ANATOMIA PATOLOGICA
Giulia Corte
lez.32
2° ora
Ca.29.01.03
Tumori della cervice uterina
Abbiamo trattato nell’ora precedente tutto il discorso in merito alla zona di trasformazione:
vediamo l’epitelio più maturo prospicente all’epitelio squamoso di tipo vaginale e l’epitelio meno
maturo verso l’epitelio di tipo colonnare. In tutta questa zona ci sono più giunzioni squamocolonnari, ciò determina una maggiore facilità all’infezione delle cellule di riserva.
(Ambu precisa: GSG= giunzione squamo-ghiandolare)
Il tumore della cervice uterina è il secondo tumore al mondo dopo la mammella; questo nasce,
nell’86% dei casi, nella
zona di trasformazione,
la cui localizzazione
varia.
Nell’11% è adiacente
alla giunzione, solo nel
3% è distante, quindi
questa
zona
di
trasformazione
è
fondamentale perchè è
la sede di processi
oncogenetici cervicali,
attraverso le fasi intraepiteliali
di
avvio,
promozione
e
progressione innescati
dal virus HPV ad alto
rischio integrato nel
DNA cellulare. In questa frase ci sono tutte le parole chiave del processo di oncogenesi.
(Ambu agginge: voi potete notare la differenza fra queste linee rosse. Vedete che a sinistra si
ferma e a destra invece sale. Questo, ancora una volta, perchè c’è variabilità a seconda dell’età
della donna considerata. A sinistra è come sarebbe in un donna anziana, invece a destra è come in
una donna matura non anziana, perchè la giunzione sale verso su. É importante nel prelievo
durante il PAP-test andare ad analizzare la giusta zona.
Fumo e contraccetivi orali sono fattori di rischio: possono accelerare il processo di maturazione
della metaplasia squamosa incrementando la proliferazione cellulare. Questo rende la zona di
trasformazione della cervice uterina maggiormente vulnerabile all’infezione da parte dell’HPV e
all’induzione dei processi oncogenetici nella fase di integrazione virale.
HPV e carcinoma della cervice uterina
É il secondo tumore dopo la mammella.
La distribuzione geografica però è diversa nel mondo: in rosso abbiamo le zone con maggior
frequenza (circa 93/100mila abitanti); in Italia sono circa 8/100mila che sviluppano il carcinoma
della cervice uterina annualmente. In Italia lo screening e il pap-test riducono l’incidenza grazie
all’instaurarsi di una terapia prima che il carcinoma evolva verso l’infiltrazione, quindi verso
metastasi etc.
(Ambu aggiunge: non solo lo screening ma anche il vaccino che viene fatto alle adolescenti riduce
l’incidenza).
Questo tipo di prevenzioni sono fatte nelle zone più benestanti e di conseguenza le zone con
maggiore incidenza sono quelle con minori possibilità economiche.
In Italia l’incidenza annua è di 8/100mila, ma muoiono ogni anno circa 1500 donne: non è poco.
Solo nel 1995 l’HPV è stato definitavamente identificato, quindi che questo virus sia il responsabile
del carcinoma della cervice uterina è una scoperta relativamente recente. Prima c’erano altre
ipotesi, ma ora è stato dimostrato che il 100% dei carcinomi alla cervice uterina sono dovuti a
questo virus.
É un virus a DNA doppio filamento con caratteristiche epiteliotrope: il suo target è l’epitelio. Ma il
virus non infetta la parte ghiandolare pura, esso infetta sempre una parte di interfaccia fra epitelio
ghiandolare e squamoso. Il virus, per poter crescere nelle prime fasi del suo ciclo, ha necessità di
un epitelio di tipo squamoso altrimenti non cresce; ecco perchè gli serve un epitelio di tipo
squamoso e non ghiandolare. Questo è il motivo per cui non abbiamo tumori a livello del canale
cervicale o più su, perchè è indispensabile vi sia questa giunzione squamo-colonnare.
Il contagio è per via diretta, per contatto cute-mucose.
Ci sono oltre 150 ceppi di HPV, ma solo 40 interessano l’uomo. L’HPV è un virus ubiquitario che
interessa sia uomo che animali, ma solo 40 ceppi interessano l’uomo e si dividono in alto,
intermedio e basso rischio. Il rischio è definito in rapporto alla capacità di questi virus di
trasformare le cellule infettate in cellule neoplastiche: i virus a basso rischio non hanno questa
capacità, quelli a medio e alto rischio possono farlo, non è che lo facciano necessariamente, ma
hanno la potenzialità.
L’HPV ha circa 8000 geni; questi sono indicati con una lettera e un numero: E sta per “early” e L sta
per “late”, in riferimento alla tempistica di espressione di questi geni. Avremo di conseguenza
delle proteine precoci, espresse all’inizio del processo di maturazione e formazione del virus
intero, e proteine tardive; queste ultime sono sintetizzate a livello delle parti più superficiali
dell’epitelio squamoso e sono le proteine del capside.
Il target dell’infezione sono le cellule di riserva della giunzione squamo-colonnare, quelle più
facilmente aggredibili.
Regressione
Infezione
HPV
LSIL (CIN1)
HSIL
(CIN2-CIN3)
Carcinoma
cervicale
invasivo
Nella storia della malattia abbiamo che la maggior parte delle infezioni da HPV sono transitorie e
quidi regrediscono senza che si abbia alcuna lesione. Solo il 20% evolve dando luogo a una lesione
che, dal punto di vista citologico, si chiama Low- SIL (lesione di basso grado). Questa, dal punto
istologico, corrisponde ad una CIN1 (neoplasia intracervicale 1). Evolverà poi in CIN2 e CIN3, sino al
carcinoma. A questo livello c’è una bella differenza perchè, se all’inizio abbiamo il genoma virale in
forma episomale, non oncogenetica, poi il genoma virale si integra nel DNA della cellula ospite,
che acquisisce quindi proprietà neoplastiche.
(Ambu sottolinea che SIL indica “squamous intraephitelial lesion”, di vario grado; CIN corrisponde
invece a “Cervical Intraephitelial Neoplasia”).
SIL è utilizzato in riferimento alla citologia (pap-test), mentre CIN si riferisce all’ esame istologico.
Quindi l’esame citologico (pap test) fa diagnosi sulle cellule, dopo di che il secondo passaggio su un
caso di positività a livello citologico è la colposcopia, in cui il ginecologo va a vedere ad
ingrandimento con un microscopio tutta la cervice uterina, compresi i recessi vaginali. Se si
riscontra la lesione, si procede con un prelievo bioptico in modo da poter poi fare l’esame
istologico e visionare l’architettura. CIN e SIL sono dunque due aspetti diversi di una stessa cosa.
L’infezione avviene a carico delle cellule di riserva e a questo punto il DNA virale è circolare
doppia-elica.
Il virus rimane allo stato latente e può essere eliminato senza che porti avanti alcun ciclo
riproduttivo necessario perchè si abbia una lesione. Nella maggioranza dei casi avremo una
regressione con un’infezione inapparente dal punto di vista di clinico, senza che la donna se ne
accorga.
Il secondo passaggio nella strada verso il carcinoma è una lesione di basso grado Low-SIL,
corrispondente a CIN1, a seconda che ci basiamo sulla citologia o sull’istologia: il virus in questa
fase ha il genoma in forma circolare; riscontriamo i coilociti, cellule che è come se fossero rotte
dalla presenza del virus.
Negli strati più basali riscontriamo il DNA virale in forma circolare e poi, man mano che il virus
matura e si ritrova negli strati via via più superficiali dell’epitelio, inizia a sintetizzare le varie
proteine, dapprima per la replicazione del DNA e poi anche le proteine capsidiche. Alla fine
avremo la formazione del virione completo; ciò avviene nelle parti più superficiali dell’epitelio
squamoso, dove le cellule sono ricche di particelle virali e cambiano forma: diventano grandi e
ipercromiche, con modificazioni sia del citoplasma sia del nucleo. Questa cellula alla fine scoppia,
per l’alterazione della citoarchitettura e del citoscheletro, e il virus viene liberato.
Con il pap test, che consiste nello spatolamento della cervice uterina, noi vediamo i coilociti,
cellule che hanno queste caratteristihe sopradescritte.
Alla lesione la L-SIL o CIN1 macroscopicamente corrisponde la presenza di condilomi, piani o
acuminati: il primo non è rilevato, il secondo è invece rilevato rispetto all’epitelio circostante.
Si possono riscontrare le differenze rispetto all’epitelio circostante (vedi slide 58 e 60).
Il condiloma acuminato è anche detto volgarmente “creste di gallo” e colpisce anche altre zone,
come l’area perianale o il pene.
Vediamo ora le ulteriori evoluzioni: si determina integrazione del DNA del virus nel genoma della
cellula ospite e ciò porta ad un comando della cellula ospite stessa da parte del virus. Si passa da
una forma episomale, in cui si formano virioni completi che vengono rilasciati e sono in grado di
andare a infettare altre cellule, ad una forma integrata. Solo i virus ad alto rischio però sono in
grado di integrarsi e lo fanno in concomitanza con altri fattori di rischio.
Il DNA si integra nel DNA della cellula ospite e a questo punto il virus non formerà più virioni
completi, non sintetizzerà più proteine del capside, ma sarà solo un pezzo di DNA virale nel DNA
della cellula ospite. Questo pezzo di DNA guiderà però la cellula verso la trasformazione
neoplastica; questo passaggio avviene attraverso la sintesi di 2 proteine, la E6 e E7, che agiscono
su proteine regolatrici: la E6 agisce sulla p53 e la E7 sulla proteina del retinoblastoma (pRB),
anch’essa oncosoppressore. Queste bloccano la replicazione cellulare in caso di necessità: quando
abbiamo un danno a livello di DNA della cellula normale, la p53 - definita per questo “guardiano
del genoma”- si attiva e fa sì che il DNA cellulare danneggiato venga riparato e che la cellula
riprenda il ciclo cellulare o che la cellula vada incontro ad apoptosi se viceversa il danno non è
reparabile; quindi la p53 blocca la replicazione e facilita la correzione del danno. Si evita in questo
modo che le mutazioni, che avvengono per i più svariati motivi, si mantengano dando luogo a cloni
cellulari neoplastici.
Il virus integrato altera l’attività della p53 con il risultato che la cellula avrà una replicazione
cellulare più veloce con sommazione di mutazioni geniche non riparate.
La funzione onco-soppressiva della proteina del retinoblastoma fa sì che le cellule stiano in una
fase di omeostasi, definita G0, e solo una piccola parte di queste vada verso la replicazione. Tutto
questo dev’essere regolato fisiologicamente e la proteina del retinoblastoma, legando il fattore di
trascrizione E2F, fa sì che questo passaggio da G0 a G1 sia ben regolamentato. L’E7 scinde questo
legame ed in questo modo l’E2F viene rilasciato potendo così agire liberamente e facendo passare
la cellula da G0 a G1, in maniera indiscriminata e senza regole.
Per avere questo, ci devono essere dei cofattori: un’elevata carica virale, l’integrazione del DNA
virale, immunodepressione, HIV, fumo di tabacco, etc... ci devono essere delle concause per fa sì
che il DNA del virus si possa integrare nella cellula ospite, altrimenti ogni volta che la donna si
infetta con virus ad alto rischio andrebbe incontro a questo e invece non è così.
Alla lesione H-SIL corrispondono sia CIN2 sia CIN3/ Carcinoma in situ (CIS).
Nell’istologia del CIN1, notiamo l’importante presenza di coilociti, dovuta al fatto che il virus si
replica e matura sino al virione completo. Nella CIN2, non ci saranno più dei coilociti perchè il
genoma si è integrato ed è come se il virus sparisse o fosse inapparente. Le cellule neoplastiche si
comportano in maniera via via più maligna sino ad un CIN3, in cui un numero sempre maggiore di
cellule matura sempre meno: il virus man mano che aumenta il numero delle mutazioni fa sì che le
cellule abbiano un comportamento sempre più vicino a quello delle cellule basali in attiva
proliferazione. Normalmente la proliferazione è solo delle cellule basali mentre, considerando gli
strati via via più superficiali, si va incontro a maturazione e non più a proliferazione. Man mano
che avvengono i processi oncogenetici, è come se la parte basale crescesse sempre di più senza
che avvenga la maturazione.
La differenza tra un CIN2 e un CIN3 è che mentre nel CIN2 la maturazione avviene ancora, anche
se solo nel 1/3 superiore dell’epitelio, nel CIN3 non avviene più, le cellule son tutte uguali e
troviamo mitosi anche nella parte alta: è come se ci fosse uno strato basale che interessa a tutto
spessore l’epitelio.
Nel carcinoma infiltrante abbiamo invece una parte delle cellule che supera la membrana basale e
va verso lo stroma; questo è il momento più pericoloso perchè a questo punto le cellule possono
passare nel circolo ematico o linfatico e dare metastasi a distanza. La funzione dello screening è
non arrivare a questo punto, fermare la lesione prima che si arrivi al CIN3 attraverso interventi
mini-invasivi come ad esempio la conizzazione.
Lo screening in Italia si fa a partire dai 25 anni sino a 64 anni, ma è consigliabile farlo anche prima.
Lo screening viene fatto ogni 3 anni. È auspicabile si abbassi l’età di inizio, perchè lesioni di alto
grado possono avvenire anche prima dei 25 anni. Per ora una ragazza al di sotto dei 25 anni può
fare il pap test, ma lo farà in privato o in una struttura pubblica ma a pagamento.
Sottolineiamo meglio i concetti della storia naturale: l’80% delle infezioni regrediscono senza
lasciar segni; il 20% può progredire verso lesioni di basso grado con il DNA del virus non integrato
ma in forma circolare: il virus matura insieme all’epitelio squamoso e si hanno i coilociti. Questo
tipo di lesione regredisce nella stragrande maggioranza delle volte, perché solo il 2,5% di tutti i LSIL evolve verso un H-SIL, cioè solo nel 2,5% dei casi il virus si integra e dà luogo ai processi
oncogenetici che vanno verso il carcinoma della cervice. Questo avviene nel 2.5% e solo nei virus
HPV ad alto rischio; i virus a basso rischio non lo fanno: questi ultimi tenderanno a stare per un po’
sottoforma di lesioni di basso grado per poi regredire, oppure daranno luogo a un condiloma che
magari necessita anche di un trattamento laser però non è un tipo di lesione che va verso il
carcinoma.
Bisogna fissare il concetto che avere un virus HPV ad alto rischio, cosa che si può rilevare facendo
un’analisi di biologia molecolare, non significa avere un cancro nè che vi sia un diretto rischio di
andarvi incontro: se una signora ha una L- SIL (basso rischio) questo indica che si possa andare
verso un H-SIL, ma non ci dice altro. Il rischio di andare incontro a carcinoma è dipendente anche
dal tipo di lesione che uno ha: se uno ha un H-SIL avrà sicuramente un alto rischio; la
preoccupazione non la si ha sui virus ma la si ha sulla lesione. Sapere che una persona ha una
lesione di basso grado con un HPV ad alto rischio ci dice semplicemente “bada che questa lesione
è meglio trattarla prima di andare incontro a un H-SIL”.
(Ambu: in precedenza è stata mostrata una diapositiva dove si parlava di virus a basso rischio,
rischio intermedio o alto rischio. Tra i virus ad alto rischio c’è una sfilza di ceppi virali, ma ricordate
in modo particolare 16 e 18).
Il vaccino che si fa in Italia è rivolto contro 4 ceppi: il 16 e il 18 – che sono i più frequenti per
quanto riguarda la genesi del carcinoma – e poi due a basso rischio, l’11 e il 6, i più frequenti per
quanto riguarda i condilomi. In italia si è quindi fatta la scelta di dare immunità sia verso i due
principali ceppi ad alto rischio, sia verso quelli di basso rischio, nonostante quelli di basso rischio
non diano il carcinoma.
Questa è una sintesi: da una cervice normale nel momento dell’infezione in 6 – 12 mesi abbiamo
una CIN1, quindi ci vuole del tempo. In questo tempo, si può avere però l’eliminazione del virus
senza neanche passare per una lesione di basso grado.
Quindi, da un’infezione CIN 1 per passare a una CIN2 ci vogliono 3 - 5 anni.
É una lesione che va per tappe, tappe che sono dettate dalle mutazioni che avvengono per il fatto
che quelle cellule non possono riparare il DNA perchè la p53 è bloccata e perchè la proteina del
retinoblastoma non puo’ inibire la proliferazione, cioè il passaggio da una fase G0 a un ciclo di
proliferazione.
Possiamo poi dire che per arrivare ad un cancro invasivo ci vogliono mediamente fra i 5 e i 10 anni
dal momento dell’infezione. Questo tempo tenderà più verso i 5 anni o viceversa verso i 10 anni in
relazione al grado di immunodepressione: più l’immunità è deficitaria e più si accorcia il tempo fra
infezione e sviluppo di carcinoma; viceversa con un’immunità più tendente alla normalità i tempi si
allungano.
Ecco che su questi tempi entra in gioco lo screening: questo serve a far sì che ogni 3 anni la
paziente faccia un pap test e si possano riconoscere le cellule tipiche della lesione; queste
tempistiche ci permettono di identificare una lesione, anche di alto grado, prima che questa possa
evolvere in carcinoma.
Domanda: per quanto riguarda il vaccino, ci è stato detto che sarebbe opportuno dare
un’immunità con produzione di IgA. Il vaccino dà invece produzione di IgG, giusto?
Risposta: il vaccino dovrebbe portare anche alla produzione di IgA, nonostante venga inocultato
per via generale.
Il vaccino dà protezione verso i ceppi 16 e 18, quelli maggiormente implicati nella genesi del
carcinoma. Fare il vaccino non comporta che non vi sia più bisogno di fare lo screening, perché la
copertura non è totale, anche se si riduce di molto l’incidenza dei carcinomi.