Sapori di Sardegna ITINERARI SPECIALI DI BELL’ITALIA NUMERO 32 GIUGNO 2003 - EURO 6,00 IN ITALIA ITINERARI SPECIALI DI BELL’ITALIA/NUMERO 32/Sapori 100 PRODOTTI TIPICI OLTRE 200 RISTORANTI E TRATTORIE TUTTE LE SAGRE PER I BUONGUSTAI PIÙ DI di Sardegna/GIUGNO 2003 EDITORIALE GIORGIO MONDADORI SOMMARIO SOMMARIO Sapori di Sardegna ITINERARI SPECIALI DI BELL’ITALIA NUMERO 32 - GIUGNO 2003 Direttore responsabile: Luciano Di Pietro Redazione: Marco Massaia (art director) Michela Colombo (caporedattore) Daniela Bonafede, Lara Leovino, Sandra Minute Impaginazione: Corrado Giavara, Franca Bombaci Ricerca iconografica: Susanna Scafuri Segreteria: Orietta Pontani (responsabile), Paola Paterlini A cura di: Aldo Brigaglia, Pietro Cozzi, Studio Ready-Made (Milano) Hanno collaborato per la documentazione, l’archivio e la redazione: Carlo Migliavacca per i testi: Manlio Brigaglia, Lello Caravano, Daniele Casale, Ornella D’Alessio, Carla Depetris, Emanuele Dessì, Emiliano Farina, Andrea Frailis, Franco Fresi, Mario Frongia, Mimma B. Marcialis, Auretta Monesi, Bianca Maria Saccheri, Pierluigi Serra, Luca Urgu per le fotografie: Nevio Doz, Gianmario Marras, Adriano Mauri, Antonio Saba, Dario Sequi Cartine di: Andrea Campagna, Mario Russo ALLA SCOPERTA DEL PIÙ BEL PAESE DEL MONDO Direttore responsabile: Luciano Di Pietro EDITORIALE GIORGIO MONDADORI S.P.A. Consiglio di Amministrazione Presidente: Urbano Cairo Consiglieri: Antonio Guastoni, Antonio Magnocavallo, Giuseppe Cairo, Giuseppe Ferrauto, Marco Pompignoli, Uberto Fornara Direttore generale: Giuseppe Ferrauto Bell’Italia Direzione, redazione ed amministrazione: corso Magenta 55, 20123 Milano, telefono 02/43.31.31. Fax 02/43.74.65. E-mail: [email protected] Ufficio diffusione: telefono 02/43.31.33.33 Ufficio abbonamenti: telefono 02/43.31.34.68 Ufficio pubblicità: telefono 02/74.81.31 E-mail Abbonamenti: [email protected] 9 11 12 20 24 31 32 38 40 49 50 56 60 64 69 70 76 80 87 88 94 98 104 121 122 128 132 139 140 146 152 156 169 170 176 180 187 197 208 PRIMA PAGINA. Eterna Sardegna, così insolita SARDEGNA. La mappa del gusto INTRODUZIONE. Sapori di un’isola antica FORMAGGI. I gioielli della pastorizia sarda DIZIONARIO GASTRONOMICO. Sardegna in tavola dalla A alla Z IL SASSARESE Panorama Genuinità e tradizione Il meglio in tavola LA GALLURA Panorama Una civiltà di contadini e pescatori Il meglio in tavola I LIQUORI DI SARDEGNA. Mirto e dintorni IL NUORESE Panorama Dalla cucina dei pastori a quella del mare Il meglio in tavola L’OGLIASTRA Panorama La bella selvaggia Il meglio in tavola MUSEI. Il piacere della tradizione in 28 tappe L’ORISTANESE Panorama Una terra di tesori gastronomici Il meglio in tavola IL SULCIS-IGLESIENTE Panorama Nel cuore più antico dell’isola Il meglio in tavola SAGRE. Feste gustose per dodici mesi IL CAGLIARITANO Panorama I sapori che vengono dal mare Il meglio in tavola QUARTU SANT’ELENA. L’arte di preparare pane e dolci IN CANTINA. “Su inu, suzzu meraculoso de sa ‘ide” ASSOCIAZIONI. I “baluardi” della tipicità Concessionaria esclusiva per la pubblicità CAIRO COMMUNICATION S.p.A. Centro Direzionale Tucidide Via Tucidide, 56 - 20134 Milano Tel. 02/748131 - Fax 02/76118212 © 2003 Editoriale Giorgio Mondadori S.p.A. Periodico associato alla FIEG (Feder. Ital. Editori Giornali) Pubblicazione periodica registrata presso il Tribunale di Milano il 17/04/2002, n. 236 LA COPERTINA. Allegria di costumi tradizionali e prodotti tipici al ristorante “Su Gologone” di Oliena, nel cuore del Nuorese (foto di Nevio Doz). Prima pagina ETERNA SARDEGNA, COSÌ INSOLITA L’ aggettivo “insolito” si usa spesso nel mondo della comunicazione. Per quanto riguarda la stampa, s’impiega specialmente negli strilli di copertina, dove, con questo temine, si vorrebbe indicare sempre qualcosa di nuovo, di inedito, di sorprendente, tale da stimolare il lettore alla curiosità. E all’acquisto. Così, gli argomenti e i soggetti “insoliti” dei soliti argomenti si sprecano, comprese le “insolite” Sardegne. Vero è che ogni pubblicazione reca sempre con sé, più o meno gradito, più o meno azzeccato, qualche elemento di originalità, almeno a livello di buona volontà e di speranza; ma questa volta osiamo nutrire una certezza, con la convinzione di non sbagliarci: lo “speciale” di Bell’Italia che avete tra le mani può vantarsi di parlare in modo davvero insolito della Sardegna, tutto dedicato com’è esclusivamente ai suoi valori gastronomici. Dunque, un viaggio tra i prodotti, i sapori (e i luoghi dove gustarli) della Sardegna, un’isola che non cessa davvero mai di stupire, nemmeno sotto questo aspetto. Abbiamo diviso la Sardegna, e di conseguenza anche questo “speciale”, in sette zone e sette capitoli, ciascuno preceduto da un sintetico, ma affascinante, “panorama” fotografico, nell’intento di offrire un breve “sapore” della regione, questa volta da un punto di vista artistico, culturale e paesaggistico. E quindi, a seguire, ricchissimi testi tutti dedicati ai sapori nel vero senso della parola. Un viaggio “inedito”, allora. Una guida davvero utile per vacanze “non solo mare” e per una conoscenza della Sardegna che duri tutto l’anno. Mario Russo LA MAPPA DEL GUSTO Sette terre di bontà La linea tratteggiata verde indica i confini delle 7 aree in cui è suddiviso questo “speciale” sulla Sardegna: Sassarese, Gallura, Nuorese, Ogliastra, Oristanese, Cagliaritano e Sulcis-Iglesiente. Sardegna SAPORI DI UN’ISOLA ANTICA Una cucina dettata da un’industria con cinquemila anni di esperienza: la natura DI MARIO FRONGIA - FOTOGRAFIE DI NEVIO DOZ INTRODUZIONE L a terra dei sapori, del gusto e dei profumi ha un nome: Sardegna. La cucina isolana, nelle sue molteplici e raffinate variazioni, così come nella genuinità e nella semplicità delle ricette, è un continente tutto da scoprire. Un mondo naturale e dalla dimensione, per fortuna, ancora umana. Luoghi, storie, personaggi, prodotti e tesori dell’enogastronomia sarda si svelano a chi li sa “scovare” con tratti gentili, amichevoli. Da qualche anno, per quanti visitano l’isola, il cuore delle tradizioni culinarie locali è diventato elemento indispensabile per capire e catturare sensazioni forti. Un’immersione in un paradiso grande e unico al tempo stesso. L’oste e il cantiniere, con i loro vezzi e le abitudini tramandate di generazione in generazione. La vecchietta che cela ricette collaudate e irripetibili. Allevatori e ortolani, fornai e pasticceri, maestri dell’olio, dei formaggi e del vino, pescatori, “principi” dei liquori e “artisti” degli insaccati. Gente che sorride poco e parla meno. Piccoli ambasciatori del bere e del mangiar bene. Con una misurata cura del particolare che alla lunga fa la differenza. Anzi, va detto che da Villasimius a Castelsardo, quando si va a tavola si dà il via ad una sorta di rito. Ma è bene esser chiari: la cucina sarda è sinonimo di sobrietà. E cammina sui ritmi dettati dalle stagioni. I prodotti naturali della terra e del mare ne costituiscono l’anima. Sì, a partire dal pane fino ai dolcetti che concludono il pasto, si assapora un che di austero e inimitabile al tempo stesso. Un’altra av- Qui sopra: il tradizionale porceddu allo spiedo, il porcellino da latte cotto lentamente al calore della brace di legna aromatica della macchia mediterranea. Questo tipo di cottura, chiamata in sardo sa furria furria, non richiede altro condimento che il sale. Pagina accanto: l’aragosta di Sardegna, rinomata fin dall’antichità, è la regina dei menu a base di pesce. Tanti i modi prepararla: con gli agrumi ad Alghero, con i pomodorini a Bosa, semplicemente arrosto a Sant’Antioco, con la Vernaccia a Santa Teresa di Gallura. 14 vertenza è d’obbligo: pandoro al peperone, aringa e gelato o spaghetti con la marmellata di prugne in Sardegna non hanno asilo. Mentre è nella norma mangiare il pesce appena pescato, carni macellate in giornata, ortaggi ancora bagnati dalla rugiada. La cucina ammette le intuizioni. Le distilla, non esagera. La tradizione negli ultimi anni è stata ritoccata con giovanile freschezza. E ancora: nonostante la vigoria “visiva” e le dimensioni delle portate, non c’è da preoccuparsi. Un pasto consumato nell’isola equivale ad un bel salto nel mondo del gusto e della salute: ci si alza da tavola sazi e mai appesantiti. Di certo, non soverchiati da cotture o intingoli che mettono al tappeto. “La natura, un’industria con cinquemila anni d’esperienza”, diceva un azzeccato spot di qualche anno fa dedicato alle chicche del gusto sardo. Ebbene, quest’industria mantiene inalterato fascino, qualità e sostanza. La conferma? Per averla è sufficiente una breve escursione nei menu classici della cucina isolana. Difficile confezionarne uno buono per tutte le stagioni. Un giochino e niente più fa dire che se si passa nel Sassarese è d’obbligo assaggiare le monzettas (lumachine di prato, arrostite in un bagno di prezzemolo, aglio, pane grattugiato e sale). La Gallura è il regno della zuppa cuata: pane raffermo, brodo di carni selezionate, formaggio. Nel Nuorese trionfa la pecora “in cappotto”, ovvero lessata con patate, sedani, carote e pomodori, e la coratella arrosto o con piselli, interiora di agnello o capretto finemente composte. Un po’ dappertutto vi possono proporre pani frattau e vi conviene dire di sì: si tratta di una torta di fette di pane carasau cotta con salsa di pomodoro, pecorino e uova in camicia. Dalle parti di Oristano si gusta il muggine in mille modi, ma non perdetevi il filetto di spigola ai carciofi o la bottarga con la ricotta o la provola. Nel Sulcis compaiono le grive, tordi bolliti e messi a salare avvolti tra foglie di mirto. Il Cagliaritano è terra di fregola con arselle, uova di riccio fresche spalmate su crostini di pane al forno e orziadas: anemoni di mare fritti. Sui dolci, ci si perde. Ma sono insuperabili il gattò della Trexenta, mandorle e miele, gli acciuleddi di Arzachena, sa pompìa di Siniscola, is caschettas di Aritzo e Belvì, i sospiri di Ozieri e gli amaretti di Quartu. E va detto che ciascuna pietanza è figlia di usi e costumi differenti. Da sempre, la gastronomia cammina di pari passo con i processi socio-economici e trae linfa dallo sviluppo generale delle popolazioni. L’economia locale, le pratiche dettate dal tempo e dal territorio, le abitudini degli antichi conquistatori – fenici, cartaginesi, romani, arabi, bizantini, spagnoli – sono le fonda- menta dei pasti nella regione dei quattro mori. La tosatura delle greggi, la transumanza, la vendemmia, le potature, la trebbia, ma anche i lavori domestici di un certo rilievo, costituiscono dalla notte dei tempi occasione di compagnia, balli, canti, baldorie. E con questi, un lento e affascinante scorrere di vivande e vini. Con un particolare: di fronte ai fornelli metodi, criteri e ragioni mutano anche a distanza di una manciata di chilometri. L’olio, il pane, il vino regalano sensazioni differenti a seconda della zona che li tiene a battesimo. Lo stesso può dirsi per i formaggi e per tutte le bontà derivanti dalla lavorazione del latte. Su casu axedu, superbo condimento per la minestra, ha una vasta e apprezzata gamma di preparazioni. Sulla lavorazione del pane, poi, ci si potrebbe scrivere un numero speciale. I sardi, forti di un orgoglio radicato, difendono la qualità della farina, il tipo di lavorazione, i tempi della lievitazione, la cottura. Lo sfarinato “a freddo”, di grano duro e semola, è il must. E, ma non è un dettaglio, anche le forme e gli abbellimenti esteriori hanno un ruolo marcato nell’identificare l’area di provenienza: coccoi, moddizzosu e guttiau sono tre esempi e tre carte d’identità. A farla breve, la filosofia che denota sapori e amori del palato non solo ha radici antiche, ma le difende a spada tratta: campanile per campanile, vicolo per vicolo, piazza per piazza, sagra per sagra. E questo, come ammettono i gourmet più raffinati, non guasta. Anzi. I sardi sono gelosi custodi delle loro conserve ai funghi, ai carciofini, agli asparagi. Riottosi distillatori di mirto, ottenuto dalle bacche o dalle foglie dell’arbusto sacro a Venere, di armoniche salse alcoliche al mandarino, alle noci, al melone, al fico d’India, per non dire dei limoncelli e delle tisane. Anche in questi casi, so- 15 INTRODUZIONE pravvive una ricetta per casa. Tutti mettono su un liquore uso famiglia. Tra i più rinomati, il fil ’e ferru, l’acquavite di ginepro, di Vermentino o di vinacce d’uva comune. E sono fieri dei risultati. Da un lato. Dall’altro, Turriga e Capichera trionfano al Vinitaly. L’extravergine D’Olia spadroneggia da anni al concorso nazionale riservato agli oli doc di Spoleto. I prosciutti e le salsicce di Irgoli si affermano in Inghilterra e in Belgio. Le pardulas conquistano tedeschi e svizzeri, seadas e bottarga arrivano sulle tavole dei francesi e il pecorino romano trionfa negli States. E nella vostra gita avrete l’imbarazzo della scelta: le “vie” sono tutte intriganti. Del pane, del vino, del mirto, dell’olio, ma anche del torrone e dei salumi. In Sardegna i percorsi dedicati al cibo e al bere meritano una passeggiata a sé. Lo scenario favorisce produzioni accurate, di nicchia e sempre più legate alla bontà dei prodotti e alla storia enogastronomica del territorio. Certo, il 16 marketing, la comunicazione, la distribuzione e un atteggiamento di maggiore consapevolezza imprenditoriale negli ultimi anni hanno fatto passi da gigante, permettendo di guardare con ottimismo al futuro commerciale di questi prodotti. Ma sia chiaro: sono la storia, le tradizioni e la genuinità il patrimonio di questa terra generosa. Impossibile o quasi dettare un menu tipico. Ci si riesce solo a patto di individuare almeno una decina di aree principali di provenienza. E anche così si scopre che le interpretazioni sono molteplici. Da zona a zona, cambiano gli ingredienti e le combinazioni base. Dallo zafferano, “oro di Sardegna”, al timo, la mentuccia, il finocchietto selvatico, la salvia, l’alloro o, tra i legumi, la preferenza data alle fave piuttosto che ai ceci, ai cavoli o alle lenticchie denotano un curriculum di vecchia data. Ma variano anche le tecniche di raffinazione, di cottura e di rilievo dato all’accostamento dei piatti. La carne, ad esempio. Non c’è paese dell’isola in cui il porcellino da latte, o le interiora del capretto, o i nervetti di bue non vantino preparazioni ad hoc. Basti dire che per il porcetto arrosto gli esteti scelgono anche il tipo di legna su cui cuocerlo. E col metodo a carraxiu siamo nella mitologia: il porcellino viene infilato in una buca scavata nel terreno e ricoperto di braci ricavate dalla macchia mediterranea. Il coniglio a succhittu – capperi e pomodori in un raffinato impasto a base di vinello bianco giovane e doc, con i fegatini dell’animale – è leccornia mozzafiato: peccato che sia diventato praticamente introvabile. Lo stufato di cinghiale al Cannonau è un’altra “sberla” da non perdere. E ancora. Fino a qualche decennio fa uno dei prodotti tipici più rinomati dell’Asseminese, area ad alta urbanizzazione non molto distante da Cagliari, era la panada. Piccole “borse” tonde di pasta ripiene di carciofi, melanzane, agnello e patate, anguille e piselli. Robe inenarrabili. Con una cottura particolare: la “borsa” di pane funge da pentola a pressione per il contenuto. Quindi, una cottura modellata “solo” sul dettaglio. Ebbene, le panadas non sono il piatto da sballo esclusivo di Assemini e dintorni. In mezza Sardegna le “miniborse” di pasta col ripieno a base di carne o prodotti dell’orto – ma non trascurate quelle al formaggio fresco – sono un’altrettanto strepitosa perla da acquolina in bocca. Tra le tante, va citata quella ripiena di carne di maiale confezionata a Oschiri. Più o meno identico il discorso sui tesori del mare. Sull’intero perimetro, fatta forse eccezione per la grigliata, ricette e abbinamenti mutano anche tra borghi di pescatori distanti tra loro cinque minuti d’auto. La zuppa di cernia e cappone adagiata su un letto di crostini di pan ’e seddori, la burrida, ossia il gattuccio con le noci e l’aceto, la merca, tipica specialità dell’alto Oristanese costituita da muggini lasciati a macerare in un impacco di speciali erbe salmastre. Ma non si possono scordare i polpi con le patate, le tagliatelle all’astice, gli spaghettini al nero di seppia o i pesciolini a scabecciu, tipica merenda dei pescatori cagliaritani a base di pesce e pomodoro cucinato, consumata a temperatura ambiente o addirittura fredda. E l’elenco dei piatti che mantengono una forte autorevolezza legata alla storia e ai costumi del porticciolo di provenienza continua all’infinito. Sui primi, la musica è più o meno la stessa. Da Lanusei a Santa Margherita di Pula è impossibile trovare un ragù che si rassomigli. I culurgiones, ravioli più o meno grandi ripieni anche qui, a seconda delle zone, di ricotta, zafferano, menta, spinaci, Pagina accanto: mani sapienti impegnate nella preparazione del pane carasau, sottile come carta e perciò detto anche “carta da musica”, biscottato e ridotto in strati quasi trasparenti. Si consuma soprattutto nell’area settentrionale e nei paesi di montagna, quelli a economia prettamente agro-pastorale. I centri di maggiore produzione del carasau, ora confezionato anche per l’esportazione, sono sia nel Nuorese che nei paesi del Logudoro. In alto: sul lungomare del Poetto a Cagliari, i ricci di mare si consumano conditi con una goccia di limone e accompagnati con una fetta di pane fresco. A destra: uno dei piatti più tipici e antichi della cucina barbaricina, il pane frattau, che potremmo definire un’alternativa sarda alla pizza napoletana; si prepara con pane carasau, pomodoro, pecorino e uova in camicia. 17 INTRODUZIONE indivia, carne, gamberetti eccetera, raggiungono l’eccellenza con sughi sempre diversi. E alzi la mano chi non ha mai mangiato i malloreddus. Ben affogati in un denso e profumato sugo a base di salsiccia suina, sono un po’ bandiera e un po’ inno della cucina sarda nel mondo. Ebbene, nella sola Barbagia il superlativo sughetto che li accompagna segue non meno di cinque modalità diverse. Ma è nei dolci che viene a galla con prepotenza la sottile difesa dei propri convincimenti. Le donne mostrano grazia e cura per i particolari fin dalla scelta delle materie prime: miele, zucchero, mandorle, farina, burro, patate. E non va scordata l’acqua di fiori d’arancio e sapa, il mosto cotto. Sottile e orgogliosa difesa, insieme a una sublime abilità nel modellare, rifinire, stilizzare: così come nelle tradizioni e nelle meticolose lavorazioni del pane, anche i dolci sono terreno al femminile. E mettendo il naso nel protocollo che scandisce i pasti delle festività religiose più sentite e delle ricorrenze in famiglia, c’è anche chi azzarda uno spartiacque: alle signore i primi, i condimenti, le verdure, il pane, i dolci; agli uomini gli antipasti, gli arrosti, i formaggi, le bevande, il caffè e l’ammazzacaffè. Ma si tratta di ipotesi. Suggestive e poco o nulla più. L’originalità della cucina e delle ricette sarde sta anche nel totale coinvolgimento del nucleo familiare. Ad esempio, usanze e riti millenari vogliono che la cattura, l’uccisione, la pulizia da piume o pelle degli animali da cortile sia operazione che padrone e padrona di casa conducono assieme. Per poi spartirsi compiti e mansioni. Alla donna la preparazione del bollito, del brodo, del ripieno: con la gallina ruspante, specie nelle sagre della Trexenta e del Parteolla, si confeziona una sorta di rollè-polpettone a base di uova, pane grattugiato, pomodoro, latte e la carne più tenera dell’animale. Con le interiora, messe a raffinare nell’olio d’oliva, viene “inventato” l’antipasto: da gustare caldo e possibilmente col pane abbrustolito. Le zampe insaporiscono, con cipolle, basilico e sedano, il sugo di pomodoro. Mentre le ali e le cosce vengono cotte alla brace: e non manca una conveniente sgocciolatura di lardo di qualità. A farla breve, da una gallina una varietà di sontuosi sapori. Ed è così che la visita in Sardegna non è più solo calette e mare da cartolina, cavallini della Giara, nuraghi e chiese romaniche. O meglio, è sempre e ancora tutto questo. Con in più un salutare omaggio al mangiare e al bere degli isolani. Pagina accanto: un cacciatore si ristora vicino al fuoco con un classico spuntino a base di pecorino, pane carasau e salsicce, innaffiato da un corposo vino rosso. Sopra: attorno al focolare si dispongono le “fondamenta” comuni della cultura gastronomica isolana. A destra: la salsiccia è il salume sardo per eccellenza. A base di carne magra e grasso di suino, viene insaporita con sale, pepe, finocchio e aromi che variano da zona a zona. 19 FORMAGGI M ettendo in tavola i propri prodotti ogni popolazione spiega la cultura dalla quale proviene. In Sardegna è così forse ancor più che in altri angoli di mondo. Dai tempi arcaici dei nuraghi e delle domus de janas, la pastorizia ha costituito la sola forma di sopravvivenza di una popolazione forte e schietta, per la quale le greggi rappresentavano la ricchezza di generazioni, furono fonte di benessere ma anche di secolari dispute a base di abigeato e di diritti di pascoli. Ma comunque andassero le cose il prodotto finale di tanto latte munto negli ovili sardi diventava puntualmente sapido formaggio, dalle tipologie appena diverse ma indicato con quasi un nome solo: pecorino. Tagliato a fette con il coltellaccio a serramanico di ogni pastore e sbocconcellato insieme a quel disco volante dalla leggerezza insuperata che è il pane carasau. Pecorinu e casu: il pasto perenne degli uomini vestiti in velluto a coste che trascorrevano più della metà della loro vita insieme a pecore, capre e agnelli nelle solitudini dei monti e delle pianure sarde. Pecorino a parte, la produzione casearia sarda presenta ovviamente altri prodotti più comuni, oppure formaggi di nicchia, specialità rare quasi “fatte in casa” come il casizolu di Oristano, saporito e a forma di pera che non entra però nella grande distribuzione e non esce dai confini dell’isola. Pagina accanto: forme di pecorino Dop, prodotto rigorosamente con latte di pecora. A denominazione di origine protetta, il pecorino è uno dei principali prodotti di questa terra di tradizione pastorizia. Il tipo dolce ha gusto delicato, aromatico e leggermente acidulo, con pasta bianca morbida e compatta; quello maturo è più forte, gradevolmente piccante, con pasta dura. Sopra: la caratteristica forma a pera del casizolu, specialità casearia dell’Oristanese. In basso: il pastore Giovanni prepara il formaggio con gli stessi gesti senza tempo dei suoi avi. Formaggi I GIOIELLI DELLA PASTORIZIA SARDA Pecorino, fiore sardo, casizolu e i cento formaggi tipici che portano in tavola sapori, profumi e aromi della Sardegna DI AURETTA MONESI - FOTOGRAFIE DI NEVIO DOZ 20 21 FORMAGGI Il presente dell’allevamento ovino sardo, e dell’industria casearia che le è collegata, sta compiendo passi da gigante e il pecorino ha assunto una valenza nevralgica nella mappa dei formaggi italiani. Nelle sue due versioni, fresco e stagionato, il pecorino vive differenziazioni che saltano al palato, dovute al fatto che oggi non è più esclusivamente fatto con solo latte di pecora come un tempo, bensì miscelato con latte di mucca per renderlo meno sapido e aggressivo. Il censimento dei capi ovini presenti in Sardegna ne conta tre milioni, tutti allevati in un territorio dove l’inquinamento atmosferico e del suolo registra tassi assolutamente nulli. 22 I sardi sono maestri nel produrre formaggi: è così sin dai tempi dei cartaginesi, dei fenici e dei romani. La loro sapienza casearia s’incontra con quella che si può definire una paleobiologia ambientale. Infatti agricoltura e pastorizia sarde sono attualissime da millenni perché i principi delle metodologie biologiche, oggi giustamente molto seguite, sono gli stessi che hanno da sempre determinato i canoni di coltivazione dei campi e di produzione di alimenti base in tutta la Sardegna. I formaggi isolani, cioè i pecorini sardi e qualche tipo di ricotta freschissima, si sono fatti largo sul mercato italiano e estero, giungendo addirittura a farsi apprezzare negli Stati Uniti e, inaudito, in Francia, cioè nel sancta sanctorum caseario per eccellenza. Dal 1996, quando il pecorino di Sardegna ha ottenuto la denominazione d’eccellenza Dop, la produzione dei caseifici riunitisi nel Consorzio di tutela non ha fatto che crescere. L’anno scorso - il dato è importante ne sono stati marchiati come Dop ben 12.000 quintali. Dop sta a significare Denominazione di origine protetta, il riconoscimento della qualità massima ottenibile in una ben definita area geografica. Per fregiarsi di questo blasone il pecorino sardo deve essere prodotto esclusivamente con latte di pecora intero. Le due tipologie del formaggio, il sardo dolce e il maturo, presentano differenze organolettiche, di tecniche di lavorazione e di forma. Il dolce si matura in 20-60 giorni, è bianco e morbido. Il maturo necessita di una stagionatura di almeno 120 giorni. La sua pasta si presenta quasi paglierina ed è decisamente compatta, se non dura. È questo il pecorino che si grattugia su culingiones e malloreddus, i tradizionali primi di pasta sardi. Nel sapore del pecorino c’è tutta l’isola e la sua storia: la terra aspra e dolcissima, il profumo delle erbe di monte accarezzate dalle brezze marine, l’aria pura, l’acqua di fonte, il fluire del tempo identico a se stesso. Con pane e vini forma un’inseparabile triade di cibi primordiali e proprio per questo attualissimi. Pagina accanto: bancarella di formaggi in un mercato a Muravera, nel Cagliaritano. Qui a destra: un piccolo “diluvio” di forme di pecorino. Peso e dimensioni dipendono dalle tecniche di produzione e dal protrarsi della stagionatura. 23 SARDEGNA IN TAVOLA DALLA A ALLA Z Dizionario gastronomico in 81 voci Abbardente. Non c’è affare importante che in Sardegna non si chiuda con una stretta di mano e due dita di acquavite fatta in casa. Acqua minerale. Bonorva, Siliqua, Codrongianos, Tempio, San Pantaleo, Macomer: terra di antichissime origini geologiche, la Sardegna produce un’inestimabile varietà di acque minerali, lisce o naturalmente effervescenti. Agnello. Tutti l’hanno assaporato allo spiedo. Ma con limone e uova, o con carciofi e zafferano, non ha eguali. ed essiccate dopo essere state pressate per perdere ogni traccia di acqua. A Cabras, Portoscuso, Cagliari. specializzata nelle produzioni di bonbon e confetti farciti con crema di mirto, fico d’India e pera. Bue rosso del Montiferru. Carni speciali per grigliate e umidi speciali, da questa razza bovina tipica dell’isola. Dai macellai di Ghilarza, Macomer, Tramatza, Paulilatino. Carciofi. Lo “spinoso sardo” è entrato a pieno titolo nell’arte culinaria internazionale. Si combina con tutte le carni, con minestre asciutte, in umido e abbinato alla patate gialle di montagna. Serramanna, Villasor, Samassi i paesi dalle grandi tradizioni. Burrida. Gattuccio di mare tagliato a piccoli pezzi, lessati e lasciati a macerare per almeno 48 ore in una marinata fatta con il fegato dello stesso pesce, aceto, olio d’oliva, noci e Agrumi. Arance, pompelmi, cedri, limoni, mandarini e mandaranci: queste le qualità di agrumi più coltivate a Milis, Muravera, Villasor e Villacidro. Cascà. È il couscous dell’isola di San Pietro: ceci, semola grossa e verdure miste. La sagra a fine aprile. Castagne. Aritzo, Fonni, Desulo e tutti gli altri centri del Gennargentu vantano castagne di ottima qualità. Angurie. Striate o tonde, succosissime e zuccherine: un vero oceano di gusto e freschezza. E a Santa Giusta e Arborea c’è anche la sagra. Ciliegie. A Villacidro, terra dello scrittore Giuseppe Dessì, a Bonnanaro e a Burcei, ai piedi del monte dei Sette Fratelli, qualità superlative. Aragosta. La regina dei fondali “muore” con gli agrumi ad Alghero, con i pomodorini a Bosa, arrosto a Sant’Antioco. Mitica quella alla Vernaccia di Santa Teresa di Gallura. Asino. Chiedetelo a Sassari, ma anche a Cuglieri, Bonarcado o Narbolia. Arrosto o in umido, dopo una marinatura di almeno quattro giorni, con prezzemolo e aglio. Asparagi. Fritti con le uova, o lessati con un filo d’olio e due gocce di limone sono inarrivabili. Anglona, Sulcis, Sarrabus sono le zone “doc” per cercarli. aglio. Chiedetela ad Alghero, Calasetta e soprattutto a Cagliari. Cannonau. È il vino sardo più noto, color rosso rubino; invecchiato accompagna carni e formaggi. Insuperabile in tegame con la capra, il cinghiale, il manzo, la cacciagione. Beccaccia. Beccaccia, pernice e lepre sono insuperabili in tegame con il vino, le lenticchie o le olive nere. Capretto. Per i fanatici dei sapori forti circola quasi segretamente su call ’e crabittu. Si tratta dello stomaco del capretto, contenente l’ultima poppata di latte materno, messo ad essiccare. Una “crema” da carbonari del gusto. Bottarga. Il caviale nostrano ricavato dalle uova di muggine o tonno, salate Caramelle L’azienda della famiglia Rau, a Berchidda nel Sassarese, si è 24 Cardi. A Sestu, Villasor ma anche a Uta e Decimoputzu i cardi sono parte integrante delle coltivazioni locali. Cinghiale. Viene cacciato in tutta l’isola per le sue carni saporite. Di recente è cresciuta la produzione degli insaccati: a Pattada, Seulo, Irgoli. Squisito cotto in tegame al Cannonau Nepente di Oliena, il vino preferito da Gabriele D’Annunzio. Cordula. Stomaco e intestini di pezzatura grossa del capretto o dell’agnello. Fantastica arrosto o in tegame con carciofi o piselli. Cozze. La zuppetta in bianco e al sugo di cozze e arselle la si incontra in tutte le tavolate. Le produzioni maggiori dai vivai di Olbia e di Arborea, nel golfo di Oristano. Culurgionis. Sono i ravioli dei sardi, con numerose varianti zona per zona. Dolci. Assaggiate i gueffus e i candelaus delle pasticcerie del Campidano. Più diffusi, anche nel Nord e in Barbagia, piricchittus e pabassinas, dolcetti a base di uva passa, mandorle, cannella, noci, scorza di limone grattugiata e miele, dolce o amaro. Gli amarettus si trovano in tutta l’isola: nascono da un sapiente impasto di mandorle dolci e amare più albume. Anche le formaggelle sono diffuse, ma cambiano impasto e nome (pardulas, casgiatini…) di zona in zona. I savoiardi li fanno in tutte le case, quelli prodotti a Fonni anche a livello industriale sono i principi dell’isola. Erbe. Tra le spezie e gli aromi più usati spiccano l’alloro (nei pesci arrosto e negli ortaggi sott’olio), la salvia (col sugo e con le carni umide), il rosmarino (con le patate e il pollo ruspante in tegame). Cominciano a sorgere iniziative per la commercializzazione anche di aromi più raffinati, quali la menta, il timo e il finocchietto selvatico. vani o stagionati, ovini, vaccini o caprini, sono il prodotto-simbolo di questa terra di tradizioni pastorali. Fragole. Sì, tra nuraghi e spiagge da sogno, maturano anche loro. Ad Arborea stanno facendo le cose per bene. Le fragole sono di primissima scelta. Fregola. È frutto della lavorazione della semola di vario spessore, sgocciolata di acqua allo zafferano. È alla base di vari primi, soprattutto accompagnata dalle arselle. Frutta. Nespole, albicocche, more selvatiche, susine, prugne, meloni, mele, uva sono tra le grandi coltivazioni iso- Fil ’e ferru. Fildiferro è il nome del distillato di corbezzolo, spesso corretto al finocchio, prodotto artigianalmente. Fatevi raccontare perché si chiama così. Formaggi. Su tutti il pecorino romano, prodotto per l’80 per cento in Sardegna e per il resto nel Lazio, viene esportato in tutto il mondo. Il fiore sardo è il principe dei formaggi, antico e ricco di sapore. Anche il pecorino sardo rientra tra i formaggi dop. Gio- Ichnusa. Da oltre un secolo è la birra dei sardi, che ne sono i maggiori consumatori pro-capite. Altre marche regionali sono altrettanto apprezzate. Limoncello. I liquori a base di limone hanno storie diverse a seconda della provenienza. Buoni gli infusi di Quartucciu, Cagliari, Alghero e Marrubiu. Lumache. A Sassari, capitale indiscussa di questo piatto, le propongono nelle diverse misure: ciogga, ciogga manna e ciogga minudda. E poi ci sono le monzettas arrosto: da leccarsi i baffi. Maccheroni. Chiamati maccarrones de busa nell’Oristanese, nel Montiferru e in Ogliastra, si mangiano al sugo con le rigaglie di agnello. Fainè. Farinata di ceci cotta in grandi teglie circolari, è di origine ligure ma è un simbolo di Sassari: cercatela nelle apposite rivendite di via Usai. Ce n’è un’altra versione (chiamata la fainà) a Carloforte. Fave. Bollite con la mentuccia e condite con aceto di vino e sale: un piatto antico e capace di sapori intensi. La favata, cotiche di maiale e fave fresche, è un classico nel mondo agropastorale. Grive. Tordi e quaglie lessate e messe per vari giorni a “riposare” in un fagotto di foglie di mirto e sale. Teulada, Santadi e Capoterra i luoghi ad alta specializzazione. Malloreddus. È una delle paste che da sempre rappresentano i primi piatti della Sardegna. Di rigore al ragù di salsiccia fresca profumati con una spruzzata di pecorino. lane. E a Pula c’è perfino un’azienda che ha sperimentato con successo la produzione di banane. Frutti di mare. Cozze e arselle, ma anche ostriche, datteri, bocconi, cannolicchi: specie protette, se si è fortunati può capitare di trovarne qualche esemplare nelle zuppe di pesce. Chiedere nei ristorantini di Orosei, Siniscola, Stintino e nelle trattorie della Marina a Cagliari. Funghi. Alla rassegna “Porcino d’oro” partecipano ogni anno 25 tra i ristoranti regionali più quotati. Quella appena trascorsa è stata un’annata da record: le insalate di ovuli e i porcini arrosto hanno deliziato i palati isolani. Malvasia. Un vitigno di nobile origine. Bosa ne è la patria conclamata. Marmellata. A Galtellì, in Baronia, una insegnante di lingue all’università di Berlino, Irene Ghisu, è tornata al paese d’origine e produce strepitose marmellate biologiche. More, frutti di bosco, mele cotogne e agrumi sono i frutti alla base di quelle prodotte da sempre in Sardegna. Mazzafrissa. Squisito dolce a base di panna, formaggio, farina e miele creato artigianalmente negli stazzi della Gallura. Miele. Di asfodelo, agrumi, eucalipto, cardo, millefiori, castagno e corbezzo- 25 lo: le varietà del miele sono tutte di alto livello grazie alla ricchezza della flora spontanea e a fioritura alternata. Specialissimo quello amaro. Mirto. Il liquore più amato dagli italiani ha conosciuto, grazie al gradimento dei turisti, un successo commerciale che lo ha consacrato come simbolo dell’isola anche all’estero. Moscato. I grandi creatori del celebre vino da dessert stanno a Sorso, Sennori, Tempio, Dolianova, Sant’Antioco. Muggini. A Cabras è il pesce tipico da cucinare arrosto. La merca, pesce ed erbe salmastre, è la ricetta tradizionale della zona. Nasco. Vino da dessert, è ottimo con dolcetti secchi. Produzioni scelte si trovano nelle cantine di Quartu Sant’Elena, Mogoro, Sant’Antioco. tale della squisita spianata. A Gonnosfanadiga a marzo si celebra la sagra della moddixina. In Barbagia il pane carasau, o carta da musica, e in Ogliastra il pistoccu sono alcune delle inimitabili specialità isolane. Con le grandi sfoglie tostate si realizzano piatti superlativi: primo fra tutti, il pane frattau (salsa di pomodoro, pecorino, uova in camicia). Pasta. Un suggerimento obbligato: provate is tallarinus (tagliolini) conditi con la polpa di granchio. A Thiesi, Sanluri, Iglesias, Calasetta e Cagliari le principali produzioni dei maestri pastai. Pecora. “In cappotto”, cioè bollita con patate, carote e cipolle è un’esperienza indimenticabile. Chiede- foreste dei costoni del Gennargentu, ha un sapore che non ha paragoni. Ora sta emergendo, da Teulada al Sarcidano oltre che in Barbagia, quello di capra. Notevole. zucchero o meglio con miele di corbezzolo amaro. Attenzione: sebada è singolare, al plurale fa sebadas. Non chiedete mai “una sebadas” se non volete fare la figura dell’ignorante. Quaglie. Allo spiedo, in tegame con le olive, al forno con le patate o anche lessate: proposte in continua ascesa. Sospiri. Dolcetti ripieni di pasta di mandorle, a Ozieri sono di casa come il panettone a Milano e il panforte a Siena. Da provare quelli al mirto, all’arancio e al cioccolato prodotti a Berchidda. Ravioli. Dimensioni, ingredienti, metodi di lievitazione, cottura: in Sardegna cambia un po’ tutto. Anche il nome: culurzones, culirgionis, pulilgioni. In Ogliastra, Gallura e Trexenta quelli da non perdere. Ricci. Sul lungomare del Poetto, a Cagliari, decine di chioschi propongono frequentatissime degustazioni. Conditi con una goccia di limone, accompagnati da una fetta di pane fresco e un bicchiere di Vermentino. Noci e nocciole. Sono alla base di molte varietà di dolci e, ovviamente, del torrone prodotto nel Nuorese. Ricotta. Provatela con lo zucchero e il miele. Oppure salata con la pancetta. O magari con una spolverata di bottarga: la ricotta compare in molti piatti della gastronomia sarda. Olio. La Sardegna vanta produzioni di olio d’oliva extravergine che da anni mietono allori nelle più accreditate rassegne nazionali. Cuglieri, Dolianova, Alghero, Orosei, Gonnosfanadiga, Villacidro, Seneghe sono le aree di pregio. Riso. Prima Arborea era nota per la produzione. Da qualche tempo anche le lavorazioni sono di ottimo livello: il risotto ai frutti di mare del golfo del Sinis merita applausi. Olive. Verdi in salamoia, o nere, passite o infornate, a scabecciu, a bagno nell’olio, prezzemolo, aglio e aceto, o peperoncino e pomodoro secco. E non solo. Le olive vengono consumate anche in un impasto a focaccia. Orziadas. Sono gli anemoni di mare. Impanate e fritte fanno parte dei ricchi antipasti serviti nei ristoranti del Cagliaritano. Pane. I re del coccoi e del moddizzosu sono di casa a Quartu Sant’Elena. Il civraxiu è opera dei fornai di Sanluri. Sa costedda è di Villanovaforru. Ozieri, nominata città del pane, è la capi- 26 tela ai pastori che ad Orgosolo organizzano i pranzi negli ovili. Pesche. A San Sperate, il paese-museo dello scultore e pittore Pinuccio Sciola, maturano pesche giganti. Pesci. Orate e spigole, triglie e mormore sono le regine del mare sardo. Ma ci sono anche le cernie, le murene e le anguille... per non parlare dei crostacei, tra cui primeggia l’aragosta. Pomodori. I camona di Pula sono davvero eccellenti. Prosciutto. Tra quelli suini eccelle quello di Villagrande: fatto coi maiali allevati allo stato brado nelle Salumi. Bortigali, Maracalagonis, Irgoli, Seui, Monastir, Urzulei vantano ottime produzioni di insaccati: salsicce, prosciutti, capocollo, testa in cassetta, mortadella, pancetta, lardo e filetti di suino, cinghiale e, di recente, equino. Savoiardi. Eredità del regno sardopiemontese. La capitale indiscussa è Fonni, nel cuore della Barbagia, dove gran parte dell’economia locale ruota intorno alle numerose fabbriche di questo popolare biscotto. Sebada. Detta anche seada, è il dolce più classico del tradizionale menu agropastorale. Frittella di pasta fresca ripiena di formaggio, si condisce con Sottoli e sottaceti. Carote, carciofini, funghi, zucchine, cardi selvatici, peperoni, melanzane: gli ortaggi sott’olio costituiscono una vasta gamma di proposte in forte ascesa. Produzioni di buon livello in vari centri. Tra questi Villaspeciosa, Ussaramanna, Sestu. Tiriccas. Dolcetti a base di sapa, sia d’uva sia di fico d’India, tipici del Natale. In Gallura le chiamano cucciuleddhi. Tonno. Vive attorno a Carloforte e a Stintino, dove esiste tuttora la pratica della mattanza. A Olbia si trova uno dei più importanti stabilimenti di lavorazione. Dà la bottarga per condire gli spaghetti e degli ottimi filetti affumicati da consumare con un filo d’olio extravergine come antipasto. Torrone. A Tonara, ma anche nei centri alle pendici del Gennargentu, l’impasto di miele, mandorle, noci o nocciole, ostia di farina e acqua. Tratalia. Polmone, cuore, fegato e intestini del capretto o dell’agnello: arrosto o in tegame. PRODOTTI DOP, IGP, DOCG, DOC E IGT DELLA SARDEGNA Prodotti Dop (Denominazione di origine protetta) Formaggio Fiore sardo Formaggio Pecorino Romano Formaggio Pecorino Sardo Bottarga di Cabras (istruttoria in corso) Carciofo Sardo Spinoso (istruttoria in corso) Olio extravergine di oliva di Sardegna (istruttoria in corso) Zafferano di Sardegna (istruttoria in corso) Girò di Cagliari Malvasia di Bosa Malvasia di Cagliari Mandrolisai Monica di Cagliari Monica di Sardegna Moscato di Cagliari Moscato di Sardegna Moscato di Sorso-Sennori Nasco di Cagliari Nuragus di Cagliari Sardegna Semidano Vermentino di Sardegna Vernaccia di Oristano Prodotti Igp (Indicazione geografica protetta) Agnello di Sardegna Pomodorino di Sardegna (istruttoria in corso) Vini Igt (Indicazione geografica tipica) Barbagia Colli del Limbara Isola dei Nuraghi Marmilla Nurra Ogliastra Parteolla Planaria Provincia di Nuoro Romangia Sibiola Tharros Trexenta Valle del Tirso Valli di Porto Pino Vini Docg (Denominazione di origine controllata e garantita) Vermentino di Gallura Vini Doc (Denominazione di origine controllata) Alghero Arborea Campidano di Terralba Cannonau di Sardegna Carignano del Sulcis Uova. Quelle di struzzo e di quaglia sono entrate alla grande nelle composizioni degli antipasti. Aziende qualificate si trovano a Soleminis, Ussana, Ortacesus. Vermentino. Quello di Gallura, con vigneti a Monti, Berchidda e Arzachena, è l’unico vino sardo a fregiarsi del marchio Docg, Denominazione d’origine controllata e garantita. Eccellente anche quello del Campidano, prodotto da diverse cantine del Sud dell’isola. Vernaccia. L’impero di questo gran vino da dessert ha sede nelle campagne di Oristano, Zeddiani, San Vero Milis e Baratili. Vini. In Sardegna si contano ben 19 vini Doc, Denominazione d’origine controllata, e 15 Igt, Indicazione geografica tipica. Cannonau e Vermentino, ma anche Nasco, Monica, Nuragus sono alcuni dei vitigni più tipici. Oggi le cantine – anche per l’impulso che il Consorzio sardo dei Vini Doc ha dato alla qualità e alla commercializzazione – hanno elaborato processi e prodotti che hanno portato diversi vini a trionfare al Vinitaly e sulle tavole dei buongustai. Visitate a Berchidda il Museo regionale del Vino. Yogurt. Nell’isola viene chiamato gioddu. Preparato con latte di capra o di pecora ha un aspetto bianco lucido, porcellanato. Si abbina al miele di cardo o al millefiori. Zafferano. La piana di San Gavino Monreale e le campagne di Turri sono sede di quello che viene definito oro di Sardegna. Lo zafferano sardo è di altissima qualità e lunga persistenza aromatica. Cercate in libreria un libro che lo propone in 70 ricette. Zimino. A Marceddì, caratteristico borgo di pescatori dell’Oristanese, propongono le anguille in una zuppa di pesce semplicemente strepitosa. Ma anche a Sassari e Cagliari questo piatto va alla grande. Aldo Brigaglia - Mario Frongia 27 Andrea Campagna IL SASSARESE Terra calcarea dalle tenere forme rotonde come una bella donna, il Sassarese offre una cucina varia come il suo territorio. Dalle falesie di Capo Caccia alle colline punteggiate di chiesette romaniche, le mitiche lumache del capoluogo e l’aragosta di Alghero ben si accoppiano con la pecora, i piedini d’agnello e le altre prelibatezze della gastronomia rurale. Il tutto accompagnato dallo splendido pane di Ozieri e da numerosi vini di eccellenza. 31 PANORAMA - SASSARESE PANORAMA - SASSARESE 32 33 Gianmario Marras Castelsardo, sovrastata dall’affascinante borgo fortificato, si affaccia al centro del golfo dell’Asinara. Il castello abbarbicato sulla rocca racconta da novecento anni la storia dei conquistatori che vi si alternarono: dai Doria di Genova, che nel 1102 fondarono il paese chiamandolo Castelgenovese, ai catalano-aragonesi, giunti nel 1448, che lo ribattezzarono Castell’Aragonese. Il nome attuale risale ai Savoia. Nevio Doz Gianmario Marras PANORAMA - SASSARESE Sopra: il suggestivo chiostro romanico trecentesco della chiesa di San Francesco di Alghero; qui si organizzano convegni e concerti per gli appassionati di arte, musica e letteratura. Sotto: uno scorcio della spiaggia delle Saline di Stintino, nel golfo dell’Asinara. Il mare turchese e trasparente e la macchia mediterranea che lambisce la costa attirano ogni anno migliaia di turisti. 34 Gianmario Marras Nevio Doz Sopra: il borgo di Stintino, fondato alla fine dell’Ottocento da pastori sardi e pescatori genovesi costretti a lasciare l’Asinara dopo la costruzione del carcere. Il suo nome in sassarese (Istinthiu) significa “fiordo” per via delle due insenature della baia. Sotto: la Santissima Trinità di Saccargia, testimonianza del romanico-pisano in Sardegna. La basilica deriverebbe il proprio nome da s’acca argia, la vacca dal pelo maculato scolpita in un capitello. PANORAMA - SASSARESE PANORAMA - SASSARESE 36 Gianmario Marras Gianmario Marras In questa foto: Sa pattadesa, il tipico coltello a serramanico dei pastori fabbricato a Pattada, dove alcuni maestri artigiani mantengono viva la tradizione dei coltellinai. A destra: “Alzo gli occhi ed un enorme naviglio mi viene addosso”. Con queste parole lo scrittore Elio Vittorini descrisse la fastosa facciata tardo-barocca del duomo di Sassari. Costruita tra il 1250 e il 1280 da maestranze ispano-arabe, la cattedrale dedicata a San Nicola subì rimaneggiamenti fino al Settecento. 37 SASSARESE SASSARESE Sassarese GENUINITÀ E TRADIZIONE Queste le parole chiave di una cucina ricca e diversificata come il suo paesaggio, ora bagnato dal mare, ora dolce e verdissimo, ora aspro e selvaggio DI ORNELLA D’ALESSIO - FOTOGRAFIE DI DARIO SEQUI I n Sardegna esistono tante, tantissime culture diverse del mangiare. E nel Sassarese, più che altrove, questa ricchezza è molto evidente. Non solo perché è la provincia più vasta, che occupa tutta la parte settentrionale dell’isola, ma anche per la varietà del territorio e del paesaggio che passa dalle spiagge alle distese di vigne e cereali, dalle colline alle montagne. Il nostro viaggio gastronomico comincia da Sassari, seconda città sarda per numero di abitanti e importanza storica, dopo Cagliari. La cultura gastronomica cittadina è da sempre in grado di elevare e valorizzare le cose più povere. Non a caso è la patria di grandi mangiatori di lumache e contende alla Francia il primato di chi ha cominciato ad apprezzare questo cibo, partendo dal fatto che negli insediamenti umani protosardi, fra Sassari e Porto Torres, sono state ritrovate enormi quantità di gusci. Questo “amore” continua tutt’oggi e i sassaresi sono golosi di lumache di ogni genere. Raccontano i vecchi che anche nei momenti più duri è sempre stato facile riempirsi la pancia: per fare mangiare tutta la famiglia bastava trovare due chili di lumache, un po’ di pomodori, qualche uovo e una spruzzata di peperoncino. Altra abitudine alimentare nata in città, diffusasi poi in tutta l’isola, è quella dei piedini d’agnello. La spiegazione è semplice. Tutt’intorno a Sassari c’erano moltissime concerie, che dell’agnello usavano tutto eccetto appunto i piedini. E così c’era chi andava a raccoglierli per venderli. Poi le donne li pulivano, li bollivano e li preparavano, spesso, nel sugo piccante dell’agliata. Legato invece alla storia e ai commerci con i genovesi è il successo della fainè, che dai caruggi della Superba, dove è chiamata farinata, è arrivata fino qui ed è a tutt’oggi molto apprezzata. Della cucina tradizionale fa parte anche la carne d’asino. Come un’isola nell’isola, Alghero fa storia a sé, in tutto. Il suo passato parla catalano, lingua usata ancora oggi tra la gente, nei nomi delle strade e nelle tradizioni. Nelle abitudini alimentari troneggiano i piatti di mare, spesso legati ai crostacei. Le aragoste di Alghero, rinomate fin dall’antichità, regnavano sovrane anche sulle tavole dei romani condite con il garum, una salsa a base di pesce fermentato, sale e vino. Lungo la costa della Riviera del Corallo, nella parte nord-occidentale della Sardegna, si trovano ancora oggi relitti di navi romane cariche di anfore per il trasporto di questo condimento. Le imbarcazioni partivano da Cadice, in Spagna, dove erano specialisti nella preparazione del garum, e veleggiando verso Roma imperiale facevano tappa ad Alghero per caricare le aragoste. Poi per alcuni secoli la storia non lasciò spazio alle ricercatezze gastronomiche, fino alla fine dell’Ottocento, quando i crostacei algheresi tornarono così in voga che i velieri aragostai della zona dovettero solcare tutti i mari per rifornire le tavole più raffinate d’Europa. La regina Elisabetta d’Inghilterra le volle inserire nel meQui a sinistra: aragoste e carciofi, i prelibati “spinosi sardi”, sono due tipici prodotti della cucina sassarese, richiestissimi anche all’estero. Pagina accanto, in alto: la fainè, versione locale della farinata di ceci genovese. nu del suo pranzo di nozze e ancora oggi spesso gli chef di Chez Maxime, a Parigi, le propongono tra i loro piatti. Non a caso una delle ricette più conosciute, l’aragosta alla catalana, è nata qui nel 1949 dalla fantasia di Lepanto Cecchini. Suo figlio Moreno ha continuato l’eredità del padre e al ristorante “La Lepanto” si possono gustare piatti vincitori di premi internazionali: per esempio la coloratissima aragosta all’algherese dal singolare gusto dolce e amarognolo (il crostaceo bollito viene tagliato a tocchetti, e poi condito con arance, limoni, pomodori, olio, sale, pepe, alloro, prezzemolo e origano). Immancabile la visita alle cantine Sella e Mosca, azienda storicamente impegnata nella valorizzazione delle uve locali (Torbato e Cagnulari) e nello sviluppo di vitigni d’importazione (Chardonnay, Sauvignon, Cabernet e Sangiovese). Interessante il museo contiguo all’enoteca e la necropoli di Anghelu Ruiu, ai margini della proprietà. La tradizione dei piatti di mare sulla costa settentrionale continua da Stintino, con le zuppe di pesce, i crostacei e i polpi e con le papate, antico piatto marinaresco della zona, fino a Castelsardo, nota soprattutto per i pesci di scoglio. Bastano però pochi chilometri verso l’interno e tutto cambia. Immense distese dedite all’allevamento, terre lavorate, colline arse e battute dal vento. E splendide chiese. Dalla basilica romanico-pisana di Saccargia a quella in pietra nera di Nostra Signora del Regno di Ardara, dalla reggia nuragica di Santu Antine alla chiesa di San Pietro di Sorres sulla collina di Borutta. Da citare anche Banari, dove vive Giuseppe Carta, definito dai critici uno dei principali pittori italiani viventi, che spesso nelle sue tele iperrealiste “ritrae” la cipolla di Banari, particolare non solo per la grandezza e il colore rosso lucente, ma soprattutto per il profumo persistente e il gusto delicato dovuto al terreno argilloso in cui è coltivata. È proprio in queste zone che appare l’animo vero dell’isola che, pur essendo circondata dal mare, con il mare non ha mai avuto buoni rapporti. E anche a tavola il pesce scompare totalmente. Trionfano l’agnello, la capra, la pecora (soprattutto bollita) e il maiale, di cui vengono recuperate e cucinate a puntino tutte le parti commestibili. Spesso le bestie vengono allevate allo stato brado e la carne assume un sapore speciale, di mirto, di ghiande, di corbezzolo e di tutte quelle erbe aromatiche di cui è ricca la flora sarda. Tra le ghiottonerie: sa cordula, un rotolo di interiora legate con gli intestini e cotte in vari modi; lo zimino di carne, frattaglie di vitella arrosto un tempo cotte sulla griglia di fronte all’uscio di casa; su tattaliu, frattaglie di agnello. Questo piatto, un tempo considerato “da poveri”, oggi viene preparato in occasioni conviviali di ogni genere e per ogni ceto sociale. Un discorso a parte va fatto per il pane, da sempre così importante nell’alimentazione che in Logudoro, per San Silvestro, il capofamiglia faceva gli auguri a tutti con su càbule (pane a forma di ferro di cavallo) e poi lo spezzava sulla testa dell’ultimogenito. Anche i dolci hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nel quotidiano. Gli ingredienti cambiano a seconda delle stagioni e le forme secondo le ricorrenze. UN TRIPUDIO DI SAPORI NELLE STRADINE DI OZIERI Una delle mete più golose del cuore settentrionale della Sardegna è Ozieri, il cui centro è un intrico di viuzze e case ottocentesche con le altane, logge coperte in stile neoclassico, importate ai tempi degli scambi commerciali con la Francia. Questo antico borgo a forma di anfiteatro, capoluogo del Logudoro, è conosciuto per le spianate (su pane fine), un tipo di pane molto pregiato (nella foto), sia per i lunghi tempi di lavorazione che quelli di conservazione. Ma i più forse non sanno che proprio in questo spicchio di Sardegna fino a qualche decennio fa si produceva sa gruviera, e, come in Svizzera, si allevavano bovini di razza bruno-alpina. Con la valorizzazione dei vecchi sapori, in atto ormai da tempo, anche questo formaggio sta vivendo un rilancio come prodotto di nicchia. Stessa sorte tocca a due vitigni autoctoni: l’Alvarega e il Radagliadu. Storicamente Ozieri aveva una radicata tradizione nella viticoltura, con consistenti produzioni di vino, quasi scomparsa a causa dell’abbandono dell’agricoltura. Adesso è in via di realizzazione un importante progetto per promuovere la cultura del vino anche attraverso l’impianto di vigneti sperimentali. Ma non è tutto. A Ozieri ci sono anche i dolci, tra cui i golosissimi sospiri, fatti di pasta di mandorle, miele, limone e zucchero e le coppulettas, raffinate e gustose. (O. D’A.) 39 SASSARESE Ristoranti IL MEGLIO IN TAVOLA Sassari, Alghero, Stintino, Castelsardo...: preziosi consigli “da amico” su dove scoprire e gustare i piatti della tradizione nella Sardegna nord-occidentale DI ORNELLA D’ALESSIO - FOTOGRAFIE DI DARIO SEQUI I n Sardegna si è un po’ persa quella ricchezza di sapori e gusti della cucina povera che rendevano ogni piccolo paese diverso dall’altro, a favore di un diffusissimo e non ben identificato mangiare “alla sarda”, assai poco originale e differenziato. Ciò nonostante esistono ancora ristoranti, trattorie e alcuni agriturismo fedeli a quella tradizione gastronomica che tende a valorizzare i piatti del territorio. Quei posti, spesso anche economici, 40 che consiglieresti a un amico. Con questa logica abbiamo selezionato alcuni indirizzi preziosi, sparsi un po’ in tutto il nord-ovest dell’isola. A Sassari le antiche ricette popolari sono riviste con estro da Piero Careddu all’Antica Hostaria (tel. 079/200066). Tra i suoi piatti forti: pasta con polpette di carne di cavallo, pane zichi con pomodoro fresco, zucchine, ricotta salata e menta fresca, stufato d’asino in crosta e come dolce la torta di datteri e frutta secca al Villacidro, liquore sardo a base di zafferano. Mentre la fainè doc, sia semplice sia con cipolle e salsiccia, cotta nel forno a legna si mangia da Sassu (via Usai, tel. 079/236402), apprezzata anche da Togliatti e da Cossiga. Grandi scorpacciate di pesce e crostacei ad Alghero, dove oltre ai ristoranti arcinoti quali La Lepanto, Il Pavone e Al Tuguri, ci sono altri indirizzi. Ottima l’aragosta del circolo AICS Mabrouk (nel centro storico, tel. 079/970000). In cucina c’è Antonietta, ex giocatrice di softball, che prepara solo quello che le porta il fratello pescatore e quindi il menu cambia in continuazione. Abbondanti e sfiziosi gli antipasti della Trattoria Maristella (via Kennedy 9, tel. 079/978172). Da non perdere la pescatrice con peperoni, gamberetti, pomodori e rucola, il polpo in agliata e i filetti di rombo soffritti, con pinoli e uva passa. Servono anche gli spaghetti all’algherese, una loro creazione, con pomodori secchi, vongole, capperi e bottarga di muggine a scaglie. Una delizia. Enorme successo sta riscuotendo la paella algheresa del ristorante Daps (via Fratelli Cervi 16, tel. 079/950050), nome che ricorda la marca di una birra, ma che in latino significa banchetto sontuoso. L’ha ideata lo chef Roberto Daga, insieme con i ragazzi dell’Istituto alberghiero di Alghero, per celebrare i 900 anni della città, armonizzando insieme i sapori della catalanità e della sardità. E così al posto del riso Pagina accanto: ottima tavola e scorpacciate di pesce all’aperto nel centro storico di Alghero. Qui a sinistra: Vittorina, dell’agriturismo “Coronas” di Bonorva, mentre prepara uno dei suoi impareggiabili piatti “poveri”. In basso: gli spaghetti all’algherese, una creazione della “Trattoria Maristella” di Alghero; sono conditi con pomodori secchi, vongole, capperi e bottarga. c’è la fregula (palline irregolari di grano duro) e molti prodotti del territorio: rana pescatrice, scampi, gamberi, cozze, arselle, agnello, coniglio, favette, asparagi, finocchietto selvatico e zafferano. Altro discorso per l’agriturismo Sa Mandra (Strada per Fertilia, tel. 079/999150), una sorta di enclave barbaricina a pochi chilometri da Alghero, dove si mangiano i piatti della tradizione pastorale sarda. Ottimi i ravioli di ricotta fresca alle sette erbe appena colte (segrete!), i maccarrones de pungiu e il cinghiale cotto con olive biologiche e finocchietto selvatico. Un occhio di riguardo ai dolci: papassini (farina e frutta secca, mandorle, noci, nocciole e uva passa), amaretti, bianchini (albume e zucchero) e il mitico gattò, con zucchero, miele e mandorle. Nelle vicinanze c’è Anna Rita, un grazioso ed economico Bed and Breakfast immerso nel verde (prenotazioni: Sardegna B&B, tel. 070/7265007). Piatti di terra anche all’agriturismo Finagliosu (tel. 079/530474) di Palmadula, in posizione panoramica su una parete a strapiombo sul mare. Pranzo o cena solo su prenotazione. SASSARESE A sinistra: lo staff della “Trattoria Maristella” di Alghero alla prova dell’assaggio. In basso: le lumache, secolare passione culinaria dei sassaresi; i “bocconi”, lumache di mare soffritte in olio con aglio, prezzemolo, cipolla e peperoncino sono un ottimo antipasto. Si torna a parlare di cucina di pesce dirigendosi verso Stintino. Al ristorante Lina (tel. 079/523505) si degustano la zuppa di pesce alla stintinese, le conchigliette karalis, pasta, formaggio e vongole un po’ piccanti, e il cappone (scorfano) del golfo dell’Asinara con le patate. Piatti di mare anche a Castelsardo, dove oltre ai pesci di scoglio, come la triglia, l’orata, la spigola, il sarago e il pagello, vantano ottime aragoste. Antichi e nuovi sapori si assaggiano, seduti in veranda, alla trattoria Rocca Ya (tel. 079/470164). Le proposte variano dal pesce in agliata alla razza al pecorino. Gusti misti di mare e di terra a Sennori, da Vito (tel. 079/360245), dove lo chef prepara ottimi antipasti: cozze gratinate, polpo e patate, fritture di gamberetti e scampi, bocconi (lumache di mare), ostriche e tartufi e le fave ribisale, ossia bollite con il guanciale di maiale e cipolla, condite con aglio e prezzemolo. Mentre nella vicina Sorso, al ristorante Josmarì (tel. 079/359000), si assaggiano carne, pesce e verdure, soprattutto, alla griglia. La cantina sociale “Romangia” di Sorso e Sennori, produce ottimi Cannonau, Vermentini (più robusti di quelli galluresi) e, so- 42 prattutto, il Moscato, che si accompagna bene con i cozzuri di sappa, pasta sfoglia molto fine riempita di decotto di mosto insaporito all’arancia e alla mela cotogna. A Siligo, nell’entroterra, al ristorante Sa Figu Bianca (cell. 348/4129677), si mangiano i ravioli casalinghi, le animelle di agnello, il porcetto allo spiedo, l’agnello con carciofi e finocchietti selvatici. Ottimi i dolci fatti in casa, come le formaggelle, il timballo al caramello e un tiramisù che va a ruba. A pochi chilometri, a Banari, accanto all’ateliermuseo del pittore Giuseppe Carta, in un antico palazzo in pietra si trova il S’Asilo (tel. 079/826232333/9489518), poche e panoramiche stanze che guardano un’ampia vallata. All’agriturismo Calarighe (tel. 079/925045), a Romana, in un ambiente accogliente e familiare si assaggiano i piatti tipici, ciciones de furriadoso, gnocchi con formaggio fresco filante, la cordula con i piselli, i nervetti di vitello e la pecora in diversi modi, accompagnati da vini del territorio. Da non perdere il dolce della casa a base di formaggio e miele. Nei dintorni, a Villanova Monteleone, c’è il B&B Su Cantaru, poche camere circondate da un bosco (prenotazioni: Sardegna B&B, tel. 070/7265007). Andando verso la splendida abbazia di Saccargia, ci si può fermare comodamente al ristorante Saccargia (tel. 079/434013), da cui si vede bene la chiesa. Il menu varia tra piatti di terra e di mare. Imperdibili i ravioli ai carciofi e bottarga. Con il proliferare delle aziende agrituristiche è sempre difficile orientarsi su quali SASSARESE Menu tipico SE SIETE A SASSARI CHIEDETE: Primo Pane cotto con pomodoro, zucchine, basilico e ricotta mustia Secondo Zimino (frattaglie di vitello arrosto) Dolce Casarinas, ossia formaggelle, e pabassinas. veramente utilizzino in cucina ciò che producono, ma non è impossibile. A Osilo, in località Donnigheddu sulla strada per Nulvi, s’incontra l’agriturismo Sechi (tel. 079/42051). Servono 12 antipasti, 2 primi, 3 secondi, l’arrosto di porcetto e per finire i dolci tipici: papassini, tericcas e ricottelle. Grande scelta di antipasti anche all’agriturismo Su Recreu (tel. 079/442456) di Ittiri. La specialità sono le verdure grigliate condite in diversi modi, i salumi, i crostini e le campagnole, fagottini di pasta ripieni di verdura o carne. Curioso il cacioricotta che prepara Gavino, lo chef, un formaggio morbido e saporito fatto con il latte di capra e a volte di pecora e il dolce Recreu, una originale sebada con miele di eucalipto locale e una glassa di arancia di Muravera. Hanno anche 3 camere (prenotazioni: Terra Nostra, tel. 070/280537). A Campanedda, tra Porto Torres e Alghero, all’agriturismo Sechi e Tilocca (tel. 079/306119) si mangiano ravioli di ricotta di produzione propria, tagliatelle con zucchine, agnello in verde o arrosto. Deliziosi i dolci: formaggelle, con formaggio o ricotta, papassini, tiricche di miele e i biscotti della nonna. Hanno anche 8 stanze (prenotazioni: Terra Nostra, tel. 070/280537). A Bonorva, all’agriturismo Coronas (tel. 079/866842), Vittorina prepara: pane a fittas, una spianata dura tagliata a pezzettini e cucinata con il sugo di pecora o di maiale, pane bollito, con pecora, patate, cipolle, finocchietti selvatici e cavolo verza, favata, con il lardo, le ossa, le costine e la testa di maiale, fave secche e cavolo, maiale in agrodolce. Una squisitezza il dolce tipico: cogones d’elda, con i ciccioli di maiale, le noci e l’uva passa. 44 SE SIETE AD ALGHERO CHIEDETE: Primo Spaghetti ai ricci di mare Secondo Aragosta alla catalana Dolce Torta di menjar blanc (pasta sfoglia con crema di latte e scorze di limone) SE SIETE ALL’INTERNO CHIEDETE: Primo Su succu, la fregula con sugo di pomodoro, basilico e pecorino Secondo Stufato di agnello con olive Dolce Amaretti Nevio Doz Sopra: gli amaretti sardi sono i più grandi e con l’interno più morbido; il loro gusto straordinariamente delicato viene esaltato se accompagnato da un bicchiere di Malvasia. In basso, nel riquadro: aragosta alla catalana con cipolla, peperoni, pomodorini e zafferano. SASSARESE UNA FAMIGLIA DI RISTORATORI: GLI ANDREINI Cristiano e Gian Luca sono figli d’arte. Il primo in famiglia a occuparsi di ristorazione è stato il padre: Sergio Andreini. Dopo anni d’insegnamento all’Istituto alberghiero di Alghero è stato proprio lui a inaugurare il rimpianto club privato “S’Oberaju”: pochi tavoli, qualche panca e una minuscola cucina in un vecchio palazzotto che occhieggia al mare, dove si andava tra amici per mangiare i piatti più tradizionali, come gli spaghetti ai ricci e l’aragosta, spendendo due soldi. Qui, dopo varie esperienze in Costa Smeralda, i due fratelli, Cristiano e Gian Luca, hanno continuato a farsi le ossa, prima di prendere il volo verso ristoranti – stellati Michelin – della Ville Lumiére e della Svizzera, dove hanno lavorato con grandi cuochi, come Alain Ducasse. Infine sono rientrati ad Alghero, per lavorare da “Andreini” (via Arduini 45, tel. 079/982098) aperto tre anni fa dal padre Sergio, in un ex frantoio con soffitto a volte a botte in un bel palazzo del centro storico. L’arrivo di Cristiano, come chef, e di Gian Luca, in sala, ha portato una ventata di novità ad Alguer, cittadina molto catalana e un po’ sarda, sempre sospesa tra passato e futuro. “Ci sentiamo algheresi, sardi e italiani e i nostri piatti rispecchiano questo spirito – dicono i due fratelli –. La nostra cucina vuole valorizzare il territorio, partendo da una ricerca scrupolosa della materia prima. Un esempio è il menu che ritocchiamo ogni giorno in base a cosa troviamo al mercato”. Tra i piatti forti ci sono il tonno isolano marinato alle spezie, caramello di aceto balsamico ed erbine di campo, il risotto allo zafferano di Turri con un ristretto di scampi e carciofi snakati (croccanti) o le tagliatelle fatte in casa al nero di seppia accompagnate dalla coppazza (brodetto di pesce), il pesce spada e gli asparagi selvatici. “Come secondi oltre al pesce dei nostri pescatori e mai di allevamento – spiega Cristiano – ci sono le carni. Quella sarda, come il bue rosso del Montiferru, ma anche la cacciagione, il cinghiale o l’agnello è più dura e difficile da lavorare di quella ‘continentale’, ed è proprio in questo che si vede l’intervento dello chef. Non faccio né intingoli né salse pesanti, ma solo una cottura delicata, in modo da evidenziarne il sapore”. Il carrello dei formaggi è un’opera d’arte: casizzolu del Montiferru, caprini freschi lavorati con muffe nobili, pecorino erborinato di Thiesi e di altre provenienze con stagionature diverse. E poi ci sono i dessert, tra cui lo spumone al torrone di Tonara con salsa di cioccolato caldo e i sorbetti, soprattutto per l’estate, fatti con le arance di Muravera, il prezzemolo, il limone e il basilico, senza però dimenticare le mitiche sebadas con miele di acacia e cumino. E non è tutto. A tavola vengono serviti cinque tipi di pane fatto in casa. C’è la carta degli oli (di cui sette sardi, uno ligure, uno siciliano e uno pugliese) per condire sia l’insalata, rigorosamente di campo, che qualsiasi altro piatto; e poi quella dei distillati, dei caffè, degli infusi biologici, dei tè... La carta dei vini, in continua evoluzione, è fortissima soprattutto sui vini isolani, rappresentati da oltre 80 etichette sulle 250 totali. Dulcis in fundo il box per i sigari, e una sala per i non fumatori. (O. D’A.) Una sala del ristorante (aa sinistra ) e lo chef Cristiano Andreini (iin alto ), che si è fatto le ossa lavorando nei migliori ristoranti europei insieme al fratello Gian Luca. 46 Andrea Campagna LA GALLURA Dici Gallura e pensi subito mare, granito, sughere e vento, che non sono soltanto paesaggio ma anche modo di essere un popolo, una civiltà. Dalle coste più famose del mondo ai caratteristici stazzi dell’interno, una cultura del mangiare diversa anche dal resto della Sardegna. Suppa cuata, autentica regina della tavola, ravioli dolci, formaggio fresco e tenere formaggelle di ricotta: i sapori prevalenti sono discreti e delicati come i modi della gente di qua. E come il Vermentino, il più nobile dei suoi vini. 49 PANORAMA - GALLURA La stupenda spiaggia di Poltu li Cogghi, a otto chilometri da Porto Cervo, è tra le più belle della Costa Smeralda. Un arco di sabbia bianca finissima, delimitato dalle rocce, si incontra con l’acqua turchese. Il particolare fondale in granito regala al mare colore e limpidezza unici. Gianmario Marras PANORAMA - GALLURA PANORAMA - GALLURA Gianmario Marras Sopra: Rena Bianca è una delle spiagge di cui Santa Teresa di Gallura va giustamente orgogliosa. Il candore dei granelli di sabbia riluce in un abbagliante contrasto con la macchia scura della vegetazione e il celeste limpido dell’acqua. A sinistra: un tempo gli asini erano l’unico mezzo per trasportare i viveri al faro dell’isola di Razzoli, nell’arcipelago della Maddalena. Oggi una comoda mulattiera conduce all’edificio squadrato sovrastante le coste scoscese e selvagge; da qui si apre un panorama indimenticabile sulle Bocche di Bonifacio. Gianmario Marras Gianmario Marras PANORAMA - GALLURA Uno scorcio del campo da golf del Pevero, inserito nella fantastica cornice naturale della macchia mediterranea intorno a Porto Cervo. Il percorso a 18 buche disegnato da Robert Trent Jones nel 1972 si snoda per 6107 metri e va coperto con 72 colpi; “green” sempre in perfette condizioni e servizi impeccabili sono il biglietto da visita di questo prestigioso club. 53 PANORAMA - GALLURA Antonio Saba Gianmario Marras A sinistra: la chiesetta di San Leonardo a Luogosanto, pittoresco paesino agricolo della Gallura situato tra Tempio e Arzachena. Il piccolo edificio sacro ad aula unica dedicato al Santissimo Salvatore era la cappella palatina del castello di Balaiana, raso al suolo nel 1432 da Alfonso d’Aragona. La furia distruttrice del re risparmiò la piccola chiesa romanica in conci di granito che ancora oggi, dopo il restauro del 1995, domina dalla sommità di una collina un paesaggio ondulato dai vasti orizzonti. Sotto: la spiaggia attrezzata di uno degli alberghi più belli ed esclusivi della Costa Smeralda. 55 GALLURA GALLURA Gallura UNA CIVILTÀ DI CONTADINI E PESCATORI Dalla sobria cucina contadina degli “stazzi” ai raffinati sapori del mare cristallino: breve itinerario gastronomico nella terra del Vermentino Antonio Saba un’altra figura essenziale di questa terra: non solo per l’apporto che dà all’economia di intere popolazioni (Calangianus è giustamente considerata la capitale italiana della lavorazione del sughero), quanto per il particolare aspetto che conferisce al paesaggio quella loro inclinazione a sud-est, dovuta alla forte e persistente azione del maestrale. Vento che qua la fa da padrone, compagno abituale dei sardi e amico delle migliaia di velisti e surfisti che popolano d’estate le acque galluresi. Senza capire questo paesaggio non si capisce la Gallura. Che non è solo mare. La Gallura è anche il suo interno, tutto verde e vallonato, con strade che fanno buffi saliscendi lungo i pendii. Lo punteggiano le case bianche che si chiamano “stazzi” (dal latino statio, luogo dove ci si ferma), cuore dell’azienda familiare che vive del lavoro dei campi, di allevamento del bestiame, del bosco per la legna, della vigna per l’aspro vino, dell’orto per le provviste di casa. È da qui, dagli stazzi, dalla vita morigerata e severa dei suoi contadini-pastori, che viene quella che chiamano la “civiltà gallurese”. E siccome è anche civiltà del mangiare, trae ancora oggi dalla tradizione dello stazzo la sua cucina più tipica. Sontuoso piatto d’obbligo è la suppa, una zuppa che dicono anche cuata, cioè “nascosta”, pare perché sormonta- 56 A sinistra: un tempo in Gallura si producevano le pesche e le angurie più buone di Sardegna. Ora è un frutto selvatico come il fico d’India a dare un tocco mediterraneo alla tavola. Pagina accanto, in alto : la Gallura non è solo mare, ma anche dolci e verdi colline che danno un ricco pascolo agli allevamenti dell’interno. Pagina accanto, in basso: i dolci galluresi sono un trionfo di zucchero e miele. ta da una crosta brillante di formaggio. Franco Fresi, poeta gallurese tra i più noti, nato in uno di questi quieti stazzi, ce ne dà più avanti la ricetta (vedi box a pag. 62). La suppa è, come dice lui, il piatto forte del pranzo nuziale: e infatti la chiamano anche suppa di còju, di nozze. La cucina di mare è scoperta più recente. Certo esisteva da prima, portata soprattutto dalle numerose, attive colonie di pescatori (quasi sempre ponzesi) che venivano a stabilirsi su queste coste. Il turismo, promovendo quei borghi solitari a piccoli paradisi estivi, ha esaltato le pietanze povere di chi viveva tra reti, palamiti e barche. Lo zimino, per esempio, è la zuppa di pesce, che aveva per ingredienti tutti i pesci che non potevano andare sul mercato, ma ottimi per il sugo. La galletta faceva il resto. Questa popolazione abituata (meglio dire, costretta) a sfruttare ogni angolo del mare si è trovata anche due delikatessen che hanno un mare di affezionati: le cozze (il golfo di Olbia ne ospita allevamenti che sono tra i più grandi d’Italia) e i ricci. I ricci sono un frutto di primavera, ma si possono mangiare tutto l’anno. Non temono gli inquinamenti, e la GalAntonio Saba D ici Gallura e pensi subito mare, granito, sughero e vento. Che poi fanno tutto un insieme: non solo paesaggio, ma anche modo di essere un popolo, una civiltà. Mare, da queste parti, vuol dire Costa Smeralda, arcipelago della Maddalena, Bocche di Bonifacio, Costa Paradiso: alcuni dei luoghi che molti considerano tra i più belli al mondo. La Gallura ha colori incredibili, che valgono da soli l’intera vacanza. Il merito è anche del granito, che regala all’acqua trasparenze spettacolari, come spettacolari sono le rocce, giganteschi capolavori naturali e autentiche protagoniste del paesaggio. La quercia da sughero è Dario Sequi DI MANLIO BRIGAGLIA lura ha centinaia di spiagge mai toccate dal piede umano. Un tempo c’erano anche le gnàccare, nome locale di quella che gli scienziati chiamano pinna nobilis: enormi molluschi bivalvi, simili a grandi pale di fichi d’India, confitti verticalmente sul fondo del mare più quieto. Chi faceva il bagno al Cannigione, sino a una trentina d’anni fa, vedeva questa foresta rameggiare immobile dieci metri più in basso. Del muscolo si faceva una splendida insalata, il ventrame si friggeva fino a farne un pasticcio piccante, si diceva anche amabilmente afrodisiaco. Regina del menu di mare è Sua Maestà l’Aragosta. Se n’è pescata tanta, in questi ultimi anni, che la Regione ha dovuto ordinare un periodo annuale di fermo biologico. Un tempo la sua pesca era centrale nella modesta economia dei villaggi di pescatori: velieri venivano a caricarla un po’ dappertutto per portarla a Genova o, meglio ancora, a Marsiglia. La stiva era forata in modo da farci passare acqua di mare sempre fresca: altrimenti l’aragosta, che è animale delicato, avrebbe sofferto e alterato il proprio sapore. Allo stesso modo, una volta pescata, in attesa che arrivasse il veliero, veniva collocata dentro 57 GALLURA GALLURA cassoni di legno, immersi a pelo d’acqua, in modo da restare in mare. Quando le aragoste si urtavano, le antenne più sottili si rompevano, provocando l’inquinamento della gabbia e la morte delle aragoste. Per questo i pescatori visitavano i vivai due volte al giorno, e toglievano quelle ferite o danneggiate. L’operazione, essenziale alla sopravvivenza del pescato, attivava un curioso mercato, detto sbrigativamente “delle aragoste morte” (leggi piuttosto moribonde). Le si vendeva a prezzo di saldo, sicché prima dell’invasione turistica (che si data per comodità al 1962, anno di fondazione del Consorzio della Costa Smeralda) si poteva mangiare l’aragosta a prezzi più bassi del pesce “normale”. L’aragosta alla Vernaccia era il piatto che aveva reso famoso un piccolo ristorante di Capo Testa, “Da Zia Colomba”. La proprietaria, zia Colomba Muntoni, si è messa a riposo da qualche tempo: ha più di cent’anni, ma ogni mattina va a mungere le vaccherelle e farci una ricottina che offre col miele agli amici che vanno a trovarla. Dario Sequi In questa pagina: l’estrazione e la lavorazione del sughero in Sardegna, e in particolare nei boschi della Gallura, garantisce il 90 per cento della produzione italiana di tappi e di materiale isolante impiegato nel settore edile. Pagina accanto: un vigneto in Gallura. Con gli ottimi Vermentini e il celebre Capichera, la zona si è conquistata un posto di tutto rispetto nella produzione vitivinicola isolana. Dario Sequi Dario Sequi Il miele, per l’appunto. I galluresi, di bocca dolce, lo usavano spesso nella loro cucina. In particolare nelle decine di varietà di dolci (prime fra tutti li cucciuleddhi e meli, canestrini di pasta, pasta di mandorle e miele, e le origliette, piccoli rombi di pasta fritta: “piccoli cuscini”, dallo spagnolo) e soprattutto nelle frittelle, li frisgioli longhi, frittelle lunghe a volte anche un metro, che i galluresi doc non mangiano se non sepolte di zucchero e miele. Sono un dolce tipico del periodo di Carnevale, ma la cucina turistica le ha allungate fino all’estate. In verità, il dolce principe del menu estivo è la sebada o seada (al plurale si aggiunge una esse e fa sebadas, seadas: state attenti a non dire “una sebadas”, anche se ormai quest’uso è invalso anche nei camerieri indigeni). Il nome viene da seu, lo strutto con cui si prepara la pasta che serve a fare una focaccina ripiena di formaggio fresco, possibilmente acidulo, fritta e naturalmente mielata e zuccherata. Anche lo stazzo gallurese conosceva un dolce di questo tipo (si chiamava la siata), ma è il turismo che l’ha fatta atterrare sui tavoli galluresi dai pascoli della Sardegna interna. Finiamo con la frutta. La Gallura produceva un tempo (a Santa Teresa di Gallura, per esempio) angurie e pesche da concorso. Ora è fortuna se arrivano dai vicini campi del Coghinas o dai frutteti di Arborea, nell’Oristanese. A voler restare sul locale, si potrebbe scegliere l’uva: se non altro per rendere omaggio ai famosi vini, tutti doc e qualcuno anche dogc, che si fanno tra Tempio – patria di famosi vermentini – e Arzachena, dove un’azienda privata fa ottimi rossi per la carne e inarrivabili bianchi, tra cui il mitico Capichera, per il pesce. Luras è l’ultima arrivata, ma è già nel gruppo di testa con lo splendido Vermentino della cantina Depperu. Ma un frutto che, come si dice oggi, intriga molto il visitatore è il fico d’India. Un frutto di piena estate, stagione di climi densi. Cresce a siepe sui muretti delle tanche, un trionfo di gialli e di rossi. Ed è gratis. I galluresi dicono scherzando che al turista piacerebbe molto di più se qualcuno gli dicesse che, prima di mangiarlo, bisogna togliergli la buccia spinosa. LA GALLURA IN TAVOLA: LA RICETTA DELLA SUPPA Oggi nei menu dei ristoranti la chiamano suppa cuàta, zuppa nascosta, ma prima la si chiamava semplicemente la suppa. Già presente, pare, nel Settecento nella cucina gallurese, rappresenta da sempre uno dei piatti più caratteristici dell’economia alimentare dello “stazzo”. La ricetta è molto semplice: in una teglia dai bordi alti, o in un altro semplice tegame, sul fondo cosparso di un velo d’olio vengono alternati diversi strati di fette di pane rappreso e di formaggio tenero. Tra strato e strato, salsa di pomodoro fresco con foglie di basilico. Il tutto, poi, viene innaffiato con brodo di manzo e messo nel forno già caldo. Un’ora e mezzo circa di cottura e i bordi del recipiente vengono superati da una crosta dorata e profumatissima sotto la quale si è formato un tenero strato pastoso, frutto della fusione del pane e del formaggio assieme al sugo e al basilico. La suppa, così fragrante e dorata, può essere facilmente scambiata per una torta. Di qui, forse, il nome di suppa cuàta, quasi dissimulata, nascosta alla semplice interpretazione del profano. Tagliata a spicchi, la sostanziosa pietanza viene servita calda. Fredda perde il 50 per cento del suo pregio, anche se in alcuni ristoranti viene considerata oggi anche un ottimo piatto estivo. Quando i matrimoni si celebravano in famiglia, la suppa costituiva il clou del ricco pranzo di nozze. Veniva chiamata per l’occasione una manista (il termine, che potrebbe anche tradursi semplicemente “cuoca”, sembra avere un significato più ricco dell’indica- zione di un mestiere) di provata esperienza perché la suppa di un matrimonio non poteva essere che ottima, degna di mintóu, degna di ricordo e accomunata alla buona sorte degli sposi. In Gallura ogni ristorante che si rispetti può offrire anche oggi una buona suppa vecchio stile. Alcuni, meno rispettosi della tradizione, l’hanno voluta “arricchire” con carne, pesce, verdure o aromi inadeguati. Altri, pur conservando gli ingredienti giusti, tendono a diluirli con brodi più abbondanti, fino a ottenere una semplice zuppa che ricorda tanto la pur gradevole “acqua cotta” toscana. Altri ancora sostituiscono le larghe, sottili fette di formaggio fresco con del pecorino piccante grattugiato o parmigiano a cubetti. (F.F.) 59 GALLURA GALLURA Ristoranti Dove assaporare le specialità della cucina tradizionale gallurese, tra agriturismo e ristoranti meno noti che offrono i piatti “di una volta” DI FRANCO FRESI C onsigliamo qui qualche ristorante di città e qualche agriturismo. Esclusi dall’elenco, perché segnalati in qualsiasi buona guida, i ristoranti più noti, tra cui ne ricordiamo solo tre che per noi sono i migliori in assoluto: quello dell’albergo Gallura a Olbia (vedi box p. 61); il Canne al vento (tel. 0789/754219) di Franco Mannoni a Santa Teresa di Gallura; e La Gritta (tel. 0789/708045) di Beniamino Amore a Palau, affacciato su Porto Raphael e lo splendido panorama della Maddalena. A proposito di Palau, vale una visita la magica romantica atmosfera dell’hotel Capo d’Orso (tel. 0789/702000), in località Cala Capra. Nel suo ristorante vengono profuse a piene mani qualità, cortesia e professionalità. Caratteristica che si ripete in tutte le strutture del gruppo Delphina, in particolare al Cala di Falco di Cannigione, alle Dune di Badesi e al Torre Ruja dell’Isola Rossa. A Tempio, bella cittadina alle falde della catena del Limbara, il ristorante tipico (e bar) Caffè Gabriel, in via Mannu 43 (tel. 079/633601, aperto tutto l’anno), propone cibi strettamente locali, d’antica Dario Sequi tradizione: gnocchi casarecci, ravioli, tagliatelle. Cacciagione, pesce e vini locali. Anche alla trattoria Da Bisson in via San Luca (cell. 339/6424117) piatti tipici galluresi e vini locali. Tra gli agriturismo, citazione d’obbligo per L’Agnata ideato da Fabrizio De Andrè e ora condotto dalla moglie Dori Ghezzi e dai figli. Si trova a 15 chilometri da Tempio, a 7 dal bivio a destra sulla Tempio-Oschiri. Paste e carni della cucina sarda tradizionale, e vini locali. Meglio prenotare (tel. 079/671384). Ad Aggius, paese il cui paesaggio granitico vale da solo una vacanza, la pizzeria-trattoria Calimero, in centro (tel. 079/620297), propone specialità galluresi ed è l’unico locale in Gallura dove si cucina l’asino in tutte le ricette. Vini locali. Tra gli agriturismo Il Muto di Gallura di Gianfranco Serra, ad un chilometro da Aggius andando verso Tempio (tel. 079/620559). Pietanze rigorosamente locali. Tra le carni troneggia il cinghiale. Piatto principe la suppa cuata. Sempre aperto (si consiglia di prenotare). Vini locali. A Calangianus il ristorante La Quercia, in via Tempio (tel. 079/660752) offre tutti i piatti della tradizione gallurese. A Sant’Antonio di Gallura il ristorante La Pitraia di Angelo ed Arcangela (tel. 079/6693810789/43911) offre tutte le specialità della cucina tradizionale gallurese riproposte con molto buon gusto da uno chef d’eccezione. Vini locali ma non solo. Tra gli agriturismo, gode di meritata fama l’azienda agricola-agriturismo Li Licci, che si trova sulla strada Luras-Olbia, in prossimità del piccolo centro di Priatu (tel. 079/1665114). Tutte le tradizionali specialità galluresi. Si privilegia la suppa cuata e, tra le carni, il porcetto. Ottimi antipasti di prosciutto locale. Vini della casa. Sempre a Priatu merita una sosta l’albergo-ristorante-bar Montenero da Vittorio e Antonello (tel. 079/665104) che propoA sinistra : in Gallura non è difficile trovare un ristorante dall’atmosfera calda e accogliente dove gustare le migliori specialità della gastronomia locale. te. Sempre da quelle parti, potete fare una sosta al ristorante Belvedere (tel. 0789/96501) dove i fratelli Pileri vi accolgono con un sorriso e una serie di piatti preparati dalla mamma – pasta fresca, prodotti del giorno. La sera è meglio prenotare. A Olbia il ristorante Da Giagoni e Mazzuccu, in via San Simplicio (tel. 0789/27925), propone tutti i piatti tradizionali galluresi e dell’ottimo pesce. Vini a scelta. In comune di Olbia c’è anche Porto Rotondo, località mondana della quale segnaliamo, assieme al celebre Giovannino, il ristorante dello Sporting. Ad Aglientu, l’agriturismo Stazzu Vintura, sulla strada Castelsardo-Santa Teresa di Gallura, in località Lu Colbu, a 35 chilometri da Santa Teresa di Gallura (cell. 339/5661395), offre tutti i piatti tradizionali della campagna gallurese, compresi quelli prodotti dal formaggio fresco (casgiu furriatu, mazzafrìssa, ghjuncata). Ottimo pesce. Meglio prenotare. A Badesi, specialità marinare e campagnole della vecchia e nuova Gallura al ristorante Li Scaletti (tel. 079/684710). Ottimi i vini locali. IL MENU DI RITA DENZA: PRODOTTI LOCALI, PROFUMI “DIVERSI” E TANTO AMORE Rita Denza (nella foto), all’albergo Gallura di Olbia (in corso Umberto I, tel. 0789/24648), imbandisce la tavola più raffinata non solo della Gallura ma, a detta di molti gourmet, di tutta la Sardegna. Cuochi per caso non si nasce. Napoletana di lontana origine, suo nonno Giuseppe fu uno degli ultimi monsù, come si chiamavano i grandi chef di cucina delle famiglie aristocratiche: servì i Ruffo di Calabria, i Ruffo di Bagnara, i Lanza di Trabia, gli Spada Potenziani. Suo padre Angelo era primo chef dei vagoni letto. Fu lui che nel 1923 venne ad Olbia per gestire l’albergo Italia. Quando le bombe del ’43 distrussero l’hotel Pausania, lo comprò, lo restaurò e nel 1948 lo riaprì col nuovo nome di Gallura. “I segreti della mia cucina? Nessuno. O meglio, tre regole: solo prodotti locali e solo freschissimi; secondo, fare qualcosa di diverso con i profumi ‘diversi’ della Sardegna; terzo, metterci tanto amo- re. Poi lo sanno tutti che cerco i prodotti uno per uno e vado per campi a scoprire erbe che forse non sono neanche negli atlanti botanici. Pensa che adesso a Muravera, all’altro capo dell’isola, c’è un signore svizzero che alleva in un suo vivaio tutte le erbe mediterranee col sistema biologico. Il mio menu cambia con le stagioni. In questo periodo comincio con un’insalatina di campo con crocchettine di spigola condite con olio e mosto d’uva (me lo portano da Berchidda, è più profumato dell’aceto balsamico), e rana pescatrice al profumo d’arancia. Come primo, tagliolini ai ricci e un risottino ai carciofi selvatici in profumo di limone. Dopo un sorbetto al basilico, ricoperto di salsa di limone, restando sempre sul pesce, filetti di San Pietro sauté all’olio di frantoio, serviti con salsa agrodolce di cipolle di Ozieri; lo accompagno con un tortino di borragine, finché la stagione ce la lascia. Dario Sequi IL MEGLIO IN TAVOLA ne tutte le specialità tradizionali della cucina gallurese, piatti moderni, ottimi antipasti al prosciutto, arrosti di carne locale. Vino della casa. A Luogosanto, suggestivo paesino con una basilica risalente al 1200 e ventitré chiesette campestri, suggeriamo l’agriturismo Vaddhidùlimu di Mario Ziruddu, che si trova a pochi chilometri dall’abitato sulla strada per Aglientu (tel. 079/652419). Propone tutte le pietanze della cucina tradizionale gallurese. Tra le carni si privilegia la cacciagione e il porcetto. Piatti principe: la suppa cuata, i ravioli e gli gnocchi casarecci. Si consiglia di prenotare. Vini della casa. Ad Arzachena all’agriturismo Lu Branu dei fratelli Columbano, sulla strada per Palau (tel. 0789/83075), si servono tutti i piatti galluresi antichi. Vini della casa (da visitare!). In territorio di Arzachena ricade per intero il comprensorio della Costa Smeralda. Se non volete spendere un occhio della testa, fate un salto al residence Capriccioli dove Francesco Depperu vi accoglierà con cortesia e savoir faire sulla spiaggia che molti considerano la più bella di tut- Se non vuoi l’arcobaleno di dolci sardi che compro di paese in paese, propongo un gelato di riso con frutti rossi. Ma perché non una ricottina all’abbamele, frutto ultimo del favo di miele? Vino di Tempio, oppure il Vermentino di Depperu di Luras o i vini di Argiolas, che vengono dal Campidano. E per finire, una grappa sottile o il mirto che fa solo per noi il signor Franco Manca, 96 anni pieni. Il limoncello? Ora c’è anche quello, ma lo serviamo col miele di Muravera”. 61 D I liquori di Sardegna MIRTO E DINTORNI Dalle bacche violacee di questo tipico arbusto della macchia mediterranea si ottiene un liquore da sempre simbolo dell’ospitalità sarda DI EMILIANO FARINA 64 entro ogni bicchiere di mirto si nasconde una storia infinita, intrecciata fra racconti e leggende che si perdono nei secoli. Se per i greci il myrtos, l’arbusto che cresce spontaneo sulle coste del Mediterraneo, era sinonimo di erotismo e fecondità, per i romani rappresentava amore spirituale, mentre per i sardi è il simbolo dell’ospitalità per eccellenza. Da sempre. È quasi impossibile alzarsi dalla tavola di una famiglia, un agriturismo o un ristorante sardo senza prima aver sorseggiato un bicchierino di mirto ghiacciato che, facendo leva sulle sue proprietà digestive, diventa una piacevole scusa per continuare a conversare in tranquillità. Basta appena bagnarsi le labbra e lasciare scorrere poche gocce sul palato per rimanere travolti dal gusto forte e sincero di quelle piccole bacche violacee staccate con cura dai rami di cespugli, che non superano i due metri. Cespugli della cosiddetta macchia mediterranea che, insieme a ginepro, corbezzolo, lentisco e altri arbusti, mettono radici soprattutto sulle coste nell’area compresa tra Italia, Grecia, Spagna e Sud della Francia. Da qualche tempo a questa parte, la Sardegna ha avviato un iter di commercializzazione del mirto e dei suoi derivati, che fino a qualche decennio fa erano una prerogativa quasi assoluta di abitanti e aziende isolane. Oggi, attraverso un lento ma graduale processo, molte di quelle aziende pluricentenarie lo stanno esportando con successo oltre i confini regionali e nazionali. E insieme ad esso diffondono l’immagine di un popolo caratterizzato da un amore indissolubile per la terra e i suoi prodotti. Città, campagne e paesi della Sardegna: il liquore di mirto si trova e si beve ovunque. Sulle coste come nelle zone interne. Dai bar, ai supermercati, al più moderno dei locali notturni, consumato da giovani e anziani. Ma si trova soprattutto nelle case della gente comune, quella che ancora oggi con pazienza ed esperienza va alla ricerca delle bacche e se lo produce tra le mura domestiche, esaudendo i desideri del proprio palato. In fondo, farsi qualche litro di buon liquore di mirto non è poi così difficile. Ecco qualche consiglio per chi volese cimentarsi nell’opera, o per lo meno fosse interessato a sapere come si produce. Aspettate fino a novembre-dicembre, periodo di raccolta delle bacche, e procuratevene circa un chilo. Lasciatele per almeno 40 giorni in infusione con un litro di alcol a 90 gradi e poi macinatele. Preparate uno sciroppo con un litro d’acqua e 800 gramPagina accanto: bacche di mirto nella macchia mediterranea. Sotto: due modi per concludere degnamente un pranzo a base di specialità sarde sono il mirto ghiacciato, imperdibile, e il Villacidro giallo, altra gloria della tradizione liquoristica isolana; quest’ultimo ha un sapore molto aromatico, con un caratteristico fondo di anice e zafferano. Dario Sequi Dario Sequi I LIQUORI DI SARDEGNA 65 trovarli, poi, lasciavano emergere in superficie una striscia di fil di ferro. Da non perdere un altro classico della Sardegna: il liquore di Villacidro giallo (particolarmente aromatico, con fondo di anice e zafferano), simile per caratteristiche allo Strega e al Galliano e quanto questi saporito, anche se meno celebre. Sopra: bottiglie di mirto prodotte su scala industriale. Il liquore, un tempo specialità solo casalinga, viene oggi esportato con successo dalle aziende isolane nel resto d’Italia e nel mondo. Sotto: fiori di mirto, utilizzati nel medioevo per produrre un profumo detto “acqua degli angeli”. Della pianta, di cui sin dall’antichità si apprezzavano le proprietà medicamentose, nulla va sprecato: dalla macerazione delle bacche in alcol con l’aggiunta di acqua e zucchero si ottiene il classico liquore; le foglie vengono lavorate con lo stesso metodo per ricavare il liquore di mirto bianco e vengono utilizzate in molti piatti. Dario Sequi mi di zucchero facendolo bollire sul fuoco per 10 minuti. Aspettate che il prodotto si raffreddi, aggiungeteci le bacche macinate e poi filtrate il tutto con una garza. A questo punto il liquore di mirto è pronto per essere imbottigliato. E bevuto, freddo. Se oggi il mirto è senza dubbio considerato uno dei simboli della terra di Sardegna, i prodotti della tradizione liquoristica isolana non si fermano certamente qui. Impossibile non aver mai sentito parlare del fil ’e ferru o abbardente, l’acquavite tipica dell’Oristanese e delle zone pastorali, ottenuta dalle vinacce pregiate e chiamata così (letteralmente: “fil di ferro”) perché nel Settecento i distillatori clandestini interravano gli alambicchi per non farli cadere nelle mani dei finanzieri. Per ri- Adriano Mauri I LIQUORI DI SARDEGNA 66 Andrea Campagna IL NUORESE Territorio eterogeneo, il Nuorese: vi confluiscono zone geografiche e culture diverse. Unificate però dai sapori forti e genuini della cucina agro-pastorale, che trae dalla terra e dal ritmo delle stagioni i suoi principali piatti. Il porcetto arrosto, la pecora bollita, i salumi e le innumerevoli varietà di pecorino, il mitico Cannonau: segni d’una cultura antica che non cessa di elargire generose emozioni. 69 PANORAMA - NUORESE PANORAMA - NUORESE Antonio Saba Particolare della maschera di legno di un Mamuthone, figura tradizionale del carnevale di Mamoiada, nel cuore della Barbagia. In questo antichissimo rituale dodici Mamuthones, i “vinti”, sfilano in corteo danzando per le strade del paese sferzati da otto Issohadores, i “vincitori”. Oltre alla maschera indossano “mastruca” (la giacca di pelle di pecora dei pastori) e campanacci. Resta ancora avvolto dal mistero il significato di questo rito che potrebbe ricollegarsi alla rievocazione di un evento militare o a un culto pagano. Nevio Doz Gianmario Marras PANORAMA - NUORESE Sopra: le caratteristiche stradine del quartiere di Sa Costa, a Bosa, si inerpicano fino al castello dei marchesi Malaspina. Grazie alla favorevole posizione nella fertile valle del Temo, la cittadina sulla costa occidentale della Sardegna vanta una storia millenaria, scritta nei suoi monumenti. Sotto: Cala di Luna, nel golfo di Orosei. Questo scenario che rievoca i mari del Sud “nasconde” nei canali sommersi della costa gli ultimi esemplari di foca monaca. Gianmario Marras Gianmario Marras Sopra: scena di vita agreste nelle campagne di Orgosolo, ai piedi del Supramonte. In questa zona sono diffusi i vigneti di Cannonau, da cui si ricava il tipico vino corposo della zona. Sotto: i murales dipinti sulle caratteristiche case basse di pietra a Orgosolo, nella Barbagia di Ollolai, raccontano le vicende di questo centro agricolo e delle ingiustizie subite dai suoi abitanti. PANORAMA - NUORESE PANORAMA - NUORESE 74 Nevio Daz Gianmario Marras In questa foto: i Tenores de Bitti, uno dei gruppi vocali grazie al quale si perpetua la tradizione del “canto a tenore”, l’espressione musicale più arcaica della Sardegna centrale. A destra: nella natura aspra e selvaggia della valle del Lanaitto, ai piedi del Supramonte, c’è ancora chi si dedica alla pastorizia seguendo tecniche e stili di vita di un lontano passato. 75 Nuorese DALLA CUCINA DEI PASTORI A QUELLA DEL MARE Piatti scanditi dall’alternarsi delle stagioni nelle zone dell’interno, fragranti prodotti del mare sulla costa: il tutto arricchito da una forte identità e da una meravigliosa ospitalità Antonio Saba Tra le prelibatezze offerte dalla cucina delle zone interne del Nuorese è d’obbligo provare su filindeu, una minestra fatta con pezzi di pane carasau e formaggio fresco filante, così come i maccarrones de busa, bucatini di pasta fresca fatta a mano (sopra) o, se preferite, i saporiti culungiones, ravioli ripieni di ricotta (pagina accanto, in basso); tra i secondi non può mancare, naturalmente, il porcellino da latte allo spiedo, piatto-emblema dell’isola (pagina accanto, in alto). 76 ane e casu e binu a rasu” (pane, formaggio e vino in abbondanza), recita un detto sardo. Un’espressione che spiega bene il rapporto dei sardi, in particolare quelli dell’interno, con il cibo. Un’alimentazione semplice ma ricca al tempo stesso per varietà di prodotti e ricette che ogni singola zona è in grado di offrire. Molte di queste davvero antiche: tramandate di generazione in generazione, continuano a conservare immutati sapori che hanno resistito alla modernità imperante di cibi precotti, veloci e senza gusto, all’insegna di una completa omogeneizzazione e annullamento delle singole identità. È proprio l’identità che nel Nuorese rimane un punto forte: nella lingua come nelle tradizioni e nel folclore, e naturalmente in cucina. Un territorio senza dubbio eterogeneo, il Nuorese: in esso confluiscono zone geografiche (Mandrolisai, Barbagia, Sarcidano, Marghine e Planargia) e culture diverse, ognuna con peculiarità sue proprie, in grado da sole di fare scuola, ma anche con alcune caratteristiche comuni capaci di rispecchiare a tavola quella che è stata e che continua ad essere la sua economia prevalente, essenzialmente pastorale e agricola. Ovunque dominano sapori forti e genuini che per essere gustati a fondo devono essere consumati nel territorio dove sono prodotti, rispettando usi, tradizioni e rituali ancora in uso. Un’economia pastorale e agricola è essenzialmente una cucina di terra, che trae dal territorio e attraverso il ritmo scandito dall’alternarsi delle stagioni i suoi principali piatti. Piatti che spesso nascono e si consumano all’aria aperta, aromatizzati con erbe e foglie degli stessi rami che alimentano la cottura: dagli arrosti fumanti (il celebre maialetto da latte di pochi chili – 5 o 6 è il peso ideale – l’agnello, il capretto) fino ai dolci è un mondo fatto d’infinite varietà, che hanno nelle singole comunità nomi differenti, così come sono differenti le tecniche e le modalità di preparazione. Il Nuorese è anche il regno dei salumi, prodotti da millenni con maestria artigiana: da non perdere il prosciutto di Desulo, Fonni e Oliena, le salsicce e i salumi di Irgoli, dove tra l’altro esiste un salumificio industriale con un buon export. Salati e debitamente stagionati, introducono il pasto delle zone interne assieme alla squisita frue o frughe, latte cagliato di pecora, da servire freschissimo. Terra di pastori e contadini, si diceva: per questo ha una cucina semplice in cui sono naturalmente le stagioni e il ciclo di vita degli animali a suggerire pietanze e accostamenti. Piatti semplici ma gustosissimi, cucinati in occasioni particolari quali le numerose feste pagane e religiose; piatti da popolo, da offrire a tutti, all’insegna di un’ospitalità che da queste parti fa del visitatore un amico al quale offrire sempre il meglio che si possiede. Zuppe e minestre hanno spesso un significato di forte simbolismo rituale. Rivestono da sempre un ruolo simile a Nuoro fae e lardu (fave e lardo), preparate dal 17 gennaio per Sant’Antonio abate con i falò accesi nelle piazze, e su filindeu. Piatto davvero unico, quest’ultimo: preparato dalle donne in occasione di una delle feste più partecipate e antiche della Barbagia, San Francesco di Lula (nell’omonimo santuario di campagna a una trentina di chilometri dal capoluogo, ai piedi del maestoso e bianco Montalbo), viene offerto ai devoti che a piedi e a cavallo raggiungono il luogo di preghiera. Tra i primi piatti, accanto ai classici culungiones, ravioli ripieni di formaggio o ricotta, vanno poi ricordati sos maccarrones de busa, bucatini di pasta fresca fatti a mano, e l’immancabile pane frattau che da antico piatto pastorale è diventato oggi uno dei simboli classici della gastronomia di questa area. Se la cucina delle zone interne è povera e semplice, non altrettanto si può dire di quella di mare. Un mare ancora generoso, che ai non numerosi pescatori della provincia offre i suoi prodotti sia sul piccolo tratto di costa occidentale che su quello di levante: si va da quell’autentico luogo incantato che è Bosa alle caratteristiche calette del golfo di Orosei e di Calagonone, la “residenza estiva” di Dorgali. Luoghi magici, ricchi di insenature e di baie su cui cadono a picco le propaggini calcaree del Gennargentu, come in pochi posti al mondo accade. Bosa è la capitale indiscussa della cucina di mare, in questa zona. Almeno due le Nevio Doz P “ Nevio Doz DI LUCA URGU 77 muggini arrostiti coi fumi di una tipica erba palustre, le orate, le spigole, le aragoste. A Orosei e a Galtellì, a Posada e a Siniscola, primi e secondi piatti conservano la tradizione millenaria e l’immutata qualità delle materie prime. Ma il piatto più tipico, da queste parti, è un dolce dalle strane caratteristiche: sa pompìa, un ibrido fra un pompelmo e un arancio che cresce solo a Siniscola e che si fa bollire a lungo, per poi essere melassato con miele di corbezzolo. Un’autentica rarità dal gusto indimenticabile. Tra i dolci spiccano gli amaretti, a base di mandorle, zucchero, scorza di limone e bianco d’uovo, molto apprezzati per il gusto delicato e per la loro soffice consistenza. E sempre a proposito di dolci, forse non tutti sanno che a Fonni si consumano ogni giorno centinaia di migliaia di uova nelle diverse fabbriche di savoiardi. Il biscotto fonnese viene prodotto in quantità industriali senza perdere un briciolo della qualità artigianale, e copre in ogni zona dell’isola ma anche sul mercato esterno una domanda crescente di bontà. Nevio Doz sue ricette caratteristiche: una, popolare e antichissima (si dice risalga addirittura all’epoca fenicia), è s’azada, il gattuccio di mare cucinato come solo qui in riva al Temo si fa. L’altra è l’aragosta, pescata in questo mare aperto e generoso nelle miglia di costa che vanno da Bosa su fino ad Alghero. Ma quando si parla di Bosa non si può non citare la sua Malvasia, un autentico gioiello dell’enologia italiana: vitigno antichissimo, anch’esso a quanto pare di origine fenicia, che solo in questo territorio, in questa terra bianca e salmastra di Planargia, riesce a dar vita a un vino paglierino indicato per dessert ma perfetto anche per accompagnare, invecchiato, i dolci a base di mandorle. La gastronomia agropastorale prevale anche nella regione a nord-est di Nuoro, le cosiddette Baronie, oggi coniugata con i prodotti dello splendido mare che ne lambisce le coste. Così insieme ai formaggi, ai funghi, agli arrosti di pecora e di maiale, tipici dei paesi di montagna, è frequente trovare i saporitissimi Pagina accanto, in alto: la tradizione di pasta e dolci fatti in casa. In questa pagina, in alto: pardulas salate, una specialità di Annamaria Mele del ristorante “L’Oasi” a Teti; a destra: i tipici suspiros, dolcetti a base di pasta di mandorle e acqua d’arancio; sotto: preparazione del pane carasau, il cui nome deriva da carasare, che significa tostare. Al centro è riconoscibile un pani frattau. 78 di tutte le dimensioni e profumatissimi. Sono buoni per tutti gli usi: per accompagnare e insaporire le carni selvatiche della cacciagione come il cinghiale o la lepre, ma anche la pernice e la quaglia, e allo stesso tempo adatti a sposarsi bene con la capra, l’agnello e il maiale. A proposito: quest’ultimo viene letteralmente esaltato con le castagne, altro frutto locale, in una delle tante ricette da applausi che hanno fatto diventare il locale una tappa fondamentale per tutti i buongustai che approdano in Sardegna. Luca Urgu Nevio Doz Da loro il meccanismo basato sulla divisione del lavoro funziona perfettamente. Un sistema ben collaudato, con ruoli ben definiti, ha negli ultimi tre anni decretato il successo del locale, con clienti che arrivano da ogni parte dell’isola, meta naturalmente anche dei turisti italiani e stranieri nei mesi estivi. Mamma Annamaria ai fornelli (foto in basso), a cucinare con fantasia vere e proprie leccornie; suo marito fuori di casa la mattina presto alla ricerca delle erbe selvatiche di stagione, funghi, asparagi e quant’altro il territorio è in grado di offrire. Carni arrosto e in umido tornano puntualmente nel menu, insaporite splendidamente con le erbe aromatiche delle zona. Un territorio che quando ci si mette sa essere generoso. Come è successo quest’anno con i funghi, specialmente i porcini, Antonio Saba A volte la passione paga e ripaga delle fatiche quotidiane con la miglior soddisfazione che un ristoratore può chiedere: i complimenti della gente che arriva un po’ da tutte le parti grazie al passaparola. Nessuna strategia di marketing può infatti sostituire i buoni piatti, serviti con il giusto mix di tradizione e spirito d’innovazione, senza dimenticare naturalmente professionalità e cortesia. È questo il seOasi di Angreto del successo dell’O namaria Mele e Luigi Dearca, da tredici anni ristoratori in Teti (via Trento, tel. 0784/68211), piccolo borgo del Mandrolisai ai confini con la Barbagia. Siamo nel tipico locale a conduzione familiare, dove si danno da fare anche i figli dei coniugi Dearca, cioè Ivan, Danilo e Laila, prossima alla laurea in Giurisprudenza all’Università di Cagliari. Antonio Saba L’OASI DI TETI, UNA TAPPA OBBLIGATA PER I BUONGUSTAI Antonio Saba NUORESE Nevio Doz NUORESE Antonio Saba Ristoranti IL MEGLIO IN TAVOLA Da Nuoro a Oliena, da Orgosolo a Bosa: i luoghi dei sapori di una cucina a diretto contatto con il territorio e le tradizioni contadine DI LUCA URGU C hiamateli ambasciatori del gusto, i ristoratori del Nuorese: gente che con passione propone antichi piatti, ma non trascura il piacere di sperimentare attingendo a piene mani da quell’autentico supermercato a cielo aperto che è il territorio. Dai funghi porcini dei boschi della Barbagia o del Mandrolisai, agli asparagi selvati- 80 ci, presenti in abbondanza nelle colline rocciose durante la stagione primaverile. Sono loro a suggerire i piatti e gli accostamenti più succulenti in grado di fare la differenza nelle preferenze dei buongustai. A Nuoro, un locale è diventato nel giro di alcuni anni un punto fermo del buon mangiare barbaricino: è il ristorante Canne al Vento in viale Repubblica 66 NUORESE Antonio Saba che ha sapientemente approfittato della grande vocazione enologica del territorio: quantità limitate ma qualità eccelse, che raggiungono nel Cannonau e nel Nepente di Oliena la loro più alta esaltazione. Sempre a Oliena, chi alla buona cucina vuole associare l’attività di trekking nei paesaggi mozzafiato della vallata di Lanaittu, in pieno Supramonte, non trascuri l’hotel-ristorante Enis Monte Maccione (tel. 0784/288363) dal nome della splendida altura dove si trova la struttura, immersa nel verde, e il ristorante Sa corte (tel. 0784/285313), all’inizio del paese per chi arriva da Nuoro. Proprio questi ristoranti si sono resi protagonisti di un’interessante iniziativa in grado di unire in maniera davvero intelligente letteratura ed enogastronomia: i “menu deleddiani”. Propongono ricette succulente e saporite descritte nelle opere di Grazia Deledda, alcune cadute in disuso o addirittura dimenticate e ora felicemente valorizzate grazie alle testimonianze orali degli anziani del paese e alle abili mani di questi cuochi. A fine pasto, dopo aver assaporato il classico bicchierino di mirto o di acquavite, come digestivo ci si porta a casa anche un romanzo della scrittrice sarda. Da Oliena a Orgosolo, con il suo paesaggio altrettanto affascinante, il passo è breve. Visitatissimo durante tutto l’anno, per via del suo centro abitato colorato dai murales di denuncia sociale sulle vecchie abitazioni, è il regno della cucina pastorale, dai sapori forti come su zurrete (sanguinaccio di pecora) o sa cordula (interiora di pecora). Non a caso proprio a Orgosolo ha preso piede con successo una forma nuova di ristorazione, il pranzo coi pastori, con arrosti allo spiedo e carni fumanti cucinate all’aperto negli ovili ai piedi del Supramonte, dove si trovano i pascoli migliori. Antonio Rubanu è stato il primo, diversi anni fa, a dare inizio a questa attività, che in qualche modo ha anticipato il boom degli agriturismo in tutta l’isola. Nevio Doz (tel. 0784/201762), poco distante dallo stadio “Quadrivio”. Rievoca nel nome uno dei romanzi più conosciuti di Grazia Deledda, la scrittrice nuorese Premio Nobel per la Letteratura nel 1926. In un ambiente confortevole propone tutte le ricette classiche della tradizione delle zone interne, insieme ad alcuni primi e secondi piatti nati dall’estro fertile e dall’inventiva dei suoi chef. Un’altra scelta “di gusto” è il ristorante Ciusa (viale Ciusa 55, tel. 0784/257052): ricette tipiche “rivisitate”, pasticceria di produzione propria, ampia scelta di vini, regionali e nazionali. Il vicino paese di Oliena meriterebbe uno spazio tutto per sé, per la ricchezza di iniziative e di proposte esistenti. Accanto al celebrato hotel-ristorante Su Gologone (tel. 0784/287512), fondato dal mitico Peppeddu Palimodde e gestito ora con lo stesso slancio dai suoi eredi, uno spazio particolare se l’è meritatamente guadagnato il Cikappa,, di Cenceddu e Killeddu. Situato in via Martin Luther King 2 (tel. 0784/289024), in pieno centro storico, si fa apprezzare per alcuni piatti tradizionali riportati ad antico splendore dalla sapienza della cuoca, ma anche per l’ambiente decisamente familiare del locale. Locale dalla buona cucina di terra, ma a richiesta anche di mare, che riesce ad abbinare bene l’”involucro” al contenuto è il ristorantino Masiloghi di Gianfranco Maccarone (via Galiani 68, tel. 0784/285696): ambienti caldi color pastello sono la base del piacevole arredo, arricchito dalle tradizionali cassapanche in legno intarsiato. Proprio di fronte, da un paio d’anni, opera il primo winebar della zona, il Managheri (tel. 0784/286035), In apertura : il rustico e confortevole interno del ristorante “Santa Rughe“, a Gavoi, dove si può gustare un superbo tris di primi (in questa pagina, in alto) a base di ravioli al ragù di cinghiale, lisandros ai porcini e gnocchetti di ricotta, zafferano e menta. A sinistra: lo staff del “Su Gologone” di Oliena, in uno scherzoso girotondo intorno alle forme di pecorino. Nevio Doz NUORESE 84 Dalla Barbagia alla Baronia i sapori si addolciscono e l’influenza marina pervade anche la cucina proposta da molti locali, come Dal Pescatore di Calagonone (tel. 0784/93386) e Su Barchile di Orosei (tel. 0784/98879). Pesce fresco di stagione e un buon servizio anche a Bosa, all’hotel-ristorante dei fratelli Mannu (tel. 0785/375307) e all’hotel-ristorante Sa Pischedda (tel. 0785/373065), all’interno di un bel palazzo storico all’ingresso della graziosa cittadina in riva al Temo. Davvero interessante e degna dunque di una particolare segnalazione è infine la formula che in tutta la provincia sta prendendo piede, con notevole gradimento da parte dei visitatori: una vacanza tranquilla a diretto contatto col territorio e con il “calore” della gente del posto. Tutto questo propone la giovane associazione Sardegna Bed & Breakfast (tel. 0784/285640), da qualche mese riconoscibile con un marchio tutto suo, al cui interno operano una cinquantina di famiglie che aprono con un sorriso la propria casa ai visitatori più “curiosi”. Antonio Saba Se si preferisce mangiare seduti comodamente a tavola, ai Monti Blu (tel. 0784/401135) si è davvero in buone mani: quelle di Battistino Menneas, 38 anni, chef e proprietario del bel locale, situato in pieno centro storico. Uno che ha imparato l’arte nei locali della costa e che ha poi deciso di aprirne uno tutto suo in paese. Carne o pesce, sempre freschissimo, il risultato finale è sempre più che soddisfacente. Sulla strada che da Orgosolo porta al Supramonte, il ristorante Ai Monti del Gennargentu (tel. 0784/402374) abbina un suggestivo scenario naturale alla cucina più tipica della Barbagia. A Gavoi, bella località sulle rive del lago di Gusana, due locali si contendono il primato del piacere di gola. Uno è l’osteria Borello, in via Repubblica (tel. 0784/53741), l’altro è il Santa Rughe in via Carlo Felice 2 (tel. 0784/53774), in pieno centro storico. Sapori decisi di montagna, con funghi e carni saporite cucinate semplicemente arrosto o ingentilite con le erbe, sono le carte vincenti dei due locali. Un’ampia carta dei vini, sia regionali che nazionali, completa l’offerta. A Fonni, che coi suoi 1000 metri è il paese più alto della Sardegna, i piaceri della cucina si possono assaporare ad alta quota nel ristorante Su Ninnieri di Mario Crobu, a pochi metri dalle piste innevate del Bruncuspina (tel. 0784/57729). A sinistra: su prattu de cassa (il piatto della caccia) è la specialità del “Cikappa” di Oliena; comprende vari tipi di selvaggina e verdure miste, il tutto cotto nel forno a legna in una pentola tradizionale. In alto: la sala semplice e curata del ristorante “Ciusa” di Nuoro. Andrea Campagna L’ OGLIASTRA Isola nell’isola, questo lembo di terra antica custodisce il gusto dell’ospitalità e i sapori di una cucina che non ha uguali nelle altre parti della Sardegna. Dagli aspri strapiombi del Gennargentu alle inarrivabili calette della costa i profumi delle erbe aromatiche, dei ravioli alla mentuccia e dei pecorini inseguono il visitatore, come tentazioni cui è difficile resistere. 87 PANORAMA - OGLIASTRA PANORAMA - OGLIASTRA Gianmario Marras Vicino al porto di Arbatax, borgo alle pendici del promontorio di Bellavista, si stagliano le notissime “rocce rosse”, imponenti guglie di marmi granitici che danno anche il nome a una rassegna estiva di musica blues. PANORAMA - OGLIASTRA 90 Gianmario Marras Gianmario Marras In questa foto: il centro storico di Tortolì con la chiesa di Sant’Andrea. Edificata all’inizio del XVII sec. come cattedrale, fu ristrutturata nel Settecento in stile baroccheggiante. A destra: la coste dell’Ogliastra riservano straordinari spettacoli naturali; il rosso delle rocce erose dal vento crea un’armonia perfetta con l’azzurro del cielo e del mare. Antonio Saba Gianmario Marras PANORAMA - OGLIASTRA Sopra: gli altopiani calcarei noti come “tacchi”, nei pressi di Ulassai. Queste formazioni carsiche di grande interesse geologico trasformano la zona nel cuore dell’Ogliastra in un paesaggio quasi dolomitico. Sotto: Lanusei, capoluogo dell’Ogliastra, con le sue piazze ordinate e gli edifici storici si contrappone alla natura selvaggia che la circonda. 92 Gianmario Marras Gianmario Marras Sopra: Barisardo, sorta in posizione arretrata rispetto alla costa per paura delle incursioni piratesche, deve oggi al mare la sua fortuna; la tradizione agricola e artigianale dell’antica Barì ha ceduto il passo a una ricca vocazione turistica. Sotto: il rigoglioso bosco di Santa Barbara, nei pressi di Villagrande Strisaili. Nella macchia mediterranea si trovano resti archeologici di età nuragica e prenuragica. OGLIASTRA LA BELLA SELVAGGIA Alla ricerca dell’elisir di lunga vita in una terra antica che si estende tra il Gennargentu e il Tirreno DI LELLO CARAVANO C pa. Il miracolo è figlio di un popolo che ha vissuto un lungo isolamento, di montagne e pascoli che profumano di timo e serpillo, di una terra che da capo Bellavista ai Supramonti è tutta un tesoro di natura. Forse è il frutto di prodotti che non hanno visto né chimica né Ogm, di un’alimentazione che non conosce contaminazioni, neppure in tempi di turismo in forte crescita ma rispettoso della qualità ambientale. È un turismo attratto da una terra selvaggia e incontaminata, con un fronte costiero di quasi 80 chilometri che si affaccia sul mar Tirreno, le bellissime calette di Baunei e le lunghe spiagge bianche di Barisardo, Tortolì e Gairo, le foreste demaniali di Seui, le grotte, i Dario Sequi Antonio Saba i deve essere un elisir di lunga vita nascosto in questa terra che si distende come un anfiteatro dalle rocce rosse di Arbatax fino ai vigneti secolari della valle del Pardu e agli ultimi ovili sotto le vette del Gennargentu. Ci deve essere un segreto, se gli scienziati di mezzo mondo si sono scomodati per capire il miracolo racchiuso nel Dna di uomini e donne ogliastrini, celebrato persino sulle pagine del prestigioso Times. Tra questi boschi e valli si è tramandato un patrimonio genetico unico che è diventato oggetto di ricerca internazionale. E che potrà fornire indicazioni sulla cura di alcune malattie e sul mistero della longevità che qui tocca i vertici più alti d’Euro- paesini sui monti, le gole, i maestosi tacchi di calcare tra Perdasdefogu e Ulassai che caratterizzano una delle strade più suggestive d’Italia, i nuraghi che svettano come sentinelle nei picchi più alti dell’isola. Ventitré paesi, tutti in provincia di Nuoro, appena 60 mila abitanti, attraversata da quel trenino verde che si arrampica sui costoni in uno scenario da Far West d’Europa che meravigliò lo scrittore inglese David Herbert Lawrence, l’Ogliastra ha una storia millenaria scritta nelle vigne strappate alla montagna dove regna il rosso sardo per eccellenza, il Cannonau, e nelle erbe odorose brucate da pecore e capre che danno carni saporite e formaggi da Nobel gastronomico. Dietro le ricette che si tramandano di madre in figlia c’è la vita di un popolo di contadini e pastori. Gli ingredienti alla base dei piatti più genuini e caratteristici sono spesso quelli “poveri” che la terra offre: patate, cipolle, spezie, accanto ovviamente ai formaggi e alle carni. La tradizione ogliastrina ha soprattutto la forma dei culurgionis, i fagottini di pasta – primo piatto del menu tipico – riempiti con patate, formaggio, aglio o cipolla. E poi con la mentuccia di fiume. Ma attenzione: ogni paese ha la sua variante, tanti culurgionis quanti sono i campanili. La menta, appunto. Irrinunciabile a Seui, Perdasdefogu, Barisardo, Lanusei, con una raccomandazione: possibilmente va raccolta la mattina presto e subito impastata con patate e formaggio. Niente mentuccia invece a Ierzu, Baunei, Arzana. Non si tratta di bizzarrie del gusto: si usava ciò che offriva la terra. Una volta il condimento principe dei culurgionis era il pecorino stagionato; oggi sono arricchiti col sugo di pomodoro ma c’è chi li propone con successo anche cotti su una leggera brace. Erano piatti che scandivano un tempo i ritmi di una società agropastorale. Il turismo era ancora un miraggio, non c’erano gli alberghi a quattro stelle, non c’era il porto di Arbatax, non c’era l’aeroporto dove oggi atterrano i charter provenienti dalla Germania e dalla Svizzera. Dal mare ci si teneva lontani, si viveva solo di allevamento, di olio e di vigne. E nulla andava sprecato. Se avanzava, l’impasto dei culurgionis si utilizzava per un’altra prelibatezza, sa coccoi prena, una sorta di focaccia farcita. Le donne la preparavano per i mariti che si trasferivano in campagna a curare gli animali: pasti freddi che riempivano le bisacce con il formaggio e il pistoccu, il pane da accompagnare al prosciutto e al guanciale dopo averlo ammorbidito con l’acqua dei torrenti che scendono dal Gennargentu o dalle sorgenti dei Supramonti. Antonio Saba Ogliastra Pagina accanto: capre al pascolo nell’entroterra ogliastrino. Le voci più importanti dell’economia sono la pastorizia e l’allevamento, oltre alla produzione casearia e vinicola. Qui sopra: su casu axedu, formaggio tipico ricavato da una cagliata acida senza sale che in tavola dà il suo meglio abbinato con il miele. In basso: gli immancabili culurgionis, ravioli di patate dal caratteristico profumo di menta. Ma ci sono altri tipi di coccoi (per esempio, quella ripiena di zucca o porri, una specie di piadina servita ancora oggi su foglie di vite), c’è su civarxeddu prenu di Seui, ci sono le minestre di mentuccia o finocchietto e casu ‘e fitta (il pecorino in salamoia), tutti piatti che figurebbero nella lista Slow Food dei sapori da salvare. Intanto ci hanno pensato le donne a tramandare la tradizione di cibi considerati, fino a qualche anno fa, troppo poveri per finire sulle tavole delle vacanze. Oggi invece i turisti non vanno solo a caccia di calette solitarie ma anche di sapori genuini. Così la cucina dei nonni è finita nei menu di molti ristoranti, trattorie, aziende agrituristiche, dalle coste di Barisardo e Gairo ai boschi di Villagrande e Arzana, dal mare di Arbatax agli altopiani di calcare sopra Baunei e Urzulei. Cibi che sembrano esaltarsi in quella nuova frontiera del gusto rappresentata dalle escursioni nei paradisi ogliastrini, tra spiagge nascoste, un tempo regno della foca monaca, gole da brivido, falesie e sentieri del Supramonte a picco su una costa salvata dal cemento: sono diventati una tradizione i pranzi e le merende organizzati dalle associazioni di guide ambien- 95 96 buzzare gli occhi ai viaggiatori dell’Ottocento, convinti di trovarsi di fronte a un curioso caso di geofagia. Ma questo è anche il regno delle patate, ingrediente principe di tanti piatti ogliastrini. Ad Arzana, la Pro Loco Siccaderba, impegnata con passione a recuperare tradizioni culturali e gastronomiche, punta alla valorizzazione del tubero per eccellenza. “Vogliamo rilanciare la patata del Gennargentu – spiega il medico Raffele Sestu, presidente dell’associazione. Sopra i 1200 metri cresce solo sul versante arzanese, attorno agli ovili, dove tutto è biologico, bagnata dall’acqua delle sorgenti purissime. Ci stiamo gemellando con Tropea, un gemellaggio nel segno di cipolle e patate. Dobbiamo specializzarci e puntare su questi prodotti.” E dopo l’iniziativa “Erbe tintorie e colori” con lo stilista Missoni, quest’anno la Pro Loco punta su erbe e profumi. Erbe aromatiche che danno carni e formaggi saporiti, ma che possono avere un ruolo importante anche nell’industria della moda e delle essenze. Dalla montagna arrivano le radici agropastorali, ma ormai da anni l’Ogliastra ha finalmente riscoperto il suo magnifico mare. E così le influenze marinare cagliaritane e ponzesi – i primi pescatori sbarcati sulla costa di Arbatax arrivarono dalla costa campana – si fanno sentire anche in cucina. Dalla zuppa alle polpettine di girandole e rigirandole sulla brace per ottenere una cottura lenta e omogenea. Non si può non parlare del capretto arrosto, al centro di indimenticabili sagre estive, la carne per eccellenza della terra degli olivastri. E quando si parla di carne e di formaggi, le guide gastronomiche invariabilmente rimandano al rosso d’Ogliastra. Il Cannonau ha segnato la storia di queste colline, inondate di sole e riparate dal maestrale. Una tradizione millenaria, curare la vigna, a cui gli anziani non rinunciano: è facile vederli ancora oggi indaffarati con zappa e cesoie tra i filari di Ierzu, Cardedu, Loceri, Gairo, Osìni. Già nel 1500 i testamenti dei proprietari ierzesi notificavano la suddivisione della vigna e degli utensili necessari per produrre il Cannonau. Oggi la tradizione è portata avanti dalle tre principali cantine del rosso rubino per eccellenza: a Cardedu, Perda Rubia e Vitivinicola Alberto Loi; a Ierzu, Antichi Poderi (proprio a Ierzu, accanto alla cantina sociale, che raccoglie i viticoltori della zona, è possibile visitare le vecchie “stanze” del vino, di Vittorio Demurtas, Giovanni Muceli, Giovanni Contu). “Usiamo tecniche di produzione artigianali, rispettose della tradizione e della cultura ogliastrina – afferma Renato Mereu, titolare della Cantina Perda Rubia, la più antica, visitabile su appuntamento – fedeli all’amore che questa terra coltiva verso la cultura del vino. Tradizione, valori certi, riconosciuti e conservati. D’altronde ‘cannonau’ deriva dal greco kanonizo, cioè essere valore di riferimento: andrebbe infatti scritto ‘canonau’, negli anni la scrittura si è corrotta”. Ogliastra vuol dire natura. Anche il nome è legato alla terra. Deriverebbe da Agugliastra, il pinnacolo di granito alto 128 metri sulla costa di Baunei, ma richiama anche l’olivastro (s’ozzastru), pianta robusta capace di sfidare il vento e la siccità. Toponimo che parla di legami stretti tra uomo e ambiente, di contadini e pastori che convivevano a fatica. E che erano costretti a nutrirsi con un pane da archeologia alimentare, frutto dell’impasto di argilla e ghiande, il lande cottu, che faceva stra- Antonio Saba tali a base di prosciutto, ricotta e lattuga col miele, pecorino arrosto, pane moddixina, olive, Cannonau. Alimenti geneticamente non modificati in simbiosi con una natura che non ha subìto contaminazioni. Prodotti che una volta viaggiavano insieme con pastori e viticoltori sul trenino diretto in Campidano o costituivano oggetto di scambio con i barbaricini, che attraversavano a cavallo il valico di S’arcu de su Mullone (un mucchio di pietre che indica i confini comunali) nel Gennargentu per riempire gli otri di pelle col vino ogliastrino. Ma erano anche merce per il baratto da un capo all’altro della terra degli olivastri: una botte di “rosso” in cambio di olio, latte e formaggio per pagare il pascolo. Oggi formaggi, vini, culurgionis vengono imbarcati nelle stive degli aerei in partenza da Tortolì carichi di turisti e arrivano sulle tavole della penisola o dell’Europa centrale. È così anche per il casu axedu (il formaggio acido), grazie all’intraprendenza di Luciano Chiai, un pastore che alla fine degli anni ottanta ha messo su un minicaseificio a Barisardo per commercializzare il prodotto. Un vero nettare, confezionato dalle mani dei pastori aggiungendo al latte appena munto il quaglio, cioè i fermenti lattici all’interno dello stomaco del capretto, quegli stessi fermenti che le aziende farmaceutiche usano come rimedio per i mali di stomaco (non a caso sono tra le maggiori acquirenti di quagli di capretto sardo). “Prima dello yogurt è nato il casu axedu; era la colazione e la merenda per eccellenza dei pastori che lo offrivano all’ospite spalmato su una fetta di pane moddixina. Quello ogliastrino è il più famoso di tutti. Il motivo? I pascoli di questa terra sono i più sani dell’isola, perché le capre si nutrono di foglie di corbezzolo, timo, serpillo e altre erbe aromatiche. Su casu axedu viene prodotto anche in altre zone dell’isola, ma solo quello ogliastrino è “bianco come la neve”, dice Giacomo Mameli, ogliastrino di Perdasdefogu, giornalista, direttore del mensile Sardinews, autore di numerosi saggi sulla realtà isolana. Tante curiosità gastronomiche, al di là dei tradizionali piatti a base di carne. Che resta comunque uno degli alimenti base del menu ogliastrino. La tratalia, per esempio, le interiora di agnellino o capretto legate con un intreccio di intestini, cotte a fùrria fùrria, cioè OGLIASTRA Menu tipico Antipasto Sanguinaccio di maiale Misto di formaggi (caprino, ricotta salata, casu axedu) Primo Culurgionis Minestra di viscidu (pecorino fresco in salamoia con patate e mentuccia di fiume) Secondo Capretto arrosto Tratalia (interiora di agnellino o di capretto avvolte dall’intestino e arrostite) Contorno Asparagi selvatici Cardi selvatici Dolce Panixeddas Dario Sequi Antonio Saba OGLIASTRA (focaccine dolci con pane di sapa) Pardulas Qui sopra: le botti della storica cantina “Antichi Poderi”, a Jerzu, fondata nel 1950. Vino “principe” è il Cannonau doc, anche in versione Riserva con almeno due anni di invecchiamento. Pagina accanto, in alto: tagliolini alla marinara, primo di pesce tipico dell´Ogliastra “di mare”. Pagina accanto, in basso: in un menu ogliastrino tipico non possono mancare i salumi, tra cui i famosi prosciutti di montagna, e i formaggi stagionati. pesce, dalla fregola con le arselle ai calamari imbottiti e ai raviolini. Mare e montagna raramente si incontrano nel piatto: gli chef ogliastrini accostano i diversi sapori ma hanno cura di non snaturare i due mondi. “In realtà il mare, che è l’elemento cardine del nostro turismo, è ancora lontano dalla nostra cultura, che ha soprattutto radici agropastorali – dice Walter Mameli, direttore dell’Hotel “La Torre” a Barisardo – ma è proprio questo binomio, mare e montagna, il nostro filo conduttore, sia sul piano degli itinerari naturalistici sia gastrononici”. La bella notizia è che il turismo, che in genere uniforma tutto, non è riuscito a omologare sapori e profumi. La terra degli olivastri ha mantenuto la sua identità. Forse perché sa che il Dna di uomini e donne ogliastrini studiato dai ricercatori è scritto anche nei piatti della tradizione. Gusti che custodiscono l’elisir di lunga vita. 97 OGLIASTRA Ristoranti IL MEGLIO IN TAVOLA Tra montagna e mare, tra foreste e laghi la cucina dell’Ogliastra rimane fedele a se stessa e non ama le contaminazioni DI LELLO CARAVANO - FOTOGRAFIE DI ANTONIO SABA I n pochi minuti dalla montagna al mare e viceversa. Un itinerario tutto da “gustare” per i panorami ma anche per i sapori. L’Ogliastra è capace di offrire un paesaggio dietro l’altro, dal Supramonte regno di capre e mufloni, alle colline del vino e dell’olio, agli stagni pescosi a ridosso delle spiagge. Con la stessa rapidità con cui muta la natura, cambiano anche i profumi in cucina. Dai culurgionis alla fregola con le arselle, dal cinghiale col Cannonau alla zuppa di pesce di Arbatax. Si volta pagina anche nel piatto, avvicinandosi o allontanandosi dalla costa. Rarissime le contaminazioni. In genere si resta fedeli al Dna di origine: mare o montagna. Con un’importante novità. Molti chef e ristoratori hanno deciso di puntare sui sapori che arriva- no da una cultura millenaria, sulle ricette che fino a poco tempo fa restavano tra le pareti delle cucine di casa, magari ingentilendole un po’. L’elenco cresce di stagione in stagione. Anche tra i ristoratori dei centri di montagna, in genere più tenacemente legati a su connottu, alla tradizione, si fanno strada piatti che conquistano premi e apprezzamenti. È il caso della Pineta ad Arzana (tel. 0782/37453). Un passato da ristoratore a Milano con i fratelli, Cesare Nieddu è diventato un punto di riferimento della cucina sul Gennargentu, i piatti fumanti di culurgionis li chiama con affetto “il mio brodino”. La specialità della casa si chiama culurgionis alla crema di porcini, uno dei tanti tesori nascosti nei boschi di leccio. Arzana è sbarcata anche sul mare: a Girasole, si mangia bene presso l’hotel Birdesu, tre stelle di Raffaele Piras. Specialità di montagna, molte pietanze associate ai funghi e possibilità di scegliere menu caratteristici (tel. 0782/669622). Villagrande, con Talana, resta la capitale del prosciutto sardo, fatto con quei maiali al pascolo brado che per nutrimento conoscono solo ghiande, niente mangimi chimici. Si distingue in particolare Il Bosco, dei fratelli Peddio, immerso nella grande oasi verde di Santa Barbara (tel. 0782/32505). Vale la pena spingersi fino a Seui, uno dei paesini di montagna meglio conservati (da vedere il vecchio carcere spagnolo, il museo contadino, il gigantesco leccio di Su Canali salvato mezzo secolo fa da una guardia campestre) non solo per visitare il paradiso verde di Montarbu. Nel paese si trova una nicchia gastronomica che tramanda una tradizione tipica: Ada Aresu (albergo-trattoria Deidda, tel. 0782/54621) prepara su richiesta su civarxeddu prenu, una sorta di panada con patate, cipolle novelle, zucchine macinate, pomodoro e casu ’e Per gustare il meglio della cucina ogliastrina non c’è che l’imbarazzo della scelta: i filetti di branzino allo zafferano (nella foto), proposti dall’albergo “La Bitta” di Arbatax, sono solo una delle raffinatezze da non perdere. 98 OGLIASTRA GISELLA TASCEDDA, LA REGINA DELLA CUCINA OGLIASTRINA In sala non la vedrete mai. La regina della cucina ogliastrina non sogna le passerelle, ama invece vivere tra le sue pentole, dietro i suoi fornelli che accende ogni giorno di buon’ora e spegne spesso a notte fonda. Gisella Tascedda (foto in basso), quasi 60 anni, una vita trascorsa tra culurgionis, coccoi prena, agnello coi carciofi e minestre di finocchietto, è nata a Barisardo, l’antica Barì, il paese della torre e delle spiagge dorate dove un tempo sbarcavano i pirati saraceni, della bella cattedrale, dell’altopiano di Tecu dove crescono i cardi amari che insaporiscono i piatti di carne. Gisella è uno chef che ha il merito di aver portato sulle tavole dei turisti – spesso facendoli riscoprire agli stessi ogliastrini – i piatti della tradizione, nati secoli fa tra le valli, le montagne e i boschi della terra degli olivastri. Ma è anche capace di inventare – dagli antipasti ai dolci – sempre qualcosa di nuovo, pur nel rispetto della terra madre. L’hotel La Torre (tel. 0782/28030), a Barisardo, quattro stelle di qualità, è una garanzia per gli appassionati della buona cucina e per chi cerca i sapori di una volta. Quelli di casa. Tutto cominciò negli anni sessanta, i tempi dei pionieri del turismo. “Non c’era acqua né corrente elettrica, – 100 ricorda Gisella – i piatti forti per i primi avventurosi turisti erano anguille in umido e patelle fritte. Vino e birra stavano al fresco nel pozzo.” Altri tempi. Oggi i turisti che vengono a bagnarsi nelle calette da sogno vogliono mangiare ogliastrino, gusti robusti e cibi di qualità. A cominciare da is culurgionis e sa coccoi prena, piatti simbolo da Capo Bellavista al Supramonte, che per Gisella non hanno segreti. “Sono tutte ricette di famiglia, – racconta – nonna Marianna le ha insegnate a mia madre, come la minestra con casu ’e fitta, il formaggio in salamoia, mentuccia o finocchietti, erbe che andavamo a raccogliere in campagna con le mie sorelle. E mia madre le ha insegnate a noi.” Sa coccoi prena (foto in alto) è il simbolo della rinascita della cucina ogliastrina. Un impasto di patate, insaporito da un soffritto di cipolla, formaggio, olio e menta fresca tritata, adagiato su un disco di pasta (farina e patate) chiuso con sei spigoli e poi infornato. “Era questo il piatto tipico di Pasqua”, spiega Gisella Tascedda. Oggi è una prelibatezza che racchiude i sapori di questa terra e che sorprende i palati per la sua semplicità (è diventata uno dei cibi preferiti per le escursioni lungo le calette isolate e i sentieri dei carbonai). È una delizia della buona tavola di cui le donne, vestali della tradizione, vanno così orgogliose da custodirla gelosamente: sui banconi dei supermercati è quasi introvabile, a differenza dei culurgionis, altra invenzione ogliastrina, ormai diffusi sulle tavole milanesi come su quelle tede- sche. Per la chef dell’hotel La Torre la ricetta è semplice: il segreto dei culurgionis è tutto nella mentuccia e nel soffritto di aglio. Il menu di Gisella è ricco e ha radici antiche: dall’agnello con carciofi e cardi selvatici, alla pecora cotta nel brodo di cavoli e finocchietto, a sa conca ’e porcu (la testa di maiale con fave, patate e l’immancabile finocchietto). Cucinare è un’arte intelligente e Gisella lo sa bene. Ecco perché oltre alla tradizione porta in tavola piatti che nascono dagli incontri con i gourmet della penisola, ovviamente rielaborati tra i fornelli ogliastrini. Ecco serviti l’orata ai porcini, il riso guarnito con le costolette di agnello, i ravioloni con ricotta e asparagi accompagnati da una vellutata di scampi. Per non parlare delle famose tagliatelle nere. Ma nelle sere d’estate, confida Gisella, pur potendo scegliere fra tante prelibatezze, i suoi ospiti vanno pazzi per le minestre semplici di una volta, come quella “bianca”, fatta con pecorino fresco in salamoia, mentuccia e fregola. Piatti poveri, di antenati poveri, salvati dalla regina della cucina ogliastrina e trasformati in tesori sulle tavole della vacanze. (L.C.) OGLIASTRA I gustosi antipasti e i salumi “artigianali” sono un gustoso anticipo del menu di terra offerto dall’ottimo ristorante “Il Bosco” di Villagrande Strisaili. fitta (da segnalare i primi piatti a base di porcini, una delle specialità della casa). Robusti sapori di montagna anche a Baunei. La tradizione della pecora “in cappotto” con cipolle e patate la si ritrova tutta in due ristoranti gestiti da cooperative: Il Golgo (tel. 0782/610732-cell. 337/811828) e Il Maneggio (cell. 368/7028980-338/5921640). A poche centinaia di metri l’uno dall’altro godono di uno scenario naturalistico unico: l’altopiano del Golgo, alle spalle delle calette da copertina, Cala Luna, Sisine, Goloritzè, e con i buoni cibi offrono l’indimenticabile suggestione di una cena sotto le stelle del Supramonte. Ovviamente menu ogliastrino doc nelle migliori aziende agrituristiche. Una delle ultime nate è Cixi Crobeni (ad Arzana, aperto solo d’estate, tel. 0782/37309), l’ultimo ovile sul versante arzanese del Gennargentu a 1300 metri, gestito dai fratelli Piras. Per tutti formaggi, dolci di ricotta e un piatto antico del tempo dei romani, se non addirittura nuragico: la pecora arrosto con tocchetti di miele, per secoli il solo dolcificante. Cibi genuini e locali accoglienti anche in tre aziende di Villagrande, che propongono il menu tradizionale con un’attenzione particolare agli antipasti di terra, prosciutto e guanciale. Sono S’Arroali Manna (tel. 0782/30067, nel borgo di Villanova Strisaili, sul lago del Flumendosa, terra di allevatori e rigogliosi pascoli), l’azienda Cabras nella località Sa Carrubba a 800 metri dal paese (tel. 0782/646683) e Menhir, a Perdas Latinas (tel. 0782/32593). A Loceri l’agriturismo Ogliastra, gestito da Giampaolo Lecca e dalla moglie, propone sa coccoi ’e forru (impasto di zucca rossa o porri selvatici, farina, pomodori, lardo, servito su una foglia di vite): accogliente, buona cucina, nell’azienda si allevano pecore e maiali e si coltivano uve tipo Cannonau e Sangiovese (tel. 0782/77427-cell. 368/3272583). Sempre a Loceri c’è Su Barraccu della famiglia Pilia, lui allevatore, lei di Oliena, esperta nel pane e nei dolci: il casu axedu è di qualità (cell. 338/2073917). 102 Sulla costa si sta consolidando la tradizione della cucina di mare. Con punte di eccellenza. E senza rinnegare le origini agropastorali. Ai vertici c’è il ristorante dell’hotel La Torre a Barisardo (tel. 0782/28030, vedi anche pag. 100), quattro stelle, regno di Gisella Tascedda, indiscussa maestra tra i fornelli, capace di far conoscere ai turisti i veri piatti ogliastrini ma anche di inventare menu originali fondendo gli ingredienti di terra e di mare: dall’orata con i porcini ai malloreddus con le favette, dalla razza col pomodoro fresco ai piedini di agnello, passando per i dolci (sa panixedda, per esempio) e i celebrati liquori di mirto e basilico. Garanzia di qualità anche da Battista, il ristorante dell’hotel Victoria a Tortolì (tel. 0782/624504), con ricette a base di pesce. Di prim’ordine la cucina di un altro albergo, La Bitta (Porto Frailis, Tortolì, tel. 0782/667080), di Sergio e Donato Bovi, figli di uno dei primi ristoratori d’Ogliastra, di origini ponzesi: la cucina è raffinata, in una bella terrazza sul mare tra atmosfere capresi e sarde si possono gustare i piccoli culurgionis e le polpettine, tutto a base di pesce. C’è anche un altro hotel che gode di un’eccellente reputazione culinaria. È Arbatasar (a Porto Frailis, tel. 0782/667061-651800), nel vecchio nucleo del villaggio dei pescatori, a due passi dal lungomare di Arbatax. È un nuovo albergo quattro stelle che propone una buona cucina grazie all’inventiva di due giovani cuochi, sempre alla ricerca di nuovi piatti. Tradizioni marinare dei pescatori ponzesi anche alla Nuova Capannina (Riva di Ponente, Arbatax, tel. 0782/622862-cell. 329/0267224), che ha nel suo menu una saporita zuppa di pesce. A proposito di spigole, orate, anguille, bocconi, bottarga, ci si può rivolgere direttamente alla fonte. Da alcuni anni presso la peschiera San Giovanni di Arbatax è in attività l’Ittiturismo (tel. 0782/667827-664415): tra reti e barche si cena all’aperto, con servizio ridotto all’osso, tanto pesce (la freschezza è garantita, i pescatori lo catturano la mattina), vino e anguria. Tradizioni rispettate anche nei Bed & Breakfast, che offrono colazioni con i biscotti e i dolci delle nonne ogliastrine. Loceri ha la più alta percentuale di B&B di tutta l’isola, interessanti offerte anche a Villagrande (informazioni presso il presidio turistico di Santa Maria Navarrese, tel. 0782/615330). Chiudiamo con la pizzeria Pedra Longa (cell. 347/1269818), poco prima di Baunei. Imperdibile non tanto il cibo quanto il panorama (ecco il motivo della segnalazione): sul mare, davanti al pinnacolo di roccia dell’Agugliastra, meta di scalatori da tutta Europa, nel punto in cui il Supramonte si tuffa nel Mediterraneo. IL TRENINO VERDE Un modo delizioso di conoscere l’Ogliastra è attraversarla con il Trenino Verde. Si tratta di un’iniziativa delle Ferrovie della Sardegna che, inaugurata a titolo sperimentale una ventina d’anni fa, ha registrato sempre più successo. Si può partire da Cagliari o da Mandas. La ferrovia a scartamento ridotto attraversa un territorio selvaggio e non raggiungibile con altri mezzi, dove ogni cosa (cantoniere, stazioni, viadotti) sembra uscita da una fiaba. La velocità è ridotta e consente di apprezzare gli aspetti del paesaggio anche con brevi soste nei siti più suggestivi per picnic nella natura o pasti tradizionali in caratteristiche strutture ricettive. L’offerta del Trenino Verde si ripete anche in altre aree della Sardegna (vedi cartina), paesaggisticamente diverse ma altrettanto interessanti: le tratte Sassari-Alghero, SassariTempio-Palau, Nuoro-MacomerBosa e Mandas-Isili-Sorgono. 103 MUSEI Musei IL PIACERE DELLA TRADIZIONE IN 28 TAPPE Viaggio attraverso alcuni dei più significativi musei etnografici dell’isola, dove rivivono gli oggetti, gli ambienti, gli utensili e soprattutto l’atmosfera della tavola e della vita contadina di un tempo DI MIMMA B. MARCIALIS C “ Dario Sequi A sinistra: nel Museo delle tradizioni agroalimentari della Sardegna, a Siddi, sono conservati gli oggetti legati ai vari cicli della produzione di olio, vino e formaggio. Pagina accanto: la cartina dei musei etnografici in Sardegna. Mario Russo famiglia Steri dal Seicento sino gli anni sessanta del Novecento, il Museo delle tradizioni agroalimentari della Sardegna (tel. 070/9341028), unico nel collegare gli spazi e gli oggetti alla storia e alle abitudini alimentari della famiglia e della comunità del paese. “Il cibo è storia, forse una delle molle più potenti della storia economica e politica”: è da questa convinzione che i proprietari e i responsabili scientifici del museo hanno preso spunto per allestire un’esposizione che ricostruisse gli stretti legami tra il cibo, tanto quello dell’alimentazione quotidiana quanto quello rituale delle feste, e i cicli produttivi delle risorse locali. Collocata nella Trexenta, una tra le regioni più fertili della Sardegna, Casa Steri era il centro dell’azienda familiare, che produceva tutto il necessario, dalla farina all’olio, dal vino al formaggio. All’interno della casa, ogni ciclo produttivo aveva il suo spazio, cosicché si possono ancora vedere la stanza della molitura delle olive e della trasformazione del latte, quella del mulino dei cereali e la stanza del pane, la dispensa e, al piano superiore, i granai, corredati dagli attrezzi originali: il frantoio, gli orci, i paioli di rame, i contenitori per fare su joddu (lo yogurt sardo), la macina, su strexu ’e fenu (il multiforme corredo di canestri, ceste e setacci), le pale per il forno, gli attrezzi del lavoro agricolo, su moi e sa quarra (recipienti usati come unità di misura). La ricostruzione dei cicli produttivi, curata da antropo- hi vuole capire diffidi di tutto ciò che tende a presentargli la Sardegna come una riserva folkloristica. La Sardegna che importa conoscere non è quella dei costumi sgargianti, ma quella vestita di fustagno: le migliori guide sono i contadini e i pastori”. È il consiglio che lo scrittore Giuseppe Dessì dà a chi vuole scoprire la Sardegna nella sua complessità. C’è anche un altro modo, ora, di conoscerla: visitare i musei etnografici creati negli ultimi anni che raccolgono le testimonianze delle tradizioni agropastorali sarde. Molti sono allestiti all’interno di vecchie abitazioni ristrutturate: le stesse tipologie abitative caratteristiche delle diverse zone dell’isola fanno da elemento portante dell’esposizione stessa. È così che si presenta, a Siddi, nell’estremo Nord della provincia di Cagliari, nella casa abitata dalla 105 MUSEI gusto unico, dato dalla farina macinata con una mola di pietra e dunque non alterata dal calore dei macchinari elettrici. Casa Vargiu si propone anche come museo del ricamo, unico nel suo genere: ogni stanza è arredata con pezzi tessuti e ricamati a mano, provenienti dai corredi di famiglia di più generazioni. Non lontano da Orroli, nel centro storico di Sadali è è stata ristrutturata una casa in pietra della fine dell’Ottocento detta Sa omu ’e zia Cramella (tel. 0782/59246), la Casa di zia Carmela. Arredata con mobili antichi, in ogni stanza sono esposti gli attrezzi e gli utensili delle attività che vi si svolgevano. È sempre la cucina l’ambiente più ricco di ricordi e di curiosità: i piatti e i bicchierini da rosolio nella piattaia a muro, i cucchiai di osso per la cagliata, su turradori per tostare il caffè o, in periodi di magra, le ghiande delle sughere, più dolci delle altre, i cesti di asfodelo per riporre i culurgiones, ravioli di patate e menta, i setacci dal fondo rigato per scavare gli gnocchetti, is malloreddus, le pentole di coccio per le zuppe di legumi o, a Carnevale, la zuppa di fave e cotiche. L’importanza del cibo e della sua produzione è evidente in tutte le ricostruzioni e le raccolte etnografiche. Nella Domu ’e sos Marras (tel. 0784/90472-90005), a Galtellì, una trentina di chilometri a est di Nuoro, la cucina è l’ambiente al centro della vita familiare e dei rapporti con gli amici e parenti più intimi, che si facevano accomodare nelle panche in muratura addossate alla parete, mentre le donne preparavano e cuocevano il pane nell’apposito forno a legna e gli uomini arrostivano le carni nel camino; persino le uova erano a portata di mano: le galline covavano dentro anfratti scavati in una parete laterale. Gli altri ambienti di questa antica casa padronale a due piani, costruita in pietrame e fango, con travi di ginepro e soffitti di canne, mostrano la funzionalità delle abitazioni tipiche: in sa domu ’e su theraccu (la stanza del servo-pastore), arredata spartanamente e con al centro, come in un ovile di campagna, su foghile, ci sono tutti gli arnesi per la produzione del formaggio; nei locali che circondano la corte si possono vedere il torchio, le botti e la vasca per il vino, la macina di pietra e gli attrezzi della coltivazione del grano. Gli arnesi per la lavorazione e la conservazione dei cereali sono esposti nella stanza della massaia (sa domu de sa massaia), dove le donne selezionavano le farine e conservavano le provviste annuali nelle lússias, altri cilindri di canne. L’autosufficienza del nucleo familiare è testimoniata anche dalla presenza, oltre Dario Sequi logi, storici, sociologi e nutrizionisti, è illustrata su pannelli e leggii in ferro e canne legate, in sintonia con l’originaria testura delle canne dei soffitti. Nella cucina, l’album Il cibo raccontato raccoglie le testimonianze degli anziani del paese sulle ricette tradizionali, come sa suppa ’e faa (zuppa di fave), pasto di magro tipico della Settimana santa, il brodo di gallina ripiena per le puerpere, is maccarronis de cibiru, pasta fatta a mano sul setaccio di fieno dei giorni di festa, i dolci come i pirichittus o le párdulas. Il cibo era un simbolo dei legami sociali, come quando si partecipava al lutto di una famiglia, portando ai parenti, dentro ceste ornate di nastri neri, pane e pietanze già cucinate, accompagnate da vino rosso. A Orroli, in provincia di Nuoro, nella Omu Axiu, Casa Vargiu (tel. 0782/845023), il cibo è raccontato e cucinato: i proprietari hanno recuperato la vecchia casa di famiglia facendone un museo e un agriturismo. La struttura ha la tipica organizzazione delle case-fattoria ed è articolata in più corpi di epoche diverse (la parte più antica ha circa tre secoli) affacciati su una corte lastricata. Nella cantina, con i vecchi attrezzi della vinificazione si produce ancora un Cannonau amabile, che si dice sia uno dei segreti della longevità degli abitanti di Orroli (è il paese italiano che vanta la più alta percentuale di ultracentenari). Nel magazzino del maiale ci sono tutti gli strumenti per la lavorazione e per la conservazione degli insaccati. La signora Tonia tiene corsi di cucina tradizionale e mostra ai visitatori come si impasta, nelle apposite conche di coccio, sa fregula, chicchi di semola conditi con sugo di pomodoro e carne suina, o is spitzulus, specie di maltagliati tipici della zona da gustare con sugo di funghi porcini. La lavorazione più interessante è la panificazione, con cui si produce un pane dal A sinistra : nel Museo del vino di Berchidda si impara ad apprezzare la qualità dei vini di Sardegna sotto la guida di un sommelier virtuale. Pagina accanto: l’antico rituale della mattanza, seguito ancora oggi nella pesca del tonno, è raccontato nel Museo della tonnara di Stintino. Nevio Doz MUSEI alle stanze da letto o di rappresentanza, di una camera per la tessitura (sa domu ’e su telaiu) o, all’esterno, dell’officina del fabbro-maniscalco. Il museo Galluras, Frammenti della civiltà gallurese (tel. 079/647281, www.museogalluras.it), a Luras, dimostra come questa zona della Sardegna si differenzi dalle altre anche nella tipologia delle case: il museo è allestito in una tipica palazzina in granito e si propone non solo come collezione di oggetti, ma anche come raccolta di documenti e memorie della tradizione locale. Vi è ricostruita la casa di una famiglia benestante, arredata con mobili di buona fattura e con abbondanza di utensili e stoviglie. Tra le curiosità, in cucina troviamo lu cadinu, recipiente in doghe di legno per la riserva dell’acqua con l’uppu, un mestolo di sughero dal lungo manico. Le stanze dell’ultimo piano sono dedicate alla tessitura della lana e alla lavorazione del sughero, le due attività, rispettivamente femminile e maschile, che hanno da sempre contribuito al benessere sociale ed economico della zona. Al pianoterra una sala è dedicata alla viticoltura, con strumenti e attrezzi per la coltivazione, il trasporto e la pigiatura dell’uva, tra cui un torchio di legno del Seicento e alambicchi di rame per la distillazione dell’ea aldenti, l’aspra acquavite conosciuta anche come fil ’e ferru. Che la Gallura sia una regione rinomata per i suoi vini lo dimostra anche la presenza a Berchidda del Museo del vino-Enoteca regionale della Sardegna (tel. 079/704587, www.museodelvino.net), una struttura moderna in cui si può seguire la storia della viticoltura e dei suoi prodotti: sono esposte vasche in granito per la pigiatura che, simili a quelle rinvenute nei nuraghi, sono ancora presenti nelle case delle vigne galluresi, insieme con altri oggetti della cultura materiale del vino, tutto supportato da didascalie, foto e ausili didattici. Il museo svolge una funzione didattica attraverso l’interattività: si impara a degustare un vino con un sommelier virtuale). Nella storia del vino in Sardegna ha avuto un ruolo fondamentale l’azienda che dà il nome al Museo Sella e Mosca (tel. 079/997700), ad Alghero, dove viene ricostruita l’attività del fondatore, il piemontese Vittorio Sella: pannelli esplicativi, corredati con foto d’epoca, documentano l’organizzazione aziendale e gli aspetti innovativi introdotti ai primi del Novecento in un contesto sociale e agricolo arcaico, a cui risalgono i giganteschi torchi in legno, con le vasche di raccolta in granito (laccus). A Bitti, poco a nord di Nuoro, nell’antico rione di Monti Mannu, recuperato e ristrutturato, le abitazioni sono diventate la sede del Museo della civiltà contadina e pastorale (coop. Istelai, tel. 0784/414314333/cell. 3333211346): oltre tremila oggetti, distribuiti in venti locali, ripercorrono antiche tecniche e abitudini come la produzione casalinga del pane carasau, cotto nel forno della cucina, o della confezione di sas vressatas, coperte di lana tessute su un particolare telaio verticale. Nella stanza riservata al lavoro del pastore sono esposti diversi paioli per la bollitura del latte, cesti e contenitori per il formaggio e la ricotta, una scrematrice di legno per il burro, oltre ad attrezzi legati all’allevamento delle pecore, come le forbici per tosare e gli aspi per ammatassare la lana. A Suni, nell’estremità occidentale del Nuorese, La casa della tecnologia contadina (tel. 0785/34823) è intitolata a Tiu Virgiliu, l’ultimo proprietario dell’abitazione costruita ai primi del Novecento, dove sono stati raccolti gli oggetti che testimoniano le attività agropastorali e commerciali su cui si basava l’economia della Planargia. A un pianoterra rustico, dove è ancora visibile un mulino e dove venivano riposti gli attrezzi del lavoro dei campi e delle vigne, si contrappone un piano rialzato, la vera e propria casa, dai colori vivi e stanze arredate con mobili semplici ma caratteristici. Nella cucina non manca il forno per il pane, la cui lavorazione rappresentava uno dei momenti più importanti della vita familiare. Bellissimi esempi dei diversi tipi di pane si possono ammirare al Museo archeologico etnografico “Palazzo Atzori” (coop. Archeotour, tel. 0785/55438, www.archeotour.com) di Paulilatino, in provincia di Oristano. Il museo ha sede in una prestigiosa palazzina a tre piani, il cui primo impianto risale alla seconda metà del XVI secolo. Nella sezione etnografica sono esposti utensili della tradizione contadina e pastorale locale negli ambienti della vita quotidiana, tra cui lo spazio della tessitura e della filatura della lana e del lino; un settore è dedicato all’“arte effimera” del pane, dove pani finemente lavorati sono esposti a seconda delle occasioni cui erano destinati: il pane pintau, cioè dipinto, per gli sposi, lavorato e decorato artistica(continua a pag. 114) 106 107 Istituto Luce/Gestione Archivi Alinari, Firenze Archivio Alinari-Archivio Alinari, Firenze LA SARDEGNA COM’ERA Immagini di una tradizione antica, ancora viva A sinistra: Castelsardo, nel Sassarese, è famosa ancora oggi soprattutto per due cose, le aragoste e i cestini. In questa foto degli anni Cinquanta un pescatore prepara una nassa per la pesca del prezioso crostaceo, intrecciando giunchi e verghe di olivastro. In alto: i costumi tipici della Sardegna prevedono sempre un copricapo – un velo, una cuffia o uno scialle per le donne e la caratteristica birritta, il berretto, per gli uomini – come appare in questa immagine del 1920-30 circa. 109 LA SARDEGNA COM’ERA Archivio Alinari-Archivio Alinari, Firenze Museo di Storia della Fotografia F.lli Alinari, Firenze LA SARDEGNA COM’ERA 110 Museo di Storia della Fotografia F.lli Alinari, Firenze Museo di Storia della Fotografia F.lli Alinari, Firenze L’eleganza dei costumi tipici nella vita di tutti i giorni Sopra: la caratteristica cucina di una casa rurale sarda in una foto del 1903; qui si ricevevano amici e parenti, mentre le donne preparavano il pane e gli uomini arrostivano le carni nel camino. A sinistra: gruppo di donne in costume tradizionale in un’immagine dei primi anni del secolo scorso. Pagina accanto, in alto: un carro per il trasporto del grano trainato da due buoi fotografato su un’aia di Tratalias, negli anni Venti del Novecento. Pagina accanto, in basso: alcune donne di Bono, Sassari, dipanano la lana con gli arcolai. Come in passato, anche oggi in Sardegna l’allevamento delle pecore fornisce la materia prima per una fiorente attività di tessitura: tappeti, arazzi, coperte, scialli, tende e cuscini vengono lavorati a mano sui tradizionali telai di legno di quercia. 111 112 Archivio Alinari-Archivio Alinari, Firenze LA SARDEGNA COM’ERA Archivio Alinari-Archivio Alinari, Firenze LA SARDEGNA COM’ERA In Sardegna anche il pane è un’arte Sopra: nell’orto di una casa di Tratalias, antico paese del Sulcis, due contadine sfornano un pane simile a un cardo sfiorito. Da sempre in Sardegna questo importante alimento viene lavorato nelle forme più fantasiose , per la tavola di ogni giorno come per le occasioni di festa. Pagina accanto: un suonatore di is launeddas, o sonus de canna, lo strumento musicale più antico e caratteristico della Sardegna, ritratto sull’isola di Sant’Antioco. 113 MUSEI mente; s’angulla e sa pramma, il pane pasquale e quello della domenica delle Palme, ornati con uova intere o mandorle. Tutti questi “ricami” venivano fatti a mano o con l’aiuto di attrezzi chiamati pintapane. Una rappresentativa collezione di pane decorato è esposta al Museo archeologico-etnografico di Ittireddu (tel. 079/767623), in provincia di Sassari, che nella sezione dedicata alle tradizioni locali raccoglie reperti e documenti sul lavoro del pastore e del contadino, sulle tecniche di filatura e tessitura e di intreccio, di preparazione dei dolci e del pane. La raccolta più ricca di tutti i tipi di pane della Sardegna si trova al Museo della vita e delle tradizioni popolari sarde (tel. 0784/242900) di Nuoro: solo una minima parte è esposta, anche perché alcuni esemplari sono ormai unici e rischiano di deteriorarsi irrimediabilmente. A Quartu Sant’Elena, in un’antica dimora del centro storico, il museo “Il ciclo della vita” (tel. 070/884763-cell. 339/3635961) espone oltre cinquemila reperti dal Settecento ad oggi che documentano le tradizioni legate ai momenti fondamentali della vita, dalla nascita alla morte e al ciclo dell’annata agraria. Il percorso museale segue quello dell’esistenza dell’uomo come veniva vissuto nella società sarda. Un cestino con su nénniri, germogli di grano fatti crescere al buio per restare bianchi, rappresenta la primavera, la prima delle tappe della vita: la nascita, con l’antico rituale scaramantico di porre sull’addome della partoriente alcune pietre con virtù terapeutiche; il battesimo, documentato con foto d’epoca e l’antico corredo da neonato; l’infanzia, momento in cui si definivano i futuri ruoli maschili e femminili nella rigida distinzione tra i giocattoli dei bambini e quelli delle bambine; la pubertà, con i rituali di iniziazione e di fecondità illustrati attraverso una raccolta fotografica. Al matrimonio sono collegate l’esposizione dei corredi di biancheria, alla cui confezione le ragazze dedicavano gran parte del loro tempo, dei gioielli, dote indispensabile per l’ornamento del costume della festa, delle stoviglie, dei cesti e delle pentole di rame, s’arramine bonu, appese alle pareti. Un pezzo raro è uno stampo rettangolare di legno di castagno finemente intagliato, della prima metà dell’Ottocento, in cui, il giorno di Corpus Domini, si preparava un dolce a ba- 114 se di mandorle e zucchero, sa pasta de accotza. Il momento della morte è rappresentato dal lamento delle prefiche, donne che, per tutto il periodo della veglia, intonavano nella casa del morto pianti e lamenti per decantarne le virtù. A Santadi, un furriadroxiu, abitazione tipica del Sulcis, è stato trasformato nella casa-museo Sa domu antiga (coop. Fillirea, tel. 0781/955983-955178). I tre ambienti sono affiancati e si affacciano sulla strada: s’apposentu, la camera da letto, è arredata con mobili dell’Ottocento e corredata di biancheria tessuta a mano; sa sala ’e prandi, la camera da pranzo, contiene, oltre ai mobili tipici, un antico telaio con tutti gli accessori; sa coxina, la cucina, è ammobiliata solo con una piattaia e con un tavolo perché le stoviglie e i cesti venivano appesi alle pareti su un pannello detto appiccastrexu, insieme ai taglieri-contenitori in legno intarsiato, is talleris, usati anche come piatti da portata. All’interno, la casa si affaccia sulla corte circondata da un porticato, sa lolla, dove sono riposti gli attrezzi agricoli e della vinificazione e dove si trova il forno per il pane, che nella Sardegna meridionale, per motivi climatici, era sempre all’esterno. Nelle campagne i furriadroxius servivano soprattutto da ricovero per il bestiame: erano costruiti con mattoni di fango ed erano costituiti da un’unica camera e da logge col tetto di canne: in uno di questi, a Domusnovas, una decina di chilometri a est di Iglesias, è allestita l’Esposizione etnografica Sotgiu (tel. 0781/70356), con l’attrezzatura completa per l’agricoltura e l’allevamento del bestiame. Nel Sulcis settentrionale, a Fluminimaggiore, esiste ancora l’Antico mulino ad acqua Licheri (Startuno, tel. 0781/580623-581040), una struttura del Settecento che ospita la ricostruzione delle tradizioni e delle attività di coltivazione e di consumo del grano e dei suoi derivati. L’attrazione maggiore è il mulino a due ruote, azionate dal torrente che scorre in paese. All’interno, insieme alle macine del mulino, mole di epoca nuragica e romana ritrovate nel territorio fluminese, ricco di siti archeologici, oltre che di eccezionale interesse geologico e paleontologico. A Sant’Antioco in via Necropoli, la strada dove gli ipogei fenici sono stati utilizzati come abitazioni sino agli anni sessanta del secolo scorso, si trova il Museo etnografico “Su magasinu ’e binu” (tel. 0781/83590800596, www.archeotur.it). L’edificio che lo ospita è un Antonio Saba La macina per le olive nel frantoio di Sa domo de s’olia, a Loceri, trasformato in museo. MUSEI Un recipiente in rame per la preparazione del formaggio esposto al Museo etnografico di Armungia. caratteristico medau, un cortile circondato dai magazzini dove sono raccolti gli strumenti per la coltivazione dei cereali e della vite. Due sezioni sono dedicate al bisso e alla palma nana: il bisso è una pregiata fibra naturale prodotta da un mollusco bivalve, la Pinna nobilis: usata per tessere e ornare stoffe preziose, ora è quasi scomparsa, anche a causa della drastica diminuzione, nel mare, del mollusco. L’altra sezione è dedicata alla palma nana e a tutti i suoi usi: si costruivano cesti, borse, scope e ventagli e con le fibre più grosse si realizzavano le corde delle tonnare, come si vede anche nel modello in scala esposto al Museo civico di Carloforte (tel. 0781/855880, www.carloforte.net) o al Museo della tonnara “Il ricordo della memoria” (tel. 079/523053-523508-520081) di Stintino, nelle due località che per secoli hanno basato la loro economia sulla pesca del tonno. Loceri è un paese dell’Ogliastra la cui economia ha avuto il suo centro nella coltivazione dell’olivo e nella produzione dell’olio: ne sono testimoni i due frantoi ancora presenti al centro dell’abitato: ristrutturati, sono utilizzati uno, Vecchi frantoi, per mostre temporanee, l’altro, Sa domo de s’olia (tel. 0782/77051, www.comune.loceri.nu) come museo etnografico. Si tratta di una costruzione a tre piani: al pianoterra, utilizzato come frantoio, è ancora presente la grande macina di granito dove le olive venivano ridotte in una pasta che, raccolta in cesti di giunco, era poi pressata per estrarne l’olio; nei due piani superiori è ricostruita la casa del frantoiano. Tra gli oggetti più interessanti, uno schiacciapatate di legno e sa schigiola, contenitore in legno dalle pareti forate in cui si faceva scolare la cagliata per fare su casu ’e vita, un formaggio fresco tipico dell’Ogliastra. La stanza da letto, cui si accede per una stretta scala di legno, è arredata con mobili ottocenteschi di artigianato locale e arricchita con biancheria tessuta e ricamata a mano. I costumi di Desulo, sulle pendici del Gennargentu, tra i più conosciuti della Sardegna, si possono ammirare al Museo etnografico “Casa Montanaru” (tel. 0784/619624-619425), allestito nella casa appartenuta ad Antioco Casula, un popolare poeta dialettale noto appunto con lo pseudonimo di “Montanaru”. In un piano sono esposti gli utensili delle attività tipicamente femminili: la cucina, la panificazione e la tessitura; 116 nell’altro tutti gli attrezzi dei mestieri maschili, in particolare quelli strettamente legati all’ambiente montano, come il boscaiolo e l’intagliatore (su biccalinna), i cui manufatti, truddas e talleris (mestoli e taglieri), erano diffusi in tutta la Sardegna da un piccolo esercito di ambulanti del paese. Anche ad Aritzo, sempre tra i monti del Gennargentu, le attività lavorative e produttive erano legate ai boschi. La Collezione etnografica di Aritzo (tel. 0784/629223629218) raccoglie gli strumenti per la lavorazione del legno. Anche gli aritzesi giravano la Sardegna per vendere i loro prodotti e sin dal Quattrocento erano conosciuti per sa carrapigna, un sorbetto a base di zucchero e limone fatto con la neve conservata nelle grotte montane, che is carrapigneris trasportavano sino al Campidano. I mastelli di legno, i contenitori di zinco e gli altri arnesi sono esposti nel museo, ma vengono ancora usati durante le feste e le sagre, come quella delle castagne o, a Desulo, la manifestazione “La montagna produce”, durante la quale si possono assaggiare e acquistare i prodotti locali, tra cui un famoso torrone e degli ottimi salumi. Nel centro storico di Seui, arroccato alle falde dei “tacchi”, i rilievi che dividono la Barbagia dall’Ogliastra, si snoda il percorso Museo della civiltà contadina, pastorale, artigianale, della miniera e dell’emigrante e carcere baronale (tel. 0782/54611-539002). In una palazzina liberty sono raccolte le testimonianze delle attività produttive del territorio, soprattutto quella estrattiva, legate alla vicina miniera di antracite, che costituì per più di mezzo secolo, dalla fine dell’Ottocento agli anni cinquanta, una voce importante nell’economia seuese. Il percorso comprende anche il carcere baronale, di epoca spagnola, ristrutturato e arredato con mobili ottocenteschi, e la Casa Farci, anch’essa d’impianto spagnolo. Ad Armungia, tra le montagne a nord di Cagliari, paese natale di Emilio Lussu, il percorso museale comprende il Museo etnografico “Sa domu de is áínas” (tel. 070/958123-958133), Casa Lussu, il Nuraghe e il rione che lo circonda, la bottega del fabbro e la chiesa dell’Immacolata, del XVI secolo. L’allestimento è suddiviso in sei sale tematiche: la prima è dedicata ad Emilio Lussu di cui racconta, attraverso foto e documenti, la storia umana e politica. Le altre cinque sale sono dedicate ai lavori delle donne, al territorio, all’abitato, alle risorse del bosco, alla pastorizia, all’arti- MUSEI gianato del ferro e all’agricoltura: in ognuna gli oggetti relativi alle diverse attività sono esposti al centro, mentre alle pareti pannelli esplicativi ne spiegano l’uso e ne raccontano la storia. Interessanti la ricostruzione delle attività femminili di filatura e tessitura e della confezione del caratteristico pane pistoccu, e, nella sala dell’agricoltura, il calendario dei lavori agricoli in lingua sarda. Casa Lussu, ben conservata in tutti i particolari, è un esempio della tipologia abitativa del paese, con la caratteristica corte chiusa e la cucina con il forno per il pane, dipinta a tinte vivaci. In tutte le cucine tradizionali si trovano le pentole di rame, i cestini di varie fogge e dimensioni e i coltelli di fattura artigianale (sa leppa): il Museo del rame (coop. Sa frontista, tel. 0782/802641) di Isili, nel nuorese meridionale, il Museo dell’intreccio mediterraneo (tel. 079/471380) di Castelsardo, affacciato sul golfo dell’Asinara, e il Museo del coltello sardo (tel. 070/9759220-9756190, www.museocoltello.it) di Arbus, a nord di Iglesias, sono dedicati a questi oggetti. Isili è l’unico paese dove si sia conservata la tradizione della lavorazione del rame, diffusa in varie parti dell’isola sin dall’epoca nuragica: nel secentesco convento degli Scolopi è stato allestito il museo dedicato ai ramai, in cui sono esposti tutti i manufatti che componevano il corredo domestico e l’attrezzatura della trasformazione del latte; gli oggetti, alcuni dei quali antichi e pregiati, sono corredati da schede informative che riportano il nome in sardo e in arromanisca, il particolare gergo dei ramai. Il corredo della cucina era composto da almeno quattordici pezzi: una brava padrona di casa lo appendeva alle pareti nell’ordine stabilito dalle regole sociali e lo lucidava almeno due volte all’anno. L’unico ramaio ancora in attività, Luigi Pitzalis, produce i suoi pezzi secondo la tradizione, con il rame martellau, martellato, tra cui su prattu de cassa, un doppio tegame per cuocere in umido ricette tipiche come l’agnello con patate o carciofi. Castelsardo è la sede ideale per un museo dedicato alla cestineria, perché da sempre famosa per i suoi cesti. All’interno del duecentesco castello costruito dai Doria genovesi, il museo documenta l’arte dell’intrecIn alto: tre tipi di canestri in giunco e asfodelo del Museo dell’intreccio mediterraneo a Castelsardo. 118 cio di tutta la Sardegna. Se la destinazione d’uso è uguale in ogni parte dell’isola, cambiano da zona a zona i materiali usati: nel Sud i cesti sono di fieno e giunco, nel Centro di asfodelo, nel Nord di fieno marino e di palma nana. Le córbule dai bordi alti e i canestri larghi e bassi venivano realizzati dalle donne, con la tecnica “a spirale”, e utilizzati per la panificazione o per riporre altri alimenti. Con il mirto, l’olivastro, il fieno marino o le canne venivano intrecciati i canestri per il formaggio, le nasse per la pesca oppure le scope o il rivestimento dei fiaschi. Caratteristico dell’Oristanese l’intreccio del falasco, una pianta palustre, con cui si costruisce su fassoi, l’imbarcazione piatta utilizzata dai pescatori degli stagni. Il coltello tipico dei pastori e dei contadini si chiama sa pattadesa o s’arburesa, a seconda che sia stato fabbricato a Pattada o ad Arbus: in quest’ultimo paese il coltellinaio Paolo Pusceddu ha ristrutturato la settecentesca casa di famiglia e vi ha allestito un museo dove sono esposte le produzioni storiche e contemporanee più caratteristiche dell’artigianato del coltello sardo ed è ricostruito l’antico laboratorio del fabbro con attrezzi originali del secolo scorso. Il Centro della cultura contadina di Villa Muscas (tel. 070/487894, www.villamuscas.it ), nel cuore di Cagliari, ha la sua sede in un’antica villa che, a metà dell’Ottocento, fu regalata dal canonico Muscas allo Stato perché vi istituisse la Regia scuola di Agraria (e infatti ha ospitato l’Istituto agrario sino agli anni ottanta del secolo scorso). Durante più di un secolo di vita la scuola ha funzionato anche come centro di sperimentazione di tecniche di coltivazione e di metodi di produzione agricola. Di tutte queste esperienze restano le testimonianze nelle collezioni di arnesi e di macchinari, spesso rari, ma anche nelle documentazioni fotografiche e bibliografiche, esposte nelle cantine dalle volte a botte, all’interno delle quali è stato rinvenuto un pozzo romano a due bocche del II secolo. Nell’enoteca sono conservati i vini prodotti in Sardegna negli ultimi cinquant’anni (circa 1300 bottiglie), che si possono degustare accompagnati da prodotti sardi. È inoltre allo studio un ristorante dove presentare ricette innovative preparate con ingredienti tradizionali. Utilizzata spesso per manifestazioni enogastronomiche a tema (i funghi, l’olio, i vini novelli, i prodotti della montagna…), nel periodo estivo ospita rappresentazioni teatrali. Andrea Campagna L’ORISTANESE Disteso intorno alla fertile vallata del Tirso, l’Oristanese è famoso per la fierezza delle sue donne, eredi della nobile tradizione della giudicessa Eleonora, per i frutti dei pescosi stagni, dalla bottarga di Cabras alle cozze di Arborea, e per la sua pregiata Vernaccia. Ma anche l’interno riserva piacevoli sorprese gastronomiche, figlie di una tradizione genuina e ricca di sapore. 121 PANORAMA - ORISTANESE Un cavaliere al galoppo alla Sartiglia di Oristano, la giostra equestre che si svolge durante il Carnevale. L’obiettivo è infilare con la punta della spada un bersaglio a forma di stella. Dal numero delle stelle colpite gli antichi traevano auspici sia sul raccolto dei campi sia sulle fortune del cavaliere. Il volto è nascosto da una maschera dai tratti misteriosamente femminili. Antonio Saba PANORAMA - ORISTANESE Gianmario Marras Nevio Doz Gianmario Marras PANORAMA - ORISTANESE Gianmario Marras PANORAMA - ORISTANESE In questa foto : due delle originarie colonne del tempio di Tharros, antico porto commerciale all’estremità sud della penisola del Sinis, fondato dai Fenici nell’VIII secolo a.C. Sopra: particolare di una casa del villaggio di Santa Cristina. Pagina accanto, in alto: il paese di Santulussurgiu, situato a 500 metri di altezza all’interno del più grande vulcano spento della Sardegna, nel parco del Sinis-Montiferru. Pagina accanto, in basso : la facciata della basilica di San Giovanni Battista di Sinis, che inserisce nelle sue forme bizantine innesti di ispirazione protoromanica. 124 125 Adriano Mauri PANORAMA - ORISTANESE 126 Gianmario Marras Sopra: angelo dell’altare maggiore della cattedrale di Oristano. Pagina accanto: particolare del celebre complesso nuragico di Santa Cristina di Paulilatino, importante testimonianza della civiltà nuragica germogliata nell’isola all’alba del II millennio a.C. Dario Sequi ORISTANESE per il suo artigianato, si può assaggiare un’altra specialità, sempre derivata dai bovini del Montiferru: il casizolu, formaggio a pasta filata dalla caratteristica forma di pera, con un peso tra i 3 e i 5 chili. Anche in questo caso, una lunga tradizione fatta rivivere ha potuto salvare un prodotto destinato all’oblio. Conosciuto sin dal Medioevo e originariamente lavorato soltanto dalle donne durante l’inverno, ora fa parte della rosa delle specialità gastronomiche della zona. Fresco è ottimo per preparare i primi piatti o i dolci; stagionato diviene leggermente piccante e sa condire carni e ravioli. Altro centro del Montiferru, Sennariolo, altra specialità: qui, e soltanto qui, si produce il miele di rosmarino, arbusto tanto profumato quanto abbondante nelle pianure della Sardegna. In una terra dove fino a cento anni fa esistevano foreste di lecci e sughere impenetrabili, la pianta simbolo rimasta è l’ulivo, da cui si produce uno degli oli più aromatici e vantati della penisola. Cuglieri e Seneghe sono i paesi che dal 1600 basano la loro economia sulla produzione dell’extravergine. Le olive vengono raccolte ancora manualmente e macinate con la spremitura a freddo, come avveniva anticamente. Questo procedi- Oristanese UNA TERRA DI TESORI GASTRONOMICI Alla scoperta delle più preziose delizie per il palato: dalla bottarga, “il caviale dei sardi”, alla dorata Vernaccia, dalle saporite carni della razza sardo-modicana a un olio extravergine tra i più profumati d’Italia DI DANIELE CASALE E EMILIANO FARINA F “ u il primo giorno del mese di maggio, con un tempo magnifico, che visitai gli orti, o piuttosto la foresta, d’aranci di Milis, quest’ornamento della Sardegna che conta più di 50.000 alberi e la cui vicinanza mi fu annunciata da una brezza profumata. (...). Uno strato solido di fiori d’arancio copriva il suolo (...). L’abbondanza dei frutti è prodigiosa: lunghi bastoni e sarmenti sostengono i rami piegati, spesso, sotto il carico delle arance e dei limo- 128 ni, che non ammontano mai, in un’annata media, a meno di dieci milioni”. Il bibliotecario del re di Francia a Versailles Antoine Valéry (1789-1847) fu soltanto uno dei tanti viaggiatori che, tra il Settecento e i primi decenni del Novecento, visitarono la Sardegna e rimasero incantati dall’imponenza degli agrumeti di Milis, impiantati nel 1300 dai frati camaldolesi e ancora oggi, per il sapore dei loro frutti, tra i più pregiati dell’isola. Comincia dalle arance di Milis, quei “globi rossi o do- Terra ancora lontana dai grandi flussi turistici, l’Oristanese “coccola” il visitatore con pietanze eccellenti e molto raffinate: dalla bottarga di tonno (in alto) o di muggine qui a destra l’operazione della salatura), all’olio extravergine (q di oliva di Seneghe (pagina accanto), ottenuto da olive ancora raccolte a mano e spremute a freddo. Antonio Saba Antonio Saba rati” ai quali Valéry dedica un intero capitolo nel suo Viaggio in Sardegna, l’itinerario tra sapori, aromi e gusti nella provincia di Oristano, la più piccola della Sardegna (2631 chilometri quadrati e 160 mila abitanti sparsi in 78 comuni). È anche la meno pubblicizzata nei circuiti turistici internazionali, ma quella che offre al suo visitatore pietanze eccellenti e tra le più raffinate: dalla bottarga di Cabras alle cozze e arselle di Arborea e Marceddì, dall’olio extravergine di Seneghe ai dolci mostaccioli di Oristano, fino ad arrivare ai vini fra cui la pregiata Vernaccia. Ogni prodotto di questa zona ha alle spalle una tradizione antichissima, secolare o millenaria, e con il passare del tempo è riuscito a conservare il gusto originario. Il mare e la montagna, la mitezza del clima e una terra fertile bagnata dal Tirso, il fiume più lungo dell’isola, hanno sapientemente “modellato” i piatti di una cucina semplice di fattura ma allo stesso tempo genuina e ricca di sapore. Dalle pianure del piccolo centro di Milis, meta tra gli altri di Vittorio Emanuele II e di scrittori come Honoré de Balzac, Grazia Deledda e Gabriele D’Annunzio, ai pascoli del Montiferru, il viaggio è breve. In questo altopiano basaltico, dove in tempi remoti sputava fuoco il vulcano più grande della Sardegna, ora si alleva una razza bovina – la Sardo-Modicana – le cui carni sono considerate tra le più saporite d’Italia. A donare un gusto inconfondibile, le erbe profumate dei pascoli in cui si nutrono. Siamo infatti tra i 400 e i 900 metri sul mare e il terreno di origine vulcanica fa sì che l’erba rimanga fresca anche d’estate. Qui si alleva il “bue rosso”, praticamente scomparso fino a qualche anno fa e ora così rivalutato per il gusto intenso che è diventato una vera specialità. Gli allevatori della zona sono riusciti a valorizzarlo e hanno creato un consorzio, di cui fanno parte circa 40 aziende che gestiscono una settantina di allevamenti. Gli animali vivono allo stato semibrado, alimentandosi soltanto di erba fresca. E a tavola la differenza si sente. Chi commercia o serve la carne della Sardo-Modicana consiglia di gustarla come si cucinava in altri tempi, arrosto. Dalle parti di Santu Lussurgiu, piccolo paese rinomato soprattutto ORISTANESE del deserto che rischiava di cancellare interi paesi, si arriva a Cabras, importante centro che sorge sull’omonimo stagno; esteso per più di 2000 ettari, è il regno di una ricca avifauna e di pesce prelibato: orate, spigole e, naturalmente, muggini. Naturalmente perché Cabras è la capitale della bottarga, la sacca di uova di muggine essiccata chiamata anche il “caviale dei sardi”. “Invenzione” dei fenici, grazie agli arabi la battarikh – termine arabo che significa appunto uova salate di pesce – si diffuse dalla Sardegna in tutto il Mediterraneo. Se fino agli anni Settanta del secolo scorso era riservata a pochi, so- DOVE LAGUNE E STAGNI SI INCONTRANO: I FRUTTI DI MARE DI ARBOREA gole veraci (che qui amano chiamare “arselle”) hanno preferito le sabbie soffici e poco profonde della zona per vivere: e la differenza si vede o, meglio, si sente. Anche perché qui il mare, vicinissimo agli allevamenti e sempre limpido grazie all’incessante azione del maestrale, funziona come un depuratore naturale. “Alleviamo e confezioniamo – dice Franco Murgia, responsabile della cooperativa – due tipi di arselle: quelle veraci ma anche quelle provenienti dall’Adriatico (dette ‘filippine’), quando per le prime, per alcuni mesi, vige il fermo biologico. La vongola verace si distingue dalla filippina per il suo guscio molto più sottile e, all’interno, per la polpa molto chiara e soprattutto più morbida. Anche il gusto risulta più delicato e infatti, anche se costa rispetto alla ‘cugina’ mediamente il 30 per cento in più, è la più richiesta sui banchi del mercato. Inoltre, la verace ha due sifoni anziché uno e questo garantisce una migliore depurazione”. Discorso diverso per le cozze: in tutto il Mediterraneo viene allevata solAntonio Saba Ad Arborea, tra due specchi d’acqua separati da una sottile striscia di terra, vengono prodotte e confezionate vongole veraci, cozze e perfino ostriche che arrivano non soltanto sulle tavole dei sardi, ma allietano il palato dei clienti dei ristoranti romani, milanesi, torinesi e fiorentini. Con un marchio di qualità che, dopo severi controlli, garantisce la loro genuinità. Nello stabulario della cooperativa Cpa, nata nel 1969, si lavora sette giorni su sette per garantire una produzione continua e allo stesso qualitativamente eccellente. Come i fenicotteri e tante altre specie di uccelli hanno scelto questi luoghi per svernare, così le von- 130 tanto una varietà di questo mitile, quello originario dell’Atlantico. A settembre, i 30 soci della cooperativa ne acquistano un certo quantitativo e lo trasferiscono nelle acque tranquille e pulite del golfo di Oristano, dove rimarranno fino a inverno inoltrato. Questo particolare trattamento consente alla cozza di perdere la ruvidezza del gusto tipica delle fredde correnti atlantiche, di acquistare il “sapore nostrano”, donato dalle sostanze presenti nei mari sardi e di depurarsi totalmente. Identico processo lo ricevono le ostriche, che in questo modo, anche se hanno origine in mari lontani, possono a tutti gli effetti essere definite locali. E se lo stabulario, a vederlo dall’esterno, sembra un piccolo edificio per lavorazioni artigianali, in realtà viaggia a ritmi industriali: ogni giorno vengono lavorati e prodotti, in inverno, 100-120 quintali di frutti di mare, mentre d’estate si arriva a picchi di 500 e anche 600 quintali. Ogni giorno enormi tir-frigo partono con vongole e cozze verso i mercati e i punti di vendita di tutta la Sardegna, mentre altri due si imbarcano verso il continente. E in cucina? Le vongole sono ottime nei risotti, nelle zuppe e con la pasta, mentre le cozze le ostriche, si gustano gratinate o crude (D.C.). Fotografie di Antonio Saba mento permette all’olio di conservare quel sapore fruttato intenso, che si apprezza meglio se gustato a crudo. La qualità delle olive, il tipo di lavorazione e un aroma inconfondibile hanno regalato ai produttori vari premi e l’apertura verso mercati stranieri, come quello tedesco, francese e addirittura arabo. E Seneghe, ogni anno a maggio, diventa una vetrina nazionale dove si riuniscono i maggiori produttori d’Italia di olio di qualità. Ridiscendendo i pendii del Montiferru e avvicinandosi al mare, oltrepassata l’immensa pineta di Is Arenas, creata durante il fascismo per fermare l’avanzata prattutto ai pescatori e ai nobili, ora questa ambrata leccornia ha conquistato i palati e i mercati di tutto il mondo. La bottarga arricchisce con successo i primi e gli antipasti. Ottima quella prodotta dalla ditta Smeralda: le uova vengono pulite e salate in sale marino, pressate e quindi esposte ad asciugare fino a raggiungere la giusta consistenza. La selezione per tipo e pezzatura consente di raggiungere alti standard di qualità. Del muggine di Cabras non si gustano soltanto le uova: un’altra ricetta tipica ed esclusiva è la merca (sa mreca), anch’essa retaggio della tradizione culinaria della comunità della zona. Tra gli stagni di Cabras e le ampie risaie a ridosso del Tirso sorgono i vitigni ad alberello di Vernaccia, aromatico vino già conosciuto e apprezzato in età romana. Il linguista Max Leopold Wagner narra che questo vino era considerato un ottimo rimedio contro la malaria, piaga che venne debellata nella zona soltanto negli anni Trenta. La Vernaccia, dai 15,5 ai 18 gradi a seconda dell’invecchiamento, viene fatta maturare in botti di castagno o di rovere riempite a metà e lasciata riposare in ambienti di mattoni crudi non necessariamente freschi. Questo conferisce al vino un colore giallo-ambrato, un profumo delicato ma caratteristico e un retrogusto di mandorle amare: accompagna secondi di pesce e, liquoroso dopo due anni di invecchiamento, i dessert. Quanto fosse apprezzata questa bevanda ci riferisce ancora Valéry, nel suo Viaggio in Sardegna: “Gli abitanti di Cabras, per quanto intrepidi bevitori, non si ubriacano, anzi, per loro il vizio di bere è una specie di macchia. Il vino, se non è inacidito, è caloroso. Quando capita una botte di vino di quello buono è una scena da dipingere vedere questa meravigliosa popolazione di contadini e di pescatori svuotarla in meno di un’ora, gli uni intonando canti bacchici, gli altri, più seri, gustando e dissertando”. Il “bue rosso” del Montiferru è una ricchezza dell’allevamento nell’Oristanese interno; dalle carni gustosissime, vive allo stato semibrado alimentandosi di erba fresca. Menu tipico Antipasto Insalata di carciofi alla bottarga (conditi con olio extravergine d’oliva di Seneghe) Primo Sa lorighitta con sugo di cinghiale (pasta fresca di semola di Morgongiori) Secondo Sa mreca (muggine bollito servito freddo in un cartoccio di zibba) Petza imbinada (polpa di bue rosso marinata nel vino del Montiferru) Dolce Trecce di casizolu (sfoglie di formaggio con miele di rosmarino di Sennariolo) Frutta Arance del bosco di Villaflor, nell’agro di Milis 131 ORISTANESE Ristoranti IL MEGLIO IN TAVOLA Una selezione di locali accomunati dall’eccellenza della materia prima ricca di sfumature e di aromi DI DANIELE CASALE E EMILIANO FARINA - FOTOGRAFIE DI ANTONIO SABA N ella provincia di Oristano sono tanti i locali capaci di conservare e offrire i piatti della tradizione, sapientemente rielaborati. Quella che segue è una selezione di posti “che si consigliano agli amici”. Chi ama il pesce e i primi in particolare può assaporare le linguine con gamberi in salsa d’arancio e la zuppa di arselle e cozze del vicino stagno di Marceddì, preparati dai cuochi di Cibò-Qibò (a Terralba, tel. 0783/83730. Poco distante, a Marrubiu, la sosta è d’obbligo a La Risacca (tel. 0783/859115), dove vengono servite la fregola all’astice e gli strozza- preti con i ricci. Da assaggiare anche gli spiedini di gamberi e calamari e la fregola con le arselle di Marceddì. Olio e vino rigorosamente di proprietà. Lasciando la costa e i pesci del golfo, a Seneghe (“capitale sarda dell’olio”) un locale ricavato da un antico caseificio degli inizi del Novecento si distingue per la cortesia dei proprietari e la qualità delle carni: è l’Osteria del Bue Rosso (cell. 338/2369026), così chiamata perché si cucinano solamente carni di razza Sardo-Modicana, allevate nei vicini pascoli del Montiferru. I piatti non sono esageratamente elaborati, proprio per far risaltare l’aroma della carne: tra i più richiesti il filetto ai ferri e gli ossibuchi con polenta. Da assaggiare assolutamente il dessert, le trecce di casizolu (formaggio fresco) con il miele, alternative alla solita seada. È comunque Santu Lussurgiu il regno del casizolu: in questo paese, importante centro culturale della provincia, segnaliamo la trattoria Bellavista (tel. 0783/552045-552170), appena inaugurata e con un’ottima cucina casereccia (da provare la fregola condita all’interno di un cestino di casizolu e il filetto ai ferri in crosta di casizolu). All’Antica Dimora del Gruccione (tel. 0783/550300) Giovanna Belloni propone una cucina basata su prodotti d’eccellenza e sul rispetto delle stagioni. I piatti sono quelli della tradizione più pura ma attenta alle nuove tendenze, per cui accanto alle antiche pietanze a base di carne c’è tutta una lista di piatti per vegetariani. Il recupero della natura, dei vegetali, delle erbe è infatti un pilastro della filosofia della casa, che offre anche corsi di cucina all’insegna del biologico e del rispetto della salute. L’Antica Dimora è un palazzotto secentesco di proprietà degli avi della signora Giovanna e offre, insieme ad altre tipiche case lussurgesi, un serUn angolo dell’elegante ristorante “Cocco e Dessì”, una delle migliori tavole di Oristano. Da provare le immancabili specialità a base di muggine e i tipici dolci della casa. ORISTANESE “LE DUNE”, UN SICURO PUNTO DI APPRODO NEL RISTORANTE DI COSTANZA MARONGIU “Il mio sogno più grande? Quello di vedere la gente mangiare”. È nato così il desiderio di Costanza Marongiu (foto a destra) di aprire un ristorante, unito alla nostalgia di tornare sui fornelli come faceva assieme alla madre e alla nonna, quando con loro abitava a Cabras. La passione per la cucina l’ha portata a cambiare vita, ormai nel lontano 1988, quando decise di chiudere il negozio di artigianato e aprire il ristorante Le Dune, affacciato sul mare di San Giovanni di Sinis. Tra le rovine fenicie di Tharros, rare erbe palustri e stagni pescosissimi, la signora Marongiu ha deciso di tramandare quei piatti della tradizione culinaria cabrarese per riproporli ai suoi clienti, che in tutti questi anni hanno dimostrato di apprezzare facendo del suo locale un sicuro punto di approdo nel mare ventoso di San Giovanni. Con lei, ogni giorno, ci sono il marito e il figlio Cristiano che ha deciso di seguire le orme materne e affiancarla nella difficile arte del “dar da mangiare”. Espressione non casuale, visto che Costanza si definisce una “inappetente cronica” e per lei prima di tutto la cucina è soddisfare un bisogno. Ecco perché i suoi piatti non sono 134 estremamente elaborati, proprio come tradizione sarda vuole. E d’altra parte ciò non significa che nel menu siano assenti ricette esclusive. Una fra tutte: la minestra con le nacchere, mitile tanto grande quanto raro, ormai estinto e presente soltanto in alcuni allevamenti del Sulcis. Conosciute soprattutto per il bisso, sostanza fondamentale per la lavorazione di tessuti e cestini, le nacchere in campo culinario sono state una scoperta di Costanza, che di esse utilizza muscolo e altre parti nobili. Arricchiscono, oltre alla minestra, anche gli spaghetti. Altra specialità e rarità da trovare in ristorante è la merca, il muggine bollito avvolto nella zibba (foto in basso), erba endemica che cresce soltanto negli stagni di Cabras. Piatto dal sapore intenso, “così intenso – dice la signora – che lo serviamo come assaggio, non come portata a sé”. In 15 anni di professione, Costanza ha “dato da mangiare” a molte persone, turisti e non solo, italiani ma anche stranieri, famosi e no. Tra gli altri, nel 1992 arrivò, tra un imponente servizio di scorta che “blindò” il locale, l’ambasciatore israeliano: il menu però fu inversamente proporzionale alla statura politica del personaggio. “Per motivi legati alla religione, mangiò solamente un piatto di spaghet- ti al pomodoro e una spigola bollita”, ricorda sconsolata la cuoca. E alla fine, le migliori bocche “sono sempre quelle di casa nostra”. “Chi viene dal Nord Europa, francesi, inglesi e tedeschi – sottolinea la ristoratrice – è diffidente rispetto alla nostra cucina, mentre spagnoli e giapponesi si dimostrano più curiosi e si affidano, o meglio si fidano, dei nostri consigli. Ma i migliori clienti rimangono gli italiani, che non guardano neanche il menu: mangiano e basta, ovviamente solo pesce”. Nel locale di Costanza, aperto tutto l’anno (tel. 0783/370089), è possibile gustare ogni specialità marinara della zona, anche se la scelta è fortemente condizionata dalle stagioni: “Se un cliente vede sul menu la bottarga con i carciofi quando carciofi non ce ne sono, ad esempio in estate, gli consiglio qualcos’altro. Allo stesso modo, quando non è periodo, spigola non ne servo perché quelle di allevamento qui non arrivano”. Solitamente, i piatti proposti cambiano ogni settimana o a seconda di quello che i pescatori sono riusciti a trovare nelle reti. Daniele Casale ORISTANESE vizio di albergo diffuso (per un totale di 18 posti letto) e di Bed & Breakfast davvero ospitale e ricco di umanità. A Bonarcado, un antico mulino è stato trasformato in ristorante e Bed & Breakfast. La “zuppa bonarcadese” de Sa Mola (tel. 0783/56580), a base di pane, brodo, finocchietto selvatico e pecorino, ha vinto diversi premi per quel sapore così originale e intenso. Qui si prepara, a costate o brasata, la carne d’asinello e, in stagione, il capretto con i carciofi. A Ghilarza, a pochi metri dalla casa-museo di Antonio Gramsci, il ristorante Ai Marchii (tel. 0783/52280) propone menu singolari a base di paste tipiche, come le raffinate lorighittas, e nutriti secondi ricchi di carne, cacciagione e ottimi funghi. Sempre sul Montiferru, ma sul versante che guarda al mare, si trova a Cuglieri l’albergo-ristorante Desogos (tel. 0785/39660), ricavato in un’antica e accogliente dimora del centro storico, che offre ai suoi clienti principalmente cacciagione (lepri, cinghiali) cucinata in umido. Buoni anche i ravioli e i dolci di mandorle. Sempre a Cuglieri, il ristorante Meridiana si distingue per i suoi menu tutti a base di pesce “di seconda scelta”: il rombo al forno con patate, il pesce San Pietro. Ma anche i gamberi al vapore con funghi, le uova di riccio, i granchi con rucola e valeriana (tel. 0785/39400). A Oristano città, vale la pena assaggiare l’involtino di muggine con verza e pomodorini servito da Cocco e Dessì (tel. 0783/300720) e, per dolce, lo spumone all’amaretto con mostaccioli. Vicino alla casa di Eleonora d’Arborea, la trattoria Al teatro (tel. 0783/71672) offre una cucina più tradizionale: da provare i ravioli di asparagi con uova di riccio e i filetti di triglia con semi di sesamo. Decisamente consigliabile è anche il ristorante dell’albergo Mistral 2 (tel. 0783/210389). Per una sosta un po’ più lunga, magari in un agriturismo a contatto con la natura, si può scegliere tra mare o montagna. Chi preferisce alzarsi al mattino col profumo della salsedine può alloggiare da Zenti arrubia (San Vero Milis, località Sa Rocca Tunda, tel. 0783/58010), così chiamato perché nei dintorni – a pochi metri – sono soliti ritrovarsi centinaia di fenicotteri rosa (in sardo zenti arrubia, ovvero la “gente rossa”). L’agriturismo, aperto tutto l’anno, è a duecento metri dal mare di Capo Mannu, immerso nella macchia mediterranea: le specialità sono i prodotti dell’orto, le patate al cartoccio cosparse di bottarga e il liquore cremoso chiamato “latte di fenicottero”, a base di limone e latte di pecora. Le sei camere dispongono di 10 posti letto. Infine, alle falde del monte Arci, si può fare tappa nell’agriturismo Sa Lorighitta (tel. 0783/932117) di Morgongiori, così chiamato in onore della tipica pasta che qui si lavora completamente a mano. Il pranzo-tipo è a base di lorighittas, condita con sugo di pollo ruspante o di forchettone. Due piatti caratteristici della cucina nella zona del Montiferru: i raviolini di carne di bue rosso, della razza bovina sardo-modicana, considerata tra le carni più saporite d’Italia (in alto) , e le trecce di casizolu (formaggio fresco) alla brace con il miele (qui a sinistra). 136 Andrea Campagna IL SULCIS-IGLESIENTE Con la sua millenaria geologia, il Sulcis conserva una ricchezza del sottosuolo che ne fatto per secoli l’area mineraria più importante del Mediterraneo. Terra di uomini adusi al duro lavoro e di donne dai grandi occhi scuri, custodisce nella cucina i sapori semplici e forti di un territorio aspro ma generoso. Insieme alla tradizione marinara di Carloforte e a vini che stanno mietendo successi in tutto il mondo. 139 PANORAMA - SULCIS E IGLESIENTE PANORAMA - SULCIS E IGLESIENTE Gianmario Marras Il magnifico scenario di un’insenatura tra Capo Spartivento e Capo Malfatano, nel Basso Sulcis, uno dei tratti più belli della costa sarda. Calette sabbiose e dune si alternano alle rocce frastagliate che digradano dolcemente verso il mare. PANORAMA - SULCIS E IGLESIENTE Gianmario Marras Adriano Mauri Adriano Mauri Gianmario Marras In questa foto: la miniera abbandonata di Nebida, sul golfo del Leone. Quel che resta della laveria Lamarmora, che ospitava gli impianti per la lavorazione del minerale, è stato collegato a una passeggiata panoramica che scende fino al mare con una lunga scalinata. In basso: alberi piegati dal maestrale vicino a Portoscuso. In questa foto: la spiaggia con dune di sabbia chiara di Cala Domestica si apre su uno dei tratti costieri più incontaminati e selvaggi dell’isola. In alto: il tempio di Antas, tra i siti archeologici più significativi della Sardegna. Costruito dai Cartaginesi verso il 500 a.C. e dedicato alla divinità sardo-punica di Sid-Sardus Pater, fu riedificato nel secolo successivo dai Romani. 143 PANORAMA - SULCIS E IGLESIENTE 144 Gianmario Marras Gianmario Marras La cittadina mineraria di Iglesias fu detta “Villa delle Chiese” per i numerosi edifici sacri che vi sorgevano. Il duomo (in questa pagina), intitolato a Santa Chiara, fu eretto tra il 1284 e il 1288 in stile romanico-pisano e ristrutturato nel XVI secolo. Tra Seicento e Settecento furono aggiunte le cappelle laterali e il prezioso retablo di Sant’Antioco, di cui si può osservare un particolare a sinistra. Adriano Mauri SULCIS E IGLESIENTE Pagina accanto: la suggestiva chiesetta bizantina di Sant’Elia (VI-VII sec.), a Nuxis, aperta solo in occasione della festa del santo. In alto: un invitante piatto di linguine al tonno, specialità delle zone costiere del Sulcis-Iglesiente. Sotto: un fiore di zafferano, molto diffuso a Villacidro, Guspini e San Gavino Monreale. Con 150.000 fiori si ottiene un chilo di zafferano. Sulcis e Iglesiente NEL CUORE PIÙ ANTICO DELL’ISOLA Cuscus e focaccia genovese si accompagnano alle prelibatezze del tonno e della cucina montana: tutte le specialità di una gastronomia poliedrica, profumata dalla fragranza del mirto DI PIERLUIGI SERRA 146 Una terra di popoli diversi, terra di isole nell’isola e di storie differenti, come quella delle genti liguri di Carloforte, approdate in questo lembo di Mediterraneo nel Settecento, o come i più antichi fenici che sbarcarono a Sant’Antioco, fondando la cittadina di Sulci. Questa terra ha i profumi del vento, di quel forte maestrale che piega gli alberi e Dario Sequi U na terra di contrasti forti e di emozioni intense, di profumi e di silenzi, di colori vividi e di tramonti tenui: il Sulcis-Iglesiente, l’area geologica più antica di tutta la Sardegna, conserva ancora quel fascino millenario di un territorio inconsueto, tanto da renderlo accattivante e ruvido allo stesso tempo. Spingersi verso quel lembo estremo di Sardegna che è l’isola di San Pietro è come compiere un viaggio a ritroso nel tempo. Lasciata Sant’Antioco ed il porto di Calasetta, che dista un’ora dal capoluogo Cagliari, si raggiunge il porticciolo di Carloforte. Ad accogliere il viaggiatore è la sequenza di palazzi del Settecento e dell’Ottocento, un filare di colori e di stili sui quali campeggia la statua di Carlo Emanuele III detto “il Forte”. L’architettura, soprattutto per i caratteristici balconi in ferro battuto, è lo scenario cromatico delle due passeggiate sul lungomare dei Battellieri e su quello intitolato a Cavour. L’isola, tra le alte falesie di Capo Sandalo, è rinomata per le grandi tonnare tornate agli antichi fasti. Da aprile a giugno il canale antistante le Tacche Bianche e Punta delle Oche vede il transito dell’apprezzatissimo tonno rosso, le cui carni costituiscono la base per i più prelibati piatti della cucina tabarchina. Qui il tonno è sinonimo di vita, di cultura e di tradizioni, proprio quelle riproposte all’interno di “Girotonno”, manifestazione che ha lo scopo di unire gli appassionati enogastronomi e gli esperti di golosità del Mediterraneo. Uno spettacolo antico quello della mattanza, che si consuma secondo usanze antiche, nel rito della circolarità della vita e della morte. Adriano Mauri li modella insieme con la natura circostante, portando con sé quasi il ricordo delle essenze di mirto, mischiate al persistente sapore di mare. In questa terra dai sapori antichi le diverse genti arrivate per mare o dalle pianure hanno lasciato segni fortissimi delle proprie tradizioni, della stessa cultura enogastronomica che nel territorio è vasta e molteplice. Qui le parole hanno il ricordo dei luoghi di provenienza, dal ligure al dialetto di quella cittadina del nuorese, Desulo, che ha trapiantato in questa terra più di seimila abitanti. Si spazia dai sapori del cuscus tabarchino, il cosiddetto cashcà, e della focaccia genovese, alle prelibatezze di una cucina tipicamente montana, fatta di poche e sapienti pietanze condite con le erbe aromatiche che la natura mette ancora abbondantemente a disposizione. Il mare e la montagna: è questo forse lo spirito più “intimo” della cucina e della cultura enologica del Sulcis e dell’Iglesiente, dove gli abbinamenti di cibi di terra e di cibi di mare trovano la loro massima espressione. SULCIS E IGLESIENTE SULCIS E IGLESIENTE Inebriati dall’aroma di vitigni antichi e del profumo del Remungiau, un vitigno di corpo, ottimo connubio per accompagnare crostacei e pesce, si ripercorre sul battello il viaggio a ritroso verso Sant’Antioco, l’isola-penisola, collegata alla terraferma da uno stretto lembo di terra lungo tre chilometri. Qui si stabilirono nell’VIII secolo a.C. i viaggiatori fenici, quei popoli di mare che fecero da apripista nei secoli successivi ai romani e poi ai piemontesi. Di questi antichi passaggi rimane una traccia importante nella coltivazione di quel vitigno Carignano, apprezzato rosso che viene amabilmente riproposto dalle Cantine del Sardus Pater di Sant’Antioco. Affine per cultura e tradizione gastronomica, la penisola offre spunti e curiosità lungo i dodici mesi dell’anno. Dall’architettura di Calasetta, la seconda cittadina di quest’isola, emergono richiami baroccopiemontesi e arabeggianti, gli stessi che ritroviamo sulla tavola. Dominano ancora il tonno ed i suoi derivati, così come l’aragosta e il pesce freschissimo. Merita una sosta la degustazione delle celebri focacce, retaggio dell’arte marinara del conservare il cibo per le traversate. Lo scenario che accompagna il viaggiatore lungo la costa orientale tra Portoscuso a Buggerru, fino alla punta di Capo Pecora e alle altissime dune di Piscinas, sulla Costa Verde, è impareggiabile. La strada costiera è una specie di quinta teatrale sulla quale si affaccia un mare da vivere nell’intensità di un’immersione guidata. Lo scoglio del Pan di Zucchero ha i toni intensi del blu, sui quali si riflette l’immagine dei numerosi gabbiani e degli uccelli marini che nidificano sulla roccia. A fronte: nel golfo tra Capo Teulada e Capo Malfatano, lungo la costa meridionale dell’isola, si apre una serie di piccole insenature selvagge e praticamente intatte. 148 foto nel box, a destra), quello stesso mare di Alghero che Luigi Pomata ha frequentato e vissuto durante la scuola alberghiera. Il pellegrinaggio gastronomico è lungo: da Courmayeur a Milano, da Londra a New York. In questi viaggi il giovane carlofortino ha carpito l’armonia del gusto, la flessibilità del palato, la magia dei piatti, raccogliendo il meritato successo, sancito dai premi, dalle citazioni, dalle menzioni d’onore. L’alchimista della tavola ha sempre una sorpresa con la quale cullare l’ospite in una dolce concordanza di gusti e profumi, dai quali è giusto e perfetto farsi rapire. (P.S.) Dario Sequi scia della valorizzazione del patrimonio culturale e delle tradizioni sarde. Un nobile tra i fornelli, il cui volto è noto in ambito televisivo per le partecipazioni e i premi al programma “La prova del cuoco”. Un messaggero di bontà, dunque, per questa promessa avverata della cucina italiana: dalle coste della piccola isola di San Pietro la visione della vita di Luigi Pomata si sposta in tutto il mondo, con i suoi continui viaggi, le ricerche approfondite e la gioia autentica per la cucina. Una cucina dove trionfano non gli estremismi ma l’amabile alchimia di pietanze e di aromi, dal mare (come il musciame di tonno, Adriano Mauri Chimera dei migliori cuochi del mondo, riconoscimento di professionalità e di inventiva: è il “Bocuse d’Or”, l’ambitissimo premio internazionale di cucina che quest’anno ha visto la presenza, in rappresentanza per l’Italia, di uno dei migliori interpreti della gastronomia internazionale. Luigi Pomata (foto nel box, a sinistra), carlofortino doc, prima di partecipare al contest ha dovuto sfidare i dieci candidati italiani, all’interno della selezione di Genova, portando avanti quella sua filosofia di vita che trova applicazione nella scelta dei menu, nella preparazione dei piatti, nella rivalutazione della buona tavola. Rispetto delle tradizioni, ricerca di nuovi sapori, in una esaltazione della vita. Ventinove anni, nipote e figlio d’arte, dopo il nonno e il padre, al quale è subentrato nel celebre ristorante Da Nicolo (a Carloforte, corso Cavour, tel. 0781/854048), Luigi Pomata ha fatto della cucina tipica del territorio la base di partenza per la preparazione di piatti innovativi, che pur si muovono nella Adriano Mauri LUIGI POMATA, UN ALCHIMISTA TRA I FORNELLI DI CARLOFORTE 149 SULCIS E IGLESIENTE A sinistra: alcune nasse da pesca, di foggia diversa, utilizzate per la cattura dei crostacei e dei piccoli pesci di scoglio. In basso: il forte vento di maestrale modella il paesaggio dell’interno, come è ben visibile dall’aspetto curioso di questa quercia da sughero, nell’entroterra di Portoscuso. Dal mare e dalla sua storia alle vicende del lavoro e dell’attività estrattiva: le miniere che costellano tutta l’area del Sulcis e Iglesiente sono libri nei quali rileggere una vicenda millenaria che oggi rivivono in chiave di fruizione turistica e culturale. È il caso della Palazzina Bellavista, edificio ottocentesco di grande pregio architettonico che ospitò per lungo tempo la direzione delle miniere, ora luogo di mostre d’arte (la prima, fino al 30 agosto, sul Guercino). L’intera area del parco geominerario del Sulcis e Iglesiente, con le sue peculiarità naturalistiche e storico-artistiche, trae dai metalli spunti per pregevoli produzioni artigianali: i coltelli, rinomati quelli di Arbus e di Guspini, hanno a Fluminimaggiore uno dei più attenti costruttori. La bottega artigiana di Luciano Arrius è specializzata nella produzione e nella riproposizione di coltelli di pregio e di foggia antica, il cui mercato è in continua espansione soprattutto in ambito collezionistico. Ma il coltello, che da queste parti ha fogge e forme differenti, è strumento e abituale compagno nella vita dei campi, dalla celebre arburesa con la sua lama panciuta alle snelle lame della pattedese. Le numerose comunità pastorali che vivono nell’area del Sulcis-Iglesiente, tra le vallate di Domusnovas, Musei e Villamassargia, sono dedite in massima parte all’allevamento delle capre, le cui carni rappresentano uno dei piatti tradizionali di tutta questa area geografica. Così come avviene sui monti di Gonnosfanadiga, Guspini e Villacidro, località rinomate per la produzione di un ottimo olio che ben si abbina con la cucina tradizionale. 150 Dario Sequi Dario Sequi I ritmi del tempo si perdono in una sosta ad Iglesias, una delle sette Città Regie della Sardegna, di impianto duecentesco. La cittadina, il cui centro storico mostra i chiari segni di un passato fiorente e di una classe mercantile che traeva dall’attività estrattiva gran parte dei suoi capitali, ha una tradizione antica nella lavorazione dell’argento. La ricerca storica e la riproposizione delle antiche lavorazioni sono punti di forza della cooperativa Sant’Eligio, specializzata nella produzione di argenti di estrema qualità. Le ricchezze archeologiche di tutto il Sulcis, dal tempio di Antas di Fluminimaggiore, all’area di Monte Sirai di Carbonia, fino alla meravigliosa struttura di Nora, a Pula, sono la testimonianza di un passato ricchissimo, le cui tracce, anche nei disegni riproposti nella tessitura, rivelano un profondo attaccamento alla natura. Gli arazzi di Anna Rita Cogoni di Villamassargia conservano questo fascino, tra disegni floreali e rappresentazioni fantastiche di una natura amica e madre. Nelle viscere della terra, all’interno delle grotte di Is Zuddas di Santadi, si avverte il senso profondo del territorio, dei suoi contrasti e delle sue bellezze nascoste. Giusto il viaggiatore, in un vagare senza piani prestabiliti, apprezzerà gli opposti che questo lembo di terra riserva. SULCIS E IGLESIENTE SULCIS E IGLESIENTE Ristoranti IL MEGLIO IN TAVOLA LE 3 “B”: BED, BREAKFAST E... BUONA CUCINA Il Bed & Breakfast è il sistema più diffuso di ospitalità sul territorio: una rete di strutture che fanno del rispetto della tradizione e della cura gastronomica i loro punti di forza. Un esempio arriva dal Rifugio S’Atra Sardigna, nel cuore della foresta del Sulcis, in località Pixinamanna, vicino a Pula (www.sardegnadelsudovest.it; tel. 0781/957021), che all’interno di una struttura ottocentesca propone cucina tradizionale e prodotti biologici. “Il cuore dell’ospitalità sarda” è lo slogan che accompagna il circuito Sardegna B&B Reservation (www.sardegnabedandbreakfast.com; tel. 070/7265007), uno tra i più attivi dell’isola. Tra gli aderenti al circuito merita una sosta il B&B Il Castello di Gioiosa Guardia di Villamassargia (tel. 0781/75011), di Betty Mascia. La tranquillità del luogo e il cibo genuino sono il giusto mix. A Uta, il B&B Mariella è un ottimo punto di partenza per visitare i monumenti nei dintorni. Altra tappa consigliata è San Giovanni Suergiu, ideale per raggiungere la costa e gli imbarchi per San Pietro: a Casa Leilana è rinomata la colazione tipica servita nel patio. Più a nord, sulla Costa Verde, a Marina di Arbus, il B&B Albertina non è lontano dai luoghi più significativi dell’antica attività estrattiva. Nel centro storico di Arbus è situato il B&B La Piazzetta. A pochi chilometri da Cagliari, a Capoterra, nella bella località di Poggio dei Pini, si trova il B&B Myrsine (strada 31 n. 11, tel. 070/725619), dal quale si possono intraprendere viaggi alla scoperta delle coste e delle località montuose nel Basso Sulcis. A Santadi l’accogliente S’Andriana (tel. 0781/955107) è perfetto per chi voglia abbinare le bellezze della montagna alle bellissime spiagge della Sardegna sud-occidentale. Da segnalare, infine, il B&B Sardinian Way (www.sardinianway.it). Una terra dove fenici e liguri hanno lasciato segni fortissimi delle proprie tradizioni gastronomiche gherita di Pula, con il loro rinomati centri benessere, e il Grand Hotel Chia Laguna Le Meridien (tel. 070/92391), dove opera lo chef Romano Resen. Per gli amanti dell'agriturismo, si fa tappa invece alla cooperativa Matteu di Teulada (tel. 070/9270003), nel bellissimo golfo, con proposta di pietanze contadine: tipica la capra cucinata in brodo e condita con sugo di pomodori freschi. L'alternativa, sulle impervie montagne sempre di Teulada, è l'agriturismo Is Truiscus (tel. 0781/9271256- cell. 349/0894836), nel cuore di un'azienda agropastorale che alleva un migliaio di capre dalle quali ricava formaggi, ricotte, yogurt e persino liquori a base di latte. Altri ottime aziende agrituristiche si trovano ad Arbus, Gonnesa e Guspini. Non può mancare un cenno anche a una delle migliori aziende vinicole europee, la Cantina Sociale di Santadi (tel. 0781/950127). Si va dal Terre Brune, l’oramai notissimo Carignano del Sulcis che rappresenta l’ottimo compagno di piatti a base di carne, cacciagione e formaggi stagionati, fino al Rocca Rubia e all’Araja. Restando in zona, a Nuxis, il ristorante Da Letizia (tel. 0781/908114) ha un'ottima scelta di carni, funghi di stagione ed erbe aromatiche. Le “strade di Bacco” conducono poi verso le Cantine Sardus Pater di Sant’Antioco (tel. 0781/83937), un’altra importante realtà nel settore vitivinicolo: un antico vitigno portato Adriano Mauri adadie” nella lingua sarda significa “ogni giorno”, quella quotidianità che si ripete nei piatti della tradizione isolana, antesignani delle moderne scienze dell’alimentazione. Cadadie è anche il nome di un piccolo ristorante di Domusdemaria che ha fatto della cucina tipica sarda la vera filosofia di vita. Lo chef Alberto Sarais è noto per i suoi calamari attorcigliati e le paste fresche fatte in casa. A poca distanza, sulla costa e vicini alle spiagge di sabbia fine, alcuni alberghi di gran classe abbinano comfort di lusso e ottima cucina del territorio: sono l'Is Molas Golf Hotel (tel. 070/9241006), noto per i suoi campi da golf, l'Hotel Flamingo (tel. 070/9208361) e il Forte Village Resort (tel. 070/92171) di Santa Mar- A sinistra: scorcio della costa selvaggia sull’isola di San Pietro. Sopra: al ristorante “Da Letizia” di Nuxis nulla è lasciato al caso, a cominciare dalla presentazione dei piatti. In basso: l’interno semplice e accogliente del ristorante “Tonno di Corsa”, tra i più noti di Carloforte. forse dai fenici in Sardegna è il ceppo sul quale si sono modellati i vini di questa cantina, tra i quali spiccano il Carignano rosso e rosato e il Moscato dolce. Il mare rimane il protagonista della tavola, soprattutto nelle zone costiere: così il celebre tonno di San Pietro trova spazio in molte preparazioni della cucina del Sulcis e dell’Iglesiente, semplicemente bollito e servito con pomodorini e cipolle, oppure come contorno a piatti più elaborati. Carloforte ne è la capitale. Ampia scelta è offerta dal ristorante Tonno di Corsa (via Marconi 47, tel. 0781/855106), che propone nel menu i piatti tradizionali dell’isola, in gran parte a base di tonno, come il brasato e il tonno sott’olio. Da Vittorio (via dei Battellieri 16, tel. 0781/855200) la scelta si diversifica con specialità di mare: sughi a base di pesce e zuppe alla carlofortina. Il cashcà, o cuscus, nella variante tipica dell’Africa mediterranea, è uno dei piatti forti del ristorante Dau Bobba, nella strada delle Saline (tel. 0781/854037). Indimenticabile è una tappa Da Nicolo, in corso Cavour (tel. 0781/854048), celebre per le paste fresche di origine ligure (vedi box pag. 148). Inserito nei migliori vademecum gastronomici è La Ghinghetta (tel. 0781/508143) a Portoscuso. Il menu proposto spazia dal mare ai piatti della tradizione montana. Ottima la scelta dei vini. A Guspini sono da segnalare i ristoranti La Cascata (via Eleonora D'Arborea, tel. 070.9746639), Focus (via Milano 22, tel. 070.970092) e Green Garden Pub (via XXV Aprile, tel. 070.972827). Ai confini del Sulcis-Iglesiente, a Villacidro, dopo una sosta nelle cascate di Sa Spendula, troviamo Da Giovanna e Vittorio (via Roma 106, tel. 070.9329287), Ester (via dei Mille 63, tel. 070.9315728), Italia 90 (tel. 070.9316587) e Taverna Romana, in via Di Vittorio 24 (070.9316587). Adriano Mauri C “ Adriano Mauri DI PIERLUIGI SERRA SAGRE Sagre FESTE GUSTOSE PER DODICI MESI Dal Nord al Sud della Sardegna sono numerose le sagre popolari che celebrano tutto l’anno i sapori legati ai riti antichissimi della vita dei campi. Eccone una ricca selezione, partendo dall’estate. D invece, si svolge una rassegna dedicata non solo alle ciliegie, ma anche alla degustazione e all’esposizione dei prodotti locali (tel. 0782/41654). A Belvì (Nu) la penultima domenica del mese tutto il paese si mobilita per la sagra delle ciliegie e delle caschettas: assaggi del frutto, maturato ai piedi del Gennargentu, e di deliziosi dolcetti, veli di sfoglia trasparente ripieni di pasta di nocciola (tel. 0784/629216). Tra gli appuntamenti da non perdere “Sa Tundimenta Seulesa”, la prima domenica del mese a Seulo (Nu). Alle pendici del Gennargentu, si passa una giornata con i pastori del luogo alla scoperta della tosatura delle pecore, delle bellezze naturali della zona e dei sapori più antichi (tel. 0782/58130). È ancora tradizione a Turri (Ca) il 28 e il 29 con la 9a festa della mietitura e della trebbiatura del grano. Il sabato, dopo la mietitura a mano con la falce e la spigolatura riproposta da gruppi di messadoris (mietitori) e spigadrixis (spigolatrici), si può degustare su murzu, la colazione contadina a base di pane, olive, cipolle, formaggio e vino. Il giorno successivo sarà dedicato alla trebbiatura con i buoi e la trebbia o con il trattore; al termine, tutti a tavola per sa marraconada, la spaghettata (tel. 0783/95026). Nel Nord è protagonista il mare con i suoi prodotti. “I gioielli del Mare” è la rassegna dedicata alle cozze, in programma dal 3 al 10 a Olbia (Ss): i visitatori potranno deliziarsi con saporitissimi piatti. Sempre nella cittadina gallurese, il 23 e il 24 si tiene la sagra del pesce fritto e dei frutti di mare (tel. 0789/21453). A Porto Torres (Ss), dal 6 all’8, il porto turistico sarà un’enorme cucina a cielo aperto in cui si arrostiranno, per tut- alla primavera all’inverno la Sardegna è un tripudio di sagre popolari. A chi non si accontenta di ammirare il mare e le spiagge, o i misteriosi nuraghi e gli antichissimi siti archeologici fenici, si offre un panorama di feste che coinvolgono interi paesi, celebrazioni legate ai riti della vita contadina e alle scadenze dell’annata agricola, le cui origini si trovano nei periodi di riposo che si alternavano al lavoro. GIUGNO Dario Sequi La prima domenica del mese si fa festa a Burcei (Ca), dove si allestiscono stand per l’esposizione, la degustazione e la vendita delle ciliegie (info: tel. 070/738846), e a Bonnanaro (Ss), dove oltre all’assaggio del frutto, in questa zona leggermente più piccolo e asprigno, si svolge anche una vivacissima fiera di tradizione agricola (tel. 079/845003). Nello stesso periodo, anche Bonarcado (Or) (tel. 0783/56523) e Villacidro (Ca) (tel. 070/9315781) organizzano la sagra del frutto, presentato nelle sue varietà; a Lanusei (Nu), 156 Mario Russo DI BIANCA MARIA SACCHERI A sinistra: le deliziose caschettas, sfoglie dolci ripiene di pasta di nocciole, offerte in occasione della sagra delle ciliegie di Belvì. Pagina accanto: cartina delle sagre popolari in Sardegna. 157 SAGRE SAGRE LUGLIO Andrea Molino A Santa Teresa di Gallura (Ss) il 12 si festeggia la sagra del pesce: diversi quintali di pesce locale, fritti in un’enorme padella sul piazzale del porto, sono offerti agli ospiti assieme a un ottimo bicchiere di Vermentino (tel. 0789/754127). All’inizio del mese ancora pesce a Teulada (Ca), nella zona di Porto Budello, alla sagra del pescatore (tel. 070/9270032). Frutta a volontà, invece, a San Sperate (Ca) con la 42a sagra delle pesche, particolarmente rinomate nella zona, in programma dal 15 al 20 (tel. 070/96040218), e ad Arborea (Or) con la sagra delle angurie (tel. 0783/801208). Per assaggiare specialità uniche, si segnala la 14a sagra de sa prazzida e de sa pezza de craba che si svolgerà il 26 a San Vito (Ca): degustazione di carne di capra arrostita allo spiedo e della prazzida, la pizza sanvitese con pomodori e melanzane o con cipolle (tel. 070/9927034). Da provare anche i culurgiones, ravioli dell’Ogliastra ripieni di patate, formaggio e menta; per gustarli si può andare a Tortolì (Nu), alla fine del mese, per partecipare alla sagra dedicata a questo speciale piatto (tel. 0782/667690). Ad Aglientu (Ss) sarà possibile conoscere il pane caratteristico della Gallura alla sagra del pani budditu (tel. 079/654375). Se, infine, si vogliono gustare i sapori della Trexenta, appuntamento a Mandas (Ca) con la sagra del formaggio (tel. 070/984185). AGOSTO Il mese più denso di sagre e feste . Si degusta pesce, arrosto o fritto in varie località: il 2 a Sarroch (Ca) (tel. 070/900423), il 14 a Portoscuso (Ca) (tel. 0781/509504), il 15 a Golfo Aranci (Ss) (tel. 0789/21453), il 16 a Castelsardo (Ss) (tel. 079/471506), il 23 a San Vito (Ca) (tel. 070/9927034). Da segnalare la curiosa sagra della carpa, in programma il 23 a Tula (Ss): sulle rive del lago Coghinas si allestiscono tavolate per gustare la zuppa di carpa, tinca e pesce gatto (tel. 079/718181). A Porto Rotondo (Ss) il 15 si festeggia la sagra del pesce e del calamaro, in cui il prelibato mollusco è proposto in umido o fritto (tel. 0789/21453); a Portoscuso (Ca) il 31, durante la 5a sagra del granchio, si preparano gli spaghetti o la fregola (pasta di semola di grano duro) con sugo di granchio e tante porzioni di granchi lessati (tel. 0781/509504). Passando alla carne, a Fluminimaggiore (Ca) si celebra la 9a sagra della capra, dove si può assaggiare l’ottima craba a cappottu, bollita in grandi pentole per cinque ore con patate e cipolle (info: Pro Loco, tel. 0781/581040). A Ploaghe (Ss) il 10 (info: Pro Loco, tel. 079/448254), a Osilo (Ss) il 18 e il 19 (info: Pro Loco, tel. 079/42669) si festeggia la sagra della Cabras pecora. Altra specialità dell’isola è il cinghiale, cucinato nei modi più vari: per provarlo si può andare a Domus de Maria (Ca) (tel. 070/9236293) o a Santa Maria Coghinas (Ss) il 10 (tel. 079/585604). All’inizio del mese a Talana (Nu), sul versante est del Gennargentu, si svolge la sagra del prosciutto: un’occasione unica per conoscere il gusto deciso del prosciutto sardo, marinato nel vino rosso (tel. 0782/646862). Qui vicino, a Villagrande Strisaili (Nu), sempre nello stesso periodo, si festeggia la sagra de is gathulis, una pietanza che non si trova da altre parti: polpette di patate, con formaggio fresco in salamoia e strutto, fritte nell’olio dalle donne villagrandesi (tel. 0782/32779). Ad agosto si celebrano anche i derivati di un fondamentale prodotto dell’agricoltura, il grano. A Giba (Ca) si potranno conoscere le tecniche di panificazione e assaggiare tante varietà di pane. Dall’8 all’11 un forno tradizionale (costruito appositamente con i “ladri”, i mattoni di fango) sfornerà per i visitatori il coccoi e il civraxiu, il pane del Sulcis, con la ricotta, il formaggio, la gerda (pancetta di maiale), il pomodoro, le favette (tel. 0781/963099). A Bonorva (Ss) il 10 si festeggia l’antico pane di grano duro, su zicchi (tel. 079/867987). Il 4 ad Assemini (Ca) è il momento davvero importante e significativo de sa panada: una ventina di artigiani del posto prepa- Monserrato Mamoiada 158 A destra: degustazione di formaggi tipici della Trexenta alla sagra di Mandas. In basso e nelle pagine seguenti : alcuni esempi di costumi tradizionali, “protagonisti” delle sagre di paese. rerà il tradizionale piatto, una sorta di timballo fatto con pasta sfoglia e ripieno di carne di agnello o anguille (tel. 328/4646093); l’ultimo fine settimana del mese la stessa sagra è organizzata a Oschiri (Ss), dove si prepara anche la panada con le verdure, per gli ospiti vegetariani (tel. 079/733443). Assaggi di gnocchetti e di is sappueddusu, fatti con farina integrale, conditi con sugo preparato con carne di maiale o salsiccia fresca, si trovano alla 3a sagra della pasta, a Piscinas (Ca) il 16 e il 17 (tel. 0781/964175). I famosi dolci di sapa sono offerti ai partecipanti della sagra in programma il 30 e il 31 a Sarroch (Ca) (tel. 070/900423). Negli stessi giorni Sant’Andrea Frius (Ca) è in festa per la sagra delle mandorle, durante la quale si troveranno tante varietà di dolci a base di pasta di mandorle: pastine, amaretti, gueffus, fruttini (tel. 070/9803368). Ancora tradizione a Masullas (Or) (tel. 0783/990251) e ad Aritzo (Nu) (tel. 0784/628017), dove si svolge la festa de sa carapigna, l’antico sorbetto al limone preparato con lo zucchero. A Guspini (Ca), nella frazione di Montevecchio, è in programma la 10 a sagra del miele, dedicata all’esposizione e alla degustazione del miele e dei prodotti derivati dalla sua lavorazione (tel. 070/970384). Gli amanti di un buon bicchiere di vino non potranno saltare la sagra del Vermentino, il più famoso e apprezzato bianco della Sardegna, il 10 a Monti (Ss) (tel. 0789/44012); il 3 a Jerzu (Nu), nel cuore dell’ODario Sequi ti i partecipanti, montagne di pesce (tel. 079/515000). Il 7 a Stintino (Ss) si cucinano piatti tradizionali durante la 4a sagra del tonno (cell. 348/8913273); lo stesso pesce, preparato secondo ricette diverse, si potrà mangiare il 14 a Portoscuso (Ca) (tel. 0781/509504). Un appuntamento particolare coinvolge il paese di Nuraminis (Ca), poco distante da Cagliari, dal 20 al 22: la 6a sagra del cereale. Nelle giornate di festa, si svolgerà una gara fra panificatori e, al termine, si potranno assaggiare pane, primi piatti e dolci (cell. 349/3590870). L’ultima domenica del mese a Meana Sardo (Nu) si festeggia la sagra del formaggio, con degustazione dei saporitissimi formaggi locali (tel. 0784/64179). Iglesias Oristano Mamoiada 159 SAGRE gliastra, si può assaggiare l’altrettanto conosciuto Cannonau, un rosso robusto e profumato (tel. 0782/71311). A Telti (Ss), un paesino a pochi chilometri da Olbia, dal 15 al 17 si celebra il mirto, il tipico liquore sardo ottenuto per infusione delle bacche in acqua e alcol con zucchero o miele (tel. 0789/43375). Altra giornata speciale è in programma la seconda domenica del mese: Zeddiani (Or) ospita la sagra del pomodoro, dove ricette tradizionali, come i pomodori ripieni o i malloreddus al sugo, saranno preparate per i visitatori (tel. 0783/418408). SETTEMBRE In ambiente agro-pastorale questo mese rappresenta l’inizio di un nuovo anno di lavoro nei campi e in Sardegna è detto “Capidanni”; per festeggiarlo, a Tuili (Ca) l’8 si organizza il 3° “Capodanno dell’agricoltura”, con la trasformazione del latte in formaggio e ricotta e con la preparazione della carne di pecora (cell. 347/5156807). Il 7 è la giornata del melone: Turri (Ca) allestisce la 6 a sagra del melone coltivato in asciutto, una fiera-mercato del frutto con degustazione assieme al prosciutto (tel. 0783/95026), mentre a Lunamatrona (Ca) si svolge l’11a sagra del melone, della Malvasia e della pecora (tel. 070/939669). Il paesino di Solarussa, a pochi chilometri da Oristano, il 20 e il 21 festeggia la Vernaccia, vino ad alta gradazione alcolica ideale come aperitivo o con i dolci; per l’occasione si preparano piatti cucinati col vino, come l’agnello, la spigola, il muggine o le fave bollite (tel. 0783/374810). Il 14 e il 15 a Ozieri (Ss), è in programma la sagra de sos sospiros, il più caratteristico dolce ozierese a Tempio 160 base di mandorle e acqua d’arancio (tel. 079/770077). Il 6 a Dualchi (Nu), appuntamento con la sagra dedicata a sa figumorisca, il fico d’India. Si potranno assaggiare il frutto, dal sapore dolciastro e con proprietà diuretiche e dissetanti, la marmellata, il liquore e i numerosi dolci derivati dalla lavorazione: papassini, pane ’e saba, tureddu, perlaperlazzu e tanti altri (tel. 0785/44894). Per conoscere i piatti tipici dei pescatori cagliaritani, non si può mancare alla sagra del pesce a Giorgino, alle porte del capoluogo; ai partecipanti sono offerti burrida (gattuccio di mare condito con salsa di noci), pruppu a schiscionera (polpo in agliata), pisci a scabecciu (pesce fritto e ripassato nell’aceto), lissa (muggine arrosto) e quintali di pesce fritto (tel. 070/604241). OTTOBRE Riprendono in pieno le attività agricole e le occasioni di festa diminuiscono, ma non per questo sono meno importanti. L’ultima domenica del mese Aritzo (Nu) ospita la rinomatissima sagra delle castagne, delle nocciole e delle noci. I partecipanti potranno provare la frutta secca, che abbonda nei boschi del Gennargentu, e, in particolare, assaporare le castagne arrosto (tel. 0784/629223). A Gesico (Ca) dall’11 al 19 si svolge la curiosa sagra della lumaca. Tutte le sere si potranno mangiare pietanze tradizionali a base di lumache, un tempo piatto povero, oggi ghiottoneria raffinata, in ogni variante: sizzigorrus, monzittas, tappadas, boveris (tel. 070/987043). Nello splendido scenario di un uliveto millenario, a Villamassargia (Ca) intorno alla metà del mese, si svolge la 9a sagra delle olive, con degustazione Cagliari SAGRE di olive, bruschette condite con olio locale e paté di olive (tel. 0781/75099). A Selegas (Ca) il 4 si ricorda la vendemmia tradizionale alla 3a sagra de sa binnenna; contemporaneamente ci sarà una mostra di uve, vini e attrezzi (tel. 070/985541). A Sanluri, a circa 40 chilometri da Cagliari, l’11 si festeggia la sagra delle fave, preparate secondo diverse ricette locali (tel. 070/9370505). Da segnalare l’importante fiera-mercato di Gonnosfanadiga (Ca), la 17a mostra dell’olio e dell’agroalimentare (tel. 070/9797129). NOVEMBRE DICEMBRE Si stappano i vini novelli e in varie località si organizzano sagre per presentare la produzione. A Milis (Or) il secondo fine settimana del mese è in programma la rassegna regionale dei vini novelli con degustazioni (tel. 0783/51168). A Usini (Ss) il 30 si rievoca l’antico rito de ippuntare, ossia l’assaggio del vino novello fatto in cantina passando da una botte all’altra e da una cantina all’altra (tel. 079/380644). Dall’11 e al 18 Olbia (Ss) ospita la rassegna del vino novello: gustosi vini e specialità gastronomiche per un’intera settimana saranno offerti ai partecipanti (tel. 0789/21453). In questo mese anche i funghi sono protagonisti, con esposizioni delle varie specie, completate da degustazioni di piatti tradizionali della zona: si svolgono a Sestu (Ca), dal 15 al 17, la 3a mostra micologica sestese (tel. 070/23601), e ad Arbus (Ca), il 29 e il 30, la 10a mostra del fungo (tel. 070/9759018). Tutti i prodotti tipici del Gennargentu, invece, il primo fine settimana del mese saranno in esposizione a Desulo (Nu), alla fiera “La montagna produce”: prosciutti, salsicce, pani, carni, formaggi pecorini, dolci e castagne arrosto per tutti i partecipanti (tel. 0784/619887). L’8 e il 9 Turri ospita l’11a sagra dello zafferano: dopo la visita guidata ai campi in fiore e la dimostrazione della lavorazione della pianta, si potranno assaporare il riso o i malloreddus conditi con lo zafferano (tel. 0783/95026). Il 7 Siligo (Ss) ospita la vivacissima sagra della salsiccia e del vino novello (tel. 079/836163), e Buddusò (Ss) organizza la sagra del cinghiale (tel. 079/715502). La prima domenica del mese ad Arborea (Or) si svolge la sagra della polenta (tel. 0783/801208), mentre a Thiesi (Ss) pochi giorni prima del Natale si tiene la sagra dei dolci thiesini (tel. 079/886012). Quartucciu 162 GENNAIO Nel cuore dell’inverno, molte sagre si svolgono attorno a colossali falò. Per esempio il 18, a Decimoputzu (Ca), per la festa di Sant’Antonio, si accende il fuoco in piazza e si mangiano fave e lardo, salsiccia e funghi arrosto, malloreddus alla campidanese, il tutto accompagnato da un bicchiere di vino (tel. 070/965046). Il 25 ad Aglientu (Ss), durante i festeggiamenti per Santu Paulu di Lu Laldu, si offre il tipico carr ’e cogghju e fodda, la carne di maiale con i cavoli, e i cozzuleddi ’e meli, i tipici dolcetti del posto (tel. 079/654375). In questo periodo dell’anno si apre anche la rassegna “Lo bogamarì nella cucina di Alghero”, importante rassegna gastronomica dedicata alle preparazioni con il riccio di mare: nel fine settimana si possono assaggiare le uova, sia crude sul pane sia come condimento della pasta (tel. 079/979054). Quartu Sant’Elena Ollolai SAGRE FEBBRAIO La festa di Alghero prosegue nei weekend di febbraio, e si ripete anche a Portoscuso (Ca), intorno alla metà del mese, con la 10a sagra del riccio, con pasta ai ricci e vino bianco per tutti (tel. 0781/509504). Il secondo fine settimana a Samassi (Ca) si celebra un importante alimento della Sardegna, il carciofo, più ricco di sapore rispetto alle varietà che si trovano nella penisola. Per i partecipanti tante ricette preparate con la verdura (tel. 070/388210). Zerfaliu (Or) a fine mese propone la sagra degli agrumi, durante la quale si potranno degustare agrumi e derivati (tel. 0783/27000). MARZO La rassegna dello bogamarì si ripete ad Alghero, mentre il carciofo diventa il protagonista di altre sagre: a metà mese a Valledoria (Ss) (tel. 079/5819000) e a Uri (Ss) (tel. 079/419669); a Giba (Ca) i carciofi si potranno assaggiare crudi oppure cotti nelle panadas (tel. 0781/963099). A fine marzo Boroneddu (Or) ospita la sagra degli asparagi e dei finocchi selvatici che, secondo un’antica ricetta, saranno offerti in mezzo alla fresa, la spianata (tel. 0785/53569). APRILE All’inizio del mese, Muravera (Ca) organizza la sagra degli agrumi, per assaggiare le ottime arance e altri prodotti, come marmellate e dolci (tel. 070/9930760). Il lunedì dell’Angelo a Tonara (Nu) si svolge la sagra del torrone, preparato a mano con mandorle, noci, nocciole e miele (tel. 0784/63814). A fine mese a Sini (Or) appuntamento con la sagra del su pai saba, il dolce fatto con mandorle, uvetta e Alà dei Sardi 164 sapa (tel. 0783/936157). Una festa particolare coinvolge Carloforte (Ca): la sagra del cous cous, il piatto a base di pesce entrato nella tradizione popolare quando i carlofortini abitavano a Tabarka, piccola isola di fronte a Tunisi (tel. 0781/855298). MAGGIO Una delle ultime domeniche del mese, diversi paesi sono coinvolti in una delle manifestazioni più importanti dell’anno, ossia Cantine aperte. Dalla Gallura al Sulcis, dalla zona di Alghero all’Ogliastra, per l’intera giornata calici in mano per apprezzare le migliori etichette dell’isola. È possibile anche visitare le aziende agricole e le cantine, attraverso un percorso guidato che permetterà di conoscere non solo le tecniche utilizzate per la vinificazione, ma anche i segreti che rendono i vini sardi tra i più stimati (tel. 070/241140). Per gli amanti dei sapori più decisi, a Decimoputzu, un piccolo paese situato a circa venti chilometri da Cagliari, l’11 si celebra la 16a edizione della sagra della pecora: per tutto il pomeriggio si potrà assaggiare la gustosa carne bollita con diversi contorni di verdure, come patate e cipolle bollite, carciofini in salamoia o pomodori (tel. 070/965046). Chi, invece, preferisce un piatto di pesce fresco, potrà recarsi a Cabras l’ultimo sabato del mese: qui, nelle vicinanze dell’omonimo stagno, si arrostisce l’ottimo muggine (tel. 0783/290227). Ad Arborea, a sud di Oristano, alla fine del mese si ripete da anni il “rito” della sagra delle fragole; il gustosissimo frutto è offerto ai partecipanti, che potranno anche acquistarne intere cassette (tel. 0783/801208). Samugheo Orgosolo Andrea Campagna IL CAGLIARITANO Città crogiuolo di vestigia fenicie, puniche, romane, spagnole e ottocentesche, Cagliari stupisce per la ricchezza dell’architettura urbana ma anche della sua cucina di mare. All’interno, le morbide pianure del Campidano, le grandi distese a grano della Marmilla e i rilievi del Sarrabus regalano varietà di ricette, di pietanze e di sapori della migliore tradizione contadina. 169 PANORAMA - CAGLIARITANO PANORAMA - CAGLIARITANO Gianmario Marras La cattedrale di Santa Maria, duomo di Cagliari, edificata dai Pisani tra il XII e il XIII secolo, ha subito successivamente profonde trasformazioni stilistiche. All’interno è degno di nota il pulpito, realizzato intorno al 1160 da Guglielmo da Pisa e donato a Cagliari dalla città toscana. Gianmario Marras Antonio Saba PANORAMA - CAGLIARITANO Sopra: il caratteristico colle di Las Plassas, a nord di Cagliari, dalla forma perfettamente conica dovuta all’erosione naturale. In cima i resti di un castello del XII secolo. Sotto: un vicolo del Castello, il quartiere di Cagliari sviluppatosi intorno alla rocca, per secoli fulcro del potere politico e oggi trasformato in cittadella dei musei. Antonio Saba Nevio Doz Sopra: case del borgo di Tuili, piccolo centro agricolo della Marmilla non lontano dall’area archeologica Su Nuraxi, il villaggio nuragico meglio conservato di tutta la Sardegna. Sotto : la bellissima spiaggia del Poetto di Cagliari, una delle più grandi d’Italia, dove è possibile gustare ricci di mare appena pescati, una vera e propria prelibatezza. 173 PANORAMA - CAGLIARITANO 174 Gianmario Marras Antonio Saba In questa pagina: la Giara di Gesturi, altopiano di pietra e sughere nel cuore riarso dell’isola. A sinistra: uno dei bellissimi mosaici policromi romani di Nora, la più antica città dell’isola situata sul promontorio di Capo di Pula, a circa 30 chilometri a sud-ovest di Cagliari. CAGLIARITANO Cagliaritano C Qui a destra: nei chioschi del lungomare di Cagliari ci si può concedere uno spuntino a base di ricci (arrizzonis), con un bicchiere di Vermentino e una fetta di pane fresco. Protagonisti della cucina “povera” della zona anche i frutti di mare e la piccola pesca (foto della pagina accanto) che si trasformano in piatti semplici ma gustosi. 176 Nevio Doz ittà di mare, e come tale aperta alle incursioni navali ma anche agli apporti delle più diverse culture, Cagliari riflette nelle tradizioni della sua cucina questa caratteristica. Una cucina essenzialmente “povera” perché fatta con ingredienti una volta di poco costo e di facile reperibilità, poco elaborata e senza grandi sofisticazioni ma ricca di aromi e di sapori genuini, figlia della grande tradizione marinara del capoluogo della Sardegna. Cagliari, infatti, è l’unica città sarda sul mare che ha sviluppato da sé una vera e propria classe di pescatori, mentre in altre parti dell’isola sono stati i genovesi, i catalani o i ponzesi a importare l’antica arte della pesca. Ecco, quindi, che sono i sapori dello splendido mare del Golfo a prevalere nella cucina cagliaritana, dove però non mancano i piatti tipici a base di carne, quella che anticamente come oggi arrivava in città dal “contado”, cioè dagli allevamenti del Campidano. Una cucina povera che oggi povera non è più; un fritto misto fatto con il prodotto della “piccola pesca” non si trova in tutti i ristoranti cagliaritani e non sempre è a buon prezzo, ma da qualche anno è stata riscoperta una tradizione gastronomica legata ai sapori più autentici dei piatti di mare da offrire ai turisti che sbarcano a Cagliari. Ecco quindi che l’offerta (fino a qualche anno fa limitata all’arrosto o alle seppie) può oggi contare su piatti come la burrida (gattuccio di mare lessato, al quale viene poi aggiunto un soffritto di aglio con i fe- Nevio Doz DI ANDREA FRAILIS Adriano Mauri Una cucina poco elaborata, golosa e irresistibile anche nelle pietanze più semplici di questa terra generosa di cosparsa di pecorino), oppure ancora su caboniscu a prenu (pollo ripieno) e sa pudda in tianu (gallina cotta in pentola con diversi aromi). Tutte ricette tipiche della tradizione contadina, al pari dei longus e delle mannareddas, pezzi di intestino dell’agnellino scottati alla brace o più frequentemente insemolati e fritti con olio extravergine, o dei is tacculas, tordi o merli lessati, cosparsi da abbondante sale e avvolti in un letto di mirto. Anche i primi piatti risentono della doppia origine della cucina di questa parte di Sardegna; e così a Cagliari i pranzi a base di pesce sono spesso preceduti dalla fregula con cocciula (minuscole palline di semola cotte con pomodoro e arselle), ma, oggi come ieri, la fanno ancora da padroni nella tavola dei giorni festivi i ravioli di pasta ripieni di ricotta, zafferano e spinaci (ma anche bietole) e serviti con il sugo di pomodoro, come anche i celebri malloreddus, e cioè gnocchetti di semola al ragù di carne di maiale o alla salsiccia. Cinquanta, sessanta anni fa il ragù era d’ob- Adriano Mauri I SAPORI CHE VENGONO DAL MARE gatini del pesce e le noci tritate), le anguille cotte con l’alloro e servite con il pecorino, il capitone arrostito o la murena insemolata e fritta. Una tradizione importante, a Cagliari, quella dei fritti; il popolino mangiava praticamente solo quello, che si trattasse di maccioneddus (piccoli ghiozzi), di gronghi o di pisciu re (pesce persico), ma aggiungeva il polpo bollito e, una volta ogni tanto, riusciva a mangiare sa cassola, la ricca zuppa di pesce immersa in un brodo con il pomodoro e servita con i crostini di pane. Un posto importante è riservato ai frutti di mare. I cagliaritani sono ghiotti (e la domenica mattina i chioschi sul mare che li offrono sono presi d’assalto) di arrizzonis (i ricci), la cui polpa viene utilizzata pure per condire gli spaghetti, ma prediligono anche le cozze (da mangiare crude, condite solo con una goccia di limone) e le arselle; chi non le ha mai mangiate dovrebbe assaggiare is orziaras, anemoni di mare fritti nella semola e mangiati caldissimi, o ancora is bucconis (murici lessati e serviti in acqua caldissima e salata). Ha ragione Angelo Concas, il più famoso degli enogastronomi cagliaritani, quando sottolinea come Cagliari abbia “una storia di veri pescatori, in una terra che non è di veri pescatori” e come “oggi più che mai è necessario far conoscere ai più giovani quei piatti semplici ma gustosi, che costituivano il più delle volte l’unico pranzo dei loro nonni e bisnonni”. Erano i tempi in cui la carne compariva (quando compariva) appena una volta la settimana sulle tavole dei cagliaritani meno facoltosi, e quasi sempre si trattava di carne di cavallo (costava meno ed era decisamente gustosa) cotta alla brace dopo un “passaggio” nell’aglio e nel prezzemolo. Un piatto ancora oggi di casa in molti ristoranti di Cagliari e dell’hinterland, insieme a quelle pietanze che, al pari del pesce di piccola pesca, erano considerate povere: le interiora, ad esempio, una volta venivano buttate via o vendute a vil prezzo dai macellai e diventavano nutrimento per le classi sociali meno agiate. E così nella tradizione cagliaritana e del Campidano occupano un posto di primo piano sa cordula (stomaco, intestini d’agnello, intrecciati e rosolati in tegame con i piselli), ma anche una lunga serie di piatti con carni di animali (da pascolo o anche da cortile) cotte in tegame o al forno. Da ricordare il coniglio in umido, oppure sa busecca (trippa di manzo lungamente lessata e poi cotta in una salsa di pomodoro e menta e quin- 177 CAGLIARITANO CAGLIARITANO pari di su pani dorau, dove il pane prima rammollito nel latte viene successivamente bagnato nell’uovo sbattuto e poi fritto. Nelle verdi campagne che circondano Cagliari, invece, la tradizione impone minestre a base di brodo di carne di pecora o agnello, o minestroni di verdure o legumi, con particolare riferimento alle lenticchie e ai ceci (spesso con l’aggiunta delle cotiche di maiale), davvero apprezzatissimi in questa parte dell’isola. Primi piatti che, oggi, è possibile gustare in molti ristoranti cagliaritani dove, al contrario, è praticamente introvabile su pisci a collettu, e cioè le fave lessate in grandi pentoloni nei quali galleggiano anche l’aglio e il finocchietto selvatico. I vini sono da sempre un punto di forza dell’enogastronomia campidanese. Angelo Concas giustamente rileva come “cento anni fa i viticoltori del Campidano di Cagliari partecipavano e vincevano premi a mostre internazionali come quelle di Parigi e Bruxelles”. Ai piatti di pesce è tradizione accompagnare bianchi freschi come il Nuragus (come il “Petraia” della Cantina Sociale di Santadi), mentre alle pietanze a base di carne è bene accostare un Cannonau doc (come il “Capo Ferrato” della Cantina di Castiadas o il “Costera” della Cantina Argiolas di Serdiana) o un Monica di Sardegna (buono quello prodotto da Ferruccio Deiana a Settimo San Pietro). Tutta legata al lavoro delle massaie del Campidano, invece, la tradizione dei dolci fatti in casa; in prevalenza a base di pasta di mandorle, come is gueffus, hanno la caratteristica di rimanere morbidi senza essere stucchevoli. Pregiati anche is pirichittus (bianchi d’uovo con mandorle tagliate fini e tostate) e is bianchittus, mentre gli amaretti prodotti in questa zona dell’isola sono sicuramente più morbidi di quelli di altre parti. Legata alla tradizione anche sa pardula, il dolce di pasta con ricotta e zafferano. Il tutto in una tradizione di ospitalità che ha radici antiche; uno dei proverbi cagliaritani più citati dice “bucconi sparziu, s’angelu si ’nci sèzziri” , cioè che quando si condivide il cibo, a tavola vengono a sedersi gli angeli. Più di così! Adriano Mauri 178 nuova avventura è il ristorante “Da Monica”, come la sua seconda figlia, con la clientela che ancora oggi è la sua. Ma Franceschino è tipo da fiutare l’aria nuova prima degli altri. Senorbì è a un tiro di schioppo, è un paese attivo che sta per diventare cittadina e forse gli affari aumenteranno. Chiude “Da Monica” a Guasila e Adriano Mauri Da ago e filo a pentole e mestoli. La strana storia di Francesco Sailis (al centro nella foto), ristoratore ma non per vocazione, è fatta di decisioni improvvise, occasioni colte al volo, intuizioni a volte geniali. Sessantasei anni portati alla grande, gestisce dal 1971 a Senorbì (40 chilometri dal capoluogo) il ristorante fuori Cagliari più frequentato dai cagliaritani, e non solo da loro. Ma Francesco Sailis (“Franceschino” per tutti) non ha sempre fatto il ristoratore; aveva sei anni e mezzo quando nella natìa Guasila cominciò a frequentare la bottega di un sarto che aveva imparato il mestiere a Cagliari. A diciotto anni aprì in paese una sartoria tutta sua. Poi l’avvento dell’abito confezionato lo indusse ad aprire prima uno, poi due negozi di abbigliamento maschile e femminile, anche questi abbandonati quando il consumismo dilagante fece rapidamente invecchiare i capi fatti arrivare dal Continente, rendendo poco remunerativa quell’attività. E allora ecco l’occasione di un ristoratore che vendeva la sua licenza a Guasila; via gli abiti, la apre il nuovo locale a Senorbì, Da Severino (via Piemonte 7, tel. 070/9808181), come il secondo figlio che, da qualche anno, ha intrapreso una sua strada parallela. Lui nella famiglia ha sempre creduto; terzo di tredici figli, considera tali anche Luciano e Gianni, che da decenni lo aiutano nella gestione del ristorante fin dall’apertura, nel 1971. Da allora una sola vacanza (“Sette anni fa per andare in America, ma l’America fino a qualche anno fa era qui”) e la vita scandita da ritmi ossessivi; ogni giorno sveglia alle 5 e mezzo per curare un locale che chiude solo dieci giorni a gennaio per le pulizie di fine anno. Il segreto? “La gente mi vuole bene perché mi conosce – dice Franceschino – e sa che con me non avrà sorprese”. Ma il vero segreto è un locale in campagna dove la gente arriva da Cagliari, che è città di mare, per mangiare pesce freschissimo: aragosta e astice, triglie e orate, cozze e ostriche. “Facciamo qualche bistecca per chi non mangia il pesce – suggerisce Franceschino – ma il porcetto lo dovete ordinare qualche giorno prima”. Specializzato in matrimoni e cerimonie in genere, “Da Severino” specialmente d’estate copre senza fatica i suoi 300 posti, e il sabato e la domenica è meglio telefonare per prenotare. Una vacanza nel Sud dell’isola può essere una buona occasione per far visita a Franceschino; lui tratta tutti, clienti vecchi e nuovi, con la stessa cordialità. “Perché – dice – anche loro sono la mia famiglia”. (A.F.) Adriano Mauri Non solo sapori di mare sulle tavole del Cagliaritano. Dalla tradizione contadina dell’interno derivano infatti sa fregula (in alto) , a base di semola, acqua, uova e zafferano, e le conserve (a sinistra), preparate con melanzane, funghi e cardi selvatici, autentiche prelibatezze sott’olio fatte in casa come una volta. “DA SEVERINO”: IL MIGLIOR PESCE DEL CAGLIARITANO NEL CUORE DELLA CAMPAGNA Adriano Mauri Adriano Mauri bligo farlo con la carne del galletto (caboniscu), e ancora oggi, nella mente dei cagliaritani meno giovani, è rimasta impressa l’immagine di coloro che lasciavano il grande mercato con in mano un mazzo di galletti vivi, tenuti per le zampe legate con filo di rafia; costavano talmente poco che venivano venduti a mazzi di 4 o 5 per poterne ricavare qualcosa. Come cambiano i tempi! Un altro piatto decisamente popolare, che per molti anni è quasi scomparso dalla tavola dei cagliaritani e che oggi al contrario vive una stagione nuovamente felice, è il mazzamurru (zuppa di pane raffermo intinto nel brodo di carne e servito con salsa di pomodoro e pecorino), che Angelo Concas ha scoperto far bella mostra di sé nel menu di un ristorante italiano a New York. Un pasto “di recupero”, molto spesso cucinato per non buttar via il pane avanzato dal giorno prima; al Tutta la zona del Campidano è rinomata per la produzione di dolci (in queste foto). Nella pasticceria sarda mandorle, agrumi, frutta secca, miele e formaggi freschi, sapientemente decorati, si sposano in una golosa armonia per il palato. 179 CAGLIARITANO Ristoranti IL MEGLIO IN TAVOLA Alla scoperta degli antichi sapori lungo un itinerario enogastronomico che dal mare si snoda verso i paesi dell’interno, tra siti archeologici e testimonianze storiche DI ANDREA FRAILIS - FOTOGRAFIE DI ADRIANO MAURI R imandando alle guide specializzate la segnalazione dei ristoranti di maggiore fama, abbiamo selezionato alcuni locali dove la qualità non manca e i prezzi sono più che abbordabili rispetto alla media, e comunque dentro un buon rapporto qualità-prezzo. A Cagliari città, il Trilogy Club in via Sassari 11 (tel. 070/656060) propone piatti particolari tra cui il risotto con gorgonzola e castagne. Il Tomax di via Grazia Deledda 62 (tel. 070/652712) offre cucina casalinga: tagliatelle ai funghi porcini, trofie carlofortine al pesto, tiramisù al cocco. Al Quirinus (via Angioy 82, tel. 070/670702), piatti particolari; speciali i primi con le verdure, tra cui il risotto con la crema di spinaci e i gamberoni al cognac. Mondo Rafael in via Mameli 101 (tel. 070/670480), locale storico del centro, rappresenta un’autentica garanzia per chi ama il pesce fresco a prezzi decisamente accessibili. Anche La Mola Sarda, in via Trento 84 (tel. 070/280983) è una tappa obbligata per gli amanti della cucina di pesce. Variati e gustosi i piatti di carne. Prezzi accessibili anche ai giovani. Il Viale (viale Trieste 120, tel. 070/280983) è un locale relativamente “giovane”, ma la qualità è assicurata. Menu tipico di pesce, sia arrosto che fritto. Grande abbondanza di antipasti, buoni gli spaghetti con arselle o bottarga. Sempre in viale Trieste, al 15, L’ambiente elegante del ristorante “Da Cesare” del Caesar’s Hotel di Cagliari: accanto al comfort del grande albergo tutte le specialità della cucina locale. c’è l’elegante Il Gatto (tel. 070/663596): ottima la pizza, buoni anche i primi e di prima qualità i dolci fatti in casa. Famoso per la pizza squisita è anche Spazio Newton in via Newton 11 (tel. 070/496969), oggi diventato ancora più interessante per l’iniziativa del brunch, che comincia a prendere piede a Cagliari la domenica mattina. Il Piccolo Mondo, in via Arno 21 (tel. 070/272795, chiuso domenica sera e lunedì), è locale con specialità marinare. Monica è figlia d’arte; il padre gestisce da anni il ristorante Da Severino a Senorbì (vedi p. 179). Per chi ama mangiare vegetariano, consigliato il Terra di Mezzo in via Portoscalas 1 (tel. 070/662889). Per chi invece preferisce il menu di “terra” tipico sardo, trova da Sa Domu Sarda (via Sassari 51, tel. 070/653400) ravioli e malloreddus, porcetto e agnello cotti alla brace. Interessante il prezzo. Anche lo storico ristorante Italia dei fratelli Mundula (via Sardegna 30, tel. 070/657987) offre ampia scelta di primi, carni e pesci secondo tradizione. Al Villaggio dei Pescatori in località Giorgino la Cooperativa dei Pescatori (tel. 070/250062) ha aperto un piccolo locale dove il pesce è freschissimo. È l’occasione per un simpatico e gustosissimo pranzo in riva al mare. Molto frequentato dai giovani è il 744 in via Roma 181 (tel. 070/666626): ottima la pizza, grande varietà di primi con sughi marinari (da assaggiare gli spaghetti al cartoccio), pesce freschissimo arro- 182 sto o fritto, e davvero prelibata la bistecca di cavallo. Il San Domenico (via San Domenico 95, tel. 070/655406) gode di meritata fama per la sua cucina creativa, che abbina pesce e verdure. Si mangia bene anche in due ristoranti di albergo. Il primo è Severino, nel residence “Ulivi e Palme” (via Bembo 25, tel. 070/43606). Il secondo è Da Cesare del Caesar’s Hotel di via Darwin (tel. 070/3047686): se volete passare una serata in un ambiente elegante, assaggiando piatti ricercati, qui non rimarrete delusi. Segnaliamo, per gli amanti del buon vino, una nuova proposta, in pieno centro storico: il wine-bar Enò (in vico Carlo Felice, angolo via Angioy, tel. 070/6848243). Sono presenti 400 etichette da tutte le regioni italiane; vini da degustare al bicchiere, ordinati in bottiglia o acquistare per una cena fra amici. Enò offre la possibilità di approfondire la conoscenza del mondo nell’enologia attraverso materiale divulgativo, promozioni periodiche con presentazione di territori e tipologie di vini, momenti di incontro quali corsi di degustazione e incontri con esponenti del mondo dell’enologia nazionale. Il locale cagliaritano è il primo anello di un progetto di catena su scala nazionale, realizzato tramite la formula del franchising (per informazioni www.eno-italia.com). Stupendamente situato sul lungomare del Poetto, il ristorante La Marinella (tel. 070/810126), abituale ritrovo dei giocatori della squadra calcistica del Cagliari e degli sportivi in genere, ha nei frutti di mare e nelle pietanze a base di pesce i suoi punti di forza. Ottimo anche il carrello di dolci sardi, tutti freschissimi. Sulla strada per Villasimius, subito dopo Geremeas, il caffè-ristorante Van Gogh offre atmosfera serena e piatti anche veloci a prezzi buoni. Poco più avanti l’hotel Cormoran (tel. 070/798131) propone ottimi soggiorni all’insegna del relax e della buona cucina, con la possibilità di splendide immersioni alla scoperta di canyon, gorgonie giganti, relitti di navi romane ed altre delizie del mondo subacqueo. A Villasimius l’elegante Il Ragno Blu in località Santo Stefano (tel. 070/797061), a due passi da una delle spiagge più belle della zona, propone prelibate pietanze della tipica cucina marinara: pesci e frutti di mare freschissimi ma anche un inimitabile fritto misto, i caQui a sinistra: da “Cesare”, il ricamo di spigola e gamberi su vellutina di zafferano e favette del Campidano. In alto: pesce fresco per un pranzo in riva al mare al “Villaggio dei Pescatori”. lamari fritti e la deliziosa aragosta alla sarda. Il Carbonara (tel. 070/791270), nella centralissima via Umberto, offre una vasta gamma di primi piatti, tra cui non ci si deve lasciar sfuggire le linguine al pescespada e diversi piatti di pesce e di carne. A Castiadas, lungo il bellissimo litorale a nord di Villasimius, il Sant’Elmo Beach Hotel (tel. 070/995161) offre ai propri clienti ben cinque ristoranti (di cui uno per i più giovani) nei quali scegliere tra buffet internazionali e tradizione sarda. Nei paesi dell’interno della provincia, oltre al ristorante Severino di Senorbì, merita una sosta il Cavallino della Giara di Barumini (tel. 070/9368122), situato proprio di fronte all’imponente complesso nuragico che è il “principe” dell’archeologia isolana. Propone piatti tipici della cucina del territorio, ravioli di ricotta e malloreddus, arrosto di porcetto e agnello. Le stesse specialità sono offerte in maniera eccellente anche nel vicino paese di Villanovaforru – paese di archeologia nuragica e di ottimi musei, In alto: vini regionali e nazionali in degustazione al wine-bar “Enò”, nuovissimo locale di Cagliari. La scelta è fra quattrocento diverse etichette. A destra: la sala del “Sa Domu Sarda” di Cagliari, dove si gustano i primi della tradizione e genuini piatti sardi “di terra”. 184 promossi dall’attivo consorzio “Sa Corona Arrubia” – dal ristorante Le Colline (tel. 070/9300123). A Orroli, paese dell’altro gigante dell’archeologia sarda che è lo splendido nuraghe Arrubiu, nella vecchia Casa Vargiu Omu Axiu (tel. 0782/845023) un gruppo di donne ripropone i piatti antichi del territorio, insieme a corsi di cucina tradizionale, di vinificazione e di panificazione con le tecniche di un tempo. Possibilità di soggiorno. Di notevole interesse l’Itinerario enogastronomico del Ducato che si snoda lungo i paesi di Gergei, Escolca, Mandas, Gesico e Siurgus Donigala tra siti archeologici, testimonianze storiche e gastronomia tradizionale. È organizzato dai fratelli Dedoni di Gergei (tel. 0782/808060). In ciascuno dei piccoli centri ci si ferma a degustare i prodotti tipici. Il ricco menu propone antipasti a base di corda con piselli, lumache al verde, fricassea, frittelle di asparagi; tra i primi, fregola con lumache, pennette ai cardi selvatici, ravioli di ricotta agli asparagi; tra i secondi l’agnello in umido, il maialetto arrosto e la gallina ripiena. Formaggi locali e dolci sardi completano la succulenta proposta. Un autentico pranzo coi pastori, tra natura selvaggia, pinnettas (le classiche capanne pastorali) e grandi arrosti all’aperto, lo propone Albino Corgiolu (cell. 333/2007872) a Domus Suas, nelle campagne di Goni, altra località la cui archeologia (le misteriose pietre fittili che l’hanno fatta ribattezzare la “Stonehenge sarda”) merita una visita approfondita. Se poi all’atmosfera magica e magnetica delle pietre si associano il formaggio e la salsiccia, il porcetto e l’agnello cotto al momento, un delizioso vino fatto in casa e i prelibati dolci di Albino, la giornata non può che svolgersi all’insegna del piacere. Adriano Mauri L’abilità manuale dei panettieri, le tecniche tradizionali e la qualità delle materie prime fanno del pane di Quartu una delizia da scoprire. Quartu Sant’Elena L’ARTE DI PREPARARE PANI E DOLCI Dove l’aria profuma della fragranza irresistibile dei prodotti del forno, preparati come una volta grazie a una sapienza antica e a una lunga tradizione DI EMANUELE DESSÌ N é la baguette di Parigi e nemmeno la michetta di Milano. “Io non credo che ci sia in Europa un villaggio il cui pane possa essere paragonato a quello di Quarto”. E non che monsieur Antoine Claude Valéry di mondo ne conoscesse poco. Scriveva, nel suo Viaggio in Sardegna: “La pagnotta stessa che serve di nutrimento al contadino campidanese vale assai di più che il miglior pane d’Italia e di Francia”. L’anno del Signore era il 1834: Valéry pubblica a Parigi il suo Voyage en Sardaigne, rievocando i profumi sentiti entrando in quel borgo dove le case erano fatte di fango e di paglia. Un borgo che odorava di pane, di dolci e di vino. Un borgo povero e a un tempo ricco, dove le donne indossavano 187 QUARTU SANT’ELENA Adriano Mauri QUARTU SANT’ELENA Sopra : i gueffus, preparati con zucchero e mandorle, sono i dolci preferiti dai bambini e per questo rivestono, da sempre, il ruolo di protagonisti in ogni festa locale. A sinistra: ricostruita alla fine del XVIII secolo dopo l’incendio che nel 1775 ne distrusse il tetto, la parrocchiale di Sant’Elena presenta una semplificazione di linee legata al primo affermarsi del neoclassicismo. Dario Sequi abiti che facevano invidia – sono sempre parole di Valéry – a quelli indossati dalle signore di Cagliari o ai cappellini delle ragazze parigine. E pensare che, se la storia avesse avuto un altro corso, a Quarto (la “o” divenne “u” solo con un regio decreto del 1862, per non confondere il paese sardo con l’omonima località ligure appena resa famosa dai Mille di Garibaldi) Valéry avrebbe mangiato… baguette. Ma le mire espansionistiche della Francia rivoluzionaria si spensero, nel 1793, tra le siepi di fichi d’India a ridosso delle spiagge dove le truppe sardopiemontesi respinsero il tentativo di sbarco dell’armée. Trent’anni dopo Valéry non trovò, in Sardegna, il tricolore di Francia. Non sentì, a Quartu, profumo di baguette, ma di civraxiu, coccoi e moddizzosu, “…il miglior pane d’Italia e di Francia”. Un giudizio che, ancora oggi, inorgoglisce una comunità intera. Al punto che proprio le parole di monsieur Valéry potrebbero, presto, far bella mostra all’ingresso del primo museo sardo dedicato al pane tradizionale. L’indirizzo sembra già esserci: il vecchio Convento dei Frati Cappuccini, accanto alla chiesa di Sant’Agata, in piazza Azuni. E non in una sala qualunque, ma probabilmente in quella abbellita dall’affresco che per un secolo ha dato dignità alla volta del primo palazzo comunale della città. La mano di un artista-artigiano, il Citta, alla fine dell’Otto- 188 189 QUARTU SANT’ELENA QUARTU SANT’ELENA In alto: un tratto dei venticinque splendidi chilometri di costa che si estendono dalla spiaggia del Poetto fino a Geremeas. L’attrattiva delle spiagge ha contribuito allo sviluppo della vocazione turistica della cittadina. A destra: prima ancora che per il palato il pane di Quartu Sant’Elena, con le sue ricche decorazioni e forme originali, è una festa per gli occhi. 190 Adriano Mauri Dario Sequi cento, disegnò il cielo e il mare, le navi francesi e, insieme, gli eroi che salvarono Quarto. Niente baguette, sotto quella volta restituita ai quartesi e ai sardi, ma solo civraxiu, coccoi e moddizzosu. Cresciuta sino a diventare coi suoi 70.000 abitanti la terza città della Sardegna, Quartu Sant’Elena ha una vocazione forte per il turismo legata non solo ai 25 chilometri di costa o ai fenicotteri rosa che popolano gli stagni a ridosso delle strade e dei palazzi. È una vocazione fatta anche di cultura, di tradizioni. Il paese di ieri, infatti, non ha scordato l’antica arte della panificazione. Sì, attorno all’abitato non ci sono più le distese di spighe, il grano non diventa più farina nelle macine in pietra mosse da un asinello. Però tecnologia e tradizione convivono nelle attività artigianali che, prima ancora che sorga il sole, sfornano il pane di una volta. E il dedalo delle viuzze del centro o anche alcuni quartieri che non hanno mai conosciuto su làdiri (i mattoni di terra cruda) sono invasi da quei profumi tanto cari al Valéry. Il civraxiu è un pane integrale, confezionato con farina e crusca fine. Su moddizzosu, invece, è un pane che, in forno, diventa soffice e alto, da tagliare a fette. Il segreto è nella lavorazione: si può anche dire che la pasta è molto morbida, che dopo la pezzatura e prima ancora della lievitazione, va fatto scivolare nella farina, ma è impossibile descrivere il movimento delle mani delle massaie, gesti tramandati di madre in figlia. O di padre in figlio. Per generazioni. Piano e croccante è su coccoi, il pane fatto con la semola finissima. C’è la semola anche nel pane delle feste e delle cerimonie, su pani de is isposus. Ma prima che il palato, è lo sguardo a essere rapito dalle mille forme che la pasta può assumere, forgiata da mani esperte e dai semplici oggetti che la cucina di qualche secolo fa poteva offrire. Gli stessi che, anco- ra oggi, regalano identici capolavori. “Bastano la lama di un coltello e un paio di semplici forbici per modellare su coccoi”, spiega Mauro Argiolas, 27 anni, panettiere dal 1991 nel forno di famiglia, in via Dante, proprio davanti all’edificio neoclassico che ha ospitato il mattatoio ma ha anche custodito i documenti dell’archivio comunale. La pezzatura tipica del coccoi è di 150 grammi ma, su richiesta, si possono modellare e cuocere anche piccole forme da mezzo etto, in genere richieste per le cerimonie. Uno dei segreti del pane quartese, che accomuna buona parte delle produzioni isolane, è il lievito, che da queste parti si chiama frammentu. “La preparazione è semplicissima, – racconta Ambrogio Argiolas dalla sua azienda di via Dante. – Si utilizza un pezzo di pasta di pane avanzato dal giorno prima e si aggiunge a un impasto di acqua e farina. Aggiungiamo anche un po’ di lievito di birra, ma è proprio un pizzico: la proporzione è di 50 grammi di lievito su 50 chili di farina.” Anticamente su frammentu riposava in un recipiente in terracotta chiamato xivedda, coperto con un panno. Con le richieste dei consumatori le dimensioni e, quindi, gli oggetti sono cambiati, ma gli ingredienti sono sempre gli stessi. Amministrazione comunale (assessorato alle Attività produttive), Consorzio 21 e Porto Conte Ricerche hanno promosso un progetto pilota per la valo- rizzazione delle produzioni del pane tipico, coccoi e moddizzosu. Si è cercato di finalizzare ricerca e tecnologia a uno “starter microbico” in grado di riprodurre le caratteristiche tipiche delle fermentazioni a pasta acida: su frammentu, appunto. Insomma, tecniche moderne applicate alla tradizione. Il risultato è stato un disciplinare di produzione, la base per la confezione del pane tipico che potrebbe fregiarsi di un marchio in grado di distinguerlo su un mercato globalizzato anche nella panificazione. Ma il disciplinare è anche il punto di partenza per ottenere (attraverso il ministero delle Politiche agricole) un marchio di riconoscimento dell’Unione Europea. Il disciplinare va integrato con una relazione storica, già messa a punto da Barbara Fois dell’Università di Cagliari. L’obiettivo è la Igp, Indicazione geografica protetta, per coccoi e moddizzosu. Come previsto dal regolamento comunitario che disciplina la materia, a chiedere il riconoscimento Dop o Igp possono essere solo associazioni di produttori e trasformatori di prodotti agricoli. Come spiega Cornelia Cogoni, che ha un’attività di panificazione, il passo è stato fatto: l’associazione esiste e si è già mossa per far sì che, presto, ci sia sul mercato il pane “Coccoi e Moddizzosu di Quartu Igp”. Altro vanto, per l’agroalimentare di Quartu, sono i dolci. Una produzione favorita, nei secoli dei secoli, dalla presenza di vasti mandorleti. Per citare Enrico Costa (Costumi sardi, 1913): “Non è solo il pane che le donne quartesi confezionano con cura speciale: esse sono rinomate anche per altri generi di dolci, paste e biscotti prelibatissimi”. Il Costa cita gli intraducibili nomi – immutati in novant’anni – e brevemente li descrive: pastissus de gesminu (“Dolci sopraffini fatti con zucchero e mandorle tagliuzzate a mo’ di petali di gelsomino”), i piricchittus (“Boccoli di pasta composti di farina, zucchero e uova”), il pane ’e saba (“Pane di farina impastata con vino cotto”), le pardulas (“Formaggelle sottilissime”), le pabassinas (“Composte di una mistura d’uva passa, mandorle e pignoli, condensata con zucchero o miele”). 191 QUARTU SANT’ELENA Dario Sequi QUARTU SANT’ELENA 192 elementari. “La tecnica conta, certo, ma gli ingredienti più importanti sono l’impegno, la passione, direi persino l’amore per questa attività”, sottolinea Ignazia Tocco, maestra dell’arte dolciaria. Le nuove attenzioni del consumatore verso i prodotti tipici e biologici, meglio se accompagnati da un certificato di garanzia, hanno spinto un gruppo di imprenditori agricoli a dar vita all’associazione “Colline Quartesi”: uva da tavola, pomodori ma soprattutto patate, che vedono Quartu primeggiare in Sardegna per quantità di produzione, ma non solo. Versatili in cucina, le patate da queste parti si sposano a meraviglia (magari profumate con il rosmarino) con il maialetto arrosto. Oppure, nei piatti di In alto e nella pagina accanto : il Convento dei Frati Cappuccini, costruito accanto alla chiesa di Sant’Agata nel 1631, è candidato a ospitare il primo Museo sardo del pane tradizionale. Il restauro della struttura è stato realizzato con il contributo dell’Unione Europea. Dario Sequi Squisitezze riprodotte con sapienza antica ancora oggi da giovani mani nelle botteghe dolciarie. Insieme ai candelaus (piccoli recipienti di varie forme realizzati con pasta di mandorle, vuoti o riempiti con sfoglia sempre di mandorle, profumate con essenza di fiori d’arancio) o, ancora, il gattò, confezionato con un impasto di zucchero sciolto e mandorle tostate. Il resto è arte: possono nascere piccole forme o riproduzioni, in miniatura, di monumenti e chiese, portate in processione durante la sagra campestre di San Giovanni, nel mese di luglio. È l’occasione anche per apprezzare gli splendidi costumi di Quartu, magari da mettere a confronto, sempre a luglio con le tradizioni popolari di tutto il mondo grazie a “Sciampitta”, festival del folklore organizzato, con il sostegno del Comune e della Regione Sardegna, dal gruppo folklorico “Città di Quarto”. Si sta cercando di tramandare la tradizione dei dolci di Quartu attraverso corsi di formazione o anche semplici dimostrazioni che cominciano nelle scuole 193 QUARTU SANT’ELENA aromatico, ampio, fragrante, con sentori di fiore di mandorlo e albicocca secca. Al palato è dolce, armonico, caldo, ricco di sapidità, ben strutturato. Ideale come vino da meditazione, ben si accompagna ai dolci tipici di Quartu a base di mandorla o ricotta, come le pardulas. Sapori da esaltare anche con il Nuscara, Malvasia Doc di Cagliari prodotto dalla Cantina di Quartu (fondata nel 1926), un vino bianco da dessert di origine antichissima, arrivato forse in Sardegna in epoca bizantina. Giallo paglierino tendente al dorato, ha un profumo intenso e persistente, con un retrogusto di mandorle amare. Servito fresco, 8-10 gradi, è un ottimo aperitivo. Se accompagnato ai dolci, meglio se a base di mandorla, la temperatura ideale di servizio è di 12-14 gradi. Quartu Sant’Elena, il mare a un chilometro e le vette dei Sette Fratelli alle spalle. I nuraghi sul mare e le chiese medievali che convivono tra case e negozi. Qui l’enogastronomia affonda i suoi segreti in una storia millenaria. Pagine scritte dalla prepotenza degli invasori (dai fenici fino ai piemontesi), ma anche dall’orgoglio dei sardi di queste terre. Un orgoglio che, ancora oggi, resiste, per regalare sapori e profumi senza tempo. Uno scorcio di Quartu vista dalla pianura circostante l’abitato. Sullo sfondo si stagliano le vette del gruppo dei Sette Fratelli. Dario Sequi mare, con le pregiate orate e le spigole del golfo degli Angeli, davanti al quale, nella bianchissima spiaggia di Quartu, tra novembre e aprile, è un trionfo di ricci, serviti in accoglienti gazebo insieme al pane e a un bicchiere di Vermentino fresco. Di recente introduzione è proprio la sagra della patata (organizzata, a giugno, davanti alla chiesa di Sant’Andrea, a Flumini, una delle tante apprezzate testimonianze dell’arte religiosa nel territorio), mentre risale agli anni sessanta la sagra dell’uva, organizzata in occasione della grande festa dedicata alla patrona sant’Elena (madre dell’imperatore Costantino) a settembre. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento Quartu esportava, sfuso, buona parte del vino prodotto, per lo più bianco. Oggi la produzione vitivinicola presenta pregiati Doc che ben si sposano con la cucina sarda ma, soprattutto, con i dolci quartesi. Come il Moscato, la Malvasia o il Nasco Gutta ’e Axina (tradotto, l’anima dell’uva) prodotti dalla cantina Villa di Quartu, un’azienda agricola gestita da due giovani donne. Con il frutto di 45 ettari di vigneto, l’azienda produce anche bianchi e rossi, coccolati nelle botti che trovano casa nelle viuzze del quartiere di Cepola, la culla di Quartu. La vocazione per i vini da dessert potrebbe trovare nel Nasco importanti prospettive. Di colore giallo oro antico, il Nasco di Cagliari Gutta ’e Axina ha un profumo In cantina “SU INU, SUZZU MERACULOSO DE SA ’IDE” Cannonau, Vermentino, Monica, Carignano, Muristellu, Nuragus... Ecco alcuni dei vitigni da cui nasce su inu, il vino sardo, “succo miracoloso della vite” DI CARLA DEPETRIS M “ a questo vino sembra aceto!”, penso io. Non oso dirlo ma lo sguardo tra il supplichevole e il divertito del mio accompagnatore mi conferma che è proprio così. “Questo è vino genuino garantito”, proclama intanto orgoglioso l’anziano contadino, mentre dà qualche colpetto affettuoso alla piccola botte. Siamo nella cantina di casa sua, fresca e scura. Le botti sono soltanto tre e tutto odora fortemente di vino. Ci riempie di nuovo i minuscoli bicchieri direttamente dal rubinetto della botte. “Beva, beva…”, insiste. Tento di rifiutare con la scusa che non ho mangiato niente. Non c’è scampo: i due bambinetti che sono attaccati ai suoi pantaloni vengono spediti in casa a prendere pane e formaggio. 197 IN CANTINA Adriano Mauri “Adesso, però, con il formaggio, deve assaggiare il vino rosso!”, dice. Intanto tira fuori dalla tasca un coltello a serramanico. Tiene la mezza forma di pane fatto in casa appoggiata allo stomaco e con gesti lenti e precisi ne taglia delle fette, spesse almeno due dita. Poi è la volta del formaggio, che ci offre sulla punta del coltello. Accidenti… è proprio buono! Ci guarda con occhi ridenti e sguardo benevolo. Mangia anche lui qualcosa, ma si capisce che lo fa più per dovere di ospite che per appetito. È una delicatezza, questa, che mi confonde. È un uomo semplice, con grandi mani dure come cuoio e il viso scolpito da rughe decise, nero di campagna. Eppure quanto garbo! Il mio accompagnatore mi spiega che in Sardegna, ancora oggi, molti contadini si fanno il vino in casa. E proprio perché non vogliono usare nessun artificio per mantenerlo, dopo appena qualche mese si “spunta”. “Ma loro lo bevono così da secoli, – aggiunge – e non ci fanno più caso”. Siamo nel Nuorese, e io mi incanto a guardare queste montagne silenziose, dove a tratti la roccia nuda forma gole oscure. Il vento sembra non avere un suo rumore, eppure è sostenuto, pieno di fragranze strane, così diverse da quelle che conosco. Sanno di luoghi remoti, antichi. Questi profumi mi danno una strana sensazione di dejà vu e cerco di capire dove e quando. “Adesso assaggerai i vini di queste parti, – dice il mio accompagnatore – quelli di cantina. Chiudi gli occhi e respira a fondo tutti questi odori. Mettili in memoria… poi mi dirai”. Ed eccoci a Jerzu, in Ogliastra. Malgrado la stagione l’aria è leggera, il vento lieve come la carezza di una mano fresca. Le anziane del paese vestono di nero, indifferenti al clima, dignitose e remote. La pelle dei visi ha il colore dell’avorio e gli sguardi sono intensi, seri. Mi sento intimidita con i miei abiti colorati, quasi fuori posto. Sfilata di vini di Sardegna, risultato della grande sapienza enologica che ha attraversato una civiltà millenaria. Dario Sequi IN CANTINA In cantina il mio compagno scambia cordiali saluti con tutti. C’è un incrociarsi di battute in una lingua che mi è totalmente estranea e poi ecco i bicchieri. Vino rosso. È il famoso Cannonau. Viene religiosamente versato con gesti calmi e con un avvitamento finale del polso per evitare che anche una sola goccia vada sprecata. Li osservo mentre portano il bicchiere alle labbra: gli occhi sono chiusi e l’espressione rapita. Li imito. Sì, gli occhi si devono chiudere, perché solo così si è concentrati sul sapore. Sento come un profumo di more, misto a qualcosa che mi ricorda il petalo vellutato di una rosa. È morbido, intenso, forte. Il calore che mi invade dentro mi fa venire voglia di ridere. Quando riapro gli occhi mi accorgo che mi guardano tutti divertiti e soddisfatti. Ormai siamo amici. Vengo invitata ad una cena a base di cinghiale e formaggio arrosto (quanto c’è di meglio per “accompagnare” il Cannonau, dicono). Vigneto nella Gallura settentrionale, terra del Vermentino Docg, “bandiera” della vitivinicoltura sarda. Quando il giorno dopo ripartiamo ho l’impressione di lasciare dei parenti. E nella mente il calore di un gran fuoco dove sfrigola una carne saporita, il piacere delle chiacchiere con un bel bicchiere di Cannonau da assaporare piano piano… Ed ecco il vento, il profumo dei cespugli caldi di sole, la morbidezza del velluto… Mi risveglia dalle mie fantasie il mio accompagnatore: “Siamo in Gallura. Qui conoscerai un’altra perla: il Vermentino”. Gallura… Che strano nome. Gli chiedo da dove deriva e mi spiega che il nome riecheggia nel gallo dello stemma pisano dei Visconti, primi signori del Giudicato. E il gallo, sin dal 1956, identifica i pregiati vini della Cantina della Gallura. “Ma per capire il Vermentino, – aggiunge – devi prima vedere una cosa…”. Mi fido di lui e non protesto. Proseguiamo il viaggio sino alla punta più a 201 IN CANTINA stare ferma. Alla fine della giornata sento la pelle calda e tesa, odorosa di mare. Ho una fame da lupi. Ed eccoci in un ristorantino allegro che mette in mostra una varietà incredibile di pesce e di frutti di mare. Senza neanche chiederlo ci arriva sulla tavola una bottiglia di Vermentino. Aspetto che il mio compagno me ne parli. Adoro quelle sue spiegazioni, sono così strane per chi non sa niente di vini. “Guarda il colore, – dice – deve essere paglierino, brillante. Il sapore secco, pieno, caldo. È un vino che ha nerbo ma anche armonia ed equilibrio. È un vino elegante ma non lasciarti ingannare: ha un tenore alcolico di 13 gradi”. Antonio Saba nord-est della Sardegna: Porto Rotondo, Porto Cervo, Palau, Santa Teresa di Gallura. Spiagge abbaglianti, l’acqua del mare lucente. I colori sembrano lavati di fresco, nuovi. Abituata ad un’aria che sembra sempre vista attraverso occhiali sporchi, è come se mi fossi tolta un velo. Tutto è chiaro, luminoso, pieno di fragranze vitali. Ed ecco ancora questa voglia di ridere, di buttarmi a capofitto dentro l’acqua maliziosa. Rocce granitiche dalle forme straordinarie, contorte o levigate, come se la mano del tempo, nella sua carezza continua, le avesse modellate per addolcirle. Il vento e il sole inebriano. Non riesco a Sopra : formaggi stagionati e saporiti salumi sardi si gustano al meglio con un buon bicchiere di Cannonau di Sardegna doc, vino regionale diffuso nel Cagliaritano, nella provincia di Oristano e in alcuni comuni del Nuorese (soprattutto Oliena e Jerzu). Il vitigno omonimo è ritenuto di origine iberica. IN CANTINA una strana zuppa fatta di fette di pane e formaggio fresco, il tutto irrorato di brodo e spolverato con pecorino fresco: Si chiama suppa cuata o zuppa gallurese. “Ci sta bene il Vermentino?” mi chiede. Caspita! Siamo allegri come due liceali in vacanza. “Per colpa del vino”, dico io. “Per merito suo”, corregge lui scandalizzato. Ed aggiunge che il Cannonau e il Vermentino, prodotti in tutta l’isola, assumono fragranze diverse a seconda del luogo di produzione: nel Campidano, nella Trexenta (che si pronuncia Tresgenta, come la j francese, ma così carezzevole che è impossibile Sì, quel giallo brillante sembra proprio compendiare tutta la luminosità della giornata appena passata. Chiudo gli occhi, come mi è stato insegnato. Resisto alla tentazione di bere tutto d’un fiato e trattengo in bocca quella splendida liquidità. Assaporo sino in fondo. La chiave di lettura me l’ha data il mio amico ed è tutto chiaro: ecco le rocce assolate e calde, la spiaggia abbagliante, il mare trasparente e luminoso! Non gli dico queste mie sensazioni, non ce n’è bisogno. Mi guarda con aria complice e riempie di nuovo il bicchiere. Arrivano cose deliziose: frutti di mare, I MIGLIORI VINI DI SARDEGNA Nevio Doz (A.B) Questi sono alcuni dei più rinomati e squisiti vini di Sardegna. Molti di essi hanno ottenuto negli ultimi anni prestigiosi riconoscimenti alle principali fiere e non temono confronti con i più celebrati vini nazionali e internazionali. Questo che segue è un elenco molto parziale, perché in realtà sono molte le produzioni degne di citazione. Tra i rossi vanno ricordati: il Turriga, un Igt prodotto dalle cantine Argiolas di Serdiana; il Terre Brune, un Carignano del Sulcis Doc della cantina di Santadi; il Nepente, Cannonau Doc della cantina di Oliena; il Marchese di Villamarina prodotto ad Alghero da Sella & Mosca; il Karana, un Nebbiolo di Luras Igt della cantina di Tempio; l’Ajana, un barricato Igt a base di Cannonau e Carignano, della cantina Ferruccio Deiana, e il Cannonau Doc della cantina di Jerzu. Tra i bianchi meritano una menzione speciale il Cerdena, barricato Igt di Argiolas; il Villa di Chiesa, Vermentino di Sardegna Doc barricato della cantina di Santadi; il Funtanaliras, Vermentino di Gallura Docg delle cantine di Monti; il Canayli, Vermentino di Gallura Docg superiore della cantina di Tempio; il Capichera, Vermentino di Gallura Docg dell’omonima cantina; lo Saruinas, Vermentino di Gallura Docg della giovane ma intraprendente cantina Depperu di Luras; il Pluminus, un barricato Igt di Ferruccio Deiana; il Tuvaòes, Vermentino di Sardegna Doc prodotto da Cerchi di Usini; il Gutt ’e Axina, Nasco Doc della cantina Villa di Quartu. Tra i classici vini da dessert, ricordiamo il Torbato Brut di Sella & Mosca, la Malvasia di Bosa della cantina di Flussio e la Vernaccia della cantina Contini di Cabras (nella foto). Adriano Mauri riprodurne il suono), così come nel Sarrabus, il sapore di questi vini si esalta con la morbidezza del calore delle campagne assolate e pigre, diventano “veri e propri nettari”, dice. Rimpiango di non aver più tempo a disposizione. La vacanza sta per finire e il mio amico mi tortura con tutte le cose che non farò in tempo a gustare: l’ambrata Vernaccia, che lui sostiene debba essere abbinata a cose salate e non con i dolci, la Malvasia, il Moscato, dove spiccano i sentori di favo di miele, il Carignano del Sulcis, il Monica di Sardegna… Ecco, vedo già questa “Insula Vini”, come verso la fine del Cinquecento la chiamava il botanico Andrea Bacci, simile a uno di quei bei sogni dove tutto si accavalla e le immagini sono lampi veloci che vorresti trattenere, ripercorrere piano piano per gustare le sensazioni vissute. Riparto lasciando purtroppo molte cose in sospeso. Ma la prossima volta… Una bottiglia del celebre Turriga, vino rosso ottenuto dall’assemblaggio di uve Carignano, Bovale Sardo, Cannonau e invecchiato in barrique. Associazioni I “BALUARDI” DELLA TIPICITÀ Un consorzio e una fondazione a difesa della ricchezza dei prodotti dell’isola DI ORNELLA D’ALESSIO P “ ocos, locos y mal unidos”: ecco come Carlo V definiva i sardi nel XV secolo. E ancora oggi il campanilismo su tutta l’isola continua a essere forte, anche e soprattutto fra paesi limitrofi. Solo negli ultimi tempi qualcosa sta cambiando. E qualcuno ha cominciato ad applicare il sano principio “l’unione fa la forza”, proprio nel settore alimentare. Uno dei fautori è Andrea Prato, che tre anni fa con due amici, uno storico commerciante di formaggi e salumi e il principale produttore di grano e cereali dell’isola, ha fondato il Consorzio Alimentare Sardo, ricalcando le orme della precedente piccola azienda Satta & Murgia, nata come distribuzione all’ingrosso di prodotti alimentari freschi nel Sassarese. “Ci siamo resi conto che si stava perdendo uno dei tesori isolani, la ricchezza e la varietà dei gusti, e che se non ci fossimo uniti – spiega Andrea Prato – sarebbe stato un disastro. I ristoranti, gli agriturismo e gli alberghi sardi fino a tre anni fa erano riforniti principalmente da aziende nazionali e internazionali. Ma la Sardegna è una terra sui generis in tutto, anche nei sapori delle materie prime, che sono rimasti quelli di una volta. La stessa seada, il dolce sardo più tipico, a livello industriale viene fatto con farine di dubbia qualità e il ripieno con sottoprodotti del latte; noi invece utilizziamo esclusivamente semola di grano duro, strutto casareccio, e formaggio fresco di vacca prodotto dal Caseificio di Berchidda, il paese del trombettista Paolo Fresu (l’azienda è visitabile e ha un punto vendita. Info: cell. 335/5489924-tel. 079/2679004). Altro ingrediente importante della seada, da aggiungere all’impasto di formaggio, è il limone. Noi utilizziamo solo il distillato fresco delle bucce di quelli belli e sugosi di Muravera. Altri esempi sono le farine, che noi produciamo con il 40 per cento di grano sardo, e le salsicce, fatte rigorosamente con suino isolano, sale e pepe, senza latte in polvere e conservanti, ma con carni fresche lavorate nello stabilimento di Chilivani (visitabile), una frazione di Ozieri. Altro bell’esempio di coesione popolare viene dalla Fondazione Logudoro Meilogu di Banari (tel. 079/826270, www.fondazionelogudoro.com ) che quest’anno, insieme alla Fondazione Banco di Sardegna e ai Comuni di Siligo, Bessude, Thiesi, Borutta e Cossoine, ha promosso un corso per valorizzare la cultura enogastronomica del territorio, attraverso lo studio di prodotti quali il vino, l’olio, i formaggi, gli insaccati, il pane e i dolci. Il corso, strutturato in lezioni teoriche e laboratori del gusto, ha permesso di affrontare “l’arte della tavola” sia come aspetto culturale delle tradizioni locali sia sul piano delle potenzialità occupazionali che tale risorsa rappresenta per produttori, operatori economici, amministrazioni locali e aziende agrituristiche. Concessionaria esclusiva per la pubblicità CAIRO COMMUNICATION S.p.A. Centro Direzionale Tucidide Via Tucidide, 56 - 20134 Milano Tel. 02/748131 - Fax 02/76118212 Valle d’Aosta/Piemonte/Liguria: Cairo Communication spa (filiale di Torino) Romagna/Marche: Cairo Communication spa (filiale di Rimini) Lazio/Campania/Basilicata/Puglia/Calabria: Cairo Communication spa (filiale di Roma) Via Cosseria, 1 - 10131 Torino Tel. 011/6600390 - Fax 011/6606815 Via Sigismondo, 95 - 47900 Rimini Tel. 0541/635469 - Fax 0541/787347 Via di Villa Emiliani, 46 - 00197 Roma Tel. 06/8022534 - Fax 06/80693164 Triveneto: Cairo Communication spa (filiale di Padova) Lombardia/Veneto Occidentale: Media Nord Est srl Sicilia: F&B srl Via C. Rezzonico, 26 - 35100 Padova Tel. 049/664160 - Fax 049/664061 Via Trento, 29/a - 25134 Brescia Tel. 030/3384833 - Fax 030/3388644 Via Libertà, 159 - 90143 Palermo Tel. 091/346653 - Fax 091/346765 Emilia: Cairo Communication spa (filiale di Bologna) Toscana/Umbria: Giovanni Ferrari Sardegna: Olimpia Matacena Collini Via Corte Isolani, 1 - 40125 Bologna Tel. 051/271261 - Fax 051/271356 Via Lambruschini, 16 - 50134 Firenze Tel. 055/476857 - Fax 055/4620503 Via Ravenna, 24 - 09125 Cagliari Tel. 070/305250 - Fax 070/343905 208