AIP, Segato: salvare la vita di un neonato costa solo un euro! Intervista esclusiva al Presidente di AIP – Associazione Immunodeficienze Primitive Onlus Di Lorenzo Zacchetti Alessandro Segato, Presidente di AIP Tutti conoscono l'AIDS, sigla di “Sindrome da Immunodeficienza Acquisita”. In pochi, invece, sanno che esistono anche le immunodeficienze primitive (IDP), malattie congenite causate da alterazioni del sistema immunitario che comportano una aumentata suscettibilità alle infezioni. Molte di esse si manifestano nei primi mesi di vita, mentre in alcuni casi si scoprono solo in età adulta. E cambiano la vita. E' successo anche ad Alessandro Segato, presidente di AIP – Associazione Immunodeficienze Primitive Onlus. “All'età di 40 anni ho scoperto di avere l'Immunodeficienza Comune Variabile (IDCV)”, ci racconta. “Mi sono trovato catapultato in un mondo del quale ignoravo completamente l'esistenza. Ho sempre lavorato come direttore di una filiale di banca e da quel momento, grazie all'ospedale che mi seguiva, ho scoperto AIP, che è stata fondamentale per riorganizzare tutta la mia vita. Sono entrato sempre più profondamente in questa realtà e nel 2014 sono stato eletto Presidente. Il mio mandato scade a settembre... e mi ricandiderò”. Quante sono le persone con cui siete in contatto? Circa 370 persone in tutta Italia, più un discreto numero di persone che non ha questa patologia, ma che ci segue con affetto attraverso i social network o altri canali simili. I numeri sono solo indicativi, perché le caratteristiche di questa patologia sono evolute nel tempo. AIP esiste da 26 anni, ma mentre all'inizio si occupava prevalentemente di bambini, perché purtroppo l'aspettativa di vita non era altissima, adesso ci sono anche tanti adulti” Un progresso notevole, in un arco di tempo tutto relativamente breve... “Sì e in questo percorso bisogna anche riconoscere il ruolo dell'Italia, dove ci sono centri di cura di livello altissimo. I più importanti sono a Brescia (dove è anche nata AIP), Padova, Firenze, Roma, Napoli e Bari” Di cosa si occupa, nel concreto, AIP? “Facciamo diverse cose, a partire dai progetti che hanno come finalità il censimento dell'IDP sul territorio. Produciamo mappature che vanno dai centri medici alle figure istituzionali (dall'assessore in giù), suddivise per singola Regione. E' un lavoro molto faticoso, ma che viene apprezzato, perché consente ai pazienti di avere una guida rispetto a dove curarsi, a quali sono i suoi diritti e a tutte quelle domande che insorgono quando il proprio equilibrio di vita viene sconvolto dalla malattia. I singoli gruppi locali hanno poi il compito di aggiornare nel tempo le mappature che forniamo loro” Quanto è difficile coprire il territorio in maniera così capillare? “Da quando sono stato eletto Presidente, la questione organizzativa è diventata il primo punto della nostra strategia. Col nuovo Consiglio Direttivo condivido l'idea che un'organizzazione efficace sia fondamentale per gestire al meglio la nostra attività. Un ruolo fondamentale è svolto da Filippo De Cristofori, consulente dell'associazione, e dal Dott. Barberis, che ne è il Direttore Scientifico. Insieme a loro abbiamo lavorato molto sulla comunicazione, anche attraverso lo spot che vede Paolo Ruffini come protagonista, realizzato insieme a Baxalta. In occasione della prossima settimana mondiale delle immunodeficienze primitive, dal 24 al 29 aprile, ne faremo un altro, sempre con Ruffini. Rispetto al territorio, abbiamo scelto di sviluppare il maggior numero possibile di gruppi locali, ai quali diamo il know-how necessario per sapere cosa fare e come organizzarsi” Quanti sono i pazienti con Immunodeficienza Primitiva in Italia? “Purtroppo non esiste un vero e proprio studio in merito. C'è negli Stati Uniti, per ovvi motivi assicurativi, ma i numeri vanno presi con beneficio di inventario. Secondo i dati americani, gli affetti da queste patologie sarebbero lo 0,08% dei nuovi nati, ma se così fosse in Toscana dovrebbero esserci circa 2.400 casi. Invece, ci risultano solo 350 pazienti. E gli altri dove sono? Non sono censiti! I registri non funzionano e questo rappresenta anche un grave spreco di denaro pubblico, perché un paziente non diagnosticato costa molto al sistema sanitario per i suoi continui accessi in ospedale. Io, invece, avendo una diagnosi, faccio la mia terapia a base di Globulina e i controlli periodici, quindi incido meno sulla spesa sanitaria, che è un problema da tenere in considerazione” Senza contare il fatto che non essere diagnosticato rappresenta un grosso problema soprattutto per il paziente, che si trova smarrito... “Esatto. Ormai va di moda dire che si mette 'il paziente al centro'. Lo dicono tutti, ma nella pratica succede molto raramente. I pazienti non vengono ascoltati, vengono considerati dei numeri e dei costi. Noi non viviamo sulla Luna e, come dicevo prima, capiamo bene i problemi di bilancio. In un'epoca di tagli generalizzati, se non c'è un'associazione forte che ti tutela rischi di essere penalizzato. Noi però abbiamo detto in varie occasioni che una migliore policy sulle diagnosi consentirebbe anche di risparmiare dei soldi” Sul piano politico, quali scelte andrebbero fatte? “Il problema di fondo è la mancanza di lungimiranza. Gli effetti delle scelte strategiche che auspichiamo si manifesterebbero entro 5/7 anni, ma l'orizzonte della maggior parte dei politici è decisamente più breve. Purtroppo dalle immunodeficienze non si può guarire, quindi per noi è fondamentale il concetto di qualità della vita. Ci sono situazioni davvero molto pesanti, da questo punto di vista” Come si fa ad essere d'aiuto, in queste situazioni? “Il sistema immunitario è un equilibrio complessivo. Per curare al meglio le immunodeficienze ci vuole una sorta di tutor che segua il paziente a 360 gradi, inviandolo di volta in volta agli specialisti che si rendono necessari per i suoi problemi specifici. Inoltre, ci vogliono dei medici molto preparati ed esperti, perché affrontano situazioni difficili” In Italia non ci sono? “Al contrario: in Italia abbiamo delle vere e proprie eccellenze, medici tra i migliori in assoluto. Il problema è legato al fatto che sono tutti intorno ai 60 anni, iperspecializzati e con un certo status professionale, oltre che, in molti casi, con una carriera universitaria di livello. Il problema è la mancanza di turnover: quando uno di questi medici va in pensione, è difficilissimo sostituirlo. Lo stesso succede quando un medico cambia Regione, come ci è capitato in Friuli Venezia Giulia, dove abbiamo 80 pazienti senza nessuno che li segua. Gli specializzandi soffrono il fatto di non venire mai stabilizzati. Molti di loro sono ancora precari a 40 anni, situazione davvero insostenibile. Anche per questo siamo stati una delle prime associazioni in assoluto ad affiancare al Comitato Scientifico un 'Comitato Scientifico Junior', che ci servirà per gestire il futuro di AIP e dei pazienti. Un'altra dote fondamentale è la capacità di ascolto e di attenzione, perché una volta i pazienti erano totalmente dipendenti dal medico, mentre ora si informano grazie a Internet e ci vuole un approccio diverso. Noi lo chiediamo a tutti (istituzioni, ospedali...), ma devo dire che le prime a capirlo sono state le case farmaceutiche” Come si sostiene AIP dal punto di vista economico? “Abbiamo una discreta base, che si è formata nel corso degli anni attraverso dei lasciti e degli accantonamenti da parte delle precedenti gestioni. A questo si integra il piano strategico elaborato durante il mio mandato, nel quale abbiamo deciso di sviluppare progetti di vario tipo, compresa una app per i pazienti, che di volta in volta proponiamo a finanziatori di vario tipo: aziende, banche, istituzioni private, la Chiesa Valdese... Non prendiamo fondi pubblici, perché ai bandi del Ministero della Salute e dell'Unione Europea partecipiamo solo come affiliati di Uniamo, ma sono soldi che, giustamente, vengono usati per tutti, non solo per AIP. Facciamo parte anche di IPOPI, il network europeo delle associazione delle immunodeficienze, di cui il nostro Vicepresidente è un consigliere. Credo che l'esperienza di Telethon abbia insegnato molto a tutti: oggi anche una Onlus deve avere un'organizzazione efficiente, per riuscire a sostenersi” Lei fa anche parte del Tavolo degli Screening Metabolici: di cosa si tratta? “E' un gruppo di lavoro costituito dall'Istituto Superiore di Sanità, che ha coinvolto AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), l'Associazione Cometa di Padova e Uniamo. Quest'ultima ha indicato me come suo rappresentante e il 31 marzo ci sarà la prima riunione. Il tema dello screening è fondamentale, perché per alcune patologie infantili come PNP e ADA-SCID c'è la possibilità di intervenire con trapianti di midollo e quindi salvare la vita dei bambini! Il problema è che in alcune Regioni gli screening sono previsti e in altre no! E' chiaro che queste differenze non sono accettabili e, anche con i nuovi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) si sta pensando di uniformare la questione, anche perché il costo di ogni screening è appena un euro! Non c'è motivo per non superare questo problema”.