Cirillo 19 - Filodiritto

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DIRITTO AMMINISTRATIVO
I SOGGETTI DI DIRITTO AMMINISTRATIVO ED IN PARTICOLARE LE SOCIETA’
PUBBLICHE, RECENTI CONSIDERAZIONI SULLA GIURISIZIONE CONTABILE A
PROPOSITO DELLA SOCIETA’ DI CAPITALI IN HOUSE.
Abstract:
Cenno sui soggetti di diritto amministrativo: gli enti pubblici, enti pubblici economici, organismi di
diritto pubblico e imprese in mano pubblica.
Cenni generali sulle società in house.
La responsabilità amministrativa nell’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale.
La responsabilità della pubblica amministrazione.
La responsabilità civile per mala gestio degli amministratori delle società pubbliche.
La questione di fatto sollevata innanzi le Sezioni Unite nel 2013 dopo una condanna del giudice
contabile ed un secondo grado di giudizio che dichiarava il difetto del giudice contabile.
Il dibattito giurisprudenziale per cui le società di capitali non cessano di essere società di diritto
privato per cui hanno personalità distinta dagli organi e dai soci con proprio patrimonio. Art 2392
c.c.
Il principio di neutralità della forma giuridica secondo la giurisprudenza e la dottrina recenti
dimostra l’evoluzione dell’ordinamento della nozione di pubblica amministrazione. Art. 1-ter,
art.22, L. 241/90 e art 3, comma 25, d.lgs. 163/2006.
La nozione di società in house: natura esclusivamente pubblica dei soci, destinazione prevalente
dell’attività e sottoposizione a controllo analogo esercitato dall’ente sui propri uffici.
La soluzione della questione secondo le SS.UU. si discostano dal tradizionale orientamento per cui
la giurisdizione è del giudice ordinario, in quanto nello specifico si tratta di danno erariale in quanto
non sussiste la distinzione tra il patrimonio dell’ente e quello della società.
Conclusioni: è irrilevante la natura privatistica delle società a partecipazione pubblica e il regime
giuridico cui è assoggettata secondo il principio della neutralità della forma giuridica, al contrario
della rilevanza dell’effettivo regime giuridico.
Le SS.UU. hanno considerato la sussistenza di un evento dannoso effettivamente verificatosi a
carico della P.A.
Nell’ordinamento italiano esiste una pluralità di soggetti, accanto allo Stato, che svolgono funzioni
e compiti amministrativi, e, quindi possono ritenersi pubbliche amministrazioni: si tratta degli enti
pubblici.
Gli enti pubblici, o persone giuridiche pubbliche, sono quei soggetti, diversi dallo Stato, che
esercitano funzioni amministrative e che costituiscono, nel loro complesso, la c.d. Pubblica
Amministrazione.
Gli enti pubblici economici, invece, agiscono in regime di diritto privato e sono soggetti alla
disciplina di quest’ultimo.
La sempre maggiore incidenza del diritto europeo sul diritto interno ha avuto come immediata
conseguenza il mutamento in senso ampliativo, del concetto di Pubblica Amministrazione.
Sono persone giuridiche pubbliche di origine europea l’organismo di diritto pubblico e l’impresa in
mano pubblica.
Questi nuovi soggetti di diritto amministrativo sono stati oggetto di numerosi interventi autorevoli
nel tempo per poterne chiarire il significato.
Tra gli indirizzi dottrinali e giurisprudenziali spicca quello “restrittivo” che ponendosi in stretto
contrasto con quello costantemente assunto dalla Corte di Giustizia, ritiene insita alla stessa forma
societaria una connotazione imprenditoriale di tipo commerciale che è incompatibile con la nozione
di organismo di diritto pubblico.
La tendenza di questo orientamento è pertanto quella di escludere in modo assoluto la
riconducibilità di organismi societari di tal genere alla categoria pubblicistica.
Il secondo indirizzo maggioritario è considerato “estensivo” ed aderisce all’idea per cui debbono
considerarsi organismi di diritto pubblico tutti gli enti, compresi quelli aventi forma societaria,
la cui attività sia finalizzata a produrre utilità strumentali per l’interesse generale e comunque aventi
carattere non industriale o commerciale in quanto non assoggettate a regole di mercato e dunque
non perseguite sulla base di criteri strettamente imprenditoriali.
Il terzo indirizzo, definito “intermedio”, è quello in forza del quale i criteri da utilizzare nel
verificare la riconducibilità del singolo ente alla nozione comunitaria di organismo di diritto
pubblico sono quelli ordinari, coincidenti con gli elementi costitutivi della nozione medesima.
Da tanto si fa discendere anche una società per azioni può essere qualificata organismo di diritto
pubblico quando, oltre ad essere sotto l’influenza dominante dello Stato, degli enti locali o altri
organismi di diritto pubblico, sia preposta all’espletamento di un’attività diretta al soddisfacimento
di bisogni generali, purchè non suscettibili di essere soddisfatti mediante la produzione di beni
fornendo direttamente servizi alla collettività.
L’adesione all’uno piuttosto che all’altro indirizzo ha conseguenze di pregnante rilievo pratico
nell’ambito in questione.
Scegliere di qualificare tali società come organismi di diritto pubblico implica l’obbligo di ricorrere
alle procedure ad evidenza pubblica per la scelta del contraente, così come sancito dalle norme
comunitarie e nazionali in materia di procedure di aggiudicazione di appalti pubblici.
Talvolta è stato sostenuto che tali organismi sono imprese pubbliche, alla stregua del fatto che la
Direttiva appalti in materia di lavori, servizi e forniture, da una parte e, il Codice dei contratti
pubblici, dall’altra, non le includono nella categoria delle amministrazioni aggiudicatici,
esonerandole per l’effetto dall’obbligo di gara.
L’obbligo di gara si potrebbe facilmente escludere se si aderisce al primo indirizzo, per effetto del
quale tali società concorrono sul mercato come soggetti giuridici privati e,dunque, non ci sarebbe la
necessità di ripristinare il regime della concorrenza a fronte di soggetti che godono di una posizione
privilegiata sul mercato.
Sulla scorta di questi dati, può osservarsi come il problema della natura giuridica della società in
house non sia riconducibile ad univoca soluzione, prevalendo quella che potremmo invece definire
del caso concreto, che richiede di mettere in relazione gli elementi costitutivi delle diverse figure
citate.
L’organo in house non può che essere necessariamente anche un organismo di diritto pubblico,
configurandosi come “ente locale in veste societaria” obbligato, per l’effetto, a seguire le norme di
evidenza pubblica previste dalla legge con le sole eccezioni dalla stessa consentite. Non è vero
tuttavia anche il contrario, e cioè che l’organismo di diritto pubblico possa essere un organo in
house.
Ciò perché il controllo analogo richiesto per il legittimo affidamento senza gara esprime
un’influenza dell’ente pubblico così radicale da essere superiore a quella che, invece, la legge
considera sufficiente per aversi un organismo di diritto pubblico.
L’inquadramento della materia relativa al modello gestionale fondato sull’in house pone una serie
di problematiche sia interpretative, sia operative,come finora osservato in quanto vengono in
rilievo, oltre ad aspetti di natura pubblicistica e privatistica che si intersecano e sovrappongono,
delineando un quadro normativo che stenta a trovare una sua coerenza complessiva.
In primo luogo occorre inquadrare correttamente la questione, al fine di stabilire se, ferma restando
la responsabilità penale, nei confronti degli amministratori delle società in house debbano trovare
applicazione le norme di diritto societario e/o quelle pubblicistiche connesse alla responsabilità
amministrativa, con inevitabili conseguenze in merito al riparto di giurisdizione.
La società in house, pur avendo forma privata, presenta della connotazioni di tipo pubblicistico, in
quanto il capitale sociale è costituito interamente da risorse pubbliche e la società persegue finalità
pubblicistiche, svolgendo la propria attività in via prevalente o “quasi esclusiva” a favore dell’ente
affidante. Un ulteriore requisito richiesto dal giudice comunitario al fine di consentire l’affidamento
in house è rappresentato dall’esercizio, da parte dell’ente pubblico, nei confronti della società, di
“un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”.
Più propriamente, il consiglio di amministrazione delle società in house non deve avere rilevanti
poteri gestionali e l’ente pubblico deve poter esercitare maggiori poteri rispetto a quelli esercitati in
base al diritto societario da parte della maggioranza sociale. Le decisioni più importanti, inoltre,
devono essere sottoposte preventivamente al vaglio dell’ente affidante, tanto che se il consiglio di
amministrazione dispone di poteri ordinari, non può ritenersi sussistente il requisito del controllo
analogo.
Da quanto sopra si evince che il controllo analogo deve consentire alla pubblica amministrazione di
influenzare in maniera determinante sia gli obiettivi strategici che le decisioni principali dell’ente in
house. L’esercizio di un ferreo controllo gestionale e finanziario da parte dell’ente pubblico nei
confronti della società, comporta la configurabilità di una sorta di “delegazione interorganica” o di
servizio, in assenza di un vero e proprio rapporto contrattuale tra due soggetti.
Il controllo analogo, si configura, secondo la Corte di Giustizia, come una sorta di rapporto di
subordinazione gerarchica, tra la società e la pubblica amministrazione, tale da incidere sul regime
di responsabilità configurabile in capo agli amministratori delle società in house.
Come è stato rilevato da gran parte della dottrina i tratti peculiari che caratterizzano il modello
dell’in house, ed in particolare la mancanza di qualsiasi rischio di impresa, l’assenza dello scopo di
lucro, la sussistenza di uno o più azionisti pubblici detentori dell’intero capitale sociale, la mancata
circolazione di partecipazioni azionarie sono tutti elementi che hanno fatto propendere per la
configurabilità della responsabilità amministrativa che conseguente giurisdizione della Corte dei
conti nei confronti degli amministratori e/o dei dipendenti della società in house, essendo
quest’ultima paragonabile ad un braccio operativo e quindi ad una articolazione della pubblica
amministrazione.
La Corte dei conti, come risulta dalla più recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della
Cassazione ha giurisdizione sull’azione di responsabilità concernente gli organi per i danni da essa
cagionati al patrimonio di una società in house providing.
Quest’ultima, come in parte accennato, si deve intendere quella costituita da uno o più enti pubblici
per l’esercizio di pubblici servizi, che per regime statutario esplichino la propria attività prevalente
in favore degli enti partecipanti e la cui gestione viene statutariamente assoggettata a forme di
controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici.
Il Supremo Collegio ha affrontato il tema del riparto di giurisdizione più volte in caso di
responsabilità per mala gestio imputabile ad amministratori di società in mano pubblica, ritenendo
Quasi sempre sussistente in tali ipotesi la giurisdizione del giudice ordinario. Tuttavia è pervenuta
in tempi recenti ad una conclusione opposta, in virtù del fatto che la società pubblica asseritamene
danneggiata presentava le caratteristiche di società in house.
La vicenda muove dall’azione esercitata in primo grado, davanti al giudice contabile, nei confronti
del direttore generale, del sindaco e dell’amministratore unico di una società interamente
partecipata da un Comune. In accoglimento della domanda, il giudice contabile adito condannava i
convenuti al risarcimento del danno subito dalla società.
Proposto appello, il giudice di secondo grado, in riforma della decisione impugnata, dichiarava il
difetto di giurisdizione del giudice contabile, ritenendo che l’azione proposta rientrasse nella
giurisdizione del giudice ordinario.
Le Sezioni Unite si sono pronunciate sul ricorso per cassazione richiamando le principali decisioni
sul tema e i punti salienti dell’orientamento prevalente che ravvisa la giurisdizione del giudice
ordinario.
Esso si fonda sul fatto che le società di capitali a partecipazione pubblica non cessano solo per
questo di essere società di diritto privato, cioè soggetti aventi personalità giuridica distinta da quella
dei loro organi e dei loro soci, nonché titolari di un proprio patrimonio.
Da ciò consegue, anzitutto, che la responsabilità degli organi sociali nei confronti della società, dei
soci, dei creditori e dei terzi è regolata secondo quanto previsto dagli artt. 2392 c.c.
Altra fondamentale conseguenza è che il danno cagionato dagli organi della società al patrimonio
sociale non è idoneo a configurare un’azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti, ma
del giudice ordinario. In tali casi, infatti, non si ha alcun danno erariale, ma un danno che è sofferto
da un soggetto da un soggetto privato ed è riferibile solo al patrimonio della società, e non ai singoli
soci, i quali sono titolari solo di quote di partecipazione.
Viceversa, la giurisdizione contabile sussiste quando si faccia valere la responsabilità di organi di
gestione di società partecipata da ente pubblico danneggiato dall’azione illegittima non di riflesso,
ma direttamente. Questo accade, per esempio, in caso di danno all’immagine della pubblica
amministrazione, come previsto dall’art. 17, comma 30-ter, della legge n. 102 del 2009.
Altro caso di giurisdizione della Corte dei conti, citato sempre dalla sentenza delle Sezioni Unite in
esame, è quello del rappresentante dell’ente pubblico che abbia colpevolmente trascurato di
esercitare i propri diritti di socio, così provocando una perdita di valore della partecipazione, cioè
un danno che è subito direttamente dall’ente pubblico titolare della partecipazione.
Questa giurisprudenza mostra un approccio che tiene conto del principio della neutralità della forma
giuridica, affermato in diverse occasioni della dottrina e dalla giurisprudenza più recenti.
Esso può essere declinato in due diverse accezioni. Da un alto, viene affermata l’indifferenza, della
proprietà, pubblica o privata, di un ente, ai fini dell’individuazione della disciplina che gli si
applica.
Dall’altro lato, comporta l’irrilevanza della forma giuridica, pubblicistica o privatistica di un ente,
in quanto ciò che conta è il regime giuridico che all’ente steso si applica, nei diversi campi in cui
può operare.
Si tratta di un principio recepito anche dalle leggi più recenti, che dimostrano l’evoluzione
dell’ordinamento da una nozione di pubblica amministrazione in senso soggettivo ad una nozione di
pubblica amministrazione in senso oggettivo.
Oggi, infatti, può dirsi pubblico non tanto l’ente appartenente allo Stato o agli enti territoriali, o da
questi vigilato e diretto, quanto piuttosto l’ente al quale sono attribuiti dall’ordinamento poteri
speciali, o che è sottoposto dall’ordinamento ad un particolare regime giuridico derogatorio rispetto
a quello ordinario.
Si vedano in tal senso, l’art.1, comma 1-ter, della L. 241/1990, che assoggetta ai principi del
procedimento amministrativo anche soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative;
l’art. 3, comma 25, del d.lgs. 163/2006, che comprende fra le altre amministrazioni aggiudicatici
anche gli organismi di diritto pubblico (che sono soggetti di diritto privato); infine, l’art.22 della
L.241/1990, che considera il diritto di accesso esercitatile nei confronti di tutti i soggetti, anche
privati, che svolgono attività di interesse pubblico.
Ebbene, anche la giurisprudenza citata sopra applica il principio della neutralità della forma
giuridica. Da un lato, infatti, considera irrilevante la proprietà pubblica delle società, affermando
comunque la giurisdizione del giudice ordinario, sulla base del rilievo che la società non diviene un
ente pubblico per il solo fatto di essere partecipata da un ente pubblico.
Dall’altro lato, in alcune occasioni ritiene indifferente la forma privatistica della società a
partecipazione pubblica, affermando la giurisdizione del giudice contabile, quando ci sia un danno
subito dall’ente pubblico titolare della partecipazione.
In tal senso è illuminante la recente sentenza delle Sezioni Unite secondo la quale si esercita attività
amministrativa non solo quando si svolgono pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche
quando si perseguono finalità istituzionali proprie dell’amministrazione pubblica mediante una
attività disciplinata in tutto o in parte dal privato.
Nell’attuale assetto normativo, di conseguenza, il dato essenziale che radica la giurisdizione della
corte contabile è rappresentato dall’evento dannoso verificatosi a carico di una pubblica
amministrazione e non più dal quadro di riferimento, pubblico o privato, nel quale si colloca la
condotta produttiva del danno.
Il principio della neutralità della forma giuridica è correttamente applicato anche dalla sentenza
delle Sezioni Unite inizialmente esaminata (n°. 26283), vista la soluzione alla quale approda per il
caso in cui la società a partecipazione pubblica presenti i caratteri di società in house.
Il Collegio ricorda, anzitutto, i tre requisiti che una società deve presentare per poter essere definita
come società in house.
Si tratta, in primo luogo, della natura esclusivamente pubblica dei soci, con previsione statutaria
che inibisca in modo assoluto la possibilità di cessione a privati delle partecipazioni societarie di cui
gli enti pubblici siano titolari.
Vi è poi la prevalente destinazione dell’attività in favore dell’ente o degli enti partecipanti.
Come ricordato dalle Sezioni Unite, non si tratta di una valutazione solamente di tipo quantitativo,
dovendosi tener conto anche dei profili qualitativi e della prospettiva di sviluppo in cui l’attività
accessoria eventualmente si ponga.
Ultimo requisito è quello della sottoposizione della società ad un controllo analogo a quello
esercitato dall’ente sui propri uffici. E’ essenziale, a tal fine, che l’ente pubblico disponga di un
potere di comando che eccede per modalità ed intensità i diritti e le facoltà normalmente spettanti al
socio, anche unico, della società secondo il codice civile, in modo tale che agli organi della società
non resti affidata alcuna rilevante autonomia gestionale.
Queste caratteristiche, soprattutto la terza, rendono evidente l’anomalia della società in house nel
panorama del diritto societario. Questa, infatti, non è destinata allo svolgimento di attività
imprenditoriali a fine di lucro. Ma soprattutto, manca un potere decisionale delle società, in
conseguenza del totale assoggettamento dei suoi organi al potere gerarchico dell’ente pubblico
titolare della partecipazione, per cui la società non è altro che una longa manus della PA.
Per quanto attiene, poi, alla tutela del patrimonio societario di tali organismi partecipati si presenta
più di qualche zona d’ombra, dando margine a non poche ambiguità interpretative.
Gli orientamenti giurisprudenziali in materia hanno tracciato una netta linea di confine tra le società
in house e le altre società partecipate dalla P.A.
Nel 2013, come sopra scritto, la Suprema Corte ha focalizzato l’attenzione sul rapporto di
delegazione interorganica intercorrente tra l’Ente locale e la società in house, la quale, per poter
essere ritenuta una mera articolazione organizzativa del socio pubblico, deve necessariamente
registrare la contemporanea presenza dei tre requisiti di derivazione comunitaria.
Questi requisiti sono: il capitale sociale integralmente detenuto da uno o più Enti pubblici per
l’esercizio di pubblici servizi, con divieto statutario di cedere la partecipazioni a privati, lo
svolgimento dell’attività prevalente in favore degli Enti soci, in modo che l’eventuale attività
accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e riveste carattere meramente
strumentale; l’assoggettamento a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli Enti pubblici
sui loro uffici, con modalità e intensità di comando non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai
sensi del codice civile.
Nel contesto di tali rilievi, la Corte sottopone al vaglio lo statuto della società pubblica in causa, e
rileva una sostanziale discordanza del relativo statuto rispetto ai principi dell’in house providing.
Ciò che conta, ai fini del giudizio, non è tanto il ruolo operativo e l’attività in concreto svolta dalla
società partecipata, quanto invece le norme “interna corporis” che, in base allo statuto, ne regolano
il funzionamento.
L’ampio oggetto sociale e il requisito dell’indefettibile partecipazione maggioritaria pubblica del
capitale, che non esclude però, anche soltanto in ipotesi, l’ingresso di privati nella compagine
societaria, sono ritenuti elementi incompatibili con i connotati di una società in house, per cui il
ricorso è stato accolto e la Corte ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice contabile.
La sentenza del 2014, pur non discostandosi dai precedenti giurisprudenziali in materia, ma
aggiunge un eloquente tassello alla tematica in questione, mettendo in chiaro i confini tra la
giurisdizione della magistratura ordinaria e quella contabile, con riguardo alla tipologia e all’ambito
operativo delle società in mano pubblica. Risulta, dunque, confermato l’impianto giuridico secondo
cui, allorché emerga l’alterità giuridica e patrimoniale tra la società di capitali a totale
partecipazione pubblica e il socio pubblico, deve escludersi la natura erariale del danno cagionato
dagli amministratori della società di capitali al patrimonio societario, con la conseguente carenza di
giurisdizione della Corte dei conti in materia.
La questione è differente,invece, per le società in house, le quali, configurandosi alla stregua di
articolazioni organizzative della pubblica amministrazione, ne seguono la sorte giuridica anche per
quanto riguarda l’assoggettamento alla giurisdizione della magistratura contabile, là dove sia stato
cagionato un danno al patrimonio sociale per effetto di una condotta illecita posta in essere dai
relativi amministratori o dipendenti.
Ala luce di quanto detto le Sezioni Unite risolvono la questione, discostandosi dal tradizionale
orientamento che afferma spesso la giurisdizione del giudice ordinario nelle cause relative alla
responsabilità degli organi di società a partecipazione pubblica.
Sussiste, dunque, nei casi in esame innanzi al Supremo Collegio, la giurisdizione del giudice
contabile, dato che la società in questione ha natura di società in house, di mera articolazione della
PA, e non di soggetto esterno ed autonomo.
Infatti gli organi di tale società, assoggettati come sono a vincoli gerarchici neppure possono essere
considerati investiti di un mero “munus” privato, essendo preposti ad una struttura corrispondente
ad un’articolazione interna alla stessa pubblica amministrazione e quindi legati da un vero e proprio
rapporto di servizio.
A ciò si aggiunge che la distinzione tra patrimonio dell’ente e quello della società si può porre in
termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità, con la conseguenza che il danno
eventualmente inferto al patrimonio della società da atti illegittimi degli amministratori è arrecato
ad un patrimonio separato, ma riconducibile all’ente pubblico.
Si tratta, dunque, di un danno erariale, il che giustifica la giurisdizione della Corte dei conti.
Correttamente le sentenze in esame hanno fatto applicazione del principio di neutralità della forma
giuridica, affermando l’irrilevanza della natura privatistica della società a partecipazione pubblica e
la rilevanza, al contrario del regime giuridico al quale essa è in concreto assoggettata.
E’ proprio dal regime giuridico concreto delle società in house, infatti, che le Sezioni Unite
desumono l’esistenza di una mera separazione tra il patrimonio della società e quello dell’ente
pubblico partecipante, così rinvenendo l’esistenza di un danno erariale.
Ben può ritenersi, dunque, che anche in questo caso le Sezioni Unite abbiano esattamente guardato
non al quadro di riferimento nel quale si colloca la condotta produttiva del danno, quanto alla
sussistenza di un evento dannoso effettivamente verificatosi a carico della P.A.
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