RISCHI PROFESSIONALI E TUTELA DELLA SALUTE FEMMINILE I luoghi di lavoro possono essere sede di esposizione a numerosi fattori chimico-fisici potenzialmente dannosi per l’apparato riproduttivo femminile . Anche l’endometriosi potrebbe essere correlata all’assorbimento di agenti tossici. Se ne è parlato all’82° Congresso Nazionale della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO), appena conclusosi a Roma, nel corso di un simposio satellite in cui sono stati analizzati i legami tra attività lavorativa delle donne e salute riproduttiva. Quali sono i principali rischi professionali? Fattori di rischio organizzativi (posture incongrue, stress da turni, ritmi di lavoro), chimici (esposizione a sostanze tossiche, a metalli pesanti, solventi, pesticidi e disinfettanti), fisici (vibrazioni, alte temperature, radiazioni) e biologici (esposizione a batteri, virus e tossine) possono incidere gravemente sulla salute in generale, e su quella degli organi riproduttivi femminili in particolare, in ragione della durata dell’esposizione, dell’entità dell’agente e della sensibilità individuale ad esso. La gran parte dei fattori chimici è in grado di modificare i delicati equilibri ormonali della donna, determinando ipofertilità, alterazioni del ciclo mestruale e aborti spontanei. Uno studio italiano, condotto da ricercatori della II Università degli Studi di Napoli, ha indagato in particolare sul legame tra specifici inquinanti ambientali e la comparsa di endometriosi. Quest’ultima è una patologia femminile caratterizzata dalla presenza di strutture tipiche dell’endometrio, la mucosa che riveste dall’interno l’utero, in sedi anomale. L’endometriosi è una malattia estrogeno-dipendente, e pertanto dell’età fertile, sebbene si associ ad infertilità; colpisce soprattutto le donne tra i 30 ed i 40 anni ed è una causa frequente di dolori pelvici. Alcuni contaminanti ambientali, definiti “distruttori endocrini”, possono essere assorbiti attraverso la cute, l’acqua o l’aria; essi hanno la capacità di interagire con il sistema ipotalamo-ipofisario, inducendo un innalzamento dei livelli di ormoni sessuali nel sangue ed incrementando il rilascio di ormone luteinizzante. Tale azione può favorire l’insorgenza dell’endometriosi. Tra i distruttori endocrini sono stati studiati, in particolare, gli ftalati (il 2-ethylexyl ftalato, comunemente usato come plasticizzante nel PVC), il bisfenolo A (di comune repertazione nei materiali plastici, nelle resine dentarie e nei rivestimenti per lattine) e alcuni metalli pesanti (il piombo e il cadmio). I risultati dello studio della II Università di Napoli hanno evidenziato una forte correlazione statistica tra i livelli degli specifici distruttori endocrini esaminati e la diagnosi positiva per l’endometriosi: in altre parole, nelle donne con endometriosi le concentrazioni sieriche e nel liquido peritoneale di quei contaminanti (ad eccezione del cadmio) sono risultate sempre più elevate che nella popolazione di controllo. Quali sono gli strumenti per la prevenzione del rischio lavorativo e a difesa delle donne lavoratrici? Il rischio rappresentato dall’esposizione ai fattori tossici può essere ridotto rispettando i limiti di sicurezza e facendo uso dei dispositivi di protezione individuale. Sui luoghi di lavoro, il responsabile della sicurezza ed il medico sono le figure preposte a fornire le informazioni adeguate sui materiali con i quali si può venire a contatto e sulla pericolosità degli agenti tossici presenti o manipolati per motivi di lavoro. La prevenzione del rischio si attua anche attraverso il rispetto delle norme già in vigore: adeguati strumenti legislativi tutelano la salute dei lavoratori e delle lavoratrici (D.Lgs. 626/94), in particolare in corso di maternità ed allattamento (L. 1204/71 e connesso D.P.R. 1026/76) e impegnano il datore di lavoro alla valutazione dei rischi nell’ambiente di lavoro (D. Lgs. 645/96). Fonte: Atti della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia - Vol. LXXXII