M9 / Transforming the City M9 Transforming the City Marsilio a Daniela Martinello M9 Transforming the City Marsilio M9 Transforming the City Giuliano Segre Presidente Gianpaolo Fortunati Presidente advisory board coordinamento consiglio di amministrazione consiglio di amministrazione Ignazio Musu Vicepresidente Plinio Danieli Amministratore Delegato e vicepresidente Plinio Danieli AB Edilizia Giampietro Brunello Massimo Lanza Maria Leddi Cesare Mirabelli Giampietro Brunello Marino Folin Luigi Menegatti Ignazio Musu Lorenza Pandiani Giorgio Baldo Vasco Boatto Riccardo Calimani Alessandra Carini Carlo Carraro Franco Gallo Anna Laura Geschmay Mevorach Giorgio Piazza Amerigo Restucci Franco Reviglio Paolo Rubini Maria Luisa Semi Gianni Toniolo collegio dei revisori Renato Murer Presidente Diego Cavaliere Carlo Pesce Cesare De Michelis AB Contenuti Francesco Karrer AB Urbanistica Paolo Lucchetta AB Innovation Retail Mario Pellegatta AB Posizionamento consiglio generale Antonio Foscari Vicepresidente Giuliano Segre Coordinatore collegio sindacale Renato Murer Presidente Diego Cavaliere Carlo Pesce Valerio Zingarelli AB Innovation Technology team di progetto Guido Guerzoni Project Manager Fabio Achilli Direttore Fondazione di Venezia Antonio Rigon Direttore Polymnia Venezia per Fondazione di Venezia Beatrice Mezzogori Silvia Pellizzeri Valeria Alemà Regazzoni Giuliano Sergio per Polymnia Venezia Claudia Biotto Silvia Carraro Erica Molin Federica Zia Venezia, Fondazione di Venezia 07.06 / 28.09.2014 Ufficio Stampa Valeria Alemà Regazzoni Evento collaterale della 14. Mostra Internazionale di Architettura la Biennale di Venezia Traduzioni Simonetta Bertoncini Barbara Fisher Mostra ideata e promossa da Fondazione di Venezia Trasporti Arteria a cura di Louisa Hutton Matthias Sauerbruch per la sezione architettura Supporto operativo Gianluca Vianello Fabio Achilli Guido Guerzoni per le rimanenti sezioni Coordinamento generale Silvia Pellizzeri / Fondazione di Venezia Caroline Wolf / Sauerbruch Hutton Coordinamento organizzativo Adriana Stradella Progetto allestitivo e direzione dei lavori MAP Studio - Magnani Pelzel Architetti Associati Sauerbruch Hutton/Caroline Wolf Allestimento Michele Tosetto s.r.l. Progetto grafico e immagine coordinata CamuffoLab Ricerca iconografica Alessandra Gini Beatrice Mezzogori Giuliano Sergio Sauerbruch Hutton Video Helena Giuffrida Digital Tales s.r.l. Design Applicazione Mobile Ivo Wessel Mediatori culturali Università Ca’ Foscari Venezia Si ringraziano per il sostegno Regione del Veneto Comune di Venezia Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna Un ringraziamento particolare a Francesco Dal Co Un ringraziamento speciale a GrisWine Si ringraziano inoltre Alberto Abruzzese, Michele Bettio, Angela Bianco, Francesco Bogoni, Jane Breske, Giorgio Camuffo, Marco Camuffo, Alessandra Chemollo, Renata Codello, Arianna Cremona, Silvia Dainese, Cesare De Michelis, Davide Favaron, Stefano Gris, Isabelle Hartmann, Paolo Lucchetta, Bettina Magistretti, Francesco Magnani, Andrea Martinoli, Thomas Meyer, Francesco Palazzo, Alessandro Pedron, Traudy Pelzel, Alessandro Perria, Francesco Sbetti, Alba Scapin, Paolo Scibelli, Sruti Thakrar, Università Ca’ Foscari Venezia, Caterina Vettore, Markus Weber, David Wegener, Valerio Zingarelli e tutti i dipendenti della Fondazione di Venezia e dello studio Sauerbruch Hutton. Il catalogo di questa mostra costituisce una delle tappe del percorso di realizzazione di M9, il progetto di rigenerazione urbana ideato, finanziato e realizzato dalla Fondazione di Venezia. Un nuovo centro espositivo sul secolo breve, un nuovo polo culturale di respiro internazionale, poliedrico e policromo, duttile ed eclettico, una “fabbrica del sapere” che metterà in scena i fondamentali 100 anni che hanno rivoluzionato il mondo, le grandi trasformazioni sociali, economiche, demografiche, culturali ed ambientali che hanno caratterizzato il Novecento. Un mattoncino di carta e non di argilla con cui la Fondazione dimostra che il progetto intrapreso si concretizza in qualcosa che non è una mera struttura architettonica o un ardito disegno urbanistico, ma un complesso e articolato laboratorio di ricerca. Un centro di produzione culturale e uno strumento di diffusione e condivisione della conoscenza, che sarà veicolata attraverso tecnologie e formati in continua evoluzione. Di qui il desiderio di dare sostanza al motto che ha accompagnato il percorso evolutivo della Fondazione nell’ultimo decennio – “dal dare al fare” – e che ne ha segnato il passaggio dagli esordi erogativi sino alla natura odierna: un soggetto con una progettualità autonoma, uno staff competente, un proprio programma di interventi, ricerche e attività. Nell’ambito di questo disegno, e segnatamente nel campo degli interventi in campo culturale, M9 è un’occasione unica per sperimentare soluzioni innovative e riflettere su cosa significhi produrre cultura e quali siano i luoghi ideali per farlo, nella consapevolezza che la crisi mondiale post-2007 ha cambiato, forse per sempre, l’agenda dei soggetti politici, delle fondazioni e dei musei, inducendoli a riflettere responsabilmente sulle sfide che il terzo millennio pone e impone, dalla sostenibilità al digitale, dal coinvolgimento dei pubblici all’accessibilità, nel segno di una nuova cultura della progettazione e della gestione di cui le fondazioni come quella di Venezia sono convinte latrici. Pertanto, per immaginare, concepire e realizzare il progetto di rigenerazione urbana di M9 è stato naturale gettare lo sguardo oltre i confini per capire cosa succede nel mondo, quali sono le linee di tendenza emergenti, i progettisti e le novità più interessanti, organizzando un concorso di progettazione architettonica internazionale, da cui è uscito vincitore lo studio Sauerbruch Hutton. Dopo la pubblica esposizione allestita a Mestre nell’agosto del 2010 in concomitanza con l’inaugurazione della 12. Mostra Internazionale di Architettura, la Fondazione di Venezia ha inteso documentare l’evoluzione delle attività progettuali riguardanti l’area di M9, allestendo una nuova mostra che illustra la maturazione e l’esito finale del progetto architettonico e urbanistico, giunto finalmente al suo momento costruttivo, mentre procedono i lavori per la definizione dei contenuti dell’esposizione permanente e la progettazione degli exhibits. Un’occasione importante per conoscere e condividere una tappa significativa dell’iter realizzativo, nel segno dell’idea di condivisione delle conoscenze e di partecipazione delle esperienze che è alla base del progetto M9. giuliano segre Presidente della Fondazione di Venezia INDICE Progetto editoriale Fabio Achilli 12 La città metropolitana e la rigenerazione urbana di Mestre Cesare De Michelis 18 Contenuti e modalità di fruizione degli spazi espositivi di M9 Guido Guerzoni 25 L’architettura di M9 Louisa Hutton, Matthias Sauerbruch 45 L’innovazione degli spazi retail nell’M9 “City District” Paolo Lucchetta 50 Interazioni. Città e architettura nell’opera di Sauerbruch Hutton Jürgen Tietz Coordinamento editoriale Beatrice Mezzogori Testi di Cesare De Michelis Guido Guerzoni Louisa Hutton e Matthias Sauerbruch Paolo Lucchetta Jürgen Tietz Traduzione Flavia Pesci Richard Toovey Referenze fotografiche © CamuffoLab © Paolo Lucchetta © Sauerbruch Hutton La Fondazione di Venezia si scusa anticipatamente nel caso in cui alcune referenze fotografiche fossero state involontariamente omesse © 2014 Fondazione di Venezia Realizzazione editoriale Marsilio Editori® s.p.a. in Venezia Prima edizione: maggio 2014 isbn 978-88-317-1980-3 M9 Transforming the City La città metropolitana e la rigenerazione urbana di Mestre Cesare De Michelis L’urbanizzazione dei territori delle Venezie si è sviluppata in età romana e poi consolidata nel Medioevo feudale in un policentrismo straordinariamente ricco e vario che comunque privilegiava l’autonomia e la sufficienza di ogni singolo Comune, spesso racchiuso dentro una cinta muraria che ne esaltava la separatezza dal resto del mondo. La modernità, giunta in ritardo in queste regioni e in forme generalmente deboli e contraddittorie per essere compatibili con l’organizzazione preesistente, incise poco pertanto, piuttosto insinuandosi lì dove non veniva percepita e temuta come un motore di radicale cambiamento. Andò avanti così, senza vere e proprie scosse, fino all’inizio del Novecento, quando nell’eccitazione futurista di trasformazione del Paese si immaginò la costruzione del nuovo porto industriale di Marghera con alle spalle una serie di stabilimenti destinati alla produzione di materiali di base per le aziende manifatturiere. Fu un vero trionfo e nel giro di breve tempo si sviluppò una imponente area industrializzata, servita direttamente dal mare – le banchine in fabbrica –, che impiegò maestranze sempre più numerose, a migliaia e decine di migliaia: metalli non ferrosi, vetro, cantieristica, ecc., fino agli impianti petroliferi e all’industria chimica. Porto Marghera divenne già negli anni trenta e poi nei cinquanta e sessanta un polo decisivo dell’industrializzazione di base italiana, e attorno ad esso crebbe altrettanto rapidamente una serie di grandi quartieri operai che trascinarono l’intera città della terraferma veneziana – Marghera, Carpenedo, Favaro, Chirignago, Zelarino, ecc. – in uno sviluppo tanto celere quanto scomposto e irrazionale. Il moderno, dunque, agì senza regole e senza piani, dilagando a macchia d’olio, travolgendo resistenze e ostacoli, ignaro comunque di ogni estetica o funzionalità: il risultato è sotto gli occhi di tutti, la prima città nuova delle Venezie, la più grande e popolosa, divenne un agglomerato di case residenziali povere di qualità e di servizi, con una viabilità confusa e precaria, spaccata in due dalla ferrovia, che solo un cavalcavia consentiva di superare, alla quale, mentre cresceva il malcontento che provocò ben quattro referendum per separarla dalla Venezia insulare, negli anni settanta si cominciò a guardare come a una sorta di incompiuta che doveva essere riqualificata e liberata da troppe servitù inquinanti e degradanti. in costruzione, nacquero intanto la nuova piazza Ferretto con la discussa scala esterna alla torre, il mai concluso Centro Candiani, il parco di San Giuliano e il nuovo Ospedale dell’Angelo, l’albergo Laguna, la riapertura del canale Marzanego e inoltre tutti progetti sinora rimasti sulla carta: il cantiere della nuova Mestre non ha fine. Mentre fervono i lavori, prosegue non sempre lineare la discussione sul futuro della città nuova: un altro pezzo dello storico policentrismo, separato dalla città insulare e in competizione con essa, oppure una parte di una realtà metropolitana assai più grande, che avrebbe potuto – o dovuto? – comprendere Padova e Treviso e anche oltre, la quale avrebbe colmato un vuoto nel territorio offrendogli un centro, un punto di riferimento, che lo avrebbe trascinato fuori da ogni residuo di feudalesimo, in una dimensione finalmente moderna e postmoderna. È in questo contesto, al tempo stesso dinamico e contraddittorio, fervido e incerto, che alcuni anni fa, per iniziativa della Fondazione di Venezia emerse il progetto di costruire nel centro di Mestre, di fronte al Duomo e alla piazza, una nuova struttura “museale”: si cominciò acquisendo un immobile e poi un altro, fino a conquistare un intero isolato di circa un ettaro, decidendo, quindi, di abbattere gli edifici più degradati per fare spazio a una nuova edificazione progettata allo scopo e scelta attraverso un concorso internazionale, mentre delle altre parti preesistenti veniva predisposto un restauro complessivo, e intanto si immaginava di attrezzare l’intera area per funzioni culturali, ma anche commerciali e direzionali, con l’intenzione di far convergere intorno ad essa una molteplicità di interessi sufficiente ad avviare quel processo di rigenerazione urbana che diventava la premessa di un destino effettivamente metropolitano per Mestre, la quale peraltro già disponeva dell’aeroporto, del porto – ormai trasferito in terraferma per disporre dei grandi spazi necessari al suo sviluppo –, di un polo di attrazione turistica, come Venezia da un lato e il litorale adriatico dall’altro, e poteva quindi ambire a diventare il baricentro dell’intera area metropolitana. Un progetto di rigenerazione urbana per una nuova cittadinanza Non si trattava soltanto di avviare una diversa progettazione urbanistica che illuministicamente pretendesse di ridistribuire sul territorio le persone o la loro mobilità, quanto piuttosto di un intervento mirato a raccogliere in un luogo già da tempo al centro di una consolidata struttura urbana funzioni sino ad allora trascurate, nella convinzione che, offrendo nuove opportunità di conoscenza e di svago, l’onda lunga dell’attrazione, tanto più se capace di integrare una pluralità di opportunità e di funzioni, avrebbe messo in moto processi di trasfor- Una nuova istituzione culturale Ci vollero quarant’anni per deviare con il Passante una parte del traffico automobilistico dalla tangenziale e poco meno per raddoppiare la linea ferroviaria, il tram è ancora oggi 12 13 mazione e riqualificazione degli spazi secondo una diversa gerarchia di valori e di interessi. La sfida era ambiziosa, perché non partiva dall’esigenza di colmare una carenza istituzionale – l’assenza di un museo in un grande centro abitato –, ma, all’incontrario, dalla ricerca di una più coerente redistribuzione di funzioni nel territorio pensato in grande scala per consentire una redistribuzione delle risorse esistenti capace di migliorare complessivamente non l’isolato direttamente interessato dall’intervento, per quanto importante e vasto esso fosse, ma l’intero centro cittadino e metropolitano, attivando processi di lunga durata e di vasta penetrazione, almeno in parte né prevedibili né immaginabili. il Veneto, polo logistico e infrastrutturale per l’Europa Il sistema delle interconnessioni L’interconnessione di diverse funzioni doveva garantire da un lato la costruzione di un sistema economicamente autosufficiente, tenendo conto della storica difficoltà di garantire l’autofinanziamento di qualsiasi istituzione culturale e della conseguente necessità di destinare alla sua attività il reddito di un patrimonio immobiliare integrato e contiguo, e dall’altro l’elaborazione di una proposta culturale che, per diventare motore di un profondo rinnovamento urbano e civile, non doveva semplicemente riprodurre modelli storicamente consolidati, ma anche nel frattempo logorati e consumati, come i “musei”, quanto invece annunciare sin dalla stessa concezione il punto di partenza di un’avventura inedita, e quindi capace di attivare un cambiamento radicale, perché il traguardo cui si puntava era inequivocabilmente “metropolitano”, nel senso che la scala urbana si sarebbe dovuta dilatare ben oltre qualsiasi dimensione municipale. M9, che intanto sta prendendo forma, è appunto questo: un intervento urbano metropolitano di grande respiro che prevede l’insediamento in via Poerio di un complesso multifunzionale, nel quale coesistano, integrandosi in termini sociali, economici, e culturali, un centro commerciale, degli uffici direzionali e una struttura architettonicamente qualificata da un disegno affatto contemporaneo e fortemente autoriale, destinata all’edutainment, come ancora raramente avviene in Italia. I visitatori di M9 non vedranno pertanto una collezione rappresentativa di opere che documentano episodi della creatività umana, ma, ricorrendo alle straordinarie opportunità offerte dalle nuove tecnologie, si confronteranno con un’immagine pazientemente ricostruita delle trasformazioni che hanno caratterizzato l’inveramento della modernizzazione nel nostro Paese, con un’attenzione privilegiata rivolta a questo territorio, ma anche con la 14 15 la città metropolitana e la rete delle infrastrutture consapevolezza che quanto è accaduto non è immaginabile al di fuori della scena occidentale e più largamente internazionale. Oltre la tradizione M9 non sarà neppure un museo storico secondo i modelli che siamo abituati a vedere, nel senso che, pur non rinunciando a seguire la sequenza cronologica come strumento ordinativo della conoscenza, le affiancherà come non meno pregnante una serie tematica, nel tentativo di rendere riconoscibile la radicalità e la complessità della trasformazione avvenuta in ogni aspetto della vita sociale e individuale e le profonde conseguenze che ha prodotto, affinché il visitatore possa affrontare l’interpretazione e il giudizio sulla modernizzazione con una più matura consapevolezza ma senza soluzioni preconfezionate, anche tenendo ben presente che il processo è tuttora in corso, niente affatto compiuto. Conclusioni Mentre nella nostra contemporaneità scricchiolano indeboliti i valori fondativi dell’affermarsi del moderno, come innanzitutto la certezza di un ininterrotto progresso, non solo sociale e tecnologico ma persino morale, o sembrano riconquistare forza il rimpianto e la nostalgia di un passato più o meno remoto, al quale in ogni caso è comunque impossibile tornare se non con l’immaginazione, un confronto responsabile e informato con le vicende di un passato prossimo, neppure ancora completamente dimenticato, perché ne resistono ben evidenti testimonianze nell’esperienza e nella memoria, può diventare al tempo stesso educativo e sorprendente, spettacolare e documentato, favorendo anche il dialogo tra le generazioni e le diverse tradizioni famigliari. Cultura, economia, studio e svago contribuiranno a identificare un luogo della città metropolitana che non si immagini come “centro” o vertice di una scala gerarchica rigida e duratura, quanto, invece, si proponga come un’autonomia proposta di un soggetto “privato” fortemente legato al territorio, delle cui ricchezze accumulate nel corso del tempo è l’erede, e come un’opportunità riconosciuta, o almeno riconoscibile, in competizione e in concorso con le molte altre diverse che altrove cresceranno: tanto più in un territorio già urbanizzato da secoli la nuova realtà metropolitana non può significare ripartire da zero, ma dovrà realizzarsi integrando gli insediamenti preesistenti e riqualificandoli in un sistema nel quale gli abitanti possano muoversi agilmente e liberamente alla ricerca di soddisfare le loro specifiche esigenze. 16 17 Contenuti e modalità di fruizione degli spazi espositivi di M9 Guido Guerzoni Con M9, la Fondazione di Venezia intende creare un’istituzione culturale dal respiro e dalla vocazione internazionale: non si tratta di un museo inteso nel senso consueto e tradizionale del termine, né di un mero contenitore espositivo. Per tale ragione, in virtù della complessità dell’intervento, della pluralità degli ambiti cronologici coinvolti e della molteplicità delle attività svolte e delle tematiche interessate, per denominare l’intero progetto è stato scelto un codice alfanumerico capace di inglobare ed esprimere la varietà e la ricchezza dei diversi elementi costitutivi. L’accoppiata M9 sintetizza così gli ambiti tematici dell’istituzione e la sua localizzazione geografica, le attività principali e le caratteristiche allestititive, l’area di incidenza e i servizi offerti, laddove “M” sta a significare museo, mostre, mall, mediateca, multimedialità, multisensorialità, Mestre, Marghera e metropoli, mentre “9”, contiene la radice di “novità” e il “Ve” di Venezia, passando per il Novecento, il secolo raccontato dall’esposizione permanente. La missione di M9, sin dalla sua concezione, si è sempre declinata su tutti gli ambiti cronologici, proponendosi di far conoscere il passato, comprendere il presente e confidare nel futuro, stimolando i visitatori a sentirsi parti attive e responsabili delle comunità in cui vivono. A questi obiettivi sono stati associati i tre principali spazi che dal punto di vista architettonico hanno dato ordine e forma alla tripartizione del progetto culturale di M9, ovvero: – M900: l’esposizione permanente di M9, collocata nel primo e nel secondo piano del nuovo edificio, narra i processi di modernizzazione occorsi in Italia negli ultimi due secoli; è un percorso museale del Novecento aperto al futuro, del xx ma anche del xxi secolo, in cui la storia d’Italia è collocata in una prospettiva mondiale, con particolare attenzione alla dimensione comparativa, senza dimenticare, ogni qual volta sia ragionevole e possibile, le esperienze paradigmatiche maturate nel territorio – le Venezie – nel quale M9 è insediato. – MAMA: acronimo che comprende un auditorium da duecento posti collocato a doppia altezza tra l’interrato e il piano terra; una Mediateca collocata al piano terra; una grande Aula (suddivisibile anche in spazi di minori dimensioni) al secondo piano per ospitare attività formative e laboratori didattici; – M000: lo spazio espositivo polifunzionale, innovativo e all’avanguardia, sito al terzo piano del nuovo edificio museale, in cui saranno ospitate mostre temporanee di varia natura. L’intenzione è quella di allestire tre eventi espositivi ogni anno, con investimenti pubblici, vocazioni, budget e posizionamenti strategici differenti, attinenti ai campi del sapere più trascurati, come ad esempio le scienze, le tecnologie, l’ecologia e l’energia, l’urbanistica, l’architettura e il design, le creative industries e la moda, i media, l’editoria e la comunicazione, la cultura popolare e gli stili di vita, senza dimenticare le mostre per i bambini e i pubblici scolastici. L’offerta formativa di M9 contempla poi specifici programmi per la didattica e la formazione (dalla professionale alla permanente), indirizzati sia a pubblici in età scolare, che a quelli adulti. Servizi, workshop e laboratori didattici troveranno spazio nella grande aula vetrata che si trova al secondo piano dell’edificio museale, che può essere facilmente modulata in più unità di dimensioni differenti. L’ampiezza e la diversità delle funzioni descritte miscelano la volontà di non creare un museo tradizionale, né di costituire un’istituzione consacrata alla celebrazione delle tradizioni locali. Al contrario, l’allestimento dell’esposizione permanente, le attività espositive temporanee e il palinsesto culturale sono fortemente orientati alla comprensione del presente e alla riflessione sul futuro. M9 è un centro di interpretazione, un polo di produzione culturale vivo, un soggetto attivo, capace di assumere e difendere posizioni intellettuali anche scomode, producendo nuovi contenuti, suggerendo scenari e visioni, stimolando il senso critico, proponendo interpretazioni di quanto succede oggi e potrà accadere domani. I contenuti dell’esposizione permanente Lo storyboard di M900 s’ispira alle esperienze internazionali dei “musei storici di narrazione”: racconta una storia “nazionale”, unitaria nell’impianto concettuale e allestitivo, ma plurale e pluralista nella costruzione dei percorsi narrativi, che si sviluppa fisicamente all’interno di due piani del museo, seguendo un percorso definito, con un inizio e una fine, un ingresso e un’uscita. Il layout espositivo si articola in nove sezioni: otto sezioni tematiche disposte spazialmente in sequenza e una sezione cronologica trasversale alle precedenti. Ciascuna sezione tematica comprende delle sottosezioni che illustrano, attraverso una o più installazioni, specifici argomenti, rispettando il principio cronologico e ordinando i contenuti in senso diacronico, dal passato al presente, con cronologie dedicate. Non vi è una sottostante interpretazione univoca e ideologizzata della storia del Novecento: l’esposizione si articola in percorsi che stimolano le riflessioni dei visitatori, invitandoli a formarsi un’opinione autonoma e formulare giudizi indipendenti, la cui espressione è sollecitata, raccolta e rielaborata attraverso specifici strumenti di interazione. L’obiettivo è quello di fornire una selezione coerente di temi, spunti, informazioni e prospettive, che solleciti riflessioni critiche e interagisca con altri soggetti educativi – la scuola, le famiglie, 18 19 1. La demografia, i ruoli e le strutture sociali 1.1 Antropometrica: pesi, misure e fisionomie degli Italiani 1.2 Le dinamiche demografiche 1.3 Speranza di vita, longevità e cause di mortalità 1.4 Età, riti di passaggio e ruoli sociali 1.5 Le strutture familiari e parentali 1.6 L’evoluzione dei ruoli femminili 1.7 Matrimoni, unioni, separazioni, divorzi 1.8 Emigrazioni ed immigrazioni 2. Lo Stato, le istituzioni, la politica 2.1 Dalla monarchia alla repubblica 2.2 I totalitarismi 2.3 L’Italia in guerra 2.4 Lo Stato e gli enti locali 2.5 Il rapporto Stato-Chiesa 2.6 L’illegalismo diffuso 2.7 Diritti, doveri, parità 2.8 Ideologie e partiti 2.9 Sindacati e associazioni 2.10 Ceti, gruppi, mobilità sociale 4. Gli spazi e i paesaggi: campagne e città 4 .1 Proprietà fondiarie, riforme agrarie, meccanizzazione 4.2 Le risorse naturali: conquiste e abbandoni 4.3 Le trasformazioni del paesaggio 4.4 Le urbanizzazioni 4.5 Inquinamenti, rifiuti e consumo dei territori 4.6 I disastri ambientali e la coscienza ecologista 3. L’economia: il lavoro, la produzione, i redditi 3.1 Da contadini a operai 3.3 Industrializzazione: fabbrica e operai 3.5 Lo Stato imprenditore 3.6 Lotte e diritti nei luoghi di lavoro 3.7 Servizi, colletti bianchi e pubblico impiego 3.8 Ricchi e poveri: redditi, salari e potere d’acquisto 3.9 Patrimoni, risparmi e tassazione 3.10 Il Welfare State 20 6.2 Le eccellenze tecnologiche e la loro fine 6.3 Le risorse 6.4 Il sistema delle infrastrutture 6.5 I mezzi di trasporto e la mobilità 6.6 Le comunicazioni di massa 6.7 La salute: cure mediche e farmaci 8.4 L’antagonismo e la violenza 7. La cultura: educazione, formazione e informazione 7.1 Alfabeti e analfabeti: la scuola obbligatoria 7.2 Dai dialetti alla lingua nazionale 7.3 Indirizzi di studio e professioni 7.4 I mezzi d’informazione 7.5 L’acculturazione e i consumi culturali 7.6 Il mezzo è il messaggio 21 lo storyboard dell’esposizione permanente 6. Le scienze, le tecnologie, le innovazioni 6.1 La ricerca e i suoi risultati 8. L’identità italiana 8.1 Municipalismo e tradizionalismo 8.2 Nord e Sud 8.3 Il paese della bellezza: il patrimonio culturale 3.2 Donne al lavoro 3.4 La manifattura: artigiani, imprenditori, distretti e reti 5. Gli stili di vita: costumi e consumi 5.1 Abitudini quotidiane e forme di socializzazione 5.2 Dalla fame alla sazietà: la dimensione identitaria del cibo 5.3 L’igiene e la cura del corpo 5.4 Dall’abito della festa al Made in Italy 5.5 Le forme dell’abitare 5.6 Privazioni e comfort 5.7 “Mens sana in corpore sano”: lo sport 5.8 Il tempo libero e lo sviluppo del turismo 5.9 La società dello spettacolo 8.5 Religione e laicità 8.6 Figure guida 8.7 Stile italiano 8.8 Come ci vediamo e come ci vedono 6.8 La malattia mentale e le dipendenze i mass media, ecc. –, per fornire un servizio educativo e informativo capace di offrire, grazie alle sue modalità allestitive e fruitive, un intrattenimento divertente e intelligente. Il Novecento è stato il secolo dei totalitarismi, delle guerre mondiali e delle ideologie planetarie, dei movimenti collettivi e della massificazione culturale, dei mass media e dell’omologazione sociale, ma è stato anche il secolo dell’esaltazione della soggettività e della celebrazione dell’individualismo, del riconoscimento delle libertà e dei diritti personali, dell’affermazione delle scelte e dei destini personali. Questa seconda dimensione è fondamentale se si vuole spiegare la singolarità della storia italiana, il particolarismo e la frammentarietà delle sue strutture sociali, politiche e istituzionali, l’individualismo e l’anomismo comportamentale. L’allestimento di M900 attribuisce pari peso e dignità a entrambe le prospettive narrative: l’importanza accordata alla sfera individuale, alla percezione di genere, alla dimensione soggettiva, alla quotidianità delle persone pareggia quella riconosciuta ai principali avvenimenti, alle personalità eminenti, alle istituzioni protagoniste delle principali trasformazioni. La dimensione familiare, domestica e affettiva, i riti, i ritmi e i gesti quotidiani, la cultura materiale, le piccole abitudini, i volti anonimi e le voci sommesse delle persone normali sono importanti tanto quanto i fatti epocali, le date fatidiche, gli oggetti simbolici, i grandi personaggi, le macro scansioni temporali. Le due dimensioni dialogano per superare i limiti della museologia otto e novecentesca, che ha celebrato le storie, le memorie e i lasciti dei vincitori, privilegiando accadimenti isolati e personalità eminenti, civiltà evolute e opere insigni, in una logica rappresentativa ufficialmente scientifica, fondata su oggetti visibili, cronologie chiare, giudizi certi e gerarchie immutabili, che hanno costituito i capisaldi delle tradizionali forme di allestimento, narrazione e rappresentazione museale e fissato i canoni della trasmissibilità intergenerazionale, ciò che veniva giudicato indegno di essere conservato, scompariva, spesso per sempre, dagli orizzonti della conoscenza e della memoria. M900 vuole consentire a chiunque di conoscere le proprie radici, ritrovare la propria identità per collocarle in una prospettiva più ampia e proiettarle nel futuro. e temporanee, servizi al pubblico, laboratori e depositi, back office, ecc.) sono stati desunti dall’analisi di un campione che, inizialmente ristretto a poche decine di casi, è stato incrementato sino a comprendere più di seicentocinquanta casi internazionali. Il principio museologico è quello dell’edutainment: il percorso si configura come un’avventura ludica, un’esplorazione emozionante, un viaggio didattico ma coinvolgente nei tempi della storia. M900 si rivolge in prima istanza ai tre target principali individuati nelle diverse analisi di mercato e piani di fattibilità sviluppati dal 2006 in poi: scolastici, familiari e turistici, prestando particolare attenzione ai turisti stranieri che pernottano a Mestre e in terraferma (più di 1,2 milioni d’individui nel 2013, con 22 alberghi da 3 e più stelle esistenti nel raggio di 3 km dal museo). Per ciascun target sono predisposti percorsi di durata, complessità, lingue e impegno differenti; in tal senso l’allestimento è concepito per consentire visite sia libere che personalizzate: chiunque può progettare prima della visita il proprio percorso personale, dettato da specifici interessi e curiosità, potendo scaricare nel corso della fruizione materiali di diversa natura (testuali, fotografici, audiovisivi) per successivi approfondimenti e conferimenti/donazioni di materiali da parte degli stessi visitatori, fisici e remoti. Del pari è prevista l’integrazione nell’esposizione di strumenti interattivi e soluzioni allestitive multilingue, con specifica attenzione al pubblico diversamente abile, al fine di realizzare percorsi di visita semplificati e praticabili. M900 è costruita editando i “beni culturali” prodotti nel Novecento, ovvero materiali cartografici e a stampa (quotidiani, periodici, poster, materiali pubblicitari, cartoline, libri, stampe, incisioni, cartografie, ecc.), fotografici, sonori (incisioni radiofoniche, radiodocumentari, ricerche di storia orale, interviste, fondi radiofonici, registrazioni di suoni, voci e rumori, ecc.), audiovisivi (documentari, riprese di privati), programmi televisivi, materiali prodotti da imprese e sindacati, film, telegiornali, ecc.), integrati da oggetti, originali o riproduzioni (plastici, macchinari, strumenti scientifici, oggetti d’uso quotidiano, ricostruzioni animate e in 3D, riproduzioni di vario tipo, ecc.), per realizzare ricostruzioni immersive di spazi e ambienti, installazioni interattive e olfattive, sonore e sensoriali. La centralità dei contenuti in formato digitale (immagini fisse e in movimento, ricostruzioni 3D, realtà aumentata, suoni e voci, ecc.) consentirà di aggiornare e modificare periodicamente le installazioni, che potranno essere integrate e arricchite dai visitatori attraverso strumenti web 3.0, al fine di offrire un approccio alla conoscenza pluralistico, multidisciplinare, multisensoriale e interattivo, che stimoli le capacità critiche, la curiosità e il desiderio di apprendimento. Le modalità di fruizione degli spazi espositivi Dal punto di vista architettonico gli spazi sono stati concepiti – nelle dimensioni e nelle caratteristiche tecniche e funzionali – facendo tesoro delle esperienze maturate a livello internazionale nel campo della progettazione architettonica e allestitiva negli ultimi vent’anni: i dimensionamenti planivolumetrici e la zonizzazione funzionale (esposizioni permanenti 22 23 L’architettura di M9 Louisa Hutton, Matthias Sauerbruch Integrazione nel tessuto urbano Come edificio e luogo programmatico, M9 costituisce per la città di Mestre un importante elemento di complemento. Da un lato, la sua offerta culturale arricchisce in maniera pregnante la vita locale, dall’altro, agendo da polo d’attrazione per i cittadini e i visitatori esterni, offre un importante stimolo all’attività economica della città. Il progetto prevede non solo la realizzazione di un nuovo edificio destinato a funzioni museali, accompagnato da un annesso corpo secondario dedicato alle attività amministrative e di back office del museo, ma anche il recupero dell’ex convento delle Grazie, destinato a “City District”. La sua collocazione nel tessuto urbano migliora la rete pedonale della città, creando e collegando nuovi spazi che si inseriscono discretamente nel contesto preesistente. Al fine di realizzare una connessione pedonale tra piazza Erminio Ferretto e via Cappuccina attraverso la ex-area conventuale, il progetto architettonico ha proposto la creazione di uno spazio diagonale dalla forte riconoscibilità e di una “piazzetta del museo”, per attirare i visitatori e invitarli all’attraversamento dell’intero complesso. Da questo primo gesto urbanistico hanno preso forma le scelte progettuali successive: il lotto è suddiviso dalla diagonale in due parti di forma triangolare, il triangolo maggiore su via Brenta Vecchia accoglie l’edificio destinato agli spazi espositivi, mentre un edificio di servizio più piccolo occupa la porzione su via Pascoli. Spazi esterni Il percorso che si estende a livello stradale prosegue con un angolo aperto verso la “piazzetta del museo” per indicare l’entrata dello stesso, sin dall’inizio del complesso. Avvicinandosi al museo l’attenzione del visitatore è attirata dai due volumi diagonali di nuova costruzione, che permettono di focalizzare l’attenzione verso l’ingresso e l’organizzazione interna degli edifici. Tutte le percorrenze di pertinenza dell’area M9 sono state concepite come un’unica superficie pavimentata in pietra, permettendo così ai passanti e ai visitatori di muoversi in uno spazio privo di interruzioni. Questa superficie si estende senza soluzione di continuità anche al piano terra dell’edificio espositivo. In continuità con i portici di via Poerio, i nuovi edifici offrono su tutti i lati una copertura per i pedoni, realizzata grazie alla sporgenza dei volumi architettonici. La diagonale formata dall’incrocio di via Brenta Vecchia e i nuovi volumi dell’edificio museale, è definita dalle due facciate diagonali che la affiancano, offrendo la vista verso l’interno del foyer del museo e della sala polifunzionale. Negozi e ristoranti circondano la nuova M9 museo del novecento, mestre / M9 museum, mestre M9V_prospettiva / perspective sauerbruch hutton lehrter strasse 57, 10557 berlin [email protected] www.sauerbruchhutton.com t + 49 (0) 30 39 78 21 - 0 M9, veduta dall’alto 24 25 piano terra M9 museum, mestre / M9 museo del novecento, mestre second floor secondo mestre piano / M9 museo del novecento, mestre M9/museum, 0m 0 10 lehrter strasse 57, 10557 berlin sauerbruch hutton primo piano 20m 0 [email protected] lehrter strasse 57, 10557 berlin www.sauerbruchhutton.com 0 [email protected] t + 49 (0) 30 39 78 21 - 0 www.sauerbruchhutton.com sauerbruch hutton 10 20m 10 lehrter strasse 57, 10557 berlin t + 49 (0) 30 39 78 21 - 0 M9 museum, mestre / M9 museo del novecento, mestre ground floor / piano terra M9 museum, mestre / M9 museo del novecento, mestre second floor secondo mestre piano / M9 museo del novecent M9/museum, 20m second floor / secondo piano sauerbruch hutton 26 0 10 20m second floor / secon [email protected] lehrter strasse 57, 10557 berlin www.sauerbruchhutton.com [email protected] t + 49 (0) 30 39 78 21 - 0 www.sauerbruchhutton.com t + 49 (0) 30 39 27 0 10 20m M9 museum, mestre / M9 museo del novecento, mestre first floor / primo piano secondo piano M9 museum, mestre / M9 museo del novecento, mestre second floor secondo mestre piano / M9 museo del novecento, mestre M9/museum, 0m 0 10 lehrter strasse 57, 10557 berlin sauerbruch hutton terzo piano 20m 0 [email protected] lehrter strasse 57, 10557 berlin www.sauerbruchhutton.com 0 [email protected] t + 49 (0) 30 39 78 21 - 0 www.sauerbruchhutton.com sauerbruch hutton 10 20m 10 lehrter strasse 57, 10557 berlin t + 49 (0) 30 39 78 21 - 0 M9 museum, mestre / M9 museo del novecento, mestre second floor / secondo piano M9 museum, mestre / M9 museo del novecento, mestre second floor secondo mestre piano / M9 museo del novecent M9/museum, 20m second floor / secondo piano sauerbruch hutton 28 0 10 20m second floor / secon [email protected] lehrter strasse 57, 10557 berlin www.sauerbruchhutton.com [email protected] t + 49 (0) 30 39 78 21 - 0 www.sauerbruchhutton.com t + 49 (0) 30 39 29 0 10 20m M9 museum, mestre / M9 museo del novecento, mestre third floor / terzo piano piazzetta del museo edificio museale, via Brenta Vecchia edificio museale, ingresso principale il museo dal lato sud (via Pascoli) 30 31 edificio museale, sezioni piazza del museo mentre alcune vetrine alleggeriscono il contesto del passaggio al piano terreno su via Brenta Vecchia. La piacevole atmosfera di corte Legrenzi è così resa armoniosa da un fine tessuto di spazi molteplici e differenti, dotati di cangianti sfumature. Presenza estetica e cifra stilistica dell’edificio museale Gli spazi espositivi di M9 presentano una volumetria articolata, originata da valutazioni di carattere urbanistico e funzionale, quali l’attraversamento dell’intero lotto, l’integrazione tridimensionale della costruzione nel contesto e l’accessibilità di tutte le componenti del programma. La cifra stilistica del museo si caratterizza per l’interpretazione dell’eredità del xx secolo, con il fine di armonizzarsi con il contenuto dell’esposizione permanente, dedicata, unicum in Europa, alla storia del Novecento. Condivide con il Futurismo italiano la fascinazione per il movimento e la velocità come componenti fondamentali dell’orizzonte percettivo contemporaneo, con l’arte e l’architettura moderna l’uso mirato del colore come mezzo di percezione dello spazio. A questo si aggiunge la consapevolezza di quei valori di “sostenibile continuità” integrata perfettamente con la sua concezione urbanistica. Spazi interni Al piano terra dell’edificio sono situati il foyer, la sala conferenze, la mediateca, il bookshop e la caffetteria del museo. Un’ampia scala a quattro rampe, lunga circa 50 metri e illuminata da una finestra continua, focalizza l’attenzione sullo spazio diagonale all’esterno del museo, guidando dolcemente il visitatore agli spazi espositivi. Le aree espositive permanenti sono situate al primo e secondo piano dell’edificio e sono concepite come “scatole nere” (black box) flessibili di circa 1.500 mq per piano. Al secondo piano, raggiunto il vertice della scala principale si attraversa un ambiente di forma allungata che ospita i pannelli e gli espositori guida relativi alle mostre temporanee allestite al terzo piano dello spazio museale. Da questo spazio si accede alla scala per il terzo piano, illuminata dall’alto attraverso lucernari. Questi preannunciano l’illuminazione naturale che caratterizza gli spazi espositivi del terzo piano, di circa 1.200 mq, dotati di una copertura a shed orientati verso nord, in netta contrapposizione con le luci artificiali dei piani espositivi precedenti. Il terzo piano è concepito come una grande “scatola bianca” (white box) oscurabile, dalla quale è possibile accedere a una terrazza o godere del panorama esterno attraverso ampie vetrate. 0 32 10 20m 33 M9 museum, mestre / M9 museo del novecen section bb / s vista auditorium, esterno edificio museale, terzo piano, interno 34 35 edificio museale, scala interna con vista sulla città piazzetta del museo, affaccio sul bar caffetteria 36 37 “City District”, spazi retail su via Poerio Tutti i livelli espositivi sono progettati a partire da una griglia strutturale di 9 m ∑ 12 m. Qualora si optasse per una configurazione museale “classica” la galleria sarebbe formata da ambienti di 6 m ∑ 9 m, con una superficie minima degli ambienti di 54 mq. Grazie a questo modulo tutti i piani del museo possono essere configurati con flessibilità, come uno spazio continuo ripartito oppure come un’unica e indivisa area. Le facciate Il rivestimento della facciata in ceramica policroma rappresenta il carattere preminente dell’edificio, creando un accordo cromatico tra le strutture preesistenti del centro storico di Mestre e il nuovo spazio espositivo. Gli ingressi, le rientranze e la parte superiore dell’edificio sono invece in cemento a vista. Questo materiale è presente anche nella parte superiore del corpo dell’edificio museale, il quale è consapevolmente articolato nella sua materialità, con il fine di integrare nelle varie scale dell’ambiente circostante il suo volume. Infine, la distribuzione strategica di singole aperture creerà speciali relazioni visive con l’ambiente circostante. Il progetto architettonico per l’ex convento Il complesso dell’ex Convento delle Grazie, risalente al xvi secolo, è stato più volte modificato e trasformato, accogliendo al suo interno anche una caserma. In disuso da diversi anni, l‘edificio si trova attualmente in stato di abbandono. Il progetto di rigenerazione urbana ne prevede la ristrutturazione e la trasformazione in un “City District”. Questo nuovo spazio commerciale comprende oltre allo spazio conventuale anche le zone attigue di corte Legrenzi e i fabbricati delle ex cavallerizze. Ristrutturazione degli edifici storici Il progetto architettonico contempla il restauro conservativo della facciata lungo via Poerio, in cui il principale elemento innovativo è rappresentato dall’apertura di ampie vetrine al piano terra, dove sono insediati nuovi spazi commerciali. I portici del chiostro sono anch’essi dotati di vetrine che illuminano omogeneamente lo spazio claustrale. L’integrità dell’edificio esistente è salvaguardata e gli interventi previsti sono solo quelli necessari al consolidamento della struttura: per aumentare la capacità di carico tutti i solai sono rinforzati, mentre per garantire l’accessibilità sono state aggiunte scale mobili, ascensori e diverse scale 38 39 “City District”, copertura dell’antico chiostro antincendio. L’idea architettonica ha optato per una chiara differenziazione tra elementi preesistenti e aggiunti, tramite l’uso differenziato dei materiali: i nuovi varchi ottenuti nelle murature portanti sono evidenziati da una cornice in acciaio, utilizzato anche per la realizzazione delle scale pedonali e la struttura portante dei vani ascensori, pur salvaguardando la coerenza con il carattere complessivo dell’edificio. La copertura della corte Coerentemente con la funzione pubblica e commerciale, lo spazio della corte è dotato di una copertura che permette l’utilizzo dello spazio non solo come luogo di sosta, ma anche come sede di eventi, anche in condizioni meteorologiche sfavorevoli. Per coprire il chiostro in modo leggero il progetto ha previsto una superficie irregolare formata da una struttura primaria in acciaio che sorregge elementi traslucidi. La forma di questi pannelli sottolinea l’attraversamento diagonale della corte e assicura una buona dispersione acustica. La luce filtrata dalle membrane traslucide offre un’atmosfera soffusa al riparo dal sole, mentre la luce riflessa dal tetto del convento circostante penetra all’interno della corte attraverso i bordi della copertura, aumentando la plasticità della superficie del tetto. La nuova copertura si trova a circa 15 m di altezza, al di sopra della linea di gronda e poggia su otto colonne distribuite su una griglia irregolare. La copertura raccoglie le acque piovane attraverso diversi pluviali inseriti nelle colonne portanti, che a loro volta convogliano le acque in una vasca di laminazione sotterranea posta al di sotto della corte. Durante le ore serali e notturne, la corte può essere illuminata dall’alto tramite fari collocati sulla sommità delle colonne. I principi di sostenibilità I corpi di fabbrica del nuovo complesso museale sono stati concepiti adottando una nutrita serie di misure attive e passive atte a ridurre il fabbisogno energetico e la produzione di CO2 e l’impronta ecologica, l’impiego di fonti naturali e rinnovabili, l’utilizzo di materie prime e tecniche costruttive ecocompatibili. Tra queste misure vanno segnalate la forma compatta dell’edificio principale e la sapiente miscela tra superfici chiuse e vetrate, l’innovativo utilizzo dell’attivazione di massa, la scelta dei materiali delle facciate e le soluzioni progettuali relative all’involucro, l’ampio ricorso alla geotermia e l’integrazione con la produzione energetica fornita dai pannelli fotovoltaici posti in copertura, il recupero delle acque meteoriche, il sistematico impiego di materiali e processi costruttivi coerenti con i 40 41 scheda delle misure per la sostenibilità energetica e ambientale 1a 4e 1b e 1c 4d 4c 1d 1 rigenerazione urbana sostenibile 1a conservazione e reimpiego delle strutture storiche 1b valorizzazione della rete pedonale urbana 1c creazione di spazi pubblici e piazze attraenti 1d layout flessibili che si prestano a più usi 1e piani terra aperti a vari utilizzi di natura pubblica 1f concept energetici adattati a ogni singola struttura, ai suoi usi e bisogni specifici 1e 4b n o s 4a 1f 2a 3e 3d 3 minimizzazione della richiesta di energia primaria per il funzionamento dell’edificio 3a uso ottimizzato della luce naturale nelle aree pubbliche/di servizio e negli spazi espositivi temporanei 3b uso di calore geotermico mediante pompa di calore 3c sistema costruttivo termo-attivo 3d ventilazione naturale nelle aree pubbliche e di servizio 3e ventilazione naturale (per convezione) della corte dell’ex Convento 2b 4 ulteriori misure ecologiche 4a generazione di energia elettrica con sistemi fotovoltaici 4b ridotto impiego di materiali ad alto contenuto di energia grigia 4c riciclo di componenti edilizie della struttura storica per l’ex Convento 4d recupero delle acque piovane per l’impiego opzionale delle acque grigie 4e illuminazione con lampade a LED 2c 3c 3b 2d 3a 2 minimizzazione del carico termico 2a volumi compatti del nuovo costruito 2b elevato isolamento termico 2c spazi pubblici ombreggiati in modo naturale 2d schermatura in facciata per minimizzare la penetrazione termica 2e copertura verde (tetti piani) e riflettente (tetti a falde) per evitare la formazione di “isole termiche” 2e 42 43 principi LEED, un sistema di valutazione della sostenibilità edilizia che viene adottato su base volontaria, per valutare le performance ambientali degli edifici durante il loro intero ciclo di vita. Queste soluzioni comprovano la comunanza d’intenti del committente e dei progettisti nel privilegiare il risparmio di energia, acqua e materie prime, sia in fase di realizzazione che durante il ciclo di vita degli edifici, l’attenzione espressa nei confronti degli stakeholder e dell’ambiente – declinata nella cura per la salute e la sicurezza dei lavoratori e dei visitatori – l’impegno nella riduzione delle emissioni inquinanti e del volume di rifiuti da smaltire. L’innovazione degli spazi retail nell’M9 “City District” piazza ferretto la piazza principale candiani cinema, multiplex, libri e caffè piazzetta toniolo teatro, ristoranti Paolo Lucchetta piazza ferretto cibo, retailer indipendenti via brenta vecchia libri e dischi, retailer indipendenti Nel celebre volume Nonluoghi – Introduzione a una antropologia della surmodernità, Marc Augé definì l’estetica degli spazi sociali e commerciali come una delle future rappresentazioni della nostra capacità di esprimere una società civile. Se possiamo definire la città come «la nostra migliore creazione collettiva» (Ricky Burdett), se gli edifici «ci rappresentano più di quanto noi immaginiamo» (Wim Wenders) e la capacità del retail è quella di «generare sostanza urbana» (Rem Koolhaas), l’ideazione del progetto “M9 City District” trova in questi assunti il suo stesso fondamento. La sfida di questo nuovo distretto è quella di fornire un’identità a tutti gli spazi commerciali e sociali presenti nella nuova architettura di M9 a Mestre, città ecologica e dal consistente capitale sociale (sono ad esempio circa ottocento le associazioni attive nei settori dello sport, della cultura, dell’ambiente e della solidarietà), e di opporsi al declino del centro storico determinato dall’insediamento di una cintura di centri commerciali di grande attrazione che ne hanno indebolito il tessuto socio-economico. L’ispirazione del “City District” deriva dallo studio di Sauerbruch Hutton, che ha progettato uno spazio fortemente orientato alle connessioni con il frammentato contesto cittadino, all’apertura di relazioni spaziali tra gli spazi vuoti che legano gli edifici esistenti e le nuove architetture, nei quali la centralità della funzione museale è affiancata in modo compatibile da funzioni urbane finalizzate al programma di riqualificazione complessiva del centro storico. corte legrenzi quartiere della moda M9 “City District” 44 45 Ma perché un “City District”? Il modello dei cosiddetti distretti urbani si è affermato sulla spinta di nuovi imprenditori a caccia di spazi non banali e diversificati e dai costi ridotti rispetto a quelli offerti all’interno di shopping centers urbani ed extraurbani, spesso sostenuti da developers visionari e istituzioni illuminate. L’esempio dell’High Line e del Meatpacking District di New York ne è la dimostrazione più convincente. Si tratta di una sezione di 2,33 km della West Side Line di New York costruita nei primi anni trenta del Novecento e poi abbandonata negli anni ottanta. Friends of High Line, un’associazione di residenti, si costituì nel 1999 al fine di sviluppare un programma di attività culturali e sociali, in opposizione all’ipotesi di abbattimento dell’infrastruttura, più volte paventata, proponendo la sua riconversione in parco urbano dedicato alla biodiversità. Il progetto di promenade verde, realizzato dagli architetti Diller Scofidio+Renfro e dallo studio di architettura del paesaggio James Corner Field Operations, fu approvato dall’am- il modello del “City District” 46 47 tigianali sia vitale per le economie urbane, non solo perché in questi spazi si presentano prodotti tecnologici e innovativi, ma perché qui si insediano giovani imprenditori che possiedono la cultura, le idee e le energie per anticipare le tendenze commerciali del futuro. Cercando di opporsi agli identikit dei progetti suburbani e a quelle architetture spesso prive di immaginazione, in questi spazi si perseguono modelli di sviluppo per così dire visionari, nei quali passione, innovazione e coscienza sociale si fondono armoniosamente. Seguendo questa concezione di città contemporanea e costituendo una rete di testimonianze sui modelli di valorizzazione socio-economica dei contesti urbani, il progetto “M9 City District” propone una specifica articolazione spaziale e di governance. In particolare, negli edifici del distretto M9 si trovano differenti gruppi di imprenditori, raggruppabili nelle seguenti categorie concettuali: nuovi imprenditori (small business start-up), imprenditori locali che per primi hanno sostenuto un’idea visionaria di retail indipendente di qualità (local heroes), imprenditori che svolgono le loro attività e organizzano i propri eventi in spazi allestiti temporaneamente (pop-up stores). Nell’edificio del ex-Convento, costituito da tre livelli, nell’ultimo piano sotto le capriate lignee, un ambiente dedicato ai prodotti alimentari locali, preparati a rotazione da chef emergenti, una scuola di cucina e spazi didattici per la promozione del patrimonio enogastronomico regionale (secondo l’ormai noto motto “Comprare, Mangiare, Imparare”), nel quale è possibile organizzare eventi e ospitare produzioni internazionali. Il primo piano dell’edificio è dedicato ai manufatti locali e artigianali di nuova ideazione (i makers) e prevede spazi per la produzione di servizi a favore delle attività sociali, commerciali e culturali dell’intero complesso: industrie creative e spazi di co-working, aperti ai talenti emergenti e alle culture digitali (high quality, good living, low price). Altre attività legate all’edutainment, alle librerie, a laboratori e uffici, maggiormente integrate con le funzioni culturali degli spazi allestitivi, sono collocate infine all’interno dei nuovi edifici. L’insieme di questi spazi costituisce un Multichannel Mall, in cui è possibile acquistare e condividere prodotti e servizi (buy & share) nello spazio fisico, online e sui dispositivi mobili. I confini del concetto di un distretto sono difficilmente definibili e devono essere governati da una visione imprenditoriale e dalla creazione collettiva, costantemente tesa a cogliere le dinamiche di una società in costante evoluzione e largamente connessa. Molti ritengono che anche da questo dipenda il destino dei nostri centri storici, alla ricerca di progetti inediti che ne consolidino il ruolo nella costruzione e nella crescita della società civile. ministrazione del sindaco Bloomberg nel 2002. I lavori cominciarono nel 2006 e il parco fu aperto al pubblico nel 2009. Contemporaneamente fu istituita una società per la sua gestione, secondo i principi dettati dalla Friends of High Line, per la gestione e la valorizzazione del palinsesto di attività ed eventi che si sviluppano in un’area di 20 isolati aperta 24 ore al giorno. Designer di moda e grafici, architetti, artisti, gallerie aderirono al programma e spostarono qui le loro sedi e le loro attività, creando una community internazionalmente riconosciuta per l’innovazione nei campi del design, dell’alimentazione, delle industrie culturali e creative. Meatpacking è diventato così un epicentro e un collettore di attività senza perdere il suo carattere originario, miscelando nell’area pedonale la comunità dei residenti e le attività imprenditoriali, turisti e alberghi, centri culturali (come il Whitney Museum) e il “Park in the sky”, un’area verde elevata costruita sopra le rotaie abbandonate della ferrovia. Diversi attori sociali, aziende multinazionali e associazioni no profit legate al commercio e alla cultura, valorizzazione e senso di appartenenza a comunità che producono innovazione: sono questi gli ingredienti dei modelli che si oppongono a un commercio interpretato e vissuto come una attività avulsa dai propri ambiti territoriali. La mappa globale della moda, del design, del cibo e dell’arte sta diventando sempre più interessante grazie all’affermazione di città considerate terreni fertili per nuove imprese e nuovi retailers. Testimonianze di trasformazioni creative degli spazi urbani, di progettualità inedite all’interno di programmi integrati di commercio e cultura, di nuove architetture e recuperi funzionali di edifici esistenti, esempi virtuosi che fondano la loro identità sulla condivisione con le istanze delle istituzioni scolastiche e associazioni civiche, con la valorizzazione delle produzioni e dei saperi dei distretti produttivi e artigianali, ma anche sulla convinta visione di città culturalmente diversificate, capaci di coniugare talenti, conoscenze, esperienze e background connessi alle reti mondiali. I “City District” sono ormai riconosciuti come i luoghi ideali per lo sviluppo di “small business creativi” distinti dai modelli tradizionali, in grado di ispirare la ricerca della propria identità. Ne sono esempio lo sviluppo di Kødbyen a Copenhagen, del Central Eastside Industrial District di Portland o casi analoghi nei centri e nelle periferie di Tokyo, Buenos Aires, Auckland, spesso in configurazioni urbane anche più complesse di quelle oggetto del presente studio. Il “City District” di M9 a Mestre Sembra ormai evidente che un retail indipendente basato su nuove imprese e saperi ar48 49 Interazioni. Città e architettura nell’opera di Sauerbruch Hutton Jürgen Tietz Le città sono colorate e rumorose. Le loro strutture sono complesse e spesso complicate. Possiedono una logica propria e si sviluppano in base a una grande varietà di funzioni e bisogni: siano esse mete turistiche, abitazioni o luoghi di lavoro, oppure posti per vivere e amare. La storia della città in quanto tale è una delle contraddizioni irrisolte, e non soltanto in epoca moderna. Nella sua forma e nel suo sviluppo, la città è caratterizzata dal tentativo di soddisfare all’interno dei propri confini le differenti esigenze degli abitanti e di fornire loro un ambiente in cui vivere. Dall’Ottocento in poi, i processi di trasformazione urbana hanno subito un’accelerazione, incrementando lo stimolo a creare un equilibrio strutturale fra gli interessi sempre più chiaramente differenziati di tutti coloro che vivevano o lavoravano in città. Si sviluppò così una tensione tra cambiamento e conservazione, tra continuità e discontinuità urbana. Alla luce di tali premesse, come si possono creare oggi le qualità urbane in grado di soddisfare le esigenze sempre mutevoli della città? Non sembra possibile una soluzione univoca, perché ciascuno dei diversi quartieri e delle differenti aree richiede risposte personalizzate. Queste devono rivolgersi, per quanto riguarda le direttive progettuali, ai contesti sociali, culturali, territoriali ed ecologici di ciascun luogo. Matthias Sauerbruch, nel suo saggio sul giardino all’inglese, ha preso in considerazione una possibile soluzione: «Mentre la campagna si va urbanizzando in una rete sempre più fitta di strutture urbane, molte aree dei quartieri poveri (come quelli di Londra) sono state trasformate in paesaggi nuovi e fortemente artificiali dal declino delle infrastrutture tradizionali e dalla sovrapposizione di sistemi eterogenei. Qualsiasi iconografia caratteristica scompare insieme all’identità tradizionale di un luogo. La questione del contesto fisico e culturale di un intervento architettonico deve sempre essere posta e ogni volta risolta». È nel concetto di genius loci, ripreso molte volte da Vitruvio, che egli vede la chiave per scegliere tra le peculiarità e le esigenze di un luogo, dei suoi utenti e dei suoi residenti, al fine di stabilire un punto di partenza: «Questa è la lezione principale che impariamo dal giardino all’inglese: avere un approccio flessibile nei confronti di un luogo, in qualsiasi cosa esso consista, e trovare e perfezionare il genius loci. Una strategia che crei luoghi con un’identità e un’energia nel continuum ininterrotto di un paesaggio architettonico, senza devastare i modelli esistenti o dover sopprimere richieste conflittuali». continuino a lavorare sul concetto di modernità, sulla città della modernità. Esteriormente, il motivo più evidente nei loro edifici è quello del colore, e questo conferisce alle loro opere una nota inconfondibile nel mondo dell’architettura contemporanea internazionale. Eppure il colore definisce solo un aspetto del programma architettonico della coppia anglo-tedesca. Come principio di progettazione urbana, essi rifiutano la cosiddetta ricostruzione “critica”, intesa come limitazione al completamento o al ripristino di isolati cittadini con il solo passato come punto di riferimento, a favore del Modernismo 2.0: un dialogo con il luogo stesso, che permette di formulare risposte sicure e promuovere un elevato livello di sostenibilità. L’obiettivo della loro architettura è sviluppare l’ambiente spaziale di un edificio prendendo ciò che già esiste per lavorare con esso. Questo consente di creare nuovi paesaggi urbani in luoghi che sorprendono e rallegrano i passanti. L’edificio multipiano per la sede centrale del GSW, con cui i giovani architetti hanno compiuto una svolta a livello nazionale e internazionale nel 1999, è un punto di riferimento che aggiunge un elemento suggestivo allo skyline di Berlino. Oltre al suo concetto di sostenibilità, all’epoca altamente innovativo, il complesso del GSW si distingue per un design che si integra su molti livelli diversi all’eterogeneo ambiente circostante ed entra in lungimirante dialogo con un tessuto urbano che ha le proprie origini nel Barocco e nel xix secolo, come pure nel modernismo del dopoguerra. Questo sforzo di formulare l’architettura per una specifica collocazione, nel rispetto del contesto urbano ma rimanendo al tempo stesso espressiva e sostenibile, è evidente in tutti i progetti di Sauerbruch Hutton. La forma del KfW Westarkade a Francoforte sul Meno (completato nel 2010), tiene conto ad esempio sia delle caratteristiche spaziali dei dintorni che della prevalente direzione del vento. E ciò perché la dinamica facciata a doppio involucro “pressurizzata ad anello” si avvale del vento per arieggiare gli uffici in modo naturale. La multiforme facciata del Museo Brandhorst a Monaco di Baviera, inaugurato nel 2008, non gioca solo con la nostra percezione visiva – alludendo ai contenuti del museo – ma assorbe anche il rumore dalla strada, a beneficio dei residenti locali. Un’ulteriore interfaccia tra edificio e sito si cela sottoterra: per il riscaldamento e il raffreddamento, il Museo Brandhorst fa uso delle acque sotterranee, più calde della media grazie al calore ceduto dai musei limitrofi. Non solo il progetto attinge a una fonte di energia gratuita e disponibile a livello locale, ma corregge anche la temperatura delle acque sotterranee del luogo. L’insolita planimetria del Jessop West per l’Università di Sheffield (completato nel 2008), Città e architettura della modernità Nei loro progetti, Matthias Sauerbruch e Louisa Hutton non lasciano dubbi sul fatto che 50 51 City dress, 10. Mostra Internazionale di Architettura la Biennale di Venezia (2006) e la sua differenziata gamma di altezze sono altrettante conseguenze dell’adattamento del progetto alla collocazione. Sono entrambe delle risposte all’eterogeneo modello costruttivo della zona e alla direttrice della strada principale. Nella sua definizione di nuovi spazi pubblici, il piano generale di Sauerbruch Hutton per il campus Jessop media tra strutture urbane divergenti. Integrando il tessuto urbano esistente in un insieme spaziale ed estetico, la forma del nuovo edificio libera il potenziale del sito sia per l’utilizzo presente che per lo sviluppo futuro. Il Saint-Georges Center di Ginevra (concluso nel 2012) esprime non solo la rigenerazione di un quartiere urbano nell’uso del colore o nella generosa, ritmica, disposizione delle finestre ma, con la sua facciata dolcemente curva, aggiunge una nota naturale nella sequenza convenzionale dei fronti stradali lineari. Il progetto per il Ministero dello sviluppo urbano e dell’ambiente di Amburgo, che contribuisce allo sviluppo sostenibile di Wilhelmsburg come parte dell’Esposizione internazionale dell’edilizia (IBA) del 2013, inserisce con attenzione una nuova importante realtà nel quartiere, costituita da una torre principale con ali più basse. Il profilo curvo e l’uso vivace del colore articolano il grande volume dell’edificio conferendogli una dimensione umana. Con gli uffici per l’Agenzia federale per l’ambiente di Dessau, completati nel 2005, gli architetti hanno trasformato una desolata periferia cittadina, posta sul sito di un ex impianto di gassificazione, in un ambiente urbano altamente qualificato. Allo stesso tempo ne hanno migliorato i dintorni, estremamente eterogenei, in modo da stimolare ulteriori riqualificazioni. L’impronta sinuosa dell’edificio è stata generata da un sofisticato principio d’interazione fra scenario urbano, paesaggio e spazio interiore. Ciò ha permesso la realizzazione di un nuovo parco pubblico che si estende nel sito lungo un’ex linea ferroviaria. La qualità paesaggistica del parco prosegue al suo interno per tutta la lunghezza dello spazio centrale, mentre la forma a gomito dell’edificio impedisce che il grande volume venga percepito nella sua interezza da un singolo punto di vista. In una città come Dessau, con l’eredità distruttiva della seconda guerra mondiale e l’incuria dall’era comunista da un lato, ma con la mitico Bauhaus dall’altro (le Case dei maestri di Walter Gropius non sono lontane da qui), l’Agenzia federale per l’ambiente è un documento assertivo che riveste uno speciale significato. Il racconto modernista entra qui in un nuovo capitolo, in cui l’intrecciarsi fra spazio e contenitore e l’interazione con lo spazio urbano sono associati quali considerazioni centrali di progettazione agli aspetti ecologici e all’equilibrio energetico. 52 53 Museum Brandhorst, Monaco © Annette Kisling Costruire sull’eredità del modernismo, in termini d’influenza reciproca fra spazio interno ed esterno, interagisce significativamente con il contesto urbano ed eleva le considerazioni di ordine ecologico e di equilibrio energetico al rango di criteri centrali della progettazione. L’importanza crescente della trasformazione e del miglioramento a vari livelli dello spazio urbano si riflette anche nella Immanuelkirche, costruita per la parrocchia di Brückenschlag a Colonia, completata nel 2013. Essa costituisce per le aree circostanti, caratterizzate da abitazioni frammentate ed eterogenee, un episodio cruciale che crea un punto di riferimento per tutta la comunità. Con il campanile, spettacolare caratteristica sul fronte stradale, e con la costruzione in legno della chiesa, Sauerbruch Hutton aprono una nuova prospettiva sia per loro stessi che per la collocazione. La disposizione della torre e della cappella sul sito della chiesa, valutata con cura, non solo risparmia un gruppo di alberi secolari che contribuiscono all’aura dell’insieme, ma reinterpreta anche il loro spazio come ingresso e ampliamento della chiesa. La Immanuelkirche illustra inoltre in maniera esemplare l’affascinante potere artistico che gli architetti Sauerbruch Hutton riescono a evocare in un interno, nel modo in cui il dossale, composto da assi di legno colorate, emerge al termine di una navata strutturata ritmicamente, per dissolversi poi nella luce man mano che si avvicina al soffitto. Uno spazio sacro si presta naturalmente e più facilmente di un edificio direzionale alla creazione di simili esperienze spaziali, ma i due architetti sono sicuramenti riusciti nella creazione di spazi incantevoli e sorprendenti anche in edifici di uso quotidiano. La città come paesaggio La ‘dittatura’ del blocco perimetrale, che negli anni novanta ha cominciato a dominare la riqualificazione urbana in Europa, minacciava di ridurre la consapevolezza della diversificazione della città come esperienza spaziale che riflette la diversità dei suoi usi e dei suoi residenti. Louisa Hutton e Matthias Sauerbruch propongono un modello opposto: quello della città come paesaggio. Non soltanto i loro edifici funzionano come speciali entità autonome, ma possiedono anche forti qualità urbane che proseguono il racconto dell’ambiente circostante. «Senza devastare i modelli esistenti o dover sopprimere richieste conflittuali», essi si relazionano con la natura specifica del contesto esistente in tutti i suoi aspetti, e vi infondono un nuovo contenuto per creare una qualità urbana autoctona. 54 55 Fotolito e stampa Grafiche Veneziane, Venezia per conto di Marsilio Editori© s.p.a in Venezia Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. 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