinità esercita per intero le funzioni, “tutto intero vede, tutto intero
pensa, tutto intero ode”, che nell’uomo sono associate a determinati organi. Il sapere dell’uomo è limitato
al mero opinare e non possono contare su un’illuminazione divina. Il sapere si acquisisce con il tempo.
PARMENIDE
Maggior rappresentante della scuola eleatica. 540 ac.
Scrisse un poema in versi “Sulla Natura” in cui lui è il protagonista.
Varie sezioni:
- PROEMIO: testo narrativo
- METODOLOGIA: tre vie della conoscenza
- ONTOLOGIA: descrive le caratteristiche dell’essere
- ILLUSIONE DEI MORTALI: varie cosmogonie
La sua filosofia inizia con un esame delle possibilità del pensiero e del linguaggio dell’uomo.
Proemio: l’autore narra di essere stato portato su un cocchio tirato da sagge cavalle e guidato dalle figlie
del sole al cospetto di una dea, Dike (=giustizia), che gli ha fatto una duplice rivelazione:
1) L’animo inconcusso della ben rotonda verità, il sentiero del giorno, come stanno realmente le cose.
2) Le opinione dei mortali, il sentiero della notte, il modo in cui gli uomini credono che stiano le cose.
Ritiene necessario conoscerle entrambe
via della verità: dice che è e che non è possibile che non sia e questo è il sentiero di cui si deve essere
persuasi poiché conforme alla verità. VIA DELL’ESSERE
Tiene distinti essere e non essere
via dell’opinione: dice che non è e che è necessario che non sia, è un sentiero impercorribile perché il
non essere non si può pensare, né esprimere. VIA DEL NON ESSERE
Mischia essere e non essere
Solo la prima è vera e conduce alla verità, la seconda conduce all’errore. Infatti ogni nostro giudizio è un
dire che ciò su cui si giudica “è”. Vuol dire che qualsiasi cosa per essere pensata, deve essere. Il pensiero
pensa necessariamente ciò che è (to eon), mai pensa il non essere (to me eon). Solo ciò che è può essere
espresso con il linguaggio. In modo più compito rispetto ad Eraclito, il discorso parmenideo è intorno
all’essere. Alle contrapposizioni tra essere e non essere fa corrispondere quella tra pensieri e sensi. I sensi
infatti si fermano alla percezione di ciò che appare, ma queste mescolano ciò che è e quello che non è. Il
pensiero invece è solo intorno a ciò che è.
GNOSEOLOGIA: l’essere non può essersi generato e non può mai perire perché sarebbe venire e tornare dal
non essere e ciò è impossibile perché il non essere non è. Tutto ciò che è, è eterno. Alla contrapposizione
tra essere e non essere, contrappone PENSIERO e SENSI. Quest’ultimi si fermano alla percezione di ciò che
appare, ma le apparenze mescolano essere e non perché sono prima in un modo e poi in un altro.
L’essere è conoscibile attraverso il pensiero ed esprimibile attraverso il linguaggio. La via dell’errore
afferma l’esistenza del nulla. Identità tra essere e pensiero.
METODOLOGIA: l’avvio è dato dalla disgiunzione è O NON è  rispetto a ciò non si può dire o pensare una
terza cosa. Non precisa chi sia il soggetto di questo “è”.
1_momento sottolineare il carattere necessario di questa disgiunzione a prescindere dal soggetto a cui si
riferisce. L’oggetto di una ricerca si può solo dire e pensare che è, in quanto disgiunto dal non essere.
2_momentoindica i soggetti dei due verbi Ciò CHE è e Ciò CHE NON è. La via da percorrere è quella del
dire e pensare ciò che è, la seconda non è percorribile perché non è possibile dire e pensare ciò che non è.
3_momentoi comuni mortali imboccano una terza via, mescolando Ciò CHE è E Ciò CHE NON è.
Esempio: parlano di nascere e morire delle cose, ma questi due concetti sono una mescolanza di è e non è.
Nascere vuol dire essere, ma anche non essere prima di essere e morire vuol dire non essere, ma anche
essere prima di non essere. Il criterio per giudicare scorretto il linguaggio umano non è tramite i sensi,
infatti a loro gli oggetti appaiono che nascono e periscono. L’errore è nel CONTENUTO LOGICO DELLE
PAROLE che usano gli uomini. Essi usano parole dove si trova mescolato essere e non essere.
Solo ciò che è può essere propriamente detto e pensato, e viceversa,
solo ciò che è propriamente pensato e detto a sua volta è.
 Legame tra ESSERE, PENSIERO E LINGUAGGIO.
ONTOLOGIA: parte dalla disgiunzione è e non è per procedere ad individuare le proprietà di ciò che si può
dire e pensare che è. Introduce una procedura essenziale per il ragionamento filosofico e matematico; la
deduzione Ragionamento che partendo da proposizioni ammesse
come premesse ne ricava delle conclusioni.
Mette in opera una deduzione particolare; la dimostrazione per assurdo:
Assume come premessa il contrario di ciò che si vuole dimostrare e ne
deduce conseguenze contraddittorie o errate, da cui risulteranno essere
errate le premesse da cui sono ricavate. Ne risulta che saranno vere le
premesse contrarie a quelle errate
Da ciò ricava le caratteristiche dell’essere:
-INGENERATO/IMPERITURO: se l’essere nascesse dovrebbe nascere dal non essere, ma da ciò che non è,
non può provenire nulla. Se perisse dovrebbe scomparire nel non essere, ma questo non esistel’essere
non nasce e non muore.
-ETERNO PRESENTE: non ha passato né futuro poiché se era non è più, se sarà non è ancora.
-SENZA FINE: è impossibile e assurdo che abbia fine o diventerebbe non essere.
-INTERO/CONTINUO/INDIVISIBILE: l’essere è intero e continuo, se non lo fosse, ogni frattura coinciderebbe
con il vuoto.
-UNICO: se fosse molteplice ogni parte non sarebbe l’altra.
-IMMOBILE: se si muovesse prima di farlo non sarebbe dove dovrebbe essere dopo.
-FINITO E SIMILE A UNA SFERA: se fosse infinito mancherebbe di qualcosa (non essere).
ILLUSIONE DEI MORTALI: agli uomini il mondo appare caratterizzato dal nascere e morire delle cose, del
loro trasformarsi. Ciò presuppone che le cose siano riconducibili a elementi che danno luogo a
combinazioni. Dall’azione luce-fuoco sulle tenebre-terra si genera il mondo della natura.
Primo a sostenere la tesi della sfericità della terra e che la luna riceve la luce dal sole.
ZENONE
Elea, tra il VI e V secolo a.C., discepolo Parmenide e difensore delle sue idee.
Aristotele lo definirà inventore della dialettica (=dimostrare la verità di una tesi mediante la confutazione
della tesi opposta), poiché difese le dottrine del maestro attraverso la dimostrazione per assurdo affiancata
a un processo argomentativo noto come regresso all’infinito.
Utilizzando questi due strumenti costruisce vari argomenti contro la molteplicità e il movimento dell’essere:
paradossi
Proposizioni contrarie all’opinione comune poiché portano
a conclusioni che contrastano il solito pensiero.
I filosofi pluralisti (Empedocle, Anassagora e Democrito) lo accusavano circa la dottrina dell’immutabilità,
unità e divisibilità dell’essere in nome del senso comune che attesta il contrario. Zenone ideò 40 paradossi
le cui conclusioni vanno contro (parà) le opinioni comuni (doxa).
Contro i sostenitori del movimento:
- Paradosso di Achille e la tartaruga: devono raggiungere un traguardo. Achille da vantaggio alla
tartaruga. Nel tempo in cui A si muove per raggiungere T, questa raggiunge B1, nel tempo in cui A
raggiunge B1, T è in B2 e così all’infinito. Il presupposto in tale regresso è che siamo in un rapporto
qualsiasi e il ragionamento procede per somma di grandezze sempre più piccole. La conclusione è
che il movimento in uno spazio continuo è impossibile.
- Paradosso della dicotomia: “se esiste il movimento, è necessario che il mobile percorra infiniti
tratto in un tempo finito; ma ciò è impossibile, quindi il movimento è infinito”. Considera un corpo
che si muove da A a B, prima di giungere in B deve toccare il punto tra A e B, C, prima di questo
però deve transitare nel punto D posto tra A e C e così all’infinito. Dovendo questo corpo toccare
infiniti punti, impiega un tempo infinito per compiere il più piccolo spostamento, il che è assurdo. Il
presupposto è che i corpi si muovano in uno spazio infinitamente divisibile, cioè continuo. La
conclusione è la medesima: in uno spazio continuo il movimento è impossibile.
- Paradosso della Freccia: il dardo è fermo contro ciò che si dice e si pensa contro il senso comune.
Infatti in ciascuno degli istanti in cui è divisibile il tempo impiegato in volo, la freccia occupa uno
spazio determinato, ma ciò che occupa uno spazio è in riposo, quindi la freccia è in riposo in ogni
istante e nella loro totalità. La freccia che si muove quindi è sempre ferma, il che è assurdo questo
argomento è efficace perché non assume che la divisibilità sia finita, piuttosto che infinita: esso vale
in ogni caso. Essenziale anche il fatto che a essere diviso non è solo lo spazio, ma anche il tempo
(analizzato in istanti). Il paradosso deriva dal fatto che a ogni istante corrisponde un luogo e che
non ci possa essere un momento in cui avvenga il passaggio da un punto all’altro.
- Argomento dello stadio: confuta l’ipotesi che il tempo sia divisibile in unità discrete, facendo vedere
che se ciò fosse vero, allora metà del tempo sarebbe uguale a tutto il tempo.
Contro la nozione di molteplicità: mostra che se i molti sono, devono essere di numero finito e infinito. Ciò
è impossibile, o una cosa è finita o infinita. Per evitare tale contraddizione si deve negare l’esistenza del
molteplice e concludere che l’essere è uno.
Zenone usa il regresso fondato sulla divisibilità della grandezza. Estende ciò che vale per l’ambito delle
grandezze geometriche, al dominio della natura.
MELISSO
Si ispira a Parmenide. 480 ac a Samo, tra il VI e V secolo a.C.. Adesione al regime oligarchico. Scrive
un’opesa, Sulla natura e sull’essere sostenendo che l’essere è illimitato nel tempo. L’argomentazione
ricorda quella di Parmenide: l’essere è ingenerato e quindi illimitato, perché se non lo fosse, sarebbe nato
da altro, ma ciò è impossibile, perché al di fuori dell’essere c’è il nulla. Dall’illimitatezza temporale deduce
quella spaziale, poiché ciò che è eternamente uguale a sé non può né crescere né diminuire, ma deve
essere infinito. Problema centrale: infinito.
Aristotele pensa che Melisso abbia smarrito la dimensione logica dell’essere parmenideo, tendendo ad
identificarlo con la natura. Pensa l’essere come una sostanza fisica estesa nello spazio e nel tempo. Inoltre
se pensasse l’essere come Parmenide, dunque limitato, ci dovrebbe essere qualcosa di differente da lui che
lo racchiuderebbe, ma ciò è impossibile essendoci il nulla fuori di lui.
Come Parmenide: l’essere è uno, immobile e immutabile. Contro Parmenide: l’essere è eterno (per
Parmenide l’essere è, per Melisso è, era e sarà). È infinito o sarebbe racchiuso da un altro.
EMPEDOCLE
Operò nel V secolo a.C. in Sicilia (Italia Meridionale). Compose due opere in esametro: Sulla Natura e
Purificazioni. Usa la poesia per presentare se stesso come annunciatore di verità.
L’oggetto principale delle sue riflessioni torna ad essere il mondo fisico, tenendo conto dei divieti linguistici
e logici imposti da Parmenide, perché anche per Empedocle gli uomini parlano erroneamente di nascere e
perire delle cose.
Dopo Parmenide il problema su cui si riflette tratta la molteplicità e l’unità. Per lui il mondo era doxa e non
si spiegava come, se l’essere fosse unico, l’esperienza comune ne dava una pluralità. Zenone e Melisso
portano tutto all’estremo negando la realtà del molteplice e divenire.
Empedocle non le nega, ne da una spiegazione razionale.
Ammette la pluralità. Ogni ente ha varie qualità, allora l’altro differente dall’essere, non è il non essere, ma
è un essere differente.
Tutte le cose derivano dalle radici (zeus, era, edoneo, nesti). Separandosi e unendosi generano le cose (che
non muoiono, ma si trasformano). Le radici sono suscettibili di movimento (vs eleatismo). Il nascere e
perire sono dovuti dall’azione di due principi:
L’amore e l’odio uniscono e dividono gli elementi, che operano sia sulla totalità che sui singoli elementi.
1)LO SFERO: massima unità degli elementi, prevale l’amore.
2)Età DELL’ODIO: separa l’unità. Si costituisce il cosmo.
3)IL CAOS: l’odio ha disgregato lo sfero e il cosmo.
4)Età DELL’AMORE: l’amore ricostituisce l’unità degli elementi. Il cosmo nasce per la seconda volta
convertendosi in sfero.
Elementi passiviradici e combinazioni.
Elementi attivi amore e odio.
Sulla scia del quadro della cosmogonia interpreta le vicende umane per cui gli esseri umani sono il risultato
della disgregazione e aggregazione di queste due forze.
Sulla dottrina delle radici, si fonda la conoscenza sensibile: in ogni organo di senso ci sono le quattro radici
che consentono di percepire l’elemento simile all’esterno conoscenza del simile per mezzo del simile.
Nelle Purificazioni, ispirandosi al pitagorismo e all’orfismo, parla di un dualismo, tra il mondo beato, la cui
sede è il cielo, e la terra, descritta come una caverna luogo di sofferenza ed espiazione.
Il tempo svolge una funzione centrale nella cosmologia empedoclea. Vuole rintracciare ciò che permane
costante al di sotto della vicenda ciclica delle aggregazioni e disgregazioni, ciò si integra perfettamente con
la teoria della trasmigrazione delle anime, anche se lui non parla propriamente di anima, ma di un demone
che spinto dall’odio commette colpe ed è costretto a compiere un lungo viaggio che porta il demone a
trasmigrare in vari corpi sulla terra, costretto ad abbandonare il cielo. Se durante questo ciclo l’anima ha
condotto una vita buona potrà tornare nella condizione divina. Indica le vie di purificazione e guarigione.
Empedocle rappresenta il culmine di una tradizione di sapienti che si presentano dotati di un sapere
eccezionale. Nel V secolo a.C. queste figure diminuiscono dando spazio a nuovi pensatori.
V SECOLO AC SEGNA L’ARRIVO DI NUOVI PENSATORI nel VI secolo si era insistito sull’unità dell’essere,
nel V c’è la consapevolezza della molteplicità e diversità. Relatività dei nomoi. Oriente prevale la
monarchia. Nel mondo greco sopravvive la tirannide. Atene sconfigge i persiani dando luogo a un’egemonia
sul mondo greco e diviene democratica. Grande risveglio culturale con Pericle. Atene diviene sede della
cultura filosofica.
ANASSAGORA
Abbandonò la Ionia per stabilirsi ad Atene, legandosi in amicizia con Pericle. Nel 438, l’indovino Diotipe fece
approvare in Atene un decreto in base al quale erano processabili coloro che insegnavano cose empie sui
fenomeni celesti. Anassagora venne così accusato per aver sostenuto che il sole è una pietra incandescente
e la luna è un corpo terroso. Accettando tali tesi i fenomeni celesti smettevano di essere considerati come
segni inviati dalle divinità. A quel tempo ormai il libro non rappresentava più il deposito di un sapere
eccezionale ed era molto fruibile tra le persone, quindi il poema Sulla natura di Anassagora con le teorie
sopra esposte girava molto facilmente. Così fu costretto ad abbandonare Atene e morì nella Ionia nel 428.
Ha due obbiettivi: uno è quello di costituire una nuova immagine della natura, in cui la molteplicità e il
divenire non risultano contradditori o illusori, e per secondo mostrare come l’intelletto umano sia in grado
di cogliere le leggi di trasformazione della natura. Non trova, come i milesi, la soluzione in un unico
principio, l’archè, o a un sistema finito di elementi, come le radici empedoclee.
Affronta il problema di come sia costituito il mondo dove viviamo. Lui lo vede come un aggregato indefinito
di cose, ciascuna della quali è somma di molteplici qualità.
La matrice originaria è una totalità indistinta di tutti i materiali da cui derivano le cose chiamate semi.
Sono costanti, non nascono, né muoiono. Ogni cosa è la mescolanza di vari semi, capisce ciò vedendo la
crescita mediante la nutrizione degli esseri viventi dal fatto visibile della crescita inferisce ciò che non è
visibile.
La generazione e il divenire non sono un passaggio dal non essere all’essere, ma lo sviluppo di qualcosa da
un seme già esistente.
In ogni mescolanza prevale un determinato tipo di seme, in base a tale preponderanza percepisco una cosa
specifica. Semi dello stesso stato seme non esistono “del piccolo non c’è il minimo, ma sempre un più
piccolo, ma anche del più grande ce ne è uno più grande: e per quantità è uguale al più piccolo e in rapporto
a essa ogni cosa è grande e piccola.” Aristotele chiamerà i semi omeomerie (entità che hanno le proprietà
di avere tutte le parti simili al tutto).
L’universo era costituito dalla mescolanza di tutti i semi. Da qui si sono generati più mondi (il mondo non è
più unicum, segno pluralità). Introduce un movimento per far dipendere questa totalità
NOUS
(intelletto cosmico)
Storia rettilinea per Anassogora
Sostanza sottile, agente d’impulso di tale
(separazione definitiva contro
movimento. Da questo vortice si è prodotta
quella ciclica di Empedocle).
una separazione che diede luogo alle
singole cose.
Per cui al mondo relativo delle cose, contrappone il nous, che è il principio divino ordinatore, che ha dato
impulso a tutto. Conosce ogni cosa, la governa.
Data la complessità del mondo, il saggio non può far altro che dedicarsi a un’incessabile ricerca che si
realizza attraverso un percorso, infatti il sapere umano è acquisito gradualmente, non è un possesso
istantaneo, la sequenza in progressione è:
1) ESPERIENZA
La sensazione avviene per contrari; da questa unità all’osservazione ripetuta
2) MEMORIA
dove consiste l’esperienza, si passa alla conservazione di questa nella
3) SAPIENZA
memoria. Su questa base si può costruire il sapere. Infine la tecnica
4) TECNICA
collocandosi al di sopra di essi.
La conoscenza sensibile la spiegava con la contrarietà degli organi di senso. Il simile conosce il dissimile.
SEGUACI DI ANASSAGORA
DIOGENE DI APOLLONIA: archè, aria, ciò deriva dalla funzione vitale della respirazione. Identifica l’aria con
l’intelligenza cosmica di Anassagora. L’aria agisce in modo finalistico (mette le cose nel modo migliore
possibile). Sostiene l’esistenza di infiniti mondi che nascono e poi si riformano. L’aria non è uguale ovunque.
Dice che il mondo si distingue in zone climatiche differenziate da una certa qualità dell’aria, cos’ come gli
esseri viventi si differenziano in base a una diversa struttura anatomica più o meno favorevole all’esercizio
della respirazione. Poiché l’intelligenza dipende dal tipo d’aria, si ha una differenziazione tra gli uomini
anche nel tipo di intelligenza secondo i diversi climi in cui vivono.
ARCHELAO: riprende le tesi di Anassagora, dell’intelletto che domina le cose, ma le concepì mescolate, non
separate.
ATOMISTI
Ultima concezione influenzata dall’eleatismo. Muove dall’accettazione dell’immutabilità e indivisibilità
dell’essere. Cerca, però, come Anassagora ed Empedocle, di salvare i fenomeni relativi al mutamento e alla
molteplicità (di fatti io vedo che le cose divengono e sono molte). A tale scopo modifica le basi del sistema
parmenideo: moltiplica gli enti, chiamati atomi e ammettono il non essere, lo spazio vuoto, entro il quale si
può verificare il movimento. L’atomismo di propone di spiegare il movimento delle cose senza ridurlo a
un’apparenza illusoria. Affinchè l’essere si muova, c’è bisogno di altro rispetto da esso, il non essere,
rispetto al quale compie il movimento. Ammettono che anche il non essere sia qualcosa, il vuoto (=spazio
infinito dentro il qual sono contenuti gli enti). L’atomismo spiega anche la molteplicità delle cose: per
essere possibile, ogni ente deve essere come l’uno (immutabile e semplice). L’ente è atomos (sostantivo
composto dalla particella a che ha funzione privativa e verbo temno che vuol dire dividere), cioè
l’indivisibile, che non si può tagliare.
CARATTERISTICHE ATOMO: per Leucippo e Democrito, sono eterni, ingenerati e indistruttibili. Sono privi di
qualità sensibili (queste sono solo apparenze). Le uniche qualità sono di ordine geometrico e quantitativo:
forma, grandezza e posizione.
LEUCIPPO: V secolo ac a Mileto. Scolaro di Zenone ed ebbe come allievo Democrito. Sostenne che “nulla
avviene invano, ma tutto per una ragione e necessariamente”
DEMOCRITO
Abdera 470 ac. Autore della teoria degli atomi: pone alle basi il pieno (essere) composto di atomi e il vuoto
(non essere). Gli atomi sono particelle indivisibili, ingenerabili e incorruttibili che si muovono nel vuoto.
Influenza eleatica per la distinzione tra essere e non essere. Contro loro è la molteplicità e il movimento nel
vuoto (non essere).
Gli atomi differiscono per:
forma: A differisce da N
posizione all’interno degli aggregato di atomi: N è differenza da Z, ma se si ruota N di novanta gradi si ha Z
ordine dentro l’aggregato: in tale senso AN è diverso da NA
Come si passa da queste particelle indivisibili e invisibile a oggetti che si possono percepire con gli organi di
senso? La prima condizione è che sono soggetti di movimento in ogni direzione, quindi si possono
incontrare e se compatibili, aggregarsi. Le aggregazioni non avvengono grazie all’intervento esterno di un
intelletto come con Anassagora, ma il modello di spiegazione è detto meccanicismo. Un’altra condizione
necessaria per il movimento, è il vuoto.
L’anima per lui è prerogativa dell’essere umano e la vita è contrassegnata dal calore. Gli atomi che formano
l’anima sono di forma sferica, suscettibile di grande mobilità che genera calore. La respirazione, in
quest’ottica serve per reintegrare gli atomi che si perdono per la loro incessante mobilità.
Dottrina delle sensazioni: si hanno mediante l’incontro tra gli organi di senso e immagini (eidola) che i corpi
emanano. Le qualità sensibili sono soggettive, mentre quelle quantitative sono oggettive. Distingue due tipi
di conoscenza: sensibile: privi di verità, ingannevole. Razionale: pensiero, unica dotata di verità.
Dottrina etica: bisogna aspirare alla tranquillità dell’animo quindi bisogna moderare le passioni esercitando
la virtù della temperanza. Non esiste un luogo privilegiato dove esercitare tale attività. Si ha il concetto di
cosmopolitismo.
AUTONOMIA DELLE SCIENZE E SVILUPPO DELLA MEDICINA
Il sapere universale di Democrito era un tentativo di tenere congiunti ambiti di conoscenze che nel V secolo
cominciavano a costituirsi come scienze autonome, caratterizzate da presupposti non derivabili da altri
campi del sapere. Anche la geometria si andava costituendo come un territorio unitario e ordinato.
La medicina si sviluppa tra il sesto e quinto secolo, passò da una fase mitica con la figura del Dio Asceplio
dove le malattie erano qualcosa di soprannaturale. Dopo come fenomeni naturali. ALCMENEONE applicò
alla salute il concetto di armonia (=malattia era la sua rottura). Alla fine del quinto secolo la medicina si
staccò dalla filosofia, sviluppandosi come techne (arte) con IPPOCRATEosserva i sintomi e fa
l’anamne(richiamo alla memoria ciò che può essere collegato con la sua malattia). Nel corpo ci sono
quattro umori (sangue, flemma, bile gialla e nera).
I SOFISTI
La controfigura della filosofia nel V secolo è rappresentato dalla sofistica. Per capire come sorge si
guardano alle condizioni storico politiche del quinto secolo. Atene divenne la città più potente, regime
democratico, con Pericle massimo splendore fino alla perdita con Sparta. Nacque la professione di
insegnanti di retorica, non ateniesi, i sofisti, a pagamento. Tutto si compendia nell’aretè, capacità di
eccellere nella condotta pubblica. Il termine sofista significa letteralmente COLUI CHE FA PROFESSIONE DEL
PROPRIO SAPERE. Il sapere che intendono loro è quello che consente di prendere parte con successo alla
vita pubblica della città, d’intervenire nelle discussioni politiche. Tutto si compendia nel termine aretè
(virtù).
Il mondo dei sofisti è quello della polis, quindi delle tecniche, delle professioni e del dibattito politico. La
loro riflessione filosofica si concentra sull’uomo visto nella sua dimensione di cittadino, lasciando stare la
riflessione sulla physis.
Antichi: Protagora, Gorgia, Prodico, Ippia
Ci sono due generazioni di sofisti:
Seconda generazione: Antifonte, Crizia, Polo d’Agrigento
La retorica era divisa in cinque operazioni:
1) INVENTIO: ricerca e catalogazione argomenti atti a persuadere.
2) DISPOSITIO: organizzazione nella sequenza del discorso.
3) ELOCUTIO: riguarda il mondo in cui il discorso si presenta dal punto di vista formale.
4) ACTIO: parte gestuale e mimica.
5) MEMORIA: riferimenti che in assenza di supporto scritto, il retore deve avere dentro sé per
esporre gli argomenti in sequenza.
I sofisti non erano accettati, ad esempio Platone li definiva “procacciatori giovani ricchi di denaro”, perché
avevano un mero sapere enciclopedico, sapevano cioè molte cose, ma non avevano verità assolute.
Esprimevano teorie spregiudicate.
PROTAGORA
Nato nel 480 a.C. ad Abdera.
Al centro della sua riflessione c’è il tema della VERITà. La novità della sua filosofia è il rapporto tra verità ed
esperienza. La nozione di verità perde il significato sacrale posseduto prima e il terreno su cui si cerca è
quello umano, della città. La verità non è più intesa come sapere assoluto.
Protagora infatti è sostenitore della tesi “L’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono,
di quelle che non sono in quanto non sono” ovvero ciascuno è misura di ciò che egli percepisce con i sensi
(è vero per lui). Per ognuno sono vere le percezioni che ha delle cose. Tutte le opinioni sono vere, anche
quelle contraddittorie e su qualsiasi argomento si possono fare discorsi opposti (antilogie) e solo l’abilità
dialettica rende uno più debole essendo entrambi veri. Il contenuto dei discorsi non vale più. Lui non vuole
insegnare solo la retorica (l’arte di fare discorsi lunghi), ma anche la dialettica (discutere in dialogo), ma la
sua dialettica non avendo elementi validi, genera nell’eristica (=pura contesa verbale).
Dalla tesi secondo cui per ognuno è vero ciò che percepisce, ne consegue che l’uomo non può conoscere
tutto, ma solo quegli oggetti che cadono entro l’orizzonte della sua esperienza e della sua azione. Si spezza
così il legame con gli dei, poiché l’uomo non ha esperienza del divino, in quanto non rientra nell’ordine
delle sue possibilità conoscitive, l’uomo non può dire nulla sull’esistenza e le caratteristiche del divino. Dice
infatti “ Riguardo agli dei, non ho la possibilità di accettare né che sono, né che non sono, opponendosi a ciò
molte cose: l’oscurità dell’argomento e la brevità della vita umana”. Non posso dire di loro né se esistono,
né di che natura sono. Per questo venne processato.
Non potendo più disporre degli dei come termine di differenziazione per caratterizzare l’uomo, individua
questa differenziazione rispetto agli animali. Riconoscere l’inferiorità umana rispetto a quella animale nelle
doti naturali, ma ravvisa nella tecnica lo strumento che ha consentito all’uomo di stravolgere questa
situazione d’inferiorità iniziale. Al di sopra delle tecniche agricole, colloca quelle politiche, intesa come
giustizia e rispetto reciproco, che è ciò che va insegnato e trasmesso. Ma se per ciascuno è vero ciò che
appare, come fa il sofista a presentarsi come sapiente rispetto agli altri? Nell’autodifesa che Platone fa
pronunciare a Protagora nel Teeteto, il sofista paragona il suo compito a quello dell’agricoltore e del
medico, che trasformano una condizione negativa (malattia) in una positiva (salute). È certo che l’opinione
del malato a cui il miele appare amaro è vera, così quello che sta bene, ma è indubitabile che la condizione
di salute è migliore della malattia. Protagora ritiene possibile uno spazio di accordo tra gli individui per ciò
che riguarda ciò che è utile e dannoso. Qui il sofista può innestare la sua opera, insegnando l’eubulìa, la
capacità di prendere buone decisioni in ambito privato e pubblico.
Lo strumento fondamentale del sofista diviene allora il LINGUAGGIO. Sostiene che “intorno a ogni oggetto
ci sono due ragionamenti contrapposti” . Si ha quindi un divario tra logos e realtà, che diventa inafferrabile.
Di fronte tale crisi, si cerca una soluzione nella tesi secondo cui l’uomo è misura di tutte le cose, cioè può
giudicare la validità in base al grado di universalità, ma no la verità.
Il suo relativismo è comunque moderato, cioè anche se non si ha la verità, non significa che un discorso vale
l’altro e il modo per scegliere quello migliore, è quello più utile alla maggioranza, quello più universale.
Opere: Verità /Antilogie (cioè discorsi contraddittori)/ Arte Eristica (arte di contendere le parole)/ Della
lotta/ Delle scienze matematiche
GORGIA
485 ac a Leontini, Sicilia. Scolaro di Empedocle. Scrive due trattati “Sulla natura” e “Sul non essere” era una
ripresa e distruzione della concezione eleatica della natura come essere. Affronta, in una prospettiva
differente da Protagora, il rapporto tra verità e linguaggio.
Nell’opera sul non essere si ha una ripresa e una distruzione intorno alla teoria eleatica della natura come
essere.
Utilizzando il metodo confutatorio di Zenone dimostra tre tesi:
1) L’essere non è, nulla esiste, perché se l’essere fosse, sarebbe uno e molteplice, generato ed eterno,
ed altri predicati contrapposti. Inoltre se l’essere è essere, anche il non essere è non essere,
dunque non è per nulla meno dell’essere, per cui non c’è nessuna differenza tra essere e non
essere.
2) Anche se l’essere esistesse non sarebbe pensabile, perché se tutto ciò che esistesse fosse
pensabile, non esisterebbe il falso e tutto ciò che si pensa sarebbe vero.
3) Se l’essere fosse pensabile, non potrebbe essere comunicato, perché le parole sono diverse dalle
cose.
Ciascuna di queste affermazioni nega un punto saldo di Parmenide: nega l’essere come riferimento del
discorso, nega la capacità della ragione di conoscere la realtà e proclama che la parola non può comunicare
nulla. Nega l’identità tra realtà, verità, linguaggio. Non esiste il contenuto del pensiero. Nega soprattutto la
tesi parmenidea secondo cui le parole s’identificano con le cose, tanto che nominare una cosa significava
affermarne l’esistenza. Per Gorgia il linguaggio non è legato alle cose.
Ma allora qual è la funzione del linguaggio? La sfera d’azione del linguaggio non consiste nell’enunciazione
di verità, ma nella persuasione. Il logos ha la capacità di suscitare qualsivoglia sentimento in un animo e di
farlo andare in qualsivoglia direzione. Il retore è superiore a qualsiasi competente, grazie a due condizioni.
La prima è rendersi conto della particolare condizione psicologica nella quale si trovano gli ascoltatori e
valutare il momento opportuno (kairòs) per parlare. La seconda è di usare tipi diversi di discorso in base alle
circostanze.
La persuasione per lui è possibile in quanto gli uomini si muovono nell’ignoranza. Il fenomeno della verità si
identifica con quello della credenza. Ne consegue che sarà vero il discorso efficace.
Elimina la specularità tra essere, pensiero e discorso per mezzo della dialettica, assumendo come ipotesi le
tesi da distruggere e ricavandone conseguenze contraddittorie. Rimane il logos come costituente dell’unica
realtà. Tale concezione giustifica la retorica come unica filosofia, perché l’unica verità è quella prodotta dai
discorsi lunghi.
Praticava due generi di oratoria:
DISCORSO POLITICO: come con L’orazione Pitica e Orazione olimpica
- DISCORSO EPIDITTICO: come l’elogio di Elena, discorso illustrativo nel senso dell’elogio e del
biasimo. Qui Gorgia sostiene che Elena non fu colpevole per il fatto di aver abbandonato il marito
ed essersi recata a Troia, in quanto soggiogata dal logos, cioè con il discorso con cui Paride la
persuase.
Il suo relativismo, rispetto a quello protagoreo, è più radicale, non si hanno criteri per giudicare un discorso
migliore, prevale l’oratore più abile con la forza.
Opere: Elogio di Elena/ Difesa di Palamede/ Arte oratoria/ Epitafio.
SOFISTI MINORI
Oltre ai due maggiori sofisti, a loro contemporanei ci sono altri sofisti che contribuirono al movimento. Tra
la seconda metà del V secolo a.C. e gli inizi del VI ci furono riflessioni che diedero contributi alla discussione
etica e politica.
Attenzione alla pluralità de nomos, cioè alle tradizioni, gli usi e le leggi, che accentuano il carattere
convenzionale, cioè sono istituite dagli uomini e quindi non valgono universalmente.
Al carattere artificiale e arbitrario delle leggi si contrappone quello universale della natura  ciò che
sussiste sul piano della physis vale universalmente per tutti gli uomini.
La physis è il modo d’essere originario delle cose, senza l’intervento umano.
La visione di Protagora che colloca il rapporto natura/legge nel quadro offerto dalla polis democratica, non
è più sostenibile da quando questa vede deteriorare gli equilibri politici al suo interno. Con questa nuova
generazione di sofisti allora prende corpo la contrapposizione tra nomos e physis.
PRODICO DI CEO: allievo di Protagora, insegna retorica ad Atene. Dedito allo studio delle parole e all’arte di
distinguere il significato di parole simili. Si sviluppa la semantica.
IPPIA DI ELIDE: insiste sull’importanza della cultura enciclopedica. Infatti si presenta come possessore di un
sapere universale, comprendente ogni forma di sapere tecnico. Alla base di questo sapere universale c’è la
mnemotecnica, l’arte d’immagazzinare nella memoria. Il sapere universale consente di raggiungere una
completa autosufficienza nei confronti degli altri uomini. Ne consegue una svalutazione delle leggi rispetto
alla natura. Gli uomini secondo natura sono tutti uguali, secondo legge no. Il sapiente per lui non dipende
dalla comunità (cosmopolitico), può vivere ovunque.
ANTIFONTE: ateniese, oratore e sofista, indovino e autore di un procedimento per ottenere la quadratura
del cerchio mediante l’identificazione con i poligoni iscritti. Contrappose la Natura (materia che si genera da
se) e l’Arte (enti artificiali incapaci di auto generarsi). Ciò che è giusto per la legge è contrario alla natura.
Le norme dettate dalle leggi sono solo il frutto di un accordo tra gli uomini, tant’è vero che se un individuo
ne infrange qualcuna e non viene scoperto, non subisce nessun danno. Se viola le leggi della natura viene
automaticamente danneggiato. Per lui molte leggi limitano quanto dettato dalla natura.
CRIZIA: uno dei 30 tiranni. Tendenza oligarchica. Dice che gli dei sono stati inventati da uno astuto per far
obbedire alle leggi anche quando non erano visti. In una tragedia attribuita a lui Sisifo, dice che la religione
è l’invenzione di un individuo abile, che introduce il timore per gli dei per dare ulteriore forza alle leggi. La
religione è così ridotta alla sfera del nomos e smascherata come strumento di potere.
Alcuni sofisti si appellano alla natura per scopi antiegualitari. Come nel Gorgia di Platone è presente
CALLICLE (non si sa se sia realmente esistito o mera invenzione letteraria platonica), secondo cui la natura
fa gli uomini disuguali, alcuni forti e altri deboli, per cui è diritto di natura che i più forti dominano sui più
deboli. Le leggi in quest’ottica sono gli strumenti di difesa dei più deboli, infatti sono le leggi ha stabilire che
i cittadini sono uguali tra loro e che ogni ingiustizia sarà punita.
SOCRATE
Contemporaneo dei sofisti, nasce ad Atene nel 469 a.C. Educatore dei giovani ateniesi che si preparavano
alla vita politica.
Figlio di uno scultore e di una levatrice. Sposò Santippe da cui ebbe tre figli. Insoddisfatto dalla filosofia
della natura si dedicò a problemi etici e politici. Fece parte dei pritani (gruppo del consiglio che doveva
decidere quali problemi sottoporre all’assemblea). Nel 403 venne restaurata la democrazia che vide Socrate
come un avversario al nuovo ordine. Nel 399 da Meleto atto d’accusa contro Socrate: “Socrate è colpevole
di essersi rifiutato di riconoscere gli dei riconosciuti dalla città e di aver introdotto altre divinità. Inoltre è
colpevole di aver corrotto i giovani. Si richiede la pena di morte”. Fu costretto a bere la cicuta e morì in
carcere.
Secondo un aneddoto riportato da Platone, Cherofonte interrogò l’oracolo di Delfi che disse “degli uomini
tutti Socrate è il più sapiente”. Socrate non credendosi sapiente, ma sapendo che l’oracolo di Delfi non può
mentire, interrogò quelli che ritenevano saggi, ma non pervenne ad alcuna risposta soddisfacente.
Interrogandoli capì che l’oracolo intendeva che la sapienza sta nel sapere di non sapere. Infatti chi pensa di
sapere si ferma nella ricerca, ma chi sa di non sapere, ricerca.
La vita di Socrate sarà dedita alla missione di rendere gli uomini consapevoli della loro ignoranza, in modo
da seguire il motto delfico “conosci te stesso”.
Il logos per lui è il mezzo per arrivare alla verità (vs i sofisti per cui era un mezzo di persuasione).
A quarant’anni ebbe una crisi da ciò uscì critico nei confronti delle tradizioni ateniesi e spostando i suoi
interessi dalla natura all’uomo.
Socrate non scrisse nulla, ciò che si sa proviene da vie indirette. Le principali fonti sono il commediografo
Aristofane, lo storico Senofonte e del discepolo Platone.
Nelle Nuvole di Aristofane Socrate è dipinto con i tratti dei tradizionali indagatori dei fenomeni naturali, sia
dei sofisti e dei retori, maestri nell’uso persuasivo del linguaggio, ma a differenza loro, lui era ateniese. In
questa commedia è presentato al centro di una scuola (ironicamente nominata il pensatoio) dove si arriva
alla conclusiome, tramite varie indagini fisiche, geometriche, che le vecchie divinità non esistono e ce ne
sono di nuove, come le nuvole. Insegna anche a discutere tesi contrarie tra loto, il cui risultato porta che il
figlio si sente autorizzato a dimostrare al padre, che è diritto bastonare i padri. Questa nuova educazione
sconvolgeva i normali rapporti di autorità.
Più che ricostruzioni obiettive, si tratta di interpretazioni scaturite dall’incontro con Socrate.
Lo storico Senofonte scrisse varie opere, quattro delle quali vedono Socrate come protagonista. Due hanno
la forma di dialogo (Economico, concernente il problema dell’amministrazione della casa, è il Simposio).
L’Apologia di Socrate sono una serie di discorsi che Socrate fa a vari destinatari. Prima espone le ragione
per cui non ritiene necessario difendersi dalle accuse, poi si rivolge ai giudici e a Meleto per dimostrare che
le accuse sono infondate e dopo la condanna, consola i suoi discepoli. L’altra opera è i Memorabili di
Socrate, andamento diaristico, dove Senofonte riferisce ciò che ha visto e sentito riguardo Socrate.
Il filosofo ateniese rappresentato da Senofonte è un cittadino ligio alla tradizione, il saggio che mira al bene,
ossequioso verso la città e gli dei.
Chi più di tutti scrisse di Socrate fu Platone, che nel Simposio fa affermare ad Alcibiade che Socrate non
assomiglia a nessuno degli uomini del passato e del presente. Nel Critone lo rappresenta fedele ad Atene.
LA QUESTIONE SOCRATICA: non scrisse nulla e il suo pensiero è ricostruito sulla base di alcune
testimonianze, Aristofane, Senofonte, Platone ed Aristotele. La questione socratica nasce con
l’interrogativo di quale sia la testimonianza più attendibile. Nei dialoghi giovanili di Platone troviamo la
dottrina del maestro.
LA VIRTù COME SCIENZA: con i primi filosofi l’indagine sulla natura comprendeva una sfera morale, con i
sofisti l’attenzione era sulla vita in città con arti per divenire buoni politici, con Socrate ci si occupa di
diventare valenti cittadini. Si interessò della vita dell’uomo e di ciò che lo rendeva felice (si vede nei dialoghi
platonici). Nell’Alcibiade, Socrate fa notare che per essere un buon politico bisogna essere un uomo di
valore, cioè che faccia il bene di se stesso realizzando la propria perfezione. Per fare ciò bisogna conoscere
se stessi (come era scritto sul tempio di Apollo a Delfi). Ci si riferisce all’anima, non al corpo (inteso come
strumento a cui si serve per vivere). Il bene dell’anima è la virtù che può condurci alla felicità. Tema
sviluppato nell’Eutidemo, dove dice che i beni esteriori non servono se non se ne fa il giusto uso (ovvero se
non si ha la virtù).
Perseguendo questi obiettivi il filosofo può anche affrontare senza timori la morte. Nell’apologia si presenta
infatti la morte come totale cessazione o trasferimento dell’anima in un altro luogo.
In greco virtù è aretè che ha un significato morale, ma anche eccellenza, valore. I sofisti si dedicavano alla
virtù di un uomo particolare quale il politico o l’oratore, Socrate si preoccupa della virtù dell’uomo in
quanto tale. Identifica la virtù con la felicità (eudaimonìa); l’uomo che realizza se stesso non può che
provare felicità.
 dottrina per cui bene=felicità dell’uomo.
 altra dottrina per cui ogni virtù consiste nella scienza (sapere); non si può realizzare la virtù se non si sa
in cosa consiste (non si può essere coraggiosi se non si sa cosa sia il coraggio).
Tutte le virtù si
riconducono alla conoscenza del bene.
La virtù è la scienza e il vizio l’ignoranza.--> chi conosce il bene agirà in modo virtuoso, chi non lo conosce
agirà male, ne consegue che nessuno fa il male volontariamente.
Per lui la virtù è insegnabile essendo conoscenza, per questo educa i giovani.
È il sapere che permette di effettuare un corretto calcolo degli stessi piaceri. Non ha senso distinguere le
varie virtù, perché è solo uno, il sapere cosa è bene e male. Da ciò scaturisce che nessuno si va del male
involontariamente. Il problema è che l’uomo può scambiare ciò che è bene e ciò che è male. Si conferma la
necessità di liberarsi dalle false credenze. Bisogna prendersi cura della propria anima. Da qui scaturisce che
come il corpo anche l’anima ha una salute (giustizia, sintesi di tutte le virtù) e una malattia (ingiustizia)”è
meglio subire un’ingiustizia che commetterla” in quanto chi la commette rovina la propria anima. Non c’è
contrasto tra Utile e Bene, poiché il vero utile per l’uomo è il suo bene, un utile che non fosse virtuoso
sarebbe malvagio.
METODO SOCRATICO: esso presuppone il dialogo (per sapere che cos’è è necessario domandarlo a
qualcuno). La ricerca coinvolge se stesso e il suo interlocutore che deve essere qualcuno che presume di
conoscere la risposta. Si contrappone all’eristica che era rivolta a far prevalere una tesi
indipendentemente dalla verità.
La struttura della dialettica si costituisce su due momenti: quello costitutivo-positivo della Maieutica, la
quale conduce il dialogante ad acquisire coscienza della verità che porta con sé senza saperlo. Nell’ambito
della dialettica acquista importanza la differenza tra la macrologia (=discorsi lunghi) usato nella retorica
sofistica e la brachilogia (=discorsi brevi) propria di Socrate. Il primo si fonda sulle antilogie, il secondo
mette sempre in dubbio.
Paragona se stesso ad una levatrice che non partorisce essa stessa, ma aiuta gli altri a partorire, così lui
aiuta gli altri a scoprire la verità, ma non la trova lui stesso. Ad esempio nel Menone aiuta uno schiavo a
scoprire solo il teorema di Pitagora. Così come la madre faceva la levatrice, quindi praticava l’arte di far
partorire i corpi, così Socrate applica l’arte di far partorire le anime (la consapevolezza). Socrate non ha
nulla da insegnare, perché la verità è in loro.
Il secondo momento negativo è la Confutazione, cioè la dimostrazione della verità o falsità delle risposte
date dall’interlocutore. Questo può rifiutarla, oppure accettarla e liberarsi dalle false credenze. La
situazione che risulta dalla confutazione è detta aporia (=situazione senza vie d’uscite).
L’educazione così intesa da Socrate non è un’introduzione di nozioni (come i sofisti), ma è un processo
stimolativo teso a tirar soli dalla propria mente ciò che è virtualmente contenuto.
Socrate finge di credere che essi lo sappiano esercitando su di loro l’ironia, finta ammirazione per spingerli
anche a continuare. Il dialogo è un vero e proprio esame (pèira) dove Socrate mette alla prova
l’interlocutore.
Per acquisire una virtù, bisogna conoscerla, quindi chiedersi che cos’è (ti èsti). Questa domanda non mira
alla conoscenza del particolare (come il caso singolo di giustizia), ma la virtù in generale (ciò che accomuna
tutte le azioni giuste differenziandole da quelle diverse). Tale carattere verrà denominato da Platone idea e
da Aristotele universale, per cui Socrate ha posto il problema dell’universale.
Sente la necessità di passare dalla conoscenza sensibile a quella razionale.
Aristotele dirà che è un procedimento induttivo, cioè da casi particolari giunge a quello universale.
Al che cos’è una virtù risponde con un caso specifico, per cui Socrate insoddisfatto demolisce attraverso la
confutazione (èlenchos), deducendo cioè conseguenze autocontraddittorie per far vedere come sia
necessaria l’universalità e come il loro sapere sia inconsistente. Utilizza la dialettica. In un primo momento
accetta la risposta, poi dice di sentire un demone dentro di sé che gli fa sentire l’insufficienza della risposta
data (accusa di mettere nuove divinità). Questo demone compare come una voce divina dentro di sé che lo
spinge a riesaminare la cosa, lo spinge a rivolgersi alla vera virtù.
Altro elemento del suo metodo è dichiararsi ignorante “Io so di non sapere”. Comunque sa una cosa in più
degli altri, quella di non sapere. Questo è il risultato della sua ricerca. Nell’Apologia di Platone dice di aver
capire l’oracolo di Delfi secondo il quale lui è il più sapiente tra gli uomini in quanto sa di non sapere.
SOCRATICI
Esposero il loro pensiero per iscritto, ma apparte Platone, delle loro opere sono rimasti solo frammenti.
Chiamati socratici minori. Fondano tre scuole e sviluppano la riflessione socratica sulla dialettica, in una
posizione opposta a quella platonica. Quest’ultimo voleva conferire un contenuto positivo alla dialettica
socratica. Questi tre invece mettevano a fuoco l’aspetto confutatorio dell’insegnamento del maestro.
ANTISTENE: fondatore scuola cinica. 445 a.C atene, allievo di Gorgia. Avversario di Platone per come
sviluppò il socratismo (come la dottrina delle idee). Sviluppa la riflessione morale di Socrate e la ricerca del
che cos’è e diceva che la risposta era logosil che cos’è di una cosa era solo di quella e basta. Aristotele da
ciò ne ricavò due conseguenze:
1) NON è POSSIBILE CONTRADDIRSI: perché su una cosa se ne può fare solo un discorso.
2) NON è POSSIBILE DIRE IL FALSO: perché ogni cosa si riferisce alla cosa di cui è proprio, mentre il
falso non è appropriato a nessuna cosa.
nega che un discorso si può riferire a più cose, questo va contro la ricerca dell’universale socratico,
rifiutando anche la dottrina delle idee “o Platone, vedo il cavallo, ma non la cavallinità”.
Sviluppa il lato pratco della dottrina socratica, insistendo sull’importanza dell’autodominio, non cedere alle
passione e alla ricerca dei beni esteriori e autosufficienza (autarcheia) che si raggiunge ricercando le virtù.
Sostiene, come i sofisti, che di ogni affermazione si può dimostrare tanto la verità, quanto falsità, senza
individuare un criterio di verità certo. Nega così la possibilità di conoscere attraverso il linguaggio,
DIOGENE DI SINOPE: scolaro di Antistene, iniziatore della filosofia CINICA (=rifiuto di ogni cosa, compresa
l’appartenzenza ad una città). Il saggio deve raccogliersi in se stesso, liberarsi dai bisogni. La libertà consiste
nel praticare il conosci te stesso attraverso il rifiuto di ciò che non è necessario. La vera sapienza consiste
nella conoscenza di se. Si delinea così la figura del saggio cinico che possiede un’esistenza libera da ogni
bisogno, che consiste nel trascurare il vestire, disprezzare le convenzioni sociali.
CRATETE DI TEBE: discepolo diogene, praticò una vita ascetica e atteggiamento di benevolenza verso tutti
(filantropia).
ARISTIPPO: fondatore scuola cineratica. dopo la morte del maestro, tornò ad atene per insegnare a
pagamento. Non si occupò di scienze teoretiche perché non dicendo nulla sul bene o male, non erano utili
alla vita pratica. Per lui l’unico bene è il Piacere (edonista). Dottrina della Conoscenza: l’unica cosa
conosciuta da noi sono le nostre affezioni (pathè), quali sensazioni di piacere e dolore. Questi sono dei
movimenti prodotti dai nostri sensi, piacere è corporeo, non spirituale. Comunque non propugna la
dissolutezza, poiché dice di non farsi schiavi dei piaceri, poiché l’asservimento provoca dolore. Per quanto
riguarda la vita politica dice di starne lontano non portando a nessun tipo di piacere. Ideale di libertà è il
distacco dalle cose e dalla vita politica che si identifica con il dominio delle passioni. Il fine della vita è il
piacere, presente momentanea, che viene concepito da un punto di vista fisico, come movimento debole
contrapposto al dolore. Non si definisce l’ideale di virtù duraturo. La virtù consiste in uno stato di libertà
dell’animo.
EUCLIDE DI MEGARA: fondatore scuola megarica. sviluppa l’insegnamento morale di Socrate cercando
d’individuare il bene e il male. Afferma l’unità del bene (il bene è uno, pur se chiamato con molti nomi).
Propugna una dialettica che parte dalle conclusioni e non dalle premesse. Come Antistene, la sua filosofia
prende le mosse dall’indagine socratica sul tema della dialettica e della confutazione, ma imposta il
problema a partire dal postulato parmenideo sull’unità dell’essere. Se l’essere è uno allora una è anche la
virtù che coincide con il bene. Si ha una triplice equivalenza essere=bene=virtù e quindi movimento
divenire nascere e morire delle cose sono inesistenti, poiché se fossero reali si scinderebbe l’originaria unità
dell’essere. Per Euclide è un errore considerare le cose come enti separati. La dialettica è solo una
convenzione umana dal momento che rompe l’unità dell’essere.
EUBULIDE: scolaro Euclide a cui si attribuiscono vari ragionamenti:
-mentitore: “se un cretese afferma che tutti i cretesi sono mentitori, mente e insieme dice il vero”, se dico
“io mento”, dico la verità nel dire che mento, o mento? Se si risponde che dico la verità, è vera la
proposizione che dico che mento, quindi dico il falso. Se rispondo che mento, la proposizione è falsa,
dunque dico la verità.
-cornuto:”tu hai ciò che non hai perduto, ma non hai perduto le corna, quindi hai le corna”.
PLATONE
Nasce ad Atene nel 428 a.C. (poco dopo scoppio guerra Atene e Sparta) da una famiglia nobile. Fratelli
Adimanto e Glaucone. Educazione tradizionale (ginnastica e musica). Incontra Socrate a 20 anni e lo segue
fino alla morte. Nel 404 vince Sparta e ad Atene viene istaurato un governo oligarchico con i Trenta Tiranni.
Influente Crizia, zio di Platone che lo invita a prendere parte al governo. Inizialmente speranzoso in questo
governo ( sperava infatti che potesse porre fine alla decadenza ateniese e alle lotte), ne rimase deluso dalla
noncuranza per una riforma politica che andasse incontro una direzione di maggiore giustizia. Tale governo
finì nel 408, arriva la democrazia che però manda a morte Socrate nel 399. Andò a Megara.
L’impulso della sua filosofia prende vita proprio dallo scandalo della vita etica, perché nella vita politica
capita che l’ingiusto sia felice e il giusto infelice. Solo chiarendo l’idea di giustizia che si poteva sottrarre la
vita sociale alla corrosione.
Per risolvere il problema della giustizia (di ciò che è giusto per noi relativamente a un dato contesto
politico), deve affrontare prima il problema della conoscenza. Lo stesso Socrate infatti disse che la virtù è
scienza del bene e che il male si commette per ignoranza.
Nel 387 torna ad Atene e fonda l’Accademia. Isocrate ad atene aveva fondato una scuola per
l’insegnamento della retorica: rivalità tra le due scuole. Morì nel 348 ac.
GLI SCRITTI: problema della cronologia. Il punto di partenza è dalla notizia che le LEGGI sono l’ultimo
composto, da qui in base agli stili si è data tale cronologia:
a) Scritti giovanili, o socratici dal 399 al 388: Apologia di Socrate, Critone, Ione, Eutifrone, Carmide,
Lachete, Liside, Ippia maggiore, Ippia minone, Protagora
Questi sono dialoghi socratici, in cui non ci sono teorie originarie.
b) Dialoghi della maturità, dal 387 al 367: Gorgia, Menone, Fedone; eutidemo, Menesseno, Clitofonte,
Repubblica, Cratilo, Simposio, Fedro.
Qui Socrate rimane il protagonista e compare la teoria propriamente platonica delle idee.
c) Dialoghi della vecchiaia, dal 365 al 348: Teeteto, Parmenide, Sofista, Politico, Filebo, Timeo, Crizia,
Leggi.
Riguarda le tarde dottrine sulla dialettica e la figura di Socrate tende a scomparire del tutto.
Oltre questi ci sono 13 Lettere. La più importante è la VII, autobiografica, dove racconta le esperienze
decisive della sua vita.
Voleva trovare una forma letteraria che mimasse l’attività filosofica del maestro: dialogo. Ne scrisse 36.
Così lui si pone anche dietro i personaggi. Per lui il sapere richiede tempo, il libro scritto invece va nelle
mani di chiunque, ma così il sapere può anche essere frainteso. Inoltre l’altro limite è che ci fa cercare il
sapere fuori di noi (in un oggetto come il libro) e non al nostro interno, tramite la memoria, che per Platone
è la fonde di sapere (anima come luogo del sapere). Non rinuncia però alla scrittura perché ne vede un
probabile esercizio di critica, che spinge chi lo legge a fare filosofia (anche nei luoghi dove è praticata). Il
dialogo rimane la forma meno lontana dal modello delle discussioni, poiché qui non si espongono solo le
conclusioni, ma anche i vari passaggi dell’argomentazione.
Ci sono argomenti che data la difficoltà non possono essere svolti in forma dialogica (anima dopo la morte
o formazione del cosmo) e quindi usa discorsi lunghimiti. Come strumento di conoscenza e d’indagine, il
mito è considerato inferiore alla dialettica, ma appare utile quando si tratta di convincere gli ascoltatori
ancora non totalmente preparati sul piano filosofico.
Molti accennano alle dottrine non scritte (agrapha dogmata) di Platone. Molti interpreti dicono che è lo
stesso Platone che nei dialoghi fa intendere che il vero contenuto del suo sapere è al di fuori. In tale
prospettiva, i dialoghi sarebbero comprensibile solo alla luce della conoscenza delle dottrine orali di
Platone che lui avrebbe deciso di non affidare allo scritto. Altri studiosi dicono che la critica che Platone
rivolge alla scrittura non coinvolge i suoi dialoghi, ma sarebbe diretta contro le esposizioni sistematiche del
sapere filosofico.
CONCEZIONE DELL’UOMO E DELLA CITTà
La vita di Platone ci fa comprendere come la politica sia l’impegno suo primario. Riteneva necessario
partecipare al governo della città, ma constatando che la sua città non lo permetteva, si mise a formare i
futuri governanti e fu consigliere del governante Dionisio di Siracusa. Il contributo politico maggiore di
Platone fu la sua filosofia. Scrisse infatti due trattati, la Repubblica in 10 libri e le Leggi in 12 che hanno per
tema l’arte di governare la polis. La filosofia è la condizione della politica (intesa in senso etico, cioè arte di
rendere migliori governando nel miglior modo la città).
L’UOMO: Il superamento della concezione sofistica della politica è manifesto nel dialogo giovanile Gorgia.
Qui rifiuta la proposta, fatta da Gorgia di far dipendere la formazione degli uomini politici dalla retorica,
paragonando il trattamento che questa disciplina compie dell’anima a quello che la culinaria e la cosmetica
compiono del corpo, cioè un trattamento che ha come scopo non il bene del corpo (salute), ma il suo
piacere. Come nel caso del corpo la culinaria e la cosmetica sono opposte alla ginnastica e alla medicina, nel
caso dell’anima, alla retorica (che mira a produrre solo persuasione senza scienza), si oppone la vera arte
politica (la filosofia che mira a produrre virtù) in cui consiste la salute dell’anima. Alla base di tale dottrina
c’è una concezione della realtà dell’uomo come composto di anima e corpo. L’anima è la parte migliore
dell’uomo, tanto che nell’Alcibiade I dice che l’uomo è la sua anima. Il corpo è la parte deteriore. Nel
Fedone, dove si narra la morte di Socrate, afferma che il corpo è come il carcere e quindi la morte è una
liberazione essendo la separazione dell’anima dal corpo e dice essere immortale, tanto che esiste prima
ancora della nascita.
L’immortalità dell’anima è qui dimostrata con tre argomenti:
1) La prima si basa sul principio secondo cui tutte le cose soggette a generazione si generano dal loro
contrario. Vivo e morto sono due contrari di questo tipo ed è necessario non solo che dal vivo si
genera il morto, ma che dal morto si genera il vivente. Completa tale argomento con uno presente
nel Menone, secondo cui l’anima si ricorda in questa vita, di conoscenze apprese in precedenza.
2) Si basa sul concetto di somiglianza dell’anima con l’essere eterno e incorporeo, in contrasto con la
natura composta. Il mondo sensibile, che è composto, è destinato a corrompersi, ciò che è
semplice, le idee, restano uguali. L’anima è più simile alle idee che la corpo, quindi non è
suscettibile di decomposizione.
3) Prova fondata sulla teoria delle idee e sulla spiegazione del rapporto che idee e cose come
partecipazione. L’anima è principio di vita e quindi non può accogliere in sé il principio di morte che
è il contrario.
Da tutto ciò se ne intuisce che l’anima è principio di vita per se e per il
corpo, mentre questo, senza essa, sarebbe un mero inanimato. L’anima è il soggetto della conoscenza,
mentre il corpo è fonte di errore.
DUALISMO PLATONICO
Mentre nel Gorgia e nel Fedone il rapporto tra anima e corpo è molto dualistico (il corpo, soma, è tomba,
sema, dell’anima), nel Timeo si attenua e vede il corpo come mezzo (“carro”) dell’anima.
LA CITTà: che rapporto c’è tra il filosofo che ricerca e le idee e la sua città? Punto di partenza: cos’è la
giustizia? Nel Gorgia definisce la virtù come giustizia e il vizio come ingiustizia, tanto che farò dire a Socrate
che è meglio subire ingiustizia che commetterla, in quanto il fare ingiustizia, cioè il vizio è il male peggiore
che possa capitare all’uomo. Qui, in questo trattato, la scienza del bene è la politica (scienza della città),
poiché la giustizia è il bene dell’uomo (l’uomo realizza il suo bene in relazione con l’altro). Compito del
buon politico è aiutare gli uomini a realizzare la giustizia.
Lo spazio del filosofo si colloca al di fuori della città poiché qui l’unico obiettivo è la contesa per il potere,
Socrate comunque appare come il vero politico in grado di liberare i concittadini dall’ignoranza, per questo
serve trovare il modello giusto di città giusta, problema affrontato nella Repubblica.
Nel primo libro si domanda cosa sia la giustizia. L’indagine avviene prima sulla città, dove giustizia e
ingiustizia a lettere più grandi rispetto all’uomo (come se fosse un testo più piccolo). La città nasce dal
bisogno dei singoli individui di soddisfare i propri bisogni, a cui da soli non possono pensare, e quindi spinti
dalla loro stessa natura si associano per collaborare fini comuni.
Alla base della città c’è la divisione dei mestieri La giustizia è determinata dal fatto che ciascuno svolge le
proprie funzioni che per natura gli sono proprie. L’ingiustizia è l’opposto.
La città dei essere divisa in tre gruppi o classi:
1) PRODUTTORI: agricoltori e artigiani, coloro che producono i beni necessari alla sussistenza
2) GUERRIERI: dotati della virtù del coraggio e sono i difensori della città.
3) FILOSOFI: dotati del sapere necessario per raggiungere il bene della città e gli unici capaci di
governarla.
La città è giusta quando ciascuna di queste categorie svolge bene il proprio compito, per cui la risposta a
cosa sia la città giusta in riferimento alla città è che ognuno svolga il proprio compito. Poiché lo svolgere
bene il proprio compito è per ciascuno la sua virtù, la giustizia è la virtù somma.
Per convincere della naturalità di questa distinzione, si racconta il mito della nobile menzogna  descrive
le classi come plasmati da metalli differenti, di valore diverso, oro(filosofi), argento (guerrieri) e
ferro(artigiani).
Tutti dovranno avere due virtù: giustizia e temperanza (consiste nel riconoscere il comando della città a chi
possiede le virtù necessarie).
I filosofi sono gli unici a sapere come si governa la città, ma a non desiderare il potere, dal momento che
amano di gran lunga l’attività filosofica.
LE PARTI DELL’ANIMA: sempre nella Repubblica, torna a parlare dell’uomo applicandone la definizione di
giustizia data alla città. La giustizia è la salute dell’anima, il suo bene. L’anima è divisa in tre parti:
appetitiva o concupiscente (incline ai piacere, dei produttori), animosa o irascibile (guerrieri, dove hanno
sede gli slanci), razionale o intellettiva (ha sede la ragione, la capacità di conoscere e valutare, è dei filosofi).
Per ciascuna di queste parti, si ha una virtù; per la prima è la temperanza cioè il saper tenere a freno i
desideri, per l’anima irascibile è la fortezza ovvero il saper vincere gli ostacoli per realizzare il bene e per
l’ultimo la sapienza cioè il riconoscere cosa sia il bene. Quando ciascuna parte realizza la propria virtù, si ha
la giustizia del singolo uomo.
Stessa dottrina compare nel Fedro (dialogo dedicato all’amore) dove si paragona l’anima ad una coppia di
cavalli alati guidati da un auriga. Un cavallo docile è l’anima irascibile, l’altro selvaggio è l’anima appetitiva,
l’auriga è l’anima razionale. Questa cerca di guidare l’anima verso il cielo, che è sua dimora naturale, il
cavallo selvaggio la spinge a terra e quello docile segue ora il primo, ora il secondo. Se prevale il selvaggio
(come nel caso dell’amore passionale), l’anima precipita in un corpo materiale.
Nel Timeo (dialogo della vecchiaia), Platone afferma che l’anima razionale ha sede nella testa, quella
irascibile nel petto e quella appetitiva nell’addome. Qui afferma che la virtù consiste nello stabilire
un’armonia tra le tre parti.
Anche nella Repubblica si ha un mito riguardante il destino dell’anima. È il racconto Er(guerriero morto) che
tornato dall’aldilà riferisce ciò che ha visto. Quando le anime devono reincarnarsi, si presentano ad una
divinità per scegliere modelli di vita ai quali si conformeranno. Un sorteggio determina l’ordine in cui
ciascun’ anima sceglierà uno dei modelli. Questo significa che ciascuno è responsabile del tipo di vita che
condurrà. In questo senso si può dire che le attitudini naturali, proprie di ciascuno, sono proprie di una
scelta antenatale.
CITTà PERFETTA E LE SUE DEGENERAZIONI: sempre nella Repubblica, dopo aver definito la giustizia per la
città e per l’uomo, Platone indica come realizzarla.
Due sono le cose che impediscono la corretta distribuzione dei compiti:
-FAMIGLIA
i genitori tendono a collocare i propri figli nella parte sociale più alta indipendentemente
dalle doti.
-PROPRIETà PRIVATA
Vanno eliminate entrambe. Le coppie selezionate in base a doti fisiche e pschiche. Appena nati saranno
sottratti alla madre così nessuno saprà di chi sono. Non ci sarà distinzione tra maschi e femmine. I guerrieri
e filosofi non possederanno terre private, vivranno in comunità. I produttori l’avranno nella misura in cui
servirà per sviluppare il loro lavoro.
La condizioni principale affinché tale città giusta sia realizzata è che il governa venga affidato ai filosofi.
Questi sono colori i quali sanno cosa sia il bene. Si formano mediante la scelta dei migliori, tra i guerrieri e
mediante una lunga educazione che prevede oltre alla ginnastica e alla musica (comune a tutti i guerrieri),
dieci anni di studio della matematica e cinque della dialettica, cioè la filosofia, quindici di tirocinio accanto
ai governanti in funzione.
Come l’uomo giusto può degenerare, ciò accade anche alla città giusta. Le degenerazioni sono descritte con
un’analisi delle costituzioni politiche e delle rispettive crisi (rivoluzioni).
 Timocrazia: governo basato sull’onore (timè) prodotto quando si preferisce l’amore per l’ambizione
invece della sapienza  governo dai filosofi ai guerrieri (domina l’anima irascibile)
 Oligarchia: governo dei pochi, quando si ha l’amore per il denaro dai guerrieri ai produttori
(anima concupiscente).
 Democrazia: governo del popolo quando i poveri si ribellano ai ricchi e prendono il potere.
 Tirannide: la peggiore, uno dei capi del popolo si appropria di tutto il potere per i propri interessi (è
il più infelice perché schiavo dei propri interessi).
Nel Politico delinea come deve essere il perfetto uomo politico. Questo è colui che possiede la scienza del
governare. Questa è un’arte della misura, e il politico è un buon misuratore. Non ha bisogno di leggi, poiché
queste contemplano solo casi generali senza tener conto delle differenze individuali. Il vero politico è colui
che tiene conto di tutte le variabili. Tuttavia dice che se manca il vero politico, è necessario un corpus di
leggi a cui attenersi per evitare mali maggiori, come la degenerazione delle forme di governo. Nel Politico
classifica i diversi tipi di costituzione (ordinamento della città) basati sulle leggi. Sono sei, tre delle quali si
basano sul rispetto delle leggi e quindi buoni, tre derivanti dalla loro violazione e dunque cattivi.
- Monarchia: governo di uno solo (mònos)
- Aristocrazia: governo dei pochi (àristoi)
le tre buone
- Democrazia : governo di molti (dèmos)
-
Tirannide: una monarchia senza il rispetto di leggi
Oligarchia : il governo dei pochi (olìgoi), ma non dei migliori
Democrazia: governo dei molti nella violazione delle leggi
le tre cattive
La costituzione migliore di tutte è la monarchia e la peggiore la tirannide.
Un allontanamento dall’utopia della Repubblica si ha nelle Leggi, l’ultimo dialogo di Platone. Qui dichiara di
non volersi più occuparsi della città perfetta, ma di trattare solo della città seconda, cioè di quella che tra le
città realizzabili si avvicina a quella perfetta. La città seconda dovrà essere governata da leggi. La
costituzione migliore qui è quella che sa riunire ciò che di più valido c’è in ciascuno dei tre tipi di
costituzione, del regno che è la concordia (o unità), dell’aristocrazia che è la saggezza e quello della
democrazia che è la libertà ---> si ha così una costituzione mista con: potere monarchico (re), aristocratico
(il consiglio) e democratico (assemblea del popolo).
La maggior parte dei poteri deve essere affidata a un consiglio notturno di saggi, che devo deliberare di
notte in modo da non essere visti da nessuno e quindi non influenzati. Nelle Leggi non si ha più la
distinzione delle varie classi, la difesa della città è estesa a tutti.
Nella Repubblica non si sofferma sul peso della religione nella città, ma in questo ultimo trattato si, dicendo
che il fattore decisivo di stabilità interna diventano le credenze religiose culminanti nella teologia astrale.
LA DOTTRINA DELLE IDEE
L’intento della filosofia platonica è la politica, quindi la concepisce come quel sapere che consente di
governare bene gli uomini. Ma qual è il contenuto di questo sapere? Che cosa si deve sapere per essere
buoni politici? La risposta è data dalla dottrina delle idee, presente in quasi tutti i dialoghi, ma subisce
un’evoluzione da una fase iniziale a una più matura per giungere a una crisi in vecchiaia.
ORIGINE DELLA DOTTRINA DELLE IDEE: Socrate cercava l’universale, l’essenza, ma non giungeva a una
conclusione positiva. Platone riprende la domanda socratica del che cos’è, e la risposta è l’idea. Questo non
intende una rappresentazione mentale (cioè un pensiero contenuto nella nostra mente), ma deriva dal
verbo idèn che significa vedere, per cui l’idea (èidos) è ciò che si vede, la forma. Non è un vedere dei sensi,
ma della mente  l’idea è l’oggetto dell’intelletto, la forma intellegibile.
La novità rispetto a Socrate (oltre che l’idea può essere conosciuta) è che non è solo essenza, ma anche
modello, il paràdeigma delle realtà particolari.
Il passaggio a questa posizione tipicamente platonica è palese nell’Eutifrone, dove alla domanda
dell’indovino cos’è la santità Platone dice che tale con tale domanda l’uomo non conosce le singole azioni
sante, cioè casi particolari di santità, ma il modello.
Nel dialogo della maturità Fedone, Platone prende come esempio l’idea di uguale. Quando noi diciamo che
due realtà sensibili sono uguali, diciamo il vero in modo approssimativo, perché in realtà non sono
esattamente uguali. Nelle realtà sensibili nessuna cosa è uguale all’altra. Ma noi facendo matematica
ammettiamo che le cose sono uguali, quindi esiste un uguale in sé, un uguale perfetto, diversi da quelli
sensibili e questa è l’idea dell’uguale.
L’idea è sia condizione di perfezione morale che di esatta conoscenza scientifica.
Se delle realtà sensibili non se ne può fare scienza, ma noi abbiamo delle vere scienze, ci dovranno essere
delle realtà diverse da quelle sensibili che saranno oggetti delle vere scienze.
Le idee sono realtà universali e immutabili.
LA DOTTRINA DELLE IDEE NEI DIALOGHI DELLA MATURITà: nel Fedone dice anche che le realtà sensibili
hanno le caratteristiche espresse dalle rispettive idee in quanto partecipano di queste. Ad esempio le cose
belle sono belle in quanto partecipano del bello in sé.
“Partecipare” qui significa avere qualcosa in comune, ma in modo derivato: le cose belle hanno in comune
col bello in sé la bellezza, nel senso che la bellezza deriva loro dal bello in sé, perché la causa della bellezza
è in quest’ultimo. Una stessa realtà può partecipare di più idee, anche opposte tra loro, un’idea invece non
può partecipare all’idee opposte. Altra tesi è che le idee sono conosciute dall’anima poiché dotata di
pensiero, ma non in questa vita, dove l’anima è unita al corpo. Bisogna dunque ammettere che l’anima
abbia conosciuto le idee prima di unirsi al corpo e che la conoscenza che abbiamo in questa vita è una
reminescenza (=ricordo di cose conosciute in precedenza).
Afferma nel simposio che il filosofo non è né il sapiente, né l’ignorante. Il vero sapiente è la divinità, il
sapiente già lo possiede, l’ignorante non avverte il desiderio di possederlo. Il filosofo è intermediario tra i
due, ha il desiderio che lo porta a ricercare il sapere. Nei primi dialoghi Socrate infatti è questo: il filosofo
non sa, ma consapevole di ciò si avvia alla ricerca. L’atteggiamento fondamentale è l’eros, come lui anche il
filosofo è figlio della povertà (ama ciò che non possiede) e poros ( capacità di cercare ciò che non si ha).
L’attività filosofica non consiste però nel travasare il sapere da una parte all’altra, ma deve educare le
passioni e l’intelletto, in questo senso la dialettica è una forma d’esercizio dell’intelletto.
L’anima è nutrita dagli oggetti di apprendimento (mathèmata), tra cui la virtù. Per Platone (vs Protagora)
non è la città storicamente esistente ad insegnare la virtù, e la condanna a morte di Socrate era la conferma
dell’assenza di virtù nella città. Per Platone, Socrate era il sostenitore che la conoscenza si fondava sulla
conoscenza del vero bene. Al sapere spetta la guida della condotta umana, il piacere non deve identificarsi
il bene.
Nel Gorgia porta varie argomentazioni per dimostrare che il bene non si può identificare con il piacere:
bene e male sono termini contraddittori ( come salute e malattia), si escludono l’un con l’altro, piacere e
dolore possono invece coesistere, non si escludono a vicenda. Ne consegue che né il bene si può
identificare con il piacere, né il male con il dolore.
I beni sono molteplici, ma il vero bene per l’uomo è quello che riguarda l’anima.
Afferma che c’è un’idea suprema che è causa di tutte le altre, l’idea del bene.
Cerca di chiarirla tramite un’analogia con il sole. C’è un’uguaglianza tra il rapporto tra Sole e oggetti
sensibili e Bene con cose intellegibili (idee). Così come il sole è causa delle realtà sensibili (con la sua luce le
rende visibili e con il calore le nutre), così l’idea del bene è causa delle realtà intellegibili (le fa conoscere e
le fa essere quelle che sono). Funzioni del sole: producendo la luce fa in modo che vengano percepite le
cose sensibili. Inoltre il calore prodotto è necessario per la vita, in modo che le cose sensibili, divengano. A
queste corrispondono le due funzioni del bene: produce la verità che fa sì che le idee siano riconosciute
dall’intelletto. Con il suo potere è condizione necessaria per l’essere delle idee (che non divengono e sono
eterne)  Sole:bene = luce:verità.
L’idea del Bene è al di là dell’essere.
La sede per cercare il vero bene è la scuola filosofica. Come si può apprendere? Menone: di una cosa si può
dire che la si conosce, o che non la si conosce. Se la si conosce è inutile cercarla poiché già si possiede, se
non la si conosce è inutile cercarla perché non si saprebbe dove andarla a cercare.
È possibile una ricerca che parta da zero? Platone dice che una ricerca presuppone una conoscenza
preliminare, ciò che si cerca è in realtà qualcosa che si è già appreso in passato. Al momento della nascita
però viene dimenticato, ma rimane latente nell’anima. Il compito dell’interrogazione filosofica è far tornare
tutto ciò in auge. Il sapere è disponibile a chiunque, purché si sappia come attingerlo.
Nel Menone si mette in scena uno schiavo che non sa nulla di geometria, che interrogato opportunamente
da Socrate riesce a trovare l’errore e a proporre una soluzione.
L’apprendimento non è altro che non processo di reminescenza, anamnesi. La condizione che rende
possibile ciò è il fatto che la natura sia tutta un legame, per cui quando ricordo una cosa, in automatico
ricordo tutto il resto.
Nel Menone, Platone fa consistere la scienza, episteme, in questo ragionamento casuale (capace di
raccogliere le affinità tra le varie parti del sapere), che lo rende in grado di distinguere il vero dal falso e di
rispondere alla domanda perché.
Un ulteriore elemento aggiunto alla dottrina delle idee nel Convito, dove Platone dice che colui ama il bello
comincia con l’amare prima un bel corpo, poi ama il bello che è comune a tutti i corpi, poi passa dall’amore
per la bellezza del corpo all’amore per la bellezza dell’anima e infine giunge d amare il bello in sé(l’idea
stessa del bello). Platone conclude dicendo che chi ama il bello in sé, diventa egli stesso buono e quindi
felice.
La felicità suprema dell’anima consiste nella contemplazione dell’idea del bello, che è tutt’uno con l’idea
del bene, poiché per i greci bello e bene sono sinonimi espressi dalla parola kalokagathòs.
CRISI E TRASFORMAZIONE DELLA DOTTRINA DELLE IDEE NEI DIALOGHI DELLA VECCHIAIA: la dottrina delle
idee, come la città utopica, andava incontro a molte aporie (difficoltà, obiezioni, problemi). Lo stesso
Platone si rese conto di queste aporie nel dialogo il Parmenide, indicando egli stesso le possibili obiezioni
alla sua dottrina. Qui è riportata una conversazione che il giovane Socrate (fautore della dottrina delle idee)
ebbe con il vecchio Parmenide di Elea giunto in visita ad Atene. Qui è Parmenide che fa le domande e non
come sempre Socrate, sollevando una serie di difficoltà riguardanti la dottrina delle idee.
Nella prima parte del dialogo il filosofo prende atto che una formulazione coerente della dottrina delle idee
conduce ad ammettere un’idea per ciascuna specie di cose, non sono quelle nobili, ma anche quelle
ignobili, ma ciò è abbastanza assurdo poiché l’idea in quanto modello è espressione di perfezione.
Denuncia la difficoltà che incontra il rapporto di partecipazione tra le idee e le cose sensibile: se infatti le
idee sono separate dalle cose, ma tuttavia le cose partecipano di essere, le idee, in quanto partecipate dalle
cose, sono in qualche modo presenti in queste, finiranno con l’essere separate da esse il che è assurdo.
Denuncia anche la difficoltà a cui va incontro la stessa separazione tra le idee e le cose: se infatti ogni volta
che molte cose hanno in comune un certo carattere, per la stessa ragione, quando ci si accorge che le cose
hanno in comune con l’idea quello stesso carattere, si dovrà ammettere un’altra idea, avente anch’essa
quel carattere e così all’infinito, il che è assurdo. Questo è denominato da Aristotele come argomento del
terzo uomo: se possono essere dette belle sia le cose sensibili che l’idea stessa di bellezza, esse avranno
questa proprietà di essere belle in virtù della loro partecipazione a una terza entità, grazie alla quale sono
tutte belle. Ma se questa terza entità è bella, allora si dovrà introdurre una quarta entità che le rende tutte
belle e così all’infinito.
Platone comunque non abbandona la dottrina delle idee, piuttosto la trasforma.
Nella seconda parte del Parmenide espone una tesi, che seppur non esplicitamente dedicata alle idee, si
può facilmente intuire che ne può far parte. Critica l’essere assolutamente uno di Parmenide, mostrando
che l’uno non può stare in molti e i molti non possono stare senza l’uno. Ciò significa che ciascuna idee è
insieme un’unità e una molteplicità: l’unità è data dalla sua universalità, cioè dall’identità del carattere che
essa esprime, la molteplicità invece è data dalla partecipazione ad essa di molte cose.
La nuova dottrina è esposta con chiarezza nel Sofista, dialogo posteriore a quello precedente. Qui definisce
i sofisti come venditori di una sapienza apparente e quindi dicono il falso e quindi Platone mostra come il
falso non sia un semplice non essere, ma sia una realtà diversa dall’essere (o non esisterebbe nemmeno),
cioè sia il “diverso” (dire il falso quindi vuol dire che le cose stanno diversamente da come stanno in realtà).
La scoperta del diverso permette di affermare che ciascuna idea, in quanto è, partecipa dell’essere, in
quanto è identica a se stessa, partecipa dell’identico e in quanto è diversa dalle altre, partecipa del diverso.
Essere, identico e diverso risultano i tre generi, o idee generalissime, delle quali partecipano
tutte le altre idee. Ad esse si aggiungono altri due generi, moto e quiete, quando Platone si rende conto
che, oltre alle idee che sono immutabili e quindi partecipano della quiete, si deve ammettere che faccia
parte della realtà anche l’anima in quanto conosce le idee, ma questa è vita, quindi moto, e perciò
partecipa anche il moto  si hanno cinque generi sommi: essere/identico/diverso/quiete/moto.
L’essere nel Sofista viene definito da Platone come capacità (donami, potenza) di agire, in quanto anima
che conosce e di patire in quanto idee che vengono conosciute, cioè subiscono un’azione.
Le idee partecipano tanto dell’idea di identico, tanto di diverso, dando luogo alla comunicazione (koinonìa)
di idee che rendono possibile il discorso (logos), quindi lo stesso pensiero.
Quando un discorso è vero, cioè unisce un nome ed un verbo che indicano realtà effettivamente unite
(Teeteto siede), ciò vuol dire che le idee ad essi corrispondenti comunicano fra loro; quando un discorso è
falso, cioè unisce un nome e un verbo che indicano realtà non unite (Teeteto vola), ciò significa che le idee
corrispondenti non comunicano.
Con tale dottrina Platone supera l’aporia dei megarici, quando affermavano che non si può unire un nome
con un verso o con un nome diverso da esso, ma bisogna formulare solo giudizi identici (uomo è uomo; con
la dottrina della comunicazione (o coimplicazione) Platone rende possibile il discorso predicativo (cioè fatto
di soggetto e predicato).
Altro perfezionamento della dottrina delle idee si ha nel Filebo, dialogo posteriore ai due presi in esame.
Riprende le tesi dei pitagorici secondo cui di tutte le cose sono il limite e illimitato e le applica alle idee,
dichiarando che sono composte di questi principi e quindi costituite ciascuna da una molteplicità che si
configura come numero. Questo vuol dire che ciascuna idee ne contiene in se molte altre. La natura di
ciascuna idee è quindi definita dal numero di idee che di essa partecipano e di cui essa partecipa.
Stessa tesi si applica alle cose sensibili, composto di limite (le idee di cui esse partecipano) e illimite
(principio opposto alle idee), le cose quindi rientrano in tre generi: limite/ illimitato/ misto (unione delle
prime due). A questi aggiunge un quarto genere, poiché la mescolanza di limite e illimite richiede una causa
che identifica con la mente divina.
LA CONOSCENZA E LA DIALETTICA
Alla distinzione stabilita dalla dottrina delle idee tra due generi di oggetto, le idee e le realtà sensibili,
corrisponde in Platone un’identica distinzione tra due generi di conoscenza:
1) Conoscenza riguardanti le idee
epistème, la vera scienza che riguarda gli oggetti universali e
immutabili
2) Conoscenza riguardanti le realtà sensibili
dòxa, le opinioni che hanno per oggetto realtà
particolari e mutevoli, quindi non è necessariamente vera come l’altra.
Nel Menone paragona l’opinione vera alle statue dello scultore Dedalo che erano così somiglianti alle figure
viventi, tanto che sembrano sul punto di scappar via; così fa l’opinione che quando è vera è instabile, invece
la scienza è paragonata a quelle statue che una volta fatte sono state legate in modo da impedire che
fuggano. Platone conclude dicendo che la scienza è un’opinione vera incatenato con un ragionamento
fondato sulla casualità (la causa è infatti ciò che spiega perché una cosa sta in un modo e no in un altro), o
nel Teeteto dice che la scienza è un’opinione vera accompagnata da ragione.
Riprende e codifica la differenza di Parmenide tra la via della verità e quella dell’opinione. Offre una sua
teoria della conoscenza: la gnoseologia. Con questa può confutare in maniera definitiva il relativismo di
Protagora, cioè che tutte le opinioni sono vere e che l’uomo è misura di tutte le cose. Per Platone è Dio e’
misura di tutte le cose (Leggi).
La scienza è reminescenza, ricordo delle idee contemplate prima della nascita, quindi non deriva dalla
conoscenza sensibile, questa è solo occasione che suscita il ricordo (dottrina chiamata innatismo in
seguito).
Oltre alla distinzione tra opinione e scienza, nella Repubblica distingue in ciascuna di essa due gadi
successivi. Paragona l’intera conoscenza a una linea divisa in quattro segmenti: i primi due rappresentano la
conoscenza sensibile e gli altri due la conoscenza razionale.
Il primo grado della conoscenza sensibile è l’immaginazione (eikasìa), il secondo grado è la conoscenza delle
realtà sensibili, vere e proprie, o credenza (pistis).
Analogamente la scienza si divide in due gradi: il primo è la conoscenza delle immagini delle idee (gli oggetti
di cui si occupa la matematica) chiamata ragione/pensiero discorsivo (diànoia); il secondo grado è la
conoscenza delle idee vere e proprio (cioè la filosofia) chiamata intellezione (nòesis) e consiste nel cogliere
con il pensiero una verità che non dipende da altro.
I diversi segmenti stanno in una proporzione tale che: l’immaginazione sta alla credenza come la ragione sta
all’intellezione, quindi si ha un rapporto di subordinazione che è quello che intercorre tra opinione e
scienza.
Questi quattro gradi costituiscono i gradi della conoscenza.
I primi due non danno un sapere certo, ma un’opinione variabile. Gli altri due assicurano una conoscenza
vera. Questi quattro gradi conoscitivi sono distinti in base agli oggetti corrispondenti.
Oggetto dell’immaginazione sono le immagini sensibili (ombre, riflessi). Colui che si affida ad un sapere di
tale natura (come chi scambia l’effige dipinta di un oggetto per l’oggetto stesso) è il più lontano dalla verità.
Oggetto della credenza è la realtà che percepiamo con i sensi. Chi passa dall’immagine alla credenza non
scambia più le cose con le loro immagini, ma le coglie concretamente con la loro realtà sensibile. Questo
grado comunque per Platone non è conoscenza, poiché chi si trova a questo stadio non può essere
veramente certo di ciò che conosce.
Oggetto del pensiero discorsivo sono enti intellegibili (numeri), questi possiedono una maggiore
universalità.
Al culmine del processo conoscitivo abbiamo l’oggetto dell’intellezione, quindi le idee, forme intellegibili e
universali.
La matematica ci prepara all’ultimo grado della conoscenza, cioè la visione intuitiva delle idee.
La stessa dottrina è esposta nel mito della caverna. Immagina che un uomo legato in fondo a una caverna,
non veda altro che le ombre di statuette proiettate su una parete dalla lice di fuoco, scambiandole per vere
realtà (questo corrisponde all’immagine), poi una volta liberato si rende conto che sono le statue a
proiettare l’immagine e quindi capisce che queste sono più reali delle immagini prima e ciò corrisponde alla
credenza. Una volta uscito dalla caverna vede il riflesso delle piante e animali sull’acqua e ciò corrisponde
alla ragione. Infine volge lo sguardo alle vere piante e al sole che li illumina, il che corrisponde all’intelletto.
La caverna è il mondo sensibile, di cui l’uomo è prigioniero durante l’unione dell’anima con il corpo, mentre
la superficie della terra è il mondo delle idee ( a cui l’anima torna dopo esserci liberata dal corpo).
Interessante la differenza tra ragione (matematica) e intelletto (filosofia). La prima parte da ipotesi, in altre
parole da presupposti e ne ricava le conseguenze che ne derivano necessariamente (i teoremi). La verità di
questi non è assoluta, ma condizionata dalla verità delle ipotesi (se le ipotesi sono false, le conseguenze lo
saranno altrettanto). La matematica non è in grado di stabilire se le sue ipotesi siano vere o false, le
considera come vere, senza però renderne ragione. Termina quindi che la matematica non è vera scienza,
la filosofia invece, che chiama dialettica, parte anch’essa da ipotesi, ma è consapevole del loro carattere
ipotetico, quindi le usa solo come punti di appoggio fino a salire alla conoscenza di un principio anipotetico
(principio autentico). Solo la dialettica è autentica scienza.
NOMI, PERCEZIONI E OPINIONI: il problema della conoscenza torna in più dialoghi. Nella cultura sofistica il
nome costituiva l’accesso di conoscenza alle cose. Per loro l’errore diveniva impossibile.
Per Platone i nomi sono strumenti per distinguere la sostanza delle cose, ma i nomi sono suscettibili di
errori. La correttezza dei nomi è data solo da chi conosce la sostanza delle cose (idee). Dalle idee si arriva
alle cose e non viceversa.
Nemmeno la conoscenza sensibile può essere la via adeguata per la conoscenza delle cose. Nel Teeteto c’è
un’ampia discussione su ciò. La prima tesi identifica la conoscenza con la percezione sensibile. Per Platone
questa combacia con la teoria di Protagora per cui l’uomo è misura di tutte le cose. Sostenendo tale tesi,
ogni opinione sarà e vera, e falsa, come quella di Protagora, il che è contraddittorio. Per evitare
contraddizioni si deve distinguere vero e falso non solo per le percezioni.
LA DIALETTICA COME CONFUTAZIONE: parla della dialettica per la prima volta nel Menone, dove
contrappone il modo di discutere (dialèghesthai) e di confutare (elènchein) praticato dai sofisti, che mira al
mero successo e quindi è eristica, al modo di discutere praticato tra amici, dove si difende la proprio tesi
con mezzi leciti. Questa è la vera dialettica. Precisa che la dialettica si serve di ipotesi, quindi ne ignora la
verità e ne deduce conseguenze atte a giudicare la verità o falsità dell’ipotesi.
Nel Fedone dice che la dialettica consiste nel formulare un’ipotesi circa ciò che si vuole sapere e esamina
quali conseguenze ne derivano: se queste sono in contraddizione fra loro l’ipotesi è falsa, se sono in
armonia l’ipotesi può essere sostenuta, questo non basta ad assicurare che sia vera: per avere la certezza
bisogna cercare di rendere ragione dell’ipotesi, vedere se essa è riconducibile a un’ipotesi più generale,
cioè se è a sua volta una conseguenza di un’altra ipotesi. Se anche di questa non si è certi, bisogna risalire
ad una ipotesi più generale, finché non si giunga ad un principio la cui verità sia stata accertata con
sicurezza. Non è detto però come si possa accertare la verità di questo principio, ma è detto nella
Repubblica, dove Platone afferma che la dialettica, per giungere al principio anipotetico (l’idea del bene)
deve confutare le ipotesi. Significa che se ad esempio si vuole sapere che cos’è la giustizia, bisogna prima
formulare tutte le ipotesi possibili e poi cercare di distruggerle mediante confutazione: l’ipotesi che riuscirà
a resistere a questo processo, sarà quella vera che diventerà un principio autentico.
L’illustrazione più ampia di tale procedimento è data nella seconda parte del Parmenide, dove si dice che la
dialettica consiste nell’applicare alle idee, l’argomentazione usata da Zenone a proposito delle realtà
sensibili ( dimostrare la tesi mediante la confutazione dell’ipotesi ad esso opposta).
Di differente da Zenone c’è che non basta assumere una singola ipotesi e dedurne le conseguenze per
vedere se sono differenti tra loro, ma bisogno assumere anche l’ipotesi opposta alla prima e dedurne le
conseguenze per vedere se sono contraddittorie. Solo la confutazione dell’ipotesi ad essa opposta ci può
assicurare che quella non confutata è vera.
Presuppone la validità del principio di non contraddizione e quello del principio del terzo escluso (tra due
tesi contradditore è necessario che una sia vera e una no, così che una volta individuata qual è quella falsa,
si sa quale sia quella vera).
LA DIALETTICA COME UNIFICAZIONE E DIVISIONE: così configurata la dialettica sempre una scienza della
realtà, delle idee. Nel Fedro afferma che la dialettica è l’arte di ricondurre il molteplice all’uno, synagoghè,
o unificazione e l’arte di dividere l’uno del molteplice divisione, diairesis.
Nel Sofista riprende la stessa definizione precisando che la dialettica consiste nel saper dividere per generi,
scoprendo quale idee comunicano tra loro e quali no. Così la dialettica sembra una specie di classificazione
delle idee. Offre un esempio di questo metodo classificatorio, mostrando come serva per qualsiasi oggetto,
come l’arte di pescare con la lenza. Distingue arti produttive e acquisitive, stabilendo che quella cercata è
un’arte acquisitiva. Queste si dividono in quelle fondate sul contratto e quelle sulla forza queste in palesi e
occulte, e noi ricerchiamo quella occulta. Le occulte si distinguono in acquisitive di essere viventi e non, e
noi ricerchiamo la prima. Si tratta quindi di dicotomie (divisioni per due).
EDUCAZIONE
Tra le dottrine viste importante è quella della paidèia . Platone del delineare la formazione del buon
governante, delinea quella dell’uomo in quanto tale. L’educazione non è una semplice istruzione (cioè
trasmissione di un sapere particolare), ma formazione dell’uomo.
L’uomo è formato da Platone di anima e corpo, perciò formare l’uomo significa portare a perfezione le doti
quanto del corpo, quanto dell’anima. Ginnastica serve per allenare le prime e la musica le seconde. Questa
vale sia per i guerrieri che i governanti. Quest’ultimi hanno un ulteriore educazione, fatta di matematica e
dialettica (filosofia). La matematica è propedeutica per arrivare alla filosofia, poiché abitua la mente ad
elevarsi alle realtà intellegibili.
L’educazione non è semplice istruzione, cioè trasmissione di un sapere particolare (come era per i sofisti),
ma formazione dell’uomo: infatti il termine paidèia (fanciullo), che nella cultura moderna è definita cultura.
La formazione suppone il sapere, come dicevano i sofisti, ma questi con il sapere intendevano la retorica. In
ciò va contro un retore del suo tempo Isocrate, il quale aveva aperto in Atene una scuola di formazione per
uomini politici in cui si insegnava la retorica identificandola con la filosofia. Dopo varie posizioni contro
Platone assume un atteggiamento favorevole nei confronti della retorica, purché non sia una semplice
mozione degli affetti, ma sia fondata sulla dialettica, quindi si serva di argomenti razionali.
Platone insiste sul metodo dialettico dell’educazione: questa si svolge su domande e risposte in cui si
ricorre anche alla confutazione, per purificare la sua anima sulle false opinioni.
AMORE: altra dottrina è quella dell’eros. Analizzò a fondo l’amore in senso stresso del termine, cioè quello
che implica passione, attrazione fisica tra persone. Quando questa passione impedisce all’anima di elevarsi
alla contemplazione delle idee, dando luogo a manifestazioni irrazionali, di puro desiderio fisico, è da
condannare (tema affrontato nel Fedro, quando l’auriga preso da questo amore è tenuto a freno dal cavallo
docile, il pudore, mentre il cavallo selvaggio spinto verso la persona amata). A volte questo carattere
passionale ha una funzione positiva, come l’elevazione dell’anima alla contemplazione delle idee. È un
amore che si trasforma in contemplazione del bello in sé.
ARTE: collegata anch’essa con l’educazione e la filosofia. Dal punto di vista educativo distingue vari tipi di
arte, negativi e positivi. È ostile alla poesia poiché non educativa (suscita passioni). La musica è considerata
positiva se è ispirata a un senso di bellezza e armonia. Un giudizio analogo a quello sulla poesia è riguardo
alle arti figurative (pittura e scultura). Sono concepite da loro come imitazione delle realtà sensibili, ma
dato che queste sono imitazioni delle realtà delle idee, le arti figurative sono imitazioni di imitazioni e
quindi si allontanano due volte dalla realtà.
Nello Ione afferma che l’arte è una specie di potere concesso dagli dei ai poeti, simile al potere di un
magnete. La fonte di potere è la musa, una divinità, quindi un ente superiore all’uomo, la quale la trasmette
ai poeti ispirandoli. La condizione in cui si trova il poeta è l’entusiasmo, ossia invasamento da parte della
divinità.
MITO: connesso al tema dell’amore e dell’arte c’è quello del mito. Questo indica un racconto che si
contrappone al logos per il fatto che manca di una concatenazione logica, cioè afferma senza dimostrare.
Può riferirsi a materie suscettibili e quindi vale come l’opinione, ed è il mito a cui si faceva riferimento
all’inizio per ricercare i principi primi. può anche non riferirsi a materie che non sono suscettibili di una
trattazione razionale, perché stanno oltre i limiti della conoscenza umana: resta inferiore alla scienza, ma
può comunque dire cose interessanti riguardo a un ambito che completa la scienza perché ne va oltre.
Platone ha usato entrambi i tipi di mito: il pre-scientifico e il post-scientifico. Il primo lo ha usato a scopo
didattico (anima guidata da un auriga), dove ha fatto ricorso a immagini sensibili per rendere facilmente
comprensibile un discorso. Il secondo compare a proposito di due temi: il destino della anime dopo la
morte e l’azione degli dei nella storia umana.
Del destino delle anime ne parla dapprima nel Gorgia, dove afferma che le anime degli uomini giusti
andranno nelle isole dei beati e vivranno felici, quelle degli ingiusti andranno nel Tartaro, luogo di pena ed
espiazione.
Ritorna su tale tema nel Fedone dove precisa che una vita ingiusta condanna l’anima a successive
reincarnazioni in esseri sempre più inferiori, mentre la vita giusta le consente di ritornare in un corpo
umano e poi nel cielo (dopo varie reincarnazioni)  le reincarnazioni sono l’espiazione di colpe espiabili,
mentre per quelle inespiabili c’è la condanna eterna al tartaro. Il premio per la vita del giusto (filosofo) è la
sopravvivenza eterna in un luogo superiore allo stesso cielo, dove si contemplano beatamente le idee.
Non è sicuro che le cose vadano davvero così “ma il rischio è bello e giova fare a se stessi simili
incantesimi”.
Tema che affronta di nuovo nella Repubblica dove immagina Er che risuscita e dice che nell’aldilà ha visto
che le anime dopo un periodo di pene sono costrette a reincarnarsi scegliendo il tipo di vita e la vita
peggiore è quella del tiranno.
Un altro tema di trattazione mitica, ma nel senso post-scientifico, è l’intervento del divino nella storia. Nel
Politico narra un mito secondo cui Dio farebbe girare periodicamente il mondo in un senso e poi lo
abbandonerebbe a se stesso, cosicché il mondo per un altro periodo girebbe in senso inverso: nei periodo
di intervento divino l’umanità vivrebbe un’età dell’oro (Il tempo di Crono), con la soddisfazione di tutti i
bisogni, in quelli di abbandono vive in condizioni di penuria e di guerra (Tempo di Zeus). Questo mito si
salda con quello esposto nel Protagora secondo cui il progresso della civiltà umana sarebbe dovuto al Dio
Prometeo che avrebbe rubato a Efesto il fuoco e ad Atene l’abilità tecnica per donargli agli uomini. A questi
doni poi si aggiunsero il pudore e la giustizia, portati agli uomini da Ermes per incarico di Zeus e così
sarebbero sorte le città.
IL TIMEO
IL RACCONTO VEROSIMILE: fa narrare al personaggio identificabile con Timeo di Locri, l’origine
dell’universo (cosmogonia). Poiché l’universo rientra nell’ambito del divenire, cioè della realtà sensibile,
non è vero essere, ma qualcosa d’intermedio tra l’essere e il non essere, quindi non può essere oggetto di
una vera scienza, quello può esserlo solo il mondo delle idee. Perciò Platone dice che si tratta di un
racconto verosimile (non perfettamente vero come la scienza, ma simile al vero).
DEMIURGO: al racconto vero e proprio della cosmogonia antepone un preludio che non è solo verosimile,
ma si considera come un discorso scientifico secondo il quale l’universo sensibile richiede per essere
spiegato, tre condizioni proprio a motivo del suo divenire, perché tutto ciò che nasce, nasce
necessariamente da qualcosa.
La prima di queste tre cause è l’artefice divino, il Demiurgo che è fattore e padre dell’universo. Questo
infatti essendo nato, deve essere stato creato da qualcuno ed è proprio il Demiurgo ad averlo fatto. Questo
artefice è concepito come un essere intelligente ed attivo e buono, ma non è creatore, come il Dio
cristiano, perché non crea il mondo dal nulla, non è creatore.
Il demiurgo opera guardando a un modello, un’imitazione, ma non guarda alle cose sensibili come fanno gli
uomini, ma imita una realtà intellegibile ed eterna, cioè il mondo delle idee. Quest’ultimo è la seconda
causa dell’universo, nel senso che ne costituisce il modello, l’esemplare eterno (paràdeigma), non è stato
fatto dal demiurgo, ma in qualche modo questo ne è superiore perché lo prende da modello. Aggiunge che
deve essere animato, essendo il mondo a cui fa modello, animato, perciò lo chiama anche vivente sensibile.
La terza causa necessaria per spiegare l’ordine dell’universo è il luogo in cui gli elementi materiali, si
agitavano disordinatamente prima che il demiurgo intervenisse ad ordinarli, formando con essi le cose a
immagine delle idee. È causa in senso opposto a quella del demiurgo, in quanto è causa del disordine,
infatti la chiama anche causa errante, o ricettacolo di tutto ciò che si genera, è il materiale, detto chora
(spazio indefinito e senza forma), è concausa (condizione necessaria per cui il mondo venga prodotto).
COSMOGONIA: il racconto vero e proprio ha origini con l’intervento del demiurgo sui quattro elementi che
già esistono nello spazio (chora). Tale intervento consiste nell’introdurre una proporzione matematica tra
terra, fuoco, aria e acqua e nel plasmare il cosmo imponendo forma e numeri a questi elementi. La
matematica è la base su cui si forma.
Il cosmo è animato, dunque come l’uomo, possiede un corpo e un’anima. Il demiurgo forma l’anima
mescolando l’identico con il diverso e una realtà intermedia tra i due. L’anima ha una natura affine alle idee
per questo pur essendo generata è immortale. Essa si muove da sé ed è la causa di tutti gli altri movimenti.
Poi il demiurgo forma il corpo dell’universo dandogli una forma sferica e facendolo ruotare su se stesso.
Nasce il cielo che è una sfera che contiene i vari astri e ruota con essi intorno la terra posta al centro
dell’universo.
Il moto del cielo e degli astri intorno la terra ci dà la misura del tempo (immagine mobile dell’eternità delle
idee). In questa concezione è ripreso il modello pitagorico del cosmo come composto da moti circolari
concentrici. Anche i singoli corpi esistenti nell’universo hanno forme matematiche, attribuisce infatti a
ciascuno dei quattro elementi la forma di un solido geometrico regolare e che tutti i corpi si riducono a
solidi geometrici scomponibili in superfici piane.
ENTI MATEMATICI, IDEE-NUMERI E PRINCIPI SUPREMI: la tendenza alla ma tematizzazione trova conferma
nelle dottrine non scritte. Secondo la testimonianza aristotelica, Platone avrebbe ammesso l’esistenza di
una realtà intermedia tra le cose sensibili e le idee, identificandole con gli oggetti della matematica. Questi
sarebbero veri e propri enti matematici, esistenti fuori dalle menti umani e fatti a immagine delle idee. Le
cose sensibili a loro volta sarebbero fatte a immagine degli enti matematici. Sempre secondo Aristotele,
Platone avrebbe poi modificato la dottrina delle idee, identificando ciascuna idea con un numero, che
sarebbero idee estremamente generali dotate di struttura numerica e dette quindi numeri ideali.
Nelle dottrine non scritte poi avrebbe fatto derivare le idee-numeri e con esse tutte le altre cose, da due
principi supremi: e Diade indefinita (limite, illimite). L’uno sarebbe il principio che conferisce
determinatezza, la diade sarebbe una realtà composta da due parti quantitativamente diverse, aventi un
rapporto reciproco del tutto indeterminato. Dall’unione dell’Uno con la Diade, attraverso cioè l’azione
determinatrice esercitata dall’uno sull’indeterminatezza della Diade, nascerebbero i numeri ideali. Ogni
numero non è altro infatti del rapporto tra due grandezze diverse.
In seguito, sempre per Aristotele, uno e diade sono stati identificati con il bene e male, e nelle dottrine non
scritte raggruppa gli enti in due classi, gli enti per sé (esistenti in assoluto) e gli enti relativi ad altro.
ACCADEMIA ANTICA
Indica il primo periodo di vita dell’Accademia platonica, quella degli scolarcati di Speusippo e Senocrate.
L’Accademia era stata concepita come una scuola di formazione politica. Poi affiancò altri interessi come
quello per le scienze matematiche (un aneddoto che conferma ciò è che sulla scuola c’era scritto che era
vietato entrare se si era ignoranti di geometria).
SPEUSIPPO
Successe Platone nell’Accademia, eliminò la teoria delle idee lasciando quella degli enti matematici,
ponendo l’Uno e il Molteplice come principi assoluti (al posto delle idee). Non li identifica con il bene e
male, questi sono presenti sono nelle realtà intermedie per sfociare poi in quelle sensibili. Concepì l’uno
come superiore all’essere.
Le realtà sensibili sono l’ultimo piano della realtà e furono classificate secondo un sistema di somiglianze e
differenze, tale per cui ciascuna di essa veniva ad essere definita dall’insieme delle sue relazioni con tutte le
altre.
La sua filosofia assegnava a ciascuno dei vari piani in cui si articolava la realtà, due principi, rinunciando così
a unificare tutta la realtà e accontentandosi di ammettere tra i vari piani solo un rapporto di analogia.
SENOCRATE
Cerca di conciliare Platone e Speusippo cercando di identificare le idee platoniche, ma nell’ultima versione
(quella che vede le idee come numeri ideali) con gli enti matematici dell’altro.
Pose l’Uno e la Diade infinita come principi identificandoli con il bene e il male (alias Platone), tra le ideenumeri e la terra pose i corpi celesti (realtà mantenuta da Aristotele, astronomia come scienza intermedia).
Le realtà terresti furono raggruppate in enti per sé e relativi ad altro.
In questa realtà ci sono i demoni ( entità intermedie tra umano e divino) capaci di intervenire nelle vicende
umane.
Contro Speusippo collega tutti i piani della realtà.
In politica fu di sentimenti democratici.
Con i successori di Senocrate (Polemone, Cratete e Crantore), l’Accademia mutò il proprio mutamento
filosofico, tanto da non essere più considerata scuola platonica.
ARISTOTELE
Stagira, 384 ac. Andò nell’accademia di Platone. Dopo il dibattito circa la dottrina delle idee, scrisse un
trattato “sulle idee” in cui criticava la separazione delle idee dal mondo sensibile. Scrisse dialoghi e trattati.
Nel 343 fu chiamato da Filippo II di Macedonia come precettore di Alessandro.
Tornò nel 335, ma essendo straniero non poteva comprare nessuna proprietà, per cui cominciò a fare
lezione in un giardino dedicato ad Apollo Liceo, scegliendo come luogo delle sue lezioni il
perìpatatos(passeggiata). Muore nel 322 a.c.
Sia Platone ed Aristotele scrissero opere dedicate alla pubblicazione e altre no, del primo si conservano
quelle da pubblicare, dell’altro no. Solo nel I secolo a.c. il peripatetico Andronico di Rodi fece l’edizione di
tutti i trattati del maestro.
Corpus aristotelicum inizia con trattati di logica (organon, strumento delle varie scienze). Di questa fanno
parte: Categorie/ De interpretazione/ Analitici primi/ Analitici secondi/ Topici/ Elenchi sofistici.
Poi quelle di fisica, aventi per oggetto la natura, prima in generale poi nei suoi aspetti particolari.
Comprendono: Fisica/ De caelo/ De generatione et corruptione/Meteorologici/ De anima/ Parva Naturalia/
Historia animalium/ De partibus animalium/ De motu animalium/ De animalium incessu/ De generazione
animalium.
Poi segue la metafisica.
Poi tre trattati di etica: Etica Nicomachea/ Grande etica/ etica Eudemea.
Chiude con: Politica/Retorica/Poetica.
Le opere essoteriche (=esterni) erano quelle destinate alla pubblicazione.
le altre esoteriche (=interne) quelle che non erano destinate alla pubblicazione e sono le uniche che ci sono
pervenute.
Si differenziano per lo stile. Tra le opere perdute rientrano soprattutto dialoghi. Di alcune solo frammenti:
Divisioni, Problemi, Memorie, Categorie. I trattati: sul Bene, Sulle idee, Sui pitagorici, Su archita e su
democrito.
LA CRITICA ALLE DOTTRINE PLATONICHE
DOTTRINA DELLA CATEGORIA: Aristotele entò nell’Accademia quando Platone stava rivedendo la dottrina
sulle idee il Parmenide e il Sofista sono i dialoghi in cui è chiaro il cambiamento di prospettiva. Da questi
due Aristotele prese spunto: dal Sofista riprende la concezione della dialettica, cioè della filosofia, come
procedimemto di divisione e quindi classificazioni di tutte le idee.
Per stabilire quando due idee cominicano tra loro, ossia quando un predicato appartiene a un soggetto e
quando no, distingue quattro tipi di predicazione a cui corrispondono i predicabili . Questa distinzione
viene esposta nei Topici, trattato in otto libri dedicato alla dialettica che contiene i tòpoi (=luoghi comuni)
di cui ci si può servire nelle discussioni dialettiche (che riguardano i quattro predicabili).
Quattro predicabili:
1) DEFINIZIONE: quando l’appartenenza del predicato al soggetto è tanto stretta da dar luogo a una
vera e propria identità, cioè il predicato è identico al soggetto, è il discorso che esprime l’essenza,
cioè che risponde alla domanda che cos’è. La definizione è costituita dal genere (predicato più
ampio di cui il soggetto rappresenta un caso particolare o specie) e dalla differenza specifica (altro
predicato che distingue la specie del soggetto dalle altre specie dello stesso genere). Esempio: la
definizione di uomo è “animale razionale” dove animale è il genere e razione è la differenza
specifica. Quando si dice che l’uomo (soggetto) è un animale razionale (predicato) si forma un
giudizio in cui soggetto e predicato sono identici, cioè interscambiabili (ogni animale razionale è
uomo).
2) GENERE: un predicato nel quale il soggetto rientra interamente, ma che tuttavia è più ampio nel
soggetto, cioè non si identifica con questo. Esempio: soggetto è uomo e genere è animale, il
predicato rientra (ogni uomo infatti è animale), ma è più ampio del soggetto (infatti non ogni
animale è uomo).
3) PROPRIO: è un predicato che pur non esprimendo l’essenza del soggetto, può appartenere
soltando ad esso. Esempio: il soggetto è uomo e il proprio è grammatico (capace di leggere e
scrivere)
4) ACCIDENTE: è un predicato che può appartenere e non a un certo soggetto, gli accade, gli capita.
Esempio: soggetto è uomo, accidentale è bianco.
Nelle “Categorie” osserva che fra i termini usati nelle predicazioni alcuni possono fungere tanto da soggetto
quanto da predicato, mentre altri solo da soggetto e mai da predicato. I primi sono i termini che indicano la
specie (per esempio uomo) o il genere (animale), mentre i secondi sono i termini che indicano gli individui (i
nomi propri), infatti individui significa indivisibili cioè non divisibili in casi particolari. Questi fungono solo da
soggetto, non solo nei confronti delle specie e dei generi e quindi nella definizione, ma anche nei confronti
dei propri e degli accidenti, i quali a loro volta hanno dei casi particolari non divisibili (come il particolare
tipo di bianco che appartiene a Socrate), cosi come hanno delle specie (bianco) e dei generi (colore).
Le realtà che fungono solo da soggetto sono le sostanze prime essendo realtà fondamentali. Senza di loro
non esisterebbe né la specie, né il genere, né il proprio e né l’accidente. Sostanza in greco ousìa per
Aristotele significa ciò che è in senso forte, cioè primario, in quanto condizione di esistenza delle altre cose.
Chiama ad esempio individui “sotanze prime” per distinguerli dalle loro specie e generi (come uomo e
animale), che sono anche loro sostanze (cioè realtà più fondamentali rispetto ai propri e agli accidenti, ma
meno nei confronti degli indivudui), ma sono seconde. Le sostanze seconde sono i generi e le specie, cioè
sono sostanze più fondamentali rispetto ai propri e gli accidenti, ma non rispetto agli individui.
Sia nei Topici che nelle Categorie osserva che tutti i termini usati nelle predicazioni, siano sia sostanze che
propri o accidenti, sono riconducibili a dieci generi supremi, le categorie (=predicazioni), le quali non sono
riconducibili a nessun altro genere superiore che le comprenda tutte:
sostanza/quantità/qualità/relazione/dove/quando/stare/avere/fare/patire.
Si ottiene così una tavola in cui è possibile far rientrare qualsiasi realtà (individui, specie, generi, sostanze,
accidenti) --> esempio: Individuo (Socrate) specie (uomo) genere (animale) categoria (sostanza).
La sostanza prima è alla base di tutto.
Nelle Categorie Aristotele insiste sulla differenza tra la sostanza e gli accidenti, affermando che la sostanza
sta sotto tutto, mentre il resto è in essa. In altre parti esprime questo concetto dicendo che la sostanza
prima esiste separata dalle altre, gli accidenti vivono solo con la sostanza: inoltre la sostanza non ammette
contrari, l’accidente si. Distingue la sostanza prima da ogni realtà, dicendo che essa è “un questo”, mentre
le altre sono solo “un quale”.
LA CRITICA ALLA DOTTRINA DELLE IDEE: la dottrina delle categorie (distinzione sostanza e accidenti) è nata
dallo sviluppo della dialettica esposta da Platone nel Sofista. Questa dottrina lo indusse a rifiutare quella
platonica delle idee (essa è alla base del trattato Sulle idee scritto quando ancora faceva parte
dell’accademia e riassunto nel I e XIII libro della Metafisica). Qui osserva che la dottrina delle idee, ponendo
un’idea separata per ciascun genere e ciascuna specie di realtà sensibili (idea di uomo separata dall’uomo
in carne ed ossa), aumenta il numero delle realtà esistenti, il che non facilita il compito di spiegarle.
Aristotele riconosce che il motivo che ha spinto Platone ad ammetterla era per dare un oggetto alla scienza,
ma ciò non porta ad ammettere idee separate, ma solo ad ammettere caratteri universali esistenti nelle
stesse realtà sensibili.
Questi caratteri universali non devono essere intesi come a loro volta soggetti avente realtà come quella
delle realtà sensibili (come accade se le idee vengono viste come modelli delle realtà sensibili) o si cade in
un regresso all’infinito. Esempio: se per spiegare l’esistenza del carattere uomo in tutti gli uomini sensibili,
si ammette l’esistenza di un uomo ideale avente egli stesso quel carattere, si deve ammettere l’esistenza di
un terzo uomo e così via (argomento del terzo uomo).
Inoltre se le idee sono separate dalle cose, secondo la dottrina platonica,essere dovrebbero essere, in base
alla dottrina aristotelica, sostanze prime (individui), invece sono state ammesse come oggetti di scienza e
quindi universali: come osserva Aristotele, l’universale o è sostanza seconda o accidente, qundi non può
vivere senza la sostanza prima, che è l’individuo sensibile.
Inoltre intese come separate, le idee non spiegano il motivo per il quale le cose sensibili sono fatte così.
Esse infatti non sono né causa dell’essere delle cose perché sono separate, cioè sono esterne rispetto alle
cose, né sono causa del loro divenire perché sono inerte. Rifiuta anche il Demiurgo come colui che plasma
le cose poiché ciò equivale ad antropomorfizzare la divinità.
CRITICA ALLA DOTTRINA DEI PRINCIPI: oltre a criticare la dottrina delle idee, critica anche quella delle ideenumeri e dei loro principi e la espone nel trattato Sul bene (esposta nel XIII e XIV libro della metafisica).
Critica la riduzione compiuta da Platone delle idee a numeri, osservando (in base alla sua dottrina delle
categorie), che i numeti sono quantità o relazione e non sostanza, perciò non possono esistere separati
dalle cose. Per Aristotele non ha senso ammettere dei numeri diversi da quelli matematici (in accordo con
Speusippo), ma quelli matematici sono quantità, quindi non possono esistere separatamente dalle cose
sensibili.
Inoltre i numeri, sia ideali che matematici, non servono a spiegare le cose, non ne sono causa. Non basta
rilevare che le cose hanno dei caratteri esprimibili in numeri per concludere che i numeri sono causa delle
cose. Da qui si distanzia anche dai pitagorici e da tutti quelli che volevano ridurre la filosofia a matematica.
Accusa gli accademici di aver ridotto la filosofia in matematica, nonostante ammettevano che la
matematica fosse propedeutica, quindi solo un’introduzione alla filosofia.
Per quanto riguarda la teoria dei principi, l’uno e la diade indefinita, in parte la critica e in parte l’accoglie
con numerose modifiche.
Critica l’uno osservando che se esso è inteso come unità di misura, assume tanti significati, quanti sono i
generi di oggetti da misurare e quindi non può essere il medesimo principio per tutti. Se è inteso come
predicato di tutti gli enti, allora è universale e come tale non è sostanza come pretendeva Platone, ovvero
non può sussistere solo, senza gli altri enti. Né ha senso identificarlo con il bene poiché esso non può essere
predicato di tutte le cose.
Critica la diade osservando che essa è quantità o relazione (grande-piccolo), perciò non è sostanza e quindi
non può essere principio delle sostanze.
Critica l’aver posto come principi, due identici tra loro e di averli intesi come contrari tra loro. Gli enti infatti
non possono avere tutti gli stessi principi, perché rientrano in generi diversi e irriducibili tra loro (categorie).
I principi possono essere gli stessi solo per analogia, cioè che svolgono le stesse funzioni, ma sono
individualmente diversi.
Oltre ai due contrari è necessario ammettere un terzo principio che funga da sostrato (supporto) ai
contrari, dove essi si trovano successivamente.
In questo modo recupera la molteplicità del mondo dell’esperienza evitando la riduzione della filosofia a
matematica.
CRITICA A PLATONE:
- Platone pensa che la realtà vera, oggetto del vero conoscere, sia qualcosa (le idee) che trascende la
nostra esperienza. Per Aristotele tutte le cose che ci circondando esistono effettivamente e non sono
immagini imperfette dell’idea.
- Per Aristotele è possibile uno studio scientifico della natura. In fatti se gli enti che i nostri sensi ci
rendono testimoni, sono realtà a tutti gli effetti, possono divenire oggetto di vera conoscenza. Platone
di contro nega che della natura si possa avere uno studio scientifico. Il fatto che le cose nascono, si
riproducono e muoiono fa abbandonare l’idea di un episteme a Platone, mentre in Aristotele fa
nascere l’idea di cercare le cause prime capace di rendere intellegibili i processi di trasformazione.
- La filosofia aristotelica evidenzia le differenze fra le cose. Mentre Platone considera l’unità del reale,
per lui tutte le distinzioni portano a una fondamentale unità.
- Aristotele cerca di salvaguardare la specificità e l’autonomia di ogni scienza singola e queste si trovano
tutte sullo stesso piano. In Platone tutte le scienze sono subordinate alla dialettica.
- Diversa anche l’impostazione dei rapporti tra sapere teorico e vita pratica. Platone identifica la virtù
con la conoscenza (intellettualismo etico, il male si compie per ignoranza), Aristotele invece distingue
la sfera della teoria da quella dell’agire e afferma che per determinare il comportamento virtuoso, un
ruolo fondamentale è svolto dalla volontà e abitudine.
- Platone si dedica alla filosofia per le riflessioni sul perché non funziona la politica, Aristotele essendo
straniero non si occupa di politica, ma i suoi studi sono di natura scientifica.
- Il genere letterario platonico è il dialogo, quello di Aristotele sono i trattati.
- Platone ha una metafisica dualistica, nell’iperuranio ci sono le idee, nel mondo gli enti. Aristotele
propone una classifica dell’essere in 10 categorie.
- Per Platone il creatore dell’universo è il demiurgo che plasma i quattro elementi guardando alle idee.
Per Aristotele è il primo mobile che è immateriale, atto puro e pensiero di pensiero (se pensasse agli
uomini cambierebbe anche lui).
- Platone distingue quattro livelli di conoscenza: immaginazione, credenza, matematica, filosofia. Per la
gnoseologia aristotelica si ha la conoscenza che parte da una sensazione di un oggetto, conservato in
memoria, poi il concetto e infine i vari giudizi.
LOGICA
LATEORIA DEL CONCETTO: la dialettica con Aristotele subisce molti cambiamenti. Nel Sofista, Platone la
indica come scienza delle idee, cioè di realtà universali e relazioni reciproche, ma una volta eliminate le
idee, rimane scienza di universali non più separati, ossia di concetti che esprimono gli aspetti universali
delle realtà sensibili (specie, generi e categorie)  i concetti non nascono prima delle idee, ma dopo:
desostanzializzazione delle idee. In Aristotele non si trova la parola concetto che è di origine posteriore, egli
parla solo di “universali”, per indicare il pensiero persistente nella mente utilizza “nozione” e per indicare
l’espressione di essi nel linguaggio usa “termini”.
Questi non sono solo formali, cioè vuoti, ma le espressioni linguistiche sono simboli (espressioni
convenzionali)e quindi variabili di nozioni, che a loro volta sono immagini e rappresentazioni non
convenzionali di realtà concrete.
Perfetta corrispondenza tra linguaggio, pensiero e piano della realtà.
La scienza del pensiero e del linguaggio (in greco logos) è la Logica (anche se lui la chiama analitica poiché
scompone il pensiero nei suoi elementi e lo analizza), di cui Aristotele è considerato il fondatore, in seguito
considerata poi strumento di tutte le scienze (tanto che la raccolta delle opere di Aristotele di logica venne
chiamata Organon).
La logica è vista da Aristotele come strumento delle altre scienze, ma è anzitutto scienza di per se stessa,
cioè scienza del pensiero e del linguaggio, cioè tratta di concetti, di giudizi (relazione di concetti), i
ragionamenti (concatenazione giudizi)che si dividono in: dimostrativi/dialettici/eristici. Di questi tratta
rispettivamente negli Analitici secondi, Topici e Elenchi sofistici.
Nelle categorie si è visto la classificazione dei concetti per specie e generi e la loro distribuzione in dieci
categorie. Per completare il discorso, si aggiunge che i concetti hanno due caratteristiche: estensione
(capacità di abbracciare in sé gli altri concetti), comprensione (capacità di distinguerle da altri concetti)
> quanto maggiore è l’estensione di un concetto, minore (categorie) è la comprensione e viceversa.
I concetti che hanno estensione massima e comprensione minima sono le categorie, quelli che hanno
estensione minima e comprensione massima sono le specie infime o divisibili (quelle cioè che non
contengono altre specie come loro casi particolari).
TEORIA DEL GIUDIZIO: questa è contenuta nel De Interpretatione.
Distingue le voci (=termini significanti per convenzione) in nomi (privi d’indicazione temporale. Ad esempio
“uomo” di cui non si dice quando è) e verbi (aventi indicazione temporale. Ad esempio “cammina” di cui si
usa il tempo presente). Presi soli non sono né veri né falsi. Se il nome è unito al verbo avremo una
proposizione affermativa (uomo cammina) o negativa (uomo non cammina). Queste possono essere vere
o false.
Sono vere se: uniscono o dividono termini che significano cose realmente unite o realmente divise.
Sono false se: quando uniscono o dividono termini che significano cose non realmente unite o non
realmente divise.
La derivazione di tale dottrina è dal Sofista.
Ci sono anche proposizioni né vere né false come le preghiere e i comandi. Poiché esse hanno comunque
un significato (nel senso che esprimono un pensiero che viene compreso dagli altri), sono detti discorsi
semantici (cioè significanti).
Quelle necessariamente false o vere sono i discorsi apofantici (enunciativi), o a livello del pensiero detto
giudizi. Questi differiscono tra loro per le qualità (affermativi o negativi).
I giudizi differiscono tra loro per qualità, nel senso che sono o affermativi o negativi.
Due giudizi rispettivamente affermativo o negativo, aventi lo stesso soggetto e predicato genera la
contraddizione. Questa non è possibile che sia vera, cioè che nella stessa realtà uno stesso oggetto sia
unito e diviso dallo stesso predicato (principio di non contraddizione). È necessario che nella contraddizione
un giudizio sia vero e l’altro falso, così da non esserci una terza possibilità (principio del terzo escluso).
I giudizi differiscono anche per quantità, cioè sono universali, particolari o individuali.
I giudizi universali affermati e negativi con stesso soggetto e predicato, possono essere entrambi falsi,
perciò non danno luogo a contraddizioni, ma sono contrari. Analogamente quelli particolari possono essere
entrambi veri e non generano né contraddizione né contrari.
Infine i giudizi universali affermativi e particolari negativi o universali negativi e particolari affermativi sono
fra loro contradditori.
I giudizi si distinguono per modalità a seconda che esprimino possibilità (ciò che non è, ma può
essere)/contingenza(ciò che è, ma può non essere)/impossibilità(ciò che non è e non può essere) o
necessità(ciò che è e non può non essere). Lo studio approfondito di tali giudizi è la logica modale, dove
sviluppa i contingenti futuri, dove le coppie di giudizi opposti si sottraggono, nel presente, al principio del
terzo escluso (“domani nevica” o “domani non nevicherà” nel presente non nessuno dei due è vero o falso,
lo saranno nel futuro). Non nega la contingenza.
SILLOGISMO: la concatenazione dei giudizi genera un ragionamento particolare: sillogismo ragionamento
formato da tre giudizi I primi due giudizi sono le premesse, il terzo la conclusione. Questa deriva
necessariamente dall’unione delle due premesse. Per avere un autentico sillogismo,
occorre che entrambe le premesse abbiano un termine comune, il termine medio, in cui
in una occupi la funzione di soggetto, nell’altra predicato. La conclusione è formata dagli
altri due termini, estremi.
Esempio:
“ogni uomo è mortale”
Prima premessa (maggiore, poiché più universale)
“ogni ateniese è un uomo”
Seconda premessa (minore, perché particolare)
“ogni ateniese è mortale”
Conclusione (deduzione, poiché particolare)
Termine medio:uomo (soggetto nella prima, predicato nella seconda); Ateniese e mortale sono gli estremi. I
termini per un sillogismo corretto devono essere solo tre.
La conclusione è sempre particolare, per cui il sillogismo va da un giudizio universale a uno particolare,
perciò viene chiamato deduzione.
Distingue varie figure di sillogismi a seconda della posizione del termine medio (universale affermativo A,
particolare affermativo I, universale negativo E, particolare negativo O):
nella prima figura il termine medio fa da soggetto e poi predicato.
Nella seconda fa da predicato.
Nella terza da soggetto in entrambe le premesse
Nella quarta predicato e poi soggetto.
La deduzione, se corretta, è infallibile. Vale qualunque sia il significato dei termini di cui si serve, purchè
siano nella posizione corretta  è un procedimento puramente formale, il cui valore dipende dalla sua
forma (struttura), dalla relazione dei suoi termini e non dal suo contenuto (cioè il significato).
Altro importante sillogismo è la riduzione all’assurdo dove dimostra la validità di una tesi deducendo dalla
tesi contraddittoria una conclusione assurda, perché contrastante con un’ipotesi precedentemente
ammessa. Altro è la confutazione dove si dimostra la falsità di una tesi deducendo da essa una conclusione
contraddittoria con sé.
Altro tipo di ragionamento è l’induzione ovvero dal giudizio particolare si passa a conclusioni universali.
Questo non è infallibile, è meno sicuro della deduzione, ma permette di acquisire nuove conoscenze.
SILLOGISMO DIMOSTRATIVO: è un particolare sillogismo che illustra negli Analitici secondi. Ha luogo
quando le premesse da cui si parte sono proposizioni vere, cioè esprimenti una relazione fra termini
conformi a quella esistente nella realtà fra cose da essi significate. Così si sa che anche la conclusione è
vera, perché il sillogismo trasmette in modo necessario la verità delle premesse alla conclusione.
In ciò consiste la scienza, perché tale conclusione oltre a dirci che è vera, ci dice che non può essere
diversamente.
Le premesse, quando sono anche prime, quindi non dedotte da altre premesse, sono dette Principi della
scienza. Distinti in: - comuni a più scienze(assiomi), - propri a una singola scienza(ipotesi).
I principi propri sono l’assunzione dell’esistenza dell’oggetto della scienza in questione (per esempio nel
caso dell’aritmetica sono i numeri), detta anche ipotesi e la definizione della sua essenza (ciò che dice ad
esempio cosa sia un numero paro) detta anche definizione.
Tutti i principi propri sono veri, in quanto evidenti agli specialisti delle scienze di cui sono propri. I principi
comuni invece esprimono una proprietà comune agli oggetti di più scienze. Essi sono evidenti a tutti e per
questo sono detti assiomi che sono proposizioni degne di essere ammesse a causa della loro evidenza.
Assiomi comuni a tutte le scienze sono il principio di non contraddizione e del terzo escluso. Ciascun
principio comune a più scienze è identico per tutte queste solo per analogia, in quanto esprime un rapporto
sempre identico esistente tra oggetti diversi.
Essendo i principi propri diversi per ciascuna scienza e i principi comuni identici solo per analogia, non i può
dire che scienze abbiano tutti gli stessi principi, o che esista una scienza universale come sosteneva Platone
o Senocrate, capace di dedurre tutte le cose dagli stessi principi.
Ogni scienza è distinta da tutte le altre: molteplicità e autonomia delle scienze è un altro tratto della
filosofia di Aristotele.
I principi delle scienze sono indimostrabili e sono colti con un atto del nous che ha luogo dalla percezione
sensibile (àisthesis). Questa ha per oggetto un aspetto particolare della realtà, ma dato che in tali realtà
sono presenti aspetti universali (es. nel singolo uomo c’è l’essere uomo) quando la percezione si ripete,
genera l’esperienza, così l’intelletto coglie nel particolare, l’universale (induzione). Per Platone invece la
conoscenza è reminescenza, non può partire dall’esperienza.
DIALETTICA: per Platone la dialettica era la scienza della relazione tra le idee, per Aristotele è tecnica
dell’argomentazione corretta, cessando di essere conoscenza della realtà. Questo gli permette di conferire
alla dialettica applicazioni più ampie rispetto a Platone. In Aristotele quando la dialettica argomenta da
conoscenze vere, diventa dimostrazioni e quindi scienza, ma quando non dispone di principi da cui partire,
cioè esercita un campo diverso dalla scienza, per esempio in quello dell’opinione, può servire ugualmente
ad argomentare in modo corretto. Per Aristotele è proprio l’arte di argomentare correttamente nel campo
delle opinioni.
Quando mancano dei principi veri e propri, assume come premesse proprie argomentazioni, opinioni
dotate di particolare valore, purché ammesso da tutti, che chiama èndoxasillogismo dialettico; diverso da
quello scientifico perché questo parte da principi, mentre il primo da endoxa e quindi ha un valore inferiore
alla dimostrazione.
Il sillogismo dialettico si distingue anche da un terzo tipo di sillogismo, quello eristico o sofistico, per il fatto
che questo ha di mira il mero successo nella discussione, ottenuto con qualsiasi mezzo, e dunque anche con
l’inganno. Non parte da veri e propri endoxa, ma solo da endoxa solo apparenti (cioè da opinioni che
sembrano ammesse da tutti, ma in realtà non lo sono). L’eristica è una contraffazione della dialettica, la
quale è corretta ed onesta. Il valore della dialettica è riconosciuto al punto tale che non serve solo per
prevalere in una discussione, ma anche per procedere nell’ambito delle scienze quando non si dispone di
principi. Uno degli strumenti di cui si serve la dialettica è la distinzione dei molti significati di una stessa
parola, ciò consente di creare sillogismi. Quando invece non si distinguono tali significati e si usa uno stesso
termine ora con un significato, ora con l’altro, non si ha un vero sillogismo e si avrà quindi una confutazione
sofistica. Negli Elenchi sofistici smaschera molte confutazioni di questo genere.
FISICA
I TRE GENERI DI PRINCIPI E I QUATTRO GENERI DI CAUSE: come concepisce i principi supremi della realtà?
Vediamo quindi come realizza il concetto di filosofia ereditato da Platone secondo il quale la filosofia è
conoscenza dei principi primi, le cause che non hanno altre cause.
Una volta rifiutato il mondo delle idee, la realtà di cui la filosofia ricerca le cause prime secondo Aristotele è
la stessa realtà sensibile ovvero il mondo fisico, la natura (physis) --> la filosofia intesa come conoscenza
delle cause prime, nasce come ricerca dei principi della natura, cioè come fisica.
Per Platone la fisica non poteva essere vera scienza, in quanto il suo oggetto, essendo realtà dimezzata,
poteva essere descritto solo mediante un discorso verosimile. Per Aristotele la fisica si configura come
scienza, in quanto il suo oggetto è autentica realtà.
Nel criticare i principi dell’uno e della diade, Aristotele aveva rilevato che non basta porre due contrari, ma
è necessario ammettere anche un sostrato, cioè un terzo principio, capace di accogliere in sé i due contrari.
Ogni volta che si ha un divenire, osserva che una cosa, che prima non aveva un certo carattere, poi lo
acquista. Per spiegare tale processo si deve ammettere l’esistenza di tre principi: la cosa che muta è il
sostrato; la mancanza in esso di un certo carattere è chiamata privazione che è mancanza. Infine il
carattere acquistato è chiamato forma.
Quando il mutamento è compiuto, il sostrato ha acquistato una forma e si comporta nei confronti di questa
come materia, cioè come materiale che è stato plasmato in un certo modo (esempio: il marmo è il sostrato
o materia,effigie è la forma).
Tre dunque sono i principi che è necessario ammettere per spiegare il mutamento: la materia, la privazione
e la forma.
Considerando anche gli elementi del processo, le sue fasi, la materia si presente come qualcosa che non ha
la forma, ma possiede la capacità di acquistarla  è in potenza.
La forma non ancora presente all’inizio, si presenta al termine come realtà dispiegata, realizzata, ovvero in
atto. Potenza e atto sono l’equivalente di materia e forma (esempio: il marmo prima di essere scolpito, è in
potenza una statua di Socrate, dopo essere stato scolpito è una statua di Socrate in atto).
La potenza (dynamis)è la materia, che può essere informe e anche formata, ossia è capace di accogliere in
sé i contrari (privazione e forma); l’atto (enèrgheia) è la forma che è presente e con la sua presenza, realizza
uno degli opposti che la materia era capace di accogliere, escludendo l’altro.
La forma è la sostanza individuale, la materia indica il materiale che ricevendo la forma dà luogo alla
sostanza. In ogni trasformazione c’è qualcosa che passa dalla potenza all’atto (potenza è ciò che potrebbe
essere, la possibilità, l’atto è la realtà).
Spiega il divenire che Parmenide aveva negato, intendendo il divenire come un passaggio dal puro non
essere, all’essere, o viceversa.
Il divenire è un passaggio dalla potenza all’atto, cioè dal non essere che è l’essere in potenza, a quel certo
essere che è l’essere in atto.
 La fisica si dispiega così come scienza del divenire.
Pone altri principi per generare una trasformazione: bisogna esserci un agente che fa passare la potenza
all’attocausa motrice; ciò che da avvio al processo. Inoltre il cambiamento è intellegibile, ovvero è
spiegabile solo se se ne scorge il sensocausa finale; motivo per il quale si passa all’atto.
La causa motrice è una realtà diversa dai principi prima menzionati, perché li precede (lo scultore esiste
prima di scolpire il marmo), la causa finale coincide con la forma, perché è il fine del processo. La forma,
cioè l’atto, è detta entelècheia, che indica il raggiungimento del fine. Anche la materia e forma servono a
spiegare il cambiamento, per cui sono causa materiale e formale.
In conclusione: per spiegare il divenire, sono necessari quattro tipi
di cause: la causa motrice, materiale, formale e finale.
Riassumendo: i predicati (ciò che si può dire del soggetto) sono detti categorie. Ne individua dieci: sostanza/
quantità/ qualità/ relazione/ luogo/ tempo/ situazione/ avere/ agire/ subire. Con queste si possono
classificare cose o eventi. La categoria primaria è la sostanza, infatti tutte le altre categorie devo essere
predicate di qualcosa, di una sostanza. Il loro essere è in riferimento e dipende dalla sostanza.
Ciò non vale per tutte le categorie, infatti distingue tra sostanze prime e seconde. La prima (come l’individuo
Socrate) non può mai essere predicata di un’altra sostanza né esistere in un’altra. Le seconde sono i generi e
le specie e possono essere predicate della sostanza prima.
Gli accidenti sono le altre nove categorie che sono proprietà che la sostanza può o meno avere, senza che essa
può essere compromessa.
Ogni sostanza prima è l’insieme di materia e forma (sinolo). Si ha la forma che indica sia l’aspetto interiore che
esteriore. La materia indica il materiale che ricevendo la forma fa la sostanza. In ogni trasformazione per lui
c’è un passaggio dalla potenza all’atto. La prima è priva di forma, nella trasformazione prende atto e diventa
forma.
Altri due concetti per il cambiamento: causa efficiente e finale.
NATURA : il complesso delle opere di fisica è la realizzazione di questo programma, cioè ricerca delle
quattro cause. Nella Fisica chiarisce il concetto di “natura”, cioè la realtà in cui vanno ricercate le cause. La
natura è l’insieme degli enti che hanno in se stessi il principio del loro mutamento o del loro stare in quiete,
nel senso che non dipendono dall’uomo: questi sono gli enti naturali. Si distinguono dagli enti artificiali che
hanno il principio del loro mutamento o del loro stare in quiete nell’uomo, nella sua arte.
 La natura è tutto ciò che non dipende dall’uomo, che esistono da soli e da soli si sviluppano.
 È arte tutto ciò che dipende dall’uomo, tutte le cose che sono fatte da esso.
L’arte (produzione umana) è per lui subordinata alla natura, nel senso che la imita, la completa. L’arte della
scultura ad esempio imita la natura, perché produce oggetti. Se l’arte che imita la natura, agisce sempre in
vista di un fine, si deve ammettere che persegue un fine di natura. Di contro gli atomisti, la natura persegue
quindi un fine, non è dominata dal caso. Concezione teleologica.
Non si deve credere che per Aristotele il fine sia qualcosa di esterno e superiore rispetto alla natura: al
contrario ogni ente naturale tende ad un proprio fine, che è costituito dal suo pieno sviluppo, cioè dalla
piena realizzazione della sua forma.
Quando un processo naturale, orientato a un certo fine, per un motivo qualsiasi non lo raggiunge, si
determina una situazione dovuta al caso, per esempio quando in natura si genera un mostro. Ciò accade
raramente perché i processi naturali, si svolgono per lo più allo stesso modo. Se essi non si svolgono
sempre allo stesso modo, è dovuto alla materia presente nelle realtà naturali che non si lascia plasmare
perfettamente. Elenca quattro mutamenti: mutamento di sostanza (nasce e muore, ciò che rimane è la
materia), di quantità (cresce e diminuisce), di qualità (odore, sapore, cibi avariati) e locale (o moto, cambia
il luogo).
CIELO, TERRA ED ELEMENTI: primo tipo di causa della natura ricercata è quella motrice: tutto ciò che muta
necessita di una causa motrice, e questo risulta dal concetto stesso di mutamento, inteso come acquisizioni
in atto di una forma che si possiede solo in potenza. Ciò che muta infatti non può darsi da sé la forma,
perché in tal caso già la possederebbe e dunque non muterebbe, ma la deve ricevere da qualcosa che già la
possiede. Non si può risalire all’infinito nella ricerca di una causa motrice, perché un infinito anche solo in
potenza escluderebbe l’esistenza di un principio, cioè di una causa prima. Questa causa motrice prima è
chiamata primo motore non può essere mosso esso stesso, altrimenti si richiede un ulteriore causa
motrice, ma deve essere quindi un motore immobile. In ciò si differenzia da Platone che faceva dipendere
tutti i movimenti da un’anima del mondo semimovente.
Il principio aristotelico essendo immobile, è già in atto, non ha potenza, quindi non ha materia e per questo
non fa parte della natura. Per tale motivo va studiato da un’altra materia diversa dalla fisica, che è la
filosofia prima.
Nel De caelo si occupa di ciò che muove tale motore, che nell’ordine, la prima realtà mossa è il cielo
(sostanza intermedia tra il motore e la terra). Concepito come sfera concentrica, anzi come varie sfere
concentriche che circondano la terra, nella prima ci sono le stelle e nelle altre i pianeti. Si muovono
eternamente di un moto locale, con il più perfetto, in modo circolare, su se stessi. Per fare ciò devono
essere composti di elementi diversi dai soliti, cioè non soggetta ad altri mutamenti, di una materia speciale,
l’etere, elemento più sottile del fuoco e più nobile di tutti gli altri. Questo è solo il corpo dei cieli che hanno
un’anima, cioè sono viventi, ma non si muovono soli, ma sono mossi ognuno da un suo motore immobile,
distinto da essi e ad essi superiori.
L’universo è finito infatti è limitato dalle sfere concentriche dei cieli, e al suo centro che sta la terra
immobile, anch’essa di forma sferica. Questa, al contrario dei cieli, ha i quattro elementi tradizionali che si
muovono in maniera rettilinea, non possiedono quindi il movimento circolare, e sono soggetti a
mutamenti. Tale argomento è affrontato nel De generatione et corriptione.
Ciascun elemento ha un luogo naturale (fuoco in alto, poi aria, acqua e terra). Una conseguenza di tale
concezione è il geocentrismo, la terra in quanto corpo pesante, occupa il centro dell’universo. Al di sopra
c’è la luna, il sole, i pianeti, le stelle fisse o primo cielo.
Con la dottrina degli elementi, ha completato la ricerca di un altro genere di causa, quello delle cause prime
materiali. Sono i cinque elementi (etere, acqua, aria, terra, fuoco): tutte le cose sono composte di essi, cioè
i corpi celesti (stelle, pianeti, sfere) di etere e i corpi terrestri o di elementi terrestri allo stato puro o di una
mescolanza.
Dato che gli elementi terrestri si trasformano l’un nell’altro, come l’acqua in aria mediante l’evaporazione,
ammette l’esistenza di una materia prima che fa da sostrato ad essi, ma non esiste allo stato puro (cioè
separata da qualche forma). Le forme dei quattro elementi terrestri sono le quattro qualità fondamentali
(caldo, freddo, secco, umido) combinate a coppie. Le trasformazioni di questi elementi provocano
fenomeni metereologici.
Il mondo è eterno , non ha né inizio né fine, ma non è infinito spazialmente perché in uno spazio infinito
non ci sarebbe centro, né i mondi possono essere infinito, come sostenevano gli atomisti. Per dimostrare
l’unicità del mondo usa una dimostrazione per assurdo: se esistesse un secondo mondo, dovrebbe essere
costituito dagli stessi elementi costitutivi del nostro, ma in base alla dottrina dei luoghi naturali, ciascun
elemento tende al proprio luogo e quindi la terra di questo secondo universo tenderebbe a ricongiungersi
con la terra del nostro universo e così tutti gli altri elementi. Ne consegue che l’universo è unico e finito.
ANIMA: i corpi terrestri si dividono in privi di vita e viventi. Aristotele concepisce la natura come animata,
interpretandola quindi per mezzo di un modello biomorfico, cioè spiegando il non vivente mediante
concetti ricavati dall’analisi del vivente. Gli esseri viventi hanno come materia la stessa degli esseri non
viventi, ma hanno una forma diversa, che non è mera combinazione degli elementi, ma hanno un principio
più elevato che chiama anima. Tratta di questo nel De anima che è il proemio di tutte le sue opere di
biologia. In esso definisce l’anima come “forma di un corpo naturale che ha la vita in potenza” o come
“l’atto primo di un corpo naturale dotato di organi” .
 L’anima per lui quindi non è una sostanza indipendente da corpo, unita a questo solo in modo
accidentale (come intendeva Platone e Pitagora), ma è la struttura, l’organizzazione stessa del
corpo vivente, il principio vitale che coordina le funzioni dei propri organi, facendoli concorrere
tutti a un fine, che è il mantenimento della vita.
Secondo Aristotele, il problema dei suoi predecessori è stato quello di considerare l’anima come principio
di movimento e d’intelligenza, ma così hanno fornito una definizione dell’anima che lascia fuori molti
viventi che non sono dotati né di movimento, né di pensiero, come le piante. Lui invece trova una
definizione che abbracci tutti gli esseri viventi.
È una sostanza, ma non nel senso di materia, ma in quello di forma. Ma dire forma nel linguaggio
aristotelico equivale a dire atto, per cui egli definisce l’anima come entelechìa (atto perfetto) di un corpo
naturale che ha la vita in potenza. Solo un corpo dotato di organi (strumenti che possono eseguire certe
funzioni), hanno la vita in potenza  l’anima è l’attuazione delle funzioni potenziali che caratterizzano il
corpo.
Contro Platone, Aristotele non condivide né la concezione di corpo e anima come entità separate, né
dell’anima come un insieme di parti; per Aristotele è un insieme di funzioni. Il tipo più alto di anima
contiene quelli inferiori, contro la teoria platonica delle tre parti dell’anima in conflitto tra loro.
Queste funzioni non sono sempre esercitare in atto negli esseri viventi, ma sussistono in essi
potenzialmente e di volta in volta vengono attualizzate. Se così non fosse bisognerebbe dire ad esempio
che quando dormono e quindi non svolgono funzioni, i viventi sarebbero privi di anima, in realtà non
stanno solo esercitando in atto le funzioni.
Tre sono quindi le funzioni proprie dell’anima:
1) Anima vegetativa: attività fondamentale è la nutrizione e riproduzione, delle piante in particolare,
ma in genere di tutti gli esseri, uomo compreso.
2) Anima sensitiva: sono la sensibilità e il movimento le funzioni principali, tipica degli animali, non
appartiene alle piante e si esplica mediante i cinque sensi, ciascuno dei quali ha un proprio oggetto
sensibile.
3) Anima intellettiva: pensiero e volontà,solo degli uomini. Consente di giudicare il vero e il falso, di
desiderare.
La sensibilità è la capacità di provare sensazioni, percezioni, che avviene mediante gli organi di senso e di un
senso comune che percepisce stimoli comuni a sensi diversi. La percezione consiste nell’assunzione, da
parte dell’organo di senso, della forma sensibile propria di un oggetto. Essa consiste nel passaggio dalla
potenza all’atto. Grazie alla percezione si forma negli organi di senso un’immagine (phàtasma) dell’oggetto,
conservata nella memoria e riprodotta dall’immaginazione (phantasìa).
Analizza poi il pensiero (cioè la formazione dei concetti). Avviene grazie al nous che coglie nell’immagine
sensibile degli oggetti la forma intellegibile, cioè l’essenza e si ha l’induzione.
Senza percezione (esperienza) non si ha conoscenza. Posizione antitetica a Platone. Aristotele è un
moderno empirista (poiché la conoscenza deriva dall’esperienza).
La conoscenza umana va però ben oltre l’esperienza, attraverso la formazione di concetti. Per questo sono
necessarie due concezioni: un principio che faccia passare all’atto la forma intellegibile (presente
nell’immagine sensibile solo in potenza), quindi un principio che apprenda tale forma, passando da
intelligente in potenza a intelligente in atto.
Il primo principio è chiamato intelletto attivo o produttivo: esso deve essere già in atto, perché solo ciò che
è in atto può far passare all’atto altre cose, e viene paragonato da Aristotele alla luce, che fa passare all’atto
le forme sensibili alla vista. Questo intelletto, stando sempre in atto, è privo di potenza, quindi è
immateriale, cioè del tutto indipendente dal corpo e quindi immortale.
Il secondo principio è chiamato intelletto passivo in quanto è prima in potenza (del tutto vuoto, come una
tavoletta su cui ancora non sono stati fatti dei segni, una tabula rasa) e poi passa all’atto, assumendo in sé
qualsiasi forma intellegibile e rivelandosi capace di diventare in qualche modo tutte le cose.
Aristotele non specifica se i due intelletti siano collegati, tanto da fare in modo che quello attivo renda
partecipe l’altro dell’immortalità e dunque rendendo immortale anche l’intera anima di ciascun uomo,
oppure se siano separati e che quello attivo sia esterno e unico per tutti gli esseri umani che quindi sono
mortali. Questo mancato chiarimento apre le svariate interpretazione dei commentatori.
Dalla sensibilità e dall’intelletto dipendono i desideri e tendenze: dalla prima quelle sensibili, e da secondo
quelle razionali --> la conoscenza precede sempre il desiderio, nel senso che si desidera solo ciò che si
conosce come buono. Il movimento avviene quando un oggetto conosciuto come buono. Attrae a sé
l’anima suscitando così il desiderio.
Gnoseologia: “nulla è nell’intelletto che non sia stato prima nei sensi”.
La conoscenza deriva da una sensazione (contro Platone che vede i sensi illusori).
Si parte da una sensazione in presenza di un oggetto, conservata nella memoria in assenza del
medesimo oggetto. Da vari ricordi, attraverso l’astrazione (ragione) si costruisce il concetto della
stessa classe. Dopo la conoscenza consiste nel trovare la relazione tra oggetti diversi, che è il giudizio
(dire qualcosa di qualcos’altro).
SENSAZIONE
di cose particolari-presenti o non
MEMORIA
CONCETTO --> astrazione delle classi di oggetti
GIUDIZIO --> relazione tra oggetti diversi
BIOLOGIA: la dottrina dell’anima come forma, quindi come principio di organizzazione interna agli esseri
viventi, ha permesso al filosofo Aristotele di fondare la biologia cioè la scienza della vita. Anche in questo
caso parte dall’esperienze, quindi dall’osservazione.
Nel De partibus animalium distribuisce tutti gli animali per generi e specie, inaugurando una classificazione.
Li divide in forniti di sangue e privi (quella che oggi corrisponde a vertebrati e invertebrati); tra i primi
distingue i mammiferi, rettili, anfibi, uccelli e pesci. Tra i secondi stabilisce una distinzione più complessa.
Analizza poi le parti di ciascun animale e nello studio applica la ricerca delle cause, soprattutto finale che gli
permette di scoprirne le rispettive funzioni, inaugurando il principio biologico la funzione spiega l’organo
Assegna una funzione centrale al cuore, fonte del calore vitale. Studia anche il modo in cui si riproducono.
La generazione per lui è nella trasmissione di forma. Questa è identica per tutti gli individui della specie,
così la specie permane. Ciascuna specie infatti per lui è eterna. Inoltre studiando l’embrione ha scoperto
che esso cresce non per progressiva esplicitazione di organi preformati, ma per generazione aggiuntiva di
organi nuovi (teoria dell’epigenesi).
Alcuni errori furono però commessi: credere che nella riproduzione la forma venisse data solo dal genitore
maschio e la materia da quello femmina; che la respirazione servisse solo per raffreddare il snague e che
l’organo della sensibilità sia il cuore e no il cervello.
LA FILOSOFIA PRIMA O METAFISICA
L’ESSERE IN QUANTO ESSERE E LE SUE PROPRIETà: Aristotele ha ripreso il concetto platonico di filosofia
come scienza delle cause prime, applicandolo allo studio della natura. Questa ricerca delle cause prime
della natura, è pervenuta a risultati che vanno oltre la natura stessa, nel senso che alcuni cause (motori
immobili e intelletto attivo) si sono rivelate immobili e dunque non fanno parte della natura propriamente
detta la quale è sempre materiale.
Si induce così a riconoscere che l’oggetto della filosofia non è solo la natura, ma una realtà
più ampia che indica con l’espressione “essere in quanto essere”.
La filosofia come ricerca delle cause prime (=causa di tutto), non è più soltanto scienza della
natura, ma è scienza dell’essere in quanto essere.
Per distinguere questa nuova filosofia dalla fisica, la chiama METAFISICA, o filosofia prima (in quanto
perviene alle cause prime) e declassa la fisica come filosofia seconda.
In seguito la scienza dell’essere in quanto essere sarà denominata ontologia (da on-òntos che è essere).
L’essere in quanto essere non è altro che la totalità dell’essere, ovvero tutto ciò che esiste, tutto l’essere di
tutti gli enti, considerato di per se stesso senza qualche aspetto particolare.
Rivela che: l’essere si dice in molti sensi, cioè la parola “essere” possiede molti significati i quali
corrispondono alle dieci categorie (essere in sé come è proprio della sostanza, o essere in un luogo ecc).
Con questa dottrina, anticipata da Platone nel Sofista con l’introduzione del diverso, Aristotele supera in
modo definitivo la concezione univoca dell’essere sostenuta da Parmenide (secondo la quale l’essere ha un
solo significato), esiste cioè un solo tipo di essere. Secondo Aristotele ce ne sono di diversi che rimangono
irriducibilmente diversi. Il pericolo è che a questo punto è che se l’essere è privo di unità, non è più
possibile una scienza complessivo di esso ( sarebbe così compromessa l’idea di creare la filosofia prima).
Pericolo sventato ammettendo una certa unità dell’essere, costituita dalla dipendenza di tutte le categorie
dalla sostanza. Questa non è principio come l’uno di Platone, infatti non è un genere universale di cui tutte
le altre categorie sono casi particolari, ma è una categoria fra le altre, che è tuttavia condizione dell’essere
di altre.
Per trovare dunque la causa dell’essere in quanto essere, bisogna trovare le cause prime della sostanza che
attraverso essa saranno cause di tutto l’essere.
Prima di cominciare tale ricerca, si sofferma ad illustrare alcune proprietà universali dell’essere in quanto
essere. La prima è espressa dal principio di non contraddizione: è impossibile che uno stesso predicato
appartenga o non allo stesso soggetto nello stesso tempo, è cioè impossibile affermare e negare lo stesso
predicato dello stesso soggetto, nello stesso tempo e nello stesso senso.
Principio del terzo escluso: è impossibile che fra due predicati contraddittori c’è un termine intermedio.
CAUSE PRIMA DELLE SOSTANZE: per trovare le cause prime dell’essere in quanto essere si devono cercare
dapprima quelle della sostanza. Questa è la prima tra le categorie sia dal punto di vista dell’essere (perché
gli altri enti categorici non esistono se non in funzione della sostanza), sia dal punto di vista della nozione
(perché la definizione delle altre categorie contiene sempre un riferimento alla sostanza). I caratteri
distintivi della sostanza sono di essere separata, cioè di sussistere in se stessa e non in altro, e di essere “un
questo”, cioè una realtà determinata in modo e non intesa a determinare altro. In base a ciò si deduce che
non può essere sostanza la sola materia: benché questa in quanto è sostrato del divenire sussista in sé e
non in altro, essa non può esistere separatamente dalla forma. Nemmeno la sola forma può essere
sostanza, perché anche se di contro la materia può avere realtà determinate, non è altro che
determinazione posseduta dalla materia e quindi non può sussistere sola.
Nella realtà sensibile può essere
sostanza solo l’insieme di materia e forma, il composto chiamato sinolo (=l’intero composto).
Del sinolo andranno cercate le cause prime, cioè le cause più profonde corrispondenti alle quattro cause
individuate nella Fisica.
La causa materiale è data dalla materia di cui il sinolo è costituito e dai quattro elementi terrestri, la cui
mescolanza da luogo ad altri tipi di materia.
La causa formale è data dall’essenza, cioè la definizione. La vera causa formale non è tanto il genere, il
quale è ancora troppo universale e non determina in maniera completa la sostanza, quanto la differenza
specifica, cioè la sua determinazione ultima. È causa prima nel genere della causa formale e in quella finale:
il fine infatti a cui tende ogni mutamento delle sostanze è realizzazione piena della forma (entelechia).
LA POTENZA E L’ATTO: nella Metafisica approfondisce l’analisi di questi due termini. Sono l’espressione
dinamica della materia e forma, cioè la funzione che esse svolgono durante il divenire. Sono però anche
due modalità dell’essere in quanto essere: ogni essere difatti può essere sia in potenza che in atto e ciò vale
sia per la sostanza che per gli accidenti (10 categorie) --> potenza e atto abbracciano tutto l’essere.
Aristotele distingue vari tipi di potenza:
 Attiva: potenza di agire (come quella di riscaldare)
 Passiva: potenza di patire (di essere riscaldato)
 Razionale: potenza di entrambi i contrari (la medicina può produrre salute o malattia)
 Irrazionale: potenza di un solo contrario (il fuoco che può solo riscaldare e no infreddare).
Distingue vari tipi di atto:
 Attività: o atto perfetto, che ha in sé il proprio fine (come l’attività del vedere o pensare)
 Movimento: o atto imperfetto, che ha il fine in altro (come il camminare o costruire).
L’atto è anteriore alla potenza
secondo la nozione, poiché non si può avere la nozione di potenza se prima non si ha quella si atto, infatti
la potenza è la possibilità di passare all’atto.
Secondo il tempo, perché se è vero che nel singolo individuo viene prima la potenza (il seme) e poi l’atto
(individuo) è anche vero che in assoluto viene prima l’atto (il genitore) e poi la potenza (il seme).
Secondo la sostanza, perché nelle sostanze terrestri, quelle corruttibili, ogni mutamento, presuppone
l’esistenza precedente di una sostanza già in atto e perché prima delle sostanze corruttibili, ci sono quelle
incorruttibili (quelle celesti) che sono da sempre in atto (eterne).
Ne segue che i corpi celesti sono la causa della generazione dei corpi terrestri.
SOSTANZE IMMOBILI: per quanto concerne la causa motrice delle sostanze sensibili, Aristotele la indica con
sostanze terrestri poi in quelle celesti. Quest’ultime sono a loro volta mosse, perciò non possono essere le
cause motrici prime di tutte le sostanze, ma devono averne a loro volta.
Nella Metafisica riprende l’argomento della Fisica secondo il quale il moto dei cieli è eterno (circolare e
continuo) e il tempo, che è eterno, ne è misura. Un moto eterno esige una causa motrice tutta in atto,
perché se questa anche solo in parte fosse in potenza, per la parte in cui è in potenza potrebbe non passare
all’atto, nel qual caso il movimento dovrebbe interrompersi, alternativa impossibile per i cieli.
Una causa motrice tutta in atto, cioè tale che la sua sostanza sia puro atto, è necessariamente immobile, in
quanto c’è movimento solo se c’è potenza.
La causa motrice prima dei cieli è un motore immobile.
Essendo puro atto, sarà anche pura forma, cioè sarà sostanza immateriale, semplice (poiché solo la materia
comporta composizione), senza grandezza (poiché questa comporta divisione delle parti) e dotata di
potenza infinita (capace cioè di muovere in un tempo infinito).
Come muove i cieli rimanendo ferma?
Non per contatto, ma nell’unico modo in cui si può muovere senza essere mossi, nel modo in cui muovono
gli oggetti di intellezione e desiderio, che muovono intelletto e volontà, nel senso che li attraggono verso di
loro senza essere a loro volta mossi.
Si limita a dire che il motore immobile muove il cielo come un oggetto d’amore. È come se i cieli si
muovessero perché capaci di amare e di voler imitare i propri motori immobili e il moto circolare eterno è
quello che più somiglia all’immobilità. Così sembra che i motori immobili siano anche la causa finale dei
cieli. Ne individua 56, ma fra loro esiste una gerarchia, nel senso che il primo fra questi è quello che muove
il cielo delle stelle fisse, la prima sfera, che è prima poiché coinvolge nel movimento tutte le altre.
Per Aristotele essendoci un solo universo, c’è un solo primo motore immobile.
Qual è la sostanza di tali motori?
L’unica che sia puro atto, cioè attività del tutto immateriale, è il pensiero. Questo è una forma di vita,
perciò se i motori sono pensieri, sono anche viventi e sono anche felici essendo il pensiero l’attività più
piacevole. Essendo vivente, felice ed eterno ogni motore immobile è dio, e il primo di essi sarà il Dio dal
quale dipende tutto il cielo e tutta la natura.
Essendo la sua sostanza il pensiero, egli non può che pensare l’oggetto più degno, cioè se stesso, perché se
pensasse un oggetto diverso da sé sarebbe in potenza rispetto a questo oggetto.
Il Dio supremo è pensiero di pensiero, cioè è una sostanza pensante che pensa se stessa.
Questo Dio non è creatore dell’universo, ma della causa del suo movimento. Infatti per il filosofo l’universo
non è stato creato, ma è sempre esistito, è eterno (come le sostanze celesti).
La filosofia prima di Aristotele nasce come scienza dell’essere in quanto essere e si conclude con
l’affermazione di Dio, cioè come teologia, perciò da qui verrà chiamata metafisica per indicare la
collocazione dopo la fisica, ma la capacità di andarne oltre.
ETICA
SPECIFICITà DELLA FILOSOFIA PRATICA: Aristotele riconosce l’esistenza di scienze diverse a seconda degli
oggetti propri di ciascuna.
Fino ad ora si è considerata la parte di filosofia di Aristotele che riguarda la conoscenza di realtà
indipendenti dall’uomo, ossia la realtà fisica e l’essere in generale, questa parte è chiamata la filosofia
teoretica. Questa ha come fine la conoscenza (da theoria che significa studio). Riguarda ciò che è e ciò che
avviene necessariamente per lo più nello stesso modo. Si distinguono da ciò che è accidentale, cioè che non
avviene per lo più nello stesso modo. La scienza non si può occupare di tali eventi accidentali poiché di essi
non se ne può indicare il perché. Allo stesso modo non ci si può occupare di ciò che è individuale, poiché
questo è oggetto solo della percezione.
Il fine delle scienze teoretiche è la verità e sono: fisica, matematica, filosofia prima. La fisica studia ciò che è
in quanto suscettibile di movimento e mutamento. In particolare studia gli enti che hanno in sé il principio
del loro movimento. Introducendo tale materia si allontana da Platone che aveva negato la possibilità di
una conoscenza degli oggetti del mondo sensibile. La matematica studia ciò che è sotto l’aspetto della
quantità. La filosofia prima studia l’essere in quanto essere.
Questo è il primo gruppo di scienze, l’altro è costituito dalle scienze pratiche e poietiche che concernono
ciò che può essere in un modo o nell’altro.
Per cui accanto alla filosofia teoretica, ha sviluppato una parte della filosofia relativa a ciò che dipende
dall’uomo cioè le sue azioni e le sue produzioni. La differenza tra azione (pràxis) e produzione (pòiesis)
consiste nell’essere la prima un’attività fine a se stessa, la seconda ha per fine un oggetto prodotto. Il
dominio della produzione è da lui identificato con quello della techne, che imita la natura o porta a
compimento ciò che la natura sola non può fare. Anche la poesia è una forma di produzione, sono una
forma di imitazione (prime sorgenti di conoscenza delle cose). Nello sviluppo della forma della poesia, la
tragedia rappresenta il compimento. Il contenuto della tragedia è un mito che suscita pietà e terrore.
Platone pensava che essa incrementasse le passioni, per Aristotele invece purifica l’anima da esse
attraverso un processo di catarsi. La poesia è superiore alla storia, poiché quest’ultima è il racconto di
eventi realmente accaduti, la poesia tende a rappresentare l’universale.
La filosofia che si occupa dell’azione è la filosofia pratica che mira a realizzare il bene dell’uomo, non solo
alla conoscenza.
Poiché il bene del singolo uomo fa parte del bene della polis, il nome di questo tipo di filosofia prende
quello di politica.
Prima di trattare del bene della polis, tratta del bene del singolo uomo, perciò la prima parte della politica si
dice etica (esposta soprattutto nell’etica nicomachea).
Ogni azione umana è volta a realizzare un bene, che è il fine. Alcuni beni sono ricercati in vista di altro, cioè
come mezzi, altri fini a se stessi.
Non è possibile che la serie di mezzi e fini prosegua all’infinito, perché sennò non ci sarebbe un fine ultimo
in vista del quale tutto il resto viene desiderato. Il fine ultimo è l’eudaimonìa, cioè la felicità che consiste
nella piena realizzazione della propria forma che è data dalla differenza specifica, cioè nel caso dell’uomo,
dall’anima intellettiva e razionale, per cui la felicità risiede nell’esercizio della funzione specifica umana
(razionalità). Essendo però l’uomo sinolo di anima e corpo, deve realizzare anche nella felicità del corpo che
sono i mezzi per raggiungere il vero bene (salute, ricchezza). Questi beni non sono la felicità, ma sono mezzi
per perseguire tale bene ultimo. In ciò si discosta dalla vita ascetica di Platone.
L’essenza della felicità è nella virtù (perfezione anima razionale, come per Platone).
Questa comprende due parti:
1) Diànoia che è la ragione vera e propria le cui virtù sono le virtù dianoetiche
2) Èthos che non è la ragione, ma si lascia guidare da essa, è il carattere, queste sono le virtù etiche
che sono una via di mezzo tra due vizi opposti. Bisogna determinare il giusto mezzo. La via di messo
non è una misura assoluta, uguale per tutti gli uomini, ma la sua giusta determinazione è caso per
caso e spetta alla ragione.
Particolare attenzione tra le virtù etiche dedica alla giustizia, che distingue in due forme, giustizia
distributiva (consistente nel dare a ciascuno in proporzione ai suoi meriti) e giustizia commutativa ( scambio
di parti uguali). La giustizia deve essere praticata anche nel governare, tenendo conto di ciò che è giusto per
natura e per legge.
VIRTù DIANOETICHE: sono quelle della ragione vera e propria, consistono nell’esercitare la ragione nel
miglior modo possibile e vanno ricercate nei cinque abiti della ragione:
 Arte  techne, è il buon esercizio della ragione nelle attività produttive, cioè la capacità di
produrre bene, non ha a che fare molto con la felicità poiché le produzioni sono attività strumentali
non fine a se stesse.
 Saggezza phrònesis, buon uso della ragione nelle azioni attraverso la quale è possibile
determinare il giusto mezzo e quindi non sono possibili le virtù etiche e in genere non è possibile
distinguere le azioni buone da quelle cattive, ossia le azioni che servono al conseguimento della
felicità da quelle che le impediscono, quindi non è un’autentica virtù dianoetica. Non è una scienza
poiché ha a che fare con situazioni particolari e quindi è meno infallibile, ma è comunque
indispensabile per vivere e governare bene.
 Intelletto nous, capacità di cogliere i principi nelle varie scienze.
 Scienza episteme, capacità di dimostrare a partire da principi, le conseguenze che ne derivano.
 Sapienza sophìa, unione dell’intelletto e scienza., cioè la conoscenza sia dei principi che delle loro
conseguenze. Questa per lui è l’esercizio più alto che sia possibile fare della ragione. Consiste nel
conoscere le realtà più importanti, vale a dire la natura, il cielo e i loro principi, cioè le cause prime.
La sapienza è la stessa filosofia e qui consiste la suprema felicità dell’uomo. Tuttavia non ci dice
come dobbiamo agire, non è normativa, ma è il fine delle nostre azioni.
Il miglior genere di vita, quello che consiste nella felicità, è quella teoretica ( dedita allo studio e alla ricerca,
alla contemplazione della verità), superiore a quella politica ( dedita a governare).
L’etica di Aristotele più che deontologica (basata sui doveri) è teleologica (basata sui fini).
Aristotele infatti non dice che si deve agire in un modo, ma che se si vuole vivere felici si deve agire in un
determinato modo.
La felicità non consiste nel piacere ma nell’esercizio della virtù. Il piacere è l’effetto di un’attività.
L’etica aristotelica non è individualistica, ma alla felicità è indispensabile l’amicizia, soprattutto tra persone
virtuose.
POLITICA
FAMIGLIA, VILLAGGIO, CITTà: nell’ambito della politica intesa come filosofia pratica, accanto all’etica
rientra la politica come filosofia che concerne la polis. Gli dedica il trattato la Politica.
Sostiene che il singolo uomo non basta a se stesso, ma per natura si unisce con la donna generando un
individuo simile a sé: nasce la famiglia o òikos (casa) che ha il fine di soddisfare i bisogni quotidiani.
Nemmeno la famiglia basta a se stessa, più famiglie si uniscono dando vita al villaggio (provvedono ai
bisogni non quotidiani, ma per la sopravvivenza). Ma l’uomo non è fatto solo per vivere , ma per vivere
bene ( tende alla felicità) e per realizzare ciò non basta né la famiglia, né la casa, per questo serve la polis.
La città è per lui società politica che comprende in sé tutte le altre, la società perfetta, autosufficiente, con
il fine di vivere bene. L’uomo è per natura animale politico, zoon politikon (fatto per vivere in città, fuori di
essa vivono solo le bestie). Segno di questa tendenza è il logos (parola, propria dell’uomo che lo rende
capace di discutere su ciò che è giusto o ingiusto). La città si fonda sull’amicizia (quindi collaborazione) e
sulla giustizia.
Prima di studiare la città, studia l’oikos, quindi l’economia (governo della casa). La famiglia è composta da
tre rapporti: marito e moglie (fra liberi ed uguali dove comanda il marito in quanto dotato di una natura più
atta a comandare), genitori e figli (rapporto tra liberi, ma disuguali dove comandano i genitori, ma
nell’interesse dei figli) e padrone e schiavi (ne fra liberi ne fra uguali, dove comanda il padrone per il proprio
interesse.
Aristotele è il primo che si chiede se la schiavitù sia giusta: la risposta è si solo se effettivamente fondata
sulla natura (quando sono schiavi coloro che non sanno governarsi da se e sono fatti per obbedire).
Nell’economia rientra la crematistica (chrèmata, beni-averi) cioè l’arte di procurarsi i beni necessari per
vivere che è giusta solo se procura effettivamente i beni necessari per vivere, è ingiusta se acquista
illimitatamente beni non necessari e in quel caso non fa più parte della crematistica.
COSTITUZIONI E RIVOLUZIONI: analizzando la città si domanda quale sia la costituzione (politeia,
ordinamento delle cariche all’interno della polis) migliore, in particolare l’indicazione di chi debba
esercitare il potere supremo. Critica sia la visione utopica della repubblica di Platone perché nell’intento di
assicurare alla polis la maggiore unità possibile, si trascura il fatto che la polis è si unità, ma unità di una
molteplicità (cioè unità di molte famiglie). La famiglia non deve essere abolita perché è naturale cosi come
non deve essere abolita la proprietà privata necessaria alla famiglia. La costituzione più moderata delle
Leggi è migliore perché conserva la famiglia, ma troppo oligarchica perché affida il governo supremo ai
pochi cittadini del consiglio notturno, per cui rigetta anche questa. Riprende le classificazioni delle
costituzioni fatte nel Politico distinguendo per ciascuno di questi, due forme, una buona e una cattiva, a
seconda che si governi nell’interesse dei governanti o nell’interesse dei governati, abbiamo così: regno e
tirannide/ aristocrazia e oligarchia/politia e democrazia. Con politia (politeia) indica la forma buona del
governo di molti.
Tra questi sei tipi di costituzione egli non ne indica uno che sia il migliore in senso assoluto, secondo le
diverse situazioni può essere buono uno o l’altro. La politia è buona perché è una specie di giusto mezzo tra
due vizi opposti (oligarchia e democrazia): è quindi una democrazia moderata. La politia è la costituzione
più stabile meno soggetta a cambiamenti che sono le rivoluzioni che si producono quando una costituzione
è causa di gravi ingiustizie.
CITTA’ FELICE: oltre a indicare la migliore costituzione (migliore forma di governo) nella Politica indica
anche a cosa deve tendere il governo (cosa devono fare i governanti per assicurare il vivere bene). Per lui la
città felice è quella in cui sarà consentito a tutti i cittadini di dedicarsi alla vita teoretica,risultato che si
ottiene attraverso la pace e il tempo libero (otium in latino e in greco scholè). Considera la guerra di difesa
giusta, ingiusta quella per aumentare la potenza della polis. La guerra per lui è un mezzo necessario ad
assicurare la pace. Cosi come le attività economiche(giuste quelle necessarie ingiuste il contrario). Queste
sono solo mezzi, il fine è il buon impiego del tempo libero ( che consiste nello svolgere attività in vista del
valore che hanno in sé, come le attività teoretiche).
Il risultato di avere tempo libero è assicurato dalle cariche a turno da parte di tutti i cittadini. Quando
qualcuno governa, gli altri possono dedicarsi alle pratiche teoretiche ed essere felici-->il governare è come
un servizio reso agli altri. La felicità si ottiene non governando, ma essendo governati bene, in modo da
essere liberi di fare altre cose. Per dedicarsi alle attività teoretiche occorre comunque una certa cultura. A
questo deve provvedere il governo della città mediante l’educazione (paidèia) pubblica, rivolta a tutti. I
cittadini devono essere educati sia alle attività strumentali (guerra e politica) e alle attività fini a se stesse
(vita teoretica attraverso lo studio della grammatica, attività culturali in genere).
RETORICA E POETICA
Oltre alla filosofia teoretica che si occupa della conoscenza, e alla filosofia pratica che si occupa dell’azione
umana, elabora anche una filosofia di altre attività umane, quelle produttive, la cui trattazione razionale è
dovuta dall’arte (nel senso di abilità tecnica). Si occupa di due arti in particolare: la retorica (=l’arte di fare
discorsi persuasivi) e la poetica (=l’arte di fare poesia).
Alla retorica dedicò il tempo nel periodo accademico (dialogo il Grillo) tenendo un corso di retorica contro
quello di Isocrate. La trattazione più organica è la Retorica.
La retorica era molto elogiata dai sofisti per questo Platone la contrappose alla filosofia come la culinaria
alla medicina (nel dialogo Gorgia). Aristotele seguì i dettami del Fedro e rivalutò la retorica considerandola
una vera e propria arte a patto che non si limiti a provocare la mozione degli affetti e si servi anche della
dialettica, cioè argomentazioni rigorose.
Aristotele considera la retorica come l’arte
di scoprire e insegnare i mezzi di
persuasione.
I mezzi riguardano il carattere morale di
chi parla, i sentimenti di chi ascolta e la
validità estrinseca delle argomentazioni.
Per i primi due la retorica dipende
dall’etica, che studia i caratteri e le
passioni, per il terzo dipende dalla
dialettica la retorica è speculare alla
dialettica.
La retorica si serve di due argomentazioni, usate anche dalla
dialettica, la deduzione (o sillogismo) e induzione. Ma nella
retorica si ha a che fare anche con impreparati per cui si
devono usare argomentazioni brevi, dette entimemi e di
induzioni abbreviate cioè esempi.
Entimemi ed esempi sono le
argomentazioni usate dalla
retorica e si servono di
argomenti caratteri generali.
Illustra i luoghi retorici (topoi) relativi ai tre generi di discorsi per mezzo dei quali si circa di persuadere un
uditorio:
- Deliberativo: usato nelle assemblee politiche.
- Giuridico: usato nei processi.
- Epidittio: usato per elogiare o biasimare pubblicamente.
Espose poi un’analisi dei caratteri morali e delle passioni, considerati alla luce delle opinioni comuni.
Espose poi una teoria dell’elocuzione, mostrando con quale stile deve essere reso sia il discorso orale che
quello scritto.
La retorica aristotelica ebbe molto seguito, apparte nell’età moderna con la nuova scienza (avente come
modello la matematica).
Oltre alla retorica studia la Poetica, su cui scrive anche un trattato di due libri ( il secondo trattava forse
della poesia comica, la commedia, che però è andato perduto).
Concepisce la poesia come Platone aveva concepito l’arte in genere, cioè come imitazione (mimesis) della
realtà, come rappresentazione delle vicende umane: ma mentre per Platone ciò la privava di valore
conoscitivo, essendo la realtà sensibile una copia sbiadita della realtà autentica, per Aristotele questo
carattere conferisce alla poesia la possibilità di rappresentare la realtà. Per lui l’imitazione è una forma di
conoscenza, d’apprendere e per questo la poesia ha un valore conoscitivo che è a metà tra la storia
(=semplice descrizione dei fatti che ha per oggetto realtà individuali) e la filosofia (=scienza in genere che
ha per oggetto realtà generali). La poesia ha quindi per oggetti fatti che possono accadere a chiunque si
trovi in una certa situazione, sono cioè simboli, esemplari e quindi universali. È comunque inferiore al
valore conoscitivo della scienza perché rappresenta il suo oggetto che pure è universale, non però per
mezzo di concetti, ma di rappresentazioni individuali.
Dal punto di vista morale Platone la criticò in quanto suscitatrice di passioni irrazionali, Aristotele invece
l’aveva giudicata positivamente, soprattutto la tragedia, poiché rappresenta una serie di vicende che
suscitano passioni quali pietà, terrore, ottenendo l’effetto di purificazioni di tali passioni (farle provare allo
spettatore in forma più pura)-->purificazione/ katharsis , cioè assistere a passioni vissute da altri suscita
nello spettatore le medesime passioni prive dell’aspetto egoistico che le caratterizza quando sono vissute
da lui come proprie. Aristotele alla fine coglie oltre al valore conoscitivo e morale anche quello estetico,
quando afferma che il mito, cioè la vicenda narrata nella tragedia, deve avere quell’unità di azione che lo
rende bello, dove con questo termine indica un tutto caratterizzato da un certo ordine delle sue parti. Per
lui lo scopo del poeta non è quello di edificare moralmente attraverso la purificazione delle passioni, ma di
far provare il piacere che ad esso è connesso.
PERIPATATO
La scuola fondata da Aristotele nel liceo fu detta Peripatato, perché comprendeva oltre ad un edificio
adibito per l’insegnamento, anche un peritatos, cioè uno spazio aperto riservato per le passeggiate.
Dopo la partenza di Aristotele da Atene la direzione della scuola a TEOFRASTO.
TEOFRASTO
Nasce a Efeso nel 370 ac. Il suo interesse fu di tipo logico-scientifico più che meramente filosofico. Sviluppò
la logica aristotelica completando la tavola delle figure del sillogismo. Nell’ambito della fisica negò che il
fuoco fosse un vero e proprio elemento, in quanto avente come sostrato la sostanza combustibile. Limitò il
finalismo di Aristotele sostenendo che lo sviluppo delle piante e degli animali non è determinato dalla
tendenza a un fine, ma solo dall’azione meccanica dei moti celesti e in parte dal caso. Per quanto riguarda
l’intelletto parlò di una mescolanza tra intelletto attivo e passivo, nonché del pensiero come forma di
movimento (forse concepisce intelletto e pensiero come realtà materiali).
Per la metafisica riprese da Aristotele solo la dottrina del motore immobile, cioè la concezione della
metafisica come teologia, lasciando cadere il discorso sull’essere in quanto essere e sulla sostanza. Disse
che il motore immobile non era necessario per spiegare il moto dei cieli, per i quali basterebbe l’anima ad
essa immanente. Nell’etica lasciò la famosa descrizione dei vari tipi di carattere morale. Contro Aristotele
sostenne l’eguaglianza tra tutti gli uomini (quindi anche tra greci e barbari), dichiarando che gli uomini sono
tutti congeneri (=della stessa stirpe), estese poi ciò agli animali, compromettendo il significato etico.
Sostenne la superiorità della vita teoretica su quella politica.
EUDEMO DI RODI:
Scolaro diretto anche lui di Aristotele, editore dell’Etica Eudemia e della Metafisica, che alla morte di
Aristotele lasciò il liceo e fondò una scuola aristotelica a Rodi. La sua principale dottrina filosofica è
l’unificazione del motore immobile con l’anima della sfera più grande, quella delle stelle fisse. Viene
abbandonata la trascendenza del Dio aristotelico.
DICEARCO DI MESSINA: scolaro diretto, concepì l’anima come armonia dei quattro elementi. Questa
dottrina comporta la mortalità dell’anima è di sapore pitagorico più che aristotelico. Si oppose a Teofrasto
ritenendo la vita pratica superiore a quella teoretica.
ARISTOSSENO DI TARANTO:massimo teorico della scienza armonica. Anche lui concepiva l’anima come
armonia del corpo.
CLEARCO DI SOLI:sosteneva che la separabilità dell’anima del corpo, di contro gli altri, e quindi la sua
immortalità, ma fondandola su pratiche magiche più che su argomenti filosofici.
STRATONE: successore di Teofrasto nella direzione del Peripatato. La sua filosofia è una semplice fisica
(senza apertura metafisica), che pretende di spiegare tutto solo con gli elementi materiali. Per questo
motivo si pensa che egli non conoscesse le opere aristoteliche. Pensa infatti che tutte le cose che esistono
siano state create dalla natura, che consiste di pesi (forze) e moti. Ammette l’esistenza nella natura di due
forze, il caldo e il freddo, dalla cui combinazione derivano tutte le altri qualità. Nega l’esistenza dell’etere e
sostiene che il cielo sia fatto di fuoco escludendo la teoria di Aristotele sull’esistenza dei luoghi naturali e la
concezione finalistica della natura. Degli dei, se esistono, sostiene che non servono per spiegare le vicende
del mondo. L’anima è concepita come un pneuma, soffio caldo diffuso in tutto il corpo. Pensieri e
sensazioni sono solo movimenti, e l’intelletto è presente in tutti gli animali, per cui cade la differenza tra
l’anima intellettiva e sensitiva.
Queste dottrine sono più simili a quelle del III secolo ac dell’epicureismo e stoicismo più che a quelle
aristoteliche.
NASCITA DELLE SCIENZE PARTICOLARI
Mentre nell’accademia si sviluppavano soprattutto le scienze matematiche, nel peripatato quelle fondate
sull’osservazione (=storia naturale) e la filologia (=scienza del discorso, delle parole). Ciò dovuto alla diversa
concezioni che i fondatori delle due scuole avevano della realtà:
- Platone: la vera realtà sono le idee, quindi le sole scienze sono quelle basate sul ragionamento, cioè
sulla matematica.
- Aristotele: la realtà sensibile è realtà autentica, quella da cui deve partire ogni conoscenza, quindi
di essa se ne può ottenere scienza attraverso l’osservazione.
Aristotele fece del Periparato un vero e proprio campo di ricerca dove nessun ramo del sapere era
trascurato. Accanto ai corsi (attività didattica), c’erano anche strumenti per la ricerca scientifica (libri,
tavole, raccolte documenti).
SCIENZE NATURALI: sono quelle che Aristotele chiamava con storia della natura (=raccolta e descrizione di
dati). Poi ha privilegiato le scienze degli esseri viventi (biologia e zoologia). Teofrasto ha privilegiato la
botanica. L’eredità di queste ricerche fu raccolta dal Museo (=tempio delle muse) fondato ad Alessandria da
Demetrio Falereo. Fu messa una grande biblioteca con tutte le opere degli antichi greci. In essa operarono
vari matematici e astronomi come Conone, Apollonio e Ipparco, ma anche medici come Erofilo ed
Erasistrato.
SCIENZE STORICHE E FILOLOGICHE: lo spirito di osservazione di Aristotele oltre che sulla natura si rivolse
anche sui prodotti degli uomini, la prova è la raccolta di 158 costituzioni. Può essere considerato il
fondatore della filologia. Fece un’edizione commentata dell’iliade. Con le Categorie e il De interpretatione
inaugurò lo studio delle varie parti del discorso da cui doveva nascere la grammatica.
Età ELLENISTICA
Con il termine ellenismo si intende il periodo della storia greca che ha inizio con la morte di Alessandro
Magno nel 323 ac, caratterizzato dalla diffusione della cultura greca. Questo fenomeno fu reso possibile
dalle conquiste di Alessandro che portarono alla sostituzione della polis (società politica indipendente)con il
regno (unità politica più vasta governata da un monarca) e negli altri paesi con la creazione di monarchie
dinastiche (discendenti dai successori di Alessandro, Diadochi). Tale monarchie dovettero soccombere tra il
II e I secolo in seguito alla conquista romana, alla conclusione della si può considerare chiusa l’età
ellenistica.
La nuova situazione in Grecia e la diffusione della cultura ebbe due conseguenze sul modo di pensare degli
uomini e quindi anche della filosofia: sorgere dell’individualismo, cioè di un interesse volto ai problemi
individuali, dovuto al fatto che questi non si sentono più membri della comunità polis in cui poter
collaborare per ricercare il bene comune, e il sorgere del cosmopolitismo, cioè il sentimento di
appartenenza a una comunità più vasta della singola nazione dove la vita politica perde interesse per
l’uomo comune. Questo portò l’etica a superare la politica e il primato dell’etica sta nel trovare la felicità
del singolo uomo. La filosofia si ridusse in logica (trattazione della conoscenza) fisica (intesa come
descrizione complessiva della realtà) ed etica (intesa come ricerca della felicità individuale). Grande sviluppi
delle scienze particolari.
EPICURO
Maggiore filosofo dell’età ellenistica. Nasce a Samo come Pitagora, nel 341 ac, ebbe come maestro
Nausifane. Ad Atene fondò una scuola in un edificio fuori città con un giardino (chiamò così anche la
scuola), e si mantenne estraneo alla vita politica. Morì nel 271 ac.
LA LOGICA: le prime due parti del sistema epicureo, la logica e la fisica, sono orientate verso la terza, l’etica,
cioè vengono considerati solo in funzione della ricerca dei mezzi per conseguire la felicità.
Per la logica si preoccupa di assicurarsi un criterio di verità (canone) al fine di non sbagliare per ricercare i
mezzi che portano alla felicità. Questo criterio è definito evidenza (enàrgheia), per cui sono da considerarsi
vere solo le conoscenze che risultano evidenti. Tali sono le conoscenze fornite dai sensi, sensazione, che
secondo lui non ingannano mai, e anche qualche non sensibili, cioè le prenozioni (prolepseis) o
anticipazioni, che sono le sensazioni conservate nella memoria, per mezzo delle quali conosciamo in
anticipo gli oggetti simili a quelli percepiti in precedenza. Tutte le altre rappresentazioni o sono frutto
d’immaginazione (fantasie, che non corrispondono a oggetti) o semplici supposizioni.
LA FISICA: alla logica di tipo sensistico corrisponde una fisica materialistica. Le sole realtà esistenti sono per
lui corpi percepibili dai sensi, i quali non sono altro che aggregati di atomo che si muovono nel vuoto. Lo
spazio vuoto secondo lui è infinito, quindi è infinito anche l’universo che ha sede in esso, formato da un
numero infinito di mondo (=insieme di corpi costituiti da atomi) e intermondo o spazi vuoti che separano i
vari mondi. Contro Democrito ritiene che la caratteristica degli atomi e causa del movimento sia il peso, per
cui tutti gli atomi tendono a cadere in giù, ma così non si incontrerebbero mai e quindi non originerebbero i
corpi. Risolve la questione con l’ammissione di una deviazione, il clinamen dalla loro traiettoria, la quale fa
si che essi s’incontrino e si aggreghino. Questa indeterminatezza introdotta permette di salvare la liberà del
volere umano.
Anche l’anima per lui è formata da atomi, sottili e leggeri come quelli che formano il vento (anemos) diffusi
in tutto il corpo e le sensazioni provate sono prodotte dall’incontro dei suoi atomi con quello delle
immagino (simulacri) emanate dai corpi esterni. L’anima è mortale, cioè si dissolve quando gli atomi che la
formano si disintegrano. Questa certezza di non sopravvivenza per lui è il miglior modo non per aver timore
della mortequando la morte c’è, noi non ci siamo e se ci siamo noi, non c’è lei. Anche gli dei sono fatti di
atomi molto sottili e sono fuori dal nostro mondo, negli intermondi. Sono immortali e beati quindi sono
disinteressati delle vicende umane. Anche questa certezza ci libera dal timore degli dei che insieme a quella
della morte erano le principali cause dell’infelicità umana.
L’ETICA: afferma che l’unico criterio per distinguere il bene dal male è dato dai sentimenti (pàthe) cioè
sensazioni di piacere o dolore. In base a ciò, risulta che l’unico bene è il piacere (hedonè). Il vero piacere
non consiste nel fare qualcosa, nel piacere in movimento, ma nell’assenza di dolore, il piacere in quiete (o
catestematico).
A livello del corpo il piacere consiste nell’assenza di dolore fisico, a livello dell’anima il piacere consiste
nell’assenza di turbamento, preoccupazioni, tensioni, cioè nell’assoluta imperturbabilità (ataraxìa). Questa
si raggiunge con la liberazione dal timore della morte e degli dei ottenuta attraverso la conoscenza della
fisica che ci fornisce la conoscenza della reale natura dell’universo e dalla liberazione dal desiderio d cose
che non sono necessarie. Anche il dolore fisico può essere sopportato dall’uomo saggio, quando si riesca a
liberare dalla paura di questi, essendo felice tra i tormenti. In riferimento a ci a lui veniva attribuito il quadri
farmaco o quadruplice rimedio al dolore:
1) Liberarsi dal timore degli dei
2) Liberarsi dal timore della morte
3) Liberarsi dal desiderio di cose non necessarie
4) Liberarsi dal timore del dolore.
L’edonismo di Epicuro non conduce a una vita dissoluta, ma ad un comportamento ascetico.
Conseguenza della ricerca dell’imperturbabilità è la rinuncia alla vita politica poiché causa di turbamento e
quindi il ritiro in una vita privata: vivere nascosto. L’unico affetto che raccomanda di coltivare è l’amicizia
essendo un sentimento disinteressato, non passionale come l’amore e quindi non causa turbamenti. L’etica
di Epicuro delinea una nuova figura di filosofo, che non è più il filosofo-re di Platone o quello
scienziato/politico aristotelico, ma il saggio dell’età ellenistica, preoccupato solo dalla propria felicità
individuale e capace di rendersi per essa insensibile alle passioni.
GLI STOICI ANTICHI
L’altra scuola filosofica fondata ad Atene contemporaneamente al giardino di Epicuro è la scuola stoica,
chiamata così perché i suoi esponenti, non possedendo edifici in città (in quanto non ateniesi), insegnavano
in un luogo pubblico, il Portico Dipinto (Stoà Poikìle). Si sviluppò lungo vari secoli, dal III ac al II dc quindi lo
si divide in tre fasi: antico/medio/nuovo.
ZENONE DI CIZIO
STOICISMO ANTICO
CLEANTE DI ASSO
CRISIPPO
LA LOGICA: gli stoici antichi si attennero molto alla tripartizione della filosofia in logica, fisica ed etica.
anche loro pensavano la logica e la fisica in funzione dell’etica, quindi come mezzi per la ricerca della
felicità. Identificavano la felicità con la virtù, per cui la filosofia per loro era intesa come esercizio della virtù.
La logica stoica comprende una dottrina del criterio della verità, o canonica, ed una logica propriamente
detta o dialettica. Come per Epicuro, il criterio della verità è l’evidenza che appartiene soprattutto alle
sensazioni che sono il fondamento della conoscenza. Le sensazioni infatti sono sempre vere essendo come
un’impronta delle cose nell’anima. Dalle sensazioni derivano le rappresentazioni che sono vere quando si
conformano cioè esprimono un assenso alle sensazioni. La rappresentazione vera è detta dagli stoici
catalettica (phantasìa kataleptikè) perché realizza la vera comprensione delle cose. Dalle sensazioni
derivano anche le nozioni comuni, conoscenza di carattere generale alla base di tutte le scienze.
La logica propriamente detta, o dialettica, non si occupa della conoscenza, ma di ciò che può essere
significato dal linguaggio, cioè detto (kektòn). Ad essa appartengono i concetti (raggruppati dagli stoici in
quattro categorie: sostrato o sostanza, la qualità essenziale, quella accidentale o modo e quella esprimente
relazione; queste vengono ricondotte al concetto del “qualcosa”). A ciò che può essere detto appartengono
anche le proposizioni (o giudizi/assiomi) che possono essere categoriche (asseverative) o ipotetiche
(condizionali).
Infine la logica si occupa di sillogismi, che possono essere ipotetici o disgiuntivi.
Sono sillogismi ipotetici:
Esempio: “Se è giorno, c’è luce; ma è giorno, dunque c’è luce”--> MODUS PONENDO PONENS
“se è giorno, c’è luce; ma non c’è la luce, dunque non è giorno”-->MODUS TOLLENDO TOLLENS
Sono sillogismi disgiuntivi quelli le cui premesse sono giudizi categorici disgiuntivi (esprimenti cioè
un’alternativa).
Esempio: “O è giorno o è notte; ma è giorno dunque non è notte”-->MODUS PONENDO TOLLENS
“O è giorno o è notte; ma non è giorno, dunque è notte”-->MODUS TOLLENDO PONENS
I sillogismi stoici sono diversi da quelli aristotelici perché sono costituiti non da legami fra termini,
esprimenti ciascuno un’essenza, ma da legami fra proposizioni, esprimenti ciascuna un fatto, un dato di
esistenza. Infatti la logica stoica era anche detta logica proposizionale.
LA FISICA: la fisica stoica in gran parte si richiama a quella di Eraclito: la realtà è un’unica materia animata,
la natura che è costituita dal fuoco, soffio infuocato detto pneuma che è divino. Tutte le cose quindi sono
divide, si identificano con Dio (panteismo). Secondo gli stoici all’inizio del mondo tutte le cose erano di
fuoco, da qui si sono generati gli altri elementi (aria, acqua e terra), ma sono destinati tutti a tornare al
fuoco in una grande conflagrazione che segnerà la fine del mondo. Ha inizio così un nuovo ciclo, e i vari cicli
si susseguono eternamente, determinando così l’eterno ritorno dei medesimi eventi.
La legge che regola le vicende cosmiche è una necessità, detta Fato (eimarmène) per cui tutto ciò che
accade, accade necessariamente. Tale legge è anche razionale, anzi è la Ragione stessa, detta dagli stoici
logos. Il destino è espressione della provvidenza divina. Nel logos universali sono contenute le ragioni
particolari che costituiscono i semi di tutte le cose, cioè i germi dai quali le varie cose si sviluppano
necessariamente e sono chiamati ragioni seminali. Anche l’anima nella parte più alta è fatta di fuoco, deriva
da esso e dovrà ritornarci.
L’ETICA: consegue dalla loro fisica, cioè prescrive all’uomo, come condizione per raggiungere la felicità,
l’adeguamento, o conformazione alla natura, quindi il vivere secondo natura (che è vivere secondo
ragione). In questo consiste la virtù che considerano come l’unico vero bene. L’unico male è il vizio, mentre
le altre cose che comunemente sono considerati bene sono per gli stoici indifferenti. Tra queste, alcune
sono conformi alla natura (vita, salute, ricchezza) e quindi sono preferibili, altre sono contrarie e quindi non
preferibili.
Distinguono tra bene e male, realtà intermedie indifferenti divise da quelle preferibili e quelle non, a queste
distinzioni aggiungono anche i vari tipi di azioni umane. L’azione perfetta (katòrthoma) che consiste nel
praticare la virtù disinteressandosi di tutto il resto e in essa consiste la vera saggezza, cioè la vita realizzabile
solo dal saggio. L’opposto è l’azione malvagia o errore (amàrtema), consistente nel praticare il vizio. Tra
questi estremi esistono le azioni convenienti (kathèkonta), cioè le azioni dirette a ottenere le cose
preferibili e a evitare quelle da non preferirsi e queste sono praticate dall’uomo comune. Queste azioni
sono chiamate da Cicerone officia, cioè doveri.
La vera felicità che consegue alla virtù, è una forma di assoluta tranquillità, di indipendenza dalle cose,
autosufficienza, di apàtheia, impassibilità. La condizione del saggio è paragonata a quella di un autentico re.
Ma la lotta alle passione poteva condurre anche alla rinuncia della vita.
Dalla fisica stoica deriva anche una concezione dei rapporti umani originale. Tutte le anime avendo la stessa
origine fanno sì che tutti gli uomini siano accomunati da un unico genere, quindi tutti fratelli. Sono tutti
uguali. Tutti fanno parte della stessa comunità, il mondo, la cosmo-polis e tutti devono essere amici tra
loro.
LO SCETTICISMO
Nasce contemporaneamente con gli altri due. Il fondatore è PIRRONE. Il termine deriva da skèpis, cioè
ricerca, indagine e indica la ricerca elevata di un sistema, una ricerca fine a se stessa che non approda mai
in una verità. Secondo Pirrone non è possibile conoscere la natura della cose, perché queste sono tutte
uguali tra loro, quindi sia i sensi che la ragione ci ingannano, poiché le differenze da essi attestati sono solo
apparenti,per cui di nessuna cosa si può dire che sta in un modo piuttosto che in un altro.
L’unico atteggiamento che bisogna adottare nei confronti della realtà è l’astensione da ogni opinione
(adoxìa) o la rinuncia a parlare (aphasia), la sospensione del giudizio (epochè). Sul piano etico ciò conduce
all’indifferenza verso ciascuna cosa.
Alle conclusioni analoghe di Pirrone giunsero anche nel II secolo ac alcuni esponenti dell’accademia,
ARCESILAO E CARNEADE (accademia media). Il primo fu in lotta con gli stoici e dice che non è possibile
conoscere nulla, perciò non resta che sospendere il giudizio. Nonostante ciò bisogna continuare a vivere,
per cui consiglia di attenersi nella vita pratica a ciò che è probabile, cioè ragionevole, anche se non
dimostrabile come verola sua posizione fu definita infatti probabilismo.
Carneade dice che non è possibile conoscere nulla con certezza: i sensi ci ingannano e la ragione non ci
dimostra nulla, quindi bisogna sospendere il giudizio. Nega l’esistenza di norme valide nel campo dell’etica.
Consigliava di attenersi al criterio del probabile giungendo a distinguere tre gradi crescenti di probabilità
(quella semplicemente probabile, quella persuasiva e quella che resiste a ogni esame).
LA SCIENZA NELL’Età ELLENISTICA
Età importante per lo sviluppo delle scienze particolari indipendenti dalla filosofia. Impulso dato
dall’accademia per le scienze matematiche e dal liceo per le scienze basate sull’osservazione. I monarchi del
tempo incrementarono il processo creando delle istituzioni di ricerca (museo di Alessandria). Lo sviluppo
delle scienze particolari qui fu reso possibile da due fattori: la specializzazione (grazie all’influenza di
Aristotele), cioè la distinzione e l’autonomia delle varie discipline, e utilizzazione della matematica
(influenza di Platone) cioè la sua applicazione alla conoscenza della realtà sensibile.
Il Museo fu fondato dal re Tolomeo I Sòter: come istituzione consacrata alle muse fu un luogo in cui
convennero cultori delle varie scienze e divenne come un istituto di ricerca. All’interno fu creata la grande
biblioteca con copie di tutti i libri esistenti, trascritte su rotoli, volumi, di papiro, dai poemi omerici alla
Bibbia (fatta tradurre dall’ebraico in greco da una commissione di settanta esperti).
FILOLOGIA E MEDICINA: per quanto riguarda le scienze basate sull’osservazione ebbero sviluppo in questa
età la filologia e la medicina. La prima fu inaugurata dai bibliotecari ZENODOTO e ARISTARCO DI
SAMOTRACIA che curavano l’edizione dei poemi omerici, CALLIMACO che curò i cataloghi di tutti i libri
conservati nella biblioteca, ERMIPPO che inaugurò il genere delle bibliografie dei filosofi e DIONIGI DI
TRACIA che scrisse la prima grammatica.
La medicina fu sviluppata durante il III secolo da EROFILO DI CALCEDONIA che scoprì la funzione centrale
svolta dal cervello come organo coordinatore di tutto il sistema nervoso e giunse a distinguere i nervo
sensori da quelli motori, e da ERASISTRATO DI IULIDE che scoprì la differenza tra vene e arterie,
supponendo che nella prima scorresse il sangue e nella seconda una specie di soffio vitale.
GEOGRAFIA E GEOMETRIA: altre scienze ricevettero un enorme impulso dall’utilizzazione della matematica.
La geografia da ERATOSTENE direttore della Biblioteca di Alessandria nel III secolo che pervenne alla
creazione di carte geografiche corredate di meridiani e paralleli e alla scoperta della misura della
dimensione della terra.
La geometria fu sviluppata nell’accademia e assunse una sistemazione definitiva grazie a EURIPIDE che
scrisse “gli elementi” dove espose tutta la geometria del suo tempo nella forma di un sistema assiomaticodeduttivo, costituito da una serie di premesse (gli elementi), quali le definizioni, assiomi e postulati e da
una serie di teoremi.
Altro apporto utile alla geometria fu da parte di APOLLONIO DI PERGE che descrisse le proprietà di curve
come ellisse, iperbole ottenute dalla sezione di uno o più coni mediante un piano.
ASTRONOMIA: qui fu applicata la matematica che portò a ingegnose ipotesi con ERACLITE PONTICO
(scolaro Platone) che spiegò l’apparente moto diurno delle stelle ammettendo la rotazione della terra al
centro di una volta celeste immobile e l’apparente moto irregolare di alcuni pianeti ammettendo che essi
girino intorno al sole, che gira a sua volta intorno alla terra.
Anche l’ipotesi di ARISTARCO DI SAMO fu geniale: affermò per primo l’immobilità del sole e la rivoluzione
della terra intorno a esso. Ipotesi abbandonata con IPPARCO DI NICEA che sostituì alle sfere omocentriche
di Eudosso e Calippo la teoria degli eccentrici ed epicicli ammettendo che il solo giri intorno alla terra lungo
un’orbita eccentrica rispetto a quest’ultima e che i pianeti percorrono orbite risultanti dalla rivoluzione
intorno a un punto collocato sopra un cerchio (epiciclio=sopra il cerchio) che a sua volta ruota intorno alla
terra (teoria ripresa da Tolomeo).
LA MECCANICA DI ARCHIMEDE: prodotta dall’intreccio di matematica e fisica. I maggiori contributi furono
nel campo della statica dove scoprì la legge della leve e l’idrostatica (statica dei liquidi), secondo cui un
corpo immerso in un liquido incontra una forza contraria uguale al penso del liquido da esso spostato.
Questo principio permette di scoprire il peso specifico dei corpi. Questo rese possibile ad Archimede di
accorgersi che una corono apparentemente d’oro, conteneva in realtà una certa quantità d’argento, dato
che i due metalli hanno un peso specifico diverso (qui si dice abbia esclamato “èureka” ho trovato).
Contributi anche in ambito metodologico, servendosi di procedimenti meccanici per scoprire teoremi
geometrici (metodo intuitivo che ha poi bisogno di essere confermato da vere dimostrazioni geometriche).
LA FILOSOFIA A ROMA
Durante l’età ellenistica la cultura greca entrò a Roma che prima di diventare un impero sottomise a sé una
ad una tutte le monarchie fondate dai successori di Alessandro. Con la sconfitta della Macedonia nella
battaglia di Pidna nel 168 ac i Romani occuparono la Grecia e rimasero colpiti dalla loro cultura, arte,
scienza per cui si dice che di fatto fu la Grecia a conquistare il rozzo vincitore.
Avvenne il fenomeno di ellenizzazione, soprattutto per quanto riguarda la filosofia. Non si può parlare di
una vera e propria filosofia romana originale, ma comunque la filosofia greca trasportata a roma assunse
una coloritura diversa, tanto che nella stessa Roma fiorirono personalità filosofiche di un certo livello come
Cicerone, Seneca. Periodo dal II secolo ac fino al II dc con la morte di Marco Aurelio l’ultimo imperatore
romano di orientamento tradizionale. Il pensiero filosofico romano era esclusivo per i problemi etici e
politici e giuridici.
LO STOICISMO MEDIO
Esponente maggiore è PANEZIO DI RODI. La caratteristica dello stoicismo medio è l’accoglimento di dottrine
estrenee allo stoicismo antico e desunte da altre filosofie come quelle aristoteliche. Nell’opere Sul dovere
espone un’etica praticabile da tutti, non solo dai saggi, fondata sul concetto di dovere.
NEOEPICURISMO E LUCREZIO
Noto epicureo romano, poeta del De rerum natura, dove la filosofia di Epicuro non viene solo esposta in
versi estremamente suggestivi, ma anche esaltata con passione come una vera liberazione dell’uomo da
ogni forma di paura ed Epicuro è rappresentato come un salvatore del genere umano.