www.novitafiscali.supsi.ch Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale Centro competenze tributarie Novità fiscali L’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale N° 11 – novembre 2016 Politica fiscale La riduzione dell’imposta sulla sostanza per le partecipazioni qualificate Riforma III dell’imposizione delle imprese: Vaud adotta delle misure di accompagnamento. E il Ticino? Diritto tributario svizzero Verrechnungssteuer: die neuen Leiden mit dem alten Art. 23 VStG Diritto tributario italiano La nuova disciplina degli interpelli fiscali in Italia 3 5 13 21 Il nuovo istituto degli accordi preventivi per le imprese con attività internazionale 28 Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero Avviso di tassazione vs. decisione di tassazione: quando l’autorità fiscale può procedere a una tassazione d’ufficio nell’ambito delle imposte alla fonte? 31 Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano Iscrizione all’anagrafe della popolazione residente in Italia e dovere di contribuire alle spese pubbliche Offerta formativa Seminari e corsi di diritto tributario 35 37 Introduzione Novità fiscali 11/2016 Redazione SUPSI Centro di competenze tributarie Palazzo E 6928 Manno T +41 58 666 61 75 F +41 58 666 61 76 [email protected] www.novitafiscali.supsi.ch ISSN 2235-4565 (Print) ISSN 2235-4573 (Online) Redattore responsabile Samuele Vorpe Comitato redazionale Flavio Amadò Elisa Antonini Paolo Arginelli Sacha Cattelan Rocco Filippini Roberto Franzè Simona Genini Marco Greggi Giordano Macchi Giovanni Molo Andrea Pedroli Sabina Rigozzi Curzio Toffoli Samuele Vorpe Impaginazione e layout Laboratorio cultura visiva Diverse le novità fiscali e molti sono i temi che subiranno modifiche sostanziali a breve, sia a livello svizzero che in ambito internazionale. NF non si fa cogliere di sorpresa e vi concede un costante aggiornamento. Il numero di Novembre apre i battenti con due contributi di politica fiscale. Ad esordire è Samuele Vorpe che, in modo conciso, fa luce sui Cantoni che conoscono nelle loro leggi tributarie delle disposizioni volte ad attenuare l’imposta sulla sostanza a favore dei detentori di partecipazioni qualificate, dopodichè Raoul Paglia, interrogandosi sulle modalità di implementazione della Riforma III da parte del Canton Ticino, con un notevole contributo illustra in quale direzione si sta muovendo il Canton Vaud. Seguono Thomas Jaussi e Lynn Winkenbach con un articolo scritto a quattro mani per la nostra rubrica di Diritto tributario svizzero; in questo rilevante contributo che pubblichiamo in lingua tedesca i due autori si soffermano su importanti aspetti inerenti la perdita del diritto al rimborso nell’ambito dell’imposta preventiva. Per la nostra rubrica di Diritto tributario italiano scrivono questo mese Sara Borile, che illustra la nuova disciplina degli interpelli e Gabriele Paladini che fa luce sul nuovo istituto degli accordi preventivi per le imprese con attività internazionale. Segue Sabina Rigozzi che commenta un’interessante sentenza della Camera di diritto tributario del Canton Ticino nella quale ci si interroga quando e con quali procedure l’autorità fiscale abbia diritto a procedere con una tassazione d’ufficio nell’ambito delle imposte alla fonte. A chiudere questo interessante numero di NF ci pensa Roberto Franzè, commentando una sentenza della Corte di Cassazione italiana in merito all’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente in Italia e al dovere di contribuire alle spese pubbliche. Buona lettura! Sacha Cattelan Politica fiscale La riduzione dell’imposta sulla sostanza per le partecipazioni qualificate Samuele Vorpe Responsabile del Centro di competenze tributarie della SUPSI Diversi Cantoni conoscono nelle loro leggi tributarie delle disposizioni volte ad attenuare l’imposta sulla sostanza quando il contribuente possiede almeno il 10% dei diritti di partecipazione di una società di capitali. Si tratta in altre parole di attenuare a livello cantonale la doppia imposizione economica dell’azionista, quando la persona giuridica paga un’imposta sul capitale Sfogliando le “Brochures fiscales/Steuermäppchen” dell’Amministrazione federale delle contribuzioni per il periodo fiscale 2015, nel capitolo “Riduzione della doppia imposizione economica” si trovano cinque Cantoni che operano una riduzione dell’imposta sulla sostanza per le partecipazioni qualificate (ovvero quando la partecipazione azionaria è almeno del 10%). Si tratta dei Cantoni Lucerna, Nidvaldo, Argovia, Vallese e Neuchâtel. Questi Cantoni prevedono nelle loro leggi tributarie una norma volta ad attenuare la doppia imposizione sulla sostanza, in analogia a quella sul reddito, partendo dal presupposto che le persone giuridiche, oltre all’imposta sull’utile, pagano anche quella sul capitale. Venendo all’esame delle singole disposizioni cantonali, si osserva che dal 2016 il Canton Lucerna ha abolito la disposizione che stabiliva, all’articolo 60 capoverso 3 della Legge tributaria lucernese (LT-LU), una riduzione dell’aliquota ai fini dell’imposta sulla sostanza del 40% per le partecipazioni qualificate. Per quanto riguarda Nidvaldo, l’articolo 54 capoverso 2 della Legge tributaria nidvaldese (LT-NW) ammette una riduzione dell’aliquota ordinaria sulla sostanza del 20% (0.2‰ invece dello 0.25‰ di aliquota semplice). Ad Argovia, è invece applicabile un’aliquota sulla sostanza pari al 40% di quella complessiva (articolo 45a della Legge tributaria argoviese [LT-AG]). Per contro, Vallese e Neuchâtel presentano due disposizioni analoghe che consentono al titolare dei diritti di partecipazione di dichiarare queste ultime ad un valore inferiore (60% in Vallese e 40% a Neuchâtel) ai fini dell’imposta sulla sostanza (articolo 56 capoverso 4 della Legge tributaria vallesana [LT-VS], articolo 49 capoverso 4 della Legge tributaria neocastellana [LT-NE]). La normativa neocastellana si applica inoltre soltanto alle partecipazioni di società non quotate, con sede in Svizzera. Oltre a questi Articolo pubblicato l'08.11.2016 sul Giornale del Popolo cinque Cantoni, vi è anche il Canton Appenzello Interno, il quale prevede il computo dell’imposta sul reddito dovuta sul dividendo percepito nell’imposta sulla sostanza dovuta sulla partecipazione dichiarata (articolo 38 capoverso 4 della Legge tributaria appenzellese [LT-AI]). Queste forme di sgravi fiscali previste da questi Cantoni non trovano tuttavia una base legale nel diritto federale superiore, in particolare nella Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (di seguito LAID), la quale consente unicamente di attenuare la doppia imposizione economica sul reddito per le partecipazioni qualificate (articolo 7 capoverso 1, seconda frase LAID). Per contro, la sostanza deve essere tassata al suo valore venale (articolo 14 capoverso 1 LAID). La compatibilità con la LAID di tali norme cantonali appare inoltre discutibile sulla base della giurisprudenza del Tribunale federale concernente l’imposizione parziale dei dividendi (cfr. in particolare DTF 136 I 49). Il Canton Ticino, dal canto suo, non conosce nella sua Legge tributaria simili forme di attenuazione dell’imposta sulla sostanza. Nel confronto intercantonale, il Ticino si contraddistingue per essere un Cantone con un’imposizione della sostanza tra le più elevate della Svizzera. Durante il “Tavolo di lavoro sull’economia ticinese” del 26 aprile scorso, si è pertanto discussa l’ipotesi di introdurre nella Legge tributaria ticinese uno sgravio del 30% per partecipazioni qualificate ai fini dell’imposta sulla sostanza, quale misura di accompagnamento cantonale alla Riforma III dell’imposizione 3 4 Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 delle imprese. Da un lato questa misura sembrerebbe essere contraria alla LAID, dall’altro, però la realtà di questi Cantoni insegna che esiste un certo margine di manovra per il Ticino, che necessita di un intervento legislativo sulla tassazione della sostanza. Per maggiori informazioni: AFC, Brochures fiscales 2015, Impôts sur le revenu et sur la fortune des personnes physiques, in: https://www.estv.admin.ch/estv/fr/home/allgemein/ steuerinformationen/fachinformationen/schweizerisches-steuersystem/ steuermaeppchen/steuermaeppchen-2015.html [08.11.2016] Vorpe Samuele, Il Canton Appenzello Interno dà libero sfogo alla sua creatività, in: NF 6/2010, pagine 4-8 Elenco delle fonti fotografiche: http://dev2.liberatv.ch/upload/multimedia/2016-06-06-03-07-34-7295.png [08.11.2016] Politica fiscale Riforma III dell’imposizione delle imprese: Vaud adotta delle misure di accompagnamento. E il Ticino? Raoul Paglia Master of Science in Economics, Università di Losanna CEFA, Certified European Financial Analyst Master of Advanced Studies SUPSI in Tax Law Amco Fiduciaria SA, Faido-Lugano Il 29 settembre 2015 il legislativo del Canton Vaud ha fatto suo il progetto per la modifica della legge sulle imposte dirette cantonali[1] che prevede un notevole sgravio fiscale per le persone giuridiche. Il Popolo è stato chiamato alle urne per esprimersi sullo stesso argomento[2] il 20 marzo 2016. Risultato: l’87.12% degli elettori ha accolto il referendum[3]. Un plebiscito! Merito delle misure accompagnatorie? E in Ticino cosa si sta facendo? 1. Introduzione La terza riforma sull’imposizione delle imprese (di seguito riforma III[4]) sta facendo discutere. E c’è da scommettere che sarà uno dei temi caldi a livello federale anche nei prossimi mesi. Sul principio siamo tutti d’accordo (volenti o nolenti): le agevolazioni fiscali per alcune tipologie di società vanno eliminate. Le discussioni vertono invece sulle misure previste sempre nell’ambito della riforma e volte a mantenere fiscalmente attrattivo lo “Standort Schweiz”. Il Partito Socialista, pur condividendo l’obiettivo primario della riforma III, cioè l’eliminazione degli statuti speciali cantonali, ha lanciato un referendum contro la riforma III. Il comitato referendario ritiene che, proprio le misure a sostegno della piazza economica, siano in realtà un regalo fiscale alle persone giuridiche le cui conseguenze, in una maniera o nell’altra, ricadranno sulle spalle delle persone fisiche. Il referendum è riuscito, pertanto il Popolo svizzero sarà chiamato ad esprimersi anche sulla riforma III. La data della votazione è stata fissata al 12 febbraio 2017. Ricordiamo che anche la riforma II[5] fu sottoposta al voto popolare[6] e allora i “Sì” vinsero con il 50.5% delle preferenze (poco più di 20’000 voti di scarto[7]). La riforma II ha continuato a far discutere anche dopo la sua entrata in vigore il 1. gennaio 2009[8]. Il maggior problema fu il fatto che alcune modifiche contenute nella legge (in particolare quelle relative al rimborso degli apporti, dell’aggio e dei pagamenti suppletivi[9]), hanno causato mancati introiti fiscali ben superiori a quanto inizialmente previsto dalle autorità federali. Anche i costi della riforma III sono incerti. Si possono stimare i costi applicando le nuove regole alla situazione attuale, ma non possiamo prevedere se e come le nuove regole modificheranno il comportamento di aziende e investitori. Con queste premesse il risultato del voto popolare sulla riforma III sembra tutt’altro che scontato. Non è stato così nel Canton Vaud. Il 20 marzo 2016 la popolazione ha accolto con una maggioranza bulgara dell’87.12% le modifiche legislative[10] sull’imposizione diretta cantonale in previsione dell’introduzione della riforma III. In buona sostanza queste misure prevedono un tasso unico d’imposta effettivo a livello cantonale, comunale e federale del 13.79% (rispetto al 21.65% attuale). Senz’altro un bel vantaggio per le persone giuridiche. Questa riforma è però stata accompagnata da una serie di misure a favore delle famiglie e dell’impiego. Probabilmente sono proprio state queste misure a far “digerire” alla popolazione tanta generosità nei confronti delle aziende. 2. La riforma III: le misure per mantenere attrattiva la piazza economica svizzera Come anticipato, la riforma III prevede l’abolizione degli statuti fiscali cantonali per le società holding, le società di domicilio e quelle miste. Ad accompagnare questa misura il Parlamento federale ha elaborato una serie di agevolazioni che andranno a ridurre il carico fiscale delle aziende: ◆◆ introduzione nella Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (di seguito LAID) di un patent box compatibile con gli attuali standard internazionali riconosciuti dall’OCSE (approccio “Nexus modificato”); ◆◆ introduzione di un’autorizzazione per i Cantoni a concedere maggiori deduzioni fiscali a titolo di spese per la ricerca e lo sviluppo (R&S) (incentivazione dell’input); ◆◆ adeguamenti facoltativi nell’ambito dell’imposta cantonale sul capitale e sulla sostanza; ◆◆ introduzione a livello federale e cantonale di un sistema unitario per la dichiarazione di riserve occulte; ◆◆ introduzione di un’imposta sull’utile con deduzione degli interessi sul capitale proprio superiore alla media per la 5 6 Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 ◆◆ ◆◆ ◆◆ ◆◆ ◆◆ ◆◆ Confederazione (obbligatoria) e i Cantoni (facoltativa). I Cantoni che introducono tale strumento devono contestualmente assoggettare in misura non inferiore al 60% i dividendi e altri vantaggi valutabili in denaro derivanti da partecipazioni qualificate (almeno il 10%) nell’ambito della sostanza privata; limitazione degli sgravi derivanti dal patent box, dall’incentivazione dell’input, dall’imposta sull’utile con deduzione degli interessi e da ammortamenti per l’abbandono anticipato di uno statuto fiscale cantonale fino ad un limite massimo dell’80% dell’utile netto imponibile; creazione di una base legale necessaria ad estendere il computo globale d’imposta anche agli stabilimenti d’impresa svizzeri di imprese estere; introduzione nella LAID di una disposizione transitoria di cinque anni per la tassazione separata di società che hanno goduto di uno statuto fiscale speciale (step-up); aumento della quota dei Cantoni al gettito dell’imposta federale diretta al 21.2% per garantire una ripartizione equilibrata degli oneri della riforma III; ponderazione degli utili delle persone giuridiche nel potenziale di risorse in funzione del relativo sfruttamento fiscale con disposizioni transitorie; concessione di un contributo complementare di durata limitata per evitare casi di rigore nei Cantoni finanziariamente deboli. Oltre alle misure elencate molti Cantoni prevedono di ridurre il loro tasso d’aliquota ordinario per tutte le persone giuridiche, come proposto nel Candon Vaud. 3. La situazione in Ticino Nella classifica della percentuale del gettito delle società a tassazione privilegiata sul totale del gettito delle persone giuridiche, con una percentuale del 22.3%, il Ticino si colloca in una posizione intermedia (9. rango), comunque superiore rispetto alla media intercantonale (che è del 17.8%) (vedi Figura 1). Nel 2012 in Ticino si contavano 1’492 società a statuto speciale (holding, società miste o ausiliarie, società di domicilio o d’amministrazione e principal), pari al 5.3% del totale delle persone giuridiche che hanno generato un gettito complessivo (federale, cantonale e comunale) di 191.3 milioni di franchi[11]. Sebbene gli introiti fiscali di altri Cantoni (vedi Basilea Città o Zugo) dipendano in misura ancora maggiore da questo tipo di società, in Ticino queste portano oltre un quinto del gettito totale delle persone giuridiche. Oltre a questo, sempre nel 2012, le società a tassazione privilegiata davano lavoro a migliaia di persone con conseguente indotto economico e fiscale per il Cantone. 4. Ticino: l’obiettivo della neutralità! E i Comuni? Allo scopo di mantenere attrattiva la piazza economica ticinese e per evitare che queste aziende lascino il territorio cantonale, si sta pensando ad una riduzione delle aliquote ordinarie. Questa riduzione genererà due effetti contrapposti: ◆◆ le società attualmente tassate in via ordinaria pagheranno meno imposte rispetto ad oggi; ◆◆ le società attualmente a beneficio di tassazioni privilegiate pagheranno più imposte rispetto ad oggi. Il Dipartimento delle finanze e dell’economia ha stimato un’aliquota che dovrebbe garantire la parità di gettito (breakeven point) post-riforma III: 6.5% (aliquota imposta cantonale sull’utile delle persone giuridiche, finora al 9%). Questo porterebbe l’aliquota ordinaria totale (federale, cantonale e comunale – onere fiscale effettivo nel 2015) dal 19.8% al 16.8%. Parallelamente l’aliquota delle società a tassazione privilegiata passerebbe circa dal 10% al 16.8%. Tuttavia gli effetti della riforma III sulle finanze cantonali sono difficilmente prevedibili in quanto vi sono troppe variabili. Dipenderà dalle nuove aliquote effettivamente adottate, dalla rapidità degli adeguamenti del diritto alle nuove condizioni quadro federali e dalle modifiche del comportamento Figura 1: Percentuale gettito società a statuto speciale sul totale del gettito delle persone giuridiche (fonte: Dipartimento delle finanze e dell’economia – Divisione delle contribuzioni) Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 degli attori economici. Inoltre nella riforma III sono contenute misure oggettivamente difficili da valutare come l’introduzione a livello federale e cantonale di un sistema unitario per la dichiarazione di riserve occulte (step-up). Se, come detto, l’abbassamento al 6.5% dell’imposta cantonale dovrebbe essere neutrale (il condizionale è d’obbligo) per le finanze cantonali, non altrettanto si potrà dire a livello comunale. tutti gli altri elementi decisionali (formazione, infrastrutture, eccetera). Si tratta di trovare un buon compromesso che lasci sufficienti risorse all’interno delle aziende ma che garantisca allo “Stato sede” di finanziare non solo le spese correnti, ma anche investimenti a sostegno della piazza economica in generale. I Comuni che oggi ospitano le società a statuto speciale, vedranno verosimilmente aumentare il loro gettito, mentre i Comuni sede di società tassate ordinariamente vedranno il loro introito diminuire notevolmente. La disparità fra Comuni finanziariamente forti e quelli finanziariamente deboli si accentuerà ulteriormente. Questo “effetto indesiderato” deriva dal fatto che oggi le società a tassazione privilegiata sono distribuite in modo eterogeneo sul territorio cantonale. Una soluzione potrebbe essere un moltiplicatore unico su tutto il territorio cantonale per le persone giuridiche (vedi iniziativa parlamentare generica IG226 – Imposta comunale delle persone giuridiche – moltiplicatore cantonale unico, presentata già nel 1998 dall’allora granconsigliere Erto Paglia[12]). La proposta prevedeva che una parte degli introiti fosse destinata al fondo di livellamento e l’altra parte ridistribuita ai Comuni, tenendo conto del moltiplicatore vigente. 5. Ticino fiscalmente attraente? Per un’azienda, fra i criteri per la scelta del luogo in cui insediarsi, l’onere fiscale è certamente un elemento importante. Uno fra i tanti, assieme alla vicinanza ai clienti, alla presenza di manodopera qualificata, alla qualità delle infrastrutture, all’efficienza dell’amministrazione pubblica, alla qualità di vita, eccetera. Fino a che livello occorrerà abbassare le aliquote per attirare aziende sul nostro territorio? Aliquote troppo basse sottraggono introiti fiscali che potrebbero essere spesi per migliorare In base ai dati pubblicati dal BAK di Basilea[13] (vedi Figura 2) il Ticino, nel 2015, con un carico fiscale attorno al 17%, si situa al 18. posto delle location prese in considerazione. Sicuramente altri Cantoni sono fiscalmente più interessanti (Appenzello Esterno, Svitto, Lucerna, Uri, eccetera) rispetto a noi. A livello internazionale, invece, il Ticino risulta attrattivo se paragonato all’Italia, all’Austria, alla Francia o alla Germania. Se, come ipotizzato, si dovessero abbassare le aliquote cantonali del 2.5% e se verranno introdotte le altre agevolazioni fiscali legate alla riforma III, la fiscalità ticinese diventerà ancora più attrattiva anche a livello internazionale (non solo per effetto della diminuzione delle aliquote, ma anche per la riduzione della base imponibile). Rimane invece il rischio che la concorrenza fiscale intercantonale si accentui ulteriormente portando le aliquote sempre più verso il basso e/o concedendo ulteriori agevolazioni (nei limiti imposti dalla LAID). È probabile che Cantoni, già oggi fiscalmente interessanti, abbassino ulteriormente l’onere fiscale a carico delle aziende, mentre altri Cantoni lo potranno fare solo entro certi limiti (ad esempio, come il Ticino, cercando un’aliquota “neutra”). Sarebbe bene cercare, in un modo o nell’altro, di porre un freno alla concorrenza fiscale intercantonale. Su un tema simile il Popolo svizzero si è espresso il 28 novembre 2010 (iniziativa popolare federale)[14]. Allora si votò sull’ipotesi di introdurre un’aliquota fiscale marginale minima (almeno il 22%) per le imposte cantonali e comunali sul reddito delle persone fisiche, applicabile alla quota di reddito imponibile che eccedeva i 250’000 franchi. L’oggetto, allora, fu respinto con il 58.5% delle preferenze[15]. Ritengo che per le persone giuridiche, alla luce della possibile introduzione delle agevolazioni della riforma III, con conseguente riduzione non solo delle aliquote, ma anche della base imponibile, sarebbe bene fissare una soglia, oltre la quale i Cantoni non possono scendere. Oltre che a scongiurare una lotta all’ultimo sangue per accaparrarsi i contribuenti migliori, eviteremmo di avere aliquote “troppo basse” che, inevitabilmente, finirebbero per infastidire la Comunità internazionale (G20, OCSE, Unione europea). 7 8 Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 Figura 2: BAK Taxation Index per aziende nel 2015 (fonte: Bakbasel – economicresearch&consultancy[16]) 6. Le misure accompagnatorie vodesi Come indicato precedentemente, nel Canton Vaud il 20 marzo 2016 la popolazione ha accolto con una maggioranza dell’87.12% le modifiche legislative sull’imposizione diretta cantonale in previsione dell’introduzione della riforma III. Queste misure prevedono un tasso unico d’imposta a livello cantonale, comunale e federale del 13.79% (rispetto al 21.65% attuale). Parallelamente la riforma ha previsto tre misure per sostenere le famiglie ed il loro potere d’acquisto. 6.1. L’assegno familiare e quello per figli in formazione L’assegno familiare passerà progressivamente da 230 a 300 franchi per i primi due figli, mentre a partire dal terzo figlio questo passerà dagli attuali 370 a 380 franchi (per poi essere ridotto a 340 franchi). L’assegno per figlio in formazione passerà da 300 a 400 franchi per i primi due figli, mentre dal terzo figlio questo rimarrà invariato a 440 franchi. Queste misure aumentano il potere d’acquisto delle famiglie. Il costo totale è stato stimato a 95 milioni di franchi e sarà interamente a carico dei datori di lavoro. 6.2. I sussidi per i premi dell’assicurazione malattia L’obiettivo è di fare in modo che gli oneri assicurativi per la cassa malati non superino il 10% del reddito determinante[17] del nucleo familiare. In altre parole il Cantone sussidierà la parte del premio (calcolato in base al premio medio LAMal con franchigia a 1’000 franchi per adulti e senza franchigia fino ai 18 anni) che supera il 10% del reddito determinante. Il costo di questa misura è stato stimato a 42.8 milioni di franchi e sarà a carico del Cantone. Oltre ai sussidi è previsto anche un adeguamento verso l’alto delle deduzioni fiscali concesse per l’assicurazione malattia (da 2’000 a 2’400 franchi). 6.3. L’accoglienza diurna per bambini Lo scopo è quello di raddoppiare l’offerta della custodia dei bambini sull’arco di tutta la giornata (asili nido, asili e scuole). Di riflesso, queste misure, permetterebbero anche ai genitori di continuare o riprendere un’attività professionale. La custodia dei bambini all’interno delle strutture aziendali, permetterà a quest’ultime di avvalersi di manodopera locale che finora non poteva lavorare. Entro il 2019 le aziende dovranno raddoppiare il loro impegno a favore di queste strutture (da 20 a 40 milioni di franchi). Parallelamente il Cantone porterà il suo contributo da 30 milioni a 67 milioni di franchi. 7. La situazione in Ticino 7.1. Gli assegni familiari e quelli di formazione La Legge federale sugli assegni familiari (LAFam), entrata in vigore nel 2009, ha creato una base legale federale per la concessione di assegni familiari. I Cantoni possono andare oltre queste disposizioni minime federali: il Canton Ticino, ad esempio, ha previsto ulteriori tipi di assegni familiari (assegno integrativo [di seguito AFI] e assegno di prima infanzia [di seguito API]). In Ticino l’assegno per i figli è di 200 franchi mensili per figlio e viene versato a chi ha figli fino a 16 anni di età. L’assegno di formazione viene versato ai dipendenti e agli indipendenti con figli che hanno un’età compresa fra i 16 e i 25 anni e che Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 seguono una formazione, scolastica o professionale. L’assegno è di 250 franchi mensili per figlio. Entrambi questi assegni sono finanziati tramite la riscossione di un contributo presso i datori di lavoro. (premio medio di riferimento: 12’094 franchi). Nel Canton Vaud[22] , invece, lo Stato prenderebbe a carico l’ammontare che eccede il 10% del reddito, vale a dire, a parità di premio medio, 4’094 franchi. L’AFI è destinato alle famiglie che hanno figli sotto i 15 anni e che hanno un reddito modesto. L’assegno è pari alla differenza tra il reddito lordo e le spese riconosciute fino ad un massimo di 627.50 franchi mensili: se queste ultime sono inferiori al reddito, non si ha diritto all’assegno. L’AFI, di regola, è finanziato tramite la riscossione di un contributo presso i datori di lavoro. In Ticino, per la famiglia descritta sopra, il RDM oltre il quale non si riceve più il sussidio è pari a 104’483 franchi. Se a questo aggiungiamo il premio medio di riferimento (12’094 franchi) e le spese professionali massime deducibili ai fini RIPAM (4’000 franchi) otteniamo un reddito di 120’577 franchi. Se i contributi di legge a carico del dipendente (AVS/ AI/IPG/AD/AI non prof. e Cassa pensione) ammontano al 10% dello stipendio lordo, allora la soglia oltre la quale non si prendono più i sussidi è pari a circa 134’000 franchi. Per quanto possa essere generoso il modello vodese, difficilmente lo sarà quanto quello ticinese! L’API è destinato alle famiglie con reddito modesto per coprire il costo del figlio dalla nascita fino al compimento dei tre anni. Il funzionamento è come quello dell’assegno integrativo, con la differenza che non c’è un tetto sull’importo massimo dell’assegno. L’assegno di prima infanzia è interamente finanziato dal Cantone. Se l’obiettivo, come nel Canton Vaud, è quello di aumentare il potere d’acquisto dei cittadini si potrebbero proporre delle modifiche analoghe a quelle vodesi: aumentare in modo lineare gli assegni familiari e gli assegni di formazione. Il costo di questo aumento ricadrebbe interamente sulle spalle delle persone giuridiche, che sono anche quelle che beneficiano delle riduzioni delle aliquote e della base imponibile. L’altra misura prevede l’innalzamento delle deduzioni per l’assicurazione malattia da 2’000 a 2’400 franchi. Questa deduzione in Ticino è già pari a 5’200 franchi (non coniugati). A mio modo di vedere non vi è molto spazio di manovra per aumentare i sussidi e/o le deduzioni sull’assicurazione malattia. Oltretutto queste misure ricadrebbero interamente sulle spalle del Cantone e dei Comuni. Se si vuole dare un’impronta più sociale sarebbe invece meglio aumentare l’AFI poiché non andrebbe indistintamente a tutti coloro che hanno figli sotto i 15 anni, ma soltanto a coloro che ne hanno veramente bisogno. Anche il costo di un eventuale aumento dell’AFI ricadrebbe sulle spalle delle persone giuridiche. Non avrebbe molto senso, a mio parere, toccare, nell’ambito della riforma III, l’API in quanto andrebbe a beneficio solo di una minima parte della popolazione. Inoltre sarebbe finanziato dal Cantone e non dalle aziende. 7.2. I sussidi per contribuenti che pagano premi di cassa malati superiori al 10% del reddito Il Canton Ticino ha adottato un sistema di sussidio per alleviare il peso dei premi delle casse malati più articolato rispetto a quello del Canton Vaud, introducendo la “Riduzione di premio (sussidio) nell’assicurazione sociale malattie” (di seguito RIPAM)[18]. Recentemente queste norme sono state oggetto di alcune modifiche decise dal Parlamento cantonale[19]. In particolare è stato introdotto il concetto di reddito disponibile (reddito disponibile massimo [di seguito RDM]) per unità di riferimento, al di sopra del quale non si ha più diritto alla RIPAM. Risulta difficile fare paragoni fra il sistema vodese e quello ticinese in quanto si basano su due modelli completamente diversi. Proviamo comunque a fare una semplice simulazione[20]: famiglia composta da due adulti e due bambini, reddito 80’000 franchi, contributi di legge 8’000 franchi, spese professionali 5’000 franchi. In base al calcolo effettuato dal simulatore[21] in Ticino la riduzione dei premi annua calcolata ammonta a 6’344 franchi 7.3. Le misure per consentire la custodia dei bambini In questo contesto anche in Ticino si potrebbe fare di più. Si potrebbe prevedere un modello in cui le grandi aziende mettano a disposizione degli impiegati asili nido e facilitazioni pre- e doposcuola. Per le aziende piccole o per quelle che non possono/vogliono prendersi a carico questo onere, si potrebbe prevedere un contributo ad un fondo cantonale che andrebbe a finanziare strutture su tutto il territorio. Queste misure sono importanti in quanto permettono, a chi risiede in Ticino ed ha un reddito modesto, di poter esercitare un’attività lucrativa. Oggi non esiste nessuna legge che obbliga i datori di lavoro a contribuire al finanziamento di queste strutture. Chi lo fa, lo fa di propria iniziativa anche per potersi avvalere di forza lavoro, magari qualificata, che altrimenti dovrebbe rimanere a casa ad accudire i figli. 9 10 Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 Personalmente ritengo sia importante creare un sistema che preveda, pre-asilo, mense generalizzate, pre- e doposcuola in tutti i Comuni del Cantone. Oggi alcuni si sono dotati delle strutture necessarie, in altri Comuni vi sono dei privati che sopperiscono alla mancanza di questo servizio. Probabilmente, come nel Canton Vaud, l’introduzione di una norma a favore di asili nido, custodia di bambini e pre- e doposcuola, andrebbe finanziata sia dal pubblico che dal privato. In che misura resta da definire. Per completezza d’informazione ricordo che in Ticino esiste anche il “Rimborso della spesa di collocamento del figlio” (RiSC)[23]. Le famiglie che, per esercitare la loro attività lucrativa, devono collocare il loro figlio presso terzi (asilo nido riconosciuto e autorizzato o famiglia diurna riconosciuta), hanno diritto a questa “misura di appoggio”. In particolare ne hanno diritto i genitori che beneficiano di un assegno integrativo o di prima infanzia oppure che non ne beneficiano, ma che adempiono le condizioni legali, ma non quelle economiche, per ottenere un assegno di prima infanzia. Il diritto al rimborso presso terzi è garantito fino all’accesso del figlio alla scuola dell’infanzia, ma al massimo fino all’anno in cui compie i quattro anni, se non è stato accettato in precedenza alla scuola dell’infanzia. ◆◆ favorire la nascita e lo sviluppo di start-up promuovendo i finanziamenti inziali, il capitale di espansione e i servizi di accompagnamento, in modo da creare opportunità di lavoro sostenibili e ad alto valore aggiunto per i residenti. Il fondo in esame doveva essere gestito con la partecipazione e il coinvolgimento delle parti sociali. Tale fondo sarebbe stato finanziato dal provento del recupero d’imposta derivante dalla prevista amnistia fiscale ticinese[25]. La prevista amnistia fiscale fu bocciata dal Tribunale federale, dato che, secondo l’Alta Corte, le disposizioni ledevano i principi costituzionali della parità di trattamento, della generalità, dell’uniformità e dell’imposizione secondo la capacità economica (cfr. in particolare gli articoli 8 e 127 capoverso 2 della Costituzione federale). Esse furono inoltre considerate contrarie ad alcuni principi della LAID in materia di ricupero delle imposte sottratte. Di conseguenza non si fece nulla anche del fondo cantonale per favorire il lavoro. Ora, dato che, come abbiamo visto, a beneficiare della riforma III saranno solamente le persone giuridiche, non sarebbe possibile “riesumare” l’idea del fondo finanziandolo proprio con un contributo versato dalle aziende? La spesa di collocamento del figlio è interamente finanziata dal Cantone. 8. Le altre misure ipotizzabili in Ticino 8.1. La formazione e la riqualifica di adulti Il 28 maggio 2013 i Capigruppo di PPD, PLR, Lega, Verdi e UDC presentarono un’iniziativa parlamentare generica a favore dell’istituzione di un fondo cantonale per favorire il lavoro[24]. Tale fondo aveva quale scopo il finanziamento di iniziative a favore dell’occupazione in Ticino, segnatamente attraverso programmi occupazionali, impostati sull’aggiornamento, sul perfezionamento o sulla riqualifica professionali e rivolti alle persone giovani e alle persone più adulte senza occupazione che hanno terminato il diritto a percepire le indennità di disoccupazione. In particolare si voleva: ◆◆ assicurare l’inserimento lavorativo delle persone senza lavoro, considerando le esigenze dei settori economici cantonali e, in particolare, i settori in cui non si trova manodopera residente; ◆◆ garantire l’aggiornamento, il perfezionamento o la riqualifica professionali alle persone senza lavoro e al contempo sostenere le attuali prestazioni sociali cantonali di complemento in modo da garantire loro il minimo vitale; ◆◆ realizzare una rete informatica del profilo professionale delle persone disoccupate e delle persone in cerca di lavoro, usufruibile da chi lo desidera; ◆◆ creare nuovi percorsi formativi, in particolare nell’ambito delle nuove tecnologie, del risanamento energetico degli stabili e delle energie alternative; 8.2. L’indennità straordinaria per disoccupati Nel 2015, nell’ultima revisione della legge sulle misure di rilancio dell’occupazione (di seguito L-rilocc), è stato inserito un nuovo articolo che prevedeva delle indennità straordinarie di disoccupazione a favore dei disoccupati che hanno esaurito le indennità previste dalla Legge federale sull’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione e l’indennità per insolvenza (di seguito LADI). Può beneficiarne chi ha dimostrato di aver fatto tutto il possibile per evitare o abbreviare la disoccupazione. In base all'articolo 10 L-rilocc possono essere concesse fino a 120 indennità giornaliere intere sull’arco massimo di un anno. Il Consiglio di Stato può ulteriormente aumentare il numero delle indennità giornaliere per le persone disoccupate di età uguale o superiore a 60 anni. L’obiettivo dell’articolo 10 L-rilocc è quello di ritardare, seppure solo di qualche mese, il momento in cui, chi esaurisce il diritto alle indennità LADI, finisce in assistenza, con la speranza che le persone interessate riescano a trovare lavoro in questo periodo. Questo articolo non è mai entrato in vigore e, nell’ambito della Manovra di rientro finanziario, si è deciso di tenerlo Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 ancora in sospeso. Personalmente penso che sarebbe opportuno farlo entrare in vigore in quanto darebbe un sostegno tangibile a tutti coloro che stanno cercando di rientrare nel mondo del lavoro. 8.3. Le deduzioni sociali sono da rendere più… sociali! L’articolo 34 LT prevede delle deduzioni sociali, anche piuttosto generose se paragonate a quelle di altri Cantoni. Naturalmente le deduzioni sull’imponibile hanno un effetto maggiore sui redditi elevati rispetto a quelli bassi. In altre parole le attuali deduzioni sociali non sono affatto sociali. Il Consiglio di Stato ha recentemente reso noto alcuni dati dai quali si evince, ad esempio, che le deduzioni per figli agli studi, figli a carico e oneri assicurativi di contribuenti con un reddito imponibile superiore a 160’000 franchi costano al Cantone circa 32 milioni di franchi. Per questo motivo, per favorire ulteriormente la socialità, sarebbe opportuno elaborare un modello diverso che tenga conto delle effettive esigenze del contribuente e che allo stesso tempo, in termini reali, avvantaggi tutti in egual misura. In sostanza occorrerebbe modificare la Legge tributaria prevedendo, al posto della deduzione generale e indifferenziata per i figli e per i figli agli studi (articolo 34 capoverso 1 lettere a e c LT), un sistema diverso che abbia come obiettivo principale quello di migliorare l’impatto delle deduzioni sociali per i figli nelle fasce di popolazione meno agiate e nel ceto medio con lo scopo finale di favorire l’equità sociale. Ad esempio si potrebbe introdurre un sistema che preveda una riduzione d’imposta per ogni figlio come previsto nei Cantoni Vallese e Basilea Campagna. 9. Conclusione La riforma III, se passerà lo scoglio della votazione popolare, porterà indubbiamente un bel vantaggio fiscale per tutte le aziende tassate ordinariamente. Non solo le norme di accompagnamento ridurranno la base imponibile, ma è praticamente certo che tutti i Cantoni ridurranno le aliquote ordinarie per le persone giuridiche. Il rischio è che all’ente pubblico mancheranno delle risorse importanti per poter attuare una politica volta allo sviluppo nei vari ambiti (sociale, economico, territoriale, sanitario, eccetera). È probabile che le misure accompagnatorie a carattere sociale adottate nel Canton Vaud abbiano contribuito ad accrescere il grado di accettazione delle agevolazioni fiscali concesse alle aziende. Come abbiamo visto anche in Ticino si potrebbero introdurre delle misure analoghe, ad esempio aumentando gli importi dell’assegno per i figli, dell’assegno di formazione e degli assegni integrativi. Per quanto riguarda la cassa malattia il sistema ticinese sembra già più generoso rispetto a quello vodese (e anche rispetto a quello di molti altri Cantoni). Per quanto concerne le misure per il rilancio occupazionale si potrebbe riprendere l’iniziativa parlamentare generica a favore dell’istituzione di un fondo cantonale per favorire il lavoro, cambiando unicamente il modo di finanziamento (occorrerebbe coinvolgere anche le aziende). Sarebbe inoltre auspicabile mantenere l’indennità straordinaria per disoccupati prevista dalla L-rilocc e ripensare il sistema di deduzioni sociali, il quale, non è poi così sociale come sembra. Ma il Ticino non è il Canton Vaud e, almeno finora, nessuno ha pensato di proporre misure che, oltre alle aziende, vadano incontro anche alle famiglie e favoriscano l’occupazione. A dire il vero sta accadendo esattamente il contrario. La ormai famosa “manovra di rientro” prevede un parziale smantellamento della socialità (taglio alle borse di studio, rinviato in commissione in attesa di approfondimenti, riduzione dei sussidi per la cassa malattia, sospensione dell'indennità straordinaria per disoccupati, eccetera). E questo in un momento in cui il disagio sociale è sempre più importante. Basti guardare alle cifre pubblicate dal Dipartimento della sanità e della socialità relative all’assistenza[26] dalle quali si evince che il numero dei soggetti a beneficio dell’aiuto sociale è cresciuto dell’11% nell’ultimo anno. Questi dati dovrebbero fare riflettere anche coloro che non hanno uno spiccato senso di giustizia sociale, non fosse altro che per evitare l’affossamento della riforma III davanti alle urne. Ricordiamo che la riforma II fu accolta per una manciata di voti soltanto e che tale riforma è stata oggetto di molte critiche anche dopo la sua entrata in vigore. Elenco delle fonti fotografiche: http://www.20min.ch/images/content/1/5/8/15800240/9/teaserbreit.jpg [30.10.2016] https://pbs.twimg.com/media/CaR8NlkWEAEWmTE.jpg [30.10.2016] http://www.cooperazione.ch/site/presse-cooperazione/displayImageThum bService/17788650/600x400/R4_lowbudgetb_600.jpg?acitvCropping=true &multimediaElement=true [30.10.2016] http://eticinforma.ch/eticinforma/wp-content/uploads/2016/02/tagli-soldi. jpg [30.10.2016] 11 12 Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 [1]Loi modifiant celle du 4 juillet 2000 sur les impôts directs cantonaux, du 29 septembre 2015, in: http://www.rsv.vd.ch/rsvsite/rsv_site/doc.pdf ?docId=1207317&Pvigueur=&Padoption=&Pcurr ent_version=0&PetatDoc=referendum&Pversio n=&docType=&page_format=A4_3&isRSV=true &isSJL=true&outformat=pdf&isModifiante=false [30.10.2016]. [2] Référendum sur le volet vaudois de la réforme de l’imposition des entreprise («RIE III»), Votation cantonale du 20 mars 2016, in: http://www.vd.ch/ f ileadmin/user_upload/themes/et at _droit / votations_elec tions/f ichiers_pdf/Brochurevote-RIE-III_version_web.pdf [30.10.2016]. [3]Risultati della votazione popolare del 20 marzo 2016, in: http://www.elections.vd.ch/ votelec/app2/index.html?id=VDVO20160320 [30.10.2016]. [4] AFC, Riforma III dell’imposizione delle imprese (RI imprese III), in: https://www.estv.admin. c h/e s t v/i t /h o m e /a l l g e m e i n/s t e u e r p o l i t i k / fachinformationen/abstimmungen/usr-3.html [30.10.2016]. [5] DFF, La riforma II dell’imposizione delle imprese, in: https://www.efd.admin.ch/dam/efd/it/ dokumente/alt/steuern/broschueren/unternehm ens s teuer refor mii . p df.dow nlo ad . p df/ la_riforma_ii_dellimposizionedelleimprese.pdf [30.10.2016]. [6] Foglio federale 2007, pagina 5555. [7] Raccolta sistematica 2008, pagina 2893. [8] Raccolta sistematica 2008, pagina 2893. [9] Articolo 20 capoverso 3 della Legge federale sull’imposta federale diretta (LIFD) e articolo 19 capoverso 3 della Legge tributaria del Cantone Ticino (di seguito LT). [10] Vedi la nota n. 1. [11] Dipartimento delle finanze e dell’economia – Divisione delle contribuzioni. [12] Iniziativa parlamentare generica IG226, del 2 febbraio 1998, evasa il 18 settembre 2006, Imposta comunale delle persone giuridiche (moltiplicatore cantonale unico), presentata da Paglia Erto, in: http://www4.ti.ch/poteri/gc/ r i ce r c a-m e s s a g g i-e-a t t i/r i ce r c a /r i s u l t a t i/ d e t t a g l i o / ? r=1 & u s e r_ g c p a r l a m e n t o _ pi8%5Battid%5D=86710&user_gcparlamento_pi8%5Btatid%5D=102&user_gcparlamento_ pi8%5Bricerca%5D=erto%2Bpaglia [30.10.2016]. [13] Disponibile al sito web: http://www.bakbasel.ch/home [30.10.2016]. [14] Foglio federale 2006, pagina 8349 e seguenti, in: https://www.admin.ch/opc/it/federal-gazette/2006/8349.pdf [30.10.2016]. [15]Risultati della votazione popolare del 28 novembre 2010, in: https://www.admin.ch/ch/i/ pore/va/20101128/index.html [30.10.2016]. [16] BAK Taxation Index für Unternehmen 2015, in: http://www.baktaxation.ch/pages/baktaxation-index/unternehmen.php [30.10.2016]. Il BAK Taxation Index misura l’attrattività fiscale dei Cantoni e dei loro concorrenti internazionali. Questo indicatore tiene in considerazione la tassazione ordinaria dell’utile e del capitale, così come, se presenti, le imposte immobiliari. Tiene inoltre in considerazione i vari elementi che determinano l’utile imponibile (per esempio le norme per gli ammortamenti). [17] Il reddito determinante è composto dal reddito netto (dichiarazione cifra 650) al quale va sommato 1/15 della sostanza netta (dichiarazione cifra 800). [18] Riduzione di premio (sussidio) nell’assicurazione sociale malattie per l’anno 2016 (RIPAM), in: https://www3.ti.ch/DSS/sw/struttura/dss/ias/ upload/pdf/Informazioni%20periodiche/2016%20 Informazioni%20periodiche%20AM%20(riduzione%20premio).pdf [30.10.2016]. [19] Messaggio del Consiglio di Stato del Canton Ticino, n. 6982, del 10 settembre 2014, Modifica della legge di applicazione della legge federale del 18 marzo 1994 sull’assicurazione malattie del 26 giugno 1997 (LCAMal), in: http://www4.ti.ch/fileadmin/POTERI/GC/allegati/odg-mes/pdf/M6982. pdf [30.10.2016]. [20] Si tratta di un semplice esempio. Non fornisce un quadro completo e tantomeno esaustivo sulle differenze dei due sistemi. [21] IAS, Simulatore di calcolo per l’anno, Accertamento del diritto, in: https://www3.ti.ch/DSS/sw/ struttura/dss/ias/Approfondimenti_AM_simulatore_2.php [30.10.2016]. [22] Poniamo il caso che il reddito di 80’000 franchi rappresenta il reddito netto al quale abbiamo aggiunto 1/15 della sostanza. [23] IAS, Rimborso della spesa di collocamento del figlio, in: https://www3.ti.ch/DSS/sw/struttura/ dss/ias/Procedure_guidate_Prestazioni_Rimborso_colloc.htm [30.10.2016]. [24] Iniziativa parlamentare presentata nella forma generica dai Capigruppo di PLR, LEGA, PPD, VERDI e UDC, “Per l’istituzione di un fondo cantonale per favorire il lavoro”, del 28 maggio 2013, in: http://www4.ti.ch/fileadmin/POTERI/GC/allegati/inizgeneriche/pdf/IG524.pdf [30.10.2016]. [25] Iniziativa parlamentare presentata nella forma elaborata dai Capigruppo di PLR, LEGA, PPD, VERDI e UDC, “Per un rilancio dell’amnistia fiscale cantonale”, del 28 maggio 2013, in: http://www4. ti.ch/fileadmin/POTERI/GC/allegati/inizelaborate/pdf/IE405.pdf [30.10.2016]. [26]Sostegno sociale in Ticino, giugno 2016, in: http://www4.ti.ch/fileadmin/DSS/DASF/USSI/ PD F/16 0 6_ DS S _ A s sis t e n z a _ s o cia l e_T i . p d f [30.10.2016]. Diritto tributario svizzero Verrechnungssteuer: die neuen Leiden mit dem alten Art. 23 VStG Thomas Jaussi lic. iur., dipl. Steuerexperte Betriebswirtschaftsingenieur HTL/NDS Partner, JP Steuer AG, Basel 13 Lynn Winkenbach Tax Consultant, JP Steuer AG, Basel Die Verrechnungssteuer weckt Emotionen und Leiden, wenn sie mangels Rückerstattung neben der Einkommens- und Gewinnsteuer zur ergänzenden definitiven Belastung von 35 Prozent wird. „Pièce de résistance“ ist die Anwendung der Deklarationsklausel von Art. 23 VStG: Oft scheitert eine Rückerstattungsberechtigung einer inländischen natürlichen Person als Leistungsempfänger an der verlangten ordnungsgemässen Deklaration. Die ESTV[1] legt Art. 23 VStG eng aus mit der Folge, dass der Verrechnungssteuer in vielen Fällen ein pönaler Charakter zukommt, welcher dem Grundgedanken einer Sicherungssteuer nicht (mehr) gerecht wird 1. Einleitung Die Verrechnungssteuer hat im Inlandverhältnis einen einzigartigen Hauptzweck: Sie sichert die allgemeine Einkommenssteuer u.a. auf bestimmten Kapitalerträgen unter Einschluss des Ertrages aus Beteiligungsrechten, also z.B. Dividenden oder geldwerten Leistungen. Deshalb wird die Verrechnungssteuer von ihrem Grundsystem her in einer ersten Phase an der Quelle – nämlich beim inländischen Schuldner der steuerbaren Leistung – erhoben und aufgrund der zwingenden Überwälzung in einer zweiten Phase dem steuerehrlichen inländischen Leistungsempfänger zurückerstattet[2]. Für ausländische Empfänger hat die Verrechnungssteuer ausserhalb des Schutzbereichs eines Doppelbesteuerungsabkommens (DBA) oder eines anderen Staatsvertrages grundsätzlich einen Fiskalzweck: Kann keine oder nur eine teilweise Rückerstattung beantragt werden, verbleibt eine definitive Verrechnungssteuerbelastung[3]. Obwohl das Rückerstattungsrecht auf den ersten Blick einfach ausgestaltet ist, stellen sich heute in diesem Bereich erhebliche Anforderungen. Eine „falsche“ Handhabung kann zu einem Wegfall der Rückerstattungsberechtigung führen und somit verursachen, dass die Verrechnungssteuer als definitive Steuerbelastung anfällt. Insbesondere für natürliche inländische Personen als Leistungsempfänger einer verrechnungssteuerpflichtigen Leistung muss vermieden werden, dass die Verrechnungssteuer aufgrund eines Verstosses gegen die Deklarationsklausel von Art. 23 des Bundesgesetzes vom 13. Oktober 1965 über die Verrechnungssteuer (VStG) zur definitiven Steuer, zur „Defraudantensteuer“ wird. Graphik 1: Grundkonzeption der Verrechnungssteuer Inländischer Leistungsschuldner (Steuersubjekt) Steuerbare Leistung (Steuerobjekt) Empfänger der steuerbaren Leistung Geschuldete Bruttoleistung ./. Verrechnungssteuer = Nettoleistung Ablieferung der Verrechnungssteuer Überwälzung Für die Steuererhebung zuständige Steuerbehörde Verrechnungssteuer-Erhebungsverfahren Rückerstattung der Verrechnungssteuer Für die Steuerrückerstattung zuständige Steuerbehörde Verrechnungssteuer-Rückerstattungsverfahren Verrechnungssteuerverfahren 14 Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 2. Die rechtlichen Grundlagen der Rückerstattung im Inlandverhältnis Das Steuersubjekt einer verrechnungssteuerpflichtigen Leistung, also deren Schuldner, ist zwingend Inländer [4]. Hat der Leistungsempfänger ebenfalls Sitz oder Wohnsitz in der Schweiz, liegt ein rein inländisches Rückerstattungsverhältnis vor. Grundlage für eine solche „nationale“ Rückerstattung sind die Art. 21 bis 33 VStG. Konkret enthalten diese Bestimmungen das materielle Recht über die Rückerstattung der Verrechnungssteuer auf Erträgen beweglichen Kapitalvermögens und Lotteriegewinnen (Art. 21 bis 32 VStG) und Versicherungsleistungen (Art. 33 VStG). Die für die Rückerstattung durch einen inländischen Leistungsempfänger in Bezug auf Beteiligungsertrag zu erfüllenden Voraussetzungen gemäss Art. 21 ff. VStG sind: ◆◆ Steuerliche Zugehörigkeit des Leistungsempfängers zur Schweiz auf Grund von Wohnsitz oder Aufenthalt im Fall von natürlichen Personen (Art. 22 Abs. 1 VStG) oder statutarischem Sitz im Fall von juristischen Personen und Handelsgesellschaften ohne Rechtspersönlichkeit (Art. 24 Abs. 2 VStG) in der Schweiz und dadurch das Vorliegen einer unbeschränkten Steuerpflicht bei den direkten Steuern. ◆◆ Der Leistungsempfänger muss das Recht zur Nutzung am verrechnungssteuerbelasteten Ertrag bzw. am diesen Ertrag generierenden Vermögenswert haben (Art. 21 Abs. 1 Bst. a VStG). ◆◆ Natürliche Personen müssen Ertrag und Vermögenswert frist- und formgerecht für die Zwecke der Einkommensund Vermögenssteuern deklariert haben (Art. 23 VStG) und juristische Personen und Handelsgesellschaften ohne Rechtspersönlichkeit[5] müssen die verrechnungssteuerbelasteten Einkünfte ordnungsgemäss als Ertrag verbucht haben (Art. 25 Abs. 1 VStG). ◆◆ Der Rückerstattungsanspruch muss innert drei Kalenderjahren nach dem Jahr, in dem die steuerbare Leistung fällig geworden ist, gestellt werden (vgl. Art. 32 Abs. 1 VStG). ◆◆ Die Rückerstattung darf nicht zu einer Steuerumgehung führen (Art. 21 Abs. 2 VStG). Die Rückerstattungsvoraussetzungen müssen grundsätzlich bei Fälligkeit der steuerbaren Leistung erfüllt sein, das heisst in dem Zeitpunkt, in dem sowohl die Verrechnungssteuerforderung als auch der entsprechende Rückerstattungsanspruch entstehen (Art. 12 VStG)[6]. 3. Die Verbuchungsklausel von Art. 25 Abs. 1 VStG Neben den anderen Voraussetzungen von Art. 21 ff. VStG [7] muss eine juristische Person den Anforderungen an die sog. Verbuchungsklausel von Art. 25 Abs. 1 VStG genügen. Diese lautet wie folgt: „Juristische Personen, Handelsgesellschaften ohne juristische Persönlichkeit und ausländische Unternehmen mit inländischer Betriebsstätte (Art. 24 Abs. 2-4 VStG), welche die mit der Verrechnungssteuer belasteten Einkünfte nicht ordnungsgemäss als Graphik 2: Voraussetzungen für die Rückerstattung der Verrechnungssteuer am Beispiel von Dividenden in nationalen und internationalen Verhältnissen Rückerstattung im Inland Internationale Rückerstattung Art. 21 ff. VStG Art. 10 DBA Art. 15 DBA Zinsbesteuerungsabkommen Inländischer Leistungsempfänger Ausländischer Leistungsempfänger Ausländische Muttergesellschaft Inländischer Leistungsschuldner Inländischer Leistungsschuldner Inländischer Leistungsschuldner ◆ Wohnsitz (Art. 22. Abs. 1 VStG) /Sitz in der Schweiz (Art. 24 Abs. 2 VStG) ◆ Recht zur Nutzung (Art. 21 Abs. 1 Bst. a VStG) ◆ Ordnungsgemässe Deklaration (Art. 23 VStG) bzw. ordnungsgemässe Verbuchung (Art. 25 Abs. 1 VStG) ◆ Keine Steuerumgehung gemäss Art. 21 Abs. 2 VStG ◆ Keine Verwirkung aufgrund Zeitablaufs (Art. 32 Abs. 1 VStG) ◆ Ansässigkeit des Leistungsempfängers im DBA-Vertragsstaat ◆ Ansässigkeitsbescheinigung der ausländischen Steuerbehörde ◆ Recht zur Nutzung bzw. „beneficial ownership“ ◆ Kein Missbrauch ◆ Für privilegierte Rückerstattung: ◆ Minimalbeteiligungsquote ◆ Gesellschaftsform (Kapitalgesellschaften) ◆ Ev. Haltedauer an Beteiligung ◆ Mutter- und Tochtergesellschaft weisen Form einer Kapitalgesellschaft auf ◆ Haltedauer von zwei Jahren an Beteiligung ◆ Mindestquote von 25 Prozent am Gesellschaftskapital der Tochtergesellschaft ◆ Ansässigkeit der Muttergesellschaft in der EU ◆ Weder Mutter- noch Tochtergesellschaft sind in einem Drittstaat ansässig ◆ Keine Befreiung von der Körperschaftssteuer ◆ Kein Missbrauch Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 Ertrag verbuchen, verwirken den Anspruch auf Rückerstattung der von diesen Einkünften abgezogenen Verrechnungssteuer“. eine neue Frist von 60 Tagen zur Einreichung des betreffenden Rückerstattungsantrages. Zentral ist somit aus Rückerstattungssicht die ordnungsgemässe Verbuchung der verrechnungssteuerbelasteten Leistungen[8]. Folgendes Beispiel zeigt dies auf: Die inländische Grosszügig-AG hat ihrer ebenfalls in der Schweiz domizilierten Schwestergesellschaft, der Schulden-AG, ein Darlehen gewährt, welches als verdecktes Eigenkapital qualifiziert[9]. Aus diesem Grund wird der Zins bei der Darlehensnehmerin nicht als geschäftsmässig begründeter Aufwand anerkannt, sondern zum steuerbaren Gewinn aufgerechnet. Zudem stellt dieser Zins aus Sicht der Darlehensnehmerin eine geldwerte Leistung im Sinne von Art. 4 Abs. 1 Bst. b VStG dar. Diesen Sachverhalt stellt die ESTV im Jahr 2016 für die Jahre 2013-2015 fest. Aus Sicht der aufgrund der Direktbegünstigungstheorie verrechnungssteuerlich massgebenden Leistungsempfängerin, der Grosszügig-AG, ergeben sich für die Rückerstattung keine Probleme in Bezug auf Art. 25 Abs. 1 VStG: Sie hat sowohl das Darlehen als auch die erhaltenen Zinsen korrekt verbucht. Aus diesem Grund erfüllt sie die Voraussetzung von Art. 25 Abs. 1 VStG und ihr Rückerstattungsanspruch ist deshalb nicht wegen Verstosses gegen die Verbuchungsklausel verwirkt. 4. Die Deklarationsklausel von Art. 23 VStG als Rückerstattungsvoraussetzung Bei inländischen juristischen Personen als Leistungsempfängerinnen kann unter Umständen die dreijährige Verwirkungsfrist von Art. 32 Abs. 1 VStG ein Rückerstattungshindernis sein. Hier ist auf Art. 32 Abs. 2 VStG hinzuweisen. Die ordentliche Verjährungsfrist für die Steuererhebung beträgt nämlich fünf Jahre[10]. Wird aber die Verrechnungssteuer erst aufgrund einer Beanstandung der ESTV entrichtet und überwälzt, und ist die drei-Jahres-Frist von Art. 32 Abs. 1 VStG bereits abgelaufen oder verbleiben von der Entrichtung der Steuer bis zu ihrem Ablauf nicht mindestens 60 Tage, so beginnt mit der Entrichtung der Steuer 4.1. Grundlagen und Praxisverständnis der ESTV Der inländische Leistungsempfänger einer verrechnungssteuerbelasteten Leistung kann die Rückerstattung beantragen, wenn er die Voraussetzungen von Art. 21 ff. VStG erfüllt. Eine Voraussetzung bei natürlichen Personen ist die ordnungsgemässe Deklaration. Art. 23 VStG hält hierzu fest: „Wer mit der Verrechnungssteuer belastete Einkünfte oder Vermögen, woraus solche Einkünfte fliessen, entgegen gesetzlicher Vorschrift der zuständigen Steuerbehörde nicht angibt, verwirkt den Anspruch auf Rückerstattung der von diesen Einkünften abgezogenen Verrechnungssteuer“. Art. 23 VStG spricht von „entgegen gesetzlicher Vorschrift“; in der Praxis wird hierfür der Ausdruck „ordnungsgemässe Deklaration“ verwendet. Darunter ist die form- und fristgerechte Deklaration bei den Einkommens- und Vermögenssteuern zu verstehen. Das Bundesgericht hat festgehalten, dass das Schutzobjekt von Art. 23 VStG das direktsteuerliche Veranlagungsverfahren, konkret Art. 124 Abs. 2 und Art. 125 Abs. 1 des Bundesgesetzes vom 14. Dezember 1990 über die direkte Bundessteuer (DBG), sei[11]. Die ESTV hat ihr Verständnis einer „ordnungsgemässen Deklaration“ wie folgt konkretisiert [12]: ◆◆ Die mit der Verrechnungssteuer belasteten Einkünfte sowie das Vermögen, woraus solche Einkünfte fliessen, gelten dann als ordnungsgemäss deklariert, wenn die Graphik 3: Zeitlicher Zusammenhang zwischen Steuererhebung und Steuerrückerstattung Jahr 0 Jahr 1 Jahr 2 Jahr 3 Jahr 4 Jahr 5 5-jährige Verjährungsfrist von Art. 17 Abs. 1 VStG Jahr 1 Jahr 2 Jahr 3 Jahr 4 Jahr 5 3-jährige Verwirkungsfrist von Art. 32 Abs. 2 VStG Jahr 3 Fälligkeit steuerbare Leistung/Entstehung der Verrechnungssteuerforderung Verwirkung der Rückerstattung aufgrund Fristablaufs Anwendungsbereich der 60-tägigen Nachfrist von Art. 32 Abs. 2 VStG Jahr 4 Jahr 5 Verjährung der Verrechnungssteuerforderung 15 16 Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 steuerpflichtige Person sie in der ersten Steuererklärung, welche nach Fälligkeit der steuerbaren Leistung bei der zuständigen Steuerbehörde einzureichen ist, deklariert. ◆◆ Ausserdem gelten die mit der Verrechnungssteuer belasteten Einkünfte, welche spontan von der steuerpflichtigen Person nach Einreichung der massgebenden Steuererklärung, aber spätestens bis zum Eintritt der ordentlichen Veranlagung deklariert werden, ebenfalls noch als im Sinne von Art. 23 VStG ordnungsgemäss deklariert. Folglich gilt als nicht ordnungsgemässe Deklaration im Sinne von Art. 23 VStG: dass diese Dividende nicht in bar entrichtet worden ist, sondern mit dem Kontokorrent von Herrn Pech verrechnet wurde. Die Pech-AG hat die Verrechnungssteuer mit Formular 103 deklariert und an die ESTV abgeliefert. Im Januar 2016 fragt die kantonale Steuerverwaltung nach, weshalb diese Dividende in der Steuererklärung von Herrn Pech nicht deklariert worden ist. Der Treuhänder klärt den Irrtum auf und nimmt eine Nachdeklaration vor. Die Dividende wird natürlich einkommenssteuerlich erfasst; die Rückerstattung der Verrechnungssteuer wird gestützt auf das KS Nr. 40 und die neueste bundesgerichtliche Praxis[13] nicht gewährt, weil die Nachdeklaration der Dividende erst aufgrund einer Nachfrage der Steuerbehörde erfolgte. Graphik 4: Grundsatzregelung gemäss KS Nr. 40 1. Grundsatz Ausweis in der ersten Steuererklärung nach Fälligkeit der Erträge 2. Ausnahme Spontane Meldung nach Einreichung der Steuererklärung, aber spätestens vor Eintritt der Rechtskraft 3. Ausnahme von der Ausnahme Deklarationsfehler werden durch die Verwaltung entdeckt ◆◆ Eine Deklaration, welche nicht voranstehenden Regeln an eine ordnungsgemässe Deklaration genügt, gilt als nicht ordnungsgemäss. Dies betrifft insbesondere die folgenden Fälle: ◆◆ ◆◆ Die Deklaration der mit der Verrechnungssteuer belasteten Einkünfte erfolgt (auch im Rahmen einer straflosen Selbstanzeige) nach Eintritt der Rechtskraft der ordentlichen Veranlagung. Die Deklaration der mit der Verrechnungssteuer belasteten Einkünfte erfolgt aufgrund einer Anfrage, Anordnung oder sonstigen Intervention der Steuerbehörde und mithin ungeachtet der Tatsache, dass die ordentliche Veranlagung noch nicht rechtskräftig ist, nicht spontan, aus eigenem Antrieb. 4.2. Fallbeispiel „Irrtum“ Die Pech-AG schüttet seit Jahren eine Dividende von jeweils CHF 120’000 pro Geschäftsjahr aus. Im Jahr 2015 hat der langjährige Treuhänder, welcher die Steuererklärung der Pech-AG sowie von Herrn Pech erstellt, einen Unfall. Notfallmässig übernimmt ein neuer Treuhänder die Aufgabe, die Steuererklärung von Herrn Pech unmittelbar vor Ablauf der nicht mehr erstreckbaren Einreichefrist für die Steuerperiode 2014 zu erstellen und im Dezember 2015 einzureichen. Er übersieht, dass die Pech-AG auch für das Geschäftsjahr 2013 eine Dividende ausgeschüttet hat und deklariert deshalb nur die Aktien an der Pech-AG. Hintergrund ist unter anderem, Gestützt auf die vom Bundesgericht geschützte Rückerstattungspraxis ist der Entscheid korrekt. Angesichts der Tatsachen, ◆◆ dass die Pech-AG jährlich Dividenden ausschüttet; ◆◆ immer ihrer verrechnungssteuerlichen Deklarations- und Steuerablieferungspflicht nachgekommen ist; ◆◆ Herr Pech sowohl die Aktien an der Pech-AG als auch die Dividenden immer deklariert hat; ◆◆ die irrtümliche Nichtdeklaration der Dividende in der Steuerperiode 2014 erklärbar ist; ◆◆ und es keinen Sinn macht, auf 35 Prozent Verrechnungssteuer zu verzichten in Bezug auf eine Dividende, welche aufgrund des Teilbesteuerungsverfahrens einem maximalen Steuersatz von rund 20 Prozent unterliegt, kann der Entscheid der Verweigerung der Rückerstattung nicht nachvollzogen werden. So sieht aber die Realität heute aus. 4.3. Fallbeispiel „Personalverleih“ 4.3.1. Sachverhalt Die Muster AG gehört vollumfänglich Herr Muster. Neben ihrer operativen Geschäftstätigkeit stellt die Muster AG Herrn Muster auch Personal für dessen persönliche Bedürfnisse zur Verfügung (Krankenschwester, Sekretär, Raumpflegerin, Chauffeur, Butler, etc.). Sämtliche Kosten für dieses Personal werden von der Muster AG mit einem Gewinnzuschlag in Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 Rechnung gestellt. Diese Kostenverrechnung wurde im Rahmen einer Buchprüfung der Muster AG für die Steuerperioden 2012, 2013 und 2014 von der kantonalen Steuerverwaltung kritisch hinterfragt und schliesslich nach detaillierter Prüfung als dem Drittvergleich entsprechend befunden. Folglich wurden die Muster AG und Herr Muster für diese Steuerperioden ohne Aufrechnungen veranlagt. Eine im Jahr 2015 durchgeführte Mehrwertsteuer (MWST)-Revision der Muster AG führte nach Prüfung derselben Unterlagen zu Aufrechnungen von CHF 150’000 mit der Begründung, die Kostenweiterverrechnung sei nicht ausreichend. Angesichts des MWST-Satzes von 8 Prozent hat die Muster AG aus Kostengründen auf ein aufwendiges Rechtsmittelverfahren verzichtet und die Aufrechnung „zähneknirschend“ anerkannt. Wäre dem nur nicht so gewesen. Die Muster AG wurde nämlich von der ESTV erneut angeschrieben. Die ESTV, Hauptabteilung Direkte Bundessteuer, Verrechnungssteuer und Stempelabgaben (DVS), machte geltend: ◆◆ Aus einer Meldung der Hauptabteilung MWST geht hervor, dass Lohnkosten von Angestellten nicht ordnungsgemäss weiterverrechnet worden sind. ◆◆ Auf der geldwerten Leistung von CHF 150’000 ist die Verrechnungssteuer von 35 Prozent geschuldet, also CHF 52’500 (unter Annahme der nachträglichen Überwälzung auf den Leistungsempfänger). ◆◆ Eine Rückerstattung der Verrechnungssteuer kann voraussichtlich nicht erfolgen, müsste aber im Anschluss an einen entsprechenden Rückerstattungsantrag geprüft werden. ◆◆ Es ist nicht auszuschliessen, dass das Vorgehen der Muster AG strafrechtliche Folgen nach sich zieht, worüber gegebenenfalls entsprechend informiert wird. von Eigenkapital gestützt auf Beteiligungsrecht zum Gegenstand. Die zwei Steuern sind unterschiedlich konzipiert: Es geht deshalb nicht an, wenn einzig gestützt auf eine mehrwertsteuerliche Beurteilung eine konkrete Verrechnungssteuerqualifikation vorgenommen wird. Dagegen ist der Begriff einer geldwerten Leistung für die Gewinnsteuern und die Verrechnungssteuer grudsätzlich identisch. Die Tatsache, dass aufgrund einer Revision der für die Gewinnsteuern zuständigen kantonalen Steuerverwaltung nach ausdrücklicher Überprüfung der Personalkostenverrechnung keine Aufrechnung bei der Muster AG erfolgt ist, darf deshalb vom Steuerpflichtigen grundsätzlich als Anlass genommen werden, dass der entsprechende Ertrag korrekt abgebildet worden ist. Aus diesem Grund sind wir der Ansicht, dass angesichts des Selbstdeklarationsprinzips der Verrechnungssteuer der Muster AG keine Hinterziehungsabsicht vorgeworfen werden kann. Zudem muss für die Annahme einer geldwerten Leistung die ESTV beweisen, dass die hierfür gemäss Bundesgerichtspraxis definierten konstitutiven Voraussetzungen tatsächlich erfüllt sind[14]. Massgebend hierfür ist einzig das VStG und die entsprechende Lehre und Rechtsprechung zum Begriff der geldwerten Leistung bei der Verrechnungssteuer und der Gewinnsteuer. 4.3.2. Streitfrage Steuererhebung Die Hauptabteilung DVS der ESTV beruft sich (einzig) auf die Meldung der Hauptabteilung MWST. Nur gestützt darauf will die ESTV die Verrechnungssteuer von der Muster AG einfordern. Dieser Ansicht kann nicht zugestimmt werden: ◆◆ Die Verrechnungssteuer ist eine Selbstveranlagungssteuer. ◆◆ Wenn ein Steuerpflichtiger der Ansicht ist, dass keine verrechnungssteuerpflichtige Leistung vorliegt, hat er gemäss dem Selbstdeklarationsprinzip auch keine Deklaration vorzunehmen und keine Steuer zu entrichten. ◆◆ Im konkreten Fall ist die Muster AG der Ansicht, dass grundsätzlich kein Steuerobjekt der Verrechnungssteuer im Sinne von Art. 4 Abs. 1 Bst. b VStG in Bezug auf die Personalkosten gegeben ist. ◆◆ Insbesondere kann von der ESTV nicht behauptet werden, dass eine verrechnungssteuerpflichtige Leistung der Muster AG vorliegt, einzig weil mehrwertsteuerlich eine andere Beurteilung der Kostenverrechnung stattgefunden hat. Sowohl die Mehrwertsteuer als auch die Verrechnungssteuer sind autonome, selbständige Steuern, welche unabhängig voneinander zu beurteilen sind. Die Mehrwertsteuer ist eine Nettoallphasensteuer, welche grundsätzlich auf dem Umsatz als Steuerobjekt beruht. Die Verrechnungssteuer hat in Bezug auf das Steuerobjekt von Art. 4 Abs. 1 Bst. b VStG die Ausschüttung 4.3.3. Streitfrage Steuerrückerstattung Herr Muster hat die Aktien an der Muster AG immer deklariert. Aufgrund des Revisionsbefundes der kantonalen Steuerverwaltung wurden bei ihm für die Einkommenssteuer selbstverständlich keine Aufrechnungen in Bezug auf die Personalausleihe vorgenommen bzw. kein „Beteiligungsertrag“ deklariert. Der Hinweis der ESTV in ihrem Schreiben, dass eine Rückerstattung voraussichtlich nicht erfolgen kann, bezieht sich auf einen Verstoss gegen Art. 23 VStG. Da im konkreten Fall einkommenssteuerlich kein Vermögensertrag vorliegt, konnte in Bezug auf die von der ESTV jetzt nachträglich geltend gemachten geldwerten Leistungen überhaupt keine Deklaration erfolgen: Einkommenssteuerlich wurde kein entsprechendes Einkommen realisiert und kann und muss folglich keine Deklaration erfolgen. Das Vorgehen der ESTV in diesem konkreten Fall führt dazu, dass überhaupt nicht sichergestellt ist, welche Regeln rückerstattungsrechtlich Anwendung finden. In Bezug auf Art. 23 VStG hat das Bundesgericht festgehalten, dass 17 18 Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 das Schutzobjekt dieser Bestimmung das direktsteuerliche Veranlagungsverfahren, namentlich Art. 124 Abs. 2 und Art. 125 Abs. 1 DBG, ist. Es kann somit nicht sein, dass gemäss Qualifikation der zuständigen kantonalen Steuerverwaltung kein Einkommen für die Einkommensund Gewinnsteuern vorliegt und mithin direktsteuerlich eine korrekte Deklaration bzw. eben „Nicht-Deklaration“ erfolgt, während die ESTV die Ansicht vertritt, verrechnungssteuerlich läge Vermögensertrag vor, und gestützt darauf von einer – zumindest potentiellen – Verwirkung des Rückerstattungsrechts wegen Verstosses gegen Art. 23 VStG ausgeht. Abgesehen davon, dass dies zu stossenden und willkürlichen Resultaten führt, wird dadurch auch die Verrechnungssteuer ihres Zweckes als Sicherungssteuer beraubt und in unzulässiger Weise als Fiskalsteuer missbraucht. Erhebungsseitig mag die ESTV autonom sein und selbständig entscheiden, ob sie eine andere Qualifikation vornimmt als die kantonale Steuerverwaltung für die Gewinn- und die Einkommenssteuern. Dennoch sollte angesichts der grundsätzlichen Begriffsidentität von geldwerten Leistungen auch erhebungsseitig keine andere Beurteilung für die Verrechnungssteuer und die Gewinnsteuer erfolgen. Rückerstattungsrechtlich kann unserer Meinung nach aber einzig die Qualifikation der zuständigen kantonalen Steuerverwaltung für die Einkommenssteuer massgebend sein: ◆◆ Art. 23 VStG verlangt eine ordnungsgemässe einkommens- und vermögenssteuerliche Deklaration. Diese Deklaration hängt somit von der direktsteuerlichen Beurteilung eines Sachverhalts ab und nicht von dessen erhebungsseitigen verrechnungssteuerlichen oder sogar mehrwertsteuerlichen Qualifikation. Die konkrete direktsteuerliche Beurteilung durch die hierfür zuständige kantonale Steuerverwaltung muss massgebend sein. ◆◆ Es steht der ESTV folglich auch nicht an, zu entscheiden, was eine direktsteuerlich ordnungsgemässe Deklaration ist. Diese Kompetenz steht den kantonalen Steuerverwaltungen zu. Sind diese der Ansicht, dass kein Vermögensertrag zu deklarieren ist, so kann einzig diese direktsteuerliche Qualifikation in Bezug auf Art. 23 VStG massgebend sein. Selbst wenn die ESTV erhebungsseitig das Vorliegen einer geldwerten Leistung bejaht, vermag diese verrechnungssteuerliche Beurteilung unserer Meinung nach keinen Einfluss auf die direktsteuerliche Beurteilung, was eine ordnungsgemässe Deklaration ist, im Lichte der Deklarationsklausel von Art. 23 VStG zu haben. 5. Achtung Buchprüfung 5.1. Allgemeine Grundsätze Anders als die Konstellation im vorstehenden Beispiel der Muster AG ist der Fall zu beurteilen, dass die zuständige kantonale Steuerverwaltung bei ihrer Buchprüfung zum Schluss kommt, die Kostenweiterverrechnung sei nicht korrekt, und deshalb von einer Ertragsaufrechnung und folglich von einer geldwerten Leistung ausgeht. Spätestens im Zeitpunkt, indem der gewinnsteuerliche Entscheid über diese geldwerte Leistung zu Gunsten des Fiskus in Rechtskraft erwachsen ist, muss davon ausgegangen werden, dass auch eine verrechnungs- und einkommenssteuerpflichtige geldwerte Leistung vorliegt. Konkret bedeutet dies: ◆◆ Im Rahmen des für die Verrechnungssteuer geltenden Selbstdeklarationsprinzips muss die steuerpflichtige Gesellschaft, also die Muster AG, auf der geldwerten Leistung auch spontan die Verrechnungssteuer gegenüber der ESTV deklarieren und abliefern. ◆◆ Zudem muss die Überwälzung auf den Leistungsempfänger nachgeholt werden; ansonsten wird eine sog. Aufrechnung ins Hundert vorgenommen (effektive geldwerte Leistung/65x100; davon 35 Prozent Verrechnungssteuer) mit der Folge, dass die Verrechnungssteuer tatsächlich 53.8 Prozent der erbrachten geldwerten Leistung beträgt. ◆◆ Beim Aktionär liegt einkommenssteuerpflichtiger Vermögensertrag vor, welcher – sollte bereits eine rechtskräftige Veranlagung erfolgt sein – im Nachsteuerverfahren erfasst wird; im Falle eines noch offenen Veranlagungsverfahrens obliegt es dem Aktionär, eine Nachmeldung vorzunehmen. Sollte er dies nicht zeitunmittelbar tun, muss er damit rechnen, mit Steuerhinterziehungsabsicht konfrontiert zu werden. ◆◆ Ungeachtet davon, ob bereits eine rechtskräftige Veranlagung des Aktionärs erfolgt ist oder nur die Steuererklärung ohne Deklaration der geldwerten Leistung eingereicht worden ist und eine Nachmeldung erfolgt, wird in Bezug auf die Rückerstattung das Kreisschreiben Nr. 40 angewandt werden mit der Folge, dass keine spontane Nachdeklaration möglich ist und der Rückerstattungsanspruch gestützt auf Art. 23 VStG deshalb als verwirkt gilt und die Verrechnungssteuer zur definitiven Steuerbelastung wird. 5.2. Vorsicht Verrechnungssteuerhinterziehung In Bezug auf die Verrechnungssteuer muss bei dieser zweiten Fallkonstellation auf das Selbstdeklarationsprinzip und die sich daraus ergebenden Folgen hingewiesen werden: Sobald die Muster AG endgültig weiss, dass sie gewinnsteuerlich eine geldwerte Leistung erbracht hat, ist sie verpflichtet, auch die Verrechnungssteuer korrekt handzuhaben. Das Wissen über eine geldwerte Leistung kann der Muster AG spätestens mit Eintritt der Rechtskraft der Gewinnsteuerveranlagung zugewiesen werden. Erfolgt dennoch keine Deklaration (mit Formular 102) und Ablieferung der Verrechnungssteuer, so besteht ein erhebliches Risiko, dass die ESTV die Voraussetzungen für das Vorliegen einer Steuerhinterziehung im Sinne von Art. 61 Bst. a VStG als erfüllt betrachten wird. Eine solche Hinterziehung begeht, wer vorsätzlich oder fahrlässig, zum eigenen oder zum Vorteil eines anderen, dem Bund Verrechnungssteuer vorenthält. Der Vollständigkeit halber sei darauf hingewiesen, dass die strafrechtlichen Folgen einer Verrechnungssteuerhinterziehung grundsätzlich bei den handelnden natürlichen Personen eintreten und nicht bei der Muster AG als Verrechnungssteuersubjekt [15]. In der Praxis wird bei solchen Fallkonstellationen oft auf eine verrechnungssteuerliche „Nachdeklaration“ verzichtet mit der Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 Begründung, dass die Gewinn- und die Einkommenssteuern ja entrichtet worden sind und die Verrechnungssteuer somit angesichts ihres Sicherungszweckes nicht mehr anfallen könne. So verständlich diese Betrachtungsweise insbesondere angesichts der Tatsache, dass in den meisten Fällen wegen Verletzung von Art. 23 VStG keine Rückerstattung gewährt wird, auch ist, widerspricht sie der Konzeption der Verrechnungssteuer und führt dazu, dass angesichts des Selbstdeklarationsprinzips bei der Verrechnungssteuer das Risiko eines Strafverfahrens wegen Steuerhinterziehung erheblich ist. Die Tatsache, dass die Gewinn- und Einkommenssteuern entrichtet worden sind oder werden, ändern nichts daran, dass die Verrechnungssteuer dennoch geschuldet ist. Leider wird der Wechsel der Verrechnungssteuer von der Sicherungssteuer zur „Defraudantensteuer“ gemäss ihrer konzeptionellen Ausgestaltung von der ESTV konsequent und mit Härte praktiziert, mit der Folge, dass die Verrechnungssteuer einen pönalen Charakter erhält und zusätzlich Straffolgen eintreten können. 5.3. Meldeverfahren? In der Praxis wird oft die Meinung vertreten, die Verrechnungssteuer sei bei einer Buchprüfung durch die kantonale Steuerverwaltung kein Risiko, weil die Verrechnungssteuerpflicht, sofern die ESTV im Anschluss an die gewinnsteuerliche Aufrechnung eine Forderung geltend macht, gestützt auf Art. 24 Abs. 1 Bst. a der Verordnung vom 19. Dezember 1966 über die Verrechnungssteuer (VStV) durch Meldung erfüllt werden könne. Diese Bestimmung ist wie folgt: „Der Gesellschaft oder Genossenschaft kann auf Gesuch hin gestattet werden, ihre Steuerpflicht durch Meldung der steuerbaren Leistung zu erfüllen (Art. 20 VStG), wenn die anlässlich einer amtlichen Kontrolle oder Buchprüfung geltend gemachte Steuer eine Leistung betrifft, die in einem Vorjahre fällig geworden ist“. Abgesehen davon, dass eine Buchprüfung der ESTV und nicht der kantonalen Steuerbehörde vorausgesetzt ist, ist auf Art. 24 Abs. 2 VStV hinzuweisen, welcher folgendes bestimmt: „Das Meldeverfahren ist in allen Fällen nur zulässig, wenn feststeht, dass die Personen, auf die die Steuer zu überwälzen wäre (Leistungsempfänger), nach Gesetz oder Verordnung Anspruch auf Rückerstattung dieser Steuer hätten, und wenn ihre Zahl zwanzig nicht übersteigt“. Da gerade bei geldwerten Leistungen an natürliche Personen die Rückerstattung wegen Verletzung der Deklarationsklausel von Art. 23 VStG nicht gewährt wird, kann auch das Meldeverfahren von Art. 24 Abs. 1 Bst. a VStV angesichts von Art. 24 Abs. 2 VStV nicht angewandt werden. Die Verrechnungssteuerpflicht ist folglich und ungeachtet der Tatsache, dass in den meisten Fällen keine Rückerstattung gewährt wird, durch Steuerablieferung zu erfüllen. 6. Fazit Das Schutzobjekt von Art. 23 VStG ist zweifelsohne das direktsteuerliche Veranlagungsverfahren. Es wird nicht bestritten, dass Art. 23 VStG eine direktsteuerlich ordnungsgemässe Deklaration verlangt. Die heutige Einschränkung der Deklarationsklausel primär auf Art. 124 Abs. 2 DBG erscheint jedoch als zu eng. Art. 23 VStG spricht konkret von einer Deklaration, welche „entgegen den gesetzlichen Vorschriften“ erfolgt und bezieht sich somit auf das – gesamte – direktsteuerliche Veranlagungsverfahren. Die Praxis zu Art. 23 VStG übersieht, dass die direktsteuerlichen Mitwirkungspflichten bzw. die ordnungsgemässe Deklarationspflicht u.a. auch Art. 124 Abs. 3 DBG umfassen, der wie folgt lautet: „Der Steuerpflichtige, der die Steuererklärung nicht oder mangelhaft ausgefüllt einreicht, wird aufgefordert, das Versäumte innert angemessener Frist nachzuholen“. Das Veranlagungsverfahren der direkten Steuern sieht somit mit der Bestimmung von Art. 124 Abs. 3 DBG im Falle einer mangelhaften Steuererklärung bzw. sogar im Falle einer nicht eingereichten Steuererklärung selber vor, dass der Steuerpflichtige zur Nachholung des Versäumten aufgefordert wird[16]. Im Falle von unvollständig oder formell unrichtigen Steuererklärungen und Wertschriftenverzeichnissen werden diese von Gesetzes wegen den Steuerpflichtigen zur Ergänzung zurückgegeben, sofern die Veranlagungsbehörde die unbedingt notwendigen Ergänzungen oder Berichtigungen nicht selbst vornehmen kann. Der steuerpflichtigen Person wird von Gesetzes wegen zur Behebung der Mängel eine angemessene Frist angesetzt unter Hinweis auf die Folgen bei Nichterfüllung. Kommt die steuerpflichtige Person der Auflage zur Behebung der Mängel nicht fristgerecht nach, so ist ein Mahnverfahren durchzuführen, bevor allenfalls gestützt auf die Aktenlage und unter Umständen nach pflichtgemässem Ermessen die Veranlagung vorgenommen wird. Dabei gilt die Mahnung als Aufforderung an die steuerpflichtige Person, noch nicht oder nicht gehörig vorgenommene Mitwirkungshandlungen zu erfüllen[17]. Art. 23 VStG ist das notwendige Scharnier zwischen den direkten Steuern und der Verrechnungssteuer. Hierbei muss jedoch zwingend berücksichtigt werden, dass das Schutzobjekt die ordnungsgemäss Veranlagung der direkten Steuern ist. Aus diesem Grund muss als „ordnungsgemässe Deklaration“ im Sinne von Art. 23 VStG das gesamte Deklarationsverfahren bei den direkten Steuern bezeichnet werden und können nicht, wie dies heute der Fall ist, nur selektiv bestimmte Mitwirkungspflichten gesondert und zu Ungunsten der Steuerpflichtigen berücksichtigt werden. Mithin sollte der Rechtsbegriff der „ordnungsgemässen Deklaration“ nicht nur Art. 124 Abs. 2 DBG, sondern unserer Meinung nach auch Art. 124 Abs. 3 DBG und folglich das 19 20 Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 direktsteuerliche Veranlagungsverfahren in seiner Gesamtheit umfassen. Notwendiges Korrektiv hierzu muss sein, wenn eine nicht-ordnungsgemässe Deklaration in Hinterziehungsabsicht erfolgt ist. Dann ist es richtig, wenn die Verrechnungssteuer zur „Defraudantensteuer“ wird. Diesfalls lässt sich der pönale Charakter der Verrechnungssteuer rechtfertigen. Elenco delle fonti fotografiche: http://f iles.newsnet z.ch/stor y/1/5/7/15786055/teaserbreitgross.jpg [30.10.2016] http://www.srf.ch/var/storage/images/auftritte/news/bilder/2014/07/02/ node_4888568/66770136-3-ger-DE/bild_span12.jpg [30.10.2016] [1]Eidg. Steuerverwaltung. Die ESTV ist für die gesamte Verrechnungssteuererhebung sowie für die Rückerstattung an sämtliche Leistungsempfänger zuständig mit Ausnahme von natürlichen inländischen Personen; hierfür ist das sog. kantonale Verrechnungssteueramt die zuständige Behörde. [2] Vgl. Jaussi Thomas/Ghielmetti Costante/Pfirter Markus, Die Eidg. Verrechnungssteuer, Band 1, 2. Aufl., Muri b. Bern 2016, S. 20 ff. [3]Vgl. Bauer-Balmelli Maja, Der Sicherungszweck der Verrechnungssteuer, Schriftenreihen zum Steuerrecht Nr. 7, Zürich 2001, S. 217. [4]Vgl. Art. 9 Abs. 1 VStG i.V.m. Art. 10 Abs. 1 VStG und Art. 4 VStG. [5]Nachfolgend wird nur noch auf inländische juristische Personen eingegangen. [6]Vgl. Art. 12 VStG sowie Beusch Michael, in: Zweifel Martin/Beusch Michael/Bauer-Balmelli Maja (Hrsg.), Kommentar zum Bundesgesetz über die Verrechnungssteuer, 2. Aufl., Basel 2012, Rz. 4 zu Art. 12 VStG. [7] Vgl. vorstehende Ziffer 2. [8] Zum Begriff, was unter einer ordnungsgemässen Verbuchung zu verstehen ist, vgl. Zwahlen Bernhard, in: Zweifel Martin/Beusch Michael/ Bauer-Balmelli Maja (Hrsg.), Kommentar zum Bundesgesetz über die Verrechnungssteuer, 2. Aufl., Basel 2012, Rz. 7 ff. zu Art. 25 Abs. 1 VStG. [9] Vgl. Kreisschreiben Nr. 6 „Verdecktes Eigenkapital (Art. 65 und 75 DBG) bei Kapitalgesellschaften und Genossenschaften“ der ESTV vom 6. Juni 1997. [10] Vgl. Art. 17 Abs. 1 VStG; im Fall einer Steuerhinterziehung beträgt die Frist jedoch sieben Jahre. [11]Vgl. Urteil des Bundesgerichts 2C_85/2015 vom 16. September 2015. [12]Vgl. Kreisschreiben Nr. 40 „Verwirkung des Anspruchs von natürlichen Personen auf Rückerstat- tung der Verrechnungssteuer gemäss Artikel 23 VStG“ der ESTV vom 11. März 2014, nachfolgend „KS Nr. 40“ genannt. [13] Vgl. Zitat in Fussnote 11. [14] Vgl. Duss Marco/Hebling Andreas/Duss Fabian, in: Zweifel Martin/Beusch Michael/ Bauer-Balmelli Maja (Hrsg.), Kommentar zum Bundesgesetz über die Verrechnungssteuer, 2. Aufl., Basel 2012, Rz. 132a zu Art. 4 VStG. [15] Vgl. Art. 6 und 7 des Bundesgesetzes vom 22. März 1974 über das Verwaltungsstrafrecht (VStrR), welches gemäss Art. 67 Abs. 1 VStG auf verrechnungssteuerliche Delikte Anwendung findet. [16] Vgl. Richner Felix/Frei Walter/Kaufmann Stefan/Meuter Hans Ulrich; Handkommentar zum DBG, 3. Aufl., Zürich 2016, Rz. 23 ff. zu Art. 125 DBG. [17] Vgl. Locher Peter, Kommentar zum Bundesgesetz über die direkte Bundessteuer, III. Teil, Art. 102-222 DBG, Basel 2015, Rz. 23 zu Art. 124 DBG. Diritto tributario italiano La nuova disciplina degli interpelli fiscali in Italia Sara Borile Dottoressa in Giurisprudenza, Università di Ferrara Tirocinante presso Tribunale di Ferrara – Sezione Lavoro e previdenza sociale Il Decreto “interpelli e contenzioso tributario” (D.Lgs. n. 156/2015), in attuazione degli obiettivi fissati dalla Legge di delega fiscale n. 23/2014, si propone in un efficace restyling del già vigente istituto dell’interpello tributario. Una nuova veste, più snella ed organica, per riaffermare l’interpello quale strumento di dialogo privilegiato tra contribuente e Fisco 1. Il sistema degli interpelli in Italia e le ragioni di riforma È noto che l’interpello consiste in un’istanza che il contribuente può rivolgere all’agenzia competente per materia prima di assumere una condotta fiscalmente rilevante, onde ricevere chiarimenti sull’interpretazione di una norma obiettivamente incerta da applicare ad un caso concreto e personale. Si tratta di un istituto deflattivo nel senso più lato del termine, e preventivo nella sua natura, in quanto la sua operatività si colloca prima e a prescindere da un eventuale controllo e accertamento (per altro sempre possibile). Il legislatore con la Legge di delega fiscale n. 23/2014, all’articolo 6, comma 6, ha mostrato un’apprezzabile attenzione verso la disciplina degli interpelli, ritenuta opportunamente bisognosa di un profondo intervento riorganizzativo[1]. L’assetto vigente si presentava come spiccatamente disorganico con una pluralità di modelli di interpello, operanti seguendo diversi profili procedurali e con termini di risposta erariali differenti. Vi erano interpelli eminentemente interpretativi, interpretativi su questioni elusive e interpelli disapplicativi, attinenti più all’attuazione del rapporto di imposta e a questioni fattuali. I modelli di interpello sono proliferati specie negli ultimi anni per assecondare esigenze di volta in volta differenti, generando sovrapposizioni e confusione. Fenomeno alimentato anche dall’utilizzo delle medesime procedure per istituti dissimili. A ciò si aggiungano le difficoltà della Direzione centrale normativa dell’Agenzia delle Entrate nel monitorare tutte le risposte rese dagli uffici periferici al fine di garantire un’omogeneità di posizione. Un assetto non del tutto coerente con le finalità proprie dell’istituto. Prendendo le mosse dalla diffusa insoddisfazione verso l’irrazionalità del quadro di riferimento, il legislatore all’articolo 6, comma 6 della Legge delega ha posto come criteri direttivi: ◆◆ garantire una maggiore omogeneità rispetto alle tipologie di interpello all’epoca in vigore; ◆◆ assicurare una maggiore tempestività nella redazione dei pareri; ◆◆ eliminare le forme di interpello obbligatorio che siano fonte di inutili aggravi per il cittadino e l’Amministrazione finanziaria. Il Governo ha dato attuazione alla delega mediante il Decreto Legislativo (di seguito D.Lgs.) n. 156/2015, con l’obiettivo, chiarito anche nella relazione illustrativa allo schema di Decreto, di “restituire all’interpello la funzione di dialogo privilegiato e qualificato del contribuente con l’Amministrazione”. Ha tentato di semplificarne il rapporto tramite il passaggio “da un sistema incentrato sulla necessità di una compiuta verifica amministrativa ex ante di determinate fattispecie, a uno basato sulla responsabilizzazione del contribuente, al quale è riconosciuta la possibilità di verificare in autonomia la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per l’accesso a specifici regimi fiscali, ovvero per la disapplicazione di determinate disposizioni antielusive”. Il Titolo I del Decreto introduce un efficace restyling del sistema degli interpelli: pur preservando la differenza di contenuti tra le varie tipologie di istanze (aggiungendone, anzi una nuova), le riconduce a sostanziale unità, quantomeno con riferimento ai profili procedurali. 2. Il Diritto di interpello e lo Statuto dei diritti del contribuente L’articolo 1 del Decreto ha riscritto l’articolo 11 della Legge (di seguito L.) n. 212/2000 (cosiddetto “Statuto dei diritti del contribuente”, di seguito Statuto), e sancito il diritto di interpello del contribuente come principio statutario comune a tutte le istanze. Il nuovo testo dell’articolo 11 valorizza le peculiarità e l’autonomia delle diverse tipologie di interpello ad oggi attivabili dal contribuente, individuandole in quattro distinte: interpello ordinario, interpello probatorio, interpello anti-abuso e interpello disapplicativo. 21 22 Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 2.1. L’interpello ordinario L’interpello ordinario (comma 1, lettera a) potrà essere proposto dal contribuente non solo, come avveniva in precedenza, quando le condizioni di obiettiva incertezza incidano sulla corretta interpretazione della norma tributaria (interpello ordinario interpretativo), ma anche quando lo status di incertezza riguardi la corretta qualificazione delle fattispecie (interpello ordinario qualificatorio). L’interpello ordinario interpretativo corrisponde nella sostanza a quello previsto nella precedente versione dell’articolo 11 dello Statuto; il legislatore si è limitato a riformulare l’istituto. Ne risulta confermata la natura di interpello generale, attivabile in relazione a qualsiasi disposizione tributaria che appaia obiettivamente incerta nella sua applicazione alla fattispecie concreta e personale del soggetto istante. L’interpello ordinario qualificatorio[2] , invece, investe l’obiettiva incertezza della qualificazione giuridica di una particolare fattispecie alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alla stessa. In altri termini, costituisce istanza di tipo qualificatorio quella relativa non tanto all’astratta interpretazione di disposizioni legislative, quanto alla concreta sussunzione della fattispecie incerta in una delle più disciplinate dalla legge. Per espressa previsione di legge, non rientrano nell’interpello qualificatorio le ipotesi di ruling internazionale e di interpello sui nuovi investimenti, disciplinate secondo procedure autonome dal D.Lgs. n. 147/2015. La relazione di accompagnamento al Decreto menziona, a titolo meramente esemplificativo, alcune possibili fattispecie suscettibili di formare oggetto di interpello qualificatorio, quali ad esempio la valutazione della sussistenza di una stabile organizzazione estera, di cui al nuovo articolo 168-ter del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (di seguito TUIR) (cosiddetta “branch exemption”), o la riconducibilità di una data spesa alla categoria delle spese di pubblicità ovvero di quelle di rappresentanza. Invece, novità per l’interpello ordinario tout court, riguarda l’introduzione di una definizione normativa delle “condizioni di obiettiva incertezza” che legittimano l’istanza, individuate dal Decreto in chiave negativa, escludendo, cioè, tutti i casi in cui l’Amministrazione finanziaria abbia già compiutamente fornito, mediante pubblicazione ufficiale (ai sensi dell'articolo 5 del medesimo Provvedimento), la soluzione interpretativa a fattispecie corrispondenti. Non possono formare oggetto di interpello ordinario: accertamenti di tipo tecnico (come ad esempio: operazioni di classamento o di calcolo della consistenza o l’estimo catastale) esperibili esclusivamente presso le sedi proprie, e le istanze non connotate da elementi di peculiarità o comunque prive di aspetti di particolare complessità. 2.2. L’interpello probatorio L’interpello probatorio (comma 1, lettera b) è stato elaborato in passato come una mera categoria dottrinale. Esso è configurabile ogni volta in cui il contribuente voglia ottenere un parere circa la sussistenza delle condizioni o la valutazione dell’idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per avere accesso a determinati regimi fiscali, derogatori rispetto al regime normalmente applicabile. La relazione illustrativa evidenzia come il riferimento all’accesso ad un determinato regime fiscale vada interpretato in senso lato, come comprensivo dei casi in cui si tratti della non operatività di regole e limitazioni speciali. Affinché l’istanza sia validamente attivabile è necessario che la fattispecie concreta sia riconducibile in uno dei casi normativamente previsti facenti esplicito richiamo all’interpello di cui all’articolo 11, comma 1, lettera b) dello Statuto[3]. Per gli interpelli rientranti in tale categoria, così come per tutte le altre tipologie, ad eccezione dei “disapplicativi”, la relativa presentazione non costituisce un adempimento obbligatorio. Tuttavia, alla facoltatività della presentazione dell’istanza, segue, come contrappeso, l’introduzione di un apposito onere di segnalazione in dichiarazione dei redditi nel caso di omessa presentazione dell'istanza o qualora sia stata presentata, la stessa non abbia ricevuto risposta favorevole. Il difetto di indicazione in dichiarazione dei redditi di tale circostanza è punito con sanzione amministrativa da euro 2’000 a euro 21’000. 2.3. L’interpello anti-abuso L’interpello anti-abuso (comma 1, lettera c) assorbe il previgente interpello anti-elusivo di cui all’articolo 21 L. n. 413/1991, e trae origine dalla nuova disciplina sull’abuso del diritto introdotta dal D.Lgs. n. 128/2015 recante “Disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra Fisco e contribuente” [4] , il quale ha introdotto l’articolo 10-bis nello Statuto e contestualmente abrogato l’articolo 37-bis del Decreto del Presidente della Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 600/1973. Il comma 5 dell’articolo 10-bis dello Statuto prevede che “il contribuente può proporre interpello ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. c), per conoscere se le operazioni costituiscano fattispecie di abuso del diritto”. La tipologia d’interpello in questione consente di interrogare l’Agenzia delle Entrate circa la natura abusiva del diritto di specifici atti, fatti e negozi, anche tra loro collegati: l’istante dovrà dimostrare l’inesistenza dei presupposti per una simile qualificazione, specificando la sostanza economica dell’operazione complessiva, la mancanza di vantaggi fiscali indebiti e, comunque, la presenza di sottostanti valide ragioni extra fiscali, non marginali. L’interpello anti-abuso potrà essere attivato dal contribuente anche per conoscere il parere dell’Erario in relazione alle ipotesi di interposizione soggettiva, ai sensi del comma 3 dell’articolo 37 D.P.R. n. 600/1973. Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 2.4. L’interpello disapplicativo L’interpello disapplicativo (comma 2) sostituisce quello previsto dal comma 8, dell’articolo 37-bis D.P.R. n. 600/1973 e analogamente a quanto sinora avvenuto, può essere presentato dal contribuente che voglia ottenere “la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto passivo, altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario”, previa dimostrazione dell’assenza, nella fattispecie concreta, delle preoccupazioni antielusive che giustificano, nella generalità dei casi, la disposizione di cui si chiede la disapplicazione. Questa tipologia di interpello è l’unica a rivestire carattere di adempimento obbligatorio a seguito della riforma, nonostante che la relativa omissione non precluda la possibilità di far valere la sussistenza delle apposite circostanze esimenti in occasione di un eventuale accertamento amministrativo o in sede contenziosa. L’obbligatorietà della presentazione dell’istanza disapplicativa, nelle fattispecie in cui prevista, discende dalla previsione di una sanzione ad hoc per i casi di omessa presentazione: l’articolo 11, comma 7-ter D.Lgs. n. 471/1997 introduce una sanzione da euro 2’000 a euro 21’000, ed è raddoppiata nel caso in cui al successivo controllo l’Amministrazione finanziaria disconosca la disapplicazione delle norme che limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del contribuente. Sostanzialmente, anche per gli interpelli disapplicativi, appare possibile non presentare la relativa istanza e subire al più, quale conseguenza, il semplice raddoppio della medesima sanzione in misura fissa prevista per la mancata segnalazione in dichiarazione di una fattispecie per la quale l’interpello è facoltativo, disattendendo, di fatto, il requisito dell’obbligatorietà attribuito all’interpello di tipo disapplicativo. 3. Termini, effetti ed efficacia della risposta all’istanza di interpello Alle cinque categorie di istanze indicate dal novellato articolo 11 dello Statuto si applica un comune impianto normativo, volto a dare sostanza al diritto d’interpello ivi disciplinato. Si tratta dell’estensione, salvo talune novità, alle quattro forme “speciali” (qualificatorio, probatorio, anti-abuso e disapplicativo), dei principi già previsti dal previgente testo dell’articolo 11, per la sola ipotesi “generale” dell’interpello ordinario. Nel complesso, la disciplina comune dettata dal Titolo I del Decreto riprende ampiamente dalla prassi erariale in materia di interpello ordinario. In primo luogo, la norma assicura, in tutti i casi, la perentorietà dei tempi di risposta dell’Amministrazione finanziaria, da fornire entro 90 giorni, nel caso di istanze ordinarie o qualificatorie[5] , ed entro 120, nelle restanti ipotesi. Ottima è stata l’introduzione di questi termini perentori, e più brevi rispetto ai previgenti, in conformità all’indirizzo di maggior “tempestività” contenuto nella delega, ma si trova opportuno sottolineare che comunque è rimasta una durata di lavorazione diversa, di 90 o 120 giorni a seconda del tipo di interpello, che forse era preferibile ricondurre ad unità. Continua il Decreto specificando che, qualora la risposta non sia comunicata entro i suddetti termini, il silenzio equivale a condivisione dell’Amministrazione finanziaria della soluzione prospettata dal contribuente; opera il cosiddetto “silenzioassenso”, che nel previgente sistema era previsto solo in favore degli interpelli ordinari. La sua introduzione generalizzata è una delle previsioni più innovative introdotte dal Decreto. L’articolo 4 del Decreto prevede che, quando non è possibile fornire risposta sulla base della documentazione originariamente allegata all’istanza, l’Amministrazione può chiedere, una sola volta, all’istante, di integrare detta documentazione, ed entro 60 giorni dalla ricezione della documentazione integrativa, è tenuta a rilasciare il suddetto parere[6]. La formazione del silenzio-assenso si interrompe nel caso di richiesta d’integrazione istruttoria. La mancata presentazione della documentazione richiesta entro il termine di un anno equivale a rinuncia all’interpello, ferma restando la facoltà di presentare una nuova istanza ove ne ricorrano i presupposti di legge. Il comma 3 dell’articolo 11 dello Statuto sancisce che “la risposta scritta e motivata vincola ogni organo dell’Amministrazione con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente”. La norma precisa espressamente che il vincolo riguarda ogni organo dell’Amministrazione, compresi quindi gli organi ausiliari, ai quali è precluso formulare rilievi nel processo verbale di constatazione emesso in esito a controlli fiscali, laddove le medesime questioni siano state oggetto di un vaglio favorevole da parte dell’Amministrazione in sede di risposta all’interpello, ma ciò a condizione che non siano emersi nel corso dell’indagine elementi che alterino il quadro tracciato dal contribuente in sede di avanzamento dell’istanza. La risposta fornita vincola l’Ufficio limitatamente al richiedente, pertanto per soggetti “altri” rispetto al richiedente, pur in presenza di fattispecie simili, il parere fornito può costituire punto di riferimento interpretativo, ma non implica alcun vincolo in sede di eventuali controlli ed accertamenti. Il medesimo comma aggiunge anche che “gli atti, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio difformi dalla risposta, espressa o tacita (è il caso del silenzio-assenso), sono nulli. Tale efficacia si estende ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa da parte dell’Amministrazione con valenza esclusivamente per gli eventuali comportamenti futuri dell’istante”. La possibilità di rettificare la risposta era attribuita al Fisco già nella disciplina previgente e si inquadra nel contesto del potere-dovere di autotutela dell’Ufficio competente. Può risolversi in una modifica sia in melius, che in peius per il 23 24 Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 contribuente destinatario, fermo restando, in quest’ultimo caso, l’impossibilità di muovere contestazioni sul passato all’istante che si sia adeguato alla risposta dell’Agenzia delle Entrate, né in termini di imposte, né in termini di sanzioni. Il comma 5 dell’articolo 11 dispone che la presentazione dell’istanza non produce alcun effetto sulle ordinarie scadenze degli adempimenti previsti dalle norme tributarie, e parimenti, non influisce sulla decorrenza dei termini di decadenza, né comporta interruzione o sospensione dei termini di prescrizione. Il sesto e ultimo comma del medesimo articolo sancisce che le risposte rese dall’Agenzia delle Entrate devono essere pubblicate sotto forma di circolare o di risoluzione, nei casi in cui: (i) un numero elevato di contribuenti abbia presentato istanze concernenti la medesima questione o questioni analoghe, (ii) sia stata fornita l’interpretazione di norme di recente approvazione o per le quali non siano ancora stati resi chiarimenti ufficiali, (iii) siano segnalati comportamenti non uniformi da parte degli Uffici, e (iv) più in generale, in ogni altro caso in cui l’Amministrazione finanziaria ritenga di interesse generale il chiarimento fornito. Importante novità è data dalla previsione che nonostante la pubblicità data alle risposte, queste vanno comunque sempre comunicate agli istanti. Tale accorgimento è motivato dall’esigenza di rafforzamento delle tutele offerte al contribuente, al quale deve consentirsi di conoscere chiaramente il momento a partire dal quale si producono gli effetti della risposta all’interpello. senza che, a tali fini, assumano valenza i termini concessi all’Amministrazione per rendere la propria risposta”. L’articolo 5 comma 1 lettera b) aggiunge che se tale requisito è disatteso, la relativa istanza è da qualificarsi come inammissibile, la preventività diventa quindi requisito imprescindibile. Resta fermo in ogni caso il requisito della riferibilità dell’istanza a casi concreti e personali, espressione della finalità cognitiva, propria di tutte le tipologie di interpello, del trattamento tributario di atti, operazioni o iniziative direttamente riconducibili alla sfera del soggetto istante. 5. Il contenuto e le modalità di presentazione dell’istanza Anche il contenuto delle istanze è stabilito in comunanza per tutti i tipi di interpello. L’articolo 3, al comma 1, prevede che le istanze devono espressamente fare riferimento alle disposizioni che disciplinano il diritto di interpello, allo scopo di permettere all’Agenzia delle Entrate di individuare agevolmente le richieste ascrivibili al diritto di interpello ex articolo 11, distinguendole da altri tipi di istanze. Subito dopo il legislatore elenca gli elementi che l’istanza deve contenere, i quali per combinato disposto con l’articolo 5, comma 1, lettera a) possono essere classificati in: elementi essenziali e non essenziali, a seconda che il loro inserimento sia previsto o meno a pena di inammissibilità dell’istanza. Sono elementi, la cui carenza comporta insanabilmente l’inammissibilità dell’istanza, quelli previsti alle lettere a), e c) dell’articolo 3, cioè: i dati identificativi dell’istante ed eventualmente del suo rappresentante legale con specificazione del codice fiscale, e la circostanziata e specifica descrizione delle fattispecie. Invece, sono elementi che l’istanza deve possedere, ma la cui mancanza non comporta inammissibilità della stessa, ma solo l’obbligo dell’Ufficio di richiedere al contribuente la regolarizzazione della medesima entro 30 giorni, i rimanenti: 4. La legittimazione a presentare l’istanza e i suoi presupposti Ai sensi dell’articolo 2 D.Lgs. n. 156/2015, sono legittimati a presentare istanza di interpello i contribuenti, anche non residenti, e i soggetti che in base alla legge sono obbligati a porre in essere gli adempimenti tributari per conto dei contribuenti o sono tenuti insieme con questi o in loro luogo all’adempimento di obbligazioni tributarie. La medesima disposizione, al comma 2, delinea il requisito temporale della preventività dell’istanza d’interpello, chiarendo che questa deve essere presentata “prima della scadenza dei termini previsti dalla legge per la presentazione della dichiarazione o per l’assolvimento di altri obblighi tributari aventi ad oggetto o comunque connessi alla fattispecie cui si riferisce l’istanza medesima ◆◆ la chiara indicazione della natura dell’istanza (ordinaria, qualificatoria, probatoria, anti-abuso o disapplicativa); ◆◆ l’indicazione delle specifiche disposizioni di cui si chiede l’interpretazione, l’applicazione o la disapplicazione; ◆◆ una chiara esposizione della soluzione proposta dal contribuente; ◆◆ l’indicazione del domicilio o dei recapiti, anche telematici, dell’istante o dell’eventuale domiciliatario presso cui effettuare le comunicazioni; ◆◆ la sottoscrizione dell’istante, del suo legale rappresentante ovvero del procuratore generale o speciale incaricato ex articolo 63 D.P.R. n. 600/1973 (in tal caso, la procura deve risultare in calce o a margine dell’istanza o, comunque, essere allegata ad essa). La richiesta di regolarizzazione interrompe il decorso dei termini per la risposta, che ricominciano a decorrere ex novo dal giorno in cui le carenze vengono colmate dall’istante. L’omessa regolarizzazione entro il termine rende l’istanza inammissibile ai sensi dell’articolo 5 comma 1 lettera g) del Decreto. Il comma 2 dell’articolo 3 stabilisce inoltre che all’istanza di interpello sia allegata copia della documentazione non in possesso Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 dell’Amministrazione procedente o di altre Amministrazioni pubbliche indicate dall’istante, rilevante ai fini della risposta. Nei casi in cui la risposta presupponga accertamenti di natura tecnica, non di competenza dell’Amministrazione procedente, alle istanze devono essere allegati altresì i pareri resi dall’Ufficio competente. Come precisato nella relazione illustrativa, “l’onere di allegazione della documentazione rilevante costituisce espressione del principio collaborativo che impronta la disciplina dell’interpello e corrisponde all’interesse del contribuente a ottenere la risposta dell’Amministrazione in tempi rapidi. Poiché inoltre, le risposte alle istanze di interpello sono rese nel presupposto implicito della veridicità e completezza della documentazione fornita, il puntuale adempimento dell’onere di allegazione risponde altresì all’interesse del contribuente alla validità della risposta ottenuta”. In un’ottica di omogeneità, ma soprattutto di maggiore certezza per il contribuente, l’articolo 5 elenca tassativamente le cause di inammissibilità dell’interpello. Oltre a quelle già menzionate nel corso del commento, l’inammissibilità è prevista: ◆◆ per l’assenza delle condizioni di obiettiva incertezza per gli interpelli ordinari, interpretativi o qualificatori; ◆◆ per le istanze ripetitive o di mero riesame, relative a questioni per le quali, salvo il caso di mutamento delle circostanze di fatto o di diritto, il contribuente ha già ottenuto risposta; ◆◆ per le istanze vertenti su materie oggetto di procedure non regolate dal Decreto in commento (quali la procedura di ruling internazionale e l’interpello sui nuovi investimenti di cui al “Decreto internazionalizzazione” e la procedura d’interpello preventivo nel regime di adempimento collaborativo di cui all’articolo 6 del “Decreto certezza del diritto”); ◆◆ per le domande che vertono su questioni per le quali sono state già avviate attività di controllo alla data di presentazione dell’istanza (il diritto di conoscere la posizione dell’Amministrazione finanziaria su casi concreti e personali non può, infatti, varcare il limite tracciato dall’osservanza del principio di non interferenza con verifiche o contenziosi tributari pendenti). 6. Il coordinamento con l’attività di accertamento e contenzioso Il Decreto in esame, prende posizione anche sulla dibattuta quaestio dell’impugnabilità o meno delle risposte alle istanze di interpello disapplicativo, in quanto obbligatorie. La questione è stata, nel tempo, oggetto di accesi dibattiti che hanno visto contrapposti: da un lato la prassi amministrativa dell’Agenzia delle Entrate, incline a una posizione “negazionista” e, sul versante opposto, la giurisprudenza di legittimità. In questo scontro, il “Decreto interpelli e contenzioso” prende una posizione chiara sulla questione. L’articolo 6, comma 1, prevede espressamente, per la prima volta, la non impugnabilità di tutte le risposte, a qualsiasi tipo di istanza di interpello, fatta eccezione per quelle rese in relazione agli interpelli disapplicativi, rispetto ai quali però si assiste all’introduzione di un sistema di tutela differita. Gli interpelli disapplicativi, a seguito della riforma, sono gli unici ad essere rimasti a presentazione obbligatoria e quindi capaci di incidere in positivo o in negativo nella sfera giuridica del soggetto istante. Ecco che è parso opportuno rendere impugnabili i dinieghi a istanze disapplicative, però non direttamente, bensì indirettamente attraverso il ricorso avverso l’atto impositivo successivo, funzionalmente e causalmente collegato alla risposta all’interpello. Il contribuente si vede preclusa la possibilità di impugnare direttamente la risposta negativa, ma può, in corrispondenza del ricorso avverso il successivo atto impositivo, contestare in giudizio le argomentazioni contenute nella risposta ad interpello resa dall’Amministrazione finanziaria, che tendenzialmente saranno confluite nell’atto impositivo. A proposito della scelta qui fatta, della quale se ne comprendono le ragioni deflattive e se ne apprezza il contributo alla certezza del diritto, chi scrive si sente di condividere i timori di parte della dottrina nel senso di un possibile rischio di compressione del diritto di difesa. Sempre in considerazione delle peculiarità delle risposte rese in sede di interpello disapplicativo, il comma 2 dell’articolo 6 riconosce ai contribuenti un’ulteriore importante tutela in fase di accertamento. È previsto che, qualora sia stata fornita risposta alle istanze di interpello disapplicativo, senza pregiudizio dell’azione accertatrice, l’atto di accertamento avente ad oggetto deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del soggetto passivo, deve essere preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro 60 giorni. Tale richiesta va notificata dall’Amministrazione finanziaria entro il termine di decadenza previsto per la notificazione dell’atto impositivo. Tra la data di ricevimento dei chiarimenti, o di inutile decorso del termine assegnato al contribuente per provvedervi, e quella di decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di notificazione dell’atto impositivo, intercorrono non meno di 60 giorni. In difetto, il termine di decadenza per la notificazione dell’atto è automaticamente prorogato, in deroga a quello ordinario, fino a decorrenza dei 60 giorni. Si tratta di un’ipotesi normativa di obbligo di contraddittorio endoprocedimentale; l’Amministrazione finanziaria in presenza di una previa presentazione, di carattere obbligatorio, di interpello disapplicativo, nella successiva eventuale fase di accertamento avente ad oggetto deduzioni, detrazioni o altre posizioni soggettive, ha l’obbligo di instaurare il contraddittorio con il contribuente, onde evitare l’emissione di provvedimenti affetti da nullità. E ancora, a salvaguardia del diritto di difesa, il legislatore delegato ha inoltre previsto che l’Amministrazione finanziaria nell’atto impositivo deve specificatamente motivare (motivazione cosiddetta “rafforzata”) anche in relazione ai chiarimenti forniti dal contribuente, a pena di nullità per difetto di motivazione. Questa previsione di obbligo di contraddittorio endoprocedimentale limitato alle sole ipotesi riconducibili all’interpello disapplicativo, presentato ed in termini ammissibili, desta perplessità, in quanto, giova, al proposito, ricordare che per le fattispecie oggetto di interpello anti-abuso (facoltativo), ormai l’articolo 10-bis dello Statuto prevede l’obbligo di contraddittorio preventivo prima dell’emanazione dell’atto impositivo ed il contraddittorio preventivo è, altresì, previsto dal comma 11 dell’articolo 110 TUIR anche in caso di deduzione di costi per le operazioni con imprese aventi sede in Paesi black-list, oggetto di interpello probatorio (facoltativo). Se, dunque, detta 25 26 Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 limitazione per le fattispecie oggetto di interpello disapplicativo deriva dal fatto che, come si legge nella relazione, siffatta tipologia di interpello è l’unica prevista come obbligatoria, non pare che il legislatore delegato si sia sul punto attenuto al disposto dell’articolo 6, comma 6, della Legge delega, laddove si sollecitava l’eliminazione delle forme di interpello obbligatorio nei casi in cui non producano benefici, ma solo aggravi per il contribuente. L’essere necessaria la presentazione dell’istanza, per avere accesso alle tutele del contraddittorio endoprocedimentale, costituisce un aggravio per il contribuente che si vede depotenziato nell’esercizio e nella tutela dei suoi diritti (articoli 3, 24 e 53 della Costituzione italiana). Il comma 3 del medesimo articolo, infine, a conferma della natura delle risposte ad interpello quali meri pareri, ribadisce che: rispetto ai dati, alle notizie ed alle informazioni fornite dal contribuente ai fini delle risposte all’interpello, non trova applicazione il principio tipico dell’attività accertativa in base al quale la documentazione richiesta dall’Amministrazione finanziaria e non presentata dal contribuente non può essere presa in considerazione a favore dello stesso ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa (articoli 32, comma 4 D.P.R. n. 600/1973 e 52, comma 5 D.P.R. n. 633/1972). 7. Le disposizioni attuative e le (nuove) regole procedurali Ai sensi dell’articolo 8, comma 1, la definizione degli aspetti procedurali più propriamente operativi caratterizzanti la disciplina degli interpelli, quali le modalità di presentazione delle istanze, l’individuazione degli Uffici competenti a riceverle e ad emettere le relative risposte, nonché le modalità di comunicazione delle medesime, saranno stabilite con Provvedimenti dei Direttori delle Agenzie fiscali da emanarsi entro 30 giorni dall’entrata in vigore del Decreto. Il medesimo articolo continua prevedendo che le Regioni e gli Enti locali[7] , per i tributi di rispettiva competenza, sono tenuti a regolare la materia dell’interpello in conformità alle norme del Decreto; e conclude chiarendo che: alle istanze che saranno presentate prima dell’emanazione dell’atteso Provvedimento, restano applicabili le disposizioni procedurali in vigore al momento stesso di presentazione dell’istanza. Il primo, atteso Provvedimento direttoriale è stato emanato il 4 gennaio 2016 dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate. Il Provvedimento all’articolo 2 opera una tendenziale regionalizzazione degli interpelli, ossia tutte le istanze relative ai tributi erariali devono essere presentate alle Direzioni regionali competenti in funzione del domicilio fiscale del contribuente. Tutte le istanze di competenza del ramo Territorio devono essere inviate alla Direzione Regionale nel cui ambito opera l’ufficio competente ad applicare la norma tributaria oggetto di interpello. Resta ferma la competenza delle strutture centrali (Direzione Centrale Normativa e Direzione Centrale Catasto, Cartografia e Pubblicità immobiliare) per le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici a rilevanza nazionale, i soggetti di più rilevante dimensione e i contribuenti esteri; fa ancora eccezione, ma solo in via transitoria, la gestione delle nuove istanze cosiddette “anti-abuso” che fino al 31 dicembre 2017 saranno presentate direttamente alla Direzione Centrale Normativa. Se l’istanza d’interpello viene erroneamente presentata ad ufficio diverso da quello competente ovvero ad un indirizzo di posta elettronica diverso da quello corrispondente all’ufficio competente, essa è trasmessa tempestivamente all’ufficio competente o all’indirizzo di posta elettronica corretto. In tal caso, il termine per la risposta inizia a decorrere dalla data di ricezione dell’istanza da parte dell’ufficio competente o dalla consegna dell’istanza all’indirizzo di posta elettronica corretto. Della data di ricezione dell’istanza da parte dell’ufficio competente è data notizia al contribuente. Le Direzioni Regionali inoltrano alla Direzione Centrale competente, le istanze per le quali ritengono che la risposta sia soggetta a pubblicazione ai sensi dell’articolo 11, comma 6 dello Statuto, e anche ogni altra istanza caratterizzata da particolare complessità o incertezza della soluzione. In relazione a tali istanze le Direzioni Centrali forniscono direttamente la risposta al contribuente e, ove sussistono i presupposti, provvedono alla pubblicazione della medesima in forma di risoluzione o circolare. Però, la trasmissione dell’istanza alla Direzione Centrale non ha effetto sul decorso dei termini per la risposta al contribuente. Ai sensi dell’articolo 3, l’istanza va redatta in forma libera ed è esente da bollo, è sottoscritta e presentata dal contribuente agli uffici competenti a mano o a mezzo plico raccomandato con avviso di ricevimento o mediante invio telematico. In merito all’istruttoria, nel caso in cui l’istanza sia carente rispetto agli elementi non essenziali, l’Amministrazione finanziaria entro 30 giorni dal ricevimento deve invitare il contribuente a regolarizzarla entro i successivi 30 giorni, a pena di inammissibilità dell’istanza stessa. I termini, di cui all’articolo 11, comma 3 dello Statuto, per la risposta all’istanza regolarizzata, iniziano a decorrere dalla ricezione dei dati carenti. Nel caso in cui l’Ufficio avanzi una richiesta di integrazione documentale, il contribuente è tenuto a far pervenire all’Amministrazione finanziaria tutti i documenti richiesti, preferibilmente su supporto informatico, o in alternativa, ad esplicitarne i motivi della mancata esibizione. Decorso inutilmente un anno dalla richiesta integrativa, l’Ufficio attesta la rinuncia all’interpello, dandone notifica o comunicazione al contribuente stesso. La risposta, scritta e motivata, deve essere notificata o comunicata al contribuente entro i termini di legge, e si intende notificata o comunicata al momento del ricevimento da parte del contribuente. Le notificazioni e le comunicazioni dirette ai contribuenti obbligati a dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificata o che, pur non essendo obbligati, forniscono nell’istanza un indirizzo di posta elettronica certificata, sono preferibilmente effettuate attraverso tale canale. Il secondo Provvedimento attuativo (Circolare n. 2/D) porta la data del 29 gennaio 2016 e la firma del Direttore dell’Agenzia delle Dogane. L’interpello deve essere indirizzato alla Direzione Territoriale (Interregionale, Regionale o Provinciale) dell’Agenzia delle Dogane nel cui ambito opera l’Ufficio competente, in base alle disposizioni doganali, ad applicare, per il caso Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 concreto, la norma tributaria oggetto di interpello. Importante evidenziare il neo accesso delle istanze disapplicative a questa Agenzia, infatti questa tipologia di interpello non era prevista per i tributi amministrati dall’Agenzia delle Dogane. Gli aspetti procedurali ricalcano quanto descritto in precedenza. Vale la pena solo riportare alcune previsioni relative al monitoraggio dell’istituto tra gli Uffici dell’Agenzia. Infatti, per l’area Dogane[8] è previsto che le Direzioni territoriali competenti dovranno inviare, con tempestività, alla Direzione Centrale Legislazione e Procedure Accise e altre Imposte Indirette nonché alla Direzione Centrale Legislazione e Procedure Doganali, in relazione alle materie di rispettiva competenza, le decisioni adottate in merito agli interpelli proposti. Le predette Strutture Centrali, esaminata celermente la risposta resa al contribuente in sede di interpello, comunicheranno le eventuali difformità tecnico-giuridiche rilevate al fine di consentire alle Direzioni territoriali competenti la tempestiva rettifica della risposta resa. Le Direzioni territoriali competenti possono chiedere alle Strutture Centrali, entro 10 giorni [1] Le disposizioni del Decreto che ha ridisegnato il sistema degli interpelli in Italia sono entrate in vigore, ai sensi dell’articolo 12, comma 1 dello stesso, il 1. gennaio 2016. [2] Nella prima bozza di decreto, l’interpello qualificatorio era previsto come autonoma tipologia di istanza, successivamente il Governo ha deciso di accorparlo nell’interpello ordinario onde non generare confusione nei contribuenti, dato che comunque le due tipologie sono accomunate dall’obiettiva incertezza del contesto normativo tributario di riferimento, declinata in due modi tra loro complementari. [3]I casi, puntualmente elencati nella relazione illustrativa allo schema del Decreto, sono quelli gestibili con: (i) le istanze di interpello tese a fornire, in relazione alle operazioni intercorse con imprese residenti o localizzate in Paesi black-list, la dimostrazione delle condizioni esimenti previste dall’articolo 110 TUIR; (ii) le istanze concernenti la dalla ricezione dell’istanza completa in ogni suo elemento, un supporto giuridico ed eventuali indicazioni anteriormente alla formulazione della risposta, qualora la questione rappresentata contempli elementi di particolare sensibilità sotto il profilo giuridico tributario. Inoltre, le Strutture Centrali citate cureranno la pubblicazione, in estratto, sul sito internet dell’Agenzia, delle decisioni assunte sulle istanze di interpello ritenute ammissibili. Elenco delle fonti fotografiche: http://www.lentepubblica.it/wp-content/uploads/2016/06/adempimentocollaborativo-3.jpg [30.10.2016] http://www.lentepubblica.it/wp-content/uploads/2016/01/interpelloistanze.jpg [30.10.2016] h t t p://w w w. a l t a l e x . co m/~/m e d i a /I m a g e s/L e x /P e n a l e/r a t i n g % 20 legalit%C3%A01%20jpg [30.10.2016] normativa in tema di CFC ex articolo 167 TUIR; (iii) le istanze presentate ai sensi dell’articolo 113 TUIR dagli enti creditizi per chiedere di non applicare il regime proprio della partecipation exemption alle partecipazioni acquisite nell’ambito degli interventi finalizzati al recupero di crediti o derivanti dalla conversione in azioni di nuova emissione dei crediti verso imprese in temporanea difficoltà finanziaria; (iv) le istanze di interpello per la continuazione del consolidato domestico, ai sensi dell’articolo 124 TUIR; (v) le istanze di interpello per l’accesso al consolidato mondiale di cui all’articolo 132 TUIR; (vi) le istanze presentate dalle società non operative ai sensi e per gli effetti della disciplina prevista dall’articolo 30 L. n. 724/1994; (vii) le istanze previste ai fini del riconoscimento del beneficio ACE di cui all’articolo 1 del Decreto Legge (D.L.) n. 201/2011 (convertito con la L. n. 214/2011), in presenza di operazioni potenzialmente suscettibili di comportare indebite duplicazioni del beneficio, ai sensi dell’articolo 10 del Decreto Ministeriale (D.M.) del 14 marzo 2012. [4]Emanato in attuazione dell’articolo 5 della citata Legge di delega fiscale n. 23/2014. [5] Ciò si traduce, per l’interpello ordinario, in una riduzione dei tempi di lavorazione delle istanze che passano dai precedenti 120 giorni a 90 giorni. [6]Nella previgente disciplina, la presentazione di documentazione integrativa faceva, nel caso dell’interpello ordinario, decorrere ex novo il termine di 120 giorni per la risposta. [7] Gli Enti locali hanno dovuto adeguare entro 6 mesi dall’entrata in vigore del Decreto di riforma del contenzioso e dell’interpello, vale a dire entro il 1. luglio 2016, statuti e regolamenti per allineare le disposizioni sul diritto di interpello dei contribuenti alla normativa statale. [8] Le medesime previsioni operano anche nell’ambito dell’area Monopoli, rispetto alla sua specifica articolazione strutturale. 27 28 Diritto tributario italiano Il nuovo istituto degli accordi preventivi per le imprese con attività internazionale Gabriele Paladini Chiomenti Studio Legale, Milano Novità in materia di ruling internazionale 1. Premessa L’articolo 31-ter del Decreto del Presidente della Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 600 del 29 settembre 1973[1] prevede una nuova normativa in tema di accordi fiscali preventivi per le imprese con attività internazionale. La nuova normativa sostituisce il previgente istituto del ruling internazionale[2]. Le disposizioni attuative della nuova normativa sono state introdotte con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 21 marzo 2016 (di seguito Provvedimento). L’obiettivo della nuova disciplina è potenziare gli strumenti di collaborazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente al fine di garantire maggior certezza agli investitori circa il regime tributario applicabile a una specifica operazione, posto che, come è noto, l’imprevedibilità della variabile fiscale rappresenta un fattore negativo per gli investimenti, soprattutto nella prospettiva degli investitori esteri. Tale istituto intende migliorare la prevedibilità del regime tributario applicabile in Italia a una specifica fattispecie, attraverso la stipula di un accordo preventivo con l’Amministrazione finanziaria avente ad oggetto gli elementi che incidono sul regime tributario. Come conseguenza, gli accordi preventivi dovrebbero ridurre il rischio di contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria e, quindi, il rischio di contenziosi tributari. In tal senso, nella relazione illustrativa al D.Lgs. n. 147/2015 si afferma che gli accordi preventivi per le imprese con attività internazionale rientrano tra i recenti “interventi attrattivi per nuovi investitori esteri, volti a creare un contesto di maggiore certezza per gli operatori” [3]. Il riferimento è al “ruling sui nuovi investimenti” introdotto dall’articolo 2 D.Lgs. n. 147/2015, che disciplina l’interpello sul regime tributario applicabile ai nuovi investimenti effettuati in Italia, di valore superiore a 30 milioni di euro, che producano anche benefici occupazionali. Al riguardo si osserva che la procedura del ruling internazionale di cui all’articolo 31-ter in esame è volta alla conclusione di un vero e proprio accordo con l’Amministrazione finanziaria su aspetti che incidono sul regime tributario dell’operazione (metodi di calcolo, valori fiscali, analisi di elementi fattuali) e che potrebbero essere oggetto di contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate (in assenza dell’accordo). Per contro, l’interpello sui nuovi investimenti è volto a ottenere un parere dell’Agenzia delle Entrate sul trattamento fiscale applicabile al piano d’investimento e alle connesse operazioni. 2. I soggetti cui si rivolge l’istituto degli accordi preventivi I soggetti che possono avvalersi del nuovo istituto sono individuati dall’articolo 31-ter D.P.R. n. 600/1973 nelle “imprese con attività internazionale”. Il Provvedimento, all’articolo 1.1, ha precisato che per impresa con attività internazionale deve intendersi l’impresa residente ai fini fiscali in Italia che presenti almeno una delle seguenti caratteristiche: ◆◆ sia parte di un gruppo societario internazionale, quale capogruppo oppure quale società controllata; ◆◆ presenti un patrimonio, fondo o capitale partecipato da soggetti non residenti; ◆◆ partecipi al patrimonio, fondo o capitale di soggetti non residenti; ◆◆ abbia corrisposto a, o percepito da, soggetti non residenti dividendi, interessi, royalties o altri componenti reddituali; ◆◆ eserciti la sua attività attraverso una stabile organizzazione in uno Stato diverso dall’Italia. Inoltre, l’articolo 1.3 del Provvedimento include tra le imprese con attività internazionale ai fini della norma in commento anche le imprese non residenti in Italia che esercitano la propria attività in Italia tramite una stabile organizzazione. Va rilevato, infine, che la procedura degli accordi preventivi può essere utilizzata anche da imprese non residenti in Italia, prive di stabile organizzazione in Italia al momento della presentazione dell’istanza di accesso alla procedura, che intendano investire in Italia attraverso una nuova stabile organizzazione (entro il periodo d’imposta successivo a quello di presentazione dell’istanza). Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 3. Le materie oggetto degli accordi preventivi 3.1. Le materie individuate espressamente dall’articolo 31-ter, comma 1, D.P.R. n. 600/1973 Possono formare oggetto degli accordi preventivi le seguenti materie (articolo 31-ter, comma 1, D.P.R. n. 600/1973): a) transfer pricing: in tal caso, l’accordo riguarderà la definizione preventiva, in contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate, dei criteri di valutazione del valore normale delle operazioni infragruppo soggette alla disciplina del transfer pricing; b) stabile organizzazione: la valutazione preventiva dell’esistenza o meno di una stabile organizzazione in Italia può essere oggetto della procedura di accordo preventivo. Tale valutazione sarà effettuata sia con riferimento alla nozione di stabile organizzazione prevista dalla norma domestica (articolo 162 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi [di seguito TUIR]) sia con riferimento ai criteri previsti dalle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia; c) attribuzione del reddito alla stabile organizzazione: in tale ipotesi, l’accordo riguarderà la definizione dei criteri di attribuzione di componenti positivi e negativi di reddito alla stabile organizzazione in Italia di un’impresa estera oppure alla stabile organizzazione all’estero di un impresa residente in Italia; d) trasferimento della residenza fiscale: tale accordo riguarderà la determinazione dei valori di uscita dei beni delle imprese commerciali che trasferiscono la propria residenza, ai fini fiscali, dall’Italia all’estero ai fini della exit tax (articolo 166 TUIR) e la determinazione dei valori di entrata dei beni delle imprese commerciali che trasferiscono la propria residenza, ai fini fiscali, dall’estero in Italia ai fini della entry tax (articolo 166-bis TUIR); e) dividendi, interessi e royalties: in tale ipotesi l’accordo potrà riguardare il regime tributario applicabile a dividendi, interessi e royalties di fonte estera percepiti da un’impresa residente ai fini fiscali in Italia (inbound) oppure di fonte italiana corrisposti ad un soggetto non residente ai fini fiscali in Italia (outbound). L’elenco individuato dall’articolo 31-ter, comma 1, D.P.R. n. 600/1973 deve ritenersi non tassativo, di talché gli accordi preventivi potranno riguardare anche altre questioni di carattere transnazionale, di natura valutativa. Così, ad esempio, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la disciplina degli accordi preventivi è applicabile anche in materia di patent box[4]. In questa prospettiva, si può osservare che l’ambito di applicazione degli accordi preventivi per le imprese con attività internazionale risulta più ampio rispetto a quello del previgente ruling internazionale[5]. 3.2. La valutazione preventiva sull’esistenza o meno di una stabile organizzazione in Italia Come si è visto, la procedura può essere volta alla stipula di un accordo preventivo sulla sussistenza o meno dei requisiti che configurano una stabile organizzazione in Italia di un’impresa non residente in Italia ai fini fiscali. In tal caso l’istanza per la valutazione preventiva della sussistenza o meno dei requisiti della stabile organizzazione deve contenere i seguenti elementi: ◆◆ una descrizione dettagliata del caso concreto (ossia, in sintesi, dell’attività esercitata in Italia dall’impresa non residente); ◆◆ documentazione idonea a illustrare le iniziative poste in essere e le nuove attività che si intendono intraprendere; ◆◆ le ragioni di fatto e di diritto per le quali l’impresa istante ritiene che, nel caso di specie, sia possibile configurare o escludere l’esistenza di una stabile organizzazione in Italia, alla luce dei criteri previsti dall’articolo 162 TUIR (che definisce la stabile organizzazione ai fini delle imposte sui redditi) nonché dalla Convenzione contro le doppie imposizioni applicabile nel caso di specie (nelle Convenzioni stipulate secondo il Modello OCSE di regola la definizione di stabile organizzazione è contenuta nell’articolo 5). 4. La procedura 4.1. L’attività preliminare (pre-filing) L’articolo 2.9 del Provvedimento prevede una fase eventuale di pre-filing, ossia una fase preliminare rispetto alla presentazione dell’istanza di accesso alla procedura. In tale fase, il contribuente ha la facoltà di richiedere incontri preventivi – anche in forma anonima – con i rappresentanti dell’Amministrazione finanziaria, al fine di ottenere un confronto preliminare in merito alla procedura di accordo che l’impresa intende avviare. Il confronto preventivo con l’Amministrazione finanziaria attivato in questa fase non vincola l’impresa, ma dovrebbe rendere più efficiente la procedura in caso di successiva presentazione dell’istanza. 4.2. L’istanza di avvio della procedura La procedura è avviata su istanza del contribuente indirizzata all’Ufficio Accordi preventivi e controversie internazionali dell’Agenzia delle Entrate di Roma o Milano (indipendentemente dal domicilio fiscale del contribuente). L’istanza, redatta in carta libera, e la documentazione allegata devono essere presentate sia in formato cartaceo sia in formato elettronico. L’istanza deve contenere gli elementi previsti dall’articolo 2 del 29 30 Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 Provvedimento in ragione della specifica materia oggetto del ruling (in estrema sintesi, gli elementi identificativi dell’impresa e l’oggetto dell’accordo preventivo). Entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza, l’Agenzia delle Entrate deve comunicare all’istante se l’istanza è ammissibile oppure se risulta improcedibile o inammissibile. Se l’istanza è dichiarata improcedibile, l’Agenzia concede all’impresa un termine di ulteriori 30 giorni per integrare la stessa con gli elementi necessari. L’istanza è dichiarata inammissibile quando, mancando gli elementi previsti dall’articolo 2 del Provvedimento, l’istante non provvede ad integrarli entro i termini o l’ulteriore documentazione prodotta non è idonea a fornire le informazioni necessarie. Se l’istanza è dichiarata ammissibile, si avvia un procedimento in due fasi: una prima fase di colloqui con l’Agenzia delle Entrate sulle questioni oggetto dell’istanza e una seconda fase che prevede l’accesso da parte dell’Agenzia delle Entrate presso gli uffici del contribuente (tale fase non è necessaria, ma dipende dalla questione oggetto dell’istanza). La prima fase prevede una serie di incontri tra contribuente e Agenzia delle Entrate sulla questione oggetto dell’istanza, anche per analizzare i documenti relativi al caso oggetto dell’istanza. Durante tale fase, l’Agenzia può chiedere all’impresa di produrre ulteriori informazioni e documenti. La mancata presentazione degli ulteriori documenti o informazioni eventualmente richiesti comporta l’esclusione dalla procedura. La seconda fase (eventuale) prevede l’accesso di funzionari dell’Agenzia delle Entrate presso la sede dell’istante, per prendere diretta cognizione di elementi fattuali utili ai fini istruttori. 5. Conclusione della procedura ed effetti dell’accordo preventivo Il procedimento dovrebbe concludersi entro 180 giorni dal ricevimento dell’istanza da parte dell’Agenzia delle Entrate[6]. La procedura si perfeziona con la sottoscrizione di un accordo relativo agli elementi oggetto dell’istanza. In caso di esito negativo viene redatto un processo verbale che attesta la conclusione del procedimento senza il raggiungimento di un accordo[7]. [1] Introdotto dall’articolo 1, comma 2, del Decreto Legislativo (di seguito D.Lgs.) n. 147/2015. Sul tema si veda la Circolare Assonime n. 10 del 1. aprile 2016. [2]Il ruling internazionale era disciplinato dall’articolo 8 del Decreto Legge (D.L.) n. 269/2003, convertito con modificazioni dalla Legge (L.) n. 326/2003. [3]Nella Circolare n. 25/E del 1. giugno 2016, l’Agenzia delle Entrate ha osservato che le modifiche apportate all’istituto del ruling internazionale, rispetto alla previgente versione, sono finalizzate Dalla lettura dell’articolo 31-ter D.P.R. n. 600/1973 e del Provvedimento si evince che la procedura deve necessariamente concludersi con un atto, ossia, a seconda dei casi, con un accordo sottoscritto anche dall’impresa (esito positivo) oppure con un verbale che rileva il mancato raggiungimento di un accordo e l’estinzione del procedimento (esito negativo)[8]. L’accordo ha efficacia vincolante per entrambe le parti e rimane in vigore per il periodo di imposta nel corso del quale è stipulato e per i quattro successivi[9]. Ad esempio, in caso di sottoscrizione di un accordo nel 2017 questo resterà in vigore fino al periodo d’imposta 2021. In vigenza dell’accordo, l’Agenzia delle Entrate non può esercitare i poteri di accertamento (di cui agli articoli 32 e seguenti D.P.R. n. 600/1973) se non per questioni diverse da quelle oggetto dell’accordo[10]. In altri termini, è preclusa la possibilità di rimettere in discussione, in sede di accertamento, i criteri e le valutazioni concordate con il contribuente nell’accordo. È prevista la possibilità di modificare l’accordo, d’intesa tra le parti, nel caso in cui, dopo la stipula dell’accordo, vi sia un mutamento negli elementi su cui si basa l’accordo stesso[11]. L’accordo, come si è visto, ha efficacia fino al quarto periodo successivo a quello in cui è stato sottoscritto. Il contribuente ha la facoltà di chiedere il rinnovo dell’accordo presentando apposita istanza di rinnovo almeno 90 giorni prima della scadenza dello stesso[12]. Resta ferma la possibilità per l’Agenzia delle Entrate di verificare sia il rispetto dell’accordo da parte dell’impresa sia la rispondenza al vero dei fatti da questa esposti, anche attraverso la richiesta di informazioni e documenti o tramite l’accesso concordato ai locali dell’impresa[13]. Elenco delle fonti fotografiche: h t t p : // w w w . p m i . i t / w p - c o n t e n t /u p l o a d s / 2 0 1 5 / 0 9/ I n t e r n a z i o nalizzazione-e1443014977273.jpg [30.10.2016] a favorire l’internazionalizzazione delle imprese e a rendere maggiormente attrattivo il sistema fiscale italiano. [4] Circolare n. 25/E del 1. giugno 2016, paragrafo 6.4. [5]Il previgente ruling internazionale era limitato alle seguenti materie: prezzi di trasferimento, dividendi, interessi e royalties, esistenza di una stabile organizzazione. [6] Articolo 2.8 del Provvedimento. [7]Così espressamente l’articolo 4.1 del Provvedimento. [8] Cfr. articolo 4.7 del Provvedimento. [9]Cfr. articolo 31-ter, comma 2, D.P.R. n. 600/1973 e articolo 4.6 del Provvedimento. [10]Cfr. articolo 31-ter, comma 5, D.P.R. n. 600/1973. [11]Cfr. articolo 31-ter, comma 2, D.P.R. n. 600/1973. Come previsto dall’articolo 9 del Provvedimento. [12] Articolo 10 del Provvedimento. [13] Articolo 7.1 del Provvedimento. Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero Avviso di tassazione vs. decisione di tassazione: quando l’autorità fiscale può procedere a una tassazione d’ufficio nell’ambito delle imposte alla fonte? Sabina Rigozzi Collaboratrice scientifica SUPSI Sentenza della Camera di diritto tributario del Tribunale d'Appello del Cantone Ticino, del 14 settembre 2015, n. 80.2014.308 Imposte alla fonte – procedura – mancata collaborazione del debitore – tassazione d’ufficio – fase non contenziosa – “avviso” di tassazione prima della decisione – annullamento della decisione 1. Considerazioni introduttive Malgrado non direttamente previsto dalla legge, si ritiene che l’autorità fiscale cantonale sia competente per procedere a una tassazione d’ufficio nel caso in cui il debitore dell’imposta alla fonte non abbia adempiuto i suoi obblighi fiscali. Secondo gli articoli 100 capoverso 1 della Legge federale sull’imposta federale diretta (di seguito LIFD), e 121 capoverso 1 della Legge tributaria ticinese (di seguito LT), il debitore della prestazione imponibile ha l’obbligo di: ◆◆ trattenere l’imposta dovuta alla scadenza delle prestazioni pecuniarie e di riscuotere, presso il contribuente, l’imposta dovuta sulle altre prestazioni (segnatamente le prestazioni in natura e le mance); ◆◆ fornire al contribuente una distinta o un’attestazione relativa alla ritenuta d’imposta; ◆◆ versare periodicamente le imposte all’autorità fiscale competente, allestire, all’intenzione di quest’ultima, i conteggi corrispondenti e consentire alla medesima la consultazione di tutti i documenti utili al controllo della riscossione dell’imposta; ◆◆ versare la quota proporzionale dell’imposta sulle opzioni di collaboratore esercitate all’estero; il datore di lavoro deve la quota proporzionale dell’imposta anche se il vantaggio valutabile in denaro è versato da una società estera del gruppo. Al capoverso 2 dell'articolo 100 LIFD è previsto che il debitore della prestazione imponibile sia responsabile del pagamento dell’imposta alla fonte. Per il diritto cantonale, il debitore della prestazione imponibile è solidalmente responsabile con il contribuente o il lavoratore per il prelevamento delle imposte alla fonte, inoltre è l’unico responsabile del successivo riversamento degli importi ricevuti all’autorità fiscale (articolo 121 capoverso 3 LT). Per “debitore della prestazione imponibile” si intende la persona che versa al contribuente le prestazioni dovute o verso il quale ha un debito. In altre parole, il datore di lavoro nel caso del contratto di lavoro. Il debitore può quindi essere una persona fisica o anche una persona giuridica. Siffatta “sostituzione fiscale” implica, dal punto di vista materiale, che il debitore della prestazione imponibile sia responsabile del pagamento dell’imposta alla fonte[1]. 2. La fattispecie sotto esame La X SA, nonostante le diffide del 9 maggio 2014 e del 13 giugno 2014, non ha presentato il conteggio annuale delle imposte alla fonte trattenute nel 2013 sugli stipendi dei dipendenti, tutti residenti in Italia e assoggettati alla ritenuta d’imposta alla fonte quali frontalieri. Con decisione del 16 settembre 2014, l’Ufficio delle imposte alla fonte ha quantificato in 7’500 franchi l’ammontare dovuto dalla X SA per il periodo fiscale 2013. Il 22 e il 27 ottobre 2014, la X SA ha trasmesso all’Ufficio delle imposte alla fonte il conteggio della trattenuta d’imposta per l’anno 2013 quantificando l’importo netto dovuto in 3’315.85 franchi. L’autorità fiscale, mediante decisione del 4 novembre 2014, ha considerato la trasmissione del conteggio per il periodo fiscale 2013 alla stregua di reclamo, che è stato tuttavia dichiarato irricevibile poiché tardivo. Mediante ricorso alla Camera di diritto tributario del Tribunale d'Appello del Canton Ticino (di seguito CDT), la X SA postulava l’annullamento della decisione dell’Ufficio delle imposte alla fonte chiedendo che l’ammontare da versare all’erario sia quantificato in 3’315.85 franchi anziché in 7’500 franchi. La ricorrente argomentava che il suo amministratore unico, a causa di una malattia che lo avrebbe affaticato molto, per assicurare la continuità della ditta, si sarebbe impegnato nella produzione, trascurando le questioni amministrative. 3. La tassazione d’ufficio è praticabile? La questione che si pone, quando il debitore della prestazione imponibile non adempie ai suoi obblighi di “consegnare al lavoratore l’attestazione indicante l’ammontare dell’imposta trattenuta e di versare periodicamente le imposte all’autorità fiscale competente 31 32 Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 e di trasmettere i relativi conteggi”, è se l’autorità fiscale possa applicare gli articoli 130 capoverso 2 LIFD e 204 capoverso 2 LT, che prevedono la tassazione d’ufficio. alla tassazione d’ufficio, che può tuttavia rivelarsi necessaria in caso di inadempimento degli obblighi del debitore dell’imposta e che in sé è ammessa pertanto dalla dottrina e dalla prassi. Analogamente all’imposta preventiva (di seguito IP), bisogna concludere che, anche se la legge non prevede espressamente una tassazione d’ufficio, la competenza dell’autorità fiscale a procedervi deve essere considerata come implicita, visto l’obbligo del contribuente di fornire le informazioni e la competenza dell’autorità fiscale di prendere tutte le decisioni che sono necessarie per la riscossione dell’imposta. Nel caso dell’imposta alla fonte bisogna tenere in considerazione il fatto che il debitore dell’imposta non si identifica con il contribuente. L’autorità fiscale deve quindi garantire il diritto di essere sentito di quest’ultimo, per evitare che subisca le conseguenze di una violazione degli obblighi di procedura che incombono al debitore della prestazione imponibile. Prima di procedere ad una tassazione d’ufficio, il fisco deve quindi inviare una diffida al debitore della prestazione imponibile e parimenti al contribuente, per avvertirli delle conseguenze dell’omissione di collaborazione e di quelle della tassazione d’ufficio [2]. Si può allora fare riferimento, per analogia, a quanto prevedono le leggi che disciplinano altre imposte che a loro volta prevedono una procedura di autotassazione. Come esposto poc’anzi, nella fattispecie sotto esame, l’Ufficio imposte alla fonte ha notificato alla X SA una decisione di tassazione d’ufficio, attribuendole un termine di reclamo di 30 giorni. Il reclamo è poi stato dichiarato tardivo, in quanto il conteggio è stato inviato dopo la scadenza del termine di reclamo di 30 giorni. Si tratta di verificare se la tassazione d’ufficio intrapresa dall’autorità fiscale costituisce una decisione formale, suscettibile di reclamo. 3.1. Procedura di tassazione mista vs. autotassazione Il sistema di imposizione alla fonte si differenzia in maniera marcata da quello delle imposte ordinarie sul reddito e sulla sostanza. Quest’ultimo si basa infatti su una procedura di tassazione mista, mentre il primo si fonda sul principio dell’autotassazione. Di conseguenza la procedura in materia di imposte alla fonte deve tener conto di questa particolarità e, per ragioni di praticabilità, richiede soluzioni facili e schematiche [3]. Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, di principio l’autotassazione non rappresenta una sorta di decisione per sé stessa poiché né il contribuente né il debitore della prestazione imponibile hanno la potestà di emanare decisioni[4]. L’intervento dell’autorità fiscale nello svolgimento della procedura di autotassazione, mediante la notificazione di una decisione, presuppone pertanto che il debitore della prestazione imponibile non abbia operato oppure abbia operato solo in parte la ritenuta d’imposta (articoli 138 LIFD e 211 LT) o che vi sia una “contestazione sulla ritenuta d’imposta”, in seguito alla quale il contribuente o il debitore della prestazione imponibile esige dall’autorità di tassazione una decisione in merito all’esistenza e all’estensione dell’assoggettamento (articoli 137 LIFD e 210 LT). Secondo la CDT, la normativa sulle imposte alla fonte non prevede per contro una decisione dell’autorità fiscale in merito Non solo nell’ambito della già ricordata IP, ma anche nell’applicazione dell’imposta federale di bollo, è ammesso, sebbene non espressamente previsto dalla legge, che l’Amministrazione federale delle contribuzioni (di seguito AFC) possa procedere ad una tassazione per apprezzamento, nel caso in cui il contribuente rifiuti di adempiere i suoi obblighi[5]. Il dovere dell’AFC di intraprendere una tassazione d’ufficio è per contro espressamente disciplinato nella Legge federale del 12 giugno 2009 concernente l’imposta sul valore aggiunto (di seguito LIVA). Secondo l’articolo 79 capoverso 1 LIVA, infatti, se i documenti contabili non esistono o sono incompleti o se le indicazioni presentate dal contribuente non corrispondono manifestamente alla realtà, l’AFC esegue una tassazione d’ufficio nei limiti del suo potere d’apprezzamento. Nel quadro dell’imposta sul valore aggiunto (di seguito IVA), si distinguono due forme di tassazione d’ufficio[6]: ◆◆ la tassazione “interna” viene intrapresa quando il contribuente non ha adempiuto i suoi obblighi di registrazione e di rendicontazione. In tal caso, l’AFC procede ad una stima “grossolana” della cifra d’affari, riservandosi tuttavia un successivo controllo presso il contribuente; ◆◆ la tassazione “esterna” consiste appunto nel controllo che viene eseguito presso il contribuente. La tassazione d’ufficio interna può diventare una tassazione definitiva, se passa in giudicato e se l’AFC rinuncia poi ad un controllo presso il contribuente. La riserva del successivo controllo ha appunto lo scopo di impedire che la res iudicata della decisione si opponga a un successivo controllo[7]. Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 3.2. L’avviso di tassazione non costituisce una decisione di tassazione Fino al 21 marzo 2014, quando il Tribunale federale ha sciolto i dubbi in una sentenza di principio, è stato controverso se l’avviso di tassazione, che interviene al termine di un controllo fiscale o in caso di tassazione d’ufficio costituisca come tale una decisione o se preceda invece la fase decisionale, mirando a facilitare l’instaurarsi di un dialogo informale fra contribuente e amministrazione. In effetti, per l’articolo 43 capoverso 1 LIVA, il credito fiscale passa in giudicato mediante: a una decisione passata in giudicato, una decisione su reclamo passata in giudicato o una sentenza passata in giudicato; b il riconoscimento scritto o il pagamento senza riserve da parte del contribuente di un avviso di tassazione; c l’inizio della prescrizione del diritto di tassazione. Sino al passaggio in giudicato, i rendiconti presentati e gli importi versati possono essere corretti (articolo 43 capoverso 2 LIVA). Le lettere a e b dell’articolo 43 capoverso 1 LIVA distinguono dunque fra una “decisione” e un “avviso di tassazione”. sull’autotassazione, che il legislatore consenta al contribuente, prima dell’avvio di una procedura contenziosa, di ricercare il dialogo informale con il fisco, per esporgli la sua posizione (DTF 140 II 202 consid. 5.4). La tassazione per apprezzamento prevede dunque dapprima una fase non contenziosa, che può poi essere seguita, a determinate condizioni, da una fase contenziosa[10]. Considerata la natura del sistema di accertamento e di riscossione, che come per l’IVA si basa sull’autotassazione, si deve ritenere che anche nel caso dell’imposta alla fonte la procedura contenziosa debba essere avviata solo quando il dialogo fra le parti (fisco, da una parte, e debitore dell’imposta e/o contribuente, dall’altra) non abbia più prospettive. 4. Le conclusioni della CDT Nella fattispecie sotto esame, quella intrapresa dall’Ufficio imposte alla fonte è pertanto una tassazione d’ufficio “interna”, cioè l’apprezzamento è stabilito sulla base degli elementi a disposizione dell’autorità fiscale, senza aver esperito una verifica presso il debitore dell’imposta. Tanto è vero che, come si verifica nel caso della tassazione interna nell’ambito dell’IVA, l’autorità si è riservata una “risoluzione suppletiva”, in seguito a eventuali “successivi accertamenti”, che non possono che corrispondere all’esito di un successivo controllo. La CDT evidenzia che, il Tribunale amministrativo federale (TAF) prima (sentenza n. A-707/2013 del 23 luglio 2013), e il Tribunale federale poi (DTF 140 II 202), hanno sottolineato come dai materiali legislativi si evinca che l’idea del legislatore era di lasciare al contribuente stesso la decisione se aprire o meno una procedura amministrativa. Tale libertà di scelta presuppone però che gli “avvisi di tassazione” non siano delle decisioni. L’AFC non ha pertanto la facoltà di adottare degli avvisi di tassazione qualificati, suscettibili di acquisire la qualità di decisioni grazie al rispetto dei requisiti di forma previsti dalla procedura amministrativa. Anche se è motivato e munito dell’indicazione dei rimedi giuridici, un avviso di tassazione non costituisce dunque una decisione secondo l’articolo 81 capoverso 1 LIVA. La notificazione di un avviso di tassazione non implica che il credito fiscale passi in giudicato. Il fatto che il contribuente non reagisca al ricevimento di un avviso di tassazione non ha pertanto alcuna conseguenza sotto questo profilo. In presenza di un avviso di tassazione, solo il riconoscimento scritto o il pagamento senza riserve da parte del contribuente dell’importo che figura nell’avviso comporta che il credito fiscale passi in giudicato[8]. Naturalmente, se l’AFC adottasse una decisione in seguito all’avviso di tassazione (a condizione ovviamente che il credito fiscale non sia già passato in giudicato, in seguito al riconoscimento scritto o al pagamento senza riserve da parte del contribuente), troverebbe applicazione la lettera a dell’articolo 43 capoverso 1 LIVA e non più la lettera b[9]. Nella sua sentenza, con cui ha negato la natura di decisione agli avvisi di tassazione, il Tribunale federale ha fra l’altro sottolineato come non appaia insolito, tenuto conto della responsabilità attribuita al contribuente in un sistema fondato Come in ambito procedurale IVA, anche in questo contesto si giustifica la conclusione che l’autorità di tassazione debba dapprima notificare un avviso di tassazione, che non corrisponde ancora ad una decisione di tassazione suscettibile di reclamo. Tale soluzione si impone a fortiori in materia di imposta alla fonte, pensando al fatto, già ricordato, che il debitore dell’imposta non si identifica con il contribuente e che, di conseguenza, l’autorità fiscale deve garantire il diritto di essere sentito di quest’ultimo, per evitare che subisca le conseguenze di una violazione degli obblighi di procedura che incombono al debitore della prestazione imponibile. Come già rilevato, prima di procedere ad una tassazione d’ufficio, il fisco deve quindi inviare una diffida non solo al debitore della prestazione imponibile ma anche al contribuente. Seppur anche l’IVA è destinata ad essere traslata sul consumatore finale, nel caso dell’imposta alla fonte la traslazione è più immediata, almeno fintantoché il contribuente rimane alle dipendenze del debitore dell’imposta. 33 34 Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 Nel caso in esame, benché il termine di 30 giorni dalla notificazione dell’avviso di tassazione (16 settembre 2014) fosse scaduto da alcuni giorni, bisogna constatare che per finire il debitore dell’imposta ha adempiuto i suoi obblighi, ancor prima che la procedura entrasse nella sua fase “contenziosa”. Elenco delle fonti fotografiche: h t t p : // w w w . i n f o i n s u b r i a . c o m / w p - c o n t e n t / u p l o a d s / 2 0 1 0 / 0 9 / ImpostaFonte-2.jpg [30.10.2016] http://www.strettoweb.com/wp-content/uploads/2015/01/Giudice.jpg [30.10.2016] Può essere lasciata aperta la questione a sapere se il conteggio possa essere semplicemente considerato come pervenuto tempestivamente oppure se l’Ufficio competente debba adottare una decisione, nella quale fissa il credito d’imposta riprendendo gli importi dal conteggio inoltrato[11]. In entrambi i casi, infatti, il credito fiscale sarà stabilito nella stessa misura, riservato un successivo controllo o, secondo la terminologia dell’IVA, una tassazione “esterna”. Di conseguenza, la decisione impugnata, che ha dichiarato irricevibile il reclamo della ricorrente, è stata annullata. La decisione del 16 settembre 2014, contro cui la X SA aveva interposto il reclamo dichiarato irricevibile dall’Ufficio imposte alla fonte, si deve considerare come un avviso di tassazione, nell’ambito della fase non contenziosa della procedura. Essendo pervenuto poi il conteggio annuale, quest’ultimo rende di fatto irrilevante l’avviso di tassazione stesso. [1] Pedroli Andrea, in: Yersin Danielle/Noël Yves (a cura di), Commentaire de la loi sur l’impôt fédéral direct, Basilea 2008, N 4 ad Art. 100 LIFD e N 5-12 ad Art. 88 LIFD. [2] Pedroli Andrea, op. cit., N 5-12 ad Art. 136 LIFD. [3] Sentenza del Tribunale federale n. 2C_673/2008 del 9 febbraio 2009, in: DTF 135 II 274 consid. 3.3 e riferimenti citati. [4]DTF 135 II 274 consid. 5.3.1, con riferimento alla sentenza n. 2A.320/2002/2A.326/2002 del 2 giugno 2003 consid. 3.4.3.4, in: ASA 74 pagina 666. [5]Hochreutener Hans-Peter, La procédure de taxation dans le domaine des droits de timbre et de l’impôt anticipé, in: OREF (a cura di), Les procédures en droit fiscal, 2. ed., Berna 2005, pagina 484. [6]Cfr. per esempio la sentenza del Tribunale amministrativo federale n. A-1641/2006 del 22 settembre 2008, consid. 4; inoltre: Mollard Pascal, TVA et taxation par estimation, in: ASA 69 pagina 511 e seguenti, in particolare pagine 520-522. [7] Cfr. la sentenza del 22 settembre 2008 citata, consid. 4.3 in fine. [8]May Canellas Marie-Chantal, in: Zweifel Martin/Beusch Michael/Glauser Pierre-Marie/Robinson Philip (a cura di), Bundesgesetz über die Mehrwertsteuer [MWStG]/Loi fédérale régissant la taxe sur la valeur ajoutée [LTVA], Basilea 2015, N 16 ad Art. 43 LIVA, pagina 956. [9] May Canellas Marie-Chantal, op. cit., N 17 ad Art. 43 LIVA, pagina 956. [10] Cfr. anche Mollard Pascal, op. cit., pagina 521. [11] Mollard Pascal, op. cit., pagina 528. Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano Iscrizione all’anagrafe della popolazione residente in Italia e dovere di contribuire alle spese pubbliche Roberto Franzè Professore aggregato di diritto tributario nell’Università della Valle d’Aosta Sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 21970 del 28 ottobre 2015 La recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 21970 del 28 ottobre 2015 ben si presta a riaccendere il dibattito – per la verità, mai completamente sopito – sul ruolo che assume l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente in Italia quale criterio di collegamento personale nell’imposizione reddituale sulle persone fisiche. È ben noto che, giusta il disposto dell’articolo 2 del Decreto del Presidente della Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 917/1986 (di seguito TUIR), ai fini delle imposte sui redditi, le persone fisiche sono considerate essere fiscalmente residenti in Italia se “per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile” (così il comma 2 del citato articolo 2). I tre criteri disciplinati dalla disposizione legislativa rivestono una centrale importanza nel sistema dell’imposta sul reddito delle persone fisiche non solo perché alla residenza/non residenza è ricollegata, nell’ambito del TUIR, un’obbligazione tributaria basata (per i residenti) sul reddito ovunque realizzato ovvero (per i non residenti) sul solo reddito realizzato in Italia ma anche perché dalla residenza/non residenza discendono importanti conseguenze anche sulla struttura dello stesso presupposto impositivo: basti pensare che, nei confronti dei soggetti non residenti, l’imposizione reddituale perde gran parte del suo carattere di personalità (per via dell’utilizzo, da parte del legislatore, di meccanismi di imposizione basati sulla ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o sull’ imposizione sostitutiva), che, viceversa, preserva, sia pure con deroghe, per l’imposizione dei soggetti residenti nel territorio dello Stato. Quanto sopra spiega l’importanza di un’indagine vertente sulla coerenza intrinseca dei criteri di collegamento personali prescelti dal legislatore rispetto al principio di capacità contributiva stabilito dall’articolo 53 della Costituzione italiana. L’articolo 53 della Costituzione impone che a fondamento dell’imposizione (anche di quella reddituale) si ponga un dovere inderogabile di solidarietà e che questo dovere deve gravare su tutti i consociati in quanto membri di una collettività organizzata e, in quanto tali, chiamati a partecipare alla vita ed allo sviluppo di essa, da un lato fruendo dei conseguenti benefici, dall’altro destinando parte delle proprie risorse al sostegno dei relativi oneri. Scritto in altri termini, nessuna chiamata al concorso delle spese pubbliche di una collettività organizzata può essere predicata, in ragione dell’articolo 53 della Costituzione, in capo ad un soggetto se essa non trova il suo fondamento in un criterio di collegamento personale che sia idoneo ad evidenziare l’appartenenza economico-sociale del soggetto medesimo a quella collettività. In questo senso, quindi, occorre interrogarsi se i tre criteri normativi individuati dal legislatore del TUIR siano idonei a legittimamente fondare quella appartenenza economico-sociale della persona fisica nei cui confronti anche uno solo di quei tre criteri normativi si realizza. E l’importanza di una siffatta indagine è esaltata dalla stessa sentenza di Cassazione n. 21970 del 28 ottobre 2015 nella quale si legge che “ai fini delle imposte dirette, le persone iscritte nelle anagrafi della popolazione residente si considerano, in applicazione del criterio formale dettato dall’articolo 2 TUIR, in ogni caso residenti, e pertanto soggetti passivi d’imposta, in Italia; con la conseguenza che, ai fini predetti, essendo l’iscrizione indicata preclusiva di ogni ulteriore accertamento, il trasferimento della residenza all’estero non rileva fino a quando non risulti la cancellazione dall’anagrafe di un Comune italiano” (cfr. Cassazione n. 677/2015, Cassazione n. 14434/2010, Cassazione n. 9319/2006, Cassazione n. 13803/2001, Cassazione n. 1225/1998). Passando in rassegna i primi due criteri di collegamento personale individuati dal legislatore del TUIR, e cioè il domicilio e la residenza del codice civile, si rileva una loro tendenziale idoneità a fondare un’appartenenza economica e sociale del soggetto che li integra. Nella disciplina codicistica – espressamente richiamata dal legislatore del TUIR – il domicilio individua il luogo in cui la persona ha stabilito il centro principale dei propri affari ed interessi, sicché esso riguarda la generalità dei rapporti del soggetto – non solo economici ma anche morali, sociali e familiari – e va desunto alla stregua di tutti quegli elementi di fatto che, direttamente od indirettamente, denuncino la 35 36 Novità fiscali / n.11 / novembre 2016 presenza in un certo luogo di tale complesso di rapporti e il carattere principale che esso ha nella vita della persona (cfr. Cassazione 5 maggio 1980, n. 2936). La residenza è, invece, determinata dall’abituale e volontaria dimora della persona fisica in un determinato luogo, cioè dall’elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dall’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali (cfr. Cassazione 14 marzo 1986, n. 1738). Così definite – la residenza ed il domicilio ai sensi del codice civile – non può dubitarsi della loro astratta idoneità a fondare la presunzione di appartenenza economico e sociale della persona alla collettività organizzata nella quale la residenza o il domicilio sono, per l’appunto, stabiliti. Entrambi i criteri, in effetti, postulano l’istituzione di relazioni con la collettività nonché l’assunzione di un ruolo da parte della medesima collettività come ambito di svolgimento dei rapporti giuridici, economici e sociali dei soggetti che vi appartengono. In dottrina sono state, invece, avanzate circostanziate critiche all’idoneità dell'iscrizione alla anagrafe della popolazione residente a rappresentare un idoneo criterio di appartenenza economico e sociale ad una collettività organizzata: si è, infatti, obiettato che si tratta di un criterio irrazionale in quanto opererebbe indipendentemente dalla volontà del soggetto, con la conseguenza che potrebbe portare ad un assoggettamento ad imposta anche persone che siano prive di un qualsiasi collegamento con la comunità organizzata le cui spese sarebbero chiamate a sostenere. Deve essere, all’uopo, evidenziato che, giusta il disposto dell’articolo 1 della Legge del 24 dicembre 1954, n. 1228 “nell’anagrafe della popolazione residente sono registrate le posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze, che hanno fissato nel comune la residenza, nonché le posizioni relative alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel comune il proprio domicilio, in conformità del regolamento per l’esecuzione della presente legge” e che, giusta il disposto dell’articolo 2 della medesima legge, “è fatto obbligo ad ognuno di chiedere per sé e per le persone sulle quali esercita la patria podestà o la tutela, la iscrizione nell’anagrafe del comune di dimora abituale e di dichiarare alla stessa i fatti determinanti mutazione di posizioni anagrafiche”. In estrema sintesi, quindi, i presupposti per l’iscrizione anagrafica sono rappresentati da quei medesimi criteri – la residenza ed il domicilio previsti dal codice civile – che assumono un’autonoma rilevanza ai fini dell’attribuzione della residenza fiscale, sicché se ne deve dedurre che, secondo le intenzioni del legislatore del TUIR, l’iscrizione anagrafica dovrebbe assurgere a criterio di collegamento anche in assenza dei requisiti sostanziali che la giustificano. Scritto in altri termini, se il legislatore del TUIR ha inteso dare rilevanza all’iscrizione anagrafica in modo autonomo rispetto ai criteri della residenza e del domicilio del codice civile, se ne deve dedurre che, secondo le intenzioni del legislatore medesimo, essa dovrebbe essere idonea ad attribuire la residenza fiscale anche in assenza di un domicilio o di una residenza della persona fisica in Italia. Occorre, quindi, interrogarsi se il criterio dell’iscrizione anagrafica – in assenza del domicilio o della residenza della persona in Italia – possa essere espressivo di quella appartenenza alla comunità economico e sociale della quale la persona dovrebbe sostenere le spese. In dottrina, anche evocando il disposto dell’articolo 44 del codice civile (secondo cui “il trasferimento della residenza non può essere opposto ai terzi di buona fede, se non è stato denunciato nei modi prescritti dalla legge”), si è ritenuto che tutte le volte in cui le risultanze anagrafiche siano corrispondenti a quanto voluto dal contribuente – e cioè non sia possibile dimostrare che il contribuente non avesse voluto iscriversi o avesse voluto cancellarsi – lo stesso non possa opporre ai terzi la divergenza dalla realtà di quanto egli stesso ha inteso far apparire. Resta, secondo chi scrive, comunque la riflessione che i criteri di collegamento, nella prospettiva del rispetto del principio di capacità contributiva, dovrebbero essere espressivi di un’appartenenza non solo formale ma anche sostanziale alla collettività della quale si sostengono le spese; diversamente argomentando, oltre che fondare il prelievo tributario su situazioni apparenti (piuttosto che reali), si finirebbe per rimettere alla discrezionalità del contribuente il dovere di pagare le imposte. Elenco delle fonti fotografiche: http://www.retelenford.it/images/cassazione.JPG [30.10.2016] Offerta formativa Seminari e corsi di diritto tributario Sì, sono interessata/o e desidero ricevere maggiori informazioni sui seguenti corsi: Dati personali Nome Cognome Seminari □ Scambio di informazioni □ Novità legislative e di prassi Indicare l’indirizzo per l’invio delle comunicazioni Azienda/Ente Via e N. NAP Località Data Firma in ambito fiscale 15 dicembre 2016, Manno □ Cooperazione in materia di servizi Telefono E-mail vs. protezione dei dati 5 dicembre 2016, Manno finanziari e d’investimento tra la Svizzera e l’Italia 19 dicembre 2016, Manno □ La Legge sulla Riforma III delle imprese 23 gennaio 2017, Cadempino □ Aggiornamento sulla fiscalità immobiliare 21 febbraio 2017, Manno CAS Approfondimenti di diritto tributario □ Gli aspetti fiscali della previdenza e dei prodotti assicurativi □ Il sistema fiscale italiano □ Il sistema fiscale statunitense Inviare il formulario Per posta SUPSI Centro competenze tributarie Palazzo E Via Cantonale 16e CH-6928 Manno Via e-mail [email protected] Via fax +41 (0)58 666 61 76 37