Dio non vuole mai la guerra
La Stampa, 11 febbraio 2003
Da alcuni mesi, da quando una nuova guerra nel Golfo ha cominciato a profilarsi all’orizzonte, non passa praticamente
giorno in cui non si levi un’autorevole voce cristiana per invocare la pace, per condannare la guerra, per proclamare che
la guerra non è inevitabile. Giovanni Paolo II continua ad affermare in modo ossessivo e senza ambiguità che “la guerra
è sempre una sconfitta dell’umanità”, “un’avventura senza ritorno”, ha ridestato con forza il messaggio della Pacem in
terrisdi papa Giovanni, l’apice del magistero cattolico sulla pace, insiste nel chiedere a tutte le chiese locali veglie di
preghiere e giorni di digiuno per implorare la pace così fortemente minacciata. Parallelamente, il papa ha voluto
impegnare la diplomazia vaticana in un’azione a tutto campo in favore della pace presso i governi e le istituzioni
internazionali, spingendosi fino a ricevere personalmente il ministro iracheno Tarek Aziz e a inviare a Baghdad il
cardinale Etchegaray, l’uomo a cui ricorre per le missioni in cui bisogna continuare a “sperare contro ogni speranza”.
Molte chiese locali – a cominciare dall’episcopato degli Stati Uniti – e numerose associazioni cattoliche hanno fatto
proprio con convinzione questo anelito e si può dire che mai come in questi ultimi mesi l’area cattolica aveva conosciuto
un impegno così concorde ed esteso per la pace, mai si era riscontrata una convergenza così universale.
Ma la chiesa cattolica non si è ritrovata sola in questa difesa della pace. Semplici cristiani e autorità ecclesiali di ogni
confessione hanno espresso con forza la loro condanna della guerra che si sta profilando: dal nuovo Primate della
Comunione anglicana, Rowan Williams, che non ha esitato ad opporsi esplicitamente ai propositi di Tony Blair, ai
Patriarchi di Costantinopoli, Antiochia e Belgrado, a esponenti autorevoli di diverse chiese della Riforma. Per la prima
volta si è reso visibile un massiccio consenso ecumenico sulla pace e un concreto impegno dei cristiani per difenderla:
ben più significativo del pur eloquente ritrovarsi tutti insieme fisicamente per riaffermare di fronte al mondo la
convinzione che le religioni non possono e non devono fomentare guerra e violenza, questo naturale e poliedrico
convergere dei cristiani di ogni paese e confessione su parole e cammini di pace è “un’apocalisse”, una rivelazione del
loro comune sentire, del loro condiviso convergere sulle esigenze del Vangelo.
Sì, è un fronte compatto contro la guerra, quello emerso in questi mesi e anche quanti guardano ai risultati dei sondaggi
più che all’autorevolezza delle argomentazioni presenti nel dibattito devono constatare che la grande maggioranza del
mondo cristiano è contro questa guerra. In questa occasione non si può certo dire che Giovanni Paolo II si trovi isolato o
che la Santa Sede parli con voci discordanti. Non ci si limita a cercare di mostrare che le religioni vogliono la pace, ma si
assiste al consapevole tentativo di dire un “no” cristiano a quella guerra che invece la superpotenza mondiale vuole
scatenare in Iraq. L’opposizione è espressa in termini chiari, non ambigui, non variabili con il variare dell’interlocutore:
ingiustizia e assurdità di una “guerra preventiva”, necessità di verificare la vera finalità di un’azione bellica, obbligo di
iscriverla nell’ambito del diritto internazionale e di percorrere con serietà e convinzione tutte le strade alternative,
necessità di pesare le conseguenze che un’azione militare comporta per le popolazioni civili innocenti.
Della compattezza di questo fronte, di questa “chiesa ossessionata dalla pace” si sono accorti con sorpresa e
preoccupazione anche quanti, nel nostro paese, da qualche tempo apparivano “attenti e acuti osservatori del
cattolicesimo”, capaci soprattutto di leggerlo con simpatia come possibile “religione civile” per un’Italia così smarrita nella
sua cultura. Alcuni di loro si erano addirittura convinti che la chiesa avesse ormai fatto una scelta culturale e si fosse
schierata definitivamente su posizioni occidentali, vuoi sui temi dell’economia di mercato, vuoi su quelli della difesa
dell’occidente di fronte al pericolo di un terrorismo islamico e comunque antioccidentale. Costoro si sono come sentiti
traditi e non hanno esitato ad attaccare apertamente il papa, i vescovi, i cattolici, prima blanditi e ora definiti
sbrigativamente – e in senso peggiorativo – “pacifisti”. Si è arrivati a giudicare le parole e le azioni del papa in favore
della pace come aventi pesi e misure diverse, come distratte nei confronti di altre aree di violenza nel mondo e invece
ossessionate dal Golfo.
Anche queste reazioni sono “un’apocalisse”, una rivelazione del pensiero autentico di ciascuno, come più volte abbiamo
fatto notare dal giorno della tragica caduta delle Torri gemelle. Sì, questa è l’ora della rivelazione, in cui si mostra come
molti poteri guardano alla chiesa se serve alla loro strategia, sanno osannarla e farsene magari difensori di fronte a
nemici comuni, ma diventano repentinamente capaci di rimproverarle “tradimenti” non appena essa si mostra obbediente
al Vangelo e non alla logica della contrapposizione voluta da determinate forze occidentali. Da sempre il cristianesimo –
che è una religione capace addirittura di critica alla religione stessa (predica la “sortie de la religion”) – ha dato prova di
sapersi porre come coscienza critica del mondo in cui è collocato. Per i cristiani questo significa “obbedire a Dio piuttosto
che agli uomini” (cf. At 4,19), significa profezia, fedeltà al Vangelo a caro prezzo. Come potrebbe un cristiano,
consapevole che la sua fede può essere motivo di separazione persino rispetto agli affetti più cari, non essere capace di
vivere questa lacerazione quando sono in gioco la giustizia, la pace, il perdono, cioè il contenuto stesso dell’annuncio del
Vangelo? Giovanni Paolo II e la chiesa con lui sanno che tacendo sarebbero infedeli alla loro missione e che un giorno
potrebbero essere accusati di aver colpevolmente taciuto per solidarietà con l’occidente, e questo non solo di fronte al
“tribunale della storia” ma al cospetto del loro unico Signore!
Ci si rallegra per la capacità di parresia, di una parola franca da parte della chiesa nei confronti del comunismo e dei
regimi totalitari, ma si vorrebbe che questo diventasse una solidarietà incondizionata all’occidente. Ma chi è
Monastero
di
Bose
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“l’occidente”? Oggi esiste una superpotenza che si ritiene “guardiana del mondo” e che, dopo aver subìto efferati
attentati, ha intrapreso una guerra del “Bene contro il Male”, una potenza che schiera decine di migliaia di uomini e di
strumenti di morte e li chiama “freedom fighters”, “combattenti della libertà”, che ha ribattezzato “guerra preventiva”
quella che da sempre è chiamata “di aggressione”, che ha scelto di scatenarla contro uno solo degli “stati canaglia” –
l’unico ricco di petrolio – la cui popolazione civile, quindi, non può essere considerata innocente.
Opporsi a questa politica non è antiamericanismo. A parte il fatto che un amico che scongiura un amico di non
commettere un errore irreparabile non è un traditore ma un amico autentico, come si potrebbe accusare di
antiamericanismo una parte significativa della stessa opinione pubblica americana o la chiesa cattolica degli Stati Uniti
che conta milioni di fedeli? Il diapason della chiesa non suona contro gli USA né contro l’occidente, ma contro alcune
azioni precise che purtroppo vedono l’occidente soggetto imperiale del mondo. Nessun fondamentalismo pacifista,
dunque, ma un atteggiamento che nella chiesa cattolica si inserisce in piena continuità con la tradizione, per esempio, di
un Benedetto XV che definì la prima guerra mondiale “un’inutile strage”. In verità la chiesa non abbraccia nessun
pacifismo, né resta prigioniera di un idealismo incapace di aderire alla realtà: la chiesa è sapiente anche umanamente,
anzi, le parole evangeliche che essa proferisce non sono mai in contraddizione con la sapienza umana. Lo stesso
Segretario di Stato, card. Sodano non si è limitato a sottolineare la dottrina cattolica sulla pace, ma ha anche chiesto di
valutare “le conseguenze di una guerra” che accrescerà l’inimicizia del mondo arabo verso l’occidente e insinuerà il
germe della rivincita in una civiltà da troppo tempo disprezzata e umiliata.
Siamo in un’ora che appare come vigilia di una nuova guerra e dunque i cristiani sono chiamati più che mai a gesti di
pace, a testimoniare la pace nell’orizzonte della communitasdegli uomini e della comune appartenenza alla polis. È il
vangelo che lo chiede loro, anche se a caro prezzo. Siamo in un’ora alla quale ben si addicono le parole scritte
cinquecento anni or sono da un cristiano dotato di rara sapienza umana, Erasmo da Rotterdam: “Al giorno d’oggi la
guerra è un fenomeno così largamente accettato che chi la mette in discussione come necessità passa per stravagante
e suscita meraviglia: la guerra è circondata da così tanta considerazione che chi la condanna passa per irreligioso, sfiora
l’eresia!”. Ma i cristiani non devono temere perché sanno che è il vangelo che li interpella, anche se a caro prezzo, sanno
che la fedeltà della chiesa al suo Signore, il “Principe della pace”, si gioca soprattutto sullo scomodo magistero della
pace.
Enzo Bianchi
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