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PROFILI SOSTANZIALI E PROCESSUALI DELLE SOCIETA’ IN MANO PUBBLICA
A cura di ALESSANDRA PULITANO
La tematica che riguarda le Società con capitale in mano pubblica è di grande attualità e di non poco
conto in quanto si tratta di soggetti dalla natura “anfibia” e dal profilo bifronte che, seppure in
forma privatistica, costituiscono strumenti di azione della pubblica amministrazione che ne è socia. 1
La definizione di società con capitale in mano pubblica ricomprende indistintamente variegate
tipologie di enti, accomunati sia dalla presenza qualificante di un socio pubblico, titolare di quote di
capitale di diversa caratura, che dalla funzionalizzazione (indiretta) dell’ attività di perseguimento
di fini pubblici. Fattori che, nella loro diversa incidenza, in verità connotano distintamente il singolo
ente empirico.2
Mentre in passato era più semplice distinguere tra l’agire pubblico e l’agire privato, oggi
l’evoluzione dell’assetto normativo ha incuneato, sempre di più, l’azione pubblica nella gestione
privata, attraverso l’affidamento a soggetti privati di compiti prevalentemente pubblici, rendendone
meno semplice individuare la linea di confine tra pubblico e privato.3
Fino agli anni 90 non si dubitava del carattere autenticamente privato delle società a partecipazione
pubblica, interamente soggette alla disciplina generale del codice civile e comprensive anche della
legge fallimentare.
Successivamente, il ricorso allo strumento societario da parte dei poteri pubblici è stato il frutto
dell’influenza del diritto comunitario che ha indotto la pubblica amministrazione ad assumere
sempre più le vesti di soggetto regolatore del mercato, abbandonando le vesti di operatore
economico.
Tutto ciò, deriva dalla convinzione di poter conseguire migliori risultati in termini di efficienza ed
economicità attraverso l’utilizzo di una forma organizzativa che, come è noto, si fonda sul fine di
lucro e non presenta gli elementi di rigidità delle amministrazioni pubbliche.4
La conseguenza che emerge in ordine al quadro descrittivo è quella di enucleare una definizione
omogenea di società pubblica in quanto si fronteggiano in campo due eterogenei colossi giuridici
rappresentati l’uno dal diritto privato e l’ altro dal diritto pubblico.
1
F.Goisis,op.ult.cit,41 ss.
Responsabilità amministrativa delle società e degli enti – Relazione di S. Bartolumucci, anno 2014.
3
Responsabilità degli amministratori e delle società in house, osservatorio legislativo interregionale, Roma 2010.
4
Le società a partecipazione pubblica di Giuseppe Urbano in rivista telematica “Amministrazione in cammino”.
2
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Per l’impostazione privatistica, lo scopo lucrativo non viene mai meno nelle società in mano
pubbliche: la pubblicizzazione delle stesse pertanto potrebbe ammettersi solo allorché sia la legge
stessa ad escludere espressamente la causa lucrativa e nel caso in cui vi sia un oggetto sociale
incompatibile con la finalità di trarre utili dall’ attività societaria.5
Né una diversa conclusione può essere raggiunta per il fatto che l’ art. 2450 c.c prevede a favore del
soggetto pubblico un potere di revoca, considerato che non esiste una regola di portata assoluta
secondo la quale un potere attribuito dalla legge all’amministrazione deve avere necessariamente
natura pubblicistica.6
Sul punto si richiama la pronuncia del Tar Lazio 2013.n.17, secondo cui “la società a partecipazione
pubblica non muta la sua natura di soggetto privato per il fatto di essere partecipata da un ente
pubblico” e del Cons. di Stato 2013, n. 122, che ritiene “che il funzionamento di una società a
partecipazione pubblica dipenda dalla natura della stessa e, laddove questa svolga attività di
impresa, sarà soggetta di tutto e per tutto alla disciplina dettata dal codice civile”.
Per una differente impostazione pubblicistica, talvolta seguita in giurisprudenza, occorre prendere
atto della cosiddetta neutralità del modello societario rispetto alle finalità che con lo stesso si
intendono perseguire. I fautori di questo indirizzo spostano l’attenzione sull’analisi delle ipotesi di
società di fonte legale .7
Nel caso delle società c.d. “legali” ossia enti pubblici con mera struttura organizzativa societaria
(ad Enav s.p.a, Rai s.p.a, Anas s.p.a), esistenti nell’ordinamento, sono un fenomeno a sé che non
configurano un tipo speciale, ma casi eccezionali voluti dal legislatore.8
Di conseguenza, la natura di società per azioni assumerebbe il carattere di abito formale rispetto a
quello sostanziale di ente assimilabile ad una pubblica amministrazione.9
L’ affermazione della “natura sostanziale di ente pubblico” determina una propensione
all’applicazione del regimo pubblicistico o contabilistico, sebbene residualmente, non si acceda
all’idea che la “qualifica di società azionaria sia sempre e comunque irrilevante nella molteplice
varietà dei rapporti”.10
D’altra parte, in quanto pubbliche amministrazioni, le suddette società sono inserite nell’
organizzazione funzionale della pubblica amministrazione, ciò costituirebbe ragione
autonomamente idonea a fondare la giurisdizione contabile, considerato che, sul piano economico-
5
Le nuove frontiere della nozione di pubblica amministrazione , manuale di diritto amministrativo, R. Garofoli 2009.
Lezioni e sentenze di diritto amministrativo 2015, F. Caringella.
7
Cds, sez.VI, aprile 2000, n. 1885, marzo 2001,n.1206; marzo2002,n.1303.
8
Naplitano: soggetti privati e pubblici, in Dir. amm.vo 2003.
9
Cass.sez.un.,22 dicembre 2009 , n 27092; in Foro It.2010,5,I1472.
10
Cass.sez .un. n.15594/2014.
6
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finanziario, le risorse delle società legali provengono in via pressoché esclusiva dalla “finanza
pubblica”, in quanto le società stesse sono destinatarie delle risorse fissate in convenzioni che
devono essere stipulate necessariamente ex lege, o di una (quota di) tasse o tariffe riscosse presso
l’utenza, ovvero, di veri e propri contributi pubblici fissati dalla legge.11
Del resto secondo un principio generale del nostro ordinamento, codificato dall’ art. 4 della legge
n. 70/75, nessun ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge, con la
conseguenza che la qualifica in termini di enti pubblici di una società pubblica, se non attribuita da
una espressa disposizione di legge, va esclusa o al limite deve potersi desumere da un quadro
normativo di riferimento certo, chiaro e inequivoco.
In questi termini si è espressa la Cassazione nel 2013 ,con la pronuncia n.22209 nella quale
afferma che :“le società in mano pubblica, anche quando siano concessionarie esclusive di servizi
pubblici essenziali, o forniscano beni o servizi di cui benefici esclusivamente l’ente pubblico socio,
ovvero siano finanziate con risorse pubbliche, oppure siano sottoposte a penetranti poteri di
ingerenza e di controllo di carattere pubblicistico non potrebbero essere qualificate come enti
pubblici, salvo che non sia la legge a definirle tali, nel rispetto del divieto della norma sopracitata”.
In accoglimento dell’ assunto fin qui esposto, la Cassazione conclude correttamente, nel senso che
“consentire l’esercizio di determinate attività, mediante lo strumento privatistico, comporta
l’assunzione del rischio della loro insolvenza ed il loro assoggettamento alla disciplina fallimentare
quale conseguenza necessaria nel rispetto del principio di uguaglianza e delle regole di concorrenza
tra operatori del mercato, dal momento che il rapporto tra società ed ente pubblico che la partecipa è
di assoluta autonomia, potendo l’ ente incidere sul funzionamento e sull’ attività della società non
già attraverso poteri autoritativi e discrezionali, ma solo avvalendosi di strumenti previsti dal diritto
societario” .
Tuttavia, si deve rilevare che sussiste nel nostro ordinamento almeno una ipotesi generale, quella
della società in house, in cui una struttura societaria diviene, a certe condizioni, mero modulo di
organizzazione dell’ azione amministrativa.12
L’esistenza di una tale categoria, in quanto destinataria di specifiche discipline (le società in house
sono infatti soggette al patto di stabilità interno 13 e sono sottoposte a determinate procedure di
acquisto di beni e servizi, con la conseguente permanenza legislativamente statuita di uno spazio di
11
Le società per azioni in mano pubblica; M. Renna, Torino 1997.
Società di diritto singolare, Cass.sez.un.n27092/09 e 5032/10.
13
Art.3 bis,comma 5, del d.l.n.138 del 2011.
12
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responsabilità erariale per i relativi amministratori e dirigenti responsabili14), non deve far
propendere all’ applicazione del diritto societario.
Sotto questo profilo, la presenza del “controllo analogo”, secondo la giurisprudenza comunitaria, si
sostanzia in forme di intervento dell’ ente pubblico sulle scelte societarie che ben vanno al di là
degli ordinari poteri del socio; se dunque si pretendesse, in tale ambito, di applicare in maniera
radicale la disciplina civilistica, in cui l’art.2380-bis, primo comma, c.c. configura una “riserva di
amministrazione” a vantaggio dell’ organo esecutivo della S.p,a., se ne dovrebbe desumere che nel
nostro sistema la stessa società in house non abbia cittadinanza.15
Si è cosi affermata la giurisdizione della Corte dei Conti in materia di responsabilità degli
amministratori della società pubblica in house, a partire dall’assunto che in tali casi deve ritenersi
“superata l’autonomia della personalità giuridica rispetto all’ ente pubblico”.16
Si è cioè reputato che una siffatta società, quando “ai fini del riparto della giurisdizione, non si
ponga davvero in rapporto di alterità con la pubblica amministrazione partecipante, bensì come una
longa manus, come uno dei servizi propri dell’ amministrazione stessa, di talchè il danno arrecato al
patrimonio sociale si configura in tal caso come danno direttamente riferibile all’ ente pubblico”.17
Nel caso delle società in house non vi è una deroga legale alla disciplina codicistica e la
giurisdizione contabile viene a fondarsi su elementi di fatto, aderendosi ad una prospettiva
sostanzialistica tipica del giudice comunitario, abituato a guardare la sostanza delle questioni ad
esso sottoposte, prescindendo dagli aspetti di carattere formale.
Di tale questione si è recentemente tornato ad occupare il giudice di legittimità con Cass., civ.sez.
un.n.7177/2014, che ribadisce il principio di diritto sancito dalla sentenza della Cassazione n. 26283
del 2013 relativamente alla giurisdizione spettante alla Corte dei conti per l’ azione di responsabilità
nei confronti degli organo sociali in relazione ai danni da essi cagionati al patrimonio di una società
in house, concentrandosi in particolar modo sul quadro dei requisiti che devono sussistere perché
sia riscontrabile la natura in house di una società (ossia che ”l’ente locale eserciti sulla presenza di
cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona
realizzi la parte più importante della propria attività con l’ ente o con gli enti locali che la
controllano”).18
La Corte ha rilevato che ai sensi dell’ art.113,comma 5, del T.U sugli enti locali è consentito l’
affidamento diretto solo in presenza di specifici requisiti : “che la società sia interamente a capitale
14
Art.25,comma1,nn.5.6,del dln.1 del 2012 convertito con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012.
La strumentalità pubblicistica,cit.1364 ss, F.Goisis.
16
Cass..15594/2014.
17
Cass.n.15994/2014.
18
Sent.Teckal, corte di giust.,nov.1999.
15
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pubblico e che l’ ente o gli enti titolari del capitale esercitino sulla società un controllo analogo a
quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria
attività con l’ ente o gli enti pubblici che la controllano.
Tale modello organizzativo e gestionale esclude un rapporto di alterità tra il soggetto affidante(ente
pubblico) e il soggetto affidatario ( società) fondando un rapporto di servizio tra gli amministratori e
i dipendenti della società”.
Sulla base di questo presupposto, La Suprema Corte, pur mantenendo fermo il principio per cui in
linea di massima i danni arrecati al patrimonio della società a partecipazione pubblica non si
traducono in un danno erariale, in ragione della perfetta autonomia patrimoniale delle società di
capitali, ha ritenuto che l’ assenza di alterità sostanziale tra la società in house e l’ente pubblico
azionista comporti che” il velo che normalmente nasconde il socio dietro la società è dunque
squarciato: la distinzione tra socio ( pubblico) e società in (house) non si realizza più in termini di
alterità soggettiva”.19
Affermando, nel caso delle società in house che gestiscono servizi pubblici, che il Giudice contabile
ha giurisdizione in ordine ai danni causati dagli amministratori e dagli organi sociali.
I criteri enucleati dalla dottrina che configurano la mala gestio delle società in house sono: la
sussistenza di un rapporto di servizio; l’ esercizio di un’azione amministrativa contraria ai fini
istituzionali;l’ esistenza di un danno concreto ed attuale suscettibile di qualificazione; l’ elemento
psicologico del dolo e della colpa grave, la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell’
agente e il danno erariale.
Ci si è chiesti se anche gli amministratori delle società in house rispondano nei confronti dei
creditori sociali ai sensi dell’ art.2394c.c.davanti al giudice ordinario. A tal proposito parte della
dottrina ha rilevato che sarebbe ingiusto comprimere il diritto del creditore sociale solo perché in
tale tipo di società appaiono assorbenti gli interessi generale di carattere pubblicistico, con la
conseguenza di ritenere che tale azione possa essere esperita.20
Quanto appena osservato non vale ad impedire ogni possibile spazio alla giurisdizione del Giudice
contabile in ordine ad eventuali comportamenti illegittimi imputabili agli organi delle società a
partecipazione pubblica, dai quali sia scaturito un danno acclarato per il socio pubblico.
In quanto, quello che appare certo,è che la presenza dell’Ente pubblico all’ interno della compagine
sociale ed il fatto che la sua partecipazione sia strumentale al perseguimento delle finalità pubbliche
non può sfuggire agli organi della società e non può comportare, per loro, una peculiare cura
19
In Foro amministrativo,2014.responsabilità di amministratori di società pubbliche.
E.Piga, Giurisdizione della Corte dei conti nei confronti degli amministratori di società di capitali (società in house e
società mista).
20
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nell’evitare comportamenti tali da compromettere la ragione stessa di detta partecipazione all’ Ente
pubblico o che possano arrecare un pregiudizio al patrimonio di quest’ ultimo.21
Nelle società controllate dallo Stato o dagli enti locali, l’imputazione della responsabilità
amministrativa, secondo un orientamento che pare apprezzabile, dovrebbe estendersi per culpa in
vigilando all’ Ente socio, per la mancata vigilanza sull’ utilità economica della partecipazione
societaria, ovvero ai soggetti–dipendenti, incardinati nella Pubblica Amministrazione e deputati al
controllo e alla verifica dell’ utilizzo delle risorse pubbliche. Del resto, la previsione di specifici
doveri di vigilanza dell’ amministrazione nei confronti dei soggetti con i quali entra in relazione
trova fondamento nel principio di funzionalizzazione e di buon andamento.22
Da un certo punto di vista , pertanto, può ritenersi che gli amministratori
di società ”pubbliche” abbiano un obbligo di conservazione dell’ integrità del patrimonio sociale
non soltanto nei confronti dei creditori sociali (art.2394c.c.), ma anche nei confronti dell’ ente
pubblico ”finanziatore” che, di norma, apportando capitale di rischio, creditore non è. La violazione
di questo specifico obbligo attiva una responsabilità che può essere fatta valere solo dal pubblico
ministero presso la Corte dei conti nel processo erariale.23
A proposito del rapporto intercorrente tra l’ azione di responsabilità amministrativa e le azioni
civilistiche (di responsabilità degli amministratori regolati dagli artt.2393,2393bis,2394,2394bis e
2395) si è posta la questione se nel giudizio amministrativo-contabile, la relativa responsabilità
amministrativa, ferma restando quella penale, concorra con quella civilistica degli amministratori, e
se tali forme di responsabilità siano cumulabili, con conseguente eventuale assoggettamento degli
stessi ad un doppio regime di responsabilità.24
Il problema di giurisdizione si trasforma in un diverso problema di azione, nel senso che, come
noto, nel giudizio di responsabilità amministrativo contabile la titolarità dell’ azione spetta in via
esclusiva al Procuratore generale della Corte dei conti.
L’azione del procuratore contabile ha presupposti e caratteri completamente diversi dalle azioni di
responsabilità sociale e dei creditori sociali, previsti dal codice civile; basta dire che l’ una è
obbligatoria, le altre discrezionali, l’una ha la finalità essenzialmente sanzionatoria, onde non
implica necessariamente il ristoro completo del pregiudizio subito dal patrimonio danneggiato dalla
cattiva gestione dell’ amministrazione e dallo omesso controllo dall’ organo di vigilanza, le altre
hanno scopo ripristinatorio, l’una richiede il dolo o la colpa grave e solo in determinati casi può
21
Amministratori e dipendenti di società pubbliche partecipate: L’ amministrazione italiana anno 2011di G. La Torre.
Danno da cattiva gestione delle SPA pubbliche, A.Police.
23
Romagnoli, le società di enti pubblici;problemi e giur.in Rivista giur.2006.
24
C. Conti,sez.I App.,3 nov.2005,n.336 in Foro amm., Cons. di Stato 2003m.3842.
22
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esercitarsi anche contro gli eredi del soggetto responsabile del danno e per le altre è sufficiente
anche la colpa lieve e il debito risarcitorio è trasmissibile comunque agli eredi.25
In questi termini, la diversità del petitum e causa petendi tra le azioni risarcitorie previste dal codice
civile e quella promossa dinanzi alla Corte dei conti giustifica altresì una loro concorrenza senza
che si determini alcun conflitto di giurisdizione, ma soltanto una preclusione all’ esercizio di un’
azione quando con l’ altra sia già ottenuto il medesimo bene della vita”.26
Per queste ragioni deve escludersi che la concorrenza della giurisdizione e delle azioni relative alle
loro responsabilità li espone a rischio di un doppio risarcimento,27 “ma semmai ad un più sicuro e
rapido accertamento della medesima, ampliando i mezzi di tutela del patrimonio sociale e quindi
anche degli stessi azionisti privati che nelle grandi società pubbliche difficilmente riuscirebbero ad
esercitare l’ azione di responsabilità contro gli amministratori”.28
Giova inoltre affermare ,che, nonostante l’attuale apertura giurisprudenziale, il quadro così dipinto
non si presenta ancora univoco sulla questione relativa all’ assoggettabilità delle società in house
alle procedure fallimentari .
Tra pronunce che, mantenendo ancora una volta la concorrenza della qualificazione societaria,
ritengono che le società in house, al pari di una normale società pubblica, rimangono soggette alle
procedure fallimentari29e pronunce che, equiparano sostanzialmente le società in house agli enti
pubblici ,esenti dal fallimento.
E’ quanto ha affermato il Tribunale di Napoli nel 2014 “che se è vero che gli enti pubblici sono
sottratti al fallimento anche la società in house integralmente partecipata dagli stessi non potrà
essere soggetta alla liquidazione fallimentare, in quanto costituisce un mero patrimonio separato
dall’ ente pubblico, centro decisionale autonomo e distinto dal socio pubblico titolare della
partecipazione, che esercita sullo stesso un potere di governo del tutto corrispondente a quello
esercitato ai propri organi interni”.30
Il nodo della sottoposizione o meno delle società in house alle procedure fallimentari non può
sciogliersi alla stregua delle consuete opzioni interpretative del solo quadro giuridico nazionale ma
va interpretato anche alla luce della giurisprudenza comunitaria.
25
Processo, arbitrato e mediazione Giurisprudenza; Società pubbliche, responsabilità degli amm.ri e riparto di
giurisdizione-Cass.civ.,sez.un.n.4309/2010.
26
Cass.sez.un.,n.8927/2014.
27
Le società degli enti pubblici, in Rivista -La Responsabilità degli amm.ri delle società pubbliche, Romagnoli ,2006.
28
Corte dei conti, sez.Lombardia,n.114/2006.
29
Cass.civ.,n22209/2013.
30
Trib. Di Napoli 9 gennaio 2014.
7
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Un consolidato orientamento della Corte EDU in materia di tutela del credito afferma che” lo Stato
è sempre responsabile del rispetto della Convenzione e che, in presenza di un adempimento di un
ente pubblico,deve farsi garante del credito e della sua tutela in sede di esecuzione”.
Alla luce della suddetta giurisprudenza UE,se l’ ente pubblico vuole svolgere compiti pubblici
economici potrà farlo solo ricorrendo a società commerciali e al relativo regime di mercato poichè,
una sovrapposizione tra ente pubblico e compiti pubblici di natura economica condurrebbe alla
violazione di aiuti statali.
Se si ritiene che le società in house, da un lato, siano soggette al vincolo CEDU della garanzia
statale, d’ altro lato non pongono un problema di violazione del divieto di aiuti perché , operanti
fuori mercato, non potrà che propendersi per la tesi che tale società non siano soggette a
fallimento.31
Come osservato anche dalla giurisprudenza comunitaria, quando si accerti che manca
effettivamente un mercato concorrenziale idoneo, per le sue oggettive condizioni , ad indurre gli
operatori economici a svolgere i quel settore la propria attività ciò rappresenta certamente un
rilevante elemento probatorio circa l’ assenza del metodo economico e dunque dell’ attività di
impresa.32
Alla luce di quanto affermato si può intuire che le tesi sul tappeto, offrono soluzioni peculiari e non
di sistema.
Non è revocabile in dubbio che un intervento legislativo sarebbe auspicabile, considerando che la
interpositio legislatoris è foriera di una “giurisdizione ballerina”. Intanto la qualificazione di una
società come pubblica o meno ha una inevitabile ricaduta sul regime e conseguente riparto di
giurisdizione. Sarebbe un obbrobrio giuridico procedere ad un reimpasto di soluzioni.
Ergo, ragionando in termini di equilibrio delle posizioni è inevitabile giungere alla seguente
conclusione, che tra l’altro, ha la sua naturale scaturigine dalla logica sottesa, proprio, alla neutralità
delle forme: sono società pubbliche quelle controllate direttamente ed indirettamente dalle
pubbliche amministrazioni.
Per le in house, nessun problema quanto alla ricognizione del principio cardine, per cui, pur
esistendo la separatezza dei patrimoni, difetterebbe la separatezza della titolarità. La loro
sottoposizione alla giurisdizione contabile per il danno erariale è pacifica.
Meno pacifica potrebbe essere la soluzione per le società partecipate, dove esiste però una relazione
funzionale con lo Stato o con l’ente pubblico che indubbiamente, da sola, giustifica il
31
32
M.Mazzamuto, fallibilità o meno delle società in huse tra diritto privato e diritto pubblico, il commento.
Corte di Giustizia2001,cause riunite C233/99 e C 260260/99.
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riconoscimento della giurisdizione della Corte dei Conti, sempre per i danni cagionati al patrimonio
sociale dalla mala gestio degli amministratori.
La conseguenza di questa soluzione è, l’ovvia esclusione delle suddette società dal regime del
fallimento. Non si potrebbe procedere ad una qualificazione giuridica solo per la quota parte di
danno a cui afferisce una specifica giurisdizione.
Detto diversamente, si darebbe la stura ad una duplicazione di responsabilità cui seguirebbe la
pronuncia di giudici diversi, chiamati a sindacare su di un unico danno.
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