SCUOLA SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Formazione permanente anno 2015 Napoli, 16 aprile 2015 Incontro di studi sul tema: L’azione giudiziaria di cui al comma 8 art. 13 L. 257/92 e succ.mod.: questioni aperte in tema di domanda amministrativa, decadenza, prescrizione Relatore dott.ssa Caterina Marotta Consigliere della Corte di Cassazione - sezione lavoro - QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO DECRETO LEGISLATIVO 15 agosto 1991, n. 277 - Attuazione delle direttive n. 80/1107/CEE, n. 82/605/CEE, n. 83/477/CEE, n. 86/188/CEE e n. 88/642/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro, a norma dell’art. 7 della legge 30 luglio 1990, n. 212 Art. 24 (Valutazione del rischio) << 1. In tutte le attività lavorative di cui all’art. 22 il datore di lavoro effettua una valutazione del rischio dovuto alla polvere proveniente dall’amianto e dai materiali contenenti amianto, al fine di stabilire le misure preventive e protettive da attuare. Si applica l’art. 11, comma 6. 2. Detta valutazione tende, in particolare, ad accertare l’inquinamento ambientale prodotto dalla polvere proveniente dall’amianto o dai materiali contenenti amianto, individuando i punti di emissione di dette polveri ed i punti a maggior rischio delle aree lavorative, e comprende una determinazione dell’esposizione personale dei lavoratori alla polvere di amianto. 3. Se l’esposizione personale dei lavoratori alla polvere di amianto, espressa come numero di fibre per centimetro cubo in rapporto ad un periodo di riferimento di otto ore, supera 0,1 fibre per centimetro cubo, il datore di lavoro attua le disposizioni degli artt. 25, comma 1, 26, comma 2, 27, comma 2, 28, comma 2, 30 e 35. Tuttavia nel caso di attività che comportano l’impiego di amianto come materia prima gli articoli 25 e 30 sono in ogni caso applicabili. 4. Nel caso di attività a carattere saltuario e qualora l’amianto sia costituito da crisotilo, la determinazione dell’esposizione personale dei lavoratori alla polvere di amianto è sostituita dalla determinazione della dose cumulata in rapporto ad un periodo di riferimento di otto ore, su un periodo di quaranta ore, misurata o calcolata ai sensi del comma 3. 5. Se detta dose supera 0,5 giorni-fibra per centimetro cubo, il datore di lavoro attua le disposizioni degli articoli 25 comma 1, 26, comma 2, 27, comma 2, 28, comma 2, 30 e 35. 6. La valutazione di cui al comma 2 può prescindere dall’effettuazione di misurazioni strumentali nelle attività per le quali, a motivo delle caratteristiche delle lavorazioni effettuate o della natura e del tipo dei materiali trattati, si può fondatamente ritenere che l’esposizione dei lavoratori non supera i valori di cui ai commi precedenti. Per tale valutazione è possibile fare riferimento a dati ricavati da attività medesima natura svolte in condizioni analoghe. 7. Il datore di lavoro effettua nuovamente la valutazione ogni qualvolta si verifichino nelle lavorazioni delle modifiche che possono comportare un mutamento significativo dell’esposizione dei lavoratori alla polvere proveniente dall’amianto o dai materiali contenenti amianto e, comunque, trascorsi tre anni dall’ultima valutazione effettuata. 8. Nuove valutazioni sono inoltre effettuate ogni qualvolta l’organo di vigilanza lo disponga, con provvedimento motivato. 9. I lavoratori ovvero i loro rappresentanti sono consultati prima dell’effettuazione della valutazione di cui al presente articolo e sono informati dei risultati riportati su un apposito registro da tenere a loro disposizione >>. Art. 31 (Superamento dei valori limite di esposizione) <<1. I valori limite di esposizione alla polvere di amianto nell’aria, espressi come media ponderata in funzione del tempo su un periodo di riferimento di otto ore, sono: a) una fibra per centimetro cubo per il I crisotilo; b) 0,2 fibre per centimetro cubo per tutte le altre varietà di amianto, sia isolate sia in miscela, ivi comprese le miscele contenenti crisotilo. 2. A decorrere dal 1° gennaio 1993 il valore limite di esposizione per crisotilo è di 0,6 fibre per centimetro cubo, eccezion fatta per le attività estrattive. A decorrere dal 1° gennaio 1996 lo stesso valore limite di cui sopra è esteso alle attività estrattive. 3. Nel caso di lavorazioni che possono comportare sensibili variazioni della concentrazione della polvere di amianto nell’aria, tale concentrazione non deve in ogni caso superare il quintuplo dei valori di cui ai commi precedenti per misure effettuate su un periodo di 15 minuti. 4. Se si verifica un superamento dei valori limite di esposizione di cui ai commi precedenti, il datore di lavoro identifica e rimuove la causa dell’evento adottando quanto prima misure appropriate. 5. Il lavoro può proseguire nella zona interessata solo se sono state prese le misure adeguate per la protezione dei lavoratori interessati e dell’ambiente. Se le misure di cui al comma 4 non possono essere adottate immediatamente per motivi tecnici, il lavoro può proseguire nella zona interessata soltanto se sono state adottate tutte le misure per la protezione dei lavoratori addetti e dell’ambiente, tenuto conto del parere del medico competente. 6. Per verificare l’efficacia delle misure di cui al comma 4, il datore di lavoro procede ad una nuova misurazione della concentrazione delle fibre di amianto nell’aria non appena sia ragionevole ritenere ultimata la deposizione dei quantitativi anomali di fibre preesistenti agli interventi medesimi. 7. In ogni caso, se l’esposizione dei lavoratori interessati non può venire ridotta con altri mezzi e si rende necessario l’uso dei mezzi individuali di protezione, tale uso non può essere permanente e la sua durata, per ogni lavoratore, è limitata al minimo strettamente necessario. 8. L’organo di vigilanza è informato tempestivamente e comunque non oltre cinque giorni delle rilevazioni effettuate e delle misure adottate o che si intendono adottare. Trascorsi novanta giorni dall’accertamento del superamento dei valori di cui ai commi 1, 2 e 3, il lavoro può proseguire nella zona interessata soltanto se l’esposizione dei lavoratori risulta nuovamente inferiore ai suddetti valori limite. 9. Il datore di lavoro informa al più presto i lavoratori interessati ed i loro rappresentanti dell’evento e delle cause dello stesso e li consulta sulle misure che intende adottare, anche ai sensi del comma 5; in casi di particolare urgenza, che richiedono interventi immediati, li informa al più presto delle misure già adottate>>. ******* LEGGE 27 marzo 1992 n. 257 Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto (nel testo con le modifiche apportate dalla LEGGE 4 agosto 1993 n. 271) Capo I - DISPOSIZIONI GENERALI Art. 1 - Finalità <<1. La presente legge concerne l’estrazione, l’importazione, la lavorazione, l’utilizzazione, la commercializzazione, il trattamento e lo smaltimento, nel territorio nazionale, nonché l’esportazione dell’amianto e dei prodotti che lo contengono, per la realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate dall’inquinamento da amianto, per la ricerca finalizzata alla individuazione di materiali sostitutivi e alla riconversione produttiva e per il controllo sull’inquinamento da amianto. 2. A decorrere da trecentosessantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge sono vietate l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto, ivi compresi quelli di cui alle lettere c) e II g) della tabella allegata alla presente legge, salvo i diversi termini previsti per la cessazione della produzione e della commercializzazione dei prodotti di cui alla medesima tabella. [il comma 2 è stato così sostituito dall’art. 16 comma 1 della legge 24 aprile 1998, n. 128: “Sono vietate l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto”. Inoltre dall’art. 4, comma 29, della legge 9 dicembre 1998, n. 426, sono stati aggiunti i seguenti periodi: “Previa autorizzazione espressa d’intesa fra i Ministri dell’ambiente, dell’industria, del commercio e dell’artigianato e della sanità, è ammessa la deroga ai divieti di cui al presente articolo per una quantità massima di 800 chilogrammi e non oltre il 31 ottobre 2000, per amianto sotto forma di treccia o di materiale per guarnizioni non sostituibile con prodotti equivalenti disponibili. Le imprese interessate presentano istanza al Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato che dispone, con proprio provvedimento, la ripartizione pro-quota delle quantità sopra indicate, nonché determina le modalità operative conformandosi alle indicazioni della commissione di cui all’articolo 4”] >>. CAPO IV - MISURE DI SOSTEGNO PER I LAVORATORI Art. 13 - Trattamento straordinario di integrazione salariale e pensionamento anticipato <<1. Ai lavoratori occupati in imprese che utilizzano ovvero estraggono amianto, impegnate in processi di ristrutturazione e riconversione produttiva, concesso il trattamento straordinario di integrazione salariale secondo la normativa vigente [il comma 1 è stato poi modificato dall’art. 4, comma 20, del D.L. 1° ottobre 1996, n. 510, recante disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale convertito nella legge L. 28 novembre 1996, n. 608: “Al comma 1 dell’articolo 13 della legge 27 marzo 1992, n. 257, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: ‘anche se il requisito occupazionale sia pari a quindici unità per effetto di decremento di organico dovuto a pensionamento anticipato”]. 2. Con effetto fino a settecentotrenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge i lavoratori occupati nelle imprese di cui al comma 1, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari, e che possano far valere nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità , la vecchiaia ed i superstiti almeno trenta anni di anzianità assicurativa e contributiva agli effetti delle disposizioni previste dall’articolo 22, primo comma, lettere a) e b), della legge 30 aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni, hanno facoltà di richiedere la concessione di un trattamento di pensione secondo la disciplina di cui al medesimo articolo 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni, con una maggiorazione dell’anzianità assicurativa e contributiva pari al periodo necessario per la maturazione del requisito dei trentacinque anni prescritto dalle disposizioni sopra richiamate, in ogni caso non superiore al periodo compreso tra la data di risoluzione del rapporto e quella del compimento di sessanta anni, se uomini o cinquantacinque anni se donne. 3. Il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), su proposta del Ministro del lavoro e della previdenza sociale , sentito il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, individua i criteri per la selezione delle imprese di cui al comma 1 e determina entro il limite di seicento unità , il numero massimo di pensionamenti anticipati. 4. Le imprese, singolarmente o per gruppo di appartenenza, rientrati nei criteri di cui al comma 3 che intendono avvalersi delle disposizioni del presente articolo, presentano programmi di ristrutturazione e riorganizzazione e dichiarano l’esistenza e l’entità delle eccedenze strutturali di manodopera, richiedendone l’accertamento da parte del CIPE, unitamente alla sussistenza dei requisiti di cui al comma 2. 5. La facoltà di pensionamento anticipato pu essere esercitata da un numero di lavoratori non superiore a quello delle eccedenze accertate dal CIPE. I lavoratori interessati sono tenuti a presentare all’impresa di appartenenza domanda irrevocabile per l’esercizio della facoltà di cui al comma 2 del presente articolo, entro trenta giorni dalla comunicazione all’impresa stessa o al gruppo di imprese degli accertamenti del CIPE, ovvero entro trenta giorni dalla maturazione dei trenta anni di anzianità di cui al medesimo comma 2, se posteriore. L’impresa entro dieci giorni dalla scadenza del termine trasmette III all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) le domande dei lavoratori, in deroga all’articolo 22, primo comma, lettera c), della legge 30 aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni. Nel caso in cui il numero dei lavoratori che esercitano la facoltà di pensionamento anticipato sia superiore a quello delle eccedenze accertate, l’impresa opera una selezione in base alle esigenze di ristrutturazione e riorganizzazione. Il rapporto di lavoro dei dipendenti le cui domande sono trasmesse all’INPS si estingue nell’ultimo giorno del mese in cui l’impresa effettua la trasmissione. 6. Per i lavoratori delle miniere o delle cave di amianto il numero di settimane coperto da contribuzione obbligatoria relativa ai periodi di prestazione lavorativa ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche moltiplicato per il coefficiente di 1,5. 7. Ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche per i lavoratori, che abbiano contratto malattie professionali, a causa dell’esposizione all’amianto documentate dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), il numero di settimane coperto da contribuzione obbligatoria relativa a periodi di prestazione lavorativa per il periodo di provata esposizione all’amianto moltiplicato per il coefficiente di 1,5 [Il comma 7 è stato modificato dall’art. 1 del D.L. 5 giugno 1993, n. 169, convertito nella legge 4 agosto 1993, n. 271: “All’articolo 13, comma 7 della legge 27 marzo 1992, n.257, le parole: per i dipendenti delle imprese di cui al comma 1, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite, sono sostituite dalle seguenti: per i lavoratori”]. 8. Per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a 10 anni, l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita dall’INAIL, moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5 [il comma 8 è stato così sostituito dall’art. 1 del D.L. 5 giugno 1993, n. 169, convertito nella legge 4 agosto 1993, n. 271: “Per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a 10 anni, l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita dall’INAIL, moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5]. 9. Ai dipendenti delle miniere o delle cave di amianto o delle imprese di cui al comma 1, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite, che possano far valere i medesimi requisiti di anzianità contributiva previsti dal comma 2 presso l’Istituto nazionale di previdenza per i dirigenti di aziende industriali (INPDAI) dovuto, all’Istituto medesimo, a domanda e a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello della risoluzione del rapporto di lavoro, l’assegno di cui all’articolo 17 della legge 23 aprile 1981, n. 155. L’anzianità contributiva dei dirigenti ai quali corrisposto il predetto assegno aumentata di un periodo pari a quello compreso tra la data di risoluzione del rapporto di lavoro e quella del compimento di sessanta anni, se uomini, e cinquantacinque se donne. 10. La gestione di cui all’articolo 37 della legge 9 marzo 1989, n. 88, corrisponde al Fondo pensioni lavoratori dipendenti per ciascun mese di anticipazione della pensione una somma pari all’importo risultante dall’applicazione dell’aliquota contributiva in vigore per il Fondo medesimo sull’ultima retribuzione annua percepita da ciascun lavoratore interessato, ragguagliata a mese, nonché una somma pari all’importo mensile della pensione anticipata, ivi compresa la tredicesima mensilità . L’impresa, entro trenta giorni dalla richiesta da parte dell’INPS, tenuta a corrispondere a favore della gestione di cui all’art. 37 della legge 9 marzo 1989, n. 88, per ciascun dipendente che abbia usufruito del pensionamento anticipato, un contributo pari al trenta per cento degli oneri complessivi di cui al presente comma, con facoltà di optare per il pagamento del contributo stesso, con addebito di interessi nella misura del dieci per cento in ragione danno, in un numero di rate mensili, di pari importo, non superiore a quello dei mesi di anticipazione della pensione. 11. Nei territori di cui all’articolo 1 del testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218, e successive modificazioni, nonché nelle zone industriali in declino, individuate dalla decisione della commissione delle Comunità europee del 21 marzo 1989 (89/288/CEE), ai sensi del regolamento CEE n. 2052/88 del Consiglio, del 24 giugno 1988, il contributo di cui al comma 10 del presente articolo ridotto al venti per cento. La medesima percentuale ridotta si applica altresì nei confronti delle imprese assoggettate alle procedure concorsuali di cui alle disposizioni approvate con regio decreto 16 marzo 1942 n. 267, e successive IV modificazioni, e al decreto- legge 30 gennaio 1979, n. 26, convertito, con modificazioni , dalla legge 3 aprile 1979, n. 95 e successive modificazioni e integrazioni, e al relativo pagamento si applica l’articolo 111, primo comma, n. 1), delle disposizioni approvate con il citato regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. 12. All’onere derivante dall’attuazione del presente articolo, pari a lire 6 miliardi per il 1992, lire 60 miliardi per il 1993 e lire 44 miliardi per il 1994 si provvede mediante corrispondente riduzione degli stanziamenti iscritti, ai fini del bilancio triennale 1992-1994, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l’anno 1992, all’uopo parzialmente utilizzando, per il 1992, l’accantonamento Finanziamento di un piano di pensionamenti anticipati e per il 1993 e il 1994, l’accantonamento interventi in aree di crisi occupazionale. 13. Il Ministro del tesoro autorizzato ad apportare, con propri decreti, le conseguenti variazioni di bilancio >>. CAPO V - SOSTEGNO ALLE IMPRESE Art. 14 - Agevolazioni per l’innovazione e la riconversione produttiva <<1. Le imprese singole o associate, che utilizzano amianto e quelle che producono materiali sostitutivi dell’amianto, possono accedere al Fondo speciale rotativo per l’innovazione tecnologica di cui all’articolo 14 della legge 17 febbraio 1982, n. 46, per l’attuazione di programmi di innovazione tecnologica finalizzata alla riconversione delle produzioni a base di amianto e allo sviluppo e alla produzione di materiali innovativi sostitutivi dell’amianto. 2. Le imprese, singole o associate, che intraprendono attività di innovazione tecnologica, concernenti lo smaltimento dei rifiuti di amianto, la trasformazione dei residui di lavorazione e la bonifica delle aree interessate, sono ammesse, ai sensi del comma 1, al finanziamento dei relativi programmi. 3. Presso il Ministero dell’industria , del commercio e dell’artigianato istituito il Fondo speciale per la riconversione delle produzioni di amianto. 4. Il Comitato interministeriale per il coordinamento della politica industriale (CIPI), entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, stabilisce le condizioni di ammissibilità e le priorità di accesso ai contributi del fondo di cui al comma 3 e determina i criteri per l’istruttoria delle domande di finanziamento. 5. Le disponibilità del Fondo di cui al comma 3 sono destinate alle concessione di contributi in conto capitale alle imprese che utilizzano amianto, per programmi di riconversione produttiva che prevedano la dismissione dell’amianto e il reimpiego della manodopera, ovvero per la cessazione dell’attività sulla base di programmi concordati con le organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative. 6. Il Ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato stabilisce con proprio decreto da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le modalità e i termini per la presentazione delle domande di finanziamento e per la erogazione dei contributi. 7. Il contributo in conto capitale di cui al comma 5 può essere elevato fino al dieci per cento del contributo erogabile a favore delle imprese di cui al medesimo comma 5 che non facciano ricorso alla cassa integrazione guadagni. 8. E autorizzato a carico del bilancio dello Stato il conferimento al fondo di cui al comma 3 della somma di lire 50 miliardi in ragione di lire 15 miliardi per il 1992 e di lire 35 miliardi per il 1993. 9. All’onere derivante dall’attuazione del comma 8, pari a lire 15 miliardi per il 1992 e a lire 35 miliardi per il 1993, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto ai fini del bilancio triennale 1992-1994, al capitolo 9001 dello stato di previsione del Ministero del Tesoro per l’anno 1992, all’uopo parzialmente utilizzando l’accantonamento Norme per la riconversione delle produzioni a base di amianto (di cui lire 6,3 miliardi quale limite di impegno dal 1993). 10. Il CIPI, su proposta del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, può riconoscere carattere di priorità ai programmi di cui ai commi 1 e 2>>. [si veda il Decreto del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato del 28 marzo 1995, n. 202 Regolamento recante modalità e termini per la presentazione V delle domande di finanziamento a valere sul fondo speciale per la riconversione delle produzioni di amianto, previsto dalla legge 27 marzo 1992, n. 257, concernente norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto] ******* D.L. 30 settembre 2003, n. 269 Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n. 326 Art. 47 (Benefici previdenziali ai lavoratori esposti all’amianto) Testo iniziale <<1. A decorrere dal 1° ottobre 2003, il coefficiente stabilito dall’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, è ridotto da 1,5 a 1,25. Con la stessa decorrenza, il predetto coefficiente moltiplicatore si applica ai soli fini della determinazione dell’importo delle prestazioni pensionistiche e non della maturazione del diritto di accesso alle medesime. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai lavoratori a cui sono state rilasciate dall’INAIL le certificazioni relative all’esposizione all’amianto sulla base degli atti d’indirizzo emanati sulla materia dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali antecedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto. 3. Con la stessa decorrenza prevista al comma 1, i benefici di cui all’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, sono concessi esclusivamente ai lavoratori iscritti all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali, gestita dall’INAIL, che, per un periodo non inferiore a dieci anni, sono stati esposti all’amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno. I predetti limiti non si applicano ai lavoratori per i quali sia stata accertata una malattia professionale a causa dell’esposizione all’amianto, ai sensi del testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124. 4. La sussistenza e la durata dell’esposizione all’amianto di cui al comma 3 sono accertate e certificate dall’INAIL. 5. I lavoratori che intendono ottenere il riconoscimento dei benefici di cui al comma 3, compresi quelli a cui è stata rilasciata certificazione dall’INAIL prima del 1° ottobre 2003, devono presentare domanda alla sede INAIL di residenza entro 180 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale di cui al comma 6, a pena di decadenza del diritto agli stessi benefici. 6. Le modalità di attuazione del presente articolo sono stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto>>. Testo risultante a seguito delle modifiche apportate in sede di conversione. << 1. A decorrere dal 1° ottobre 2003, il coefficiente stabilito dall’articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, è ridotto da 1,5 a 1,25. Con la stessa decorrenza, il predetto coefficiente moltiplicatore si applica ai soli fini della determinazione dell’importo delle prestazioni pensionistiche e non della maturazione del diritto di accesso alle medesime. VI 2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai lavoratori a cui sono state rilasciate dall’INAIL le certificazioni relative all’esposizione all’amianto sulla base degli atti d’indirizzo emanati sulla materia dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali antecedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto. 3. Con la stessa decorrenza prevista al comma 1, i benefici di cui all’articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, sono concessi ai lavoratori che, per un periodo non inferiore a dieci anni, sono stati esposti all’amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno. I predetti limiti non si applicano ai lavoratori per i quali sia stata accertata una malattia professionale a causa dell’esposizione all’amianto, ai sensi del testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124. 4. La sussistenza e la durata dell’esposizione all’amianto di cui al comma 3 sono accertate e certificate dall’INAIL. 5. I lavoratori che intendano ottenere il riconoscimento dei benefici di cui al comma 3, compresi quelli a cui è stata rilasciata certificazione dall’INAIL prima del 1 ottobre 2003, devono presentare domanda alla Sede INAIL di residenza entro 180 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale di cui al comma 6, a pena di decadenza del diritto agli stessi benefici. 6. Le modalità di attuazione del presente articolo sono stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. 6 bis: Sono comunque fatte salve le previgenti disposizioni per i lavoratori che abbiano già maturato, alla data di entrata in vigore del presente decreto, il diritto di trattamento pensionistico anche in base ai benefici previdenziali di cui all’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, nonché coloro che alla data di entrata in vigore del presente decreto, fruiscono di mobilità, ovvero che abbiano definito la risoluzione del rapporto di lavoro in relazione alla domanda di pensionamento. - Omissis ->> ******* LEGGE 24 dicembre 2003, n. 350 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004) Art. 3, comma 132 <<In favore dei lavoratori che abbiano già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, sono fatte salve le disposizioni previgenti alla medesima data del 2 ottobre 2003. La disposizione di cui al primo periodo si applica anche a coloro che hanno avanzato domanda di riconoscimento all’INAIL o che ottengono sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data. Restano valide le certificazioni già rilasciate dall’INAIL. All’onere relativo all’applicazione del presente comma e del comma 133, valutato in 25 milioni di euro per l’anno 2004, 97 milioni di euro per l’anno 2005 e 182 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2006, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per l’occupazione di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236>>. ******* VII DECRETO DEL MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI 27 ottobre 2004 (in Gazz. Uff., 17 dicembre, n. 295). - Attuazione dell’articolo 47 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326. Benefici previdenziali per i lavoratori esposti all’amianto Art. 1 (Ambito di applicazione) 1. I lavoratori che, alla data del 2 ottobre 2003, sono stati esposti all’amianto per periodi lavorativi non soggetti all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dall’INAIL hanno diritto ai benefici previdenziali derivanti da esposizione ad amianto, alle condizioni e con le modalità stabilite dal presente decreto. 2. Ai lavoratori che sono stati esposti all’amianto per periodi lavorativi soggetti all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, gestita dall’INAIL, che abbiano già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, si applica la disciplina previgente alla medesima data, fermo restando, qualora non abbiano già provveduto, l’obbligo di presentazione della domanda di cui all’art. 3 entro il termine di 180 giorni, a pena di decadenza, dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Art. 2 (Determinazione del beneficio pensionistico e criteri di accertamento) 1. Per i lavoratori di cui all’art. 1, comma 1, che sono stati occupati, per un periodo non inferiore a dieci anni, in attività lavorative comportanti esposizione all’amianto, in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno, e comunque sulla durata oraria giornaliera prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro, l’intero periodo di esposizione all’amianto è moltiplicato, unicamente ai fini della determinazione dell’importo della prestazione pensionistica, per il coefficiente di 1,25. 2. Per attività lavorative comportanti esposizione all’amianto si intendono le seguenti: a) coltivazione, estrazione o trattamento di minerali amiantiferi; b) produzione di manufatti contenenti amianto; c) fornitura a misura, preparazione, posa in opera o installazione di isolamenti o di manufatti contenenti amianto; d) coibentazione con amianto, decoibentazione o bonifica da amianto, di strutture, impianti, edifici o macchinari; e) demolizione, manutenzione, riparazione, revisione, collaudo di strutture, impianti, edifici o macchinari contenenti amianto; f) movimentazione, manipolazione ed utilizzo di amianto o di manufatti contenenti amianto; distruzione, sagomatura e taglio di manufatti contenenti amianto; g) raccolta, trasporto, stoccaggio e messa a discarica di rifiuti contenenti amianto. 3. Per periodo di esposizione si intende il periodo di attività effettivamente svolta. Art. 3 (Procedura) 1. La sussistenza e la durata dell’esposizione all’amianto sono accertate e certificate dall’INAIL. 2. La domanda di certificazione dell’esposizione all’amianto, predisposta secondo lo schema di cui all’allegato 1, deve essere presentata alla sede INAIL entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, a pena di decadenza dal diritto ai benefici pensionistici di cui all’art. 2, comma 1. Per data di presentazione della domanda si intende la data di arrivo alla sede INAIL o la data del timbro postale di invio nel caso di raccomandata. I lavoratori di cui all’art. 1, comma 1, che hanno già presentato domanda di certificazione dell’esposizione all’amianto alla data del 2 ottobre 2003 devono ripresentare la domanda. 3. L’avvio del procedimento di accertamento dell’INAIL è subordinato alla presentazione, da parte del lavoratore interessato, del curriculum lavorativo, predisposto secondo lo schema di cui all’allegato 2, VIII rilasciato dal datore di lavoro, dal quale risulti l’adibizione, in modo diretto ed abituale, ad una delle attività lavorative di cui al medesimo art. 2, comma 2, comportanti l’esposizione all’amianto. 4. Le controversie relative al rilascio ed al contenuto dei curricula sono di competenza delle direzioni provinciali del lavoro. 5. Nel caso di aziende cessate o fallite, qualora il datore di lavoro risulti irreperibile, il curriculum lavorativo di cui al comma 3 è rilasciato dalla direzione provinciale del lavoro, previe apposite indagini. 6. Ai fini dell’accertamento dell’esposizione all’amianto, il datore di lavoro è tenuto a fornire all’INAIL tutte le notizie e i documenti ritenuti utili dall’Istituto stesso. Nel corso dell’accertamento, l’INAIL esegue i sopralluoghi ed effettua gli incontri tecnici che ritiene necessari per l’acquisizione di elementi di valutazione, ivi compresi quelli con i rappresentanti dell’azienda e con le organizzazioni sindacali firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’azienda stessa. 7. Per lo svolgimento dei suoi compiti, l’INAIL si avvale dei dati delle indagini mirate di igiene industriale, di quelli della letteratura scientifica, delle informazioni tecniche, ricavabili da situazioni di lavoro con caratteristiche analoghe, nonché di ogni altra documentazione e conoscenza utile a formulare un giudizio sull’esposizione all’amianto fondato su criteri di ragionevole verosimiglianza. 8. La certificazione della sussistenza e della durata dell’esposizione all’amianto deve essere rilasciata dall’INAIL entro un anno dalla conclusione dell’accertamento tecnico. 9. Per i lavoratori di cui all’art. 1, comma 2, continuano a trovare applicazione le procedure di riconoscimento dell’esposizione all’amianto seguite in attuazione della previgente disciplina, fermo restando, per coloro i quali non abbiano già provveduto, l’obbligo di presentazione della domanda di cui al comma 2 entro il termine di 180 giorni, a pena di decadenza, dalla data di entrata in vigore del presente decreto. 10. Il lavoratore in possesso della certificazione rilasciata dall’INAIL presenta domanda di pensione all’ente previdenziale di appartenenza che provvede a liquidare il trattamento pensionistico con i benefici di cui al presente decreto. Art. 4 (Disposizioni finali) 1. L’anzianità complessiva utile ai fini pensionistici, conseguita con l’attribuzione dei benefici previdenziali derivanti dall’esposizione all’amianto, non può comunque risultare superiore a quaranta anni, ovvero al corrispondente limite massimo previsto dai regimi pensionistici di appartenenza, ove inferiore. 2. Ai soggetti destinatari di benefici previdenziali che comportino, rispetto ai regimi pensionistici di appartenenza, l’anticipazione dell’accesso al pensionamento ovvero l’aumento dell’anzianità contributiva è data facoltà di optare tra i predetti benefici e quelli previsti per l’esposizione all’amianto. L’opzione è esercitata al momento della presentazione della domanda di pensionamento all’ente previdenziale di appartenenza. Il presente decreto sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. ****** Decreto Legislativo 25 luglio 2006, n. 257 - Attuazione della direttiva 2003/18/CE relativa alla protezione dei lavoratori dai rischi derivanti dall’esposizione all’amianto durante il lavoro Art. 2 Dopo il titolo VI del decreto legislativo n. 626 del 1994 è inserito il seguente: <<TITOLO VI-bis>> IX PROTEZIONE DEI LAVORATORI CONTRO I RISCHI CONNESSI ALL’ESPOSIZIONE AD AMIANTO (- omissis -) Art. 5 (Abrogazioni) 1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni di cui al Capo III del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277. ******* LEGGE 24 dicembre 2007, n. 247 - Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonchè ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale Art. 1 - Omissis 20. Ai fini del conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, sono valide le certificazioni rilasciate dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) ai lavoratori che abbiano presentato domanda al predetto Istituto entro il 15 giugno 2005, per periodi di attività lavorativa svolta con esposizione all’amianto fino all’avvio dell’azione di bonifica e, comunque, non oltre il 2 ottobre 2003, nelle aziende interessate dagli atti di indirizzo già emanati in materia dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale. 21. Il diritto ai benefici previdenziali previsti dall’articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, per i periodi di esposizione riconosciuti per effetto della disposizione di cui al comma 20, spetta ai lavoratori non titolari di trattamento pensionistico avente decorrenza anteriore alla data di entrata in vigore della presente legge. 22. Le modalità di attuazione dei commi 20 e 21 sono stabilite con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. ****** DECRETO DEL MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE DI CONCERTO CON IL MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE DEL 12 MARZO 2008 - Modalità attuative dei commi 20 e 21 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 247, concernente la certificazione di esposizione all’amianto di lavoratori occupati in aziende interessate agli atti di indirizzo ministeriale Art. 1. (Ambito di applicazione) 1. Per il conseguimento dei benefici previdenziali previsti dall’art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, e successive modificazioni, possono avvalersi della certificazione di cui all’art. 1, comma 20, della legge n. 247 del 2007 i lavoratori che: a) hanno presentato all’INAIL domanda per il riconoscimento X dell’esposizione all’amianto entro il 15 giugno 2005; b) hanno prestato nelle aziende interessate dagli atti di indirizzo adottati dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale la propria attività lavorativa, con esposizione all’amianto per i periodi successivi all’anno 1992 fino all’avvio dell’azione di bonifica e, comunque, non oltre il 2 ottobre 2003, con le mansioni e nei reparti indicati nei predetti atti di indirizzo, limitatamente ai reparti od aree produttive per i quali i medesimi atti riconoscano l’esposizione protratta fino al 1992; c) non sono titolari di trattamento pensionistico avente decorrenza anteriore alla data di entrata in vigore della citata legge n. 247 del 2007. Art. 2 (Procedura) 1. I lavoratori di cui all’art. 1 devono presentare domanda all’INAIL, entro il termine di 365 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con l’indicazione della sussistenza delle condizioni di cui alle lettere a) e c) del medesimo art. 1. 2. La durata di esposizione all’amianto per i periodi di attività lavorativa svolta nelle aziende interessate dagli atti di indirizzo ministeriale successivamente all’anno 1992 fino all’avvio dell’azione di bonifica e, comunque, non oltre il 2 ottobre 2003, è certificato dall’INAIL. 3. La data di avvio dell’azione di bonifica, differenziata per i singoli reparti o aree produttive individuati dagli atti di indirizzo ministeriale, è determinata dalle ASL nel cui ambito territoriale sono stati effettuati gli interventi di bonifica, prevista verifica della relazione tecnica trasmessa dal datore di lavoro ai sensi dell’art. 9 della citata legge n. 257 del 1992, e successive modificazioni. 4. La certificazione di cui al comma 2 è rilasciata dall’INAIL previa acquisizione: a) della domanda di cui al comma 1; b) della comunicazione da parte delle ASL competenti della data di avvio dell’azione di bonifica di cui al comma 3, ovvero del mancato avvio della stessa azione di bonifica; c) del curriculum professionale del lavoratore interessato, rilasciato dal datore di lavoro, dal quale risultino le mansioni, i reparti e i periodi lavorativi svolti successivamente all’anno 1992 sino all’avvio dell’azione di bonifica e, comunque, non oltre il 2 ottobre 2003. 5. Ai fini della certificazione di cui al comma 2 il datore di lavoro è tenuto a fornire all’INAIL tutte le notizie ritenute utili dall’Istituto medesimo. 6. Nei casi di controversia relativa al rilascio e al contenuto del curriculum lavorativo, ovvero di aziende cessate o fallite trovano applicazione le disposizioni recate dall’art. 3, commi 4 e 5 del decreto ministeriale 27 ottobre 2004. Il presente decreto sarà inviato alla Corte dei conti per la registrazione e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ************ DECRETO-LEGGE 30 dicembre 2009, n. 194 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative) convertito con modificazioni dalla L. 26 febbraio 2010, n. 25 Art. 6, comma 9 bis <<È consentita, fino al 30 giugno 2010, la presentazione del curriculum professionale di cui all’articolo 2, comma 4, lettera c), del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 12 marzo 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 110 del 12 maggio 2008. A tali fini, l’articolo 1, comma 20, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, si interpreta nel senso che gli atti di indirizzo ministeriale ivi richiamati si intendono quelli attestanti l’esposizione all’amianto protratta fino al 1992, limitatamente alle mansioni e ai reparti ed aree produttive specificamente indicati negli atti medesimi>>. XI ******* LEGGE 23 dicembre 2014, n. 190, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015) Art. 1, comma 115 <<Entro il 31 gennaio 2015 gli assicurati all’assicurazione generale obbligatoria, gestita dall’INPS, e all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali, gestita dall’INAIL, dipendenti da aziende che hanno collocato tutti i dipendenti in mobilità per cessazione dell’attività lavorativa, i quali abbiano ottenuto in via giudiziale definitiva l’accertamento dell’avvenuta esposizione all’amianto per un periodo superiore a dieci anni e in quantità superiore ai limiti di legge e che, avendo presentato domanda successivamente al 2 ottobre 2003, abbiano conseguentemente ottenuto il riconoscimento dei benefici previdenziali di cui all’articolo 47 del decretolegge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, possono presentare domanda all’INPS per il riconoscimento della maggiorazione secondo il regime vigente al tempo in cui l’esposizione si è realizzata ai sensi dell’articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni. Le prestazioni conseguenti non possono avere decorrenza anteriore al 1° gennaio 2015>>. ******* D.L. 31 dicembre 2014, n. 192, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11 Art. 10, comma 12-vicies bis <<All’articolo 1, comma 115, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, le parole: “31 gennaio” sono sostituite dalle seguenti: “30 giugno”>>. ******* Art. 47 del d.P.R. n. 639 del 30 aprile 1970, autenticamente interpretato dall’art. 6 del d.l. n. 103 del 29 marzo 1991 (conv. nella legge 166/1991) e modificato dal d.l. 19 settembre 1992, n. 384 (conv. nella legge 438/1992). L’art. 47 del d.P.R. n. 639/70 Testo originario <<Esauriti i ricorsi in via amministrativa, può essere proposta l’azione dinanzi all’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 459 c.p.c. e segg.. L’azione giudiziaria può essere proposta entro il termine di dieci anni dalla data di comunicazione della decisione definitiva del ricorso pronunziata dai competenti organi dell’istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della decisione medesima, se trattasi di controversie in materia di trattamenti pensionistici. L’azione giudiziaria può essere proposta entro il termine di cinque anni dalle date di cui al precedente comma se trattasi di controversie in materia di prestazioni a carico dell’assicurazione contro la tubercolosi e dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria>>. XII D.L. 29 marzo 1991, n. 103 (Disposizioni urgenti in materia previdenziale), convertito con modificazioni in L. 1° giugno 1991, n. 166 Art. 6 (ritenuto da Corte Cost. n. 246/92 di interpretazione autentica del cit. art. 47): <<1. I termini previsti dal d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47, commi 2 e 3 sono posti a pena di decadenza per l’esercizio del diritto alla prestazione previdenziale, la decadenza determina l’estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e l’inammissibilità della relativa domanda giudiziale. In caso di mancata proposizione del ricorso amministrativo, i termini decorrono dall’insorgenza del diritto ai singoli ratei. 2. Le disposizioni di cui al comma precedente hanno efficacia retroattiva, ma non si applicano ai processi che sono in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto>>. D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 4, conv. nella legge 438/1992 (recante misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali) Art. 4 <<1. I commi secondo e terzo dell’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970, n. 639, sono sostituiti dai seguenti: <Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell’Istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione, ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione. Per le controversie in materia di prestazioni della gestione di cui alla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 24 l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalle date di cui al precedente comma>. - omissis 3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano ai procedimenti istaurati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto ancora in corso alla medesima data>>. D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria) convertito in L. n. 111 del 2011 Art. 38, comma 1, lett. d) <<al decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970 n. 639, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche: 1) all’articolo 47 è aggiunto, in fine, il seguente comma: “Le decadenze previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte”; 2) dopo l’articolo 47 è inserito il seguente: “47-bis. 1. Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni”>>. XIII Art. 38, comma 4 << 4. Le disposizioni di cui al comma 1, lettera c) e d), si applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del presente decreto>>. Dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale (sentenza n. 69 del 2014), nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui al comma 1, lettera d, si applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del presente decreto. XIV IL BENEFICIO DELLA RIVALUTAZIONE CONTRIBUTIVA Quando si discute di rivalutazione contributiva si pone innanzitutto un problema di inquadramento dell’istituto. Dall’inquadramento prescelto derivano, poi, una serie di conseguenze. La Corte di Cassazione ha più volte precisato che si tratta del diritto ad un beneficio del tutto autonomo rispetto al trattamento pensionistico sul quale pure può incidere. Colui che (pensionato o meno) agisce per ottenere il riconoscimento della rivalutazione contributiva non lo fa per rivendicare una componente essenziale del credito pensionistico da liquidarsi ovvero già liquidato (parzialmente), bensì per chiedere qualcosa di nuovo e di autonomo. Non si è, allora, in presenza di una richiesta di esatto adempimento di una prestazione previdenziale (pensione) riconosciuta solo in parte ma della possibilità di far valere una posizione giuridica ricollegabile a “fatti” (l’esposizione qualificata e la durata dell’esposizione stessa) in relazione ai quali viene ad essere determinato - in via meramente consequenziale -, con la maggiorazione contributiva, il tempo ovvero l’ammontare della pensione. Che si tratti di una fattispecie (costitutiva di un diritto) fondata su autonomi presupposti (l’esposizione qualificata e la durata dell’esposizione stessa) si evince anche dalla facoltà, pacificamente ammessa, di far valere in giudizio la pretesa all’accertamento dell’effettiva consistenza della posizione contributiva, in relazione alla “rivalutabilità” dei contributi accreditati nei periodi lavorativi di esposizione all’amianto e ciò separatamente rispetto al diritto a pensione, essendo configurabile un interesse, concreto ed attuale dell’assicurato (così già Cass. 21 giugno 2002, n. 9125; si veda anche Corte cost. 20 novembre 2008, n. 376 con riferimento al rilievo che il riconoscimento del beneficio in questione viene “ad incidere attualmente sulla posizione pensionistica degli interessati, in guisa di incremento della contribuzione utile ai fini di un futuro trattamento pensionistico”). Né tale autonomia viene meno nella prospettiva di una richiesta di rivalutazione contributiva 1 contestuale alla domanda di pensione restando distinti gli elementi costitutivi delle corrispondenti situazioni giuridiche soggettive. Il diritto è allora, quello ad un riconoscimento figurativo aggiuntivo di anzianità contributiva. In tal senso si è più volte espressa la Corte di legittimità (così Cass. 3 febbraio 2012 n. 1629 ha affermato: “È condivisibile la tesi dell’I.N.P.S. relativa all’autonomia del beneficio della rivalutazione contributiva, considerato che nel sistema assicurativo-previdenziale la posizione assicurativa, nonostante la sua indubbia strumentalità, costituisce una situazione giuridica dotata di una sua precisa individualità, può spiegare effetti molteplici (anche successivamente alla data del pensionamento) e può costituire oggetto di autonomo accertamento. Analogamente tali caratteri sono enunciabili rispetto ad un beneficio contributivo autonomamente disciplinato e il cui riconoscimento richiede un’apposita domanda amministrativa. La rideterminazione della pensione a seguito dell’eventuale giustificato sopravvenuto mutamento - anche se con effetti retroattivi - della posizione contributiva è un fatto consequenziale a tale mutamento e non è corretto qualificarla come correzione di una precedente determinazione amministrativa ingiusta o erronea”; conformemente si sono pronunciate Cass. n. 14471 del 14 agosto 2012; Cass. n. 14531 del 16 agosto 2012; Cass. n. 19482 del 9 novembre 2012; Cass. n. 20031 del 15 novembre 2012; si veda anche Cass. 11400 del 6 luglio 2012 secondo cui quello in esame è un beneficio che, seppure previsto dalla legge “ai fini pensionistici” e ad essi, quindi, strumentale, è dotato di una sua specifica individualità e autonomia, operando sulla contribuzione ed essendo ancorato a presupposti propri e distinti da quelli in presenza dei quali era sorto (o sarebbe sorto) - in base ai criteri ordinari - il diritto al trattamento pensionistico; in senso analogo si è espressa la più recente Cass. n. 17941 del 13 agosto 2014 secondo cui: “Detti presupposti (esposizione all’amianto e relativa durata) sono “fatti” la cui esistenza è conosciuta soltanto dall’interessato e quindi costui è tenuto a portare a conoscenza dell’ente onerato dell’applicazione del moltiplicatore contributivo attraverso un’apposita domanda amministrativa, necessaria, quindi, anche nel regime precedente l’entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003, art. 47 (convertito dalla L. n. 326 del 2003), che ne ha addirittura sanzionato la mancata presentazione entro l’ivi previsto termine con la decadenza dal diritto al ripetuto beneficio”). 2 Il riconoscimento figurativo aggiuntivo di anzianità contributiva - c.d. anzianità convenzionale - non è nuovo nel nostro sistema previdenziale. * Si pensi, infatti, ai benefici previsti per i lavori usuranti introdotti nel nostro ordinamento dal d.lgs. n. 374/1993, in attuazione della delega prevista dall’art. 3, comma 1, lett. f), della L. 421/1992. L’art. 1 di detto d.lgs. n. 374/1993 considerava particolarmente usuranti i lavori “per il cui svolgimento è richiesto un impegno psicofisico particolarmente intenso e continuativo, condizionato da fattori che non possono essere prevenuti con misure idonee” e distingueva due tipi di attività usuranti: al primo periodo, quelle particolarmente usuranti elencate nella tabella A; al secondo periodo, sempre nell’ambito delle attività particolarmente usuranti, un sottoinsieme più ristretto di attività considerate ancora più usuranti “anche sotto il profilo delle aspettative di vita e dell’esposizione al rischio professionale di particolare intensità”, prevedendo per tale sottoinsieme benefici ancora maggiori. Tale normativa è poi stata ampiamente rivisitata dalla L. 335/1995 di riforma del sistema pensionistico (“Legge Dini”) ed il “sottoinsieme” individuato espressamente dal D.M. 19 maggio 1999 (lavoro notturno continuativo, lavoro su linee di montaggio con ritmi vincolati, lavori in gallerie, cave o miniere con carattere di prevalenza e continuità ecc. ). A decorrere dall’entrata in vigore del d.lgs. 374/1993 (8 ottobre 1993), ai lavoratori prevalentemente occupati in attività particolarmente usuranti è consentito di anticipare il pensionamento, mediante abbassamento del limite di età pensionabile nella misura di due mesi per ogni anno di attività; la riduzione non può comunque superare un totale di 60 mesi (articolo 2, comma 1, primo periodo, d.lgs. 374/93). E’ poi prevista, esclusivamente per i lavoratori impegnati in attività caratterizzate da una maggiore gravità dell’usura (come detto individuate dall’articolo 2 del D.M. 19 maggio 1999), la riduzione del limite di anzianità contributiva, ai fini del pensionamento di anzianità, di un anno ogni dieci di occupazione nelle medesime attività, fino ad un massimo di 24 mesi complessivamente considerati (articolo 2, comma 1, secondo periodo, d.lgs. 374/1993, introdotto dall’articolo 1, comma 35, L. 335/1995). Invero, l’applicazione di tale normativa non ha mai acquisito piena operatività non essendo stati emanati i provvedimenti attuativi necessari per individuare le mansioni particolarmente usuranti e determinare le aliquote contributive per la copertura dei conseguenti oneri, in modo da rendere concretamente operativi “a regime” i benefici previdenziali previsti dall’articolo 2 del d.lgs. 374/1993. In considerazione di tale situazione la L. 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001), all’articolo 78, commi 8, 11, 12 e 13, ha previsto una disciplina transitoria (i cui effetti si sono già esauriti), “in attesa della definizione, tra le parti sociali, dei criteri di attuazione della normativa di cui al decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 374”. Solo con il d.lgs. n. 67/2011 (attuativo delle deleghe contenute nelle leggi 24 dicembre 2007, n. 247, art. 1 e 4 novembre 2010, n. 183, art. 1) sono stati dettati principi e criteri direttivi individuanti il beneficio, i soggetti destinatari dello stesso, le condizioni per accedervi, la procedura per il riconoscimento, le sanzioni e le clausole finanziarie. 3 Ulteriore definizione dei criteri per consentire agli addetti a lavori usuranti il diritto al pensionamento anticipato con requisiti inferiori a quelli previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti si è avuta con la legge n. 214/2011. * Si pensi, anche ai lavoratori in sotterraneo (miniere, cave e torbiere) che siano stati addetti complessivamente, anche se con discontinuità, per almeno 15 anni a tali lavori che possono perfezionare i requisiti di assicurazione e di contribuzione per la pensione di anzianità usufruendo della maggiorazione di anzianità, prevista dall’articolo 33, comma 3, del d.P.R. 27 aprile 1968, n.488 fino ad un massimo di cinque anni. In presenza di tale requisito viene riconosciuto in loro favore il diritto alla pensione di vecchiaia anche prima del compimento dell’età prevista per tale prestazione. Il trattamento di pensione è così determinato aggiungendo agli anni di servizio utile un’anzianità convenzionale pari al periodo compreso tra la data di decorrenza della pensione anticipata ed il compimento del 60° anno di età, fino ad un massimo di 35 anni di contribuzione. * Altra ipotesi di anzianità convenzionale è quella prevista per i lavoratori non vedenti che operano con mansioni di centralinista i quali, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 113/1985, hanno diritto ad una maggiorazione dell’anzianità contributiva pari ad un periodo figurativo di 4 mesi per ogni anno di servizio effettivamente prestato in tale attività. Il beneficio della maggiorazione è stato esteso dalla legge n. 120/1991 anche ai non vedenti che prestino attività con mansioni diverse da quelle di centralinista. * Analoga ipotesi è quella del beneficio di cui all’art. 80, comma 3, della legge n. 388/2000 previsto per i sordomuti e gli invalidi oltre il 74% (“A decorrere dall’anno 2002, ai lavoratori sordomuti di cui all’articolo 1 della legge 26 maggio 1970, n. 381, nonché agli invalidi per qualsiasi causa, ai quali è stata riconosciuta un’invalidità superiore al 74 per cento o ascritta alle prime quattro categorie della tabella A allegata al testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915, come sostituita dalla tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834, e successive modificazioni, è riconosciuto, a loro richiesta, per ogni anno di servizio presso pubbliche amministrazioni o aziende private ovvero cooperative effettivamente svolto, il beneficio di due mesi di contribuzione figurativa utile ai soli fini del diritto alla pensione e dell’anzianità contributiva; il beneficio è riconosciuto fino al limite massimo di cinque anni di contribuzione figurativa”). * Si pensi ancora ai benefici previsti per le vittime di terrorismo e di stragi (art. 3 legge n. 206/2004; art. 1, co. 794 e 795 della legge n. 296/2006). A tutti coloro che hanno subìto un’invalidità permanente della capacità lavorativa di qualsiasi grado ed entità, causata da atti di terrorismo e dalle stragi di tale matrice, è riconosciuto un aumento figurativo di dieci anni di versamenti contributivi utili ad aumentare, per una pari durata, l’anzianità pensionistica maturata, la misura della pensione, nonché il trattamento di fine rapporto o altro trattamento equipollente. La stessa maggiorazione è estesa al coniuge ed ai figli anche maggiorenni, ed in mancanza, ai genitori sui loro trattamenti diretti. Le disposizioni della legge n. 296/2006 ai sensi dell’art. 1, co. 1270 della stessa, si applicano inoltre ai familiari delle vittime del disastro aereo di Ustica del 1980 nonché ai familiari delle vittime e ai superstiti della cosiddetta “banda della Uno bianca”. 4 In tutte le ipotesi sopra indicate, al momento del collocamento a riposo vengono attribuiti periodi di anzianità virtuali che si aggiungono all’anzianità effettivamente maturata ai fini previdenziali. Il riconoscimento figurativo aggiuntivo dell’anzianità contributiva è in genere utile sia per il diritto sia per la misura della pensione. Allo stesso perciò consegue, oltre ad una maturazione anticipata del diritto a pensione (per chi sia ancora in servizio), anche (per chi sia già titolare di trattamento pensionistico senza, però, aver raggiunto il massimo di prestazione conseguibile in ragione della contribuzione versata) una rideterminazione della pensione in rapporto al sopravvenuto mutamento della posizione contributiva (non dunque quale correzione di una precedente determinazione amministrativa ingiusta ovvero erronea). Si tratta di uno strumento tecnico che permette di realizzare una copertura assicurativa a fini pensionistici senza collegamento con il versamento di contribuzione. Il relativo onere è totalmente a carico della gestione assicurativa e dunque del bilancio pubblico che tale gestione contribuisce a finanziare. Si valorizza, invero, la natura risarcitoria della maggiorazione ex lege 257/92 e successive modificazioni e integrazioni configurandosi la relativa posizione soggettiva come “diritto al risarcimento pensionistico” in correlazione con l’imposizione per molti anni del rischio di gravi malattie e di morte1. Tale certamente non era stata l’iniziale considerazione del legislatore sol che si considerino l’originaria formulazione dell’art. 13 della legge n. 257/1992 (prima delle modifiche dal D.L. n. 169 del 5 giugno 1993, a sua volta trasformato in sede di conversione dalla legge 4 agosto 1993, 271, e della eliminazione della condizione della dipendenza dei lavoratori interessati da imprese che estraggano o utilizzino amianto come materia prima) e le stesse finalità della legge come evincibili dalla normativa nel suo complesso (oltre che dagli atti parlamentari che avevano accompagnato l’iter legislativo 1 S. L. Gentile (Lavoratori esposti all’amianto: per una revisione degli effetti che il ritardo nell’azione produce sul diritto al risarcimento pensionistico - Nota a Cass., Ord. 7 marzo 2012, n. 3605 - in F.I. parte I, 2012, 2101) 5 della riforma); lo scopo era stato, infatti, quello di creare agevolazioni previdenziali per i lavoratori che rischiavano di perdere il posto di lavoro in conseguenza della cessazione delle attività richiedenti l’impiego di amianto ed erano più difficilmente riqualificabili in eventuali nuove attività. L’ampliamento del bacino dei soggetti interessati per effetto dello sganciamento della previsione da ogni concreta ipotesi di cessazione o riconversione produttiva, oltre che di malattia, ha posto sin da subito problemi interpretativi essendosi finanche rilevato, non senza suscitare critiche, che con tale tecnica legislativa era stata prevista l’attribuzione di benefici pensionistici “senza danno”, in favore di chi fosse stato semplicemente “esposto” all’amianto2. Certo è che un’ampiezza di tal fatta ha reso necessari sforzi intepretativi di delimitazione dell’ambito di operatività. Così, a fronte di una previsione letterale di due soli requisiti: l’“esposizione all’amianto” ed una “durata superiore ai dieci anni”, già la Corte cost. con la prima sentenza n. 5 del 2000 ha precisato che il rischio dell’amianto è <<tanto pregiudizievole da indurre il legislatore, sia pure a fini di prevenzione, a fissare il valore massimo di concentrazione di amianto nell’ambiente lavorativo, che segna la soglia limite del rischio di esposizione (decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277 e successive modifiche)>>3. Il richiamo al decreto legislativo n. 277/1991 di attuazione della direttiva europea n. 83/477 in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici, ed in particolare ai limiti previsti dagli artt. 24 e 31 “sia pure a fini di prevenzione”, come affermato dalla Corte costituzionale, è stato interpretato invece come generale, e non solo 2 Si veda per un’ampia ricostruzione M. Miscione (Gli “esposti sani” all’amianto ed i benenfici previdenziali - in Dir. Rel. Ind. 2008, 99) 3 C. cost. 12 gennaio 2000 n. 5, cit.: «Il criterio dell’esposizione decennale costituisce un dato di riferimento tutt’altro che indeterminato, specie se si considera il suo collegamento, contemplato dallo stesso art. 13, comma 8, al sistema generale di assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’amianto, gestita dall’Inail. Nell’ambito di tale correlazione, il concetto di esposizione ultradecennale, coniugando l’elemento temporale con quello di attività lavorativa soggetta al richiamato sistema di tutela previdenziale (artt. 1 e 3 del d.P.R. n. 1124 del 1965), viene ad implicare, necessariamente, quello di rischio e, più precisamente, di rischio morbigeno rispetto alle patologie, quali esse siano, che l’amianto è capace di generare per la sua presenza nell’ambiente di lavoro; evenienza, questa, tanto pregiudizievole da indurre il legislatore, sia pure a fini di prevenzione, a fissare il valore massimo di concentrazione di amianto nell’ambiente lavorativo, che segna la soglia limite del rischio di esposizione (decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277 e successive modifiche)». 6 ai fini di prevenzione ma per farlo diventare un “terzo requisito” allo scopo ben diverso di condizionare i benefici contributivi dell’articolo 8, comma 13. Insomma, la fissazione di un’intensità minima d’esposizione (la c.d. “soglia”), è stata estesa ai benefici contributivi di cui all’articolo 8, comma 13, legge n. 257/1992 (così già Cass. 3 aprile 2001, n. 4913; Cass. 28 giugno 2001, n. 8859). La ratio del beneficio in questione va, dunque, riconsiderata alla luce del rischio morbigeno che la prolungata e qualificata esposizione all’amianto è capace di generare, risolvendosi lo stesso in un vantaggio (incremento del monte contributivo utilizzabile ai fini del pensionamento - o della pensione -) che, non diversamente da quanto accade nelle altre ipotesi di anzianità convenzionale sopra richiamate, si ricollega alle caratteristiche dell’attività lavorativa ed alla necessità di assicurare a chi per un tempo prolungato sia stato esposto a tale rischio una fuoriuscita anticipata, ma senza pregiudizi in termini economici, dal mondo del lavoro. DOMANDA AMMINISTRATIVA Come nelle altre ipotesi di pretesa intesa ad ottenere il riconoscimento figurativo aggiuntivo di anzianità contributiva, egualmente nel caso del beneficio ricollegabile all’esposizione all’amianto è innanzitutto necessaria una domanda amministrativa. Anche da parte dei degli autori più critici nei confronti delle posizioni assunte dalla Cassazione in materia di rivalutazione contributiva per esposizione ad amianto è stato posto in rilievo che il diritto della rivalutazione contributiva ed il relativo procedimento sono troppo speciali per sostenere che gli stessi possano essere stati azionati già con la richiesta originaria di liquidazione della pensione per contributi che non riguardavano l’esposizione all’amianto. È pur vero che la legge n. 257/92 non prevede espressamente l’obbligo di presentazione della domanda amministrativa, a differenza di quanto dispone, con riferimento all’I.N.A.I.L., l’art. 47 D.L. 30/9/03, n. 269, convertito nella legge 24/11/03, n. 326. 7 Tuttavia la necessità della domanda amministrativa all’ente cui compete il riconoscimento del diritto e, in ultima analisi, l’erogazione dell’adeguamento del trattamento pensionistico conseguente alla positiva verifica della sussistenza dei presupposti per l’anzianità convenzionale rivendicata, è ricavabile dal sistema. Esiste, infatti, la norma generale prevista dall’art. 7 della legge n. 533/73 (Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza) che testualmente dispone: <<In materia di previdenza e di assistenza obbligatorie, la richiesta all’istituto assicuratore si intende respinta, a tutti gli effetti di legge, quando siano trascorsi 120 giorni dalla data della presentazione, senza che l’istituto si sia pronunciato>>. A tale norma è evidentemente sotteso l’interesse pubblico “ad una sollecita e meno costosa definizione di determinate controversie” - Cass., Sez. U., 5 agosto 1994, n. 7269 - che impone alla parte privata di compulsare ante causam l’ente erogatore, cioè la controparte, avviando così un procedimento amministrativo necessario che lasci all’amministrazione uno spatium deliberandi di 120 giorni. Come è noto, è consentito di adire l’autorità giudiziaria solo quando: sia conclusa la fase amministrativa (e sia intervenuta una decisione definitiva dell’organo competente); siano decorsi i termini per il compimento dei procedimenti amministrativi (senza che l’organo si sia pronunciato); sia in ogni caso decorso il termine di 180 giorni dalla data di proposizione del ricorso amministrativo (c.d. silenzio-rigetto). Le prestazioni previdenziali ed assistenziali non vengono erogate “d’ufficio” dall’Ente, ma soltanto se l’interessato/assicurato abbia presentato l’apposita domanda. Nessuna legge, salvo specifici casi (si veda Cass. 27 febbraio 2008, n. 5097: “In tema di decadenza dall’azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali, ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970, poiché la decorrenza del termine presuppone la proposizione della domanda amministrativa, la decadenza non può operare, restando applicabile solo la prescrizione, nelle fattispecie in cui non è necessaria la presentazione della domanda amministrativa, come avviene in relazione alla liquidazione - che l’ente previdenziale deve effettuare d’ufficio - delle c.d. quote fisse di cui all’art. 10, comma 3, della legge n. 160 del 1975 in favore dei titolari di pensioni in regime internazionale”) prevede, del resto, che l’Ente Previdenziale si attivi autonomamente per la liquidazione della prestazione, sostituendosi all’iniziativa dell’interessato. 8 La domanda amministrativa costituisce pertanto il primo presupposto per avviare il procedimento amministrativo finalizzato alla valutazione di tutti i requisiti (contributivo, sanitario, ecc.) in base ai quali l’Ente previdenziale provvederà all’erogazione della prestazione. Dalla presentazione della domanda da parte dell’interessato - ovvero del titolare del diritto - conseguono importanti effetti: l’individuazione della decorrenza della prestazione, la decorrenza degli interessi legali. Inoltre la domanda è necessaria non solo sotto il profilo sostanziale affinché il diritto possa essere riconosciuto, ma anche sotto il profilo processuale: senza la presentazione della domanda amministrativa e dei ricorsi amministrativi, la domanda giudiziale difetta di un presupposto essenziale (cfr. in particolare l’art. 443 cod. proc. civ.). Ed infatti nel sistema delle controversie previdenziali e assistenziali non è consentito rivolgersi al giudice prima che l’ente gestore sia stato posto in condizione di pronunciarsi in ordine al diritto alle prestazioni (non sono quelle strettamente di natura pensionistica, ma anche quelle dirette a rilevare la posizione contributiva). La tesi della generale indispensabilità dell’istanza amministrativa in relazione a tutte le controversie di cui all’art. 442 cod. proc. civ. (nella materia previdenziale e nell’assistenza sociale; nei confronti sia dell’I.N.P.S. sia degli altri enti erogatori; anche nel caso in cui ad agire sia il datore di lavoro per questioni concernenti i contributi assicurativi) è, ormai, assolutamente prevalente (cfr. ex multis Cass. 28 novembre 2003, n. 18265; Cass. 12 marzo 2004, n. 5149; Cass. 24 giugno 2004, n. 11756; Cass. 27 dicembre 2010, n. 26146; Cass. 30 gennaio 2014, n. 2063; si veda, per l’improponibilità della domanda proposta dal datore di lavoro nei confronti dell’ente previdenziale, avente ad oggetto il rimborso di contributi non dovuti ove il giudizio sia stato instaurato senza la preventiva presentazione della domanda amministrativa, Cass. 21 dicembre 2001, n. 16153). Su un piano generale è, infatti, da osservare che l’accertamento del diritto ad una prestazione previdenziale od assistenziale è la naturale funzione che l’ordinamento assegna all’Ente, quale sua specifica finalità (R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, in particolare, art. 3; 9 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47). Per l’adempimento del suddetto scopo il sistema normativo esige che sia l’ente ad accertare il diritto, a tal fine riconoscendogli anche adeguato termine (Corte cost. n. 156 del 1991). Questo “fisiologico” passaggio è il percorso normativamente necessario al riconoscimento. Se è vero che il diritto sorge dalla stessa legge, la funzione che l’ente, per la sua stessa natura, ha l’obbligo di svolgere, è quella di accertare la sussistenza delle condizioni legislativamente previste. A tal fine è indispensabile che l’ente conosca il fatto che costituisce la causa fondante del diritto (come l’esposizione all’amianto per il periodo e con le caratteristiche indicate dalla legge), e la privata volontà di conseguire il riconoscimento (così Cass. 5 ottobre 2007, n. 20892). Funzione della domanda è fornire questa conoscenza (che generalmente l’ente non ha), comunicando il fatto costitutivo del diritto, ed esprimendo la volontà di ottenerne il riconoscimento. In tal modo, la domanda è necessaria: la sua assenza preclude il fisiologico percorso normativamente necessario al riconoscimento. E l’azione giudiziaria avanzata in tale assenza è improponibile (v. infra). D’altra parte, se pure è vero che sia gli accrediti contributivi afferenti la posizione del lavoratore per effetto del rapporto di lavoro sia l’incremento figurativo dei medesimi per effetto dell’esposizione all’amianto incidono sulla medesima prestazione pensionistica, non può disconoscersi che si tratta di contributi che presentano caratteristiche e presupposti totalmente differenti. I primi, infatti, sono soggetti alla regola dell’automatismo e vanno accreditati in virtù del rapporto assicurativo con l’istituto, non occorrendo alcun procedimento ad hoc né alcuna domanda dell’interessato (salvo il limite della prescrizione dei contributi stessi che vanno accreditati in quanto ancora dovuti). I secondi, invece, non sono assoggettati ad alcun automatismo, non basta aver lavorato né basta essere stati esposti per avere l’accredito; occorre accertare il presupposto dell’esposizione, autonomamente, attraverso un apposito complesso procedimento (che inizia con la domanda dell’interessato, sempre). Prima dell’istanza per ottenere la rivalutazione contributiva nessun diritto alla medesima poteva dirsi richiesto e riconosciuto, trattandosi di un diritto legato a presupposti specifici e 10 totalmente differenti rispetto a quelli relativi alla (già effettuata ovvero da effettuarsi) liquidazione della pensione4. Tale domanda era, dunque, necessaria già nel regime precedente l’entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003, art. 47 (convertito nella L. n. 326 del 2003). E’ stata, invero, anche ipotizzata in dottrina la necessità di operare un distinguo tra: a) domanda giudiziale proposta dal lavoratore per il ricalcolo del trattamento corrisposto dall’I.N.P.S. senza la specifica addizione spettante per il rischio amianto (che introduce una controversia di riliquidazione non distinguibile dalle altre aventi la medesima finalità incrementativa e che rimane nella categoria dell’inesatto adempimento, escludendo la necessità di una domanda amministrativa ad hoc); b) domanda giudiziale del pensionato vuoi per la ricognizione del diritto alla rivalutazione dei contributi vuoi per il ricalcolo della pensione corrisposta dall’I.N.P.S. senza tener conto dell’esposizione all’amianto (che, non assumendo la richiesta accertativa autonoma rilevanza, condurrebbe ad una pronuncia di accoglimento unica ed attributiva bene della vita consistente nella maggior misura della pensione, con la conseguenza che, anche in questo caso, sarebbe inesatto ed ingiusto far dipendere la sorte dell’intera controversia dall’applicazione della regola limitatrice a una componente del processo che è soltanto formale); c) domanda giudiziale del lavoratore non pensionato finalizzata esclusivamente alla verifica ed alla dichiarazione del beneficio contributivo (in cui solo sarebbe necessaria l’istanza amministrativa)5. Tuttavia, nel senso della necessità della domanda amministrativa in tutte le ipotesi in cui si controverta di rivalutazione dei contributi per l’esposizione ad amianto (per l’evidenziata ricollegabilità a condizioni fattuali speciali, non note all’I.N.P.S.) è definitivamente attestata la giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. ex plurimis, tra le più recenti, Cass. nn. 9416/2014, 9415/2014, 9378/2014, n. 8358/2014, n. 8355/2014, 8354/2014, n. 8178/2014 ed altre ancora) che ha da tempo superato l’iniziale orientamento espresso nelle sentenze 18 novembre 2004, n. 21862; Cass., 15 luglio 2005, 4 (R. Riverso, Il rischio amianto: ruolo della giurisprudenza ed ultime novità, LG, 2009, 134). S. L. Gentile (Lavoratori esposti all’amianto: per una revisione degli effetti che il ritardo nell’azione produce sul diritto al risarcimento pensionistico - Nota a Cass., Ord. 7 marzo 2012, n. 3605 - in F.I. parte I, 2012, 2101) 5 11 n. 15008 secondo cui “nel regime precedente, non era prevista una domanda amministrativa per far accertare il diritto alla rivalutazione dei contributi previdenziali per effetto di esposizione all’amianto”. In numerose occasione la Corte di legittimità ha anche affermato il principio - in tema di combinato disposto degli art. 443 cod. proc. civ. e art. 148 disp. att. cod. proc. civ. e di rapporto tra procedimento amministrativo ed azione giudiziaria - che la preventiva presentazione della domanda amministrativa costituisce un presupposto dell’azione mancando il quale la domanda giudiziaria è improponibile, senza che in contrario - possano trarsi argomenti né dall’art. 8 della legge n. 533 del 1973, che si limita a negare rilevanza ai vizi, alle preclusioni e alle decadenze verificatisi nel corso della procedura amministrativa, né dall’art. 443 cod. proc. civ. che, con disposizione non suscettibile di interpretazione estensiva, prevede la mera improcedibilità - anziché l’improponibilità - della domanda soltanto per il caso del mancato esaurimento del procedimento amministrativo, che sia stato però iniziato (cfr. al riguardo; Cass. 11 dicembre 1995 n. 12661; Cass. 4 novembre 1983 n. 6526). In tale ottica è stato così ribadito e definitivamente affermato dalla Suprema Corte che la mancata presentazione della domanda amministrativa di prestazione previdenziale determina non già la mera improcedibilità ex art. 443 cod. proc. civ. ma la radicale “improponibilità” della domanda giudiziale (così Cass. Sez. U, 5 agosto 1994, n. 7269; Cass. 23 luglio 1996, n. 6615; Cass. 19 giugno 2000, n. 8318; Cass. 28 novembre 2003, n. 18265). Nella medesima ottica è stato anche affermato che il difetto di domanda amministrativa di prestazione previdenziale non possa essere sanato in relazione alla presentazione di domanda amministrativa concernente prestazione previdenziale diversa ancorché “compatibile” con la prestazione poi richiesta in sede giudiziaria (cfr. in tali, termini: Cass. 8 aprile 2000, n. 4463; Cass. 12 marzo 2004, n. 5149). In conformità del sopra richiamato orientamento giurisprudenziale ed in base ai princìpi generali va, dunque, ritenuto che la domanda giudiziale di rivalutazione contributiva per esposizione all’amianto proposta da soggetto iscritto (o pensionato) debba essere preceduta, a pena di improponibilità, da quella amministrativa rivolta all’ente competente a riconoscere il diritto e ad erogare la prestazione. 12 La domanda giudiziale deve, quindi, essere presentata all’I.N.P.S., unico ente legittimato a concedere il beneficio previdenziale in parola; né può fondatamente sostenersi una sostanziale fungibilità rispetto a tale domanda di quella inoltrata all’I.N.A.I.L. attesa la diversità funzionale dell’una rispetta all’altra. Mentre la domanda all’I.N.P.S. è, infatti, necessaria per il riconoscimento del diritto al beneficio previdenziale, quella rivolta all’I.N.A.I.L. mira unicamente a fornire al lavoratore la prova dell’esposizione all’amianto. Si richiama, a conforto, la costante giurisprudenza della Suprema Corte con la quale, a partire dalla sentenza 28 giugno 2001 n. 8859 (e, successivamente, Cass. 25 febbraio 2002, n. 2677; Cass. 19 giugno 2002, n. 8937; Cass. 29 novembre 2002, n. 17000), si è costantemente affermato che nella causa introdotta dal lavoratore per ottenere accertamento giudiziale del diritto alla rivalutazione, ai fini pensionistici, del periodo lavorativo nel quale è stato esposto all’amianto, avvalendosi della disposizione di cui all’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992 n. 257, nel testo modificato dall’art. 1, comma 1, d.l. 5 giugno 1993 n. 169 e dalla relativa legge di conversione 4 agosto 1993 n. 271, l’I.N.A.I.L. difetta di legittimazione passiva (ad causam), in quanto soggetto del tutto estraneo al rapporto, di natura previdenziale, che dà titolo a una siffatta domanda, posto che la norma da cui trae fondamento il diritto azionato finalizza il beneficio da essa previsto - consistente nell’incremento dell’anzianità contributiva, attraverso il meccanismo della ipervalutazione dei periodi lavorativi soggetti all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dalla esposizione all’amianto - ad agevolare il perfezionamento dei requisiti previsti per le prestazioni pensionistiche (l’ammontare delle quali dovrà essere determinato computando, se spettante, la maggiorazione di legge) e a consentire, perciò, una più rapida acquisizione del relativo diritto, non già a facilitare l’accesso alle (diverse) prestazioni oggetto del regime assicurativo che fa carico all’I.N.A.I.L.. Il fatto che il legislatore abbia fatto salve le domande avanzate all’I.N.A.I.L. al fine di regolare il regime transitorio (art. 3, comma 132, della legge n. 350/03) non è significativo di una equiparazione tra l’una e l’altra istanza, poiché il riferimento alle richieste presentate all’I.N.A.I.L. ha la sola finalità di consentire il recupero 13 del vecchio regime in favore di chi si è comunque attivato entro una certa data per ottenere il beneficio, mentre per ottenere la prestazione occorre comunque avere fatto domanda amministrativa all’I.N.P.S., unico soggetto preposto ad attribuirla o negarla6. La verifica della mancata presentazione della domanda all’I.N.P.S. conduce pertanto inevitabilmente ad una pronuncia di improponibilità dell’azione (cfr. Cass. 15 gennaio 2007, n. 732). Peraltro, senza una domanda amministrativa non può neppure ipotizzarsi il maturarsi di una decadenza. Inoltre, la presentazione di una domanda giudiziale, dichiarata improponibile per mancanza di previa istanza amministrativa, non consuma il diritto di azione e, quindi, non osta alla successiva attivazione di una regolare sequenza procedimentale, il cui eventuale risultato positivo, però, risentirà del ritardo del richiedente nell’adempiere a tutti gli oneri ed obblighi di legge, a partire da quello ineludibile di cui all’art. 7 della legge n. 533/19737. Diversa è la situazione che si verifica quando una nuova domanda diretta ad ottenere il medesimo beneficio previdenziale (nella specie, la rivalutazione contributiva per esposizione ad amianto) sia stata presentata in epoca posteriore alla maturazione della decadenza (e così della decadenza dall’azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970). In tal caso la nuova domanda è irrilevante ai fini del riconoscimento della prestazione posto che viene in rilievo l’istituto della decadenza che mira a tutelare la certezza delle determinazioni concernenti l’erogazione di spese gravanti sui bilanci, che verrebbe vanificata ove la mera riproposizione della domanda determinasse il venire meno degli effetti decadenziali sostanziali già verificatisi (cfr. Cass. 19 aprile 2011, n. 8926; Cass. 14 agosto 2012, n. 14472; Cass. 3 luglio 2013, n. 16592; Cass. 5 febbraio 2014, n. 2648; (M. Rizzo “Le principali questioni sostanziali e processuali in tema di previdenza e assistenza”- Roma, Incontro di Studi C.S.M. 19 - 21 marzo 2012 Ergife Palace Hotel) 7 S. L. Gentile (Il processo previdenziale, Giuffrè Editore). 6 14 Cass. 24 febbraio 2014, n. 4409; Cass. 31 luglio 2014, n. 17500; Cass. 20 marzo 2015, n. 5681). In tema di prestazioni previdenziali, le questioni attinenti alla proponibilità dell’azione sono rilevabili d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo, con il solo limite del giudicato - cfr. Cass. 12 marzo 2004, n. 5149; Cass. 29 dicembre 2004, n. 24103; Cass. 27 dicembre 2010, n. 26146; Cass. 30 gennaio 2014, n. 2063 -. Si è anche aggiunto che tale vizio rende nulli tutti gli atti del processo, in quanto presuppone “una temporanea carenza di giurisdizione” (cfr. in tali sensi ancora: Cass. 11 dicembre 1995, n. 12661; Cass. 2 luglio 1992, n. 8111; Cass. 23 agosto 1990, n. 8575; si veda anche Cass. 29 dicembre 2004, n. 24103 secondo cui: “In tema di mancata presentazione della domanda amministrativa di prestazione previdenziale o assistenziale (con conseguente radicale improponibilità della domanda giudiziale, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, fatto salvo il giudicato interno espresso) fermo restando che il principio di non contestazione, desunto dall’art. 416 cod. proc. civ., non è applicabile ai fatti processuali, occorre, però distinguere, nettamente la questione processuale della proponibilità della domanda giudiziale (rilevabile d’ufficio) e le circostanze di fatto condizionanti la detta proponibilità. Ove, infatti, il ricorrente abbia specificato la circostanza di aver presentato domanda amministrativa, precisando l’ente destinatario, la prestazione richiesta, la data e le modalità di presentazione, l’ente convenuto è certamente onerato della relativa contestazione, mancando la quale il fatto stesso deve ritenersi definitivamente comprovato (e dunque la domanda proponibile)”. Per il verificarsi della suddetta condizione della formazione del giudicato non è, dunque, sufficiente la decisione nel merito della causa (c.d. giudicato interno implicito) essendo necessario che l’eccezione (di improponibilità) sia stata oggetto di discussione e che la decisione (implicita) sia rimasta priva di impugnazione (c.d. giudicato interno espresso) - cfr., in tal senso, in merito ad analoga questione posta con riguardo alla decadenza di cui al d.P.R. n. 636 del 1972, art. 16, Cass. 13 settembre 2013, n. 20978 e Cass. 23 giugno 2003, n. 9952; si vedano anche Cass. 8 luglio 2014, n. 15531 in materia di decadenza di cui all’art. 47 del d.P.R. n. 639/1970 e Cass. 4 novembre 2011, n. 22899 in materia di giudicato interno espresso sui requisiti socio-economici per una prestazione assistenziale - . 15 Da ultimo va precisato che, se, per quanto sopra detto, la domanda all’I.N.P.S. è sempre necessaria, tale onere ricade anche su coloro che, rientrando nella disciplina di cui alla legge n. 326/2003 (che prevede l’obbligo di domanda, entro un termine, all’I.N.A.I.L. a pena di decadenza - speciale -), abbiano, in ottemperanza, presentato la domanda all’I.N.A.I.L.. Sul punto, invero, non risultano precedenti specifici del giudice di legittimità. Tuttavia non pare possa ritenersi che, con la nuova disciplina - la quale non muta la funzione meramente ausiliaria dell’I.N.A.I.L. e non elide l’autonomia delle due istanze in ragione delle differenti finalità perseguite -, la domanda a tale Istituto soddisfi ogni onere, restando sempre necessaria anche quella all’ente cui solo spetta riconoscere il beneficio. In conseguenza il termine di decadenza di cui all’art. 47 del d.P.R. n. 639/1970 (sempre applicabile) non potrebbe farsi decorrere dalla domanda all’I.N.A.I.L. bensì - come maggiormente coerente con il sistema - da quella all’I.N.P.S. (comunque necessaria). DECADENZA Premessa In materia esistono due tipologie di decadenza: quella generale (sostanziale) prevista dall’art. 47 d.P.R. n. 639/70 e successive modificazioni e quella speciale (egualmente sostanziale) prevista dall’art. 47 D.L. n. 269/03 e dal D.M. 27/10/04. La prima è riferita alla domanda giudiziale, la seconda alla domanda da rivolgersi all’I.N.A.I.L.. In termini generali può dirsi che la decadenza è l’effetto dipendente dal fatto oggettivo del mancato esercizio del diritto durante il tempo stabilito, e corrisponde alla esigenza di limitare nel tempo tale esercizio (così Cass. Sez. U 24 febbraio 1997, n. 1691). Il maturare della decadenza comporta sia l’impossibilità di far valere 16 nuovamente la pretesa in sede giudiziale sia “un pregiudizio cancellatorio della posizione giuridica vantata”8. 1. La decadenza triennale di cui all’art. 47 d.P.R. n. 639/1970. La necessità di una domanda amministrativa espone colui che intenda far valere il diritto all’anzianità convenzionale nei termini sopra descritti alla decadenza (ora) triennale di cui all’art. 47 d.P.R. 639 del 1970, come novellato dall’art. 38 del d.l. 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111 (dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale nella parte in cui, al comma 4, prevede che le disposizioni di cui al comma 1, lettera d, si applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del presente decreto). Con tale domanda, come detto, non si fa valere il diritto al ricalcolo della prestazione pensionistica, ovvero alla rivalutazione dell’ammontare dei singoli ratei, in quanto erroneamente (o ingiustamente) liquidati in sede di determinazione amministrativa, bensì il diritto a un beneficio che, seppure previsto dalla legge “ai fini pensionistici” e, dunque, intimamente collegato alla pensione, poiché strumentale ad agevolarne l’accesso (ovvero, nel caso dei già pensionati, ad ottenerne un “arricchimento”, ove la contribuzione posseduta sia inferiore al “tetto massimo” dei quarant’anni), è dotato di una sua specifica individualità e autonomia, operando sulla contribuzione ed essendo ancorato a presupposti propri e distinti da quelli in presenza dei quali era sorto (o sarebbe sorto) - in base ai criteri ordinari - il diritto al trattamento pensionistico. Non può, pertanto, venire in rilievo la specifica questione concernente l’applicabilità della decadenza anche alle controversie che hanno ad oggetto 8 sempre S. L. Gentile (Il processo previdenziale, Giuffrè Editore). 17 l’esatto adempimento di prestazioni già adempiute solo in parte 9atteso che non si tratta di stabilire quale sia il giusto importo dei ratei di prestazione pensionistica, bensì di verificare se i contributi già versati debbano o meno essere rivalutati in applicazione delle speciali disposizioni in tema di esposizione qualificata ad amianto. La Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire che non vi è ragione di non applicare alle controversie nella materia di cui all’art. 13 della legge n. 257 del 1992 le disposizioni di cui all’art. 47 d.P.R. n. 639/1970 “poiché nel caso di specie si tratta di rivalutare non già l’ammontare dei singoli ratei bensì i contributi previdenziali necessari a calcolare la pensione originaria” (Cass. n. 24 aprile 2008, n. 12685). Del resto era stato già affermato (così Cass. 5 aprile 2004, n. 6646, resa prima che la Corte di legittimità con la decisione a Sez. U, 29 maggio 2009, n. 12720 operasse un distinguo tra domanda giudiziale intesa ad ottenere il riconoscimento del diritto ad una prestazione previdenziale in sé considerata e domanda giudiziale per l’adeguamento di una prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto) che le regole sulla necessaria proposizione del ricorso amministrativo e quelle, ad esse collegate, sui termini di decadenza per la proposizione del giudizio, previste dall’art. 47, commi secondo e terzo, del decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1979, n. 639, come sostituito dall’art. 4 del decreto legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, si riferiscono a tutte le pretese azionate dall’interessato contro l’I.N.P.S. in relazione alle prestazioni cui la citata disposizione si riferisce, e quindi, quali prestazioni previdenziali, non solo a quelle Si veda Cass., Sez. U, 29 maggio 2009, n. 12720 secondo cui: “La decadenza di cui all'art. 47 del d.P.R 30 aprile 1970, n. 639 - come interpretato dall'art. 6 del d.l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 1 giugno 1991, n. 166 - non può trovare applicazione in tutti quei casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale in sé considerata, ma solo l'adeguamento di detta prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene nei casi in cui l'Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate interpretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto una componente, nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della ordinaria prescrizione decennale”; si veda l’art. 38, lett. d, punto 1, del D.L. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, nella L. n. 111 del 2011, il quale ha aggiunto un ultimo comma all’art. 47 d.p.r. 639/70, del seguente tenore:<<Le decadenze previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l'adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte>>. 9 18 strettamente di natura pensionistica, ma anche a quelle dirette a migliorare (incrementandola) la posizione contributiva del lavoratore, quando sia in discussione non solo la quantificazione del trattamento pensionistico, ma l’esistenza stessa del diritto fatto valere. La Corte di legittimità, confermando l’orientamento espresso dalla sopracitata Cass. sent. n. 12685 del 2008, ha in plurime decisioni (così nn. 3605, 4695 e 6382 del 2012; ord. nn. 7138, 8926, 12052 del 2011, n. 1629 del 2012; sent. 11094 e 11400 del 2012), ribadito il principio che la decadenza dall’azione giudiziaria prevista dal d.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, nel testo sostituito dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4 (convertito nella L. n. 438 del 1992) trova applicazione anche per le controversie aventi ad oggetto il riconoscimento del diritto alla maggiorazione contributiva per esposizione all’amianto, siano esse promosse da pensionati ovvero da soggetti non titolari di alcuna pensione. Secondo le richiamate decisioni, infatti, l’art. 47 citato, per il riferimento fatto (nel testo originario) alle “controversie in materia di trattamenti pensionistici” - poi divenuto, nel testo sostituito, “prestazioni previdenziali” - (diverso e più ampio rispetto alla “materia delle pensioni” di cui all’art. 58 della legge n. 153/1969 ed ancor più della previsione di cui all’art. 97 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, che prevedeva in considerazione i provvedimenti dell’Istituto “concernenti le concessioni delle prestazioni assicurative previste nel presente decreto e in genere l’attuazione delle disposizioni del decreto stesso”), comprende tutte le domande giudiziarie in cui venga in discussione l’acquisizione del diritto a pensione ovvero la determinazione della sua misura, così da doversi ritenere incluso, nella previsione di legge, anche l’accertamento relativo alla consistenza dell’anzianità contributiva utile ai fini in questione, sulla quale, all’evidenza, incide il sistema più favorevole di calcolo della contribuzione in cui si sostanzia il beneficio previdenziale previsto dalla legge n. 257 del 1992, art. 13, comma 8. Non è utile richiamare, in senso contrario, per le domande giudiziarie presentate dai già pensionati, la già citata sentenza n. 12720/2009 della Suprema Corte a sezioni unite in 19 base all’assunto che, in tali casi, si tratta non di conseguimento del trattamento di pensione, ma di incremento di quello già liquidato. Valga, al riguardo, l’orientamento della Corte di legittimità sopra richiamato secondo il quale con le domande tese ad ottenere il beneficio in questione non si fa valere il diritto al ricalcolo della prestazione pensionistica o una rivalutazione dell’ammontare dei singoli ratei, in quanto erroneamente (o ingiustamente) liquidati in sede di determinazione amministrativa, bensì “il diritto a un beneficio che, seppure previsto dalla legge ai fini pensionistici e ad essi, quindi, strumentale, è dotato di una sua specifica individualità e autonomia, operando sulla contribuzione ed essendo ancorato a presupposti propri e distinti da quelli in presenza dei quali era sorto (o sarebbe sorto) - in base ai criteri ordinati - il diritto al trattamento pensionistico”. Del resto la Cassazione si è espressa nei medesimi termini anche con riguardo ad altra ipotesi di anzianità convenzionale e così in particolare con riguardo al beneficio della maggiorazione dell’anzianità contributiva in favore dei non vedenti. Si veda, infatti, Cass. 23 gennaio 2013, n. 1576 secondo cui: “La decadenza prevista dall’art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970 vale anche per l’azione giudiziaria del pensionato che chieda la rivalutazione contributiva ai sensi dell’art. 7 della legge n. 155 del 1981, dell’art. 9 della legge n. 113 del 1985 e dell’art. 2 della legge n. 120 del 1991, perché l’art. 47 si riferisce genericamente alle controversie in materia di trattamenti pensionistici, nel cui ambito sono riconducibili anche quelle relative alla posizione contributiva, e perché, inoltre, il beneficio di che trattasi è legato alla condizione di non vedente, la quale, distinta e autonoma rispetto alle condizioni della liquidazione ordinaria di pensioni e supplementi, è nota solo all’assicurato, che ha l’onere di portarla a conoscenza dell’I.N.P.S. mediante apposita istanza amministrativa”. Anche in questo caso è stato ritenuto che il beneficio della rivalutazione contributiva (con incremento - figurativo - dell’anzianità contributiva di cui alla L. n. 113 del 1985 e L. n. 120 del 1991) è riconosciuto dalla legge in presenza di condizioni distinte ed autonome rispetto a quelle previste per la liquidazione (secondo le regole ordinarie) della pensione; inoltre, trattandosi di condizione conosciuta solo dall’assicurato, quest’ultimo è tenuto a portarla a conoscenza dell’I.N.P.S. mediante apposita domanda amministrativa. La rideterminazione della pensione consegue, anche in tale ipotesi, al giustificato sopravvenuto mutamento - anche se con effetti retroattivi - della posizione 20 contributiva e non è pertanto corretto qualificarla come correzione di una precedente determinazione amministrativa ingiusta od erronea (si veda la medesima sentenza, in motivazione). Per analoghe ragioni la giurisprudenza prevalente della Corte di Cassazione ha ritenuto, poi, che in caso di domanda giudiziale intesa ad ottenere il beneficio contributivo della rivalutazione per esposizione all’amianto non possa trovare applicazione la disciplina della decadenza c.d. mobile10, atteso che in tale tipo di controversia non si tratta di rivalutare l’ammontare di singoli ratei, bensì i contributi previdenziali necessari calcolare la pensione originaria (cfr. Cass. 19 maggio 2008, n. 12685; Cass. 29 marzo 2011, n. 7138; Cass. 31 maggio 2011, n. 12052, Cass. 19 aprile 2011, n. 8926; 24 aprile 2012, n. 6382). I suddetti benefici aggiuntivi, richiesti in via amministrativa, andavano poi rivendicati entro un termine del tutto ragionevole, al Giudice, il che non è avvenuto per fatto addebitabile all’interessato, il quale certamente così agendo non ha perso l’effettività del diritto (nel suo nucleo sostanziale) riconosciutogli all’art. 38 Cost. - si vedano anche Cass. 3 luglio 2012, n. 11094 secondo cui: “la soggezione del relativo diritto alla decadenza dall’azione giudiziaria comporta unicamente la non applicazione del più favorevole sistema di calcolo delle contribuzione versata nel periodo di esposizione all’amianto e non certo la perdita del diritto alla pensione che, solo, dovrà essere calcolata in base all’anzianità contributiva maturata secondo gli ordinari criteri”, nonché le successive Cass. 14 agosto 2012, n. 14471; Cass. 28 maggio 2013, n. 13265; 10 gennaio 2014, n. 436; Cass. 20/01/2014, n. 1028 ; 17 gennaio 2014, nn. 950, 951 e 952; 2 aprile 2014, n. 7728; 31 luglio 2014, n. 17500; Cass. 13 agosto 2014, n. 17941; Cass. 22 settembre 2014 n. 19876; Cass. 4 febbraio 2015, n. 1999). Diversamente opinando, del resto, l’istituto della Cass. 29 dicembre 1999, n. 14683: “In base all’art. 6 del D.L. n. 103 del 1991, convertito nella legge n. 166 del 1991 (che interpretato autenticamente l’art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970), il termine di decadenza sostanziale del diritto alle prestazioni previdenziali nel caso di presentazione del ricorso giudiziario senza la preventiva presentazione del ricorso amministrativo decorre dall’insorgenza del diritto ai singoli ratei. Ne consegue che, nella suddetta ipotesi, la decadenza non è unitaria ma mobile per ciascun rateo: ciascuno di essi ha una cadenza autonoma ed ogni mensilità va relazionata alla data del ricorso giudiziario per verificare se la decadenza si sia verificata o meno”- conf. Cass. 2 aprile 2003, n. 5083; Cass. 3 aprile 20013, n. 5208 -. S.L. Gentile (Funzione e calcolo della decadenza previdenziale c.d. mobile - in Le banche dati, archivio, Merito ed extra, 2011, I, 571) 10 21 decadenza sostanziale del diritto11 alle prestazioni previdenziali indicate, voluto dal legislatore e ribadito con la norma interpretativa del 1991 anche “ai fini riduttivi della spesa e del contenimento del contenzioso”, ne risulterebbe sostanzialmente vanificato, in quanto il ricorso amministrativo, “una volta interrotta la prescrizione mediante la domanda amministrativa, potrebbe essere presentato anche a distanza di anni rispetto ad essa e sarebbe pur sempre idoneo a consentire di agire in giudizio nel corso del decennio successivo per ottenere i ratei della prestazione, pur se maturati in epoca assai remota” - così Cass. 21 dicembre 2009, n. 26901, resa in una fattispecie ricadente sotto la disciplina di cui al d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 come interpretato autenticamente dal D.L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, convertito nella L. 1 giugno 1991, n. 166, prima delle profonde modifiche intervenute con il D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 4 convertito in L. 14 novembre 1992, n. 438 -. Come già sopra evidenziato, per le medesime ragioni la Cassazione ha negato valore ad una successiva domanda posteriore alla già maturata decadenza, diretta ad ottenere il beneficio de quo in quanto la funzione della decadenza sostanziale “è quella di tutelare la certezza delle determinazioni concernenti erogazioni di spese gravanti sui bilanci pubblici e tale funzione (e, quindi, la stessa concreta utilità della predisposizione di un meccanismo decadenziale) verrebbe irrimediabilmente frustrata ove si ritenesse che la semplice riproposizione della domanda consentisse il venir meno degli effetti decadenziali già verificatisi” - cfr., ex plurimis, Cass.: SU, n. 12718/2009, in motivazione) e tale funzione (e, quindi, la stessa concreta utilità della predisposizione di un meccanismo decadenziale “di ordine pubblico” - artt. 2968 e 2969 cod. civ. - dettato “a protezione dell’interesse alla definitività e certezza delle determinazioni concernenti erogazioni di spese gravanti su bilanci pubblici”) verrebbe irrimediabilmente frustrata ove si ritenesse che la semplice riproposizione della domanda consentisse il venir meno degli effetti decadenziali già verificatisi. Va quindi ritenuto che, in tema di decadenza dall’azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali ai sensi del d.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, la proposizione, in epoca posteriore alla maturazione della decadenza, di una La ratio del citato art. 6, come è stato chiarito dalla Corte costituzionale (sentenza n. 246 del 1992) consiste nell’attribuire alla decadenza prevista dall’art. 47 natura sostanziale, diversamente dall’opzione ermeneutica (decadenza meramente procedimentale) cui era approdata la giurisprudenza di legittimità. 11 22 nuova domanda diretta ad ottenere il medesimo beneficio previdenziale (e così, in particolare, la rivalutazione contributiva per esposizione ad amianto) è irrilevante ai fini del riconoscimento della prestazione - cfr. le già citate Cass. 19 aprile 2011, n. 8926; Cass. 14 agosto 2012, n. 14472; Cass. 3 luglio 2013, n. 16592; Cass. 5 febbraio 2014, n. 2648; Cass. 24 febbraio 2014, n. 4409; Cass. 31 luglio 2014, n. 17500; Cass. 20 marzo 2015, n. 5681 -. E’ stato anche affermato che, rispetto a tale impostazione, non può costituire pronuncia dissonante Cass. 11 giugno 2008, n. 15521, secondo la quale la decadenza da una domanda di riscatto del corso di laurea non ne preclude la riproposizione, essendo sufficiente osservare che tale affermazione è riferita a una fattispecie ricadente nel regime della decadenza anteriore alle innovazioni apportate dal D.L. n. 103 del 1991, art. 6, quando ancora, cioè, alla decadenza prevista dal d.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, si attribuiva carattere soltanto procedimentale e, quindi, tale da non comportare la perdita del diritto tardivamente azionato (v. in tal senso Cass. 3 luglio 2012, nn. 11093 e 11094; Cass. 28 maggio 2013, n. 13265; Cass. 20 gennaio 2014, n. 1028; Cass. 22 gennaio 2014, n. 1294). Il suddetto orientamento è stato, invero, sottoposto, a critica12 rilevandosi, tra l’altro, che lo stesso non si misurerebbe con il fatto che il contenuto dell’art. 47 è integrato dall’art. 6, comma 1, del d.l. 103/91, convertito, con modificazioni, nella legge n. 166/91 (che ha attribuito alla decadenza de quo valore sostanziale, a fronte dell’interpretazione che la vedeva solo come procedimentale), che così dispone: <<I termini previsti dall’art. 47, commi secondo e terzo, del decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970, n. 639, sono posti a pena di decadenza per l’esercizio del diritto alla prestazione previdenziale. La decadenza determina l’estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e l’inammissibilità della relativa S. L. Gentile (Lavoratori esposti all’amianto: per una revisione degli effetti che il ritardo nell’azione produce sul diritto al risarcimento pensionistico - Nota a Cass., Ord. 7 marzo 2012, n. 3605 - in F.I. parte I, 2012, 2101) P. Ghinoy (Ancora un’ordinanza ex art. 375 c.p.c. della Cassazione sulla decadenza dalla domanda di rivalutazione contributiva per esposizione ad amianto. Spunti critici - in Rivista Italiana di Diritto del lavoro 2012, 739.) R. Riverso (Nella torre di babele della decadenza previdenziale per l’amianto: cronistoria di un’ingiustizia - in Rivista giuridica del diritto del lavoro e delle previdenza sociale ANNO LXIV - 2013 - 3) R. Riverso (Amianto: decadenza dall’azione per i benefici previdenziali - in Dir. prat. lav. 2013, n. 15, 989) 12 23 domanda giudiziale. (…)>>. Si assume che il richiamo ai “ratei pregressi” ed alla domanda giudiziale agli stessi relativa, sembra riferire l’istituto della decadenza sostanziale ad una prestazione che si traduce in un’erogazione periodica, rendendola inapplicabile ai presupposti di computo di tale erogazione, qual è il diritto alla rivalutazione contributiva. In realtà, l’art. 6, primo comma, del d.l. n. 103 del 1991 - così come l’art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970 al quale si riferisce -, anche sulla base della lettura offerta dalla Corte costituzionale (sentenze n. 246/1992 e n. 392 del 1994), laddove stabilisce, a fronte di una generale previsione della decadenza (sostanziale) del diritto alla prestazione previdenziale, l’estinzione (per intervenuta decadenza) del solo diritto ai ratei pregressi, non può che riguardare la disciplina del diritto a pensione, per sua natura imprescrittibile, e dunque inestinguibile e non sottoponibile a decadenza (ciò in forza del carattere primario e indisponibile riconosciuto, nel suo nucleo sostanziale, dall’art. 38 Cost.). Solo tale natura del diritto “fondante” poteva, infatti, rendere necessaria la specificazione legislativa relativa ai ratei. Diversa è allora l’ipotesi in cui, come detto, non si discute di diritto a pensione ma di qualcosa di diverso (diritto al riconoscimento - figurativo - aggiuntivo di anzianità contributiva). Ed infatti l’affermazione che la maturazione della decadenza comporta la perdita del diritto è stata posta dalla Suprema Corte in relazione al fatto che si tratta di rivalutare non già l’ammontare di singoli ratei, bensì i suddetti contributi previdenziali aggiuntivi. In sostanza non sono più i ratei a rilevare in quanto tali (ed afferenti all’inestinguibile diritto a pensione), avendo la decadenza sostanziale già travolto il diritto (diverso) che è alla base della rivendicazione. Le ragioni della scelta interpretativa più sopra operata risiedono, a parere della Corte di legittimità, nella stessa ratio del sistema ed in particolare nella finalità che la legge ha assegnato al termine decadenziale già decennale ed oggi triennale in seguito alla riforma del 1992. Lo scopo perseguito, infatti, è quello di accelerare i tempi di definizione delle istanze a fini di certezza ed in tal senso l’aver disposto la decorrenza del termine ex art. 47 cit. dalla “scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento dell’iter 24 amministrativo” indica con certezza che, nella irrilevanza della sorte del procedimento medesimo, comunque alla sua scadenza (300 gg.) comincia a decorrere il termine per azionare il diritto in sede giudiziaria (v. in particolare Cass. n. 6018/2005 e n. 13276/2007, oltre a Cass. n. 25670/2007 cit., secondo cui anche in ipotesi di ricorso amministrativo tardivo non è consentito lo spostamento in avanti del termine di decadenza). Una indiretta conferma di tale impostazione è, peraltro, rinvenibile nella previsione di cui all’art. 47, co. 5, del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, a seguito delle modifiche di cui alla L. 24 novembre 2003, n. 326, secondo cui “i lavoratori che intendano ottenere il riconoscimento dei benefici di cui al comma 3 (….) devono presentare domanda alla Sede I.N.A.I.L. di residenza entro 180 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale di cui al comma 6, a pena di decadenza del diritto agli stessi benefici”. Con espresso riguardo alla rivalutazione contributiva in questione è, dunque, lo stesso legislatore che introducendo una (altra) causa definitivamente estintiva di tale diritto, avalla la configurabilità dello stesso come diverso da quello - costituzionalmente protetto - a pensione. 2. La decadenza semestrale Il decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, nel testo originario, all’art. 47, comma 5, disponeva che: “I lavoratori che intendono ottenere il riconoscimento dei benefici di cui al comma 3, compresi quelli a cui è stata rilasciata certificazione dall’I.N.A.I.L. prima del 1° ottobre 2003, devono presentare domanda alla sede I.N.A.I.L. di residenza entro 180 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale di cui al comma 6, a pena di decadenza del diritto agli stessi benefici”. Al successivo comma 6 era così previsto: “Le modalità di attuazione del presente articolo sono stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto”. Pubblicato in data 17 dicembre 2004 il D.M. attuativo, il suddetto termine di 180 giorni per la presentazione della domanda all’I.N.A.I.L. è stato fissato al 15 giugno 2005. 25 In sede di conversione ad opera della legge al suddetto art. 47 è stato aggiunto il comma 6 bis dettato per agevolare il passaggio da un regime ad un altro: “Sono comunque fatte salve le previgenti disposizioni per i lavoratori che abbiano già maturato, alla data di entrata in vigore del presente decreto, il diritto di trattamento pensionistico anche in base ai benefici previdenziali di cui all’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, nonché coloro che alla data di entrata in vigore del presente decreto, fruiscono di mobilità, ovvero che abbiano definito la risoluzione del rapporto di lavoro in relazione alla domanda di pensionamento”. Il successivo art. 3, co. 132, legge 27 dicembre 2003, n. 299 (legge finanziaria per l’anno 2004) ha, quindi, stabilito, sempre nell’ambito della disciplina del regime transitorio, che “in favore dei lavoratori che abbiano già maturato, alla data del 3 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, sono fatte salve le disposizioni previgenti alla medesima data del 2 ottobre 2003. La disposizione di cui al primo periodo si applica anche a coloro che hanno avanzato domanda di riconoscimento all’I.N.A.I.L. o che ottengono sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data. Restano salve le certificazioni già rilasciate dall’I.N.A.I.L…”. Dunque, l’art. 3, co. 132, legge 27 dicembre 2003, n. 299, pur presupponendo e richiamando la disciplina introdotta dall’art. 47 d.l. n. 269/2003, conv. in legge n. 326/2003, è intervenuto ad escludere l’applicabilità della nuova disciplina introdotta dall’art. 47 d.l. n. 269/2003, convertito in legge n. 326/2003, ad alcune ulteriori categorie di assicurati e precisamente: - coloro che alla data del 2 ottobre 2003 avessero maturato il diritto a pensione (ai sensi dell’art. 47 co. 6 bis, eventualmente anche in forza della rivalutazione contributiva prevista dall’art. 13, comma 8, della legge n. 257/92); - coloro che alla stessa data avessero presentato domanda di riconoscimento del beneficio derivante dall’esposizione ad amianto; - coloro che a tale data avessero comunque introdotto una controversia giudiziale poi conclusasi con sentenza favorevole al lavoratore. Tali categorie di assicurati vengono così ad aggiungersi a quelle già escluse dall’art. 47 (ovvero a coloro che alla data del 2 ottobre 2003 fruissero dei trattamenti di 26 mobilità e a coloro che a tale data avessero già definito la risoluzione del rapporto di lavoro in relazione alla domanda di pensionamento ). La lettura della norma nel senso sopra indicato è imposta dal tenore testuale della disposizione e dall’interpretazione sistematica alla luce della normativa precedente. Sul punto la Corte di Cassazione si è, peraltro, già più volte espressa - cfr. ex plurimis Cass. 18 novembre 2004, n. 21862; id. 15 luglio 2005 n. 15008; 11 luglio 2006 n. 15679 e più di recente Cass. 30 maggio 2012 n. 8649 - affermando il principio secondo cui “in tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all’amianto, la legge 24 dicembre 2003, n. 350, art. 3, comma 132, che - con riferimento alla nuova disciplina introdotta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 47, comma 1 (convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326) - ha fatto salva l’applicabilità della precedente disciplina, prevista dalla legge 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, per i lavoratori che alla data del 2 ottobre 2003 abbiano avanzato domanda di riconoscimento all’I.N.A.I.L. od ottenuto sentenza favorevoli per cause avviate entro al medesima data, va interpretato nel senso che; a) per maturazione del diritto deve intendersi la maturazione del diritto a pensione; b) tra coloro che non hanno ancora maturato il diritto a pensione, la salvezza concerne esclusivamente gli assicurati che, alla data indicata, abbiano avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per l’accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva”. Sulla base delle indicate disposizioni va, dunque, ritenuto che la disciplina previgente si applica: 1) a coloro che alla data del 2 ottobre 2003 avessero già maturato il diritto al più favorevole beneficio previdenziale di cui alla legge n. 257/1992; tale diritto aveva maturato solo chi avesse maturato il diritto alla pensione oppure avesse ottenuto il riconoscimento del diritto alla rivalutazione in via amministrativa o giudiziaria; 2) a coloro che alla data del 2 ottobre 2003 avessero già avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per l’accertamento del diritto. E’ quindi intervenuto il D.M. del 27 ottobre 2004 che all’art. 1 ha così previsto: “1. I lavoratori che, alla data del 2 ottobre 2003, sono stati esposti all’amianto per periodi lavorativi non soggetti all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dall’I.N.A.I.L. hanno diritto ai benefici previdenziali derivanti da esposizione ad amianto, alle condizioni 27 e con le modalità stabilite dal presente decreto. 2. Ai lavoratori che sono stati esposti all’amianto per periodi lavorativi soggetti all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, gestita dall’INAIL, che abbiano già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, si applica la disciplina previgente alla medesima data, fermo restando, qualora non abbiano già provveduto, l’obbligo di presentazione della domanda di cui all’art. 3 entro il termine di 180 giorni, a pena di decadenza, dalla data di entrata in vigore del presente decreto”. Con riguardo all’ultimo inciso ed alla portata del “generale” obbligo di presentazione della domanda all’I.N.A.I.L. nel previsto termine decadenziale di 180 giorni non si registra un unanime orientamento della Corte di legittimità. Si è, infatti, affermato che la riforma del 2003 ha introdotto “per tutte le categorie di lavoratori interessati”, a pena di decadenza, l’obbligo di presentare domanda di riconoscimento dei benefici all’I.N.A.I.L. nel termine fissato (180 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale attuativo) e che avendo il D.M. 27 ottobre 2004 riprodotto la dizione utilizzata dalla L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 132, al fine di individuare i soggetti contemplati in quest’ultima disposizione, non si pone alcun problema di sua eventuale disapplicazione (così Cass. 10 aprile 2014, n. 8453; Cass. 16 aprile 2014, n. 8973; Cass. 6 maggio 2014, n. 9649). E’ stato, invece, più di recente ritenuto da (Cass. 25 novembre 2014, n. 24998; Cass. 25 marzo 2015, n. 5928) che tale D.M., fonte regolamentare meramente attuativa delle disposizioni di cui all’art. 47 del D.L. n. 269/2003, conv. nella legge n. 326/2003, non può che muoversi nel solco tracciato dalla legge con la conseguenza che il riferimento, per l’applicazione della disciplina previgente, a coloro che abbiano già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 e successive modificazioni, va necessariamente inteso come riferimento a coloro che abbiano già maturato il diritto a pensione. Ed allora, la suddetta natura di fonte meramente attuativa ha come conseguenza ulteriore che, quando trovi applicazione il regime antecedente la 28 riforma del 2003, l’interessato non è soggetto al termine decadenziale (180 gg.) introdotto dal d.l. n. 269/2003, che interessa solo determinate categorie di lavoratori. Il D.M., in sostanza, riferendo il termine di 180 giorni anche ai lavoratori ai quali si applica la disciplina previgente per effetto, in particolare, del comma 6 bis dell’articolo 47, della legge 24 novembre 2003, n. 326 (e cioè a coloro che abbiano già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257) ha introdotto - da fonte secondaria avente un ambito di contenuti limitato alla mera attuazione della specifica disciplina introdotta con il D.L. n. 269/03 - un istituto eccezionale (quale è sicuramente la decadenza speciale) in contrasto con la fonte primaria (che, da una parte, non prevede espressamente la possibilità per tale fonte secondaria di una portata innovativa rispetto all’assetto ordinamentale come delineato negli aspetti principali e, dall’altra, non solo non prevede analoga decadenza speciale ma anzi contiene una espressa previsione di esclusione - art. 47 co. 6 bis cit. -). Laddove il D.M. ha, dunque, adottato una diposizione in contrasto con il contenuto dello stesso art. 47 e con il regime transitorio da quest’ultimo previsto, lo stesso deve essere disapplicato. Ad avviso di tale ultimo orientamento, dunque, la prevista salvezza delle previgenti disposizioni non riguarda soltanto la disciplina sostanziale dei benefici ma anche gli adempimenti formali per il loro conseguimento13. In conseguenza, in tutti i casi ricadenti nella “previgente disciplina” in virtù di espressa previsione di legge, non è alla decadenza “speciale” di cui al D.L. n. 269/2003 (con riguardo alla domanda all’I.N.A.I.L.) che occorre fare riferimento ma a quella “generale” di cui all’art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1979, n. 639, come sostituito dall’art. 4 del decreto legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438 (con riguardo alla domanda all’I.N.P.S.). Si veda anche M. Rizzo (“Le principali questioni sostanziali e processuali in tema di previdenza e assistenza”- Roma, Incontro di Studi C.S.M. 19 - 21 marzo 2012 Ergife Palace Hotel) 13 29 LA PRESCRIZIONE A differenza della decadenza generale di cui sopra si è detto, la prescrizione colpisce non l’inerzia giudiziaria dell’assistibile nell’introduzione della controversia dinanzi al giudice, bensì l’inerzia assoluta. Sempre a differenza della decadenza generale, la prescrizione può essere interrotta pure con atti diversi di esercizio della pretesa di pagamento e non è rilevabile d’ufficio. Inoltre la prescrizione si conteggia in modo diverso rispetto alla decadenza, computandosi dalla maturazione del diritto in avanti e non invece a ritroso rispetto al ricorso giudiziario. Entrambi gli istituti comportano la perdita del diritto (si veda Cass. Sez. U 24 febbraio 1997, n. 1691 secondo cui: “Ogni termine può essere indifferentemente di prescrizione o di decadenza a seconda della disciplina dettata dal legislatore, ma si tratta dello stesso fenomeno liberatorio (prescrittivo in senso ampio) nel quale la disciplina della decadenza è più rigorosa perché maggiore è l’esigenza di certezza. La prescrizione elimina l’effetto di una fattispecie già realizzatasi, laddove la decadenza fa mancare la possibilità che si verifichi uno degli elementi della fattispecie ed integra l’impossibilità di esercitare un potere in un singolo caso pur rimanendo in vita in tutti gli altri casi in cui ricorre”). Pur con le suddette differenze, l’applicabilità della prescrizione (nel termine ordinario decennale) al diritto alla rivalutazione contributiva e non solo ai ratei deriva, come ovvia conseguenza, da quanto sopra evidenziato con riguardo alla decadenza. Ed infatti non può invocarsi a sostegno della imprescrittibilità del diritto la pronuncia della Corte di Cassazione a sez. unite n. 10955 del 25/7/2002 ed il passaggio contenuto nella stessa secondo cui: “….ferma restando l’imprescrittibilità del diritto alla prestazione previdenziale o assistenziale garantita dall’art. 38 Cost. in quanto connesso ad uno status del cittadino, si prescrivono (oppure da essi si può decadere), invece, i diritti esclusivamente patrimoniali, cioè i singoli crediti periodicamente risorgenti (che maturano per ciascun mese o da scadenza di un periodo più lungo), in 30 quanto sono espressione del diritto alla prestazione e vengono denominati ‘ratei’ ”; ciò per la considerazione che, anche con riferimento alle domande giudiziarie avanzate da soggetti già pensionati, quello che si fa valere non è il diritto al ricalcolo della prestazione pensionistica, ovvero alla rivalutazione dell’ammontare dei singoli ratei erroneamente (o ingiustamente) liquidati in sede di determinazione amministrativa, bensì il diritto a un beneficio che, seppure previsto dalla legge “ai fini pensionistici” e ad essi, quindi, strumentale, è dotato di una sua specifica individualità e autonomia, operando sulla contribuzione ed essendo ancorato a presupposti propri e distinti da quelli in presenza dei quali era sorto (o sarebbe sorto) - in base ai criteri ordinari - il diritto al trattamento pensionistico. Tale principio è stato, di recente, affermato nelle pronunce della Corte di legittimità nn. 25000 e 25002 del 25 novembre 2014, n. 2774 del 12 febbraio 2015, n. 3008 del 16 febbraio 2015; nn. 3959 e 3960 del 26 febbraio 2015 nelle quali, oltre a richiamarsi le già citate Cass. 12685 del 19 maggio 2008; Cass. n. 7527 del 29 marzo 2010, Cass. n. 8926 del 19 aprile 2011, Cass. n. 6331 del 19 marzo 2014, Cass. n. 7934 del 4 aprile 2014, Cass. n. 13578 del 13 giugno 2014, è stato precisato che non è validamente invocabile il principio di imprescrittibilità del diritto a pensione, in quanto, come pure dalla Suprema Corte già specificato, “tale particolarissimo regime non si estende a tutte le singole azioni relative alla costituzione della posizione contributiva. E del carattere sostanzialmente costitutivo del procedimento amministrativo e dell’azione in giudizio diretto al riconoscimento del beneficio contributivo per esposizione all’amianto sembra non potersi dubitare, stanti i vincoli sostanziali, temporali e procedurali posti dalla legislazione in materia” - cfr. Cass. n. 1629 del 3 febbraio 2012; id. Cass. n. 11400 del 6 luglio 2012; Cass. n. 14531 del 16 agosto 2012; Cass. n. 14472 del 14 agosto 2012; Cass. nn. 20031 e 20032 del 15 novembre 2012; Cass. n. 27148 del 4 dicembre 2013; Cass. n. 4778 del 27 febbraio 2014 -. L’affermazione che la protezione costituzionale del diritto previdenziale - che ne determina l’imprescrittibilità - “non si estende a tutte le singole azioni relative alla costituzione della posizione contributiva” era stata, del resto, già contenuta nelle decisioni della Corte di legittimità n. 7138 del 29 marzo 2011 e n. 12052 del 31 maggio 2011. 31 In senso analogo si è espressa Cass. n. 11399 del 6 luglio 2012 che ha valorizzato la circostanza che l’esposizione all’amianto e la sua durata sono “fatti” la cui esistenza è conosciuta soltanto dall’interessato, tenuto, pertanto, a portarli a conoscenza dell’ente previdenziale onerato dell’applicazione del moltiplicatore contributivo attraverso un’apposita domanda amministrativa e a darne dimostrazione. Nella sentenza n. 6382 del 24 aprile 2012, e con riguardo alla questione della decadenza “generale” di cui all’art. 47, si è ancora più espressamente operata una distinzione tra il diritto per cui è causa ed il diritto a pensione così precisandosi: “La richiamata decisione di questa Corte n. 12720/2009 appare non pertinente nel caso in esame perché, come già detto, nella presente controversia non si dibatte del diritto all’adeguamento della prestazione previdenziale già ottenuta. La sollevata questione di legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 47 per violazione dell’art. 38 Cost. (…..) appare comunque manifestamente infondata in quanto il termine decadenziale appare congruo in ordine ad una piena ed effettiva tutela e garanzia dell’interesse costituzionalmente garantito del diritto a pensione, che - nel caso in esame - peraltro non viene affatto travolto in quanto tale dalla norma in discussione. Si tratta di benefici aggiuntivi che, richiesti in via amministrativa, andavano poi rivendicati entro un termine del tutto ragionevole, al Giudice, il che non è avvenuto per fatto addebitabile al ricorrente, il quale certamente così agendo non ha perso l’effettività del diritto (nel suo nucleo sostanziale) riconosciutogli all’art. 38 Cost.”. Va anche richiamata la pronuncia della Corte cost. 26 febbraio 2010, n. 71 che, ribadendo che il diritto a pensione, come già affermato dalla precedente Corte cost. 22 luglio 1999, n. 345, è “fondamentale, irrinunciabile e imprescrittibile”, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 504, della l. 24 dicembre 2007, n. 244, osservando che “la norma censurata non contrasta, poi, con gli artt. 31 e 37 della Costituzione, in quanto non incide sull’’an’ del diritto alla pensione, ma solo marginalmente sul ‘quantum’; laddove il mancato aumento del trattamento previdenziale goduto da chi, alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 151 del 2001, già era in pensione, non vale a far considerare tale emolumento insufficiente ai fini della tutela imposta dalle norme costituzionali indicate”. La giurisprudenza di legittimità è, dunque, ormai attestata sulla configurabilità del beneficio della rivalutazione contributiva della posizione assicurativa come un diritto 32 autonomo rispetto al diritto a pensione (solo questo primario ed intangibile - Cass., sez. un., 10 giugno 2003, n. 9219 -) che sorge in conseguenza del “fatto” della esposizione ad amianto e determina una maggiorazione pensionistica avente in un certo qual modo natura compensativo-risarcitoria, e ciò perché nel sistema assicurativo-previdenziale la posizione assicurativa, nonostante la sua indubbia strumentalità, “costituisce una situazione giuridica dotata di una sua precisa individualità” e cioè un bene giuridico autonomamente protetto dall’ordinamento, potendo spiegare effetti molteplici, anche successivamente alla data del pensionamento, e costituire oggetto di specifico accertamento. Alla luce del suddetto orientamento (confermato dalla più recente Cass. n. 17941 del 13 agosto 2014) non vi è ragione per non ritenere che, proprio perché vi è differenza tra diritto alla rivalutazione contributiva e diritto alla pensione nonché diritto ai singoli ratei, la prescrizione del diritto alla rivalutazione è definitiva e non può incidere solo sui singoli ratei (di maggiorazione). Il lavoratore, laddove abbia la consapevolezza della esposizione ad amianto, può, a prescindere dalla questione se sia o meno pensionato e da quando, agire in giudizio, previa domanda amministrativa, per far valere il suo autonomo diritto. Non, dunque, per rivendicare una componente essenziale del credito previdenziale da liquidarsi ovvero già liquidato (parzialmente), bensì per chiedere qualcosa di nuovo e di autonomo. Il dies a quo va allora identificato (visto che l’assistito può agire anche prima di essere andato in pensione) in tale consapevolezza. Se pure è vero che l’art. 2935 cod. civ., nello stabilire che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, si riferisce soltanto alla possibilità legale di far valere il diritto, quindi agli impedimenti di ordine giuridico e non già a quelli di mero fatto, rientrando in questi ultimi anche l’ignoranza del titolare del diritto, quando il presupposto per l’esercizio del diritto è dalla stessa fattispecie legale ricollegato ad un “fatto” - esposizione all’amianto - è solo dal momento in cui tale fatto (quale presupposto di esistenza del diritto stesso) diviene oggettivamente percepibile e riconoscibile che può rilevare l’inerzia dell’interessato. 33 Non risultano precedenti del giudice di legittimità con riguardo all’incidenza sull’ipotesi di cui si discute dell’introduzione dell’art. 47 bis ad opera dell’art. 38, comma 1, lett. d del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 convertito in L. n. 111 del 2011: “Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni”). Invero l’indicata iniziale impostazione e la configurabilità di un diritto autonomo, parrebbero rendere pur sempre applicabile l’ordinario termine decennale per l’esercizio del diritto alla rivalutazione, rilevando la norma di modifica esclusivamente con riferimento alla disciplina dei ratei arretrati (attraverso la modifica dell’art. 129, primo comma, R.D.L. n. 1827/1935 in forza del quale i diritti derivanti da prestazioni pensionistiche erano assoggettati all’ordinario termine prescrizionale decennale di cui all’art. 2946 cod. civ. mentre solo per le rate di pensione liquidate - e quindi esigibili - ma non riscosse valeva il termine di prescrizione più breve quinquennale, in analogia con quanto previsto dall’art. 2946, co. 4, cod. civ.) - si veda anche Corte cost. n. 69 del 2014 -. 34