Ludovici I

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GIANLUCA LUDOVICI
L’acquiescenza anticipata alla sentenza: l’accettazione della sentenza anteriormente alla sua
pronuncia (con conseguente rinuncia preventiva all’impugnazione della stessa) può configurare
un negozio giuridico processuale plurilaterale a carattere aleatorio.
La Corte di Cassazione, Sez. Civ. II, con ordinanza interlocutoria n. 3469 del 06 Marzo 2012,
ha rimesso alle proprie Sezioni Unite una questione di particolare interesse e rilievo per
l’ordinamento processualcivilistico, concernente la validità dell’accordo in virtù del quale le parti di
una controversia civile involgente un diritto disponibile1 e sottoposta al vaglio di un giudice, ma
non ancora decisa, rinunciano alla impugnazione dell’emananda sentenza.
La quaestio iuris in esame non risulta aver trovato molta fortuna in dottrina ed in
giurisprudenza, se il Giudice ad quem ha rilevato solo poche pronunce espressione, peraltro, di un
orientamento risalente nel tempo e prima facie non proprio convincente. Uno dei precedenti
ricordati dal Supremo Collegio e già citato dalla Corte territoriale di Salerno 2 ad esempio del
consolidato insegnamento del Giudice di legittimità si esprimeva nei seguenti letterali termini: “la
rinunzia preventiva all’impugnazione è nulla perché essa tendendo ad alterare i contenuti dei
poteri dell’organo giudicante ed il sistema dei controlli previsti nel processo per l’esercizio della
funzione giurisdizionale contrasta con l’interesse pubblico che presiede allo svolgimento di detta
funzione”3.
La questione di diritto in esame appare, pertanto, meritevole di approfondimento. Al fine di
condurre un’analisi corretta e libera da vincoli derivanti da posizioni preconcette o ideologiche,
appare opportuno, prima di procedere alla trattazione vera e propria della questione, fissare un
punto fermo universalmente condiviso o condivisibile da cui poter poi muovere solidamente il
ragionamento. Tale dato di partenza non può che essere quel principio di libera disponibilità della
tutela giurisdizionale la cui immanenza è stata più volte rilevata dalla dottrina e dalla giurisprudenza
di legittimità attraverso un’opera di interpretazione sistematica delle norme del codice di rito: è noto,
infatti, come il sistema processualcivilistico italiano presupponga la “disponibilità dell’azione
giudiziale, essendo questa caratterizzata dalla non obbligatorietà di essere intrapresa o di essere
1
Sarebbe più corretto parlare di posizioni giuridiche soggettive disponibili, se, come sembra più corrispondente ai
principi di diritto processuale civile ed alle norme processualistiche, la disponibilità non deve essere intesa quale
attributo esclusivo dei diritti in senso stretto.
2
Cfr. Corte d’Appello di Salerno, sentenza n. 454/2010, in www.cortedicassazione.it.
3
Cass., sent. n. 2870/1974, in www.cortedicassazione.it.
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proseguita una volta avviata”4 ed espressione di un diritto inviolabile previsto e tutelato dall’art. 24
Cost.. Oltre alla libera scelta riconosciuta ad ogni cittadino di intraprendere o meno l’azione
giudiziaria deferendo alla capacità cognitiva e decisionale di un giudice terzo ed imparziale la
risoluzione della disputa, vengono alla mente, a conferma e fondamento della esistenza ed
operatività di un simile principio, altri istituti che postulano, invece, la sussistenza di un contenzioso
già incardinato dinanzi all’Autorità Giudiziaria Civile; il riferimento è ovviamente alle figurae del
ricorso per saltum ex art. 360, comma II C.P.C., della rinuncia agli atti del giudizio ex art. 306
C.P.C., dell’acquiescenza totale o parziale alla sentenza (intesa quale prodotto di una rinuncia
espressa o per atti concludenti 5 alla volontà di avvalersi dei rimedi impugnatori garantiti dalla
Legge) ex art. 329 C.P.C., della rinuncia all’appello ex art. 339 C.P.C., del disinteresse alla
prosecuzione del giudizio per inattività di entrambe le parti ex artt. 181 e 309 C.P.C. e le ipotesi di
mancata riassunzione della causa entro il termine di 3 mesi, a seguito del verificarsi di casi di
sospensione ex art. 295 C.P.C. o di interruzione ex artt. 299 C.P.C.. Per alcuni di questi istituti e, più
precisamente, per quelli sfocianti in una vera e propria manifestazione (aspetto soggettivo) e
dichiarazione (aspetto oggettivo) di volontà, si è correttamente parlato di “negozi giuridici
processuali”, vale a dire di atti di autonomia negoziale diretti a soddisfare uno scopo pratico (di
natura procedurale), tutelato e/o non vietato dall’ordinamento giuridico in generale e da quello
processualistico civile in particolare, i cui effetti vengono ritenuti dalla Legge conformi al
raggiungimento della specifica finalità perseguita. Questo è quanto accaduto per l’acquiescenza
(successiva alla sentenza) conseguente all’accettazione espressa o tacita ai sensi dell’art. 329,
comma I C.P.C., che costituisce secondo orientamento dominante in dottrina e giurisprudenza
chiara ipotesi di negozio giuridico, “posto che la suddetta norma fa uso dei concetti tipici che
qualificano il negozio giuridico, prevedendo accanto all’accettazione espressa, il compimento di
atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge” 6 ;
l’acquiescenza alla sentenza, per sua stessa natura preclusiva dell’impugnazione, consiste infatti
nell’accettazione del dictum giudiziale ovvero nella manifestazione da parte del soccombente della
volontà di non impugnare, volontà potenzialmente esternabile sia in forma espressa, che tacita.
Analogamente deve dirsi per il ricorso alla Corte di Cassazione mediante omissione dell’appello ex
4
Sic, Corte di Cassazione, Sez. Civ. II, ordinanza interlocutoria n. 3469 del 06 Marzo 2012, in www.cortecassazione.it.
Per usare le parole del codice di rito, si tratta di atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni
ammesse dalla legge.
6
R. STAIANO, Codice di Procedura Civile, a cura di Luigi Viola, Cedam, 2011, pagg. 532 e ss.; in giurisprudenza si
veda Cass. Civ., Sez. Un., sentenza resa in data 13 Ottobre 1993, n. 10112, in Mass. Giur. It., 1993, secondo cui:
“L’acquiscenza prevista dall’art. 329, c. 1, c.p.c. configura un negozio giuridico processuale”.
5
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art. 360, comma II C.P.C. (cosiddetto ricorso per saltum)7 in relazione al quale tanto la prevalente
dottrina, quanto l’unanime giurisprudenza di ogni ordine e grado hanno affermato che l’accordo
delle parti volto a far approdare la controversia decisa in primo grado dinanzi al Giudice di
legittimità “va ritenuto un negozio giuridico processuale, quanto meno sotto il profilo della
rilevanza della manifestazione di volontà dei dichiaranti, il cui effetto immediato è quello di
rendere non appellabile la sentenza oggetto dell’accordo”8.
Da un’attenta analisi degli istituti processuali sin qui considerati può rilevarsi come, sotto il
profilo dogmatico, oggetto di disposizione mediante il negozio giuridico processuale siano in primis
(rectius: direttamente o immediatamente) le posizioni giuridiche di carattere processuale e, in
secondo luogo (rectius: indirettamente o mediatamente), il diritto o bene della vita 9 per cui si
controverte. Sotto un certo punto di vista, dunque, il negozio giuridico processuale può essere inteso
come uno strumento ulteriore di disposizione dei diritti sostanziali che si affianca, ad esempio, a
quello della transazione ex art. 1966 C.C., ragion per cui, sebbene sulla posizione giuridica
sostanziale si incida, nei casi che qui interessano, solo in via indiretta o mediata, è pur sempre
opportuno che la posizione giuridica soggettiva oggetto della controversia sia qualificabile come
disponibile, vale a dire idonea a divenire oggetto di transazione, trasferimento, rinuncia, alienazione,
etc…10.
A tal punto, perché si possa parlare di negozio giuridico processuale (tipico) anche per la
rinuncia preventiva all’impugnazione, occorre verificare se, stante il vigente quadro normativo o,
più in generale, stante l’attuale assetto giuridico ordinamentale11, sia possibile ricondurla ad una
fattispecie astratta e se sì a quale12 . A ben vedere l’unico paradigma normativo potenzialmente
idoneo a racchiudere in sé l’istituto in esame è l’art. 329 C.P.C., rubricato “Acquiescenza”, il quale
fa riferimento ad un concetto generico di accettazione della sentenza, ossia ad un concetto di
rinuncia ad avvalersi dei mezzi di impugnazione previsti dal codice non necessariamente
contestualizzabile al termine del giudizio. Il dato letterale, infatti, pare lasciar aperta la porta a
7
Medesima argomentazione vale, dunque, per la fattispecie astratta ex art. 339, comma I C.P.C.
Sic Cass., sentenza resa in data 29 Aprile 1998, n. 4397; nei medesimi termini cfr. Cass., sentenza resa in data 22
Aprile 2004, n. 7707, ma soprattutto Cass. Sez. Un., sentenza resa in data 26 Luglio 2006, n. 16993.
9
Si ritiene che l’espressione di origine chiovendiana possa rendere in modo migliore l’idea della concretezza del diritto
oggetto di disputa.
10
L’idoneità in questione che verrà meno tutte quelle volte in cui l’attribuzione della titolarità della singola situazione
giuridica sarà effettuata dall’ordinamento in favore del singolo beneficiario, in risposta a ragioni sovraindividuali dirette
a soddisfare esigenze dell’intera collettività.
11
Per tenere nel dovuto conto anche i principi di diritto, oltre che le norme.
12
La riconducibilità dell’istituto in esame ad una preesistente fattispecie astratta incide esclusivamente sulla tipicità di
questo, non certo sulla sua validità e/o efficacia: se non si rinvenissero divieti espliciti o impliciti che impedissero
l’astratta configurabilità di un simile istituto, infatti, potrebbe comunque ammettersene l’esistenza e l’operatività come
figura di negozio giuridico (processuale) atipico.
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qualsiasi ipotesi di acquiescenza derivante da atti di accettazione-rinuncia (espressa) in qualsiasi
tempo compiuti, purché ovviamente a lite pendente. Al riguardo, però, occorre distinguere tra
acquiescenza esplicita ed acquiescenza implicita: gli atti incompatibili con la volontà di impugnare,
infatti, non sembrano poter produrre l’effetto di acquiescenza se realizzati prima della pronuncia
giudiziale, poiché in tal caso la condotta concludente non sarebbe diretta a manifestare una adesione
al dictum giudiziale o a rinunciare a qualsiasi forma di contestazione dello stesso, ma sarebbero
semplicemente diretti a scongiurare l’ipotesi di formazione di un provvedimento giurisidizionale (si
pensi alle condotte tipizzate della mancata riassunzione del processo sospeso od interrotto ex artt.
295 e 299 C.P.C. ovvero al disinteresse mostrata nei confronti del giudizio e del suo esito attraverso
le reiterate mancate comparizioni alle udienze ex artt. 181 e 309 C.P.C.). Risultato inverso si ha,
invece, per quanto riguarda le ipotesi di accettazione-rinuncia espressa: la volontà di accettare
l’emananda sentenza definitiva di un giudizio incardinato dinanzi all’Autorità Giudiziaria Civile,
manifestata ancor prima che la pronuncia sia venuta ad esistenza, non incide né in astratto, né in
concreto sul regolare svolgimento dell’iter processuale, limitandosi le parti della querelle ad
anticipare ciascuna la propria intenzione di prestare acquiescenza alla futura ed eventuale sentenza
conclusiva del grado di giudizio; in questo modo non si manifesta disinteresse per l’esito della
causa, anzi lo si valorizza attribuendo il massimo peso al pronunziando provvedimento
giurisdizionale13.
Argomenti a favore della validità di una accettazione-rinuncia anteriore alla pronunzianda
sentenza possono pure indirettamente trarsi14 dalla norma di cui all’art. 829, comma I C.P.C.: tale
disposizione prevede come sia sempre possibile l’impugnazione per nullità del lodo rituale 15 ,
“nonostante qualunque preventiva rinuncia”. Il tenore della norma de qua è tale da far pensare che
l’eventuale accordo diretto a manifestare preventivamente l’acquiescenza alla pronuncia arbitrale
rituale debba essere ritenuto tamquam non esset, quindi più che invalido, si direbbe improduttivo di
effetti tra le parti. Il Legislatore ne postula la potenziale materiale esistenza, ma lo priva di efficacia
impeditiva del ricorso ai mezzi di impugnazione previsti dalla legge16. L’accostamento operato tra
sentenza e lodo rituale non appare in astratto privo di fondamento; come noto, dopo la riforma del
13
Tutto ciò precisando, in ogni caso, che l’eventuale impossibilità di ricondurre l’acquiescenza preventiva nell’alveo
dell’art. 329 C.P.C. non pregiudica la validità e/ o l’efficacia dell’atto di accettazione-rinuncia in esame, il quale, se non
trova ostacoli espressi o impliciti nel più generale quadro normativo dell’ordinamento giuridico (cosa che si verificare
tra breve), ben può trovare in quest’ultimo, seppur in veste di negotium atipico, diritto di cittadinanza.
14
Come si chiarirà tra breve, argomenti a sostegno possono trarsi quanto meno con riferimento alla rinuncia preventiva
all’impugnazione di merito per ingiustizia (sostanziale); obiettivamente discutibile appare il richiamo all’art. 829 C.P.C.
per quanto concerne la rinuncia preventiva all’impugnazione di rito per invalidità.
15
Ovviamente nei soli casi tassativamente elencati nei numeri da 1) a 12) dell’art. 829 C.P.C..
16
Analogo discorso sembra potersi fare per quanto riguarda la revocazione e l’opposizione di terzo del lodo rituale ai
sensi dell’art. 831, comma I C.P.C.
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2006 17 , il lodo rituale ha, dalla data della sua ultima sottoscrizione, gli effetti della sentenza
pronunciata dall’Autorità Giudiziaria, con l’espressa eccezione dell’efficacia esecutiva18.
La sostanziale coincidenza tra pronuncia giurisdizionale e decisione arbitrale rituale, impone,
pertanto, una riflessione: se il Legislatore ha sentito l’esigenza di esplicitare e sancire l’inefficacia
di eventuali patti contrari all’impugnazione del lodo rituale stretti, anteriormente alla pronuncia
dello stesso, tra le parti della procedura arbitrale, perché non ha provveduto in modo identico o
quanto meno analogo per la sentenza emessa dal giudice istituzionale, qualora esso avesse ritenuto
sussistenti motivi di incompatibilità con (contrarietà a) l’ordinamento giuridico? Tanto più che se
esistesse realmente un’esigenza di salvaguardia di interessi di rilevanza pubblica nel mantenere
inalterato l’iter procedurale del giudizio, essa si farebbe maggiormente sentire in relazione al
processo che si svolge dinanzi all’Autorità Giudiziaria, piuttosto che quello che si dipana dinanzi ad
individui (gli arbitri) che sono e restano soggetti privati.
Qualora poi si volesse obiettare che la preclusione di cui all’art. 829 C.P.C. sia in realtà
espressione di un principio generale dell’ordinamento giuridico (che ha trovato tuttavia esplicita
manifestazione solo per la disciplina dell’arbitrato rituale 19 ) e come tale applicabile anche
all’impugnazione della sentenza pronunciata dai Tribunali e dalle Corti della Repubblica, si
dovrebbe allora correttamente restringere il campo di applicazione del divieto implicito de quo alle
sole ipotesi di rinuncia preventiva all’impugnazione di rito per invalidità della sentenza, in stretta
analogia con quanto previsto per il lodo rituale20; sembrerebbe, allora, pur sempre logico ammettere
la validità della rinuncia preventiva all’impugnazione di merito per ingiustizia sostanziale della
decisione giudiziale, la quale, versandosi in ipotesi di diritti disponibili, non dovrebbe trovare limiti
di natura pubblicistica.
Nell’intendimento di chi scrive, però, la presenza di una norma che sottrae qualsiasi efficacia
ad un pactum preventivo in virtù del quale le parti si accordano nell’accettare la futura decisione del
caso concreto, valido solo per il giudizio arbitrale, ancorché rituale, e l’assenza di qualsiasi
disposizione normativa destinata a reprimere ipotesi di acquiescenza anteriore alla sentenza, non
può che condurre a ritenere ammissibili (rectius: validi ed efficaci), quali leciti e non vietati 21
17
Cfr. D.Lgs. n. 40/2006.
L’efficacia esecutiva è sempre subordinata alla procedura di exequatur prevista dall’art. 825 C.P.C.
19
Motivo per cui dalla mancata previsione di una disposizione analoga dettata per il processo vero e proprio non
sarebbe possibile trarre la certezza dell’esistenza di una regola inversa a quella sancita dall’art. 829 C.P.C..
20
Come noto, l’impugnazione ex art. 829 C.P.C. è un’impugnazione di nullità che, salvo casi particolari, non attiene al
merito della decisione.
21
Sulla liceità e sulla assenza di divieti espressi o taciti si dirà infra.
18
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negozi giuridici processuali, gli accordi diretti a rinunciare preventivamente al diritto ad impugnare
l’emananda sentenza.
A questo punto, dunque, è necessario interrogarsi su quali effetti negativi potrebbero derivare
dall’ammissibilità di un’acquiescenza anticipata (validità del relativo patto) ossia dalla operazione
di sussunzione della rinuncia preventiva all’impugnazione alla fattispecie processuale di cui all’art.
329 C.P.C.. Seguendo il ragionamento della giurisprudenza di legittimità più risalente22 e condiviso
da ultimo dalla Corte territoriale di Salerno 23 , risulterebbero compromessi da un patto volto a
scongiurare l’impugnazione della sentenza ancora da pronunciare due distinti “beni giuridici”: più
correttamente si verificherebbe una compromissione dei poteri del giudicante, nonché
un’alterazione dell’iter processuale disegnato dal codice di procedura civile, iter che apparirebbe
caratterizzato dall’essere espressione di un interesse pubblico, come tale non derogabile da parte dei
privati. A ben
vedere, tuttavia, le ragioni fondanti di un simile orientamento non sembrano
convincere affatto. Non si comprende24, infatti, come un pactum che intervenga in corso di causa tra
tutte le parti della stessa, (assolutamente libere di regolare privatamente i propri interessi così come
garantito ex art. 41 Cost. e 1322 C.C.25), non dovendo essere necessariamente portato a conoscenza
del giudice investito della querelle, possa in qualche modo condizionare o alterare la decisione o la
serenità di giudizio di quest’ultimo, posto che, anche se si palesasse al giudicante l’intervenuto
accordo, la volontà di essere acquiescenti sarebbe stata espressa da tutte le parti della controversia e
non solo da alcune, sì da non indurre il giudice a “favorire” inconsciamente la parte acquiescente.
Ugualmente non convincente appare il richiamo al presunto divieto implicito costituito dal
dovere di astenersi da qualsiasi condotta che modifichi il percorso procedurale delle controversie
deferite all’Autorità Giudiziaria Civile: a ben vedere una simile argomentazione non sembra
meritevole di condivisione poiché appare stridere con il consolidato principio della libera
disponibilità dell’azione giudiziaria ex art. 24 Cost., che, lo si ricorda, ha costituito il punto di
partenza della presente analisi proprio in virtù della sua universalmente accettata portata. Non
risulta al momento che il mantenimento dell’iter processuale astrattamente delineato dal Legislatore
sia oggetto di tutela espressa da parte di norme di rango costituzionale o ordinario, né implicita ad
22
Vedi supra Cass. sent. 2870/1974.
Cfr. Corte d’Appello di Salerno, sentenza n. 454/2010, in www.cortedicassazione.it.
24
Neppure la Sezione Semplice ad quem della Suprema Corte dimostra di aver ben compreso i termini delle espressioni
impiegate dalla risalente Cass., sent. n. 2870/1974, se nell’ordinanza interlocutoria n. 3469/2012 arriva ad affermare:
“l’orientamento della Corte Suprema di Cassazione, così come richiamato e accolto dalla Corte salernitana, merita di
essere approfondito, comunque, chiarito, non foss’altro perché non perfettamente intelligibile, considerato che non
appare di agevole comprensione l’idea che una rinunzia sia pure preventiva all’impugnazione di un’emananda
sentenza, possa alterare il contenuto dei poteri dell’organo giudicante e il sistema dei controlli previsti nel processo
per l’esercizio della funzione giurisdizionale”.
25
Seppur con i limiti di cui all’art. 1418 C.C..
23
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opera di immanenti principi fondamentali o dogmi giuridici che impongano a chi intraprende
l’azione giudiziale di dover percorrere tutti i gradi di giudizio, anche perché se così fosse non
avrebbero alcun senso le già citate ipotesi della rinuncia agli atti del giudizio, della rinuncia
successiva all’impugnazione, della mancata comparizione alle udienze, etc… Se si ipotizzasse, poi,
la rilevanza pubblicistica (intesa quale cogenza ed inderogabilità) delle disposizioni riguardanti il
percorso processuale, non si spiegherebbero allora neppure le più che legittime esistenza ed
operatività dell’istituto dell’arbitrato (rituale), strumento di risoluzione delle controversie civili e
commerciali alternativo26 alla giurisdizione dei giudici statali.
Ipotetico profilo di inammissibilità (nullità del patto di accettazione-rinuncia de quo) potrebbe
in modo più convincente configurarsi in relazione ad altra più seria questione, vale a dire in
relazione al fatto che la situazione giuridica soggettiva di carattere processuale27 oggetto di accordo
(il diritto all’impugnazione) non è ancora venuta ad esistenza nel momento in cui le parti ne
dispongono. Trattandosi in ogni caso28 di un negozio giuridico (processuale), la risposta al presente
interrogativo deve trovarsi mediante il ricorso ai principi generali del diritto ed alla disciplina legale
dei negozi giuridici, nonché, in particolare, alla disciplina prevista per i contratti29, così come posta
dal Codice Civile. Se ciò che desta perplessità nell’ammettere l’esistenza di un istituto giuridico
quale quello in esame è la circostanza che le parti accettano l’assetto fattuale-giuridico determinato
da una sentenza non ancora emessa ovvero rinunciano all’impugnazione di quest’ultima per
contestarne il contenuto ancor prima di conoscerlo, deve ricordarsi che nel nostro ordinamento
giuridico è contemplata l’esistenza dei cosiddetti contratti aleatori. L’idea di derivare la nullità
dell’accordo
preventivo
in
disamina
dall’assenza
di
consapevolezza
circa
l’oggetto
dell’accettazione-rinuncia, non appare pertanto condivisibile, né corretta, atteso che nel diritto
positivo viene espressamente ammessa la sussistenza di atti negoziali in cui l'entità e l'esistenza
della prestazione che ne costituisce oggetto è collegata ad un elemento incerto (incertus an, incertus
26
Corte Cost., sentenza resa in data 28 Novembre 2001, n. 376 in www.cortecostituzionale.it; di segno opposto, ossia a
sostegno di una ricostruzione dell’arbitrato come strumento derogatorio della giurisdizione statale, si consideri: Cass.,
Sez. Un., sentenza resa in data 03 Agosto 2000, n. 527, in Riv. Arb., 2000, pagg. 699 e ss, con nota di Fazzalari, Una
svolta attesa in ordine alla natura dell’arbitrato; ed in Riv. Dir. Proc., 2001, pagg. 254 e ss., con nota di E.F. Ricci, La
natura dell’arbitrato rituale e del relativo lodo: parlano le SS.UU.. In dottrina, per la tesi dell’alternatività si veda tra
tutti: G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, II Ed., Torino, Giappichelli, 2006.
27
Ovviamente la situazione giuridica soggettiva sostanziale preesiste ed è quella il cui accertamento costituisce oggetto
della domanda giudiziale.
28
Oggetto di discussione, infatti, non è tanto la configurabilità di un accordo diretto ad ottenere la rinuncia preventiva
alla impugnazione, bensì la validità ed efficacia di un simile atto.
29
A differenza della rinuncia espressa all’impugnazione successiva alla pronuncia della sentenza, che è un atto
evidentemente unilaterale, la rinuncia in via preventiva assume i connotati di un vero e proprio atto bilaterale o, se si
vuole, plurilaterale.
7
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quando), tanto che il rischio contrattuale (l’alea, per l’appunto) vi assume rilevanza causale30. Ora,
se l’incertezza circa il venire ad esistenza della prestazione contrattuale e, ex latere creditoris, del
diritto ad ottenerla, vengono accettati dall’ordinamento giuridico tanto da consentire al Legislatore
di creare figurae tipiche di negozio aleatorio, quali l’emptio spei, il contratto di assicurazione,
etc… 31 , appare possibile affermare l’astratta configurabilità e soprattutto la liceità di un atto di
accettazione preventiva della sentenza ossia di rinuncia all’impugnazione della stessa, sotto le
spoglie del negozio giuridico processuale aleatorio. L’alea nel caso di specie consisterebbe nel
rinunciare al diritto all’impugnazione, quando ancora non si è certi che la controversia sarà decisa
con sentenza e quando ancora le parti non hanno contezza del fatto che all’esito del processo si
troveranno in posizione di soccombenza, ancorché soltanto parziale: in tal modo le parti assumono
su di loro il rischio, assolutamente lecito in ragione del principio di libera disponibilità dei mezzi di
tutela giurisdizionale, di accondiscendere (rectius: manifestare acquiescenza) ad una statuizione
giudiziale loro sfavorevole, in tutto o in parte, rispetto al diritto sostanziale (disponibile)
controverso32.
Al contrario, non appare possibile ipotizzare per l’acquiescenza preventiva un negozio
giuridico (processuale) sottoposto a condizione sospensiva. Dedurre il verificarsi di un evento
futuro ed incerto quale condizione per l’efficacia di un accordo, presuppone in ogni caso la
preesistenza (rispetto all’evento incertus an et quando) del diritto oggetto di disposizione: è
evidente, per quanto sin qui argomentato, come nel caso che occupa non potrebbe parlarsi di
preesistenza del diritto processuale ad avvalersi dei mezzi di impugnazione previsti dalla Legge,
30
L’alea costituisce parte della causa del contratto o negozio giuridico.
Nel Codice Civile troviamo diversi riferimenti: i più importanti riguardano la vendita aleatoria (art. 1472, comma II
C.C.), i premi ed altre utilità aleatorie prodotte dai titoli di credito (art. 1998 C.C.). Gli artt. 1448 e 1469 C.C.
sottolineano la peculiarità della categoria in parola, escludendo l'applicabilità dei rimedi previsti per i contratti a
prestazioni corrispettive (rectius: per i contratti commutativi). Pertanto la marcata assunzione del rischio all'interno del
contratto fa sì che mai si possa giungere alla rescissione per lesione e alla risoluzione per eccessiva onerosità
sopravvenuta. In dottrina, si veda al riguardo: F. GAZZONI, Manuale di Diritto Privato, XI Ed., Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 2004.
32
Qualora si volesse eccepire che nel sistema di diritto sostanziale civile l’aleatorietà è prevista quale attributo dei soli
contratti sinallagmatici e che nel caso di acquiescenza preventiva si verifica solo una reciproca rinuncia delle parti ad
impugnare la futura ed eventuale sentenza senza pattuizioni di controprestazioni, si dovrebbe considerare che all’atto
pratico le parti ricollegano al verificarsi dell’evento incerto (la pronuncia della sentenza ad esse sfavorevole)
l’insorgenza di una prestazione corrispettiva in capo alla parte risultante vittoriosa all’esito del giudizio, così da
controbilanciare ex ante l’effetto negativo derivato ex post alla parte soccombente dalla sentenza (questo è quanto
capitato pure nel caso concreto ora al vaglio delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione). Va osservato, poi,
che la realizzazione di questo regolamento negoziale ante sententiam non si sovrappone, né si sostituisce quoad causam
al contratto di transazione ex artt 1966 e ss. C.C., poiché nella transazione le parti si fanno reciproche concessioni al
fine di dirimere una controversia attuale o potenziale, rinunciando al ricorso agli organi giurisdizionali ovvero alla
pronuncia di questi, qualora la disputa sia approdata dinanzi ad un giudice; il patto di acquiescenza preventiva, al
contrario, presuppone la volontà di tutte le parti che la querelle sia risolta dall’Autorità Giudiziaria adita per quel (e
quello solo) grado di giudizio, la cui decisione definirà in modo risolutivo la lite e sarà compensata, nei propri effetti
negativi, dalle controprestazioni preventivamente dedotte nell’accordo stretto dalle parti della controversia.
31
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poiché nel momento in cui si stringe il patto per l’acquiescenza preventiva quella situazione
giuridica soggettiva (processuale), principale oggetto di disposizione, non è ancora venuta ad
esistenza33.
A ben vedere, quindi, sembra che il configurare un’accettazione preventiva della sentenza
ossia una rinuncia preventiva ad impugnare la stessa non possa in qualche modo compromettere
alcun bene giuridico, né condurre a risultati contrastanti con i principi fondamentali, le norme
imperative, l’ordine pubblico o il buon costume ovvero a risultati non approvati, neppure in via
implicita, dall’ordinamento giuridico, così come non sembra che l’istituto in esame possa incidere
in senso pregiudizievole sulla formazione del giudicato: tanto la sottrazione della pronuncia
giudiziale (che si accetta preventivamente) ai mezzi di impugnazione ordinari previsti dalla legge ex
art. 324 C.P.C. (giudicato formale), quanto la conservazione dell’idoneità della medesima a fare
stato tra le parti, i loro eredi o aventi causa ex art. 2909 C.C. (giudicato sostanziale), sembrano,
infatti, ancor più esaltati dalla scelta delle parti di rinunciare all’impugnazione anteriormente alla
pronuncia della sentenza, poiché in tal modo vengono ridotti al minimo, se non azzerati, i tempi di
attesa per la formazione del giudicato stesso.
Gli effetti così prodotti sulla formazione del giudicato appaiono costituire uno dei maggiori
vantaggi offerti dalla qualificazione dogmatica della rinuncia anticipata all’impugnazione come
negozio giuridico processuale plurilaterale aleatorio34. Il rapido formarsi di un dictum giudiziale
irretrattabile, immodificabile ed insuscettibile di revisione (se non quella straordinaria di cui all’art.
395, nn. 1), 2), 3) e 6) C.P.C.) concorre alla più rapida formazione di quel bene di primaria
importanza per ogni moderno e civile ordinamento giuridico che prende il nome di “certezza del
diritto”, con tutto ciò che ne consegue anche sul piano dei rapporti sociali ed economici, nonché in
termini di giusta durata dei processi.
In conclusione, una volta ipotizzata la riconducibilità dell’accettazione della sentenza
anteriormente alla sua pronuncia ovvero della rinuncia preventiva all’impugnazione del
provvedimento giudiziale al parametro normativo di cui all’art. 329 C.P.C. e, soprattutto, una volta
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Vale comunque la pena di evidenziare come l’ipotesi della condizione sospensiva, ove fosse idealmente sostenibile,
non condurrebbe in ogni caso ad un risultato intrinsecamente contrastante con la disciplina legale dei contratti, atteso
che la condizione sarebbe certamente lecita. Essa sarebbe altresì certamente non potestativa e come tale opponibile al
negozio, poiché eventuali condotte ostruzionistiche della parte che preavverte la propria soccombenza in giudizio
potrebbero essere efficacemente contrastate dall’attività della controparte interessata alla definizione giudiziale della
disputa.
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Se si tratti di negozio tipico o atipico dipenderà dalla possibilità o volontà di ritenerlo sussumibile alla fattispecie
astratta di cui all’art. 329 C.P.C..
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esclusa la presenza di divieti espressi o impliciti35 (di qualsiasi rango nella gerarchia delle fonti) al
configurarsi di un simile istituto nell’ordinamento processuale civile italiano, non sembra dubitabile
la ricostruzione della accettazione-rinuncia in esame come negozio giuridico processuale
plurilaterale, appartenente alla medesima categoria dogmatica di altri atti, quali il ricorso per saltum
al Giudice di legittimità e, non da ultimo, l’accettazione (successiva) espressa o tacita della sentenza.
Ciò con la sensibile differenza che, involgendo l’istituto de quo un diritto (rectius: una situazione
giuridica soggettiva) di natura processuale non ancora venuta ad esistenza (vale a dire il diritto ad
impugnare) e della cui insorgenza, come anticipato, non vi è neppure certezza alcuna36, il negozio
giuridico dovrà intendersi necessariamente aleatorio, quindi caratterizzato nella sua stessa struttura
interna dal rischio, o meglio dalla duplice alea che il giudizio istaurato venga effettivamente deciso
dall’organo giudicante adito e che la posizione di soccombenza venga attribuita all’una o all’altra
parte sostanziale.
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Si tenga presente quanto detto supra a proposito dell’art. 829 C.P.C.: laddove si volesse intendere la norma appena
citata come possibile espressione di un principio di ordine generale, valido, dunque, anche per la sentenza pronunciata
dai Tribunali e dalle Corti della Repubblica, la validità della teorie espresse in queste pagine sarebbe comunque fatta
salva in relazione all’ipotesi della rinuncia preventiva all’impugnazione di merito per ingiustizia sostanziale.
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Si ricorda che il procedimento civile potrebbe estinguersi ancor prima che la causa venga trattenuta dal giudicante per
essere decisa, come nelle ipotesi di mancata riassunzione a seguito di sospensione ex art. 295 C.P.C. o di interruzione ex
art. 299 C.P.C. oppure nei casi di mancata comparizione o di rinuncia agli atti del giudizio ex art. 306 C.P.C.
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