Quell`ossessione dello Stato di regolare la nostra vita

Quell'ossessione dello Stato di
regolare la nostra vita
In Italia, sul cibo, c'è la stessa ossessione regolamentatrice dell'Unione Sovietica
Piero Ostellino - Gio, 29/10/2015 - 14:48
L'idea che si possano, anzi, si debbano, regolamentare i comportamenti sociali, non lasciando il
minimo spazio allo spontaneismo individuale e collettivo è l'ossessione di ogni politica.
Particolarmente affetto ne è quel filone della politica, eredità del razionalismo settecentesco, che
si è storicamente incarnato nella sinistra dopo la Rivoluzione bolscevica e la nascita dell'Unione
Sovietica. Ho ritrovato, e osservato, tale ossessione in due Paesi che hanno interpretato la
politica da versanti opposti, pervenendo a risultati profondamente diversi.
In Unione Sovietica non c'era ambito della società civile che la politica non volesse
regolamentare e non regolamentasse. Il risultato era stata l'estrema esasperazione del sistema
politico totalitario che aveva soffocato l'intera società civile russa, mentre, di converso, lo
spontaneismo sociale promuoveva quella cinese, empirica e sperimentale.
In Cina, la convinzione che solo lasciando alla società civile ampi ambiti di autonomia,
soprattutto economica, il Paese sarebbe uscito dal dirigismo maoista e decollato verso la
modernità e la crescita, ha dato i suoi frutti; oggi, la Repubblica popolare cinese è uno dei Paesi
al mondo esemplari di più felice combinazione fra spontaneismo sociale e sviluppo economico,
modernizzazione, crescita economica e sociale. Ricordo che, quand'ero in Cina, avevo osservato,
e apprezzato lo spirito di iniziativa di certi cinesi, maschi e femmine, che avevano affrontato
l'avventura liberista, godendo e approfittando della libertà che la politica lasciava loro di
intraprendere e commerciare.
Ho ritrovato la stessa ossessione regolamentatrice sovietica, da noi, in Italia, da parte soprattutto
di quel filone politico, terreno di sperimentazione, da parte del Partito comunista, che aveva
guardato all'Urss come ad un modello da imitare, e, entro certi limiti, da parte della cultura
politica e sociale di matrice religiosa, non meno autoritaria di quella comunista. È stata la grande
illusione razionalistica prodotta e diffusa dalla Rivoluzione francese con la pretesa di creare, e
far crescere, la «società perfetta», dove nulla era lasciato al caso e tutto dipendeva dalla
previsione e dalla programmazione politica. Non credo di sbagliarmi dicendo che l'Italia è il
Paese al mondo col maggior numero di permessi, licenze, e divieti e anche quello dove queste
forme di razionalismo condizionano la società civile e le impediscono di sviluppare
autonomamente le proprie potenzialità. Il guaio è che l'ossessione regolamentatrice fa crescere la
domanda di regolamentazione, e, quindi, di politica e di burocrazia ogni volta che si rivela
inadeguata ad assolvere le funzioni che le sono impropriamente assegnate...
Personalmente, sono cresciuto culturalmente all'ombra dell'empirismo anglosassone generatore
dell'Illuminismo scozzese che si è distinto dal razionalismo francese proprio grazie al suo
scetticismo rispetto alle virtù salvifiche della regolamentazione e della conseguente previsioneprogrammazione razionalistica. Sono liberale grazie anche a questa formazione culturale della
quale sono debitore ad uno dei miei maestri all'Università di Torino di formazione anglosassone
e col quale mi sono laureato, Alessandro Passerin d'Entreves, e ho imparato da Norberto Bobbio,
l'altro mio grande maestro, a leggere i classici della cultura politica moderna, evitando, allo
stesso tempo, di diventare prigioniero del positivismo politico, non meno di quello giuridico, cui
era afflitto Bobbio, lui sì convinto erede del razionalismo francese. Grazie a Bobbio, ho letto
David Hume e sono entrato in familiarità con l'empirismo anglosassone e l'Illuminismo scozzese.
Detesto ogni pretesa previsionale e programmatrice proprio a ragione della loro scarsissima
prevedibilità e capacità di programmazione razionale, e coltivo, con l'empirismo, un sano
scetticismo sulle capacità razionali dell'uomo. Per intenderci: non vado in giro con la Dea
Ragione sulle spalle come amano fare i razionalisti di tutte le tendenze e, in particolare, quelli di
formazione transalpina.
Ho imparato che il mondo è popolato da individui, ciascuno dei quali persegue i propri fini, con i
propri mezzi, che coincidono solo inconsapevolmente con quelli degli altri - attraverso
quell'empatia della quale parla Adam Smith nella Teoria dei sentimenti morali - in modo
spontaneo ricercando il proprio Utile senza attenersi a calcoli previsionali e programmatici
altrui... Se c'è qualcosa - diciamo pure molto! - che non va nella politica italiana è la convinzione
si possano regolamentare i comportamenti sociali attraverso permessi, licenze, divieti che, poi, si
rivelano l'ostacolo a quello spontaneismo che sta a fondamento della dottrina liberale e della
nostra civilizzazione. Mi auguro, come ho scritto recentemente, che Berlusconi faccia iniezioni
di empirismo e di liberalismo nella propria cultura politica e in quella di Forza Italia. Ce n'è
effettivamente bisogno...