In data di giovedì 5 febbraio è stato approvato dal Senato della

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PERCHÉ NON TI DENUNCIO
In data di giovedì 5 febbraio è stato approvato dal Senato della Repubblica un emendamento
presentato in sede di esame del DDL 733 che abolisce il comma 5 del Testo Unico sull’Immigrazione,
che prevedeva che “l’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norma di soggiorno
non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di
condizioni con il cittadino italiano.” Di fatto, questo permette che un sanitario, nell’ambito dell’esercizio
della sua professione, può segnalare alle Autorità un cittadino straniero senza permesso di soggiorno.
E’ apparso immediatamente chiaro che tale norma avrebbe generato nell’immigrato irregolare
uno stato di paura e di allarme tale da ostacolare e sconsigliare l’accesso alle strutture sanitarie, anche in
casi di urgenza, con ripercussioni gravi non solamente sulla salute dell’interessato ma anche sulla stessa
salute pubblica per tutti i residenti a qualsiasi titolo nel territorio della Repubblica Italiana,
particolarmente in caso di eventuali malattie trasmissibili. Questa norma, ancorché non in vigore perché
in attesa di approvazione da parte della Camera dei Deputati, aveva immediatamente prodotto gli effetti
temuti, come in alcuni ospedali di Torino, dove in pochissimi giorni si era avuta una caduta anche del
20% degli accessi al Pronto Soccorso da parte dei cittadini stranieri. I colleghi medici e gli infermieri del
Centro Traumatologico di Torino avevano immediatamente reagito a tale “facoltà” applicando sui loro
camici una scritta ben visibile “Divieto di segnalazione. Non siamo spie.” La reazione generale delle
Organizzazioni Mediche è stata di unanime condanna, come da parte della FNOMCEO per bocca del
Presidente, dr. Bianco, e di tutti i sindacati medici, dei Medici Cattolici, di Medici senza Frontiere e di
Emergency. Sembra tuttavia che, nonostante queste unanimi prese di posizione, si abbia in effetti un
calo negli accessi dei pazienti stranieri alle strutture di pronto soccorso o simili rispetto al passato.
Fra le motivazioni addotte a sostegno dell’emendamento, ed in particolare dal Ministro degli
Interni, vi è quella che in alcuni paesi europei sono previste forme di segnalazione dei pazienti
clandestini, come, ad esempio, in Germania, dove vige l’obbligo di segnalazione per i medici operanti
nelle strutture pubbliche, e questo anche per motivi meramente amministrativi, connessi con le
modalità di finanziamento del sistema sanitario tedesco. Non si comprende però per quale motivo ci si
debba rifare a questi modelli così odiosi, e non ad esempi diversi, come l’Olanda. Si potrebbe supporre
(forse) che a suggerire l’introduzione anche in Italia di questa norma sia la constatazione che essa agisca,
ove operante, da efficace deterrente all’immigrazione clandestina, ma è davvero così? In realtà le stime
del numero di immigrati clandestini in Germania (chiamati Illegalen, o anche ohne Papiere) sono di circa
1.000.000 in tutto il paese, e, in particolare, tra 100.000-200.000 a Berlino e 30.000-50.000 a Monaco (in
Italia, si stima che gli immigrati non in regola fossero circa 600.000 alla fine del 2007). L’effetto
sull’immigrazione clandestina è perciò del tutto nullo, mentre non sono assolutamente nulle le
conseguenze sul piano sanitario, privato e pubblico. In Italia siamo stati tutti turbati dalla lettura delle
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conseguenze della improvvida segnalazione alle autorità di polizia di una partoriente nigeriana non in
regola con il permesso di soggiorno. Tali situazioni angoscianti sono però la norma per gli emigrati
senza permesso in terra tedesca che hanno necessità di trattamenti sanitari, particolarmente in
condizioni d’urgenza, come nei casi di infarto miocardico, fratture ossee, occlusioni intestinali, dove il
clandestino è combattuto tra la consapevolezza di avere bisogno di un trattamento immediato, ed il
timore, se non il terrore di essere poi espulso dal paese. Se non vi sono situazioni di necessità, ancora
meno essi ricorrono alla sanità pubblica, ma l’accesso alla sanità privata (dove non è previsto obbligo di
denuncia) è praticamente impossibile ai lavoratori clandestini, gli Schattemenschen (uomini-ombra), per la
maggior parte fruitori di stipendi da fame per lavori spesso degradanti e pericolosi, alloggiati in
condizioni spesso igienicamente inadeguate ed impossibilitati a ricorrere alla giustizia nei frequenti casi
di soprusi nei loro confronti, da parte dei datori di lavoro o dei locatori. Essi rimandano il più possibile
l’accesso ai medici, cronicizzando ed aggravando patologie che possono anche essere di potenziale
danno per tutta la popolazione, come le malattie infettive. Particolarmente drammatica e disumana è la
situazione delle donne incinte, che spesso partoriscono a domicilio o rinunciano a proseguire la
gravidanza per non correre il rischio di essere identificate al momento del parto.
Ma questa situazione è drammatica anche per gli stessi colleghi tedeschi operanti nelle strutture
pubbliche (come già detto, la norma non si applica nell’attività professionale privata), schiacciati tra i
doveri etici ed gli obblighi legali che possono portare, se disattesi, a provvedimenti punitivi nei loro
confronti. Molti di loro si sono dati da fare per aggirare tali normative, dando anche prova di
un’ingegnosità che avremmo pensato tipicamente solo italiana, ricorrendo anche a veri propri trucchi.
Sono sorte associazioni private, molte religiose, cattoliche quanto protestanti, alle quali i pazienti
possono liberamente accedere senza obbligo di dimostrare la propria identità, e nelle quali la polizia ben
si guarda dall’esercitare controlli in merito. E, inoltre, (notizia che non mi sembra sia giunta alla
conoscenza generale, e particolarmente ai fautori dell’emendamento) negli stessi giorni in cui
l’emendamento in questione veniva votato dal Senato italiano, il Land di Berlino si propone invece di
istituire una sorta di Carta di Assicurazione di Malattia del tutto anonima, con la quale chiunque si potrà
presentare a qualsiasi struttura pubblica senza declinare le proprie generalità, e si sta adoperando per
una sua adozione anche negli altri Länder. Lo scopo che si propongono i colleghi tedeschi fautori di
queste iniziate è che nessuno abbia paura di andare dal medico per motivi non medici.
Già qualche anno fa (nel 2002, se ben ricordo), era stata avanzata proposta di obbligo di questo
tipo di segnalazione in sede di un Consiglio dei Ministri, da parte del Segretario di uno dei partiti del
governo allora in carica, immediatamente accolta da reazioni negative e non attuata. Nel caso di questo
emendamento, lo stesso Segretario di partito ha in un certo senso messo le mani avanti, dichiarando:
(aperte virgolette) “vedrete che i medici non lo faranno mai, si appelleranno al fatto che sono una casta
superiore agli altri uomini .. del resto, è nel giuramento di Ippocrate, salveranno amici e nemici,” (chiuse
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virgolette) inserendo evidentemente tra i nemici le persone bisognose di cure che non hanno in tasca un
permesso di soggiorno.
E nel nostro caso il summenzionato uomo politico ha perfettamente ragione: l’emendamento
approvato non è solamente in contrasto con l’articolo 32 della Costituzione (“la repubblica tutela la salute
come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”) e l’articolo 25 della Dichiarazione dei Diritti
dell’Uomo (“ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della
sua famiglia .. alle cure mediche e ai servizi sociali necessari”), ma è anche in palese contraddizione con il nostro
Codice Deontologico ed il nostro Giuramento. L’Articolo 3 del Codice Deontologico del 2007 sui
doveri del medico recita infatti “dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell’Uomo e il
sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana, senza distinzioni di età, di sesso, di
etnia, di religione, di nazionalità, di condizione sociale, di ideologia, in tempo di pace e in tempo di guerra, quali che siano
le condizioni istituzionali e sociali nelle quali opera. Inoltre, con il nostro giuramento professionale, nella
attuale stesura, io, medico, mi impegno a “curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da
etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica e promuovendo l’eliminazione di ogni forma di
discriminazione in campo sanitario,” e a “prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e
prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che
non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione.”
Queste norme deontologiche non sono nate per caso, ma sono state elaborate con fatica e dopo
un doloroso riesame della storia della medicina, iniziato durante e dopo i processi di Norimberga ai
medici nazisti, effettuati dopo il ben più famoso processo contro i massimi gerarchi nazisti. Nel corso
di questi processi i medici nazisti ebbero buon gioco nella loro difesa sostenendo che molto di ciò che
venne da loro fatto, era già stato attuato anche in altri paesi prima dell’avvento al potere del nazismo in
Germania, come, ad esempio, sperimentazioni mediche potenzialmente letali, senza l’assenso
preventivo da parte dei soggetti e per fini non diretti a loro vantaggio, o sterilizzazioni coatte.
Similmente si dovette riconoscere che teorie di inferiorità non soltanto di intere razze, ma anche di
gruppi o singoli individui affetti da determinate patologie, o aventi comportamenti ritenuti socialmente
pericolosi, non erano tipiche del solo Terzo Reich, ma erano stati anzi elaborate in prestigiose
istituzioni mediche e da importanti scienziati non tedeschi. Un elemento fondamentale alla base del
meccanismo di passaggio da queste alla prassi della discriminazione, comunque intesa e attuata, era la
liceità della subordinazione dell’individuo appartenente a questi gruppi etnici, sociali o sanitari ritenuti
dannosi o pericolosi, ai superiori interessi dello stato, della società o di un’ideologia politica dietro la
copertura di asserite giustificazioni mediche scientifiche. Non è il caso di ricordare che questi
comportamenti, nei troppi paesi (anche con governi democratici) dove sono stati attuati, si sono
accompagnati a gravi tragedie personali e alla vergogna per la stessa medicina. A giustificare tutto ciò,
veniva sempre avanzata la teoria che anche i medici dovevano prendere in considerazione il bene della
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collettività, superiore a quella dell’individuo. Ed è proprio questa visione che è stata totalmente rigettata
e capovolta dal cosiddetto Codice di Norimberga del 1946, redatto alla conclusione del processo,
ribadita nella Dichiarazione di Helsinki del 1964 e nelle successive stesure della Dichiarazione di
Ginevra dell’Associazione Medica Mondiale, pensata come una revisione del giuramento di Ippocrate:
“la salute del mio paziente sarà la mia preoccupazione principale” .. “un medico dovrà agire solo nell’interesse del
paziente” ..“non userò la conoscenza medica per violare i diritti umani e le libertà civili, anche sotto minaccia.” A questi
documenti, nati come si è detto, si richiamano i Codici Deontologici della World Medical Association, e
naturalmente anche quello italiano, sopra riportato. Tale visione di subordinazione, mai del tutto
scomparsa in realtà, ci viene ora ripresentata basandola
sull’assunzione che gli immigrati senza
permesso costituiscono un pericolo per la società e la nazione, e che pertanto è un dovere individuarli e
segnalarli alle autorità. Chi, dunque, è in una posizione migliore della nostra, poiché prima o poi anche
una, o uno, di loro avrà bisogno di trattamenti sanitari? E allora vorrei richiamarmi ad un problema
apparentemente del tutto diverso, a quello dell’esercito americano che in anni recenti ha richiesto
l’impiego dei medici militari negli interrogatori dei prigionieri a Guantanamo, anche con procedure
riconducibili a torture, e nell’alimentazione forzata in caso di sciopero della fame, al fine di ottenere
informazioni utili a prevenire attentati. Ma la partecipazione dei medici a tali attività è stata
espressamente condannata dalla World Medical Association e dalla stessa American Medical
Association che ha, anche recentemente, ribadito ufficialmente, con forza, che tali procedure non sono
mai accettabili, anche se da esse si potessero ottenere informazioni utili a prevenire attentati, e che
neppure ai medici militari stessi non devono mai essere richiesti, per nessun motivo, atti e
comportamenti in contrasto con l’etica medica. La scala di obiettivi in gioco è naturalmente diversa
rispetto al nostro attuale problema, ma la posta in gioco è la medesima. Si tratta infatti non soltanto
della negazione di fatto di un fondamentale diritto individuale per asseriti superiori interessi, ma del
grave rischio di utilizzare la medicina ed i medici come strumento di repressione politica e/o poliziesca,
come è ben evidente nel nostro caso. La norma, proposta con lo scopo dichiarato di costituire un
deterrente all’immigrazione clandestina, si è palesemente dimostrata inefficace in paesi dove essa è da
anni in funzione, anche nelle forme più rigide, ed avrebbe il solo effetto di rendere ancora più difficile
la vita non soltanto di queste donne e di questi uomini, ma anche dei loro figli. Penso che si debba
riflettere seriamente anche su questo aspetto del problema, a mio avviso assolutamente non secondario.
Proprio perché gli Ordini dei Medici, istituzionalmente organi ausiliari dello Stato, non debbono
sostenere posizioni politiche di nessun genere, essi devono a maggior ragione respingere qualsiasi
tentativo, sotto qualsiasi motivazione e per qualsiasi fine, di trasformare la professione medica in uno
strumento di repressione politica.
Dott. Rocco Macrì
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