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Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana
Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale
Centro competenze tributarie
Novità fiscali
L’attualità del diritto tributario svizzero
e internazionale
N° 11 – novembre 2016
Politica fiscale
La riduzione dell’imposta sulla sostanza
per le partecipazioni qualificate
Riforma III dell’imposizione delle imprese: Vaud adotta
delle misure di accompagnamento. E il Ticino?
Diritto tributario svizzero
Verrechnungssteuer: die neuen Leiden mit dem alten
Art. 23 VStG
Diritto tributario italiano
La nuova disciplina degli interpelli fiscali in Italia
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Il nuovo istituto degli accordi preventivi per le imprese
con attività internazionale
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Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero
Avviso di tassazione vs. decisione di tassazione: quando l’autorità
fiscale può procedere a una tassazione d’ufficio nell’ambito
delle imposte alla fonte?
31
Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano
Iscrizione all’anagrafe della popolazione residente in Italia
e dovere di contribuire alle spese pubbliche
Offerta formativa
Seminari e corsi di diritto tributario
35
37
Introduzione
Novità fiscali
11/2016
Redazione
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tributarie
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Redattore responsabile
Samuele Vorpe
Comitato redazionale
Flavio Amadò
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Sacha Cattelan
Rocco Filippini
Roberto Franzè
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Giordano Macchi
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Sabina Rigozzi
Curzio Toffoli
Samuele Vorpe
Impaginazione e layout
Laboratorio cultura visiva
Diverse le novità fiscali e molti sono i temi che subiranno modifiche sostanziali a breve, sia a livello
svizzero che in ambito internazionale. NF non si fa
cogliere di sorpresa e vi concede un costante aggiornamento. Il numero di Novembre apre i battenti con
due contributi di politica fiscale. Ad esordire è
Samuele Vorpe che, in modo conciso, fa luce sui
Cantoni che conoscono nelle loro leggi tributarie
delle disposizioni volte ad attenuare l’imposta sulla
sostanza a favore dei detentori di partecipazioni
qualificate, dopodichè Raoul Paglia, interrogandosi
sulle modalità di implementazione della Riforma III
da parte del Canton Ticino, con un notevole contributo illustra in quale direzione si sta muovendo il
Canton Vaud. Seguono Thomas Jaussi e Lynn Winkenbach con un articolo scritto a quattro mani per
la nostra rubrica di Diritto tributario svizzero; in
questo rilevante contributo che pubblichiamo in lingua tedesca i due autori si soffermano su importanti
aspetti inerenti la perdita del diritto al rimborso
nell’ambito dell’imposta preventiva. Per la nostra
rubrica di Diritto tributario italiano scrivono questo
mese Sara Borile, che illustra la nuova disciplina degli
interpelli e Gabriele Paladini che fa luce sul nuovo
istituto degli accordi preventivi per le imprese con
attività internazionale. Segue Sabina Rigozzi che
commenta un’interessante sentenza della Camera
di diritto tributario del Canton Ticino nella quale ci si
interroga quando e con quali procedure l’autorità
fiscale abbia diritto a procedere con una tassazione
d’ufficio nell’ambito delle imposte alla fonte. A chiudere questo interessante numero di NF ci pensa
Roberto Franzè, commentando una sentenza della
Corte di Cassazione italiana in merito all’iscrizione
all’anagrafe della popolazione residente in Italia e al
dovere di contribuire alle spese pubbliche.
Buona lettura!
Sacha Cattelan
Politica fiscale
La riduzione dell’imposta sulla sostanza
per le partecipazioni qualificate
Samuele Vorpe
Responsabile del Centro
di competenze tributarie della SUPSI
Diversi Cantoni conoscono nelle loro leggi tributarie
delle disposizioni volte ad attenuare l’imposta sulla
sostanza quando il contribuente possiede almeno il 10%
dei diritti di partecipazione di una società di capitali.
Si tratta in altre parole di attenuare a livello cantonale
la doppia imposizione economica dell’azionista, quando
la persona giuridica paga un’imposta sul capitale
Sfogliando le “Brochures fiscales/Steuermäppchen” dell’Amministrazione federale delle contribuzioni per il periodo fiscale
2015, nel capitolo “Riduzione della doppia imposizione economica” si trovano cinque Cantoni che operano una riduzione
dell’imposta sulla sostanza per le partecipazioni qualificate
(ovvero quando la partecipazione azionaria è almeno del
10%). Si tratta dei Cantoni Lucerna, Nidvaldo, Argovia, Vallese
e Neuchâtel. Questi Cantoni prevedono nelle loro leggi tributarie una norma volta ad attenuare la doppia imposizione
sulla sostanza, in analogia a quella sul reddito, partendo
dal presupposto che le persone giuridiche, oltre all’imposta
sull’utile, pagano anche quella sul capitale.
Venendo all’esame delle singole disposizioni cantonali, si
osserva che dal 2016 il Canton Lucerna ha abolito la disposizione che stabiliva, all’articolo 60 capoverso 3 della Legge
tributaria lucernese (LT-LU), una riduzione dell’aliquota ai
fini dell’imposta sulla sostanza del 40% per le partecipazioni
qualificate. Per quanto riguarda Nidvaldo, l’articolo 54 capoverso 2 della Legge tributaria nidvaldese (LT-NW) ammette
una riduzione dell’aliquota ordinaria sulla sostanza del 20%
(0.2‰ invece dello 0.25‰ di aliquota semplice). Ad Argovia,
è invece applicabile un’aliquota sulla sostanza pari al 40%
di quella complessiva (articolo 45a della Legge tributaria
argoviese [LT-AG]). Per contro, Vallese e Neuchâtel presentano due disposizioni analoghe che consentono al titolare
dei diritti di partecipazione di dichiarare queste ultime ad
un valore inferiore (60% in Vallese e 40% a Neuchâtel) ai fini
dell’imposta sulla sostanza (articolo 56 capoverso 4 della
Legge tributaria vallesana [LT-VS], articolo 49 capoverso 4
della Legge tributaria neocastellana [LT-NE]). La normativa
neocastellana si applica inoltre soltanto alle partecipazioni
di società non quotate, con sede in Svizzera. Oltre a questi
Articolo pubblicato l'08.11.2016
sul Giornale del Popolo
cinque Cantoni, vi è anche il Canton Appenzello Interno, il
quale prevede il computo dell’imposta sul reddito dovuta
sul dividendo percepito nell’imposta sulla sostanza dovuta
sulla partecipazione dichiarata (articolo 38 capoverso 4 della
Legge tributaria appenzellese [LT-AI]).
Queste forme di sgravi fiscali previste da questi Cantoni non
trovano tuttavia una base legale nel diritto federale superiore,
in particolare nella Legge federale sull’armonizzazione delle
imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (di seguito LAID),
la quale consente unicamente di attenuare la doppia imposizione economica sul reddito per le partecipazioni qualificate
(articolo 7 capoverso 1, seconda frase LAID). Per contro, la
sostanza deve essere tassata al suo valore venale (articolo 14
capoverso 1 LAID). La compatibilità con la LAID di tali norme
cantonali appare inoltre discutibile sulla base della giurisprudenza del Tribunale federale concernente l’imposizione
parziale dei dividendi (cfr. in particolare DTF 136 I 49).
Il Canton Ticino, dal canto suo, non conosce nella sua Legge
tributaria simili forme di attenuazione dell’imposta sulla
sostanza. Nel confronto intercantonale, il Ticino si contraddistingue per essere un Cantone con un’imposizione della
sostanza tra le più elevate della Svizzera. Durante il “Tavolo
di lavoro sull’economia ticinese” del 26 aprile scorso, si è pertanto discussa l’ipotesi di introdurre nella Legge tributaria
ticinese uno sgravio del 30% per partecipazioni qualificate
ai fini dell’imposta sulla sostanza, quale misura di accompagnamento cantonale alla Riforma III dell’imposizione
3
4
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
delle imprese. Da un lato questa misura sembrerebbe essere
contraria alla LAID, dall’altro, però la realtà di questi Cantoni
insegna che esiste un certo margine di manovra per il Ticino,
che necessita di un intervento legislativo sulla tassazione
della sostanza.
Per maggiori informazioni:
AFC, Brochures fiscales 2015, Impôts sur le revenu et sur la fortune des personnes physiques, in: https://www.estv.admin.ch/estv/fr/home/allgemein/
steuerinformationen/fachinformationen/schweizerisches-steuersystem/
steuermaeppchen/steuermaeppchen-2015.html [08.11.2016]
Vorpe Samuele, Il Canton Appenzello Interno dà libero sfogo alla sua creatività, in: NF 6/2010, pagine 4-8
Elenco delle fonti fotografiche:
http://dev2.liberatv.ch/upload/multimedia/2016-06-06-03-07-34-7295.png
[08.11.2016]
Politica fiscale
Riforma III dell’imposizione delle imprese:
Vaud adotta delle misure di accompagnamento.
E il Ticino?
Raoul Paglia
Master of Science in Economics, Università di Losanna
CEFA, Certified European Financial Analyst
Master of Advanced Studies SUPSI in Tax Law
Amco Fiduciaria SA, Faido-Lugano
Il 29 settembre 2015 il legislativo del Canton Vaud ha
fatto suo il progetto per la modifica della legge sulle
imposte dirette cantonali[1] che prevede un notevole sgravio fiscale per le persone giuridiche. Il Popolo
è stato chiamato alle urne per esprimersi sullo stesso argomento[2] il 20 marzo 2016. Risultato: l’87.12%
degli elettori ha accolto il referendum[3]. Un plebiscito!
Merito delle misure accompagnatorie? E in Ticino cosa
si sta facendo?
1.
Introduzione
La terza riforma sull’imposizione delle imprese (di seguito
riforma III[4]) sta facendo discutere. E c’è da scommettere che
sarà uno dei temi caldi a livello federale anche nei prossimi
mesi. Sul principio siamo tutti d’accordo (volenti o nolenti):
le agevolazioni fiscali per alcune tipologie di società vanno
eliminate. Le discussioni vertono invece sulle misure previste
sempre nell’ambito della riforma e volte a mantenere fiscalmente attrattivo lo “Standort Schweiz”.
Il Partito Socialista, pur condividendo l’obiettivo primario
della riforma III, cioè l’eliminazione degli statuti speciali
cantonali, ha lanciato un referendum contro la riforma III. Il
comitato referendario ritiene che, proprio le misure a sostegno della piazza economica, siano in realtà un regalo fiscale
alle persone giuridiche le cui conseguenze, in una maniera o
nell’altra, ricadranno sulle spalle delle persone fisiche. Il referendum è riuscito, pertanto il Popolo svizzero sarà chiamato
ad esprimersi anche sulla riforma III. La data della votazione
è stata fissata al 12 febbraio 2017. Ricordiamo che anche la
riforma II[5] fu sottoposta al voto popolare[6] e allora i “Sì”
vinsero con il 50.5% delle preferenze (poco più di 20’000 voti
di scarto[7]). La riforma II ha continuato a far discutere anche
dopo la sua entrata in vigore il 1. gennaio 2009[8].
Il maggior problema fu il fatto che alcune modifiche contenute nella legge (in particolare quelle relative al rimborso
degli apporti, dell’aggio e dei pagamenti suppletivi[9]), hanno
causato mancati introiti fiscali ben superiori a quanto inizialmente previsto dalle autorità federali.
Anche i costi della riforma III sono incerti. Si possono stimare
i costi applicando le nuove regole alla situazione attuale, ma
non possiamo prevedere se e come le nuove regole modificheranno il comportamento di aziende e investitori. Con
queste premesse il risultato del voto popolare sulla riforma III
sembra tutt’altro che scontato.
Non è stato così nel Canton Vaud. Il 20 marzo 2016 la popolazione ha accolto con una maggioranza bulgara dell’87.12%
le modifiche legislative[10] sull’imposizione diretta cantonale
in previsione dell’introduzione della riforma III. In buona
sostanza queste misure prevedono un tasso unico d’imposta
effettivo a livello cantonale, comunale e federale del 13.79%
(rispetto al 21.65% attuale). Senz’altro un bel vantaggio per
le persone giuridiche. Questa riforma è però stata accompagnata da una serie di misure a favore delle famiglie e
dell’impiego. Probabilmente sono proprio state queste misure
a far “digerire” alla popolazione tanta generosità nei confronti
delle aziende.
2.
La riforma III: le misure per mantenere attrattiva la piazza
economica svizzera
Come anticipato, la riforma III prevede l’abolizione degli
statuti fiscali cantonali per le società holding, le società di
domicilio e quelle miste. Ad accompagnare questa misura il
Parlamento federale ha elaborato una serie di agevolazioni
che andranno a ridurre il carico fiscale delle aziende:
◆◆ introduzione nella Legge federale sull’armonizzazione delle
imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (di seguito LAID)
di un patent box compatibile con gli attuali standard internazionali riconosciuti dall’OCSE (approccio “Nexus modificato”);
◆◆ introduzione di un’autorizzazione per i Cantoni a concedere maggiori deduzioni fiscali a titolo di spese per la
ricerca e lo sviluppo (R&S) (incentivazione dell’input);
◆◆ adeguamenti facoltativi nell’ambito dell’imposta cantonale
sul capitale e sulla sostanza;
◆◆ introduzione a livello federale e cantonale di un sistema
unitario per la dichiarazione di riserve occulte;
◆◆ introduzione di un’imposta sull’utile con deduzione degli
interessi sul capitale proprio superiore alla media per la
5
6
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
◆◆
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Confederazione (obbligatoria) e i Cantoni (facoltativa). I
Cantoni che introducono tale strumento devono contestualmente assoggettare in misura non inferiore al 60% i
dividendi e altri vantaggi valutabili in denaro derivanti da
partecipazioni qualificate (almeno il 10%) nell’ambito della
sostanza privata;
limitazione degli sgravi derivanti dal patent box, dall’incentivazione dell’input, dall’imposta sull’utile con deduzione
degli interessi e da ammortamenti per l’abbandono anticipato di uno statuto fiscale cantonale fino ad un limite
massimo dell’80% dell’utile netto imponibile;
creazione di una base legale necessaria ad estendere il
computo globale d’imposta anche agli stabilimenti d’impresa svizzeri di imprese estere;
introduzione nella LAID di una disposizione transitoria di
cinque anni per la tassazione separata di società che hanno
goduto di uno statuto fiscale speciale (step-up);
aumento della quota dei Cantoni al gettito dell’imposta
federale diretta al 21.2% per garantire una ripartizione
equilibrata degli oneri della riforma III;
ponderazione degli utili delle persone giuridiche nel potenziale di risorse in funzione del relativo sfruttamento fiscale
con disposizioni transitorie;
concessione di un contributo complementare di durata
limitata per evitare casi di rigore nei Cantoni finanziariamente deboli.
Oltre alle misure elencate molti Cantoni prevedono di ridurre
il loro tasso d’aliquota ordinario per tutte le persone giuridiche, come proposto nel Candon Vaud.
3.
La situazione in Ticino
Nella classifica della percentuale del gettito delle società a
tassazione privilegiata sul totale del gettito delle persone giuridiche, con una percentuale del 22.3%, il Ticino si colloca in una
posizione intermedia (9. rango), comunque superiore rispetto
alla media intercantonale (che è del 17.8%) (vedi Figura 1).
Nel 2012 in Ticino si contavano 1’492 società a statuto
speciale (holding, società miste o ausiliarie, società di domicilio o d’amministrazione e principal), pari al 5.3% del totale
delle persone giuridiche che hanno generato un gettito complessivo (federale, cantonale e comunale) di 191.3 milioni di
franchi[11]. Sebbene gli introiti fiscali di altri Cantoni (vedi
Basilea Città o Zugo) dipendano in misura ancora maggiore
da questo tipo di società, in Ticino queste portano oltre un
quinto del gettito totale delle persone giuridiche. Oltre a
questo, sempre nel 2012, le società a tassazione privilegiata
davano lavoro a migliaia di persone con conseguente indotto
economico e fiscale per il Cantone.
4.
Ticino: l’obiettivo della neutralità! E i Comuni?
Allo scopo di mantenere attrattiva la piazza economica
ticinese e per evitare che queste aziende lascino il territorio
cantonale, si sta pensando ad una riduzione delle aliquote
ordinarie. Questa riduzione genererà due effetti contrapposti:
◆◆ le società attualmente tassate in via ordinaria pagheranno
meno imposte rispetto ad oggi;
◆◆ le società attualmente a beneficio di tassazioni privilegiate
pagheranno più imposte rispetto ad oggi.
Il Dipartimento delle finanze e dell’economia ha stimato
un’aliquota che dovrebbe garantire la parità di gettito (breakeven point) post-riforma III: 6.5% (aliquota imposta cantonale
sull’utile delle persone giuridiche, finora al 9%). Questo
porterebbe l’aliquota ordinaria totale (federale, cantonale e
comunale – onere fiscale effettivo nel 2015) dal 19.8% al
16.8%. Parallelamente l’aliquota delle società a tassazione
privilegiata passerebbe circa dal 10% al 16.8%.
Tuttavia gli effetti della riforma III sulle finanze cantonali
sono difficilmente prevedibili in quanto vi sono troppe variabili. Dipenderà dalle nuove aliquote effettivamente adottate,
dalla rapidità degli adeguamenti del diritto alle nuove condizioni quadro federali e dalle modifiche del comportamento
Figura 1: Percentuale gettito società a statuto speciale sul totale del gettito delle persone giuridiche
(fonte: Dipartimento delle finanze e dell’economia – Divisione delle contribuzioni)
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
degli attori economici. Inoltre nella riforma III sono contenute
misure oggettivamente difficili da valutare come l’introduzione a livello federale e cantonale di un sistema unitario per
la dichiarazione di riserve occulte (step-up).
Se, come detto, l’abbassamento al 6.5% dell’imposta cantonale dovrebbe essere neutrale (il condizionale è d’obbligo)
per le finanze cantonali, non altrettanto si potrà dire a
livello comunale.
tutti gli altri elementi decisionali (formazione, infrastrutture, eccetera). Si tratta di trovare un buon compromesso
che lasci sufficienti risorse all’interno delle aziende ma che
garantisca allo “Stato sede” di finanziare non solo le spese
correnti, ma anche investimenti a sostegno della piazza
economica in generale.
I Comuni che oggi ospitano le società a statuto speciale,
vedranno verosimilmente aumentare il loro gettito, mentre
i Comuni sede di società tassate ordinariamente vedranno il
loro introito diminuire notevolmente. La disparità fra Comuni
finanziariamente forti e quelli finanziariamente deboli si
accentuerà ulteriormente. Questo “effetto indesiderato” deriva
dal fatto che oggi le società a tassazione privilegiata sono
distribuite in modo eterogeneo sul territorio cantonale.
Una soluzione potrebbe essere un moltiplicatore unico su
tutto il territorio cantonale per le persone giuridiche (vedi
iniziativa parlamentare generica IG226 – Imposta comunale
delle persone giuridiche – moltiplicatore cantonale unico,
presentata già nel 1998 dall’allora granconsigliere Erto
Paglia[12]). La proposta prevedeva che una parte degli introiti
fosse destinata al fondo di livellamento e l’altra parte ridistribuita ai Comuni, tenendo conto del moltiplicatore vigente.
5.
Ticino fiscalmente attraente?
Per un’azienda, fra i criteri per la scelta del luogo in cui insediarsi, l’onere fiscale è certamente un elemento importante.
Uno fra i tanti, assieme alla vicinanza ai clienti, alla presenza
di manodopera qualificata, alla qualità delle infrastrutture,
all’efficienza dell’amministrazione pubblica, alla qualità di
vita, eccetera.
Fino a che livello occorrerà abbassare le aliquote per attirare
aziende sul nostro territorio? Aliquote troppo basse sottraggono introiti fiscali che potrebbero essere spesi per migliorare
In base ai dati pubblicati dal BAK di Basilea[13] (vedi Figura
2) il Ticino, nel 2015, con un carico fiscale attorno al 17%,
si situa al 18. posto delle location prese in considerazione.
Sicuramente altri Cantoni sono fiscalmente più interessanti
(Appenzello Esterno, Svitto, Lucerna, Uri, eccetera) rispetto
a noi. A livello internazionale, invece, il Ticino risulta attrattivo se paragonato all’Italia, all’Austria, alla Francia o alla
Germania. Se, come ipotizzato, si dovessero abbassare le
aliquote cantonali del 2.5% e se verranno introdotte le altre
agevolazioni fiscali legate alla riforma III, la fiscalità ticinese
diventerà ancora più attrattiva anche a livello internazionale (non solo per effetto della diminuzione delle aliquote,
ma anche per la riduzione della base imponibile). Rimane
invece il rischio che la concorrenza fiscale intercantonale
si accentui ulteriormente portando le aliquote sempre
più verso il basso e/o concedendo ulteriori agevolazioni
(nei limiti imposti dalla LAID). È probabile che Cantoni,
già oggi fiscalmente interessanti, abbassino ulteriormente
l’onere fiscale a carico delle aziende, mentre altri Cantoni
lo potranno fare solo entro certi limiti (ad esempio, come il
Ticino, cercando un’aliquota “neutra”). Sarebbe bene cercare,
in un modo o nell’altro, di porre un freno alla concorrenza
fiscale intercantonale. Su un tema simile il Popolo svizzero
si è espresso il 28 novembre 2010 (iniziativa popolare federale)[14]. Allora si votò sull’ipotesi di introdurre un’aliquota
fiscale marginale minima (almeno il 22%) per le imposte
cantonali e comunali sul reddito delle persone fisiche,
applicabile alla quota di reddito imponibile che eccedeva i
250’000 franchi. L’oggetto, allora, fu respinto con il 58.5%
delle preferenze[15]. Ritengo che per le persone giuridiche,
alla luce della possibile introduzione delle agevolazioni
della riforma III, con conseguente riduzione non solo delle
aliquote, ma anche della base imponibile, sarebbe bene
fissare una soglia, oltre la quale i Cantoni non possono
scendere. Oltre che a scongiurare una lotta all’ultimo sangue per accaparrarsi i contribuenti migliori, eviteremmo di
avere aliquote “troppo basse” che, inevitabilmente, finirebbero per infastidire la Comunità internazionale (G20, OCSE,
Unione europea).
7
8
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
Figura 2: BAK Taxation Index per aziende nel 2015 (fonte: Bakbasel – economicresearch&consultancy[16])
6.
Le misure accompagnatorie vodesi
Come indicato precedentemente, nel Canton Vaud il 20
marzo 2016 la popolazione ha accolto con una maggioranza
dell’87.12% le modifiche legislative sull’imposizione diretta
cantonale in previsione dell’introduzione della riforma III.
Queste misure prevedono un tasso unico d’imposta a livello
cantonale, comunale e federale del 13.79% (rispetto al
21.65% attuale). Parallelamente la riforma ha previsto tre
misure per sostenere le famiglie ed il loro potere d’acquisto.
6.1.
L’assegno familiare e quello per figli in formazione
L’assegno familiare passerà progressivamente da 230 a 300
franchi per i primi due figli, mentre a partire dal terzo figlio
questo passerà dagli attuali 370 a 380 franchi (per poi essere
ridotto a 340 franchi). L’assegno per figlio in formazione
passerà da 300 a 400 franchi per i primi due figli, mentre dal
terzo figlio questo rimarrà invariato a 440 franchi. Queste
misure aumentano il potere d’acquisto delle famiglie. Il costo
totale è stato stimato a 95 milioni di franchi e sarà interamente a carico dei datori di lavoro.
6.2.
I sussidi per i premi dell’assicurazione malattia
L’obiettivo è di fare in modo che gli oneri assicurativi per la
cassa malati non superino il 10% del reddito determinante[17]
del nucleo familiare. In altre parole il Cantone sussidierà la
parte del premio (calcolato in base al premio medio LAMal
con franchigia a 1’000 franchi per adulti e senza franchigia
fino ai 18 anni) che supera il 10% del reddito determinante. Il
costo di questa misura è stato stimato a 42.8 milioni di franchi
e sarà a carico del Cantone. Oltre ai sussidi è previsto anche
un adeguamento verso l’alto delle deduzioni fiscali concesse
per l’assicurazione malattia (da 2’000 a 2’400 franchi).
6.3.
L’accoglienza diurna per bambini
Lo scopo è quello di raddoppiare l’offerta della custodia dei
bambini sull’arco di tutta la giornata (asili nido, asili e scuole).
Di riflesso, queste misure, permetterebbero anche ai genitori di continuare o riprendere un’attività professionale. La
custodia dei bambini all’interno delle strutture aziendali, permetterà a quest’ultime di avvalersi di manodopera locale che
finora non poteva lavorare. Entro il 2019 le aziende dovranno
raddoppiare il loro impegno a favore di queste strutture (da
20 a 40 milioni di franchi). Parallelamente il Cantone porterà
il suo contributo da 30 milioni a 67 milioni di franchi.
7.
La situazione in Ticino
7.1.
Gli assegni familiari e quelli di formazione
La Legge federale sugli assegni familiari (LAFam), entrata in
vigore nel 2009, ha creato una base legale federale per la
concessione di assegni familiari. I Cantoni possono andare
oltre queste disposizioni minime federali: il Canton Ticino, ad
esempio, ha previsto ulteriori tipi di assegni familiari (assegno
integrativo [di seguito AFI] e assegno di prima infanzia [di
seguito API]).
In Ticino l’assegno per i figli è di 200 franchi mensili per figlio
e viene versato a chi ha figli fino a 16 anni di età. L’assegno
di formazione viene versato ai dipendenti e agli indipendenti
con figli che hanno un’età compresa fra i 16 e i 25 anni e che
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
seguono una formazione, scolastica o professionale. L’assegno
è di 250 franchi mensili per figlio. Entrambi questi assegni sono
finanziati tramite la riscossione di un contributo presso i datori
di lavoro.
(premio medio di riferimento: 12’094 franchi). Nel Canton
Vaud[22] , invece, lo Stato prenderebbe a carico l’ammontare
che eccede il 10% del reddito, vale a dire, a parità di premio
medio, 4’094 franchi.
L’AFI è destinato alle famiglie che hanno figli sotto i 15
anni e che hanno un reddito modesto. L’assegno è pari alla
differenza tra il reddito lordo e le spese riconosciute fino
ad un massimo di 627.50 franchi mensili: se queste ultime
sono inferiori al reddito, non si ha diritto all’assegno. L’AFI,
di regola, è finanziato tramite la riscossione di un contributo
presso i datori di lavoro.
In Ticino, per la famiglia descritta sopra, il RDM oltre il quale
non si riceve più il sussidio è pari a 104’483 franchi. Se a
questo aggiungiamo il premio medio di riferimento (12’094
franchi) e le spese professionali massime deducibili ai fini
RIPAM (4’000 franchi) otteniamo un reddito di 120’577
franchi. Se i contributi di legge a carico del dipendente (AVS/
AI/IPG/AD/AI non prof. e Cassa pensione) ammontano al
10% dello stipendio lordo, allora la soglia oltre la quale non
si prendono più i sussidi è pari a circa 134’000 franchi. Per
quanto possa essere generoso il modello vodese, difficilmente lo sarà quanto quello ticinese!
L’API è destinato alle famiglie con reddito modesto per
coprire il costo del figlio dalla nascita fino al compimento dei
tre anni. Il funzionamento è come quello dell’assegno integrativo, con la differenza che non c’è un tetto sull’importo
massimo dell’assegno. L’assegno di prima infanzia è interamente finanziato dal Cantone.
Se l’obiettivo, come nel Canton Vaud, è quello di aumentare
il potere d’acquisto dei cittadini si potrebbero proporre delle
modifiche analoghe a quelle vodesi: aumentare in modo
lineare gli assegni familiari e gli assegni di formazione. Il costo
di questo aumento ricadrebbe interamente sulle spalle delle
persone giuridiche, che sono anche quelle che beneficiano
delle riduzioni delle aliquote e della base imponibile.
L’altra misura prevede l’innalzamento delle deduzioni per
l’assicurazione malattia da 2’000 a 2’400 franchi. Questa
deduzione in Ticino è già pari a 5’200 franchi (non coniugati).
A mio modo di vedere non vi è molto spazio di manovra per
aumentare i sussidi e/o le deduzioni sull’assicurazione malattia. Oltretutto queste misure ricadrebbero interamente sulle
spalle del Cantone e dei Comuni.
Se si vuole dare un’impronta più sociale sarebbe invece
meglio aumentare l’AFI poiché non andrebbe indistintamente
a tutti coloro che hanno figli sotto i 15 anni, ma soltanto a
coloro che ne hanno veramente bisogno. Anche il costo di
un eventuale aumento dell’AFI ricadrebbe sulle spalle delle
persone giuridiche. Non avrebbe molto senso, a mio parere,
toccare, nell’ambito della riforma III, l’API in quanto andrebbe
a beneficio solo di una minima parte della popolazione.
Inoltre sarebbe finanziato dal Cantone e non dalle aziende.
7.2.
I sussidi per contribuenti che pagano premi di cassa malati
superiori al 10% del reddito
Il Canton Ticino ha adottato un sistema di sussidio per alleviare il
peso dei premi delle casse malati più articolato rispetto a quello
del Canton Vaud, introducendo la “Riduzione di premio (sussidio) nell’assicurazione sociale malattie” (di seguito RIPAM)[18].
Recentemente queste norme sono state oggetto di alcune
modifiche decise dal Parlamento cantonale[19]. In particolare
è stato introdotto il concetto di reddito disponibile (reddito
disponibile massimo [di seguito RDM]) per unità di riferimento,
al di sopra del quale non si ha più diritto alla RIPAM.
Risulta difficile fare paragoni fra il sistema vodese e quello
ticinese in quanto si basano su due modelli completamente
diversi. Proviamo comunque a fare una semplice simulazione[20]: famiglia composta da due adulti e due bambini,
reddito 80’000 franchi, contributi di legge 8’000 franchi,
spese professionali 5’000 franchi.
In base al calcolo effettuato dal simulatore[21] in Ticino la
riduzione dei premi annua calcolata ammonta a 6’344 franchi
7.3.
Le misure per consentire la custodia dei bambini
In questo contesto anche in Ticino si potrebbe fare di più.
Si potrebbe prevedere un modello in cui le grandi aziende
mettano a disposizione degli impiegati asili nido e facilitazioni pre- e doposcuola. Per le aziende piccole o per quelle
che non possono/vogliono prendersi a carico questo onere, si
potrebbe prevedere un contributo ad un fondo cantonale che
andrebbe a finanziare strutture su tutto il territorio.
Queste misure sono importanti in quanto permettono, a chi
risiede in Ticino ed ha un reddito modesto, di poter esercitare un’attività lucrativa. Oggi non esiste nessuna legge che
obbliga i datori di lavoro a contribuire al finanziamento di
queste strutture. Chi lo fa, lo fa di propria iniziativa anche
per potersi avvalere di forza lavoro, magari qualificata, che
altrimenti dovrebbe rimanere a casa ad accudire i figli.
9
10
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
Personalmente ritengo sia importante creare un sistema che
preveda, pre-asilo, mense generalizzate, pre- e doposcuola
in tutti i Comuni del Cantone. Oggi alcuni si sono dotati delle
strutture necessarie, in altri Comuni vi sono dei privati che
sopperiscono alla mancanza di questo servizio.
Probabilmente, come nel Canton Vaud, l’introduzione di una
norma a favore di asili nido, custodia di bambini e pre- e
doposcuola, andrebbe finanziata sia dal pubblico che dal
privato. In che misura resta da definire.
Per completezza d’informazione ricordo che in Ticino esiste
anche il “Rimborso della spesa di collocamento del figlio” (RiSC)[23].
Le famiglie che, per esercitare la loro attività lucrativa, devono
collocare il loro figlio presso terzi (asilo nido riconosciuto e
autorizzato o famiglia diurna riconosciuta), hanno diritto a
questa “misura di appoggio”. In particolare ne hanno diritto i
genitori che beneficiano di un assegno integrativo o di prima
infanzia oppure che non ne beneficiano, ma che adempiono
le condizioni legali, ma non quelle economiche, per ottenere
un assegno di prima infanzia.
Il diritto al rimborso presso terzi è garantito fino all’accesso
del figlio alla scuola dell’infanzia, ma al massimo fino all’anno
in cui compie i quattro anni, se non è stato accettato in precedenza alla scuola dell’infanzia.
◆◆ favorire la nascita e lo sviluppo di start-up promuovendo
i finanziamenti inziali, il capitale di espansione e i servizi
di accompagnamento, in modo da creare opportunità di
lavoro sostenibili e ad alto valore aggiunto per i residenti.
Il fondo in esame doveva essere gestito con la partecipazione
e il coinvolgimento delle parti sociali. Tale fondo sarebbe
stato finanziato dal provento del recupero d’imposta derivante dalla prevista amnistia fiscale ticinese[25]. La prevista
amnistia fiscale fu bocciata dal Tribunale federale, dato che,
secondo l’Alta Corte, le disposizioni ledevano i principi
costituzionali della parità di trattamento, della generalità,
dell’uniformità e dell’imposizione secondo la capacità economica (cfr. in particolare gli articoli 8 e 127 capoverso 2 della
Costituzione federale). Esse furono inoltre considerate contrarie ad alcuni principi della LAID in materia di ricupero delle
imposte sottratte. Di conseguenza non si fece nulla anche del
fondo cantonale per favorire il lavoro.
Ora, dato che, come abbiamo visto, a beneficiare della
riforma III saranno solamente le persone giuridiche, non
sarebbe possibile “riesumare” l’idea del fondo finanziandolo
proprio con un contributo versato dalle aziende?
La spesa di collocamento del figlio è interamente finanziata
dal Cantone.
8.
Le altre misure ipotizzabili in Ticino
8.1.
La formazione e la riqualifica di adulti
Il 28 maggio 2013 i Capigruppo di PPD, PLR, Lega, Verdi e
UDC presentarono un’iniziativa parlamentare generica a
favore dell’istituzione di un fondo cantonale per favorire il
lavoro[24]. Tale fondo aveva quale scopo il finanziamento di
iniziative a favore dell’occupazione in Ticino, segnatamente
attraverso programmi occupazionali, impostati sull’aggiornamento, sul perfezionamento o sulla riqualifica professionali
e rivolti alle persone giovani e alle persone più adulte senza
occupazione che hanno terminato il diritto a percepire le
indennità di disoccupazione. In particolare si voleva:
◆◆ assicurare l’inserimento lavorativo delle persone senza
lavoro, considerando le esigenze dei settori economici
cantonali e, in particolare, i settori in cui non si trova
manodopera residente;
◆◆ garantire l’aggiornamento, il perfezionamento o la
riqualifica professionali alle persone senza lavoro e al contempo sostenere le attuali prestazioni sociali cantonali di
complemento in modo da garantire loro il minimo vitale;
◆◆ realizzare una rete informatica del profilo professionale
delle persone disoccupate e delle persone in cerca di
lavoro, usufruibile da chi lo desidera;
◆◆ creare nuovi percorsi formativi, in particolare nell’ambito
delle nuove tecnologie, del risanamento energetico degli
stabili e delle energie alternative;
8.2.
L’indennità straordinaria per disoccupati
Nel 2015, nell’ultima revisione della legge sulle misure di rilancio dell’occupazione (di seguito L-rilocc), è stato inserito un
nuovo articolo che prevedeva delle indennità straordinarie di
disoccupazione a favore dei disoccupati che hanno esaurito le
indennità previste dalla Legge federale sull’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione e l’indennità per insolvenza
(di seguito LADI). Può beneficiarne chi ha dimostrato di aver
fatto tutto il possibile per evitare o abbreviare la disoccupazione. In base all'articolo 10 L-rilocc possono essere concesse
fino a 120 indennità giornaliere intere sull’arco massimo di
un anno. Il Consiglio di Stato può ulteriormente aumentare il
numero delle indennità giornaliere per le persone disoccupate
di età uguale o superiore a 60 anni.
L’obiettivo dell’articolo 10 L-rilocc è quello di ritardare, seppure solo di qualche mese, il momento in cui, chi esaurisce
il diritto alle indennità LADI, finisce in assistenza, con la
speranza che le persone interessate riescano a trovare lavoro
in questo periodo.
Questo articolo non è mai entrato in vigore e, nell’ambito
della Manovra di rientro finanziario, si è deciso di tenerlo
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
ancora in sospeso. Personalmente penso che sarebbe opportuno farlo entrare in vigore in quanto darebbe un sostegno
tangibile a tutti coloro che stanno cercando di rientrare nel
mondo del lavoro.
8.3.
Le deduzioni sociali sono da rendere più… sociali!
L’articolo 34 LT prevede delle deduzioni sociali, anche
piuttosto generose se paragonate a quelle di altri Cantoni.
Naturalmente le deduzioni sull’imponibile hanno un effetto
maggiore sui redditi elevati rispetto a quelli bassi. In altre
parole le attuali deduzioni sociali non sono affatto sociali.
Il Consiglio di Stato ha recentemente reso noto alcuni dati
dai quali si evince, ad esempio, che le deduzioni per figli agli
studi, figli a carico e oneri assicurativi di contribuenti con un
reddito imponibile superiore a 160’000 franchi costano al
Cantone circa 32 milioni di franchi.
Per questo motivo, per favorire ulteriormente la socialità,
sarebbe opportuno elaborare un modello diverso che tenga
conto delle effettive esigenze del contribuente e che allo
stesso tempo, in termini reali, avvantaggi tutti in egual misura.
In sostanza occorrerebbe modificare la Legge tributaria prevedendo, al posto della deduzione generale e indifferenziata
per i figli e per i figli agli studi (articolo 34 capoverso 1 lettere
a e c LT), un sistema diverso che abbia come obiettivo principale quello di migliorare l’impatto delle deduzioni sociali per i
figli nelle fasce di popolazione meno agiate e nel ceto medio
con lo scopo finale di favorire l’equità sociale. Ad esempio si
potrebbe introdurre un sistema che preveda una riduzione
d’imposta per ogni figlio come previsto nei Cantoni Vallese e
Basilea Campagna.
9.
Conclusione
La riforma III, se passerà lo scoglio della votazione popolare,
porterà indubbiamente un bel vantaggio fiscale per tutte
le aziende tassate ordinariamente. Non solo le norme di
accompagnamento ridurranno la base imponibile, ma è
praticamente certo che tutti i Cantoni ridurranno le aliquote
ordinarie per le persone giuridiche. Il rischio è che all’ente
pubblico mancheranno delle risorse importanti per poter
attuare una politica volta allo sviluppo nei vari ambiti (sociale,
economico, territoriale, sanitario, eccetera).
È probabile che le misure accompagnatorie a carattere
sociale adottate nel Canton Vaud abbiano contribuito ad
accrescere il grado di accettazione delle agevolazioni fiscali
concesse alle aziende. Come abbiamo visto anche in Ticino
si potrebbero introdurre delle misure analoghe, ad esempio
aumentando gli importi dell’assegno per i figli, dell’assegno
di formazione e degli assegni integrativi. Per quanto riguarda
la cassa malattia il sistema ticinese sembra già più generoso
rispetto a quello vodese (e anche rispetto a quello di molti
altri Cantoni). Per quanto concerne le misure per il rilancio
occupazionale si potrebbe riprendere l’iniziativa parlamentare generica a favore dell’istituzione di un fondo cantonale
per favorire il lavoro, cambiando unicamente il modo di
finanziamento (occorrerebbe coinvolgere anche le aziende).
Sarebbe inoltre auspicabile mantenere l’indennità straordinaria per disoccupati prevista dalla L-rilocc e ripensare il
sistema di deduzioni sociali, il quale, non è poi così sociale
come sembra.
Ma il Ticino non è il Canton Vaud e, almeno finora, nessuno
ha pensato di proporre misure che, oltre alle aziende, vadano
incontro anche alle famiglie e favoriscano l’occupazione.
A dire il vero sta accadendo esattamente il contrario. La
ormai famosa “manovra di rientro” prevede un parziale smantellamento della socialità (taglio alle borse di studio, rinviato
in commissione in attesa di approfondimenti, riduzione dei
sussidi per la cassa malattia, sospensione dell'indennità straordinaria per disoccupati, eccetera). E questo in un momento
in cui il disagio sociale è sempre più importante. Basti
guardare alle cifre pubblicate dal Dipartimento della sanità
e della socialità relative all’assistenza[26] dalle quali si evince
che il numero dei soggetti a beneficio dell’aiuto sociale è cresciuto dell’11% nell’ultimo anno. Questi dati dovrebbero fare
riflettere anche coloro che non hanno uno spiccato senso
di giustizia sociale, non fosse altro che per evitare l’affossamento della riforma III davanti alle urne. Ricordiamo che la
riforma II fu accolta per una manciata di voti soltanto e che
tale riforma è stata oggetto di molte critiche anche dopo la
sua entrata in vigore.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.20min.ch/images/content/1/5/8/15800240/9/teaserbreit.jpg
[30.10.2016]
https://pbs.twimg.com/media/CaR8NlkWEAEWmTE.jpg [30.10.2016]
http://www.cooperazione.ch/site/presse-cooperazione/displayImageThum
bService/17788650/600x400/R4_lowbudgetb_600.jpg?acitvCropping=true
&multimediaElement=true [30.10.2016]
http://eticinforma.ch/eticinforma/wp-content/uploads/2016/02/tagli-soldi.
jpg [30.10.2016]
11
12
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
[1]Loi modifiant celle du 4 juillet 2000 sur les
impôts directs cantonaux, du 29 septembre 2015,
in: http://www.rsv.vd.ch/rsvsite/rsv_site/doc.pdf
?docId=1207317&Pvigueur=&Padoption=&Pcurr
ent_version=0&PetatDoc=referendum&Pversio
n=&docType=&page_format=A4_3&isRSV=true
&isSJL=true&outformat=pdf&isModifiante=false
[30.10.2016].
[2] Référendum sur le volet vaudois de la réforme
de l’imposition des entreprise («RIE III»), Votation
cantonale du 20 mars 2016, in: http://www.vd.ch/
f ileadmin/user_upload/themes/et at _droit /
votations_elec tions/f ichiers_pdf/Brochurevote-RIE-III_version_web.pdf [30.10.2016].
[3]Risultati della votazione popolare del 20
marzo 2016, in: http://www.elections.vd.ch/
votelec/app2/index.html?id=VDVO20160320
[30.10.2016].
[4] AFC, Riforma III dell’imposizione delle imprese (RI imprese III), in: https://www.estv.admin.
c h/e s t v/i t /h o m e /a l l g e m e i n/s t e u e r p o l i t i k /
fachinformationen/abstimmungen/usr-3.html
[30.10.2016].
[5] DFF, La riforma II dell’imposizione delle imprese, in: https://www.efd.admin.ch/dam/efd/it/
dokumente/alt/steuern/broschueren/unternehm ens s teuer refor mii . p df.dow nlo ad . p df/
la_riforma_ii_dellimposizionedelleimprese.pdf
[30.10.2016].
[6] Foglio federale 2007, pagina 5555.
[7] Raccolta sistematica 2008, pagina 2893.
[8] Raccolta sistematica 2008, pagina 2893.
[9] Articolo 20 capoverso 3 della Legge federale
sull’imposta federale diretta (LIFD) e articolo 19
capoverso 3 della Legge tributaria del Cantone
Ticino (di seguito LT).
[10] Vedi la nota n. 1.
[11] Dipartimento delle finanze e dell’economia –
Divisione delle contribuzioni.
[12]
Iniziativa parlamentare generica IG226,
del 2 febbraio 1998, evasa il 18 settembre 2006,
Imposta comunale delle persone giuridiche
(moltiplicatore cantonale unico), presentata
da Paglia Erto, in: http://www4.ti.ch/poteri/gc/
r i ce r c a-m e s s a g g i-e-a t t i/r i ce r c a /r i s u l t a t i/
d e t t a g l i o / ? r=1 & u s e r_ g c p a r l a m e n t o _
pi8%5Battid%5D=86710&user_gcparlamento_pi8%5Btatid%5D=102&user_gcparlamento_
pi8%5Bricerca%5D=erto%2Bpaglia [30.10.2016].
[13] Disponibile al sito web: http://www.bakbasel.ch/home [30.10.2016].
[14] Foglio federale 2006, pagina 8349 e seguenti,
in: https://www.admin.ch/opc/it/federal-gazette/2006/8349.pdf [30.10.2016].
[15]Risultati della votazione popolare del 28
novembre 2010, in: https://www.admin.ch/ch/i/
pore/va/20101128/index.html [30.10.2016].
[16] BAK Taxation Index für Unternehmen 2015,
in:
http://www.baktaxation.ch/pages/baktaxation-index/unternehmen.php [30.10.2016].
Il BAK Taxation Index misura l’attrattività fiscale
dei Cantoni e dei loro concorrenti internazionali. Questo indicatore tiene in considerazione la
tassazione ordinaria dell’utile e del capitale, così
come, se presenti, le imposte immobiliari. Tiene inoltre in considerazione i vari elementi che
determinano l’utile imponibile (per esempio le
norme per gli ammortamenti).
[17] Il reddito determinante è composto dal reddito netto (dichiarazione cifra 650) al quale va
sommato 1/15 della sostanza netta (dichiarazione
cifra 800).
[18] Riduzione di premio (sussidio) nell’assicurazione sociale malattie per l’anno 2016 (RIPAM),
in: https://www3.ti.ch/DSS/sw/struttura/dss/ias/
upload/pdf/Informazioni%20periodiche/2016%20
Informazioni%20periodiche%20AM%20(riduzione%20premio).pdf [30.10.2016].
[19] Messaggio del Consiglio di Stato del Canton
Ticino, n. 6982, del 10 settembre 2014, Modifica
della legge di applicazione della legge federale del
18 marzo 1994 sull’assicurazione malattie del 26
giugno 1997 (LCAMal), in: http://www4.ti.ch/fileadmin/POTERI/GC/allegati/odg-mes/pdf/M6982.
pdf [30.10.2016].
[20] Si tratta di un semplice esempio. Non fornisce
un quadro completo e tantomeno esaustivo sulle
differenze dei due sistemi.
[21] IAS, Simulatore di calcolo per l’anno, Accertamento del diritto, in: https://www3.ti.ch/DSS/sw/
struttura/dss/ias/Approfondimenti_AM_simulatore_2.php [30.10.2016].
[22] Poniamo il caso che il reddito di 80’000 franchi rappresenta il reddito netto al quale abbiamo
aggiunto 1/15 della sostanza.
[23] IAS, Rimborso della spesa di collocamento del
figlio, in: https://www3.ti.ch/DSS/sw/struttura/
dss/ias/Procedure_guidate_Prestazioni_Rimborso_colloc.htm [30.10.2016].
[24] Iniziativa parlamentare presentata nella forma generica dai Capigruppo di PLR, LEGA, PPD,
VERDI e UDC, “Per l’istituzione di un fondo cantonale per favorire il lavoro”, del 28 maggio 2013, in:
http://www4.ti.ch/fileadmin/POTERI/GC/allegati/inizgeneriche/pdf/IG524.pdf [30.10.2016].
[25] Iniziativa parlamentare presentata nella forma elaborata dai Capigruppo di PLR, LEGA, PPD,
VERDI e UDC, “Per un rilancio dell’amnistia fiscale
cantonale”, del 28 maggio 2013, in: http://www4.
ti.ch/fileadmin/POTERI/GC/allegati/inizelaborate/pdf/IE405.pdf [30.10.2016].
[26]Sostegno sociale in Ticino, giugno 2016, in:
http://www4.ti.ch/fileadmin/DSS/DASF/USSI/
PD F/16 0 6_ DS S _ A s sis t e n z a _ s o cia l e_T i . p d f
[30.10.2016].
Diritto tributario svizzero
Verrechnungssteuer: die neuen
Leiden mit dem alten Art. 23 VStG
Thomas Jaussi
lic. iur., dipl. Steuerexperte
Betriebswirtschaftsingenieur HTL/NDS
Partner, JP Steuer AG, Basel
13
Lynn Winkenbach
Tax Consultant, JP Steuer AG, Basel
Die Verrechnungssteuer weckt Emotionen und Leiden,
wenn sie mangels Rückerstattung neben der Einkommens- und Gewinnsteuer zur ergänzenden definitiven
Belastung von 35 Prozent wird. „Pièce de résistance“ ist die
Anwendung der Deklarationsklausel von Art. 23 VStG:
Oft scheitert eine Rückerstattungsberechtigung einer
inländischen natürlichen Person als Leistungsempfänger an der verlangten ordnungsgemässen Deklaration.
Die ESTV[1] legt Art. 23 VStG eng aus mit der Folge, dass
der Verrechnungssteuer in vielen Fällen ein pönaler
Charakter zukommt, welcher dem Grundgedanken
einer Sicherungssteuer nicht (mehr) gerecht wird
1.
Einleitung
Die Verrechnungssteuer hat im Inlandverhältnis einen
einzigartigen Hauptzweck: Sie sichert die allgemeine
Einkommenssteuer u.a. auf bestimmten Kapitalerträgen
unter Einschluss des Ertrages aus Beteiligungsrechten, also
z.B. Dividenden oder geldwerten Leistungen. Deshalb wird die
Verrechnungssteuer von ihrem Grundsystem her in einer ersten
Phase an der Quelle – nämlich beim inländischen Schuldner der
steuerbaren Leistung – erhoben und aufgrund der zwingenden
Überwälzung in einer zweiten Phase dem steuerehrlichen
inländischen Leistungsempfänger zurückerstattet[2]. Für
ausländische Empfänger hat die Verrechnungssteuer ausserhalb
des Schutzbereichs eines Doppelbesteuerungsabkommens
(DBA) oder eines anderen Staatsvertrages grundsätzlich
einen Fiskalzweck: Kann keine oder nur eine teilweise
Rückerstattung beantragt werden, verbleibt eine definitive
Verrechnungssteuerbelastung[3].
Obwohl das Rückerstattungsrecht auf den ersten Blick
einfach ausgestaltet ist, stellen sich heute in diesem Bereich
erhebliche Anforderungen. Eine „falsche“ Handhabung kann zu
einem Wegfall der Rückerstattungsberechtigung führen und
somit verursachen, dass die Verrechnungssteuer als definitive
Steuerbelastung anfällt. Insbesondere für natürliche inländische Personen als Leistungsempfänger einer verrechnungssteuerpflichtigen Leistung muss vermieden werden, dass die
Verrechnungssteuer aufgrund eines Verstosses gegen die
Deklarationsklausel von Art. 23 des Bundesgesetzes vom 13.
Oktober 1965 über die Verrechnungssteuer (VStG) zur definitiven Steuer, zur „Defraudantensteuer“ wird.
Graphik 1: Grundkonzeption der Verrechnungssteuer
Inländischer
Leistungsschuldner
(Steuersubjekt)
Steuerbare Leistung
(Steuerobjekt)
Empfänger
der steuerbaren
Leistung
Geschuldete Bruttoleistung
./.
Verrechnungssteuer
=
Nettoleistung
Ablieferung
der Verrechnungssteuer
Überwälzung
Für die
Steuererhebung
zuständige
Steuerbehörde
Verrechnungssteuer-Erhebungsverfahren
Rückerstattung
der Verrechnungssteuer
Für die
Steuerrückerstattung
zuständige
Steuerbehörde
Verrechnungssteuer-Rückerstattungsverfahren
Verrechnungssteuerverfahren
14
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
2.
Die rechtlichen Grundlagen der Rückerstattung im
Inlandverhältnis
Das Steuersubjekt einer verrechnungssteuerpflichtigen
Leistung, also deren Schuldner, ist zwingend Inländer [4].
Hat der Leistungsempfänger ebenfalls Sitz oder Wohnsitz
in der Schweiz, liegt ein rein inländisches Rückerstattungsverhältnis vor. Grundlage für eine solche „nationale“ Rückerstattung sind die Art. 21 bis 33 VStG. Konkret
enthalten diese Bestimmungen das materielle Recht über
die Rückerstattung der Verrechnungssteuer auf Erträgen
beweglichen Kapitalvermögens und Lotteriegewinnen
(Art. 21 bis 32 VStG) und Versicherungsleistungen (Art. 33
VStG). Die für die Rückerstattung durch einen inländischen
Leistungsempfänger in Bezug auf Beteiligungsertrag zu
erfüllenden Voraussetzungen gemäss Art. 21 ff. VStG sind:
◆◆ Steuerliche Zugehörigkeit des Leistungsempfängers zur
Schweiz auf Grund von Wohnsitz oder Aufenthalt im
Fall von natürlichen Personen (Art. 22 Abs. 1 VStG) oder
statutarischem Sitz im Fall von juristischen Personen und
Handelsgesellschaften ohne Rechtspersönlichkeit (Art. 24
Abs. 2 VStG) in der Schweiz und dadurch das Vorliegen einer
unbeschränkten Steuerpflicht bei den direkten Steuern.
◆◆ Der Leistungsempfänger muss das Recht zur Nutzung
am verrechnungssteuerbelasteten Ertrag bzw. am diesen
Ertrag generierenden Vermögenswert haben (Art. 21 Abs.
1 Bst. a VStG).
◆◆ Natürliche Personen müssen Ertrag und Vermögenswert
frist- und formgerecht für die Zwecke der Einkommensund Vermögenssteuern deklariert haben (Art. 23 VStG)
und juristische Personen und Handelsgesellschaften ohne
Rechtspersönlichkeit[5] müssen die verrechnungssteuerbelasteten Einkünfte ordnungsgemäss als Ertrag verbucht
haben (Art. 25 Abs. 1 VStG).
◆◆ Der Rückerstattungsanspruch muss innert drei Kalenderjahren nach dem Jahr, in dem die steuerbare Leistung
fällig geworden ist, gestellt werden (vgl. Art. 32 Abs. 1 VStG).
◆◆ Die Rückerstattung darf nicht zu einer Steuerumgehung
führen (Art. 21 Abs. 2 VStG).
Die Rückerstattungsvoraussetzungen müssen grundsätzlich bei
Fälligkeit der steuerbaren Leistung erfüllt sein, das heisst in dem
Zeitpunkt, in dem sowohl die Verrechnungssteuerforderung als
auch der entsprechende Rückerstattungsanspruch entstehen
(Art. 12 VStG)[6].
3.
Die Verbuchungsklausel von Art. 25 Abs. 1 VStG
Neben den anderen Voraussetzungen von Art. 21 ff. VStG [7]
muss eine juristische Person den Anforderungen an die sog.
Verbuchungsklausel von Art. 25 Abs. 1 VStG genügen. Diese
lautet wie folgt: „Juristische Personen, Handelsgesellschaften ohne
juristische Persönlichkeit und ausländische Unternehmen mit inländischer Betriebsstätte (Art. 24 Abs. 2-4 VStG), welche die mit der
Verrechnungssteuer belasteten Einkünfte nicht ordnungsgemäss als
Graphik 2: Voraussetzungen für die Rückerstattung der Verrechnungssteuer
am Beispiel von Dividenden in nationalen und internationalen Verhältnissen
Rückerstattung im Inland
Internationale Rückerstattung
Art. 21 ff. VStG
Art. 10 DBA
Art. 15 DBA
Zinsbesteuerungsabkommen
Inländischer
Leistungsempfänger
Ausländischer
Leistungsempfänger
Ausländische
Muttergesellschaft
Inländischer
Leistungsschuldner
Inländischer
Leistungsschuldner
Inländischer
Leistungsschuldner
◆ Wohnsitz (Art. 22. Abs. 1 VStG)
/Sitz in der Schweiz (Art. 24 Abs. 2 VStG)
◆ Recht zur Nutzung (Art. 21 Abs. 1 Bst. a VStG)
◆ Ordnungsgemässe Deklaration (Art. 23 VStG)
bzw. ordnungsgemässe Verbuchung
(Art. 25 Abs. 1 VStG)
◆ Keine Steuerumgehung gemäss
Art. 21 Abs. 2 VStG
◆ Keine Verwirkung aufgrund Zeitablaufs
(Art. 32 Abs. 1 VStG)
◆ Ansässigkeit des Leistungsempfängers
im DBA-Vertragsstaat
◆ Ansässigkeitsbescheinigung der
ausländischen Steuerbehörde
◆ Recht zur Nutzung bzw.
„beneficial ownership“
◆ Kein Missbrauch
◆ Für privilegierte Rückerstattung:
◆ Minimalbeteiligungsquote
◆ Gesellschaftsform (Kapitalgesellschaften)
◆ Ev. Haltedauer an Beteiligung
◆ Mutter- und Tochtergesellschaft
weisen Form einer Kapitalgesellschaft auf
◆ Haltedauer von zwei Jahren an Beteiligung
◆ Mindestquote von 25 Prozent am
Gesellschaftskapital der Tochtergesellschaft
◆ Ansässigkeit der Muttergesellschaft in der EU
◆ Weder Mutter- noch Tochtergesellschaft
sind in einem Drittstaat ansässig
◆ Keine Befreiung von der Körperschaftssteuer
◆ Kein Missbrauch
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
Ertrag verbuchen, verwirken den Anspruch auf Rückerstattung der
von diesen Einkünften abgezogenen Verrechnungssteuer“.
eine neue Frist von 60 Tagen zur Einreichung des betreffenden Rückerstattungsantrages.
Zentral ist somit aus Rückerstattungssicht die ordnungsgemässe Verbuchung der verrechnungssteuerbelasteten
Leistungen[8]. Folgendes Beispiel zeigt dies auf: Die inländische Grosszügig-AG hat ihrer ebenfalls in der Schweiz domizilierten Schwestergesellschaft, der Schulden-AG, ein Darlehen
gewährt, welches als verdecktes Eigenkapital qualifiziert[9].
Aus diesem Grund wird der Zins bei der Darlehensnehmerin
nicht als geschäftsmässig begründeter Aufwand anerkannt, sondern zum steuerbaren Gewinn aufgerechnet.
Zudem stellt dieser Zins aus Sicht der Darlehensnehmerin
eine geldwerte Leistung im Sinne von Art. 4 Abs. 1 Bst. b
VStG dar. Diesen Sachverhalt stellt die ESTV im Jahr 2016
für die Jahre 2013-2015 fest. Aus Sicht der aufgrund der
Direktbegünstigungstheorie verrechnungssteuerlich massgebenden Leistungsempfängerin, der Grosszügig-AG, ergeben
sich für die Rückerstattung keine Probleme in Bezug auf
Art. 25 Abs. 1 VStG: Sie hat sowohl das Darlehen als auch
die erhaltenen Zinsen korrekt verbucht. Aus diesem Grund
erfüllt sie die Voraussetzung von Art. 25 Abs. 1 VStG und ihr
Rückerstattungsanspruch ist deshalb nicht wegen Verstosses
gegen die Verbuchungsklausel verwirkt.
4.
Die Deklarationsklausel von Art. 23 VStG als Rückerstattungsvoraussetzung
Bei inländischen juristischen Personen als Leistungsempfängerinnen kann unter Umständen die dreijährige
Verwirkungsfrist von Art. 32 Abs. 1 VStG ein Rückerstattungshindernis sein. Hier ist auf Art. 32 Abs. 2 VStG
hinzuweisen. Die ordentliche Verjährungsfrist für die
Steuererhebung beträgt nämlich fünf Jahre[10]. Wird aber die
Verrechnungssteuer erst aufgrund einer Beanstandung der
ESTV entrichtet und überwälzt, und ist die drei-Jahres-Frist
von Art. 32 Abs. 1 VStG bereits abgelaufen oder verbleiben
von der Entrichtung der Steuer bis zu ihrem Ablauf nicht mindestens 60 Tage, so beginnt mit der Entrichtung der Steuer
4.1.
Grundlagen und Praxisverständnis der ESTV
Der inländische Leistungsempfänger einer verrechnungssteuerbelasteten Leistung kann die Rückerstattung beantragen, wenn er die Voraussetzungen von Art. 21 ff. VStG
erfüllt. Eine Voraussetzung bei natürlichen Personen ist die
ordnungsgemässe Deklaration. Art. 23 VStG hält hierzu
fest: „Wer mit der Verrechnungssteuer belastete Einkünfte oder
Vermögen, woraus solche Einkünfte fliessen, entgegen gesetzlicher
Vorschrift der zuständigen Steuerbehörde nicht angibt, verwirkt den
Anspruch auf Rückerstattung der von diesen Einkünften abgezogenen Verrechnungssteuer“.
Art. 23 VStG spricht von „entgegen gesetzlicher Vorschrift“; in der
Praxis wird hierfür der Ausdruck „ordnungsgemässe Deklaration“
verwendet. Darunter ist die form- und fristgerechte
Deklaration bei den Einkommens- und Vermögenssteuern
zu verstehen. Das Bundesgericht hat festgehalten, dass
das Schutzobjekt von Art. 23 VStG das direktsteuerliche
Veranlagungsverfahren, konkret Art. 124 Abs. 2 und Art. 125
Abs. 1 des Bundesgesetzes vom 14. Dezember 1990 über die
direkte Bundessteuer (DBG), sei[11].
Die ESTV hat ihr Verständnis einer „ordnungsgemässen
Deklaration“ wie folgt konkretisiert [12]:
◆◆ Die mit der Verrechnungssteuer belasteten Einkünfte
sowie das Vermögen, woraus solche Einkünfte fliessen,
gelten dann als ordnungsgemäss deklariert, wenn die
Graphik 3: Zeitlicher Zusammenhang zwischen Steuererhebung und Steuerrückerstattung
Jahr 0
Jahr 1
Jahr 2
Jahr 3
Jahr 4
Jahr 5
5-jährige Verjährungsfrist von Art. 17 Abs. 1 VStG
Jahr 1
Jahr 2
Jahr 3
Jahr 4
Jahr 5
3-jährige Verwirkungsfrist von Art. 32
Abs. 2 VStG
Jahr 3
Fälligkeit steuerbare
Leistung/Entstehung
der Verrechnungssteuerforderung
Verwirkung der
Rückerstattung aufgrund
Fristablaufs
Anwendungsbereich der
60-tägigen Nachfrist von
Art. 32 Abs. 2 VStG
Jahr 4
Jahr 5
Verjährung der
Verrechnungssteuerforderung
15
16
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
steuerpflichtige Person sie in der ersten Steuererklärung,
welche nach Fälligkeit der steuerbaren Leistung bei der
zuständigen Steuerbehörde einzureichen ist, deklariert.
◆◆ Ausserdem gelten die mit der Verrechnungssteuer
belasteten Einkünfte, welche spontan von der steuerpflichtigen Person nach Einreichung der massgebenden Steuererklärung, aber spätestens bis zum Eintritt der ordentlichen
Veranlagung deklariert werden, ebenfalls noch als im Sinne
von Art. 23 VStG ordnungsgemäss deklariert.
Folglich gilt als nicht ordnungsgemässe Deklaration im Sinne
von Art. 23 VStG:
dass diese Dividende nicht in bar entrichtet worden ist,
sondern mit dem Kontokorrent von Herrn Pech verrechnet
wurde. Die Pech-AG hat die Verrechnungssteuer mit Formular
103 deklariert und an die ESTV abgeliefert. Im Januar 2016
fragt die kantonale Steuerverwaltung nach, weshalb diese
Dividende in der Steuererklärung von Herrn Pech nicht deklariert worden ist. Der Treuhänder klärt den Irrtum auf und
nimmt eine Nachdeklaration vor. Die Dividende wird natürlich einkommenssteuerlich erfasst; die Rückerstattung der
Verrechnungssteuer wird gestützt auf das KS Nr. 40 und die
neueste bundesgerichtliche Praxis[13] nicht gewährt, weil die
Nachdeklaration der Dividende erst aufgrund einer Nachfrage
der Steuerbehörde erfolgte.
Graphik 4: Grundsatzregelung gemäss KS Nr. 40
1. Grundsatz
Ausweis in der ersten Steuererklärung nach Fälligkeit der Erträge
2. Ausnahme
Spontane Meldung nach Einreichung der Steuererklärung,
aber spätestens vor Eintritt der Rechtskraft
3. Ausnahme
von der Ausnahme
Deklarationsfehler werden durch die Verwaltung entdeckt
◆◆ Eine Deklaration, welche nicht voranstehenden Regeln an
eine ordnungsgemässe Deklaration genügt, gilt als nicht
ordnungsgemäss. Dies betrifft insbesondere die folgenden Fälle:
◆◆
◆◆
Die Deklaration der mit der Verrechnungssteuer belasteten Einkünfte erfolgt (auch im Rahmen einer straflosen
Selbstanzeige) nach Eintritt der Rechtskraft der ordentlichen Veranlagung.
Die Deklaration der mit der Verrechnungssteuer belasteten Einkünfte erfolgt aufgrund einer Anfrage, Anordnung
oder sonstigen Intervention der Steuerbehörde und
mithin ungeachtet der Tatsache, dass die ordentliche
Veranlagung noch nicht rechtskräftig ist, nicht spontan,
aus eigenem Antrieb.
4.2.
Fallbeispiel „Irrtum“
Die Pech-AG schüttet seit Jahren eine Dividende von jeweils
CHF 120’000 pro Geschäftsjahr aus. Im Jahr 2015 hat
der langjährige Treuhänder, welcher die Steuererklärung
der Pech-AG sowie von Herrn Pech erstellt, einen Unfall.
Notfallmässig übernimmt ein neuer Treuhänder die Aufgabe,
die Steuererklärung von Herrn Pech unmittelbar vor Ablauf der
nicht mehr erstreckbaren Einreichefrist für die Steuerperiode
2014 zu erstellen und im Dezember 2015 einzureichen. Er
übersieht, dass die Pech-AG auch für das Geschäftsjahr 2013
eine Dividende ausgeschüttet hat und deklariert deshalb nur
die Aktien an der Pech-AG. Hintergrund ist unter anderem,
Gestützt auf die vom Bundesgericht geschützte Rückerstattungspraxis ist der Entscheid korrekt. Angesichts der Tatsachen,
◆◆ dass die Pech-AG jährlich Dividenden ausschüttet;
◆◆ immer ihrer verrechnungssteuerlichen Deklarations- und
Steuerablieferungspflicht nachgekommen ist;
◆◆ Herr Pech sowohl die Aktien an der Pech-AG als auch die
Dividenden immer deklariert hat;
◆◆ die irrtümliche Nichtdeklaration der Dividende in der
Steuerperiode 2014 erklärbar ist;
◆◆ und es keinen Sinn macht, auf 35 Prozent Verrechnungssteuer zu verzichten in Bezug auf eine Dividende, welche
aufgrund des Teilbesteuerungsverfahrens einem maximalen Steuersatz von rund 20 Prozent unterliegt,
kann der Entscheid der Verweigerung der Rückerstattung nicht
nachvollzogen werden. So sieht aber die Realität heute aus.
4.3.
Fallbeispiel „Personalverleih“
4.3.1.
Sachverhalt
Die Muster AG gehört vollumfänglich Herr Muster. Neben
ihrer operativen Geschäftstätigkeit stellt die Muster AG Herrn
Muster auch Personal für dessen persönliche Bedürfnisse
zur Verfügung (Krankenschwester, Sekretär, Raumpflegerin,
Chauffeur, Butler, etc.). Sämtliche Kosten für dieses Personal
werden von der Muster AG mit einem Gewinnzuschlag in
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
Rechnung gestellt. Diese Kostenverrechnung wurde im Rahmen
einer Buchprüfung der Muster AG für die Steuerperioden 2012,
2013 und 2014 von der kantonalen Steuerverwaltung kritisch
hinterfragt und schliesslich nach detaillierter Prüfung als dem
Drittvergleich entsprechend befunden. Folglich wurden die
Muster AG und Herr Muster für diese Steuerperioden ohne
Aufrechnungen veranlagt. Eine im Jahr 2015 durchgeführte
Mehrwertsteuer (MWST)-Revision der Muster AG führte nach
Prüfung derselben Unterlagen zu Aufrechnungen von CHF
150’000 mit der Begründung, die Kostenweiterverrechnung
sei nicht ausreichend. Angesichts des MWST-Satzes von 8
Prozent hat die Muster AG aus Kostengründen auf ein aufwendiges Rechtsmittelverfahren verzichtet und die Aufrechnung
„zähneknirschend“ anerkannt. Wäre dem nur nicht so gewesen.
Die Muster AG wurde nämlich von der ESTV erneut angeschrieben. Die ESTV, Hauptabteilung Direkte Bundessteuer,
Verrechnungssteuer und Stempelabgaben (DVS), machte
geltend:
◆◆ Aus einer Meldung der Hauptabteilung MWST geht hervor,
dass Lohnkosten von Angestellten nicht ordnungsgemäss
weiterverrechnet worden sind.
◆◆ Auf der geldwerten Leistung von CHF 150’000 ist die
Verrechnungssteuer von 35 Prozent geschuldet, also CHF
52’500 (unter Annahme der nachträglichen Überwälzung
auf den Leistungsempfänger).
◆◆ Eine Rückerstattung der Verrechnungssteuer kann voraussichtlich nicht erfolgen, müsste aber im Anschluss an einen
entsprechenden Rückerstattungsantrag geprüft werden.
◆◆ Es ist nicht auszuschliessen, dass das Vorgehen der Muster
AG strafrechtliche Folgen nach sich zieht, worüber gegebenenfalls entsprechend informiert wird.
von Eigenkapital gestützt auf Beteiligungsrecht zum
Gegenstand. Die zwei Steuern sind unterschiedlich konzipiert: Es geht deshalb nicht an, wenn einzig gestützt
auf eine mehrwertsteuerliche Beurteilung eine konkrete
Verrechnungssteuerqualifikation vorgenommen wird.
Dagegen ist der Begriff einer geldwerten Leistung für die
Gewinnsteuern und die Verrechnungssteuer grudsätzlich identisch. Die Tatsache, dass aufgrund einer Revision
der für die Gewinnsteuern zuständigen kantonalen
Steuerverwaltung nach ausdrücklicher Überprüfung der
Personalkostenverrechnung keine Aufrechnung bei der
Muster AG erfolgt ist, darf deshalb vom Steuerpflichtigen
grundsätzlich als Anlass genommen werden, dass der
entsprechende Ertrag korrekt abgebildet worden ist. Aus
diesem Grund sind wir der Ansicht, dass angesichts des
Selbstdeklarationsprinzips der Verrechnungssteuer der Muster
AG keine Hinterziehungsabsicht vorgeworfen werden kann.
Zudem muss für die Annahme einer geldwerten Leistung die
ESTV beweisen, dass die hierfür gemäss Bundesgerichtspraxis
definierten konstitutiven Voraussetzungen tatsächlich erfüllt
sind[14]. Massgebend hierfür ist einzig das VStG und die
entsprechende Lehre und Rechtsprechung zum Begriff der
geldwerten Leistung bei der Verrechnungssteuer und der
Gewinnsteuer.
4.3.2.
Streitfrage Steuererhebung
Die Hauptabteilung DVS der ESTV beruft sich (einzig) auf die
Meldung der Hauptabteilung MWST. Nur gestützt darauf will
die ESTV die Verrechnungssteuer von der Muster AG einfordern. Dieser Ansicht kann nicht zugestimmt werden:
◆◆ Die Verrechnungssteuer ist eine Selbstveranlagungssteuer.
◆◆ Wenn ein Steuerpflichtiger der Ansicht ist, dass keine verrechnungssteuerpflichtige Leistung vorliegt, hat er gemäss
dem Selbstdeklarationsprinzip auch keine Deklaration
vorzunehmen und keine Steuer zu entrichten.
◆◆ Im konkreten Fall ist die Muster AG der Ansicht, dass
grundsätzlich kein Steuerobjekt der Verrechnungssteuer
im Sinne von Art. 4 Abs. 1 Bst. b VStG in Bezug auf die
Personalkosten gegeben ist.
◆◆ Insbesondere kann von der ESTV nicht behauptet werden, dass eine verrechnungssteuerpflichtige Leistung
der Muster AG vorliegt, einzig weil mehrwertsteuerlich
eine andere Beurteilung der Kostenverrechnung stattgefunden hat. Sowohl die Mehrwertsteuer als auch
die Verrechnungssteuer sind autonome, selbständige
Steuern, welche unabhängig voneinander zu beurteilen
sind. Die Mehrwertsteuer ist eine Nettoallphasensteuer,
welche grundsätzlich auf dem Umsatz als Steuerobjekt
beruht. Die Verrechnungssteuer hat in Bezug auf das
Steuerobjekt von Art. 4 Abs. 1 Bst. b VStG die Ausschüttung
4.3.3.
Streitfrage Steuerrückerstattung
Herr Muster hat die Aktien an der Muster AG immer deklariert. Aufgrund des Revisionsbefundes der kantonalen
Steuerverwaltung wurden bei ihm für die Einkommenssteuer
selbstverständlich keine Aufrechnungen in Bezug auf die
Personalausleihe vorgenommen bzw. kein „Beteiligungsertrag“
deklariert. Der Hinweis der ESTV in ihrem Schreiben, dass eine
Rückerstattung voraussichtlich nicht erfolgen kann, bezieht
sich auf einen Verstoss gegen Art. 23 VStG. Da im konkreten
Fall einkommenssteuerlich kein Vermögensertrag vorliegt,
konnte in Bezug auf die von der ESTV jetzt nachträglich
geltend gemachten geldwerten Leistungen überhaupt keine
Deklaration erfolgen: Einkommenssteuerlich wurde kein
entsprechendes Einkommen realisiert und kann und muss
folglich keine Deklaration erfolgen.
Das Vorgehen der ESTV in diesem konkreten Fall führt
dazu, dass überhaupt nicht sichergestellt ist, welche Regeln
rückerstattungsrechtlich Anwendung finden. In Bezug
auf Art. 23 VStG hat das Bundesgericht festgehalten, dass
17
18
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
das Schutzobjekt dieser Bestimmung das direktsteuerliche Veranlagungsverfahren, namentlich Art. 124 Abs.
2 und Art. 125 Abs. 1 DBG, ist. Es kann somit nicht sein,
dass gemäss Qualifikation der zuständigen kantonalen
Steuerverwaltung kein Einkommen für die Einkommensund Gewinnsteuern vorliegt und mithin direktsteuerlich eine
korrekte Deklaration bzw. eben „Nicht-Deklaration“ erfolgt,
während die ESTV die Ansicht vertritt, verrechnungssteuerlich läge Vermögensertrag vor, und gestützt darauf
von einer – zumindest potentiellen – Verwirkung des
Rückerstattungsrechts wegen Verstosses gegen Art. 23
VStG ausgeht. Abgesehen davon, dass dies zu stossenden
und willkürlichen Resultaten führt, wird dadurch auch die
Verrechnungssteuer ihres Zweckes als Sicherungssteuer
beraubt und in unzulässiger Weise als Fiskalsteuer
missbraucht. Erhebungsseitig mag die ESTV autonom
sein und selbständig entscheiden, ob sie eine andere
Qualifikation vornimmt als die kantonale Steuerverwaltung
für die Gewinn- und die Einkommenssteuern. Dennoch
sollte angesichts der grundsätzlichen Begriffsidentität
von geldwerten Leistungen auch erhebungsseitig keine
andere Beurteilung für die Verrechnungssteuer und die
Gewinnsteuer erfolgen. Rückerstattungsrechtlich kann
unserer Meinung nach aber einzig die Qualifikation
der zuständigen kantonalen Steuerverwaltung für die
Einkommenssteuer massgebend sein:
◆◆ Art. 23 VStG verlangt eine ordnungsgemässe einkommens- und vermögenssteuerliche Deklaration. Diese
Deklaration hängt somit von der direktsteuerlichen
Beurteilung eines Sachverhalts ab und nicht von dessen erhebungsseitigen verrechnungssteuerlichen oder
sogar mehrwertsteuerlichen Qualifikation. Die konkrete
direktsteuerliche Beurteilung durch die hierfür zuständige
kantonale Steuerverwaltung muss massgebend sein.
◆◆ Es steht der ESTV folglich auch nicht an, zu entscheiden, was eine direktsteuerlich ordnungsgemässe
Deklaration ist. Diese Kompetenz steht den kantonalen
Steuerverwaltungen zu. Sind diese der Ansicht, dass kein
Vermögensertrag zu deklarieren ist, so kann einzig diese
direktsteuerliche Qualifikation in Bezug auf Art. 23 VStG
massgebend sein. Selbst wenn die ESTV erhebungsseitig
das Vorliegen einer geldwerten Leistung bejaht, vermag
diese verrechnungssteuerliche Beurteilung unserer
Meinung nach keinen Einfluss auf die direktsteuerliche
Beurteilung, was eine ordnungsgemässe Deklaration ist, im
Lichte der Deklarationsklausel von Art. 23 VStG zu haben.
5.
Achtung Buchprüfung
5.1.
Allgemeine Grundsätze
Anders als die Konstellation im vorstehenden Beispiel der
Muster AG ist der Fall zu beurteilen, dass die zuständige kantonale Steuerverwaltung bei ihrer Buchprüfung zum Schluss
kommt, die Kostenweiterverrechnung sei nicht korrekt, und
deshalb von einer Ertragsaufrechnung und folglich von einer
geldwerten Leistung ausgeht. Spätestens im Zeitpunkt,
indem der gewinnsteuerliche Entscheid über diese geldwerte
Leistung zu Gunsten des Fiskus in Rechtskraft erwachsen
ist, muss davon ausgegangen werden, dass auch eine verrechnungs- und einkommenssteuerpflichtige geldwerte
Leistung vorliegt. Konkret bedeutet dies:
◆◆ Im Rahmen des für die Verrechnungssteuer geltenden
Selbstdeklarationsprinzips muss die steuerpflichtige
Gesellschaft, also die Muster AG, auf der geldwerten
Leistung auch spontan die Verrechnungssteuer gegenüber
der ESTV deklarieren und abliefern.
◆◆ Zudem muss die Überwälzung auf den Leistungsempfänger
nachgeholt werden; ansonsten wird eine sog. Aufrechnung
ins Hundert vorgenommen (effektive geldwerte
Leistung/65x100; davon 35 Prozent Verrechnungssteuer)
mit der Folge, dass die Verrechnungssteuer tatsächlich
53.8 Prozent der erbrachten geldwerten Leistung beträgt.
◆◆ Beim
Aktionär
liegt
einkommenssteuerpflichtiger Vermögensertrag vor, welcher – sollte bereits
eine rechtskräftige Veranlagung erfolgt sein – im
Nachsteuerverfahren erfasst wird; im Falle eines noch
offenen Veranlagungsverfahrens obliegt es dem
Aktionär, eine Nachmeldung vorzunehmen. Sollte er dies
nicht zeitunmittelbar tun, muss er damit rechnen, mit
Steuerhinterziehungsabsicht konfrontiert zu werden.
◆◆ Ungeachtet davon, ob bereits eine rechtskräftige
Veranlagung des Aktionärs erfolgt ist oder nur die
Steuererklärung ohne Deklaration der geldwerten
Leistung eingereicht worden ist und eine Nachmeldung
erfolgt, wird in Bezug auf die Rückerstattung das
Kreisschreiben Nr. 40 angewandt werden mit der Folge,
dass keine spontane Nachdeklaration möglich ist und
der Rückerstattungsanspruch gestützt auf Art. 23 VStG
deshalb als verwirkt gilt und die Verrechnungssteuer zur
definitiven Steuerbelastung wird.
5.2.
Vorsicht Verrechnungssteuerhinterziehung
In Bezug auf die Verrechnungssteuer muss bei dieser zweiten
Fallkonstellation auf das Selbstdeklarationsprinzip und die sich
daraus ergebenden Folgen hingewiesen werden: Sobald die
Muster AG endgültig weiss, dass sie gewinnsteuerlich eine
geldwerte Leistung erbracht hat, ist sie verpflichtet, auch
die Verrechnungssteuer korrekt handzuhaben. Das Wissen
über eine geldwerte Leistung kann der Muster AG spätestens
mit Eintritt der Rechtskraft der Gewinnsteuerveranlagung
zugewiesen werden. Erfolgt dennoch keine Deklaration (mit
Formular 102) und Ablieferung der Verrechnungssteuer,
so besteht ein erhebliches Risiko, dass die ESTV die
Voraussetzungen für das Vorliegen einer Steuerhinterziehung
im Sinne von Art. 61 Bst. a VStG als erfüllt betrachten wird.
Eine solche Hinterziehung begeht, wer vorsätzlich oder
fahrlässig, zum eigenen oder zum Vorteil eines anderen, dem
Bund Verrechnungssteuer vorenthält. Der Vollständigkeit halber sei darauf hingewiesen, dass die strafrechtlichen Folgen
einer Verrechnungssteuerhinterziehung grundsätzlich bei den
handelnden natürlichen Personen eintreten und nicht bei der
Muster AG als Verrechnungssteuersubjekt [15].
In der Praxis wird bei solchen Fallkonstellationen oft auf eine
verrechnungssteuerliche „Nachdeklaration“ verzichtet mit der
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
Begründung, dass die Gewinn- und die Einkommenssteuern
ja entrichtet worden sind und die Verrechnungssteuer somit
angesichts ihres Sicherungszweckes nicht mehr anfallen
könne. So verständlich diese Betrachtungsweise insbesondere angesichts der Tatsache, dass in den meisten Fällen
wegen Verletzung von Art. 23 VStG keine Rückerstattung
gewährt wird, auch ist, widerspricht sie der Konzeption der
Verrechnungssteuer und führt dazu, dass angesichts des
Selbstdeklarationsprinzips bei der Verrechnungssteuer das
Risiko eines Strafverfahrens wegen Steuerhinterziehung
erheblich ist. Die Tatsache, dass die Gewinn- und
Einkommenssteuern entrichtet worden sind oder werden,
ändern nichts daran, dass die Verrechnungssteuer dennoch
geschuldet ist. Leider wird der Wechsel der Verrechnungssteuer
von der Sicherungssteuer zur „Defraudantensteuer“ gemäss
ihrer konzeptionellen Ausgestaltung von der ESTV konsequent und mit Härte praktiziert, mit der Folge, dass die
Verrechnungssteuer einen pönalen Charakter erhält und
zusätzlich Straffolgen eintreten können.
5.3.
Meldeverfahren?
In der Praxis wird oft die Meinung vertreten, die
Verrechnungssteuer sei bei einer Buchprüfung durch
die kantonale Steuerverwaltung kein Risiko, weil die
Verrechnungssteuerpflicht, sofern die ESTV im Anschluss an
die gewinnsteuerliche Aufrechnung eine Forderung geltend
macht, gestützt auf Art. 24 Abs. 1 Bst. a der Verordnung
vom 19. Dezember 1966 über die Verrechnungssteuer (VStV)
durch Meldung erfüllt werden könne. Diese Bestimmung ist
wie folgt: „Der Gesellschaft oder Genossenschaft kann auf Gesuch
hin gestattet werden, ihre Steuerpflicht durch Meldung der steuerbaren Leistung zu erfüllen (Art. 20 VStG), wenn die anlässlich einer
amtlichen Kontrolle oder Buchprüfung geltend gemachte Steuer eine
Leistung betrifft, die in einem Vorjahre fällig geworden ist“.
Abgesehen davon, dass eine Buchprüfung der ESTV und nicht
der kantonalen Steuerbehörde vorausgesetzt ist, ist auf Art.
24 Abs. 2 VStV hinzuweisen, welcher folgendes bestimmt:
„Das Meldeverfahren ist in allen Fällen nur zulässig, wenn feststeht, dass die Personen, auf die die Steuer zu überwälzen wäre
(Leistungsempfänger), nach Gesetz oder Verordnung Anspruch auf
Rückerstattung dieser Steuer hätten, und wenn ihre Zahl zwanzig
nicht übersteigt“.
Da gerade bei geldwerten Leistungen an natürliche Personen
die Rückerstattung wegen Verletzung der Deklarationsklausel
von Art. 23 VStG nicht gewährt wird, kann auch das
Meldeverfahren von Art. 24 Abs. 1 Bst. a VStV angesichts
von Art. 24 Abs. 2 VStV nicht angewandt werden. Die
Verrechnungssteuerpflicht ist folglich und ungeachtet der
Tatsache, dass in den meisten Fällen keine Rückerstattung
gewährt wird, durch Steuerablieferung zu erfüllen.
6.
Fazit
Das Schutzobjekt von Art. 23 VStG ist zweifelsohne das direktsteuerliche Veranlagungsverfahren. Es wird nicht bestritten,
dass Art. 23 VStG eine direktsteuerlich ordnungsgemässe
Deklaration verlangt. Die heutige Einschränkung der
Deklarationsklausel primär auf Art. 124 Abs. 2 DBG erscheint
jedoch als zu eng. Art. 23 VStG spricht konkret von einer
Deklaration, welche „entgegen den gesetzlichen Vorschriften“
erfolgt und bezieht sich somit auf das – gesamte – direktsteuerliche Veranlagungsverfahren. Die Praxis zu Art. 23 VStG
übersieht, dass die direktsteuerlichen Mitwirkungspflichten
bzw. die ordnungsgemässe Deklarationspflicht u.a. auch
Art. 124 Abs. 3 DBG umfassen, der wie folgt lautet: „Der
Steuerpflichtige, der die Steuererklärung nicht oder mangelhaft
ausgefüllt einreicht, wird aufgefordert, das Versäumte innert angemessener Frist nachzuholen“.
Das Veranlagungsverfahren der direkten Steuern sieht somit
mit der Bestimmung von Art. 124 Abs. 3 DBG im Falle einer
mangelhaften Steuererklärung bzw. sogar im Falle einer
nicht eingereichten Steuererklärung selber vor, dass der
Steuerpflichtige zur Nachholung des Versäumten aufgefordert
wird[16]. Im Falle von unvollständig oder formell unrichtigen
Steuererklärungen und Wertschriftenverzeichnissen werden diese von Gesetzes wegen den Steuerpflichtigen zur
Ergänzung zurückgegeben, sofern die Veranlagungsbehörde
die unbedingt notwendigen Ergänzungen oder Berichtigungen
nicht selbst vornehmen kann. Der steuerpflichtigen Person
wird von Gesetzes wegen zur Behebung der Mängel eine
angemessene Frist angesetzt unter Hinweis auf die Folgen
bei Nichterfüllung. Kommt die steuerpflichtige Person der
Auflage zur Behebung der Mängel nicht fristgerecht nach, so
ist ein Mahnverfahren durchzuführen, bevor allenfalls gestützt
auf die Aktenlage und unter Umständen nach pflichtgemässem Ermessen die Veranlagung vorgenommen wird. Dabei
gilt die Mahnung als Aufforderung an die steuerpflichtige
Person, noch nicht oder nicht gehörig vorgenommene
Mitwirkungshandlungen zu erfüllen[17].
Art. 23 VStG ist das notwendige Scharnier zwischen den
direkten Steuern und der Verrechnungssteuer. Hierbei
muss jedoch zwingend berücksichtigt werden, dass das
Schutzobjekt die ordnungsgemäss Veranlagung der direkten
Steuern ist. Aus diesem Grund muss als „ordnungsgemässe
Deklaration“ im Sinne von Art. 23 VStG das gesamte
Deklarationsverfahren bei den direkten Steuern bezeichnet
werden und können nicht, wie dies heute der Fall ist, nur
selektiv bestimmte Mitwirkungspflichten gesondert und
zu Ungunsten der Steuerpflichtigen berücksichtigt werden. Mithin sollte der Rechtsbegriff der „ordnungsgemässen
Deklaration“ nicht nur Art. 124 Abs. 2 DBG, sondern unserer
Meinung nach auch Art. 124 Abs. 3 DBG und folglich das
19
20
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
direktsteuerliche Veranlagungsverfahren in seiner Gesamtheit
umfassen. Notwendiges Korrektiv hierzu muss sein, wenn eine
nicht-ordnungsgemässe Deklaration in Hinterziehungsabsicht
erfolgt ist. Dann ist es richtig, wenn die Verrechnungssteuer
zur „Defraudantensteuer“ wird. Diesfalls lässt sich der pönale
Charakter der Verrechnungssteuer rechtfertigen.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://f iles.newsnet z.ch/stor y/1/5/7/15786055/teaserbreitgross.jpg
[30.10.2016]
http://www.srf.ch/var/storage/images/auftritte/news/bilder/2014/07/02/
node_4888568/66770136-3-ger-DE/bild_span12.jpg [30.10.2016]
[1]Eidg. Steuerverwaltung. Die ESTV ist für die
gesamte Verrechnungssteuererhebung sowie für
die Rückerstattung an sämtliche Leistungsempfänger zuständig mit Ausnahme von natürlichen
inländischen Personen; hierfür ist das sog. kantonale Verrechnungssteueramt die zuständige
Behörde.
[2] Vgl. Jaussi Thomas/Ghielmetti Costante/Pfirter Markus, Die Eidg. Verrechnungssteuer, Band 1,
2. Aufl., Muri b. Bern 2016, S. 20 ff.
[3]Vgl. Bauer-Balmelli Maja, Der Sicherungszweck der Verrechnungssteuer, Schriftenreihen
zum Steuerrecht Nr. 7, Zürich 2001, S. 217.
[4]Vgl. Art. 9 Abs. 1 VStG i.V.m. Art. 10 Abs. 1
VStG und Art. 4 VStG.
[5]Nachfolgend wird nur noch auf inländische
juristische Personen eingegangen.
[6]Vgl. Art. 12 VStG sowie Beusch Michael, in:
Zweifel Martin/Beusch Michael/Bauer-Balmelli
Maja (Hrsg.), Kommentar zum Bundesgesetz über
die Verrechnungssteuer, 2. Aufl., Basel 2012, Rz. 4
zu Art. 12 VStG.
[7] Vgl. vorstehende Ziffer 2.
[8] Zum Begriff, was unter einer ordnungsgemässen Verbuchung zu verstehen ist, vgl. Zwahlen
Bernhard, in: Zweifel Martin/Beusch Michael/
Bauer-Balmelli Maja (Hrsg.), Kommentar zum
Bundesgesetz über die Verrechnungssteuer, 2.
Aufl., Basel 2012, Rz. 7 ff. zu Art. 25 Abs. 1 VStG.
[9] Vgl. Kreisschreiben Nr. 6 „Verdecktes Eigenkapital (Art. 65 und 75 DBG) bei Kapitalgesellschaften und
Genossenschaften“ der ESTV vom 6. Juni 1997.
[10] Vgl. Art. 17 Abs. 1 VStG; im Fall einer Steuerhinterziehung beträgt die Frist jedoch sieben Jahre.
[11]Vgl. Urteil des Bundesgerichts 2C_85/2015
vom 16. September 2015.
[12]Vgl. Kreisschreiben Nr. 40 „Verwirkung des
Anspruchs von natürlichen Personen auf Rückerstat-
tung der Verrechnungssteuer gemäss Artikel 23 VStG“
der ESTV vom 11. März 2014, nachfolgend „KS Nr.
40“ genannt.
[13] Vgl. Zitat in Fussnote 11.
[14]
Vgl. Duss Marco/Hebling Andreas/Duss
Fabian, in: Zweifel Martin/Beusch Michael/
Bauer-Balmelli Maja (Hrsg.), Kommentar zum
Bundesgesetz über die Verrechnungssteuer, 2.
Aufl., Basel 2012, Rz. 132a zu Art. 4 VStG.
[15] Vgl. Art. 6 und 7 des Bundesgesetzes vom 22.
März 1974 über das Verwaltungsstrafrecht (VStrR),
welches gemäss Art. 67 Abs. 1 VStG auf verrechnungssteuerliche Delikte Anwendung findet.
[16] Vgl. Richner Felix/Frei Walter/Kaufmann Stefan/Meuter Hans Ulrich; Handkommentar zum
DBG, 3. Aufl., Zürich 2016, Rz. 23 ff. zu Art. 125 DBG.
[17] Vgl. Locher Peter, Kommentar zum Bundesgesetz über die direkte Bundessteuer, III. Teil, Art.
102-222 DBG, Basel 2015, Rz. 23 zu Art. 124 DBG.
Diritto tributario italiano
La nuova disciplina degli interpelli
fiscali in Italia
Sara Borile
Dottoressa in Giurisprudenza, Università di Ferrara
Tirocinante presso Tribunale di Ferrara – Sezione Lavoro
e previdenza sociale
Il Decreto “interpelli e contenzioso tributario” (D.Lgs. n.
156/2015), in attuazione degli obiettivi fissati dalla Legge di delega fiscale n. 23/2014, si propone in un efficace
restyling del già vigente istituto dell’interpello tributario.
Una nuova veste, più snella ed organica, per riaffermare
l’interpello quale strumento di dialogo privilegiato tra
contribuente e Fisco
1.
Il sistema degli interpelli in Italia e le ragioni di riforma
È noto che l’interpello consiste in un’istanza che il contribuente può rivolgere all’agenzia competente per materia
prima di assumere una condotta fiscalmente rilevante, onde
ricevere chiarimenti sull’interpretazione di una norma obiettivamente incerta da applicare ad un caso concreto e personale.
Si tratta di un istituto deflattivo nel senso più lato del termine,
e preventivo nella sua natura, in quanto la sua operatività
si colloca prima e a prescindere da un eventuale controllo e
accertamento (per altro sempre possibile).
Il legislatore con la Legge di delega fiscale n. 23/2014, all’articolo 6, comma 6, ha mostrato un’apprezzabile attenzione
verso la disciplina degli interpelli, ritenuta opportunamente
bisognosa di un profondo intervento riorganizzativo[1].
L’assetto vigente si presentava come spiccatamente disorganico con una pluralità di modelli di interpello, operanti
seguendo diversi profili procedurali e con termini di risposta
erariali differenti.
Vi erano interpelli eminentemente interpretativi, interpretativi
su questioni elusive e interpelli disapplicativi, attinenti più
all’attuazione del rapporto di imposta e a questioni fattuali. I
modelli di interpello sono proliferati specie negli ultimi anni per
assecondare esigenze di volta in volta differenti, generando
sovrapposizioni e confusione. Fenomeno alimentato anche
dall’utilizzo delle medesime procedure per istituti dissimili. A
ciò si aggiungano le difficoltà della Direzione centrale normativa dell’Agenzia delle Entrate nel monitorare tutte le risposte
rese dagli uffici periferici al fine di garantire un’omogeneità di
posizione. Un assetto non del tutto coerente con le finalità
proprie dell’istituto.
Prendendo le mosse dalla diffusa insoddisfazione verso l’irrazionalità del quadro di riferimento, il legislatore all’articolo 6,
comma 6 della Legge delega ha posto come criteri direttivi:
◆◆ garantire una maggiore omogeneità rispetto alle tipologie
di interpello all’epoca in vigore;
◆◆ assicurare una maggiore tempestività nella redazione dei
pareri;
◆◆ eliminare le forme di interpello obbligatorio che siano fonte di
inutili aggravi per il cittadino e l’Amministrazione finanziaria.
Il Governo ha dato attuazione alla delega mediante il Decreto
Legislativo (di seguito D.Lgs.) n. 156/2015, con l’obiettivo,
chiarito anche nella relazione illustrativa allo schema di
Decreto, di “restituire all’interpello la funzione di dialogo privilegiato
e qualificato del contribuente con l’Amministrazione”. Ha tentato
di semplificarne il rapporto tramite il passaggio “da un sistema
incentrato sulla necessità di una compiuta verifica amministrativa
ex ante di determinate fattispecie, a uno basato sulla responsabilizzazione del contribuente, al quale è riconosciuta la possibilità di
verificare in autonomia la sussistenza delle condizioni previste dalla
legge per l’accesso a specifici regimi fiscali, ovvero per la disapplicazione di determinate disposizioni antielusive”.
Il Titolo I del Decreto introduce un efficace restyling del sistema
degli interpelli: pur preservando la differenza di contenuti tra
le varie tipologie di istanze (aggiungendone, anzi una nuova),
le riconduce a sostanziale unità, quantomeno con riferimento
ai profili procedurali.
2.
Il Diritto di interpello e lo Statuto dei diritti del contribuente
L’articolo 1 del Decreto ha riscritto l’articolo 11 della Legge
(di seguito L.) n. 212/2000 (cosiddetto “Statuto dei diritti del
contribuente”, di seguito Statuto), e sancito il diritto di interpello del contribuente come principio statutario comune
a tutte le istanze. Il nuovo testo dell’articolo 11 valorizza le
peculiarità e l’autonomia delle diverse tipologie di interpello
ad oggi attivabili dal contribuente, individuandole in quattro
distinte: interpello ordinario, interpello probatorio, interpello
anti-abuso e interpello disapplicativo.
21
22
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
2.1.
L’interpello ordinario
L’interpello ordinario (comma 1, lettera a) potrà essere proposto dal contribuente non solo, come avveniva in precedenza,
quando le condizioni di obiettiva incertezza incidano sulla
corretta interpretazione della norma tributaria (interpello
ordinario interpretativo), ma anche quando lo status di
incertezza riguardi la corretta qualificazione delle fattispecie
(interpello ordinario qualificatorio).
L’interpello ordinario interpretativo corrisponde nella sostanza
a quello previsto nella precedente versione dell’articolo 11
dello Statuto; il legislatore si è limitato a riformulare l’istituto.
Ne risulta confermata la natura di interpello generale, attivabile in relazione a qualsiasi disposizione tributaria che appaia
obiettivamente incerta nella sua applicazione alla fattispecie
concreta e personale del soggetto istante.
L’interpello ordinario qualificatorio[2] , invece, investe l’obiettiva incertezza della qualificazione giuridica di una particolare
fattispecie alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alla
stessa. In altri termini, costituisce istanza di tipo qualificatorio quella relativa non tanto all’astratta interpretazione di
disposizioni legislative, quanto alla concreta sussunzione della
fattispecie incerta in una delle più disciplinate dalla legge. Per
espressa previsione di legge, non rientrano nell’interpello qualificatorio le ipotesi di ruling internazionale e di interpello sui
nuovi investimenti, disciplinate secondo procedure autonome
dal D.Lgs. n. 147/2015. La relazione di accompagnamento
al Decreto menziona, a titolo meramente esemplificativo,
alcune possibili fattispecie suscettibili di formare oggetto
di interpello qualificatorio, quali ad esempio la valutazione
della sussistenza di una stabile organizzazione estera, di cui
al nuovo articolo 168-ter del Testo Unico delle Imposte sui
Redditi (di seguito TUIR) (cosiddetta “branch exemption”), o la
riconducibilità di una data spesa alla categoria delle spese di
pubblicità ovvero di quelle di rappresentanza.
Invece, novità per l’interpello ordinario tout court, riguarda
l’introduzione di una definizione normativa delle “condizioni
di obiettiva incertezza” che legittimano l’istanza, individuate
dal Decreto in chiave negativa, escludendo, cioè, tutti i casi in
cui l’Amministrazione finanziaria abbia già compiutamente
fornito, mediante pubblicazione ufficiale (ai sensi dell'articolo
5 del medesimo Provvedimento), la soluzione interpretativa a
fattispecie corrispondenti.
Non possono formare oggetto di interpello ordinario: accertamenti di tipo tecnico (come ad esempio: operazioni di
classamento o di calcolo della consistenza o l’estimo catastale)
esperibili esclusivamente presso le sedi proprie, e le istanze
non connotate da elementi di peculiarità o comunque prive di
aspetti di particolare complessità.
2.2.
L’interpello probatorio
L’interpello probatorio (comma 1, lettera b) è stato elaborato
in passato come una mera categoria dottrinale. Esso è configurabile ogni volta in cui il contribuente voglia ottenere un
parere circa la sussistenza delle condizioni o la valutazione
dell’idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per
avere accesso a determinati regimi fiscali, derogatori rispetto
al regime normalmente applicabile.
La relazione illustrativa evidenzia come il riferimento all’accesso ad un determinato regime fiscale vada interpretato in
senso lato, come comprensivo dei casi in cui si tratti della non
operatività di regole e limitazioni speciali.
Affinché l’istanza sia validamente attivabile è necessario che
la fattispecie concreta sia riconducibile in uno dei casi normativamente previsti facenti esplicito richiamo all’interpello
di cui all’articolo 11, comma 1, lettera b) dello Statuto[3]. Per
gli interpelli rientranti in tale categoria, così come per tutte
le altre tipologie, ad eccezione dei “disapplicativi”, la relativa
presentazione non costituisce un adempimento obbligatorio.
Tuttavia, alla facoltatività della presentazione dell’istanza,
segue, come contrappeso, l’introduzione di un apposito onere
di segnalazione in dichiarazione dei redditi nel caso di omessa
presentazione dell'istanza o qualora sia stata presentata, la
stessa non abbia ricevuto risposta favorevole. Il difetto di indicazione in dichiarazione dei redditi di tale circostanza è punito
con sanzione amministrativa da euro 2’000 a euro 21’000.
2.3.
L’interpello anti-abuso
L’interpello anti-abuso (comma 1, lettera c) assorbe il
previgente interpello anti-elusivo di cui all’articolo 21 L. n.
413/1991, e trae origine dalla nuova disciplina sull’abuso del
diritto introdotta dal D.Lgs. n. 128/2015 recante “Disposizioni
sulla certezza del diritto nei rapporti tra Fisco e contribuente” [4] ,
il quale ha introdotto l’articolo 10-bis nello Statuto e contestualmente abrogato l’articolo 37-bis del Decreto del
Presidente della Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 600/1973.
Il comma 5 dell’articolo 10-bis dello Statuto prevede che “il
contribuente può proporre interpello ai sensi dell’art. 11, comma 1,
lett. c), per conoscere se le operazioni costituiscano fattispecie di
abuso del diritto”. La tipologia d’interpello in questione consente di interrogare l’Agenzia delle Entrate circa la natura
abusiva del diritto di specifici atti, fatti e negozi, anche tra
loro collegati: l’istante dovrà dimostrare l’inesistenza dei
presupposti per una simile qualificazione, specificando la
sostanza economica dell’operazione complessiva, la mancanza di vantaggi fiscali indebiti e, comunque, la presenza
di sottostanti valide ragioni extra fiscali, non marginali.
L’interpello anti-abuso potrà essere attivato dal contribuente anche per conoscere il parere dell’Erario in relazione
alle ipotesi di interposizione soggettiva, ai sensi del comma
3 dell’articolo 37 D.P.R. n. 600/1973.
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
2.4.
L’interpello disapplicativo
L’interpello disapplicativo (comma 2) sostituisce quello
previsto dal comma 8, dell’articolo 37-bis D.P.R. n. 600/1973
e analogamente a quanto sinora avvenuto, può essere presentato dal contribuente che voglia ottenere “la disapplicazione
di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti
elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta, o altre
posizioni soggettive del soggetto passivo, altrimenti ammesse
dall’ordinamento tributario”, previa dimostrazione dell’assenza,
nella fattispecie concreta, delle preoccupazioni antielusive
che giustificano, nella generalità dei casi, la disposizione di
cui si chiede la disapplicazione. Questa tipologia di interpello
è l’unica a rivestire carattere di adempimento obbligatorio a
seguito della riforma, nonostante che la relativa omissione non
precluda la possibilità di far valere la sussistenza delle apposite
circostanze esimenti in occasione di un eventuale accertamento amministrativo o in sede contenziosa. L’obbligatorietà
della presentazione dell’istanza disapplicativa, nelle fattispecie
in cui prevista, discende dalla previsione di una sanzione ad
hoc per i casi di omessa presentazione: l’articolo 11, comma
7-ter D.Lgs. n. 471/1997 introduce una sanzione da euro 2’000
a euro 21’000, ed è raddoppiata nel caso in cui al successivo
controllo l’Amministrazione finanziaria disconosca la disapplicazione delle norme che limitano deduzioni, detrazioni,
crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del contribuente.
Sostanzialmente, anche per gli interpelli disapplicativi, appare
possibile non presentare la relativa istanza e subire al più,
quale conseguenza, il semplice raddoppio della medesima
sanzione in misura fissa prevista per la mancata segnalazione
in dichiarazione di una fattispecie per la quale l’interpello è
facoltativo, disattendendo, di fatto, il requisito dell’obbligatorietà attribuito all’interpello di tipo disapplicativo.
3.
Termini, effetti ed efficacia della risposta all’istanza di
interpello
Alle cinque categorie di istanze indicate dal novellato articolo
11 dello Statuto si applica un comune impianto normativo,
volto a dare sostanza al diritto d’interpello ivi disciplinato. Si
tratta dell’estensione, salvo talune novità, alle quattro forme
“speciali” (qualificatorio, probatorio, anti-abuso e disapplicativo), dei principi già previsti dal previgente testo dell’articolo
11, per la sola ipotesi “generale” dell’interpello ordinario.
Nel complesso, la disciplina comune dettata dal Titolo I del
Decreto riprende ampiamente dalla prassi erariale in materia
di interpello ordinario.
In primo luogo, la norma assicura, in tutti i casi, la perentorietà
dei tempi di risposta dell’Amministrazione finanziaria, da
fornire entro 90 giorni, nel caso di istanze ordinarie o qualificatorie[5] , ed entro 120, nelle restanti ipotesi. Ottima è stata
l’introduzione di questi termini perentori, e più brevi rispetto ai
previgenti, in conformità all’indirizzo di maggior “tempestività”
contenuto nella delega, ma si trova opportuno sottolineare
che comunque è rimasta una durata di lavorazione diversa, di
90 o 120 giorni a seconda del tipo di interpello, che forse era
preferibile ricondurre ad unità.
Continua il Decreto specificando che, qualora la risposta non
sia comunicata entro i suddetti termini, il silenzio equivale a
condivisione dell’Amministrazione finanziaria della soluzione
prospettata dal contribuente; opera il cosiddetto “silenzioassenso”, che nel previgente sistema era previsto solo in favore
degli interpelli ordinari. La sua introduzione generalizzata è
una delle previsioni più innovative introdotte dal Decreto.
L’articolo 4 del Decreto prevede che, quando non è possibile
fornire risposta sulla base della documentazione originariamente allegata all’istanza, l’Amministrazione può chiedere, una
sola volta, all’istante, di integrare detta documentazione, ed
entro 60 giorni dalla ricezione della documentazione integrativa, è tenuta a rilasciare il suddetto parere[6]. La formazione
del silenzio-assenso si interrompe nel caso di richiesta d’integrazione istruttoria. La mancata presentazione della
documentazione richiesta entro il termine di un anno equivale
a rinuncia all’interpello, ferma restando la facoltà di presentare
una nuova istanza ove ne ricorrano i presupposti di legge.
Il comma 3 dell’articolo 11 dello Statuto sancisce che “la risposta
scritta e motivata vincola ogni organo dell’Amministrazione con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente
al richiedente”. La norma precisa espressamente che il vincolo
riguarda ogni organo dell’Amministrazione, compresi quindi
gli organi ausiliari, ai quali è precluso formulare rilievi nel
processo verbale di constatazione emesso in esito a controlli
fiscali, laddove le medesime questioni siano state oggetto di
un vaglio favorevole da parte dell’Amministrazione in sede
di risposta all’interpello, ma ciò a condizione che non siano
emersi nel corso dell’indagine elementi che alterino il quadro
tracciato dal contribuente in sede di avanzamento dell’istanza.
La risposta fornita vincola l’Ufficio limitatamente al richiedente, pertanto per soggetti “altri” rispetto al richiedente, pur
in presenza di fattispecie simili, il parere fornito può costituire
punto di riferimento interpretativo, ma non implica alcun
vincolo in sede di eventuali controlli ed accertamenti.
Il medesimo comma aggiunge anche che “gli atti, anche
a contenuto impositivo o sanzionatorio difformi dalla risposta,
espressa o tacita (è il caso del silenzio-assenso), sono nulli. Tale
efficacia si estende ai comportamenti successivi del contribuente
riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo rettifica
della soluzione interpretativa da parte dell’Amministrazione con
valenza esclusivamente per gli eventuali comportamenti futuri
dell’istante”. La possibilità di rettificare la risposta era attribuita
al Fisco già nella disciplina previgente e si inquadra nel contesto del potere-dovere di autotutela dell’Ufficio competente.
Può risolversi in una modifica sia in melius, che in peius per il
23
24
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
contribuente destinatario, fermo restando, in quest’ultimo
caso, l’impossibilità di muovere contestazioni sul passato
all’istante che si sia adeguato alla risposta dell’Agenzia delle
Entrate, né in termini di imposte, né in termini di sanzioni.
Il comma 5 dell’articolo 11 dispone che la presentazione dell’istanza non produce alcun effetto sulle ordinarie scadenze degli
adempimenti previsti dalle norme tributarie, e parimenti, non
influisce sulla decorrenza dei termini di decadenza, né comporta interruzione o sospensione dei termini di prescrizione.
Il sesto e ultimo comma del medesimo articolo sancisce che
le risposte rese dall’Agenzia delle Entrate devono essere pubblicate sotto forma di circolare o di risoluzione, nei casi in cui:
(i) un numero elevato di contribuenti abbia presentato istanze
concernenti la medesima questione o questioni analoghe, (ii)
sia stata fornita l’interpretazione di norme di recente approvazione o per le quali non siano ancora stati resi chiarimenti
ufficiali, (iii) siano segnalati comportamenti non uniformi da
parte degli Uffici, e (iv) più in generale, in ogni altro caso in cui
l’Amministrazione finanziaria ritenga di interesse generale il
chiarimento fornito. Importante novità è data dalla previsione
che nonostante la pubblicità data alle risposte, queste vanno
comunque sempre comunicate agli istanti. Tale accorgimento
è motivato dall’esigenza di rafforzamento delle tutele offerte
al contribuente, al quale deve consentirsi di conoscere chiaramente il momento a partire dal quale si producono gli effetti
della risposta all’interpello.
senza che, a tali fini, assumano valenza i termini concessi all’Amministrazione per rendere la propria risposta”. L’articolo 5 comma 1
lettera b) aggiunge che se tale requisito è disatteso, la relativa
istanza è da qualificarsi come inammissibile, la preventività
diventa quindi requisito imprescindibile.
Resta fermo in ogni caso il requisito della riferibilità dell’istanza
a casi concreti e personali, espressione della finalità cognitiva,
propria di tutte le tipologie di interpello, del trattamento
tributario di atti, operazioni o iniziative direttamente riconducibili alla sfera del soggetto istante.
5.
Il contenuto e le modalità di presentazione dell’istanza
Anche il contenuto delle istanze è stabilito in comunanza
per tutti i tipi di interpello. L’articolo 3, al comma 1, prevede
che le istanze devono espressamente fare riferimento
alle disposizioni che disciplinano il diritto di interpello, allo
scopo di permettere all’Agenzia delle Entrate di individuare
agevolmente le richieste ascrivibili al diritto di interpello ex
articolo 11, distinguendole da altri tipi di istanze. Subito dopo
il legislatore elenca gli elementi che l’istanza deve contenere,
i quali per combinato disposto con l’articolo 5, comma 1,
lettera a) possono essere classificati in: elementi essenziali e
non essenziali, a seconda che il loro inserimento sia previsto
o meno a pena di inammissibilità dell’istanza. Sono elementi,
la cui carenza comporta insanabilmente l’inammissibilità
dell’istanza, quelli previsti alle lettere a), e c) dell’articolo 3,
cioè: i dati identificativi dell’istante ed eventualmente del suo
rappresentante legale con specificazione del codice fiscale, e
la circostanziata e specifica descrizione delle fattispecie.
Invece, sono elementi che l’istanza deve possedere, ma la cui
mancanza non comporta inammissibilità della stessa, ma solo
l’obbligo dell’Ufficio di richiedere al contribuente la regolarizzazione della medesima entro 30 giorni, i rimanenti:
4.
La legittimazione a presentare l’istanza e i suoi presupposti
Ai sensi dell’articolo 2 D.Lgs. n. 156/2015, sono legittimati a
presentare istanza di interpello i contribuenti, anche non residenti, e i soggetti che in base alla legge sono obbligati a porre
in essere gli adempimenti tributari per conto dei contribuenti
o sono tenuti insieme con questi o in loro luogo all’adempimento di obbligazioni tributarie.
La medesima disposizione, al comma 2, delinea il requisito
temporale della preventività dell’istanza d’interpello, chiarendo che questa deve essere presentata “prima della scadenza
dei termini previsti dalla legge per la presentazione della dichiarazione
o per l’assolvimento di altri obblighi tributari aventi ad oggetto o
comunque connessi alla fattispecie cui si riferisce l’istanza medesima
◆◆ la chiara indicazione della natura dell’istanza (ordinaria,
qualificatoria, probatoria, anti-abuso o disapplicativa);
◆◆ l’indicazione delle specifiche disposizioni di cui si chiede
l’interpretazione, l’applicazione o la disapplicazione;
◆◆ una chiara esposizione della soluzione proposta dal contribuente;
◆◆ l’indicazione del domicilio o dei recapiti, anche telematici,
dell’istante o dell’eventuale domiciliatario presso cui effettuare le comunicazioni;
◆◆ la sottoscrizione dell’istante, del suo legale rappresentante
ovvero del procuratore generale o speciale incaricato ex
articolo 63 D.P.R. n. 600/1973 (in tal caso, la procura deve
risultare in calce o a margine dell’istanza o, comunque,
essere allegata ad essa).
La richiesta di regolarizzazione interrompe il decorso dei termini per la risposta, che ricominciano a decorrere ex novo dal
giorno in cui le carenze vengono colmate dall’istante. L’omessa
regolarizzazione entro il termine rende l’istanza inammissibile
ai sensi dell’articolo 5 comma 1 lettera g) del Decreto.
Il comma 2 dell’articolo 3 stabilisce inoltre che all’istanza di interpello sia allegata copia della documentazione non in possesso
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
dell’Amministrazione procedente o di altre Amministrazioni
pubbliche indicate dall’istante, rilevante ai fini della risposta.
Nei casi in cui la risposta presupponga accertamenti di natura
tecnica, non di competenza dell’Amministrazione procedente,
alle istanze devono essere allegati altresì i pareri resi dall’Ufficio
competente. Come precisato nella relazione illustrativa, “l’onere
di allegazione della documentazione rilevante costituisce espressione
del principio collaborativo che impronta la disciplina dell’interpello
e corrisponde all’interesse del contribuente a ottenere la risposta
dell’Amministrazione in tempi rapidi. Poiché inoltre, le risposte alle
istanze di interpello sono rese nel presupposto implicito della veridicità
e completezza della documentazione fornita, il puntuale adempimento
dell’onere di allegazione risponde altresì all’interesse del contribuente
alla validità della risposta ottenuta”.
In un’ottica di omogeneità, ma soprattutto di maggiore certezza per il contribuente, l’articolo 5 elenca tassativamente le
cause di inammissibilità dell’interpello. Oltre a quelle già menzionate nel corso del commento, l’inammissibilità è prevista:
◆◆ per l’assenza delle condizioni di obiettiva incertezza per gli
interpelli ordinari, interpretativi o qualificatori;
◆◆ per le istanze ripetitive o di mero riesame, relative a
questioni per le quali, salvo il caso di mutamento delle circostanze di fatto o di diritto, il contribuente ha già ottenuto
risposta;
◆◆ per le istanze vertenti su materie oggetto di procedure non
regolate dal Decreto in commento (quali la procedura di
ruling internazionale e l’interpello sui nuovi investimenti di
cui al “Decreto internazionalizzazione” e la procedura d’interpello preventivo nel regime di adempimento collaborativo
di cui all’articolo 6 del “Decreto certezza del diritto”);
◆◆ per le domande che vertono su questioni per le quali
sono state già avviate attività di controllo alla data di
presentazione dell’istanza (il diritto di conoscere la posizione dell’Amministrazione finanziaria su casi concreti e
personali non può, infatti, varcare il limite tracciato dall’osservanza del principio di non interferenza con verifiche o
contenziosi tributari pendenti).
6.
Il coordinamento con l’attività di accertamento e contenzioso
Il Decreto in esame, prende posizione anche sulla dibattuta
quaestio dell’impugnabilità o meno delle risposte alle istanze di
interpello disapplicativo, in quanto obbligatorie. La questione
è stata, nel tempo, oggetto di accesi dibattiti che hanno visto
contrapposti: da un lato la prassi amministrativa dell’Agenzia
delle Entrate, incline a una posizione “negazionista” e, sul versante
opposto, la giurisprudenza di legittimità. In questo scontro, il
“Decreto interpelli e contenzioso” prende una posizione chiara sulla
questione. L’articolo 6, comma 1, prevede espressamente, per
la prima volta, la non impugnabilità di tutte le risposte, a qualsiasi tipo di istanza di interpello, fatta eccezione per quelle rese
in relazione agli interpelli disapplicativi, rispetto ai quali però si
assiste all’introduzione di un sistema di tutela differita.
Gli interpelli disapplicativi, a seguito della riforma, sono gli
unici ad essere rimasti a presentazione obbligatoria e quindi
capaci di incidere in positivo o in negativo nella sfera giuridica
del soggetto istante. Ecco che è parso opportuno rendere
impugnabili i dinieghi a istanze disapplicative, però non direttamente, bensì indirettamente attraverso il ricorso avverso l’atto
impositivo successivo, funzionalmente e causalmente collegato alla risposta all’interpello. Il contribuente si vede preclusa
la possibilità di impugnare direttamente la risposta negativa,
ma può, in corrispondenza del ricorso avverso il successivo
atto impositivo, contestare in giudizio le argomentazioni contenute nella risposta ad interpello resa dall’Amministrazione
finanziaria, che tendenzialmente saranno confluite nell’atto
impositivo. A proposito della scelta qui fatta, della quale se ne
comprendono le ragioni deflattive e se ne apprezza il contributo alla certezza del diritto, chi scrive si sente di condividere i
timori di parte della dottrina nel senso di un possibile rischio di
compressione del diritto di difesa.
Sempre in considerazione delle peculiarità delle risposte rese
in sede di interpello disapplicativo, il comma 2 dell’articolo
6 riconosce ai contribuenti un’ulteriore importante tutela in
fase di accertamento. È previsto che, qualora sia stata fornita
risposta alle istanze di interpello disapplicativo, senza pregiudizio dell’azione accertatrice, l’atto di accertamento avente ad
oggetto deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del soggetto passivo, deve essere preceduto,
a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta
di chiarimenti da fornire entro 60 giorni. Tale richiesta va
notificata dall’Amministrazione finanziaria entro il termine di
decadenza previsto per la notificazione dell’atto impositivo.
Tra la data di ricevimento dei chiarimenti, o di inutile decorso
del termine assegnato al contribuente per provvedervi, e
quella di decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal
potere di notificazione dell’atto impositivo, intercorrono non
meno di 60 giorni. In difetto, il termine di decadenza per la
notificazione dell’atto è automaticamente prorogato, in
deroga a quello ordinario, fino a decorrenza dei 60 giorni.
Si tratta di un’ipotesi normativa di obbligo di contraddittorio
endoprocedimentale; l’Amministrazione finanziaria in presenza di una previa presentazione, di carattere obbligatorio,
di interpello disapplicativo, nella successiva eventuale fase di
accertamento avente ad oggetto deduzioni, detrazioni o altre
posizioni soggettive, ha l’obbligo di instaurare il contraddittorio
con il contribuente, onde evitare l’emissione di provvedimenti
affetti da nullità. E ancora, a salvaguardia del diritto di difesa, il
legislatore delegato ha inoltre previsto che l’Amministrazione
finanziaria nell’atto impositivo deve specificatamente motivare (motivazione cosiddetta “rafforzata”) anche in relazione
ai chiarimenti forniti dal contribuente, a pena di nullità per
difetto di motivazione.
Questa previsione di obbligo di contraddittorio endoprocedimentale limitato alle sole ipotesi riconducibili all’interpello
disapplicativo, presentato ed in termini ammissibili, desta
perplessità, in quanto, giova, al proposito, ricordare che per le
fattispecie oggetto di interpello anti-abuso (facoltativo), ormai
l’articolo 10-bis dello Statuto prevede l’obbligo di contraddittorio preventivo prima dell’emanazione dell’atto impositivo
ed il contraddittorio preventivo è, altresì, previsto dal comma
11 dell’articolo 110 TUIR anche in caso di deduzione di costi
per le operazioni con imprese aventi sede in Paesi black-list,
oggetto di interpello probatorio (facoltativo). Se, dunque, detta
25
26
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limitazione per le fattispecie oggetto di interpello disapplicativo deriva dal fatto che, come si legge nella relazione, siffatta
tipologia di interpello è l’unica prevista come obbligatoria,
non pare che il legislatore delegato si sia sul punto attenuto al
disposto dell’articolo 6, comma 6, della Legge delega, laddove
si sollecitava l’eliminazione delle forme di interpello obbligatorio nei casi in cui non producano benefici, ma solo aggravi per il
contribuente. L’essere necessaria la presentazione dell’istanza,
per avere accesso alle tutele del contraddittorio endoprocedimentale, costituisce un aggravio per il contribuente che si vede
depotenziato nell’esercizio e nella tutela dei suoi diritti (articoli
3, 24 e 53 della Costituzione italiana).
Il comma 3 del medesimo articolo, infine, a conferma della
natura delle risposte ad interpello quali meri pareri, ribadisce
che: rispetto ai dati, alle notizie ed alle informazioni fornite
dal contribuente ai fini delle risposte all’interpello, non trova
applicazione il principio tipico dell’attività accertativa in base al
quale la documentazione richiesta dall’Amministrazione finanziaria e non presentata dal contribuente non può essere presa
in considerazione a favore dello stesso ai fini dell’accertamento
in sede amministrativa e contenziosa (articoli 32, comma 4
D.P.R. n. 600/1973 e 52, comma 5 D.P.R. n. 633/1972).
7.
Le disposizioni attuative e le (nuove) regole procedurali
Ai sensi dell’articolo 8, comma 1, la definizione degli aspetti
procedurali più propriamente operativi caratterizzanti la
disciplina degli interpelli, quali le modalità di presentazione
delle istanze, l’individuazione degli Uffici competenti a riceverle e ad emettere le relative risposte, nonché le modalità
di comunicazione delle medesime, saranno stabilite con
Provvedimenti dei Direttori delle Agenzie fiscali da emanarsi
entro 30 giorni dall’entrata in vigore del Decreto. Il medesimo
articolo continua prevedendo che le Regioni e gli Enti locali[7] ,
per i tributi di rispettiva competenza, sono tenuti a regolare la
materia dell’interpello in conformità alle norme del Decreto; e
conclude chiarendo che: alle istanze che saranno presentate
prima dell’emanazione dell’atteso Provvedimento, restano
applicabili le disposizioni procedurali in vigore al momento
stesso di presentazione dell’istanza.
Il primo, atteso Provvedimento direttoriale è stato emanato
il 4 gennaio 2016 dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate. Il
Provvedimento all’articolo 2 opera una tendenziale regionalizzazione degli interpelli, ossia tutte le istanze relative
ai tributi erariali devono essere presentate alle Direzioni
regionali competenti in funzione del domicilio fiscale del contribuente. Tutte le istanze di competenza del ramo Territorio
devono essere inviate alla Direzione Regionale nel cui ambito
opera l’ufficio competente ad applicare la norma tributaria
oggetto di interpello. Resta ferma la competenza delle
strutture centrali (Direzione Centrale Normativa e Direzione
Centrale Catasto, Cartografia e Pubblicità immobiliare) per
le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici a rilevanza
nazionale, i soggetti di più rilevante dimensione e i contribuenti esteri; fa ancora eccezione, ma solo in via transitoria,
la gestione delle nuove istanze cosiddette “anti-abuso” che
fino al 31 dicembre 2017 saranno presentate direttamente
alla Direzione Centrale Normativa.
Se l’istanza d’interpello viene erroneamente presentata ad
ufficio diverso da quello competente ovvero ad un indirizzo di
posta elettronica diverso da quello corrispondente all’ufficio
competente, essa è trasmessa tempestivamente all’ufficio
competente o all’indirizzo di posta elettronica corretto. In tal
caso, il termine per la risposta inizia a decorrere dalla data di
ricezione dell’istanza da parte dell’ufficio competente o dalla
consegna dell’istanza all’indirizzo di posta elettronica corretto. Della data di ricezione dell’istanza da parte dell’ufficio
competente è data notizia al contribuente.
Le Direzioni Regionali inoltrano alla Direzione Centrale competente, le istanze per le quali ritengono che la risposta sia
soggetta a pubblicazione ai sensi dell’articolo 11, comma 6
dello Statuto, e anche ogni altra istanza caratterizzata da particolare complessità o incertezza della soluzione. In relazione
a tali istanze le Direzioni Centrali forniscono direttamente
la risposta al contribuente e, ove sussistono i presupposti,
provvedono alla pubblicazione della medesima in forma di
risoluzione o circolare. Però, la trasmissione dell’istanza alla
Direzione Centrale non ha effetto sul decorso dei termini per
la risposta al contribuente.
Ai sensi dell’articolo 3, l’istanza va redatta in forma libera ed è
esente da bollo, è sottoscritta e presentata dal contribuente
agli uffici competenti a mano o a mezzo plico raccomandato
con avviso di ricevimento o mediante invio telematico.
In merito all’istruttoria, nel caso in cui l’istanza sia carente
rispetto agli elementi non essenziali, l’Amministrazione
finanziaria entro 30 giorni dal ricevimento deve invitare il contribuente a regolarizzarla entro i successivi 30 giorni, a pena di
inammissibilità dell’istanza stessa. I termini, di cui all’articolo
11, comma 3 dello Statuto, per la risposta all’istanza regolarizzata, iniziano a decorrere dalla ricezione dei dati carenti.
Nel caso in cui l’Ufficio avanzi una richiesta di integrazione
documentale, il contribuente è tenuto a far pervenire
all’Amministrazione finanziaria tutti i documenti richiesti,
preferibilmente su supporto informatico, o in alternativa, ad
esplicitarne i motivi della mancata esibizione. Decorso inutilmente un anno dalla richiesta integrativa, l’Ufficio attesta la
rinuncia all’interpello, dandone notifica o comunicazione al
contribuente stesso.
La risposta, scritta e motivata, deve essere notificata o comunicata al contribuente entro i termini di legge, e si intende
notificata o comunicata al momento del ricevimento da parte
del contribuente. Le notificazioni e le comunicazioni dirette ai
contribuenti obbligati a dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificata o che, pur non essendo obbligati, forniscono
nell’istanza un indirizzo di posta elettronica certificata, sono
preferibilmente effettuate attraverso tale canale.
Il secondo Provvedimento attuativo (Circolare n. 2/D) porta la
data del 29 gennaio 2016 e la firma del Direttore dell’Agenzia
delle Dogane. L’interpello deve essere indirizzato alla Direzione
Territoriale (Interregionale, Regionale o Provinciale) dell’Agenzia delle Dogane nel cui ambito opera l’Ufficio competente,
in base alle disposizioni doganali, ad applicare, per il caso
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
concreto, la norma tributaria oggetto di interpello. Importante
evidenziare il neo accesso delle istanze disapplicative a questa
Agenzia, infatti questa tipologia di interpello non era prevista
per i tributi amministrati dall’Agenzia delle Dogane. Gli aspetti
procedurali ricalcano quanto descritto in precedenza. Vale
la pena solo riportare alcune previsioni relative al monitoraggio dell’istituto tra gli Uffici dell’Agenzia. Infatti, per l’area
Dogane[8] è previsto che le Direzioni territoriali competenti
dovranno inviare, con tempestività, alla Direzione Centrale
Legislazione e Procedure Accise e altre Imposte Indirette
nonché alla Direzione Centrale Legislazione e Procedure
Doganali, in relazione alle materie di rispettiva competenza,
le decisioni adottate in merito agli interpelli proposti. Le
predette Strutture Centrali, esaminata celermente la risposta
resa al contribuente in sede di interpello, comunicheranno
le eventuali difformità tecnico-giuridiche rilevate al fine di
consentire alle Direzioni territoriali competenti la tempestiva
rettifica della risposta resa. Le Direzioni territoriali competenti
possono chiedere alle Strutture Centrali, entro 10 giorni
[1] Le disposizioni del Decreto che ha ridisegnato il sistema degli interpelli in Italia sono entrate
in vigore, ai sensi dell’articolo 12, comma 1 dello
stesso, il 1. gennaio 2016.
[2] Nella prima bozza di decreto, l’interpello qualificatorio era previsto come autonoma tipologia
di istanza, successivamente il Governo ha deciso
di accorparlo nell’interpello ordinario onde non
generare confusione nei contribuenti, dato che
comunque le due tipologie sono accomunate
dall’obiettiva incertezza del contesto normativo
tributario di riferimento, declinata in due modi tra
loro complementari.
[3]I casi, puntualmente elencati nella relazione
illustrativa allo schema del Decreto, sono quelli
gestibili con: (i) le istanze di interpello tese a fornire, in relazione alle operazioni intercorse con
imprese residenti o localizzate in Paesi black-list, la
dimostrazione delle condizioni esimenti previste
dall’articolo 110 TUIR; (ii) le istanze concernenti la
dalla ricezione dell’istanza completa in ogni suo elemento,
un supporto giuridico ed eventuali indicazioni anteriormente
alla formulazione della risposta, qualora la questione rappresentata contempli elementi di particolare sensibilità sotto
il profilo giuridico tributario. Inoltre, le Strutture Centrali
citate cureranno la pubblicazione, in estratto, sul sito internet
dell’Agenzia, delle decisioni assunte sulle istanze di interpello
ritenute ammissibili.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.lentepubblica.it/wp-content/uploads/2016/06/adempimentocollaborativo-3.jpg [30.10.2016]
http://www.lentepubblica.it/wp-content/uploads/2016/01/interpelloistanze.jpg [30.10.2016]
h t t p://w w w. a l t a l e x . co m/~/m e d i a /I m a g e s/L e x /P e n a l e/r a t i n g % 20
legalit%C3%A01%20jpg [30.10.2016]
normativa in tema di CFC ex articolo 167 TUIR; (iii)
le istanze presentate ai sensi dell’articolo 113 TUIR
dagli enti creditizi per chiedere di non applicare il
regime proprio della partecipation exemption alle
partecipazioni acquisite nell’ambito degli interventi finalizzati al recupero di crediti o derivanti dalla
conversione in azioni di nuova emissione dei crediti
verso imprese in temporanea difficoltà finanziaria;
(iv) le istanze di interpello per la continuazione del
consolidato domestico, ai sensi dell’articolo 124
TUIR; (v) le istanze di interpello per l’accesso al
consolidato mondiale di cui all’articolo 132 TUIR;
(vi) le istanze presentate dalle società non operative ai sensi e per gli effetti della disciplina prevista
dall’articolo 30 L. n. 724/1994; (vii) le istanze previste ai fini del riconoscimento del beneficio ACE
di cui all’articolo 1 del Decreto Legge (D.L.) n.
201/2011 (convertito con la L. n. 214/2011), in
presenza di operazioni potenzialmente suscettibili
di comportare indebite duplicazioni del beneficio,
ai sensi dell’articolo 10 del Decreto Ministeriale
(D.M.) del 14 marzo 2012.
[4]Emanato in attuazione dell’articolo 5 della
citata Legge di delega fiscale n. 23/2014.
[5] Ciò si traduce, per l’interpello ordinario, in una
riduzione dei tempi di lavorazione delle istanze
che passano dai precedenti 120 giorni a 90 giorni.
[6]Nella previgente disciplina, la presentazione
di documentazione integrativa faceva, nel caso
dell’interpello ordinario, decorrere ex novo il termine di 120 giorni per la risposta.
[7] Gli Enti locali hanno dovuto adeguare entro 6
mesi dall’entrata in vigore del Decreto di riforma
del contenzioso e dell’interpello, vale a dire entro
il 1. luglio 2016, statuti e regolamenti per allineare
le disposizioni sul diritto di interpello dei contribuenti alla normativa statale.
[8]
Le medesime previsioni operano anche
nell’ambito dell’area Monopoli, rispetto alla sua
specifica articolazione strutturale.
27
28
Diritto tributario italiano
Il nuovo istituto degli accordi preventivi
per le imprese con attività internazionale
Gabriele Paladini
Chiomenti Studio Legale, Milano
Novità in materia di ruling internazionale
1.
Premessa
L’articolo 31-ter del Decreto del Presidente della Repubblica
(di seguito D.P.R.) n. 600 del 29 settembre 1973[1] prevede
una nuova normativa in tema di accordi fiscali preventivi per
le imprese con attività internazionale. La nuova normativa
sostituisce il previgente istituto del ruling internazionale[2].
Le disposizioni attuative della nuova normativa sono state
introdotte con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia
delle Entrate del 21 marzo 2016 (di seguito Provvedimento).
L’obiettivo della nuova disciplina è potenziare gli strumenti di
collaborazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente
al fine di garantire maggior certezza agli investitori circa il
regime tributario applicabile a una specifica operazione, posto
che, come è noto, l’imprevedibilità della variabile fiscale rappresenta un fattore negativo per gli investimenti, soprattutto
nella prospettiva degli investitori esteri.
Tale istituto intende migliorare la prevedibilità del regime
tributario applicabile in Italia a una specifica fattispecie,
attraverso la stipula di un accordo preventivo con l’Amministrazione finanziaria avente ad oggetto gli elementi che
incidono sul regime tributario. Come conseguenza, gli accordi
preventivi dovrebbero ridurre il rischio di contestazioni da
parte dell’Amministrazione finanziaria e, quindi, il rischio di
contenziosi tributari.
In tal senso, nella relazione illustrativa al D.Lgs. n. 147/2015
si afferma che gli accordi preventivi per le imprese con
attività internazionale rientrano tra i recenti “interventi
attrattivi per nuovi investitori esteri, volti a creare un contesto
di maggiore certezza per gli operatori” [3]. Il riferimento è al
“ruling sui nuovi investimenti” introdotto dall’articolo 2 D.Lgs.
n. 147/2015, che disciplina l’interpello sul regime tributario applicabile ai nuovi investimenti effettuati in Italia, di
valore superiore a 30 milioni di euro, che producano anche
benefici occupazionali.
Al riguardo si osserva che la procedura del ruling internazionale di cui all’articolo 31-ter in esame è volta alla conclusione
di un vero e proprio accordo con l’Amministrazione finanziaria
su aspetti che incidono sul regime tributario dell’operazione
(metodi di calcolo, valori fiscali, analisi di elementi fattuali) e
che potrebbero essere oggetto di contestazione da parte
dell’Agenzia delle Entrate (in assenza dell’accordo). Per contro,
l’interpello sui nuovi investimenti è volto a ottenere un parere
dell’Agenzia delle Entrate sul trattamento fiscale applicabile al
piano d’investimento e alle connesse operazioni.
2.
I soggetti cui si rivolge l’istituto degli accordi preventivi
I soggetti che possono avvalersi del nuovo istituto sono
individuati dall’articolo 31-ter D.P.R. n. 600/1973 nelle “imprese
con attività internazionale”. Il Provvedimento, all’articolo 1.1, ha
precisato che per impresa con attività internazionale deve
intendersi l’impresa residente ai fini fiscali in Italia che presenti
almeno una delle seguenti caratteristiche:
◆◆ sia parte di un gruppo societario internazionale, quale
capogruppo oppure quale società controllata;
◆◆ presenti un patrimonio, fondo o capitale partecipato da
soggetti non residenti;
◆◆ partecipi al patrimonio, fondo o capitale di soggetti non
residenti;
◆◆ abbia corrisposto a, o percepito da, soggetti non residenti
dividendi, interessi, royalties o altri componenti reddituali;
◆◆ eserciti la sua attività attraverso una stabile organizzazione in uno Stato diverso dall’Italia.
Inoltre, l’articolo 1.3 del Provvedimento include tra le imprese con
attività internazionale ai fini della norma in commento anche le
imprese non residenti in Italia che esercitano la propria attività in
Italia tramite una stabile organizzazione.
Va rilevato, infine, che la procedura degli accordi preventivi può
essere utilizzata anche da imprese non residenti in Italia, prive di
stabile organizzazione in Italia al momento della presentazione
dell’istanza di accesso alla procedura, che intendano investire in
Italia attraverso una nuova stabile organizzazione (entro il periodo
d’imposta successivo a quello di presentazione dell’istanza).
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
3.
Le materie oggetto degli accordi preventivi
3.1.
Le materie individuate espressamente dall’articolo 31-ter,
comma 1, D.P.R. n. 600/1973
Possono formare oggetto degli accordi preventivi le seguenti
materie (articolo 31-ter, comma 1, D.P.R. n. 600/1973):
a) transfer pricing: in tal caso, l’accordo riguarderà la definizione
preventiva, in contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate,
dei criteri di valutazione del valore normale delle operazioni
infragruppo soggette alla disciplina del transfer pricing;
b) stabile organizzazione: la valutazione preventiva dell’esistenza o meno di una stabile organizzazione in Italia può
essere oggetto della procedura di accordo preventivo.
Tale valutazione sarà effettuata sia con riferimento alla
nozione di stabile organizzazione prevista dalla norma
domestica (articolo 162 del Testo Unico delle Imposte
sui Redditi [di seguito TUIR]) sia con riferimento ai criteri
previsti dalle convenzioni contro le doppie imposizioni
stipulate dall’Italia;
c) attribuzione del reddito alla stabile organizzazione: in tale
ipotesi, l’accordo riguarderà la definizione dei criteri di
attribuzione di componenti positivi e negativi di reddito
alla stabile organizzazione in Italia di un’impresa estera
oppure alla stabile organizzazione all’estero di un impresa
residente in Italia;
d) trasferimento della residenza fiscale: tale accordo riguarderà la
determinazione dei valori di uscita dei beni delle imprese
commerciali che trasferiscono la propria residenza, ai fini
fiscali, dall’Italia all’estero ai fini della exit tax (articolo 166
TUIR) e la determinazione dei valori di entrata dei beni
delle imprese commerciali che trasferiscono la propria
residenza, ai fini fiscali, dall’estero in Italia ai fini della entry
tax (articolo 166-bis TUIR);
e) dividendi, interessi e royalties: in tale ipotesi l’accordo potrà
riguardare il regime tributario applicabile a dividendi,
interessi e royalties di fonte estera percepiti da un’impresa
residente ai fini fiscali in Italia (inbound) oppure di fonte italiana corrisposti ad un soggetto non residente ai fini fiscali
in Italia (outbound).
L’elenco individuato dall’articolo 31-ter, comma 1, D.P.R. n.
600/1973 deve ritenersi non tassativo, di talché gli accordi
preventivi potranno riguardare anche altre questioni di
carattere transnazionale, di natura valutativa. Così, ad esempio, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la disciplina degli
accordi preventivi è applicabile anche in materia di patent
box[4]. In questa prospettiva, si può osservare che l’ambito
di applicazione degli accordi preventivi per le imprese con
attività internazionale risulta più ampio rispetto a quello del
previgente ruling internazionale[5].
3.2.
La valutazione preventiva sull’esistenza o meno di una stabile organizzazione in Italia
Come si è visto, la procedura può essere volta alla stipula di
un accordo preventivo sulla sussistenza o meno dei requisiti
che configurano una stabile organizzazione in Italia di un’impresa non residente in Italia ai fini fiscali. In tal caso l’istanza
per la valutazione preventiva della sussistenza o meno
dei requisiti della stabile organizzazione deve contenere i
seguenti elementi:
◆◆ una descrizione dettagliata del caso concreto (ossia, in
sintesi, dell’attività esercitata in Italia dall’impresa non
residente);
◆◆ documentazione idonea a illustrare le iniziative poste in
essere e le nuove attività che si intendono intraprendere;
◆◆ le ragioni di fatto e di diritto per le quali l’impresa istante
ritiene che, nel caso di specie, sia possibile configurare
o escludere l’esistenza di una stabile organizzazione in
Italia, alla luce dei criteri previsti dall’articolo 162 TUIR (che
definisce la stabile organizzazione ai fini delle imposte
sui redditi) nonché dalla Convenzione contro le doppie
imposizioni applicabile nel caso di specie (nelle Convenzioni
stipulate secondo il Modello OCSE di regola la definizione
di stabile organizzazione è contenuta nell’articolo 5).
4.
La procedura
4.1.
L’attività preliminare (pre-filing)
L’articolo 2.9 del Provvedimento prevede una fase eventuale
di pre-filing, ossia una fase preliminare rispetto alla presentazione dell’istanza di accesso alla procedura. In tale fase, il
contribuente ha la facoltà di richiedere incontri preventivi
– anche in forma anonima – con i rappresentanti dell’Amministrazione finanziaria, al fine di ottenere un confronto
preliminare in merito alla procedura di accordo che l’impresa
intende avviare. Il confronto preventivo con l’Amministrazione
finanziaria attivato in questa fase non vincola l’impresa, ma
dovrebbe rendere più efficiente la procedura in caso di successiva presentazione dell’istanza.
4.2.
L’istanza di avvio della procedura
La procedura è avviata su istanza del contribuente indirizzata
all’Ufficio Accordi preventivi e controversie internazionali
dell’Agenzia delle Entrate di Roma o Milano (indipendentemente dal domicilio fiscale del contribuente). L’istanza, redatta
in carta libera, e la documentazione allegata devono essere
presentate sia in formato cartaceo sia in formato elettronico.
L’istanza deve contenere gli elementi previsti dall’articolo 2 del
29
30
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
Provvedimento in ragione della specifica materia oggetto del
ruling (in estrema sintesi, gli elementi identificativi dell’impresa
e l’oggetto dell’accordo preventivo). Entro 30 giorni dalla
presentazione dell’istanza, l’Agenzia delle Entrate deve comunicare all’istante se l’istanza è ammissibile oppure se risulta
improcedibile o inammissibile. Se l’istanza è dichiarata improcedibile, l’Agenzia concede all’impresa un termine di ulteriori
30 giorni per integrare la stessa con gli elementi necessari.
L’istanza è dichiarata inammissibile quando, mancando gli
elementi previsti dall’articolo 2 del Provvedimento, l’istante non
provvede ad integrarli entro i termini o l’ulteriore documentazione prodotta non è idonea a fornire le informazioni necessarie.
Se l’istanza è dichiarata ammissibile, si avvia un procedimento
in due fasi: una prima fase di colloqui con l’Agenzia delle
Entrate sulle questioni oggetto dell’istanza e una seconda
fase che prevede l’accesso da parte dell’Agenzia delle Entrate
presso gli uffici del contribuente (tale fase non è necessaria,
ma dipende dalla questione oggetto dell’istanza).
La prima fase prevede una serie di incontri tra contribuente
e Agenzia delle Entrate sulla questione oggetto dell’istanza,
anche per analizzare i documenti relativi al caso oggetto dell’istanza. Durante tale fase, l’Agenzia può chiedere all’impresa
di produrre ulteriori informazioni e documenti. La mancata
presentazione degli ulteriori documenti o informazioni eventualmente richiesti comporta l’esclusione dalla procedura.
La seconda fase (eventuale) prevede l’accesso di funzionari
dell’Agenzia delle Entrate presso la sede dell’istante, per prendere diretta cognizione di elementi fattuali utili ai fini istruttori.
5.
Conclusione della procedura ed effetti dell’accordo preventivo
Il procedimento dovrebbe concludersi entro 180 giorni dal ricevimento dell’istanza da parte dell’Agenzia delle Entrate[6]. La
procedura si perfeziona con la sottoscrizione di un accordo relativo agli elementi oggetto dell’istanza. In caso di esito negativo
viene redatto un processo verbale che attesta la conclusione del
procedimento senza il raggiungimento di un accordo[7].
[1] Introdotto dall’articolo 1, comma 2, del Decreto Legislativo (di seguito D.Lgs.) n. 147/2015. Sul
tema si veda la Circolare Assonime n. 10 del 1.
aprile 2016.
[2]Il ruling internazionale era disciplinato dall’articolo 8 del Decreto Legge (D.L.) n. 269/2003,
convertito con modificazioni dalla Legge (L.) n.
326/2003.
[3]Nella Circolare n. 25/E del 1. giugno 2016,
l’Agenzia delle Entrate ha osservato che le modifiche apportate all’istituto del ruling internazionale,
rispetto alla previgente versione, sono finalizzate
Dalla lettura dell’articolo 31-ter D.P.R. n. 600/1973 e del
Provvedimento si evince che la procedura deve necessariamente concludersi con un atto, ossia, a seconda dei casi, con
un accordo sottoscritto anche dall’impresa (esito positivo)
oppure con un verbale che rileva il mancato raggiungimento di
un accordo e l’estinzione del procedimento (esito negativo)[8].
L’accordo ha efficacia vincolante per entrambe le parti e
rimane in vigore per il periodo di imposta nel corso del quale
è stipulato e per i quattro successivi[9]. Ad esempio, in caso di
sottoscrizione di un accordo nel 2017 questo resterà in vigore
fino al periodo d’imposta 2021.
In vigenza dell’accordo, l’Agenzia delle Entrate non può esercitare i poteri di accertamento (di cui agli articoli 32 e seguenti
D.P.R. n. 600/1973) se non per questioni diverse da quelle
oggetto dell’accordo[10]. In altri termini, è preclusa la possibilità di rimettere in discussione, in sede di accertamento, i criteri
e le valutazioni concordate con il contribuente nell’accordo.
È prevista la possibilità di modificare l’accordo, d’intesa tra
le parti, nel caso in cui, dopo la stipula dell’accordo, vi sia un
mutamento negli elementi su cui si basa l’accordo stesso[11].
L’accordo, come si è visto, ha efficacia fino al quarto periodo
successivo a quello in cui è stato sottoscritto. Il contribuente
ha la facoltà di chiedere il rinnovo dell’accordo presentando
apposita istanza di rinnovo almeno 90 giorni prima della scadenza dello stesso[12].
Resta ferma la possibilità per l’Agenzia delle Entrate di verificare
sia il rispetto dell’accordo da parte dell’impresa sia la rispondenza al vero dei fatti da questa esposti, anche attraverso la
richiesta di informazioni e documenti o tramite l’accesso concordato ai locali dell’impresa[13].
Elenco delle fonti fotografiche:
h t t p : // w w w . p m i . i t / w p - c o n t e n t /u p l o a d s / 2 0 1 5 / 0 9/ I n t e r n a z i o nalizzazione-e1443014977273.jpg [30.10.2016]
a favorire l’internazionalizzazione delle imprese
e a rendere maggiormente attrattivo il sistema
fiscale italiano.
[4] Circolare n. 25/E del 1. giugno 2016, paragrafo 6.4.
[5]Il previgente ruling internazionale era limitato alle seguenti materie: prezzi di trasferimento,
dividendi, interessi e royalties, esistenza di una stabile organizzazione.
[6] Articolo 2.8 del Provvedimento.
[7]Così espressamente l’articolo 4.1 del Provvedimento.
[8] Cfr. articolo 4.7 del Provvedimento.
[9]Cfr. articolo 31-ter, comma 2, D.P.R. n.
600/1973 e articolo 4.6 del Provvedimento.
[10]Cfr. articolo 31-ter, comma 5, D.P.R. n.
600/1973.
[11]Cfr. articolo 31-ter, comma 2, D.P.R. n.
600/1973. Come previsto dall’articolo 9 del Provvedimento.
[12] Articolo 10 del Provvedimento.
[13] Articolo 7.1 del Provvedimento.
Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero
Avviso di tassazione vs. decisione di tassazione:
quando l’autorità fiscale può procedere
a una tassazione d’ufficio nell’ambito delle
imposte alla fonte?
Sabina Rigozzi
Collaboratrice scientifica SUPSI
Sentenza della Camera di diritto tributario del Tribunale d'Appello del Cantone Ticino, del 14 settembre 2015, n. 80.2014.308
Imposte alla fonte – procedura – mancata collaborazione del
debitore – tassazione d’ufficio – fase non contenziosa – “avviso”
di tassazione prima della decisione – annullamento della decisione
1.
Considerazioni introduttive
Malgrado non direttamente previsto dalla legge, si ritiene che
l’autorità fiscale cantonale sia competente per procedere a
una tassazione d’ufficio nel caso in cui il debitore dell’imposta
alla fonte non abbia adempiuto i suoi obblighi fiscali. Secondo
gli articoli 100 capoverso 1 della Legge federale sull’imposta
federale diretta (di seguito LIFD), e 121 capoverso 1 della
Legge tributaria ticinese (di seguito LT), il debitore della prestazione imponibile ha l’obbligo di:
◆◆ trattenere l’imposta dovuta alla scadenza delle prestazioni
pecuniarie e di riscuotere, presso il contribuente, l’imposta
dovuta sulle altre prestazioni (segnatamente le prestazioni
in natura e le mance);
◆◆ fornire al contribuente una distinta o un’attestazione relativa alla ritenuta d’imposta;
◆◆ versare periodicamente le imposte all’autorità fiscale competente, allestire, all’intenzione di quest’ultima, i conteggi
corrispondenti e consentire alla medesima la consultazione
di tutti i documenti utili al controllo della riscossione
dell’imposta;
◆◆ versare la quota proporzionale dell’imposta sulle opzioni di
collaboratore esercitate all’estero; il datore di lavoro deve la
quota proporzionale dell’imposta anche se il vantaggio valutabile in denaro è versato da una società estera del gruppo.
Al capoverso 2 dell'articolo 100 LIFD è previsto che il debitore
della prestazione imponibile sia responsabile del pagamento
dell’imposta alla fonte. Per il diritto cantonale, il debitore della
prestazione imponibile è solidalmente responsabile con il contribuente o il lavoratore per il prelevamento delle imposte alla fonte,
inoltre è l’unico responsabile del successivo riversamento degli
importi ricevuti all’autorità fiscale (articolo 121 capoverso 3 LT).
Per “debitore della prestazione imponibile” si intende la persona
che versa al contribuente le prestazioni dovute o verso il quale
ha un debito. In altre parole, il datore di lavoro nel caso del
contratto di lavoro. Il debitore può quindi essere una persona
fisica o anche una persona giuridica. Siffatta “sostituzione
fiscale” implica, dal punto di vista materiale, che il debitore
della prestazione imponibile sia responsabile del pagamento
dell’imposta alla fonte[1].
2.
La fattispecie sotto esame
La X SA, nonostante le diffide del 9 maggio 2014 e del 13
giugno 2014, non ha presentato il conteggio annuale delle
imposte alla fonte trattenute nel 2013 sugli stipendi dei
dipendenti, tutti residenti in Italia e assoggettati alla ritenuta
d’imposta alla fonte quali frontalieri. Con decisione del 16 settembre 2014, l’Ufficio delle imposte alla fonte ha quantificato
in 7’500 franchi l’ammontare dovuto dalla X SA per il periodo
fiscale 2013. Il 22 e il 27 ottobre 2014, la X SA ha trasmesso
all’Ufficio delle imposte alla fonte il conteggio della trattenuta
d’imposta per l’anno 2013 quantificando l’importo netto
dovuto in 3’315.85 franchi. L’autorità fiscale, mediante decisione del 4 novembre 2014, ha considerato la trasmissione del
conteggio per il periodo fiscale 2013 alla stregua di reclamo,
che è stato tuttavia dichiarato irricevibile poiché tardivo.
Mediante ricorso alla Camera di diritto tributario del Tribunale
d'Appello del Canton Ticino (di seguito CDT), la X SA postulava l’annullamento della decisione dell’Ufficio delle imposte
alla fonte chiedendo che l’ammontare da versare all’erario
sia quantificato in 3’315.85 franchi anziché in 7’500 franchi.
La ricorrente argomentava che il suo amministratore unico,
a causa di una malattia che lo avrebbe affaticato molto, per
assicurare la continuità della ditta, si sarebbe impegnato nella
produzione, trascurando le questioni amministrative.
3.
La tassazione d’ufficio è praticabile?
La questione che si pone, quando il debitore della prestazione
imponibile non adempie ai suoi obblighi di “consegnare al lavoratore l’attestazione indicante l’ammontare dell’imposta trattenuta e
di versare periodicamente le imposte all’autorità fiscale competente
31
32
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
e di trasmettere i relativi conteggi”, è se l’autorità fiscale possa
applicare gli articoli 130 capoverso 2 LIFD e 204 capoverso 2
LT, che prevedono la tassazione d’ufficio.
alla tassazione d’ufficio, che può tuttavia rivelarsi necessaria in
caso di inadempimento degli obblighi del debitore dell’imposta
e che in sé è ammessa pertanto dalla dottrina e dalla prassi.
Analogamente all’imposta preventiva (di seguito IP),
bisogna concludere che, anche se la legge non prevede
espressamente una tassazione d’ufficio, la competenza
dell’autorità fiscale a procedervi deve essere considerata
come implicita, visto l’obbligo del contribuente di fornire le
informazioni e la competenza dell’autorità fiscale di prendere tutte le decisioni che sono necessarie per la riscossione
dell’imposta. Nel caso dell’imposta alla fonte bisogna tenere
in considerazione il fatto che il debitore dell’imposta non si
identifica con il contribuente. L’autorità fiscale deve quindi
garantire il diritto di essere sentito di quest’ultimo, per
evitare che subisca le conseguenze di una violazione degli
obblighi di procedura che incombono al debitore della prestazione imponibile. Prima di procedere ad una tassazione
d’ufficio, il fisco deve quindi inviare una diffida al debitore
della prestazione imponibile e parimenti al contribuente, per
avvertirli delle conseguenze dell’omissione di collaborazione
e di quelle della tassazione d’ufficio [2].
Si può allora fare riferimento, per analogia, a quanto prevedono le leggi che disciplinano altre imposte che a loro volta
prevedono una procedura di autotassazione.
Come esposto poc’anzi, nella fattispecie sotto esame, l’Ufficio
imposte alla fonte ha notificato alla X SA una decisione di
tassazione d’ufficio, attribuendole un termine di reclamo di
30 giorni. Il reclamo è poi stato dichiarato tardivo, in quanto
il conteggio è stato inviato dopo la scadenza del termine di
reclamo di 30 giorni. Si tratta di verificare se la tassazione
d’ufficio intrapresa dall’autorità fiscale costituisce una decisione formale, suscettibile di reclamo.
3.1.
Procedura di tassazione mista vs. autotassazione
Il sistema di imposizione alla fonte si differenzia in maniera
marcata da quello delle imposte ordinarie sul reddito e sulla
sostanza. Quest’ultimo si basa infatti su una procedura
di tassazione mista, mentre il primo si fonda sul principio
dell’autotassazione. Di conseguenza la procedura in materia
di imposte alla fonte deve tener conto di questa particolarità e, per ragioni di praticabilità, richiede soluzioni facili e
schematiche [3].
Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, di principio
l’autotassazione non rappresenta una sorta di decisione per
sé stessa poiché né il contribuente né il debitore della prestazione imponibile hanno la potestà di emanare decisioni[4].
L’intervento dell’autorità fiscale nello svolgimento della procedura di autotassazione, mediante la notificazione di una
decisione, presuppone pertanto che il debitore della prestazione imponibile non abbia operato oppure abbia operato solo
in parte la ritenuta d’imposta (articoli 138 LIFD e 211 LT) o che
vi sia una “contestazione sulla ritenuta d’imposta”, in seguito alla
quale il contribuente o il debitore della prestazione imponibile
esige dall’autorità di tassazione una decisione in merito all’esistenza e all’estensione dell’assoggettamento (articoli 137
LIFD e 210 LT).
Secondo la CDT, la normativa sulle imposte alla fonte non
prevede per contro una decisione dell’autorità fiscale in merito
Non solo nell’ambito della già ricordata IP, ma anche nell’applicazione dell’imposta federale di bollo, è ammesso, sebbene
non espressamente previsto dalla legge, che l’Amministrazione
federale delle contribuzioni (di seguito AFC) possa procedere
ad una tassazione per apprezzamento, nel caso in cui il contribuente rifiuti di adempiere i suoi obblighi[5].
Il dovere dell’AFC di intraprendere una tassazione d’ufficio è
per contro espressamente disciplinato nella Legge federale del
12 giugno 2009 concernente l’imposta sul valore aggiunto (di
seguito LIVA). Secondo l’articolo 79 capoverso 1 LIVA, infatti,
se i documenti contabili non esistono o sono incompleti o se
le indicazioni presentate dal contribuente non corrispondono
manifestamente alla realtà, l’AFC esegue una tassazione d’ufficio nei limiti del suo potere d’apprezzamento.
Nel quadro dell’imposta sul valore aggiunto (di seguito IVA), si
distinguono due forme di tassazione d’ufficio[6]:
◆◆ la tassazione “interna” viene intrapresa quando il contribuente non ha adempiuto i suoi obblighi di registrazione e
di rendicontazione. In tal caso, l’AFC procede ad una stima
“grossolana” della cifra d’affari, riservandosi tuttavia un successivo controllo presso il contribuente;
◆◆ la tassazione “esterna” consiste appunto nel controllo che
viene eseguito presso il contribuente.
La tassazione d’ufficio interna può diventare una tassazione
definitiva, se passa in giudicato e se l’AFC rinuncia poi ad un
controllo presso il contribuente. La riserva del successivo controllo ha appunto lo scopo di impedire che la res iudicata della
decisione si opponga a un successivo controllo[7].
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
3.2.
L’avviso di tassazione non costituisce una decisione di tassazione
Fino al 21 marzo 2014, quando il Tribunale federale ha sciolto
i dubbi in una sentenza di principio, è stato controverso se
l’avviso di tassazione, che interviene al termine di un controllo
fiscale o in caso di tassazione d’ufficio costituisca come tale
una decisione o se preceda invece la fase decisionale, mirando
a facilitare l’instaurarsi di un dialogo informale fra contribuente
e amministrazione.
In effetti, per l’articolo 43 capoverso 1 LIVA, il credito fiscale
passa in giudicato mediante:
a una decisione passata in giudicato, una decisione su
reclamo passata in giudicato o una sentenza passata in
giudicato;
b il riconoscimento scritto o il pagamento senza riserve da
parte del contribuente di un avviso di tassazione;
c l’inizio della prescrizione del diritto di tassazione.
Sino al passaggio in giudicato, i rendiconti presentati e gli
importi versati possono essere corretti (articolo 43 capoverso
2 LIVA). Le lettere a e b dell’articolo 43 capoverso 1 LIVA distinguono dunque fra una “decisione” e un “avviso di tassazione”.
sull’autotassazione, che il legislatore consenta al contribuente,
prima dell’avvio di una procedura contenziosa, di ricercare
il dialogo informale con il fisco, per esporgli la sua posizione
(DTF 140 II 202 consid. 5.4). La tassazione per apprezzamento
prevede dunque dapprima una fase non contenziosa, che
può poi essere seguita, a determinate condizioni, da una fase
contenziosa[10].
Considerata la natura del sistema di accertamento e di
riscossione, che come per l’IVA si basa sull’autotassazione,
si deve ritenere che anche nel caso dell’imposta alla fonte la
procedura contenziosa debba essere avviata solo quando il
dialogo fra le parti (fisco, da una parte, e debitore dell’imposta
e/o contribuente, dall’altra) non abbia più prospettive.
4.
Le conclusioni della CDT
Nella fattispecie sotto esame, quella intrapresa dall’Ufficio
imposte alla fonte è pertanto una tassazione d’ufficio “interna”,
cioè l’apprezzamento è stabilito sulla base degli elementi a
disposizione dell’autorità fiscale, senza aver esperito una verifica presso il debitore dell’imposta. Tanto è vero che, come si
verifica nel caso della tassazione interna nell’ambito dell’IVA,
l’autorità si è riservata una “risoluzione suppletiva”, in seguito a
eventuali “successivi accertamenti”, che non possono che corrispondere all’esito di un successivo controllo.
La CDT evidenzia che, il Tribunale amministrativo federale
(TAF) prima (sentenza n. A-707/2013 del 23 luglio 2013), e il
Tribunale federale poi (DTF 140 II 202), hanno sottolineato
come dai materiali legislativi si evinca che l’idea del legislatore
era di lasciare al contribuente stesso la decisione se aprire o
meno una procedura amministrativa. Tale libertà di scelta
presuppone però che gli “avvisi di tassazione” non siano delle
decisioni. L’AFC non ha pertanto la facoltà di adottare degli
avvisi di tassazione qualificati, suscettibili di acquisire la qualità
di decisioni grazie al rispetto dei requisiti di forma previsti dalla
procedura amministrativa. Anche se è motivato e munito
dell’indicazione dei rimedi giuridici, un avviso di tassazione
non costituisce dunque una decisione secondo l’articolo 81
capoverso 1 LIVA.
La notificazione di un avviso di tassazione non implica che il
credito fiscale passi in giudicato. Il fatto che il contribuente
non reagisca al ricevimento di un avviso di tassazione non
ha pertanto alcuna conseguenza sotto questo profilo. In
presenza di un avviso di tassazione, solo il riconoscimento
scritto o il pagamento senza riserve da parte del contribuente
dell’importo che figura nell’avviso comporta che il credito
fiscale passi in giudicato[8]. Naturalmente, se l’AFC adottasse
una decisione in seguito all’avviso di tassazione (a condizione
ovviamente che il credito fiscale non sia già passato in giudicato, in seguito al riconoscimento scritto o al pagamento
senza riserve da parte del contribuente), troverebbe applicazione la lettera a dell’articolo 43 capoverso 1 LIVA e non più la
lettera b[9].
Nella sua sentenza, con cui ha negato la natura di decisione
agli avvisi di tassazione, il Tribunale federale ha fra l’altro
sottolineato come non appaia insolito, tenuto conto della
responsabilità attribuita al contribuente in un sistema fondato
Come in ambito procedurale IVA, anche in questo contesto si
giustifica la conclusione che l’autorità di tassazione debba dapprima notificare un avviso di tassazione, che non corrisponde
ancora ad una decisione di tassazione suscettibile di reclamo.
Tale soluzione si impone a fortiori in materia di imposta
alla fonte, pensando al fatto, già ricordato, che il debitore
dell’imposta non si identifica con il contribuente e che, di conseguenza, l’autorità fiscale deve garantire il diritto di essere
sentito di quest’ultimo, per evitare che subisca le conseguenze
di una violazione degli obblighi di procedura che incombono
al debitore della prestazione imponibile. Come già rilevato,
prima di procedere ad una tassazione d’ufficio, il fisco deve
quindi inviare una diffida non solo al debitore della prestazione imponibile ma anche al contribuente. Seppur anche l’IVA
è destinata ad essere traslata sul consumatore finale, nel caso
dell’imposta alla fonte la traslazione è più immediata, almeno
fintantoché il contribuente rimane alle dipendenze del debitore dell’imposta.
33
34
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
Nel caso in esame, benché il termine di 30 giorni dalla notificazione dell’avviso di tassazione (16 settembre 2014) fosse
scaduto da alcuni giorni, bisogna constatare che per finire
il debitore dell’imposta ha adempiuto i suoi obblighi, ancor
prima che la procedura entrasse nella sua fase “contenziosa”.
Elenco delle fonti fotografiche:
h t t p : // w w w . i n f o i n s u b r i a . c o m / w p - c o n t e n t / u p l o a d s / 2 0 1 0 / 0 9 /
ImpostaFonte-2.jpg [30.10.2016]
http://www.strettoweb.com/wp-content/uploads/2015/01/Giudice.jpg
[30.10.2016]
Può essere lasciata aperta la questione a sapere se il conteggio possa essere semplicemente considerato come
pervenuto tempestivamente oppure se l’Ufficio competente
debba adottare una decisione, nella quale fissa il credito
d’imposta riprendendo gli importi dal conteggio inoltrato[11].
In entrambi i casi, infatti, il credito fiscale sarà stabilito nella
stessa misura, riservato un successivo controllo o, secondo la
terminologia dell’IVA, una tassazione “esterna”.
Di conseguenza, la decisione impugnata, che ha dichiarato
irricevibile il reclamo della ricorrente, è stata annullata. La decisione del 16 settembre 2014, contro cui la X SA aveva interposto
il reclamo dichiarato irricevibile dall’Ufficio imposte alla fonte,
si deve considerare come un avviso di tassazione, nell’ambito
della fase non contenziosa della procedura. Essendo pervenuto
poi il conteggio annuale, quest’ultimo rende di fatto irrilevante
l’avviso di tassazione stesso.
[1] Pedroli Andrea, in: Yersin Danielle/Noël Yves (a
cura di), Commentaire de la loi sur l’impôt fédéral
direct, Basilea 2008, N 4 ad Art. 100 LIFD e N 5-12
ad Art. 88 LIFD.
[2] Pedroli Andrea, op. cit., N 5-12 ad Art. 136 LIFD.
[3] Sentenza del Tribunale federale n. 2C_673/2008
del 9 febbraio 2009, in: DTF 135 II 274 consid. 3.3 e
riferimenti citati.
[4]DTF 135 II 274 consid. 5.3.1, con riferimento
alla sentenza n. 2A.320/2002/2A.326/2002 del 2
giugno 2003 consid. 3.4.3.4, in: ASA 74 pagina 666.
[5]Hochreutener Hans-Peter, La procédure de
taxation dans le domaine des droits de timbre et
de l’impôt anticipé, in: OREF (a cura di), Les procédures en droit fiscal, 2. ed., Berna 2005, pagina 484.
[6]Cfr. per esempio la sentenza del Tribunale
amministrativo federale n. A-1641/2006 del 22
settembre 2008, consid. 4; inoltre: Mollard Pascal,
TVA et taxation par estimation, in: ASA 69 pagina
511 e seguenti, in particolare pagine 520-522.
[7] Cfr. la sentenza del 22 settembre 2008 citata,
consid. 4.3 in fine.
[8]May Canellas Marie-Chantal, in: Zweifel Martin/Beusch Michael/Glauser Pierre-Marie/Robinson
Philip (a cura di), Bundesgesetz über die Mehrwertsteuer [MWStG]/Loi fédérale régissant la taxe sur la
valeur ajoutée [LTVA], Basilea 2015, N 16 ad Art. 43
LIVA, pagina 956.
[9] May Canellas Marie-Chantal, op. cit., N 17 ad
Art. 43 LIVA, pagina 956.
[10] Cfr. anche Mollard Pascal, op. cit., pagina 521.
[11] Mollard Pascal, op. cit., pagina 528.
Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano
Iscrizione all’anagrafe della popolazione
residente in Italia e dovere di contribuire
alle spese pubbliche
Roberto Franzè
Professore aggregato di diritto
tributario nell’Università della Valle d’Aosta
Sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 21970 del 28
ottobre 2015
La recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione n.
21970 del 28 ottobre 2015 ben si presta a riaccendere il dibattito – per la verità, mai completamente sopito – sul ruolo che
assume l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente in
Italia quale criterio di collegamento personale nell’imposizione
reddituale sulle persone fisiche. È ben noto che, giusta il disposto dell’articolo 2 del Decreto del Presidente della Repubblica
(di seguito D.P.R.) n. 917/1986 (di seguito TUIR), ai fini delle
imposte sui redditi, le persone fisiche sono considerate essere
fiscalmente residenti in Italia se “per la maggior parte del periodo
di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o
hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del
codice civile” (così il comma 2 del citato articolo 2).
I tre criteri disciplinati dalla disposizione legislativa rivestono
una centrale importanza nel sistema dell’imposta sul reddito
delle persone fisiche non solo perché alla residenza/non
residenza è ricollegata, nell’ambito del TUIR, un’obbligazione
tributaria basata (per i residenti) sul reddito ovunque realizzato
ovvero (per i non residenti) sul solo reddito realizzato in Italia
ma anche perché dalla residenza/non residenza discendono
importanti conseguenze anche sulla struttura dello stesso
presupposto impositivo: basti pensare che, nei confronti dei
soggetti non residenti, l’imposizione reddituale perde gran
parte del suo carattere di personalità (per via dell’utilizzo,
da parte del legislatore, di meccanismi di imposizione basati
sulla ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o sull’ imposizione
sostitutiva), che, viceversa, preserva, sia pure con deroghe, per
l’imposizione dei soggetti residenti nel territorio dello Stato.
Quanto sopra spiega l’importanza di un’indagine vertente
sulla coerenza intrinseca dei criteri di collegamento personali
prescelti dal legislatore rispetto al principio di capacità contributiva stabilito dall’articolo 53 della Costituzione italiana.
L’articolo 53 della Costituzione impone che a fondamento
dell’imposizione (anche di quella reddituale) si ponga un dovere
inderogabile di solidarietà e che questo dovere deve gravare
su tutti i consociati in quanto membri di una collettività
organizzata e, in quanto tali, chiamati a partecipare alla vita
ed allo sviluppo di essa, da un lato fruendo dei conseguenti
benefici, dall’altro destinando parte delle proprie risorse al
sostegno dei relativi oneri. Scritto in altri termini, nessuna
chiamata al concorso delle spese pubbliche di una collettività
organizzata può essere predicata, in ragione dell’articolo 53
della Costituzione, in capo ad un soggetto se essa non trova il
suo fondamento in un criterio di collegamento personale che
sia idoneo ad evidenziare l’appartenenza economico-sociale
del soggetto medesimo a quella collettività. In questo senso,
quindi, occorre interrogarsi se i tre criteri normativi individuati
dal legislatore del TUIR siano idonei a legittimamente fondare
quella appartenenza economico-sociale della persona fisica
nei cui confronti anche uno solo di quei tre criteri normativi
si realizza.
E l’importanza di una siffatta indagine è esaltata dalla stessa
sentenza di Cassazione n. 21970 del 28 ottobre 2015 nella
quale si legge che “ai fini delle imposte dirette, le persone iscritte
nelle anagrafi della popolazione residente si considerano, in applicazione del criterio formale dettato dall’articolo 2 TUIR, in ogni caso
residenti, e pertanto soggetti passivi d’imposta, in Italia; con la conseguenza che, ai fini predetti, essendo l’iscrizione indicata preclusiva di
ogni ulteriore accertamento, il trasferimento della residenza all’estero
non rileva fino a quando non risulti la cancellazione dall’anagrafe di
un Comune italiano” (cfr. Cassazione n. 677/2015, Cassazione
n. 14434/2010, Cassazione n. 9319/2006, Cassazione n.
13803/2001, Cassazione n. 1225/1998).
Passando in rassegna i primi due criteri di collegamento personale individuati dal legislatore del TUIR, e cioè il domicilio
e la residenza del codice civile, si rileva una loro tendenziale
idoneità a fondare un’appartenenza economica e sociale del
soggetto che li integra.
Nella disciplina codicistica – espressamente richiamata dal
legislatore del TUIR – il domicilio individua il luogo in cui la
persona ha stabilito il centro principale dei propri affari ed
interessi, sicché esso riguarda la generalità dei rapporti del
soggetto – non solo economici ma anche morali, sociali e
familiari – e va desunto alla stregua di tutti quegli elementi
di fatto che, direttamente od indirettamente, denuncino la
35
36
Novità fiscali / n.11 / novembre 2016
presenza in un certo luogo di tale complesso di rapporti e il
carattere principale che esso ha nella vita della persona (cfr.
Cassazione 5 maggio 1980, n. 2936).
La residenza è, invece, determinata dall’abituale e volontaria
dimora della persona fisica in un determinato luogo, cioè
dall’elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dall’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente,
rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali (cfr. Cassazione 14 marzo 1986, n. 1738).
Così definite – la residenza ed il domicilio ai sensi del codice
civile – non può dubitarsi della loro astratta idoneità a fondare
la presunzione di appartenenza economico e sociale della
persona alla collettività organizzata nella quale la residenza
o il domicilio sono, per l’appunto, stabiliti. Entrambi i criteri,
in effetti, postulano l’istituzione di relazioni con la collettività
nonché l’assunzione di un ruolo da parte della medesima
collettività come ambito di svolgimento dei rapporti giuridici,
economici e sociali dei soggetti che vi appartengono.
In dottrina sono state, invece, avanzate circostanziate critiche
all’idoneità dell'iscrizione alla anagrafe della popolazione
residente a rappresentare un idoneo criterio di appartenenza economico e sociale ad una collettività organizzata:
si è, infatti, obiettato che si tratta di un criterio irrazionale
in quanto opererebbe indipendentemente dalla volontà del
soggetto, con la conseguenza che potrebbe portare ad un
assoggettamento ad imposta anche persone che siano prive
di un qualsiasi collegamento con la comunità organizzata le
cui spese sarebbero chiamate a sostenere.
Deve essere, all’uopo, evidenziato che, giusta il disposto
dell’articolo 1 della Legge del 24 dicembre 1954, n. 1228
“nell’anagrafe della popolazione residente sono registrate le posizioni
relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze, che
hanno fissato nel comune la residenza, nonché le posizioni relative
alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel comune il
proprio domicilio, in conformità del regolamento per l’esecuzione
della presente legge” e che, giusta il disposto dell’articolo 2 della
medesima legge, “è fatto obbligo ad ognuno di chiedere per sé e
per le persone sulle quali esercita la patria podestà o la tutela, la
iscrizione nell’anagrafe del comune di dimora abituale e di dichiarare
alla stessa i fatti determinanti mutazione di posizioni anagrafiche”.
In estrema sintesi, quindi, i presupposti per l’iscrizione anagrafica sono rappresentati da quei medesimi criteri – la residenza
ed il domicilio previsti dal codice civile – che assumono
un’autonoma rilevanza ai fini dell’attribuzione della residenza
fiscale, sicché se ne deve dedurre che, secondo le intenzioni del
legislatore del TUIR, l’iscrizione anagrafica dovrebbe assurgere a criterio di collegamento anche in assenza dei requisiti
sostanziali che la giustificano. Scritto in altri termini, se il
legislatore del TUIR ha inteso dare rilevanza all’iscrizione anagrafica in modo autonomo rispetto ai criteri della residenza e
del domicilio del codice civile, se ne deve dedurre che, secondo
le intenzioni del legislatore medesimo, essa dovrebbe essere
idonea ad attribuire la residenza fiscale anche in assenza di un
domicilio o di una residenza della persona fisica in Italia.
Occorre, quindi, interrogarsi se il criterio dell’iscrizione anagrafica – in assenza del domicilio o della residenza della persona
in Italia – possa essere espressivo di quella appartenenza
alla comunità economico e sociale della quale la persona
dovrebbe sostenere le spese. In dottrina, anche evocando il
disposto dell’articolo 44 del codice civile (secondo cui “il trasferimento della residenza non può essere opposto ai terzi di buona
fede, se non è stato denunciato nei modi prescritti dalla legge”), si è
ritenuto che tutte le volte in cui le risultanze anagrafiche siano
corrispondenti a quanto voluto dal contribuente – e cioè non
sia possibile dimostrare che il contribuente non avesse voluto
iscriversi o avesse voluto cancellarsi – lo stesso non possa
opporre ai terzi la divergenza dalla realtà di quanto egli stesso
ha inteso far apparire.
Resta, secondo chi scrive, comunque la riflessione che i criteri
di collegamento, nella prospettiva del rispetto del principio
di capacità contributiva, dovrebbero essere espressivi di
un’appartenenza non solo formale ma anche sostanziale alla
collettività della quale si sostengono le spese; diversamente
argomentando, oltre che fondare il prelievo tributario su
situazioni apparenti (piuttosto che reali), si finirebbe per
rimettere alla discrezionalità del contribuente il dovere di
pagare le imposte.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.retelenford.it/images/cassazione.JPG [30.10.2016]
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