Studi e ricerche
L ’opinione pubblica nella Francia di Vichy
di G iorgio Caredda
Con maggiore o minore vigore, secondo l’al­
ternarsi delle stagioni culturali e politiche,
corre una rappresentazione del consenso al
regime di Vichy che vuole i francesi tutti petainisti nell’estate del 1940 e tutti resistenti
nell’agosto del 1944. Basata su un fenomeno
reale (l’appoggio a Pétain diminuisce infatti
in proporzione diretta al prolungarsi della
guerra e dell’occupazione nazista), questa ec­
cessiva semplificazione è in realtà erronea e
fuorviante: il fatto che nell’estate del 1944 la
grande maggioranza dei francesi non rim­
pianga il vecchio maresciallo non autorizza
infatti a credere che quattro anni prima gli
stessi francesi, unanimi, ne approvino la po­
litica. Si tratta d’una semplificazione che s’i­
spira a quella sorta di buon senso consolatorio che periodicamente si ripresenta anche in
Italia a proposito del fascismo (1’ “eravamo
tutti fascisti” del buon senso moderato), e
che d’altra parte è stata alimentata da tutta
una produzione, storiografica e no, in cui
hanno avuto un peso preponderante la me­
morialistica, la pamphlettistica, la stampa le­
gale e, più raramente, quella clandestina. Un
recente volume interpreta bene questa ten­
denza, fin dal titolo: Quarante millions de
pétainistes'.
Ne è conseguita una rappresentazione del­
l’adesione dei francesi alla politica di Pétain,
soprattutto per il primo periodo del regime,
che troppo spesso non è altro che la trasposi­
zione dell’evoluzione politica dei testimoni,
o dei protagonisti, che consegnano le loro ri­
flessioni alla pagina del diario, al ricordo più
o meno interessato, al foglio di giornale. In
altre parole, l’evoluzione descritta in tanta
parte della letteratura sull’argomento si atta­
glia con maggiore verosimiglianza allo spo
stamento d’opinione d’una parte delle classi
dirigenti, delle classi colte, che attribuiscono
all’intera società francese il loro stesso per­
corso politico.
Oggi si può tentare di far giustizia di quel­
l’immagine di maniera e misurare più reali­
sticamente l’estensione e la qualità del con­
senso di cui gode nella società francese la po­
litica del governo di Vichy, anche nei suoi
primi momenti di vita, utilizzando i rapporti
mensili dei prefetti sullo spirito pubblico2. I
1 H e n r i A m o u r o u x , Quarante millions de pétainistes, Paris, Laffont, 1977.
2 Soltanto da qualche anno sono stati aperti ai ricercatori i fondi depositati alle Archives Nationales di Parigi dal mi­
nistero dell’Interno. A questo proposito, desideriamo ringraziare l’allora direttore della sezione contemporanea,
Pierre Cézard, e il personale delle Archives Nationales, senza la cui cortesia la nostra ricerca non sarebbe stata possi­
bile. È bene precisare che all’epoca della nostra indagine, gli archivi dipartimentali potevano essere consultati soltan­
to fino al giugno 1940, e che quindi la ricerca è limitata ai rapporti mensili dei prefetti dipartimentali e regionali, e
non anche ai fondi conservati in quegli archivi. A nostra conoscenza, fino ad oggi hanno utilizzato in modo sistema-
“Italia contemporanea” dicembre 1984, fase. 157
18
Giorgio Caredda
prefetti basano i loro rapporti al ministero
degli Interni, come è noto, su una massa con­
siderevole di dati, raccolti — oltre che, come
in tempi normali, da tutti i servizi ammini
sfrativi governativi che fanno capo alla pre
fettura, e dai servizi di polizia — dall’impo­
nente quantità di controlli della corrispon
denza, dei telegrammi, delle telefonate, resi
possibili dalla legislazione di guerra. La fon­
te, che sarebbe dunque interessante di per sé,
acquista maggiore interesse per due motivi
ulteriori: perché fornisce informazioni prati
camente irreperibili sulla stampa legale, sot­
toposta alla doppia censura dell’occupante e
del regime collaborazionista, e perché costi­
tuisce un raro, se non il più importante, ca­
nale di comunicazione tra governanti e go­
vernati, in un regime che ha abolito tutte le
forme di rappresentanza politica dei cittadini
che la Terza Repubblica traeva dal suffragio
universale.
Quest’ultimo aspetto, quello cioè d’essere
praticamente la sola antenna a disposizione
del governo per captare gli orientamenti poli
tici dei suoi amministrati, spiega la cura par­
ticolare che anche i ministri di Vichy dedica­
no alla scelta dei loro proconsoli, sottoposti
periodicamente a vere e proprie epurazioni:
nel solo primo anno di vita del nuovo regi­
me, ad esempio, il “il movimento” dei pre­
fetti riguarda ottanta alti funzionari, con ben
sessanta nuove nomine. Che tra i nuovi tito­
lari ventitré provengano dall’esterno della
‘carriera’, può dare un’idea del grado di affi
dabilità relativa di questi funzionari3. D’al­
tronde numerosi prefetti, soprattutto sul fi­
nire dell’occupazione, saranno vittime, in
varie misure, della repressione tedesca. Non
si possono dunque immaginare questi alti
funzionari come dei neutri e asettici trasmet
titori di notizie, non contagiati dall’atmosfe­
ra che li circonda; ed è evidente che una sana
cautela nell’analisi delle loro relazioni al mi­
nistro è più che consigliabile. Con tutto ciò, è
assai poco frequente che esigenze propagan
distiche trovino spazio in questi rapporti, de­
stinati ad essere letti da qualche funzionario
ministeriale che ne fa un sunto per Lavai o
Darlan; per la propaganda, il regime ha altre
sedi e altre strutture.
Tramite questi rapporti, è dunque possibi­
le verificare con maggiore attendibilità l’ac
coglienza riservata dall’ ‘opinione pubblica’
alle principali scelte che caratterizzano l’a­
zione del nuovo regime, delineare meglio l’e­
voluzione complessiva dei francesi in alcuni
momenti particolarmente significativi del­
l’occupazione nazista, individuare intorno a
quali temi nasce e si sviluppa un dissenso
sempre più corposo, e scoprire cosi anche
quel tanto di arbitrario e di eccessivo che è
contenuto nell’immagine dell’adesione plebi
scitaria al primo periodo d’esistenza del regi­
me di cui abbiamo parlato più sopra.
Può essere utile richiamare qui a grandi li­
nee i tratti salienti della politica che l’équipe
di Vichy mette in opera nella seconda metà
del 1940, politica che si basa — al di là delle
necessità contingenti d’una situazione ecce
zionale quale quella in cui si trova questo
paese — su un assunto basilare e di lungo re­
spiro: la sconfitta militare della Francia è il
tragico risultato di tutto un lungo ciclo di po­
litica interna e internazionale, di cui ora bi­
sogna rovesciare radicalmente i termini. Sen­
za attendere la conclusione d’una pace che si
tico questo tipo di fonti sulVopinion soltanto alcuni ricercatori del “Comité d’histoire de la deuxième guerre mondia­
le”, in particolare M a r c e l B a u d o t , L ’opinion publique sous l’occupation. L ’exemple d ’un département français,
1939-1945, Paris, 1960, che analizza soprattutto il dipartimento normanno dell’Eure, e M.R. M a r r u s , R.O. P a x ­
t o n , Vichy et les Juifs, Paris, 1981. Qualche cenno, ma non su tutto il periodo, anche nella parte iniziale di G. M a d j a r i a n , Conflits, pouvoirs et société à la Libération, Paris, 1980.
3 AN/AGII 460; C h e f d e l ’É t a t - c a b i n e t c i v i l , Mouvements des Préfets depuis l’avènement du Gouvernement de
M. le Maréchal Pétain, 1° luglio 1941.
L’opinione pubblica nella Francia di Vichy
spera molto vicina, una volta piegata la resi­
stenza inglese, è necessario convivere con la
Germania hitleriana e collaborare lealmente
con essa, per poter occupare il miglior posto
possibile nel nuovo ordine internazionale che
il Reich vittorioso imporrà all’Europa alla fi­
ne delle ostilità. All’interno di questa scelta
di fondo, bisogna rifondare lo Stato, epu­
randolo da tutti i tratti democratici che so­
prattutto gli ultimi anni della Terza Repub­
blica vi hanno introdotto, e nel contempo
fondare un sistema di relazioni sociali più sa­
no, da cui venga bandita la lotta di classe.
Solo a queste condizioni è possibile dare allo
Stato e al nuovo governo l’autorevolezza
sufficiente ad attenuare il rigore della neces­
saria e transitoria occupazione tedesca, con
sentendogli di pilotare la nazione nelle acque
agitate dell’armistizio e della guerra mondia­
le. Si tratta di un disegno complessivo che ha
una sua organicità e che i dirigenti di Vichy
mostrano di voler realizzare sul serio, fin dai
primi mesi: rincontro a Montoire tra Hitler e
Pétain, in cui viene sancito ufficialmente
l’avvio della collaboration tra Vichy e Berli­
no, avviene dopo che le prime misure del go­
verno del maresciallo hanno già mostrato in
che direzione vuole marciare la révolution
nationale al potere.
La propaganda ufficiale rappresenta come
un fatto plebiscitario l’adesione della nazio­
ne all’insieme di questo disegno e alle più im­
portanti scelte che lo caratterizzano, ma fin
dalle prime settimane i funzionari del nuovo
regime sanno bene che larghi e importanti
settori della popolazione non forniscono
l’appoggio entusiastico che viene descritto
dai giornali e dalla radio. Fin dal luglio del
1940 — dai primissimi giorni d’esistenza dell’État Français dunque — il Delegato ge­
19
nerale del governo per i territori occupati af­
ferma che “lo stato dell’opinione a Parigi e
nella regione parigina giustifica serie inquie­
tudini”4, mentre il suo successore, ad agosto,
parlerà d’ “un certo stato d’animo d’opposi­
zione contro le Autorità d’occupazione e
contro il Governo”, soprattutto nelle grandi
città della zona occupata. Tale “stato d’ani­
mo d’opposizione” si traduce in un’evoluzio­
ne dell’opinione pubblica “in senso piuttosto
favorevole alla Gran Bretagna”5, se non ad­
dirittura in un “impressionante movimento
anglofilo nella regione parigina” , come dirà
di lì a poco il prefetto della Senna6. Dopo un
primo momento in cui i tedeschi sono sem­
brati meno temibili del previsto (e sulla “per­
fetta correttezza” dei disciplinati militari
d’oltre Reno insiste una martellante propa­
ganda), le reazioni della gente si cristallizza
no in una ostilità all’occupante che è diffusa
in tutte le regioni del paese. Il prefetto di Digione descrive efficacemente il rapido susse­
guirsi di questi diversi atteggiamenti: “Qual è
dunque il sentimento della popolazione ri­
guardo al governo di Vichy? Siccome la ri­
sposta a questa domanda, per quanto strano
possa sembrare a prima vista, è condizionata
dalla reazione della popolazione verso l’oc­
cupazione tedesca, esaminiamo prima di tut­
to il problema delle relazioni della popola­
zione francese con l’autorità d’occupazione.
La prima reazione, se non fu proprio di
simpatia, fu sprovvista d’ostilità, tranne
qualche eccezione. [...] L’occupazione dei
vincitori sembrava umana, e le diverse misu­
re prese dalla Kommandantur concernenti il
coprifuoco ed il cantonamento delle truppe
apparivano normali. [...] Ma in capo a circa
tre settimane ci si dovette ricredere. Le trup­
pe combattenti propriamente dette abbando-
4 AN/F60 397, D e l e g a t i o n g e n e r a l e d u g o u v e r n e m e n t f r a n ç a is
Léon Noël, 31 luglio 1940.
5 I d e m , Rapport du Général de La Laurencie, 29 agosto 1940.
6 A N /F 1C III1137, S e i n e , 13 s e t t e m b r e 1940.
d a n s les t e r r it o ir e s o c c u p é s ,
Rapport de
20
Giorgio Caredda
narono la regione per lasciare il posto alle ve­
re e proprie truppe d’occupazione, accompa­
gnate da una moltitudine di servizi, diretti da
consiglieri che si mostrarono tutti nettamen
te più intransigenti degli ufficiali di truppa
[...]•
Naturalmente commercianti e industriali si
davano da fare per riprendere la loro attività
precedente, ma ebbero la sorpresa di consta­
tare che i loro prodotti, invece di restare nel
paese, se ne andavano in Germania, e che
inoltre essi erano pagati con una moneta che
aveva un corso forzoso in Francia, che non
poteva venire utilizzata per gli scambi inter­
nazionali. [...] Così le industrie di calzature,
sapone, cioccolato videro immediatamente
la loro produzione riservata alle autorità te­
desche [...].
La reazione della popolazione fu duplice.
In primo luogo, era scontenta degli occupan­
ti che la privavano di ciò che prima ho chia­
mato la soddisfazione dei suoi bisogni essen­
ziali; in secondo luogo, era dunque esatto
che i tedeschi mancavano di tutto o quasi, al­
lora perché aver firmato così presto l’Armi­
stizio; perché non aver organizzato la resi­
stenza? È a quel punto che si cominciò a cer­
care alla radio le trasmissioni inglesi [...].
Le truppe d’occupazione svuotano il paese
della sua sostanza a loro esclusivo profitto,
senza preoccuparsi dei bisogni della popola
zione”7.
Il passo dall’insofferenza verso gli occu­
panti alla messa in discussione della politica
del governo (e l’accenno all’armistizio colpi­
sce la scelta fondamentale su cui l’attuale re­
gime fonda la sua legittimità) è compiuto an­
che in altre zone del paese. Senza esagerare la
diffusione e la chiarezza dell’insieme d’anali­
si che stanno alla base di questa scollatura
tra gli indirizzi del governo e l’opinione dei
cittadini, non ci si può non stupire delle di­
7 AN/F1CIII 1143, C ô t e - d ’O r , 10 n o v e m b r e 1940.
mensioni e dell’estensione di questo rifiuto,
fin dai primi mesi. Prendiamo un altro esem­
pio, sulla costa atlantica: la Loire-Inférieure
è un dipartimento i cui rappresentanti politi­
ci hanno aderito a grande maggioranza al
nuovo regime, nonostante la presenza di im­
portanti centri intorno ai porti e ai cantieri
navali di Nantes e Saint-Nazaire. Nell’ante­
guerra questi operai hanno partecipato ai
grandi movimenti sociali che hanno scosso
l’intero paese, hanno radicalizzato le loro
opinioni politiche, ed ora è a partire da loro
che si sviluppa una corrente d’opinione av­
versa all’occupante e a Vichy: “Gran parte
della popolazione del dipartimento accetta
solo con estrema difficoltà la nostra disfatta,
e in ogni caso certamente non ne misura tutta
la portata. Questo stato d’animo è il risultato
dell’influenza concomitante d’una serie di
fattori psicologici e d’una situazione di fatto.
L’orgoglio nazionale dei francesi, malgra­
do le recenti umiliazioni, non ha affatto per­
so forza. La propaganda del ‘miracolo’, così
intensa la scorsa primavera, ora prende a
prestito il simbolo dell’ex generale de Gaulle
e continua a lasciar traccia di sé negli animi.
La fulminea rapidità dell’invasione, contra­
riamente a quanto si potrebbe credere sul
momento, ha sminuito l’importanza della
vittoria tedesca agli occhi di certi francesi.
Infine, l’assenza quasi completa di grandi
sofferenze e, finora, di restrizioni importanti
ha favorito nel popolo la credenza che tutto
sommato, malgrado l’apparente terremoto,
in realtà ben poco è cambiato, e che la vita
potrà riprendere come prima. Questa illusio­
ne si è sviluppata qui tanto più facilmente vi­
sto che la Loire-Inférieure, per la sua posi­
zione geografica, si è trovata lontano dai
campi di battaglia. La penetrazione tedesca
vi si è attuata, pochi giorni prima dell’armi­
stizio, come una passeggiata. Il piccolo nu­
L’opinione pubblica nella Francia di Vichy
mero di distruzioni e le ridottissime perdite
di vite umane hanno sorpreso la gente, che si
aspettava una resistenza ad oltranza”8.
Il giudizio sull’operato del governo è ab­
bastanza distaccato: tutti i provvedimenti
contro i simboli della Terza Repubblica (i de­
creti contro la massoneria, l’arresto degli ex
ministri e l’istituzione della Corte speciale
che deve giudicarli) secondo il prefetto sono
stati accolti con favore, anche se si resta scet­
tici sul seguito effettivo che avranno queste
misure. Ma il punto critico riguarda ancora
una volta i rapporti con l’occupante, all’indomani di Montoire: “L’incontro di Montoire ha fatto nascere in molti francesi una spe­
ranza nuova. L’attesa d’una pace che salvaguardi l’indipendenza e l’unità nazionale è in
tutti gli animi. Tuttavia, una parte della po­
polazione attende con una certa apprensione
la realizzazione nei fatti dell’accordo inter­
corso tra il maresciallo Pétain e Hitler. Essa
teme amputazioni territoriali che urterebbe­
ro il suo sentimento nazionale, teme una mo­
bilitazione industriale della Francia. Infine,
essa manifesta un certo scetticismo quanto ai
risultati d’una politica di collaborazione”9.
Lo scetticismo è alimentato dall’esperien­
za di questi primi mesi d’occupazione. “Se i
nostri vincitori — continua il prefetto —
avessero dato prova di minore severità, essi
avrebbero potuto ottenere la buona disposi­
zione a collaborare di gran parte della popo­
lazione. Ma certe esigenze hanno prodotto
l’effetto opposto” , tanto che con il passare
del tempo e il prolungarsi dell’occupazione
“si scava un fossato tra molti francesi ed i
soldati tedeschi”10.
Gran parte dei dipartimenti francesi forni­
scono testimonianze di questo tenore, atte­
stando la presenza d’una larga corrente d’o­
pinione contraria agli occupanti e, di con­
8 AN/F1CIII 1162,
9 Ivi.
10 Ivi.
L o ir e - I n f e r ie u r e ,
2 novembre 1940.
21
seguenza, sfavorevole ad ogni azione del go­
verno di Pétain che vada in direzione d’un al­
lineamento sempre più rigido alle esigenze ed
ai principi del Reich hitleriano. Questo diffu­
so stato d’animo prescinde dall’esistenza
d’una qualsiasi attività clandestina organiz­
zata nel paese, ma sarebbe sbagliato sottova­
lutarne l’importanza, giacché senza di esso
non sarebbe possibile nessun tipo di resisten­
za attiva; per riprendere la celebre metafora,
chi in queste settimane si limita ad ascoltare
Radio Londra contribuisce ad alimentare
l’acqua indispensabile alla nascita ed alla
crescita dei combattenti clandestini. Anche
se non si traduce nell’adesione ad una resi­
stenza interna che è ai suoi primi balbettìi,
l’opposizione all’occupante ed al governo
traspare nell’aumento di manifestazioni
d’orientamento antitedesco: il grande prota­
gonista politico dell’opinione pubblica in
questi primi mesi d’occupazione nazista è
l’anglofilia, e la robusta simpatia per il go­
verno di Londra ha un peso reale, ostacola
seriamente la possibilità d’affermazione fra
la gente della politica governativa, perfino in
province d’orientamento conservatore.
Il Morbihan, dove il prefetto s’è valso del­
l’appoggio attivo della gerarchia ecclesia­
stica per creare una corrente d’opinione ‘fa­
vorevolissima’ tra i suoi cattolicissimi abi­
tanti, è un esempio significativo di quella
provincia arretrata che è tanta parte della
Francia profonda. In queste campagne van­
deane i notabili hanno sempre organizzato il
consenso intorno ad aspirazioni politiche che
ora Pétain sembra finalmente in grado di far
trionfare; ora essi, come nel resto del paese,
sono la più importante cinghia di trasmissio­
ne tra le popolazioni rurali e il governo colla­
borazionista. Eppure neanche lì i notabili
riescono a consolidare un blocco che sosten-
22
Giorgio Caredda
ga monoliticamente gli indirizzi politici di
Vichy. E la ragione è che l’Inghilterra non si
piega: le élites (l’opinion di questo prefetto)
oppongono “alla formula della sottomissio­
ne completa attribuita a Lavai, quella d’una
resistenza netta e degna, con lo scopo di sot­
trarre il nostro paese alle esigenze del vincito­
re”, atteggiamento quest’ultimo che vedono
incarnato nel maresciallo; il prefetto ed i suoi
collaboratori avranno molto da fare per lot­
tare contro un’idea assai diffusa nel pubblico
che, dall’allontanamento di Lavai, trae una
conclusione opposta alle indicazioni gover­
native, e cioè che “la resistenza manifestata
alle esigenze delle autorità d’occupazione è la
conseguenza dell’ostinata difesa inglese, dei
recenti rovesci italiani e nello stesso tempo
della prospettiva d’una vittoria dei nostri ex
alleati, che gli anglofili, numerosissimi nelle
nostre regioni, si ostinano a volere presenta­
re come sempre più probabile”11.
Sbaglierebbe chi credesse che il dissenso ri­
spetto alla politica del governo sia limitato
alla parte della Francia direttamente occupa­
ta dai tedeschi, le cui popolazioni reagirebbe­
ro più vivamente alle condizioni d’esistenza
particolarmente dure che devono subire. At­
traversando la linea di demarcazione ed inol­
trandosi in zona libera, si ha la possibilità di
registrare opinioni e reazioni largamente si­
mili a quelle presenti nel resto del paese. An­
che a sud della Loira esistono dipartimenti
d’orientamento politico tradizionalmente
conservatore, come il Cantal, che non sono
affatto sedotti dalla prospettiva ufficiale del
‘posto degno’ nel nuovo ordine hitleriano e
sperano invece in una vittoria inglese, che
“significherebbe il ripristino delle abitudini,
di molte comodità ed anche di privilegi ab­
bandonati con rimpianto”12. Se l’anglofilia
è forte ad Aurillac e nelle campagne che la
circondano, a maggior ragione questo orien­
tamento contrario al nuovo corso sarà di ca­
sa nel sud-ovest repubblicano, dov’esso non
costituisce affatto una rottura con le posizio­
ni politiche prevalenti nell’anteguerra, ma ne
attesta anzi la persistenza. Dieci giorni dopo
la stretta di mano tra Hitler e Pétain alla
stanzioncina di Montoire, il prefetto di Tolo­
sa comunica al governo che la maggioranza
della popolazione del suo dipartimento è
ostile ad ogni avvicinamento alla Germania.
Il fatto che l’unica attività organizzata di
propaganda antigovernativa sia condotta dai
comunisti non deve indurre in errore, perché
la gran parte della popolazione “sembra su­
bire piuttosto che accettare le nuove ri­
forme”13. In particolare, il prefetto registra
un dato riscontrabile in tutto il paese quando
sottolinea: “non bisogna nascondersi che la
gran massa degli operai resta attaccata alle
idee d’anteguerra e che, anche giudicando se­
veramente certe personalità che hanno trasci­
nato il paese alla guerra e alla disfatta, i più
11 AN/F1CIII 1172, M o r b i h a n , 7 gennaio 1941. L ’interpretazione in chiave antitedesca della defenestrazione di
Lavai dà la stura ad ogni sorta di speranze. Cfr. gli scenari immaginati a Digione: “Per la popolazione, gli av­
venimenti di cui è stata testimone a partire dal 13 dicembre si riassumono così. Il ministro degli Esteri d ’allora
[Lavai], ch’era l’uomo dei tedeschi, voleva vendere la Francia al Reich. Il Capo dello Stato francese, per impe­
dirgli di compiere il suo misfatto, si è separato da lui e l’ha fatto arrestare. Immediatamente è intervenuta la
Germania, tramite l’ambasciatore, per esigere il rilascio di Lavai. Da allora il maresciallo Pétain si rifiuta d’a­
vere alcun rapporto con la Germania. Quest’ultima minaccerebbe d ’invadere tutta la Francia. Ma allora il Capo
dello Stato se ne andrebbe in Africa del Nord, a raggiungere il generale Weygand, che lascia laggiù apposta per
riprendere la lotta, continuata malgrado l’armistizio dal generale de Gaulle, mentre la nostra marina raggiunge­
rebbe di nuovo la marina inglese. [...] Ecco a che punto è l’opinione pubblica, esacerbata all’inverosimile con­
tro l’occupante e piena d ’una folle speranza di rivedere, in condizioni chimeriche, la ripresa delle ostilità!”
(AN/F1CIII 1143, C ò t e d ’O r , 3 gennaio 1941).
12 A N /F 1C III1145, C a n t a l , 2 d i c e m b r e 1940.
13 A N /F 1C III1154, H a u t e - G a r o n n e , 2 novembre 1940.
L’opinione pubblica nella Francia di Vichy
numerosi riservano la loro opinione a propo­
sito dell’attuale evoluzione della nostra poli­
tica interna” 14.
Quando poi sopraggiunge l’impotenza del
nuovo regime a far fronte alle amputazioni
del territorio nazionale (i ‘sacri’ dipartimenti
dell’Alsazia-Lorena, per riconquistare i quali
— come i nazionalisti avevano sempre di­
chiarato — erano morti un milione e duecen­
tomila francesi, sono stati puramente e sem­
plicemente annessi al Reich, e gli abitanti
francofoni sloggiati in zona sud), i diparti­
menti ‘repubblicani’ vedono confermate le
loro paure. Il prefetto dell’Hérault indica
che “il sentimento di rivolta contro l’invaso­
re non fa che crescere”: “L’espulsione dei lorenesi ha provocato una viva indignazione
nell’opinione pubblica. Le condizioni d’op­
zione pubblicate nella stampa (invio in Polo­
nia o trasferimento in zona libera) sono state
giudicate severissimamente: il francese non
capisce questa decisione delle autorità tede­
sche proprio nel momento in cui si parla di
collaborazione. È certo che attualmente, in
seguito a questi dolorosi avvenimenti, il prin­
cipio di una collaborazione è in regresso in
gran parte dell’opinione pubblica”15.
Molti lorenesi hanno sfollato in questa
regione, e sono così venuti a portare una
testimonianza vivente dello sfacelo naziona­
le sul quale si edifica il regime attuale; ma
essi sono soltanto uno degli elementi che
costituiscono lo spirito pubblico di queste
province: “La reazione naturale degli alsazia­
ni e dei lorenesi espulsi brutalmente s’inseri­
sce, senza volerlo, nella corrente d’opinione
che esiste in una parte importante della po­
polazione in favore dell’Inghilterra, la cui
vittoria è supposta possibile e di natura tale
da liberare il territorio nazionale. Queste
speranze sono state rafforzate dal corso del­
14 Ivi.
15 AN/F1CIII 1156, H é r a u l t , 2 novembre 1940.
16 A N /F 1C III1193, T a r n , 10 g e n n a i o 1941.
23
le operazioni militari in Libia e in Albania.
Non c’è, a dire il vero, propaganda locale
anglofila o gollista; ciò supporrebbe un’orga­
nizzazione dei capi e delle parole d’ordine.
C’è in compenso, in questo dipartimento,
uno stato d’animo generale particolarmente
mal preparato ad ammettere una politica di
collaborazione con la potenza occupante. Gli
elementi più nazionalisti raggiungono su que­
sto terreno, loro malgrado, gli internazionali
sti impenitenti ed i sostenitori camuffati della
giudeo-massoneria. [...] Questi sentimenti
sono del resto estremamente prudenti; chi li
ha evita di esprimerli apertamente; un atteg­
giamento diverso da parte di un isolato, in un
caffè di villaggio o alla fermata d’una corrie­
ra, è immediatamente denunciato all’autorità
responsabile dai collaboratori più vigilanti
del Maresciallo e del suo governo, che sono
gli elementi più sani e più chiaroveggenti della
popolazione” 16.
L’ultima annotazione getta una luce pe­
sante sul mondo descritto dal prefetto di Al­
bi: una fitta rete di denunce, moltissime delle
quali anonime, copre l’intero paese nelle due
zone, fornendo l’occasione di piccole vendet­
te personali e di sordide, miserabili storie. È
una piaga che accompagnerà, con maggiore
o minore intensità, tutto il periodo dell’occu­
pazione, a tal punto che le stesse autorità te­
desche in certi casi si rifiuteranno di prendere
in considerazione simili segnalazioni. È uno
degli aspetti non secondari di ammorbamen­
to del clima sociale e civile, giacché serve ad
infittire la coltre d’incertezza, di sospetto,
d’insicurezza personale: un’arma micidiale
contro le capacità di reazione organizzata,
che funziona particolarmente in certi am­
bienti. Più avanti non impedirà certo lo svi­
luppo della resistenza, ma contribuirà a ren­
derla più difficile, più rischiosa.
24
Giorgio Caredda
Ferme restando tutte le distinzioni dovute
alla grande varietà di situazioni sociali e lo­
cali (i contadini, tranne qualche eccezione,
non esprimono in genere grandi lamentele) e
tenendo presente che Vopinion di cui parlano
i prefetti non risponde a criteri e categorie
d’analisi omogenee (e che del resto non tutti i
prefetti hanno lo stesso grado d’intelligenza
politica) è possibile tratteggiare un quadro
sostanzialmente unitario per tutto il paese,
almeno per quanto riguarda la reazione ai
primi mesi dell’occupazione. Alla fine del
’40, il sentimento più diffuso è l’ostilità alla
Germania occupante, di cui va sottolineata
tutta l’importanza per gli sviluppi di cui è fo­
riero: così come il governo di Vichy basa la
sua iniziativa politica sulla realtà attuale e
sulle prospettive future dell’occupazione
(che è quanto dire sulle prospettive della
guerra, vero primo attore della scena di que­
sti anni, nonostante il fatto che la Francia ne
sia apparentemente fuori), con procedimen­
to simmetrico l’opinione pubblica rileva il
nesso fondamentale tra esigenze della guerra
tedesca e politica del governo francese. Si as­
siste così, fin dall’inizio, ad una sorta di stra­
bismo, in base al quale più i governanti s’im­
pegnano nella collaborazione con il Reich,
più essi vedono crescere l’ostilità dei loro go­
vernati a tale politica. Questa divaricazione è
destinata a crescere col tempo, ma è utile te­
ner presente come essa abbia un notevole ri­
lievo fin dall’inizio del regime, fin dal mo­
mento in cui si riunivano le condizioni inter­
nazionali (la vittoria dell’Asse) e nazionali (il
crollo della Repubblica) più favorevoli al
nuovo corso. Non a caso i funzionari ed i
dirigenti di Vichy, che sanno molto bene co­
me sia serio il problema del relativo isola­
mento in cui sì trova la loro politica, nelle
trattative con i tedeschi insistono sempre —
e sempre invano — per strappare qualche
concessione significativa che permetta loro
di vincere l’opposizione dei francesi ad una
17 AN/F60 502, Prefecture de Polke, 1° luglio 1941.
più stretta politica di collaborazione col
Reich.
Quando, nel giugno 1941, Hitler attacca
l’Unione Sovietica, le operazioni militari de­
terminano una scansione anche nell’occupa­
zione nazista in Francia, imprimendo una ve­
locità nuova alla dinamica interna del paese.
Inizialmente, le reazioni all’annuncio del
nuovo conflitto sono abbastanza lente, e pre­
sentano un quadro abbastanza differenziato,
a seconda delle tradizioni politiche e della
composizione sociale delle diverse regioni.
Nel rapporto che invia al suo ministro imme­
diatamente dopo il 22 giugno 1941, il prefetto
di polizia di Parigi non vede nella nuova guer­
ra un fatto di grande importanza per quanto
riguarda gli orientamenti dei suoi ammini­
strati, se non per lo sbandamento che esso
può provocare tra i militanti e i simpatizzanti
comunisti, particolarmente numerosi nella
regione. Secondo Bard, l’opinione pubblica
parigina, pochissimo mobilitata dal punto di
vista ideale (in particolare gli ambienti ‘meno
evoluti’), è molto più preoccupata dalle cre­
scenti difficoltà materiali: “In quest’opinione
pubblica, grigia e nervosa insieme, continuamente percorsa da correnti effimere e con­
traddittorie, refrattaria ad ogni dottrina posi­
tiva o creatrice che sia in grado d’opporsi a
uno stato d’animo essenzialmente negativo,
le preoccupazioni materiali e le miserie fisiche
svolgono necessariamente un ruolo di cataliz­
zatori. Intorno al problema dell’approvvigio­
namento s’aggregano tutti gli scontenti e tutti
i rancori, s’esprimono con maggiore violenza
e precisione l’ostilità verso le autorità occu­
panti e le critiche ai poteri pubblici.
La questione è in realtà sempre più
preoccupante. Il problema dell’insufficien­
za delle derrate e della loro ripartizione cri­
stallizza l’inquietudine latente, che si espri­
me — in modo preoccupante per il mante­
nimento dell’ordine pubblico — nelle code
davanti ai negozi”17.
L’opinione pubblica nella Francia di Vichy
Il prefetto lamenta un’azione repressiva
ancora troppo blanda contro la propaganda
comunista, che si nutre di queste difficoltà
materiali per poter trovare miglior ascolto.
Né è efficace la reazione più propriamente
politica, a causa della debolezza dei “partiti
nazionali” legali: tra di essi infatti, “soltanto
il Ppf ha conservato una sicura influenza ed
agisce, senza deviazioni notevoli, nel solco
del governo, ma anch’esso da qualche mese
si sfinisce in lotte disastrose con il Rassem­
blement National Populaire, meglio armato
e più combattivo”. Per allargare il consenso
intorno alla révolution nationale, bisogna
perciò percorrere altre strade. E innanzitutto
bisogna fare in modo che i lavoratori, ancora
divisi — sempre secondo Bard — tra la loro
istintiva germanofobia e la paura del comu­
niSmo non arrivino a temere che l’augurabile
“distruzione del regime sovietico sia il prelu­
dio d’un rigido conservatorismo”; in altri
; termini, chi si augura la vittoria nazista sull’URSS — e viene citato Paul Faure, l’ex se­
gretario nazionale dello Sfio d’anteguerra —
non deve temere l’instaurazione d’un regime
socialmente reazionario in tutti i territori oc­
cupati dal Reich. Tali preoccupazioni sono
da prendere in considerazione non per la
“massa” — innumerevoli volte definita
“amorfa”, “passiva”, “moutonnière” — ma
per le élites.
In tutto il paese però, tranne qualche rara
eccezione, le autorità si preoccupano dell’at­
tività dei comunisti. Già alla fine di giugno
viene registrata una certa effervescenza; così
a Nancy: “È stata constatata una recrude
scenza dell’attività comunista da prima del­
l’inizio della guerra germano-russa. Sono
stati distribuiti volantini comunisti, soprat­
tutto nel bacino di Briey. Si tratta dei soliti
volantini. Dopo il conflitto germano-russo, è
apparso un solo volantino, intitolato ‘Giù le
18 AN/F1CIII 1168, M e u r t h e - e t - M o s e l l e , 2
19 A N /F 1C III1136, A l l i e r , 2 lu g l io 1941.
lu g l io
1941
25
zampe dall’Unione Sovietica’. Questo volan­
tino è stato chiaramente stampato nella re­
gione dell’est. In seguito a queste distribuzio
ni, ho fatto procedere all’internamento di
comunisti notori. Il numero di comunisti in­
ternati finora si eleva a 80. [...] La sera del­
l’entrata in guerra della Germania con la
Russia, alcuni giovani hanno cantato l’Inter­
nazionale nelle vie di Mancieulles. Su sei fer­
mati, tre hanno meno di 18 anni”18.
In zona libera, le preoccupazioni delle au­
torità non sono gran che differenti. Nell’Allier, ad esempio, “c’è da temere che il con­
flitto provochi una recrudescenza della pro­
paganda comunista, soprattutto nelle agglo­
merazioni industriali. Questa nuova guerra è
del resto l’argomento di tutte le conversazio­
ni e sembra suscitare la speranza d’un inde­
bolimento della potenza militare tedesca,
particolarmente negli ambienti operai” . Il
prefetto indica “un dettaglio da notare: la ra­
dio inglese perde ascoltatori a profitto di Ra­
dio-Mosca”19.
Le considerazioni svolte dagli ispettori dei
renseignements généraux di Lione, Béard e
Chave, sostanziano tutte queste diffuse
preoccupazioni per la possibile azione dei co­
munisti, con un’analisi abbastanza accurata
delle aspettative e dello stato d’animo della
classe operaia. I problemi della regione lionese — il più importante centro economico
della Francia non occupata — sono a grandi
linee esattamente gli stessi di tutti i grandi
centri urbani del paese; il loro rapporto meri­
ta per questo motivo d’essere riportato con
una certa larghezza: “I salari e gli stipendi
degli operai, degli impiegati e della maggior
parte dei dipendenti pubblici sono diventati
nettamente insufficienti... Il semplice prole­
tario può constatare di persona ogni giorno
che i prodotti di marca, i buoni ristoranti, i
grandi alberghi, gli appartamenti di lusso so­
Giorgio Caredda
26
no e restano l’oggetto dei suoi desideri pre­
senti e futuri, e scuote la testa quando la ra­
dio l’assicura che c’è veramente qualcosa di
cambiato.
Un altro pericolo, d’un altro tipo, ma più
immediato e più grave, è l’opera perniciosa
svolta dal partito comunista. A causa degli
errori dell’approvvigionamento, dello scan­
dalo dei salari attuali, della confusione d’i­
dee [...], il comuniSmo ha buon gioco a tro­
vare nelle classi proletarie un terreno propi­
zio, anche fra gli elementi migliori. Esse ri­
cordano che soltanto il Fronte popolare ha in
parte dato loro soddisfazione, e che con la
reazione e il grande padronato bisogna sem­
pre arrivare all’azione diretta.
A nostro avviso, il pericolo è grandissimo.
Il comuniSmo, impegnato da qualche giorno
in una lotta a morte con il nazionalsociali­
smo, calerà le sue carte migliori e giocherà
tutta la posta. Esso diffonde slogan perfidis­
simi, come questo: ‘Si trovano miliardi per
gli armamenti, ma non si può trovare qual­
che milione per migliorare la sorte dei lavo­
ratori’. Il partito comunista farà l’impossibi­
le per suscitare malcontento e rancore. Spin­
gerà all’insurrezione e alla sommossa. Tutti i
pretesti d’ordine materiale o ideologico sa­
ranno buoni. Quale sarà la reazione dell’ope­
raio, dell’impiegato, del modesto dipendente
pubblico?
Per rispondere a questa domanda, ci si de­
ve porre un’altra domanda, che ne è il corol­
lario: cos’hanno da perdere? Niente, poiché
essi non posseggono niente e sanno di non
dover mai possedere niente. Cos’avranno da
guadagnarvi? Forse qualcosa, e in tutti i casi
una grande speranza. Forse tra qualche gior­
no tutti i ragionamenti saranno parole vuote
e lettere morte. Il pericolo comunista è là, e
soltanto là”20.
La radicalizzazione delle posizioni politi­
che non è a senso unico: vi sono anche regio­
ni del paese, tradizionalmente moderate, nel­
le quali la prospettiva d’una guerra vittoriosa
contro l’Unione Sovietica fa registrare una
migliore disposizione nei confronti del regi­
me di Vichy. Così, l’opinione pubblica del
Maine-et-Loire, ad esempio, “stupita dai ful­
minei successi dell’esercito tedesco in Rus­
sia”, secondo il suo prefetto arriva “a com­
prendere e condividere i punti di vista del go­
verno in materia di politica estera e di colla­
borazione” . Molti ambienti del dipartimen­
to, “in cui l’influenza religiosa ha sempre
eretto un argine tra il comuniSmo e la popo­
lazione”, erano “finora favorevoli alla causa
inglese”; oggi, “applaudono apertamente al­
le prime sconfitte dell’esercito russo e carez­
zano la speranza della distruzione finale del
comuniSmo”21.
Nel giro di qualche settimana comunque, i
timori della maggior parte dei prefetti ricevo­
no una puntuale conferma: il 14 luglio è l’oc­
casione di diverse manifestazioni patriottiche
nella zona occupata. A Parigi il prefetto di
polizia deve constatare che i rari migliora
menti del razionamento, se hanno ridotto le
code davanti ai negozi, non hanno invece in­
ciso profondamente nelle tendenze fondamentali dell’opinione pubblica. Il suo disap­
punto per l’inefficacia degli “elementi nazio­
nali” s’accentua: “Mentre ci vorrebbero dei
capi, degli apostoli, dei cavalieri del nuovo
ordine — si rammarica il prefetto —■la popo
lazione parigina trova soltanto politicanti,
mestatori e capitani d’industria”22.
Non che gli “elementi nazionali” di cui
R h ô n e , Rapport moral au Commissaire principal des Renseignements Généraux, 2 5 giugno
in B r i g i t t e B a t t i n i , P a t r i c e G o u r d i n , Aspects du monde du travail à Lyon et dans sa banlieue, 1940-1944,
Mémoire de maîtrise de l’Université de Lyon, 1 9 7 7 (ciclostilato), doc. 2 1 .
21 A N /F 1C III1175, M a i n e - e t - L o i r e , 2 luglio 1941.
22 AN/AG1I 5 2 0 , P r e f e c t u r e d e P o l i c e , 17 l u g l io 1 9 4 1 .
20 P
refectu re d u
1941,
L’opinione pubblica nella Francia di Vichy
parla Bard non si diano da fare: tutti i gruppi
collaborazionisti più ultra hanno cercato di
galvanizzare i parigini con la formazione del­
la legione dei volontari francesi contro il bol­
scevismo, che dovrebbe accompagnare gli
eserciti del Reich sul fronte russo, a rappre­
sentare la Francia nella nuova crociata. Ef­
fettivamente, qualche centinaio di disperati,
nel corso di questi anni, farà l’esperienza del
fronte dell’Est, ricevendo periodicamente la
visita di Doriot: ma il ruolo di questa legione
riguarda soprattutto la politica interna, per
mostrare che i filonazisti fanno sul serio, e
quando parlano di antibolscevismo sono di­
sposti a dar la vita per la causa. Come espe­
diente propagandistico non è però gran che
trascinante, e non serve certo a modificare il
giudizio d’una popolazione largamente con­
traria, fin dal primo momento, alla Wehrmacht, se è vero che essa, “malgrado i rove­
sci subiti dall’Armata rossa, e malgrado la
paura che incute il comuniSmo, non ha perso
la speranza di trovare una fonte di notevoli
difficoltà per la Germania” . “L’appoggio
spettacolare di tutti i grandi partiti” non ba­
sta ad evitare, continua Bard, alla legione
“un insuccesso quasi completo, almeno nella
regione parigina”23.
Paradossalmente, negli stessi giorni in cui
la Wehrmacht occupa migliaia di chilometri
27
quadrati di territorio sovietico, espugna deci­
ne di città, fa prigionieri centinaia di migliaia
di soldati dell’Armata rossa; quando il Reich
non è mai sembrato così potente e la croce
uncinata è di casa in tutte le capitali d’Euro­
pa; ebbene, proprio allora i prefetti esprimo­
no i loro maggiori timori per le possibilità di
crescita del partito comunista. In Seine-etOise, ed esempio, la formazione d’un Fronte
nazionale di lotta per l’indipendenza della
Francia” è vista come un “tentativo con cui
le dottrine marxiste si dissimulano dietro un
appello all’unità francese, in un momento in
cui il partito comunista sembra essere ridi­
ventato un partito numeroso e attivo, che
cerca d’essere la guida di tutti gli scontenti e
del fronte anglofilo e gollista, mentre non
esistono più le organizzazioni operaie”24. È
un’iniziativa che in questa parte importante
della “cintura rossa” parigina riscuote un
certo successo, se è vero che due mesi dopo
lo stesso prefetto deve registrare il fatto che
molti abitanti del suo dipartimento fonda­
no “sull’eventualità d’una sopravvivenza
della potenza sovietica nell’ordine europeo
la speranza d’un ritorno ad un ordine di
cose desueto”, e non capiscono “che una
vittoria russa aprirebbe il periodo di di­
struzione a cui aspirano gli adepti del parti­
to bolscevista”25.
23 Ivi. Pur dichiarando il suo “interesse per la creazione della LVF, Darlan rifiuta il sostegno ufficiale del governo, a
meno che “il Governo e l’Alto Comando tedeschi [non] gli facciamo conoscere ufficialmente e preventivamente il lo­
ro desiderio di vedere la Francia rappresentata tra le forze che combattono il bolscevismo da una Legione di volonta­
ri, che sarebbe così il simbolo della nostra partecipazione alla lotta anticomunista” (AN/F60 235, V i c e - P r e s i d e n c e
d u C o n s e i l , L ’Amirai de la Flotte au Délégué Général du Gouvernement dans les territoires occupés, Vichy, 21 ago­
sto 1941). Ciò non impedisce un sostegno ufficioso (rimborso delle spese di viaggio ai lavoratori, e più tardi sussidio
mensile ai loro familiari).
24 AN/F1CIII 1190, S e i n e - e t - O i s e , 2 agosto 1941. Sul Front National il prefetto di Polizia esprime preoccupazioni
del tutto anologhe (AN/AGII 520, P r e f e c t u r e d e P o l i c e , 31 agosto 1941).
25 Lo stato dell’opinione pubblica è talmente insoddisfacente da far considerare un’eventuale diminuzione delle
truppe tedesche come una jattura: “Sembra che il partito comunista, che ha conservato i suoi quadri e i suoi militanti
nonostante lo scioglimento, e che attualmente è il solo movimento veramente organizzato nel dipartimento, costi­
tuisca una grossa minaccia per il mantenimento dell’ordine, specialmente nella regione parigina che subisce da molti
anni la propaganda marxista. Fin d ’ora attiro, nel modo più pressante, l’attenzione del Governo sulla necessità di
fronteggiare i pericoli d ’una troppo rapida evacuazione della regione parigina da parte delle truppe tedesche”
(A N /F1C III 1 1 9 0 , S e i n e - e t - O i s e , 2 ottobre 1 9 4 1 ).
28
Giorgio Caredda
Tutto l’impegno dell’amministrazione di
Vichy non riesce a spostare masse significati­
ve verso un atteggiamento più favorevole al­
la politica governativa. La diagnosi più volte
ripetuta dai servizi di prefettura attesta un
distacco crescente neH’opinione pubblica:
“La maggioranza della popolazione — rileva
il prefetto della Loire-Inférieure — e in parti­
colare la quasi totalità dei salariati e delle
classi medie, resta per così dire indifferente
alla politica del governo. Essa attribuisce
scarsa importanza ai discorsi e ai proclami
ufficiali. La ragione addotta è la pressione
che sarebbe esercitata dalle autorità tedesche
sul governo francese” . Lo stesso funzionario
azzarda una classificazione dell’opinione
pubblica secondo le varie classi sociali: “Gli
elementi operai sono sempre lavorati dal co­
muniSmo, benché la paura delle misure re­
pressive sembri attualmente salutare. Essi te­
mono le restrizioni che verranno e di conse­
guenza rimpiangono le promesse demagogi­
che del ‘Fronte popolare’[...].
Gli agricoltori sono soprattutto attenti ai
loro interessi materiali. Questi li spingono a
smerciare appena possono i loro prodotti al
di fuori della regolamentazione vigente. Essi
praticano il mercato nero con i francesi e con
le truppe d’occupazione, e giustificano il lo­
ro comportamento dicendo che il momento
degli operai era nel 1936, e che oggi è il loro
[...].
Si nota un certo malessere tra i commer
cianti e gli industriali che sentono arrivare
una grave crisi in conseguenza della mancan­
za di materie prime. Molti di loro lavorano
per conto delle Autorità tedesche. È fra di es­
si che si nota il maggior numero di partigiani
della politica di collaborazione”26.
La classe operaia costituisce dunque la
parte della popolazione in cui l’opposizione
26 AN/F1CIII 1162, L o i r e -I n f e r i e u r e , 2 o t t o b r e 1 9 4 1 .
27 AN/F1CIII 1148, C ôte-d ’Or , 2 settembre 1941.
28 AN/F1CIII 1148, I d e m , 2 o t t o b r e 1941.
al governo e all’occupante è più massiccia. Il
che è certamente frutto delle sue tradizioni
politiche, ma è anche una risposta al caratte­
re marcatamente antioperaio dell’attuale re­
gime. Questa irriducibilità operaia al sistema
politico di Vichy è un dato che emerge da tut­
ti i fotogrammi sull’opinione pubblica nell’e­
state del 1941. Un ultimo esempio da Digione, dove “la resistenza russa risveglia nelle
masse una reazione di tipo esclusivamente
sentimentale, fatta meno di simpatia per la
Russia in quanto paese del comuniSmo, che
di speranza nella disfatta del suo avversa­
rio”27. Sul finire dell’estate, un’agitazione
nuova percorre le stesse campagne borgo­
gnone, dove “gli ambienti rurali partecipano
alla stessa indifferenza o allo stesso assentei­
smo politico, ma si sentono maggiormente
lesi nelle loro normali condizioni di vita dal­
le tassazioni, le requisizioni, le difficoltà di
procurarsi le derrate o i prodotti indispensa­
bili alle loro aziende” . In questo mugugno,
il prefetto coglie un indice di fondamentale
importanza politica: “È importante notare
che i contadini non possono più essere con­
siderati con sicurezza, nel dipartimento,
quell’elemento di stabilità politica e di con­
servazione sociale ch’erano sempre stati da
tanti anni in qua”28.
Le conseguenze della guerra sul fronte rus­
so si faranno sentire con sempre maggiore
ampiezza negli anni successivi. Sin d’ora pe­
rò si può notare che il clima interno della
Francia occupata, nel secondo semestre del
1941, subisce cambiamenti importanti: i
francesi devono confrontarsi con una guerra
mondiale che si prospetta ancora più lunga e
più dura, che prevedibilmente influirà pesan­
temente sul carattere dell’occupazione nazi­
sta, ed anche con l’apparire delle prime ma
nifestazioni significative di resistenza arma-
L’opinione pubblica nella Francia di Vichy
ta, con il seguito di spettacolari rappresaglie
naziste e l’indurimento del regime di Vichy.
È da quest’estate del ’41 che sono istituite e
cominciano a funzionare quelle famigerate
Corti speciali di giustizia che attingono le lo­
ro vittime tra i molti reclusi dell’imponente
sistema concentrazionario che copre tutto il
paese, dall’una e dall’altra parte della linea
di demarcazione. In queste condizioni, il
consenso al regime del maresciallo è messo a
dura prova; quando poi, nella primavera del
1942, Pierre Lavai viene richiamato alla testa
del governo, l’opinione pubblica è pronta ad
aspettarsi il peggio.
La nomina di Pierre Lavai a capo del go­
verno, il 18 aprile 1942, è accolta da una qua­
si unanime riprovazione del paese. La diffi­
denza e l’aperta avversione registrate dalla
maggior parte dei prefetti non sono soltanto
il corrispettivo della larga soddisfazione che
aveva accompagnato il congedo del primo
delfino di Pétain, nel dicembre 1940: i sedici
mesi trascorsi hanno infatti accentuato l’o­
stilità dei francesi alle soluzioni politiche di
cui Lavai è il simbolo. Il rigetto del nuovo
capo del governo non è quindi il frutto di
pregiudizi arbitrari, ma piuttosto il segno
d’una comprensione tutto sommato esatta
della situazione attuale e delle prospettive del
paese e del regime; e infatti quasi nessuno dei
timori espressi in quest’occasione si dimo­
strerà infondato: “Prima dell’arrivo al pote­
re del ministero Lavai, l’opinione pubblica
era nettamente ostile. Per i membri dei vec­
chi partiti del Fronte popolare, che non han­
no dimenticato i decreti-legge del 1935, Pier­
re Lavai era rimasto il nemico della ‘classe
lavoratrice’. Altri, borghesi e contadini, lo
giudicavano soltanto in base alla caricatura
29
che ne ha tracciato la radio inglese, da più
d’un anno in qua. Essi lo vedevano soltanto
come l’uomo d’una ‘collaborazione’ intesa
come presa in mano totale della Francia da
parte della Germania, che potrebbe arrivare
fino ad una partecipazione armata accanto
alla Germania contro l’Inghilterra”29.
I primi mesi d’attività del nuovo governo
non hanno consentito a Lavai un recupero di
popolarità, anzi. Così, il panorama delle
condizioni d’esistenza delineato dal titolare
della prefettura di Marsiglia alla fine del­
l’estate 1942 può verosimilmente essere as­
sunto come rappresentativo di tutte le più
importanti aree urbane del paese: “7 com­
mercianti: i piccoli commercianti, che lavo­
rano onestamente ai prezzi imposti, tendono
a fondersi nel proletariato. Per essi infatti i
fatturati sono in contrazione costante, men­
tre aumentano le spese generali, i controlli e
le difficoltà amministrative: i loro negozi of­
frono uno spettacolo desolante. Sono invece
i grossisti a drenare tutti i guadagni; il loro
volume d’affari cresce ed essi sono molto
floridi. Avendo pochi clienti, e conoscendoli
bene, viene più facile lavorare al limite dei
regolamenti, esigere depositi, praticare il
mercato nero. Il baratto permette loro
un’alimentazione familiare abbondante e va­
ria. I dipendenti pubblici: [...] sempre più
devono consacrare tutte le loro risorse al ci­
bo, alle scarpe, ai vestiti, all’affitto ecc... Es­
si soffrono di questa situazione che non per­
mette loro di vestirsi decorosamente. Gli in­
dustriali: se si fa eccezione degli stabilimenti
che lavorano per conto delle autorità d’occu­
pazione, la penuria di materie prime e di for­
za motrice rallenta sempre più il ritmo della
produzione. In una condizione analoga a
29 AN/F1CIII 1197, H a u t e -V i e n n e , 2 maggio 1942; i cittadini di questo dipartimento sostanziano i loro timori con
cifre e ipotesi non del tutto fantasiose: “la formazione del governo Lavai sarebbe seguita dalla mobilitazione genera­
le e da ostilità armate contro l’Inghilterra, 450.000 operai francesi verrebbero mobilitati per andare a lavorare in
Germania, la Marina e l’Aeronautica sarebbero cedute alla Germania, porti militari sarebbero utilizzati dalla marina
tedesca o italiana”.
30
Giorgio Caredda
quella del piccolo commercio, le piccole e
medie industrie — prive di scorte di materie
prime — sono votate alla scomparsa a van­
taggio delle grandi imprese. I piccoli e medi
industriali lamentano che la politica della re­
lève favorisca quest’azione di eliminazione, a
beneficio dei trust”30.
A parte l’accenno alla relève, su cui torne­
remo tra breve, da questo rapporto esce l’im­
magine d’una pesantissima miseria urbana.
Questa miseria, urbana e soprattutto ope­
raia, è una grande protagonista dello spirito
pubblico di tutti gli anni dell’occupazione.
La miseria s’abbatte anche sulle parti più de­
boli degli strati intermedi, vecchi e nuovi: lo
“spettacolo desolante” del piccolo detta­
gliante, o i vestiti lisi degli impiegati, danno
conto anche visivamente in modo assai effi­
cace di chi soffre e di chi sta bene, di chi vede
peggiorare le proprie condizioni di lavoro e
di vita, e di chi invece trae vantaggi consi­
stenti dall’attuale occupazione del paese.
Giacché il particolare genere d’economia di
guerra che la Francia conosce in questi anni
non produce affatto conseguenze uguali per
tutti: i grossisti, i grandi industriali che lavo­
rano per i tedeschi, gli agricoltori non navi­
gano nelle stesse acque dei piccoli commer­
cianti, dei piccoli industriali, degli impiegati,
e ancor meno degli operai. Se si eccettuano
gli agricoltori (nei confronti dei quali va con­
dotta un’analisi più differenziata), ci trovia­
mo di fronte ai due grandi schieramenti so­
ciali che sostengono o avversano il regime di
Vichy e la sua politica di collaborazione con
la Germania: questo è il quadro di riferimen­
to sociale nel quale devono operare sia i diri­
genti petainisti che le forze della resistenza,
queste le classi sociali determinanti per modi­
ficare il rapporto di forze a favore dell’uno o
dell’altro contendente.
30
31
32
33
A N /F 1C III1143, B o u c h e s - d u - R h ô n e , 5 o t t o b r e 1942.
A N /F 1C III1190, S e i n e - e t - O i s e , 5 agosto 1942.
A N/F1C1II 1 1 8 7 , S e i n e , 3 lu g l io 1942.
A N /F 1C III1143, B o u c h e s - d u - R h ô n e , 5 o t t o b r e 1942.
Durante la terza estate dell’occupazione,
la vera e propria fame urbana si fa più gran­
de; proprio in una stagione in cui di solito i
mercati alimentari sono particolarmente for­
niti, gli abitanti di Parigi e della sua cintura
riescono “ad alimentarsi solo con grande dif­
ficoltà” , sicché il problema del cibo diventa
“la preoccupazione dominante della grandis­
sima massa della popolazione”31: “Nei
quartieri popolari, dalle sei di mattina si for­
mano lunghe file d’attesa e lo stato d’animo
che vi regna è più simile alla collera che alla
rassegnazione; tafferugli, talvolta delle vere
e proprie risse, alimentano un’atmosfera di
tensione; i furti dei tagliandi nei centri di di­
stribuzione vanno moltiplicandosi, ed ora
dobbiamo stare attenti alle sempre più fre­
quenti scene di violenza”32.
Date queste premesse, non stupisce che tra
le masse urbane immiserite possa manifestarsi
un sentimento anticontadino che il prefetto di
Marsiglia dipinge a tinte forti: “Gli agri­
coltori sono sempre più privilegiati. Detentori
delle ricchezze più richieste, quelle alimentari,
tengono in pugno tutto il resto della popola­
zione. Per questo essi sono oggetto di tutte
le invidie e di tutte le gelosie; non li si minaccia,
perché si ha bisogno di loro. Ma si sa che non
mancano dell’indispensabile, e che si arricchi­
scono. Il popolo non lo dimenticherà”33.
Il rancore anticontadino, riflesso della mi­
seria di chi vede quanto poco basti il salario
o lo stipendio a rifornirsi nel fiorente e indi­
spensabile mercato nero, più che frutto di
un’analisi realistica delle cause vere di tale
miseria, è comunque il segno d’un doppio
fallimento del regime: l’uno verso la popola­
zione delle città che non si riesce a mantenere
un livello decente di sussistenza, l’altro verso
gli stessi contadini che, pur fatti oggetto d’ogni possibile blandizie ideologica fin dalla
L’opinione pubblica nella Francia di Vichy
nascita del regime (non sono forse i contadi­
ni gli archetipi della razza francese, i modelli
cui Vichy afferma di volersi ispirare nella sua
opera di rinascita nazionale?), cominciano a
dar vita, in misura sempre crescente, ad un
vero e proprio “sciopero dell’ammasso” . I
servizi annonari non riescono quasi mai a
raccogliere i contingenti imposti, anche per
una diffidenza politica che va accentuandosi
tra le popolazioni delle campagne, il cui sta­
to d’animo viene registrato, in un numero
crescente di dipartimenti, come “mediocre”.
Valga per tutti il caso della Vienne, dove il
prefetto, in occasione della “crociata per il
grano” , ha potuto constatare “quanto il con­
tadino resti diffidente e riservato; malgrado
la propaganda ufficiale, ripetuta nella stam­
pa e nei discorsi, secondo cui il grano è desti­
nato unicamente alla popolazione francese,
molti agricoltori restano scettici”34. Le masse
profonde delle campagne non si sono certo
ancora messe in movimento, nella primavera
del ’42; ma è altrettanto certo che, quando
torna alla testa del governo, Pierre Lavai
può sentire perfettamente scricchiolare il
consenso dei contadini al regime di Vichy.
In questo clima di crescente disaffezione,
alcuni atti del nuovo governo vengono a con­
fermare le aspettative più pessimistiche. E so­
prattutto uno, la relève: il 22 giugno i radioa­
scoltatori francesi possono sentire Lavai au­
gurarsi la vittoria della Germania nella guerra
contro l’Limone Sovietica (del cui inizio corre
il primo anniversario) e chiedere che tre ope­
rai francesi partano a lavorare volontaria­
mente nelle fabbriche del Reich per dare il
cambio (la relève, appunto) a un prigioniero
di guerra, preferibilmente contadino. La rea­
zione contraria della maggior parte dei fran­
cesi viene registrata immediatamente: l’opi­
nione pubblica, che pure “s’aspettava due
mesi fa misure di collaborazione attiva (giac­
ché lo stesso capo del governo aveva detto
34
AN/F1CIII 1197,
V i e n n e , 2 m a g g io
1942.
31
‘che il suo arrivo al potere aveva un significa­
to che non sarebbe sfuggito a nessuno’)”, è ri­
masta scandalizzata dall’augurio della vitto­
ria tedesca ed ha accolto con una “nettissima
riserva” l’annuncio della relève.
Siamo però ancora nell’ambito di costri­
zioni morali, propagandistiche. Gli stessi
argomenti usati da Lavai per lanciare la re­
lève, in un primo momento, sono basati su
un richiamo politico generale e “patriotti­
co” , che unisce la suadente prospettiva di
alti salari per un limitato periodo di lavoro
in Germania con la solidarietà verso i pri­
gionieri di guerra, costretti in cattività da
ormai ventiquattro mesi. I propagandisti
degli organi di stampa padronali incorag­
giano invece le partenze oltre Reno con ar­
gomenti più “economici” . Il “Journal de la
Bourse”, per citare un esempio tra i tanti,
commenta le prime chiusure d’industrie ef­
fettuate in base alla “legge sulla concentra­
zione industriale” del dicembre 1941 nei ter­
mini d’una migliore utilizzazione di tutte le
risorse produttive, ivi compresa la forza la
voro: “Piuttosto che ripartire indistinta­
mente tra tutte le imprese le scarse disponi­
bilità attuali di materie prime, combustibili
e trasporti, è stato ritenuto preferibile riser­
vare queste attribuzioni alle fabbriche che le
impiegano in modo più economico, cioè che
ottengono il massimo rendimento con il mi­
nimo di contingente. [...] Il fine ricercato
non è un ‘risanamento’ industriale, una
concentrazione definitiva dove resterebbero
soltanto le aziende più importanti. La di­
mensione dell’impresa non è l’elemento che
determina la scelta. [...] Comunque, nelle
prossime settimane numerose imprese sa­
ranno costrette a sospendere le loro attività;
di conseguenza, il personale di questi stabi­
limenti sarà senza lavoro. Esistono per esso
due soluzioni: o l’iscrizione alle liste di di­
soccupazione, il che comporta una conside-
32
Giorgio Caredda
revoie diminuzione di situazione materiale ed
una sicura degradazione morale, o la parten­
za in Germania, con la garanzia di guadagni
sostanziosi e di un’efficace protezione da
parte delle autorità francesi”35.
Ma alla campagna propagandistica per il
lavoro in Germania prestano il loro concorso
attivo, fin dai primi momenti, anche alcuni
dirigenti sindacali, molto conosciuti nell’an­
teguerra, che girano il paese per far conosce­
re agli operai le meravigliose condizioni di la­
voro nelle fabbriche del Reich hitleriano, co­
me loro le hanno viste durante i viaggi offerti
dai servizi tedeschi di propaganda. È uno dei
compiti che si assegna il Centre Syndicaliste
de Propagande, fondato da Georges Du­
moulin, Roger Paul (segretario nazionale dei
tessili), Jean Pélisson (del sindacato dei tec­
nici), Henri Testard (degli edili), Léon Duvernet (dei metalmeccanici) e René Mesnard,
al ritorno da un viaggio di dieci giorni in
Germania, nel marzo del 1941. L’ispirazione
di questo gruppo è ricavabile proprio dalle
considerazioni che questo viaggio suscita in
Dumoulin — certamente il personaggio più
prestigioso del gruppo — che ha incontrato
in Germania degli operai francesi contenti,
anche se non entusiasti, sensibili soltanto ad
una certa nostalgia per il loro “doux pays”;
degli operai che, sempre secondo Dumoulin,
imparano a praticare una collaboration pro­
letaria e antiborghese: “Bisogna collaborare
perché siamo francesi. Se non siamo più ca­
paci d’essere francesi, non bisogna collabo­
rare. Bisogna rifiutare qualsiasi riavvicina­
mento, se non abbiamo più il cuore e il fega­
to d’essere veramente francesi [...]. In Ger­
mania, abbiamo visto direttori di fabbrica
mangiare allo stesso tavolo degli operai.
Ora, capita spesso che gli operai francesi non
abbiano mai visto il loro direttore o almeno
che non conoscano gli azionisti. Questo siste­
ma economico ha fatto il suo tempo. Biso­
gna che la nostra borghesia abbandoni la
speranza di continuare a far durare l’attuale
sorpassato sistema”36.
In realtà, questi sindacalisti non sono in
grado di dare nessun serio contributo
all’emigrazione forzata, per il semplice fat­
to che la macchina organizzativa di cui so­
no ai vertici (le principali federazioni sinda­
cali legali) non ha più alcuna rispondenza
nella classe operaia. Non è certo con simili
strumenti che si possono indurre gli operai
recalcitranti a partire per la Germania; ed
infatti il prefetto della Seine-et-Oise (il di­
partimento che copre la maggior parte della
cintura industriale parigina) non trova af­
fatto “sorprendente che la campagna per la
relève abbia incontrato un successo molto
mediocre e che l’appello del governo non
sia stato inteso nel modo giusto” : “In que­
sta popolazione operaia, che per anni è sta­
ta aizzata quotidianamente contro il fasci­
smo hitleriano, e che rende l’occupante re­
sponsabile di tutta la miseria materiale
odierna, è naturale che la prospettiva d’an­
dare a lavorare in Germania a fabbricare
direttamente o indirettamente materiale de­
stinato in gran parte alle truppe che com­
battono contro la Russia, non abbia susci­
tato un grande entusiasmo”37.
L’assenza d’entusiasmo non dev’essere
una caratteristica della sola regione parigina,
Pénurie industrielle et main d ’oeuvre, in “Le journal de la Bourse”, 4 luglio 1 9 4 2 .
La France ouvrière devant l ’Europe, Parigi, Csp, 1 9 4 1 , pp. 1 5 -1 8 . Il Csp organizzerà i diri­
genti sindacali legali che aderiscono al Rnp di Marcel Déat. Adesione non tanto sporadica, se è vero che ancora nel
1943 il partito di Déat può vantare un certo numero di dirigenti provenienti dalle file del movimento operaio. Cfr.
l’opuscolo R a s s e m b l e m e n t N a t io n a l p o p u l a i r e , Un parti, un chef, Paris, 1 9 4 3 , che fornisce la lista dei membri del­
la direzione del partito filonazista: Albertini (ex animatore dell’Institut Supérieur Ouvrier), Henri Barbé, Bénédetti,
Brille, Francis Desphilippon, Dumoulin, Favier, Guionnet, Lafaye, Levillain, Montagnon, Rivollet, Silly, Zoretti.
Ex comunisti, ex socialisti ed ex sindacalisti della Cgt, si ritrovano fianco a fianco.
37 A N /F 1C III 1 1 9 0 , S e i n e - e t - O i s e , 5 a g o s t o 1 9 4 2 .
35 J e a n N o g r e t t e ,
36 G e o r g e s D u m o u l i n ,
L’opinione pubblica nella Francia di Vichy
33
se è vero che nazionalmente il ritmo delle
partenze ad agosto è stato inferiore alle
aspettative e addirittura più basso di quello
di luglio. Il governo, davanti al fallimento di
sistemi di reclutamento della manodopera
che si basano ancora sul volontariato, deve
mettere in opera degli strumenti di recluta­
mento che possano passare oltre l’ostilità dei
diretti interessati: all’inizio di settembre ap­
pare così una legge “sull’utilizzazione del la­
voro” che, nonostante le smentite ufficiali, è
di fatto la premessa del lavoro obbligatorio.
Con questa legge, l’apparato statale vichissois passa all’organizzazione sistematica del­
la ‘deportazione industriale’, una volta preso
atto dell’inefficacia della prima relève. Le
smentite di circostanza non impediscono alla
gente di rendersi conto di cosa significhi il
nuovo provvedimento: “Questo testo è inter­
pretato come l’avvio d’una politica tendente
a rendere obbligatorio il lavoro per l’indu­
stria di guerra del Reich ed è stato accolto da
commenti sfavorevoli inequivocabili dalla
maggioranza della popolazione e dall’insie­
me della classe operaia, che vi ha visto un
nuovo attacco alle libertà del lavoro [...]. Da
notare che negli ambienti operai l’importan­
te fabbisogno di manodopera per la Germa­
nia viene considerato un indice dell’indeboli­
mento delle potenze dell’Asse le quali, da­
vanti alla perdite in uomini subite sul fronte
russo, hanno dovuto mandare nei teatri d’o­
perazione grandi quantità d’uomini, fino ad
allora mobilitati nell’industria, e non posso­
no più lottare ad armi pari contro la crescen­
te potenza dell’industria bellica inglese e so­
prattutto statunitense”38.
La ripulsa della partenza in Germania,
l’opposizione alle misure preparatorie di
questa moderna forma di lavoro forzato, è
un grande fatto nazionale. Intanto per l’uni­
formità della reazione ostile in tutto il terri­
torio francese: la testimonianza appena ri­
portata proviene da Marsiglia, ma se ci spo­
stiamo all’altro capo del paese, tra gli operai
del Nord, constatiamo la stessa diffusa ostili­
tà. O a Tolosa, dove, “il mondo operaio ha
accolto con unanime sfavore le nuove dispo­
sizioni tendenti a designare negli stabilimenti
industriali dei volontari per il lavoro in Ger­
mania. Malgrado i vantaggi offerti, si può
prevedere — continua il prefetto — che po­
chissimi sottoscriveranno volontariamente i
contratti d’assunzione e che la maggior parte
attenderà l’ordine di requisizione per
espatriare”39. D’altronde, molti operai —
quelli normanni, ad esempio — “hanno pau­
ra di recarsi in Germania, dove si ritengono
esposti ai bombardamenti inglesi e sottoposti
ad un regime di lavoro schiavistico”, e non
sono certo disposti a correre questi rischi per
la “nobile preoccupazione della solidarietà
tra operai e contadini; l’operaio pensa di non
avere alcun debito nei confronti dei contadi­
ni, che troppo spesso danno prova d’un cru­
dele egoismo”40. Del resto, tra gli stessi con­
tadini, che sarebbero i principali beneficiari
dell’operazione proposta da Pierre Lavai,
esistono seri dubbi sull’effettiva praticabilità
dello scambio, visto che qualche mese dopo
l’annuncio della relève sono sempre più i tre­
ni che partono verso il Reno e sempre meno
quelli che riportano nelle loro campagne i
prigionieri di guerra liberati.
Anche le reazioni degli industriali sono per
lo più ostili all’emigrazione forzata, per di­
verse ragioni. Si va dagli imprenditori lillesi,
che “non facilitano in alcun modo la parten­
za degli operai per la Germania” e si sono ri­
fiutati con decisione “di designare d’ufficio
una quota di partenti” perché vedono nella
legge sul lavoro obbligatorio “la possibilità
38 A N /F 1C III1143, 5 ottobre 1942.
39 AN/F1CIII 1204, P r e f e c t u r e R e g i o n a l e d e T o u l o u s e ,
40 AN/F1CIII 1188, Seine-Inferieure, 2 settembre 1942.
5 o tto b re
1942.
34
Giorgio Caredda
per la Germania d’assicurarsi l’egemonia in­
dustriale in Europa”41, al padronato marsi­
gliese che, poco contento di “vedersi privare
d’una manodopera francese attualmente ra­
ra” — tanto che “la partenza degli operai se­
gna per numerosi padroni una grave minac­
cia di chiusura del loro stabilimento” —, te­
me anche che “dopo un soggiorno più o me­
no lungo nelle fabbriche tedesche, dove gli
operai francesi godranno di salari elevatissi­
mi e importanti vantaggi sociali”, tornando
a casa questi operai “diano prova d’un
rivendicazionismo sociale che richiederebbe
sacrifici importanti al padronato”42. Che è
una bella perla. A Lione invece, gli industria­
li si dividono in due grandi categorie: quelli
che lavorano per la Germania “sono disposti
ad aiutare il Governo con tutta la loro auto­
rità”, mentre gli altri, soprattutto “il piccolo
padronato, desiderano attribuire alla sola
amministrazione (l’Ispettorato del lavoro) la
responsabilità di fare le designazioni”43. E di
fatto, falliti i tentativi di coinvolgere le parti
sociali nella scelta dei lavoratori destinati ad
espatriare in Germania, questo compito sarà
svolto dall’amministrazione.
Se la notizia degli accordi stipulati tra il
governo di Vichy e quello di Berlino suscita
la reazione ostile che è stata qui sommaria­
mente delineata, la loro applicazione pratica
provoca reazioni assai più attive, contro le
quali i funzionari dei servizi di propaganda
possono ben poco. Così a Tolosa: “Le ope­
razioni di designazione degli operai per il la­
voro in Germania hanno provocato negli
stabilimenti della regione e nella maggior
parte dei centri urbani un nervosismo e un
41
42
43
44
45
46
47
48
AN/F1CIII
AN/F1CIII
AN/F1CIII
AN/F1CIII
AN/F1CIII
AN/F1CIII
AN/F1CIII
AN/F1CI1I
1175,
1143,
1183,
1204,
1183,
1199,
1197,
1153,
Nord,
5
o tto b re
1942.
B o u c h e s -d u - R h ô n e , 5 a g o s t o
R h o n e , 5 n o v em b re
P
refec tu r e
H
refectu re
Gard,
5
de
de
5 d ic e m b re
d ic e m b re
T o u lo u se, 5 n o v em b re
1942.
1942.
R e g io n a l e
a u t e -V i e n n e ,
1942.
1942.
R e g io n a l e
R h o n e , 5 n o v em b re
P
malcontento che talvolta si è manifestato in
brevi interruzioni del lavoro (Bréguet e Dewoitine a Tolosa, Tarbes, Castres). Benché gli
scioperi parziali simbolici non sembrino desti­
nati a generalizzarsi, l’ostilità della classe ope­
raia alla relève persiste, a dispetto della propa­
ganda effettuata dai servizi competenti”44.
A Lione, si sono verificati scioperi “in
segno di protesta, al momento della desi­
gnazione degli operai” . E non si è trattato
di una protesta sporadica, se è vero che
“questi movimenti sono nati il 13 ottobre
in diversi reparti della Snfc e si sono estesi
fino al 18 ottobre, in diverse fabbriche me­
tallurgiche dell’area lionese, in particolare
la Sigma, la Simca, Bronzavia, Berliet e
Rochet-Schneider” . C’è stato bisogno d’un
consistente intervento poliziesco, con 343
arresti, 93 internamenti in campo di con­
centramento e 27 proposte d’invio in
Algeria45. Il discorso potrebbe estendersi a
Saint-Etienne, Roanne, Clermont-Ferrand,
Montluçon46, Limoges47, Alès48, per citare
solo qualche caso; ovunque lo stesso sce­
nario di ostilità operaia: quando non arri­
vano addirittura a scioperare, i lavoratori
zittiscono i propagandisti del governo, i di­
rigenti dei sindacati ufficiali, danno vita a
manifestazioni di piazza.
Quella industriale non è l’unica deporta­
zione di cui Pierre Lavai assicura Torganiz
zazione nell’estate del ’42. In questo stesso
periodo infatti comincia ad entrare in fun­
zione anche in Francia il meccanismo d’ap­
plicazione della politica di sterminio totale
degli ebrei europei ch’è stata sancita dai di­
rigenti nazisti il 20 gennaio dello stesso an-
1942.
C lerm ont-F e r r a n d , 5 n o v em b re
1942.
1942.
L’opinione pubblica nella Francia di Vichy
no alla conferenza di Wannsee, a Berlino.
A partire dall’estate 1942, l’attuazione de­
gli obiettivi sempre più impegnativi della po­
litica antisemita dei nazisti ha assoluto biso­
gno, ancor più che nel passato, della collaborazione attiva dell’apparato statale collabo­
razionista: i tedeschi dispongono infatti in
Francia di tre battaglioni di polizia, cioè dai
2.500 ai 3.000 poliziotti, pochi dei quali co­
noscono il francese e pochissimi il terreno
d’operazione in modo comparabile a quello
dei loro omologhi francesi. Il raggiungimen­
to degli obiettivi di sterminio degli ebrei può
quindi passare soltanto attraverso l’accordo
attivo della polizia francese. La quale poli­
zia, rafforzata dal passaggio della Gendar­
meria dal ministero della Guerra a quello
dell’Interno, è tutta sotto la responsabilità
diretta di Pierre Lavai e del suo segretario ge­
nerale al ministero dell’Interno, René Bou­
squet. L’accordo del governo di Vichy alla
deportazione di tutti gli ebrei stranieri è
espresso il 4 luglio; anzi, sono le autorità di
Vichy ad insistere perché nel novero dei déportables vengano inclusi anche gli ebrei ri­
fugiatisi nella zona libera, che inizialmente
non erano stati richiesti dai servizi d’occupa­
zione. Due giorni dopo, il governo riunisce i
prefetti regionali e stabilisce le condizioni di
collaborazione con i tedeschi per l’arresto
degli ebrei. La funzionalità operativa di que­
ste misure viene sperimentata dieci giorni più
tardi, con l’operazione denominata dai tede­
schi ‘vento primaverile’, rimasta nella me­
moria storica con il nome di rafle du Vel’
d ’H iv.
La mattina del 16 luglio 1942, 9.000 poli­
ziotti francesi passano al setaccio i quartieri i
Parigi e della sua banlieue, per arrestare
8.000 ebrei stranieri schedati dai servizi della
prefettura. Per due giorni, 6.000 persone
vengono ammassate a Drancy e 7.500 al Ve­
lodrome d’Hiver; tra queste, 4.000 bambini
49
Cfr.
M.
R.
M
arru s,
R. O.
P
axton,
35
e ragazzi minori di 18 anni. Un mese dopo,
è la volta della zona sud: utilizzando il cen­
simento degli ebrei effettuato da Darlan il
10 dicembre dell’anno precedente, tra il 26 e
11 28 agosto i poliziotti francesi arrestano
7.100 ebrei, li caricano sui convogli ferro­
viari e li trasportano a Drancy. Drancy, alla
periferia nordorientale della capitale, non è
altro che l’anticamera della morte. Dall’e­
state 1942 al 31 luglio 1944, da questo cen­
tro di raccolta partono 69 convogli in dire­
zione della Polonia, con 67.000 ebrei. Per
lo stesso periodo, dal resto della Francia
partono 12 convogli, con 8.000 deportati. Il
viaggio fino ad Auschwitz dura tre giorni:
di quelli che non sono morti durante il tra­
sporto inumano, la maggior parte viene as­
sassinata subito, mentre gli altri vengono
uccisi lentamente tramite il lavoro forzato
negli impianti chimici del’IG Farben annessi
al campo di sterminio. I complici materiali
e morali del genocidio di questi ebrei, che
avevano sperato di sfuggire alla fame e alla
barbarie nazista riparando in Francia, han­
no consegnato ai loro carnefici la maggior
parte delle vittime proprio nella seconda
metà del ’42: dei 75.000 deportati ebrei dal­
la Francia, 42.500 sono già arrivati al cam­
po della morte di Auschwitz alla fine di
quell’anno. Tra di essi, 2.464 hanno meno
di 18 anni, 2.557 meno di 13, 1.032 bambini
non hanno compiuto 7 anni. Sia ben chiaro
che “lungi dal cercare di salvare i figli degli
ebrei stranieri consegnati ai tedeschi, le au­
torità francesi proposero la loro deportazio­
ne. Vichy suggerì che i ragazzi partissero
con gli adulti prima ancora che i nazisti fos­
sero pronti ad accoglierli”49.
Per quanto Pierre Laval e René Bousquet
abbiano istruito i loro poliziotti (una parte
dei quali, sia detto per inciso, ha dimostrato
più umanità del capo del governo, preavver­
tendo dell’arresto gli interessati, molti dei
Vichy et les Juifs, da cui abbiamo tratto tutte le notizie sugli ebrei.
Giorgio Caredda
36
quali hanno così potuto sottrarsi alle grandi
retate: anche così si spiega tra l’altro che la
terribile retata del “Vel’ d’Hiv’ ” abbia rag­
giunto meno della metà dell’obiettivo stabi­
lito dai servizi nazisti) sulla necessità di dar
prova della maggiore discrezione possibile,
per cercare di nascondere la loro bisogna al­
la popolazione, gli abitanti delle città fran­
cesi delle due zone hanno davanti agli occhi
le scene orribili di questa vergognosa depor­
tazione. Se il prefetto della Senna, accen­
nando di sfuggita alla retata di luglio, si li­
mita a dire che “l’arresto massiccio di mi­
gliaia di ebrei stranieri, effettuato in quarantott’ore, ha provocato una certa emozione a
causa del gran numero di donne e bambini
condotti in campo di concentramento”50, il
suo collega della cintura industriale, già pri­
ma della retata — al momento dell’obbligo
imposto agli ebrei della zona occupata di
portare la stella gialla di David — aveva av­
visato che “le misure prese contro gli ebrei
hanno ricevuto un’accoglienza assai sfavore­
vole: urtano una popolazione che conosce
male il problema ebraico e appaiono vessa­
zioni inutili”51. Le osservazioni fatte dai cit­
tadini di Marsiglia sono ben più radicali:
“Le misure amministrative prese contro
gli ebrei apatridi hanno suscitato un’indis­
cutibile emozione tra la popolazione, che le
ha giudicate con severità e ne ha tratto con­
clusioni diverse nella forma, ma identiche
nella sostanza [...]. Bisogna riconoscere
che il governo è stato biasimato molto du­
ramente, benché la responsabilità di queste
misure sia stata attribuita alle autorità te­
desche. Esso, si dice, non avrebbe dovu­
to cedere alle pressioni tedesche, dato che
queste ultime esigevano misure incompa­
tibili con le condizioni d’onore e dignità
50 AN/F1CIII
in cui è stato richiesto e concluso l’armisti­
zio. Il diritto delle genti e il diritto interna­
zionale d’asilo sono stati violati, e la conse­
gna ai tedeschi di israeliti stranieri è conside­
rata da molti una ‘vergogna nazionale’ [...].
L’opinione pubblica è quasi unanime a pen­
sare che [gli ebrei] avrebbero dovuto essere
colpiti soltanto da misure economiche e so­
ciali, che li avrebbero scartati dai posti in cui
sono indesiderabili, e non da vessazioni che
non possono non colpire vivissimamen te i
sentimenti popolari, perché colpiscono le
donne e i bambini.
Nel mio ultimo rapporto indicavo che gli
ebrei, agli occhi dell’opinione pubblica fran­
cese, avrebbero finito gradatamente per as­
sumere l’immagine di martiri: il mese d’ago­
sto ha rappresentato un grande passo in
avanti su questa via [...]. Ci si è lamentati
ovunque del fatto che il governo non abbia
facilitato per tempo la partenza degli israeliti
per l’America, per non doversi trovare in
una posizione così delicata”52.
Le proteste indignate, le reazioni dettate
da un minimo senso d’umanità, non vengo­
no soltanto sussurrate; quasi la metà dei ve­
scovi della zona libera esprimono condanne e
proteste dal pulpito, seguendo l’esempio
dell’arcivescovo di Tolosa, monsignor Saliège, che ricorda ai suoi fedeli che gli ebrei e gli
stranieri sono uomini come gli altri, e come
tali devono essere considerati fratelli. Anche
se non sono generalizzate (più della metà dei
vescovi della zona libera e tutti quelli della
zona occupata hanno taciuto), le prese di po­
sizione analoghe alla lettera pastorale letta in
tutte le parrocchie dell’arcidiocesi di Tolosa
la domenica del 23 agosto preoccupano mol­
to il governo di Vichy, che finora ha goduto
dell’appoggio incondizionato della gerarchia
1 1 8 7 , S e i n e , 3 a g o s t o 1 9 4 2 ; g li a g e n ti c h e h a n n o m a t e r i a l m e n t e e f f e t t u a t o le r e t a t e e r a n o a g li o r d i n i
d e l s u o c o l le g a , il P r e f e t t o d i P o l i z i a .
51 A N /F 1C III 1 1 9 0 , S e i n e - e t - O i s e , 3 a g o s t o 1 9 4 2 .
52 A N /F 1C III1143, B o u c h e s - d u - R h ô n e , 5 o t t o b r e 1942.
L’opinione pubblica nella Francia di Vichy
ecclesiastica, elemento importantissimo del
consenso di regime. Manifestazione esplicita
di dissenso, la presa di posizione del clero del
Midi — che non si ripeterà quando qualche
mese dopo riprenderanno le grandi retate
d’ebrei del febbraio 1943 — rischia di ali­
mentare una ben più vasta corrente d’oppo­
sizione politica: “La pastorale dell’Arcive­
scovo di Tolosa ha avuto un’eco considere­
vole. Ispirata da un sentimento cristiano, es­
sa è stata trasformata in pamphlet politico
dagli avversari del regime e dagli stessi ebrei.
La lettera è stata ricopiata, ciclostilata, stam­
pata, diffusa come un volantino, che io ho
fatto sequestrare. Quindici giorni dopo il Ve­
scovo di Montauban pubblicava una lettera
identica, poi il Vescovo di Albi faceva legge­
re a sua volta una pastorale d’ispirazione
analoga, anche se formulata in termini più
sfumati”53.
Nel giro di qualche mese dal suo ritorno al
potere, Pierre Lavai accentua i tratti più op­
pressivi del regime di Vichy, mentre si fa
molto più consistente il peso dei tributi eco­
nomici e politici che la Francia paga alla
guerra hitleriana. E questo proprio mentre la
guerra sta cominciando ad andare in senso
inverso alle aspettative di vittoria di Berlino:
lo sbarco angloamericano in Algeria e Ma­
rocco, con la conseguente occupazione totale
della Francia metropolitana da parte tedesca
e italiana, finirà di convincere la maggioran­
za dei francesi dell’inutilità delle sofferenze e
delle privazioni cui sono sottoposti. Nel cor­
so dell’estate e dell’autunno 1942, si accen­
37
tua il fossato tra larghe masse di cittadini (e
in primo luogo gli operai, colpiti più degli al­
tri nel tenore di vita, oltre ad essere minac­
ciati di deportazione più o meno dichiarata
in Germania) e il regime, fossato che lo sbar­
co in Nordafrica prima e la vittoria sovietica
di Stalingrado poi contribuiranno ad allarga­
re. Privi di consenso, i governanti di Vichy
non possono fare altro che ricorrere alla co­
strizione per far sopportare alla popolazione
recalcitrante i pesanti costi della loro “colla­
borazione” . Il quadro tracciato alla fine
d’ottobre per l’insieme della zona libera dai
servizi del ministero delPInterno può quindi
essere esteso senza alcuna forzatura all’insie­
me dell’opinione pubblica francese: “Ope­
rai: benché apparentemente accettino con
calma le privazioni, che li colpiscono più pe­
santemente degli altri, gli operai sono parti­
colarmente sensibili agli effetti della propa­
ganda ostile al governo [...]. L’ostilità gene­
rale della classe operaia riguardo alla relève
èincontestabile, e su questo punto pare che vi
sia un’intesa quasi completa con gli indu­
striali [...].
Contadini-, malgrado i sicuri vantaggi di
cui godono, gli agricoltori restano chiusi nel
loro egoismo e disconoscono il loro dovere di
solidarietà nazionale, ignorando le difficoltà
di approvvigionamento degli sfortunati abi­
tanti della città”54.
Sull’esito della guerra in corso poi, “la
quasi unanimità dei francesi ritiene che è cer­
ta una vittoria anglosassone, facilitata dalla
prolungata resistenza dell’URSS. Si è molto
53 AN/F1CIII 1204, P r e f e c t u r e R e g i o n a l e d e T o u l o u s e , 5 novembre 1942. La grande emozione suscitata nell’o­
pinione pubblica in quest’estate del ’42 dell’inumana deportazione degli ebrei stranieri non impressiona gran che al­
cuni alti funzionari. Così a Rouen, rendendo conto dell’arresto di “24 ebree straniere, con i loro figli” e del loro invio
a Drancy “per essere deportate ad Est” , il prefetto ritiene di dover aggiungere che “questa misura risanerà l’atmosfe­
ra politica”(A N /FlC IIl 1188, S e i n e - I n f e r i e u r e , 5 novembre 1942). Qualche tempo dopo, lo stesso zelante funzio­
nario, fedele interprete dello spirito del tempo, avanza altri titoli di merito: “6 ebrei che si facevano passare per aria­
ni, sottraendosi in tal modo alle ordinanze sugli ebrei, sono stati internati a Drancy su mio interessamento. Uno di
loro era segretario comunale e interprete alla Stadtkommandantur in un comune del litorale, di cui era sindaco lo
stesso parroco” (AN/F1CIII 1188, I d e m , 3 gennaio 1943).
54 AN/F60 504, M i n i s t è r e d e l ’i n t e r i e u r , Synthèse des rapports des préfets de la zone libre, o t t o b r e 1942.
38
Giorgio Caredda
attenti agli aspri combattimenti di Stalingra­
do. Il fatto che da lungo tempo nessuna deci­
sione importante sia intervenuta su quel tea­
tro d’operazioni, è interpretato di solito co­
me uno scacco delle forze tedesche”55.
È facile immaginare l’effetto provocato
dallo sbarco angloamericano su un’opinione
pubblica già così scettica nei confronti delle
prospettive del regime. Innanzitutto, i sol­
dati inglesi e americani in Algeria e Maroc­
co vengono visti come “la premessa d’una
prossima fine della guerra” , il che provoca
“un sentimento di gioia tanto irragionevole
quanto effimera”56. Ma soprattutto questi
avvenimenti forniscono l’occasione per fare
il punto sull’affidabilità del regime attuale,
sulle sue possibilità di durata; è un consun­
tivo che l’opinione pubblica traccia median­
te la contestazione puntuale delle scelte ope­
rative di questi giorni, ma anche delle op­
zioni che hanno generato Vichy: “In tutti
gli ambienti si paragonava l’atteggiamento
assunto verso le truppe anglosassoni con
quello adottato con le truppe tedesche; in
un caso l’ordine era di resistere, nell’altro
di attendere.!...] Su quali elementi può or­
mai contare l’azione del governo? Gli resta
soltanto qualche legionario e SOL e qualche
dirigente della Corporation Paysanne. Tra
gli oppositori attivi, bisognerà d’ora in poi
annoverare la grande maggioranza dei
membri dell’esercito che è stato or ora di­
sciolto. [...] Va da sé che ormai, davanti
all’occupazione del litorale mediterraneo e
lo scioglimento dell’esercito [d’armistizio]
francese, l’opinione pubblica risale agli av­
venimenti del giugno 1940 per concludere
che l’armistizio non avrebbe dovuto essere
firmato. Viene dunque messa in causa, e
criticata, l’azione di governo del Marescial­
lo. [...] Accanto alle operazioni in Africa
del Nord, l’opinione pubblica segue con vi­
vo interesse l’offensiva russa, e vi scorge i
prodromi del crollo dell’esercito tedesco, e
perciò stesso la prossima liberazione del
suolo francese”57.
Finora i rapporti prefettizi sono stati as­
sai parsimoniosi di critiche esplicite al vec­
chio maresciallo; la virulenza con cui le cri­
tiche de\V opinion si rivolgono verso obietti­
vi prima religiosamente risparmiati, sta a
dimostrare che ormai è in via d’esaurimento
anche quell’effetto paterno su cui tanto ha
giocato Pétain, costruendosi con cura
un’immagine tesa ad esaltare un suo ruolo
protettivo verso un popolo abbandonato
dai vecchi e cattivi pastori proprio nel mo­
mento della sciagura. Facendo eco al suo
collega di Montpellier, il prefetto di Marsi­
glia coglie questo fatto nuovo, quando nota
che “questa volta il governo e il Maresciallo
hanno subito un’incontestabile perdita di
prestigio”58. Questa perdita di prestigio, il
prefetto di Tolone — nel cui porto militare
la flotta da guerra francese, praticamente
intatta, si è autoaffondata il 27 novembre,
per non dover scegliere tra cadere in mano
tedesca o raggiungere i porti nordafricani
— arriva a contabilizzarla in percentuali
spettacolari: “Un mese fa, il 60% dei fran­
cesi era indifferente all’esito della guerra, il
25% desiderava una vittoria anglosassone,
e il 15% una vittoria tedesca. Oggi, più del
29% dei francesi si augura con tutto il cuo­
re la disfatta delle forze dell’Asse [...]. Al
mattino del 27 novembre, davanti ai mezzi
impiegati per impadronirsi brutalmente del­
la nostra flotta, all’annuncio dell’ordine di
smobilitazione del nostro esercito, s’è risve­
gliato d’un sol colpo il senso patriottico, as­
sopito da lungo tempo. Ora tutti piangono
la nostra flotta e quelli che son caduti per
55 Ivi.
56 AN/F60 504, I d e m , Novembre 1942.
57 AN/F1CIII 1 2 0 1 . P r e f e c t u r e R e g i o n a l e d e M o n t p e l l i e r ,
58 AN/F1CIII 1143, B o u c h e s - d u - R h ô n e , 5 d i c e m b r e 1942.
5 d ic e m b re 1942.
L’opinione pubblica nella Francia di Vichy
distruggerla”59. Lo sbarco degli Alleati in
Marocco provoca quindi un distacco decisi­
vo tra il regime di Vichy e i cittadini france­
si, i quali percepiscono molto esattamente
che ci si trova ad un punto di svolta della
guerra, perché i tedeschi hanno esaurito la
loro lunga, ininterrotta avanzata e comin­
ciano a ritirarsi sui principali teatri d’opera­
zione. Questa constatazione provoca una
caduta verticale del residuo consenso intor­
no al governo di Vichy, che è invece deciso
ad insistere nella strada che ha cominciato a
percorrere fin dai primi giorni del regime:
ritrovare un posto alla Francia nell’Europa
dominata da Hitler.
Una settimana dopo lo sbarco alleato in
Nordafrica, e quattro giorni dopo l’ingres­
so della Wehrmacht e dell’esercito italiano
in zona libera, si tiene a Vichy un Consi­
glio dei ministri, copia del cui resoconto è
conservata tra le carte del capo dello Stato.
Va le la pena di riportarne qualche estrat­
to, per mostrare come la strada scelta da
Lavai e dai suoi ministri vada in direzione
del tutto opposta ai desideri e alle aspettati­
ve della maggior parte dei francesi: “Il Ca­
po del Governo ha preso come base di di­
scussione un progetto di comunicato, il cui
esame doveva provocare le reazioni di di­
versi ministri.
39
Questo progetto esponeva sommariamen­
te l’evoluzione dei rapporti franco-tedeschi
durante gli ultimi mesi e concludeva con la
constatazione dello stato di guerra tra la
Francia da una parte, l’Inghilterra e gli Sta­
ti Uniti dall’altra [...]. Dopb una discussio­
ne d’altissimo livello, il presidente Lavai ha
constatato l’esistenza di due tendenze:
la prima tendenza, registrando lo stato
attuale dell’opinione pubblica e lo stato
d’animo della marina e dell’aviazione, ripu­
gna ad impegnarsi in una strada che può
condurci ad una dissidenza generalizzata in
seno allo stesso esercito metropolitano e ad
una divisione tra francesi, che può sfociare
in una guerra civile;
la seconda tendenza, che sembra rag­
gruppare la grande maggioranza dei mini­
stri, considera che è venuto il momento di
fare una scelta politica netta, e di riferirsi
al comunicato del cancelliere Hitler dell’8
novembre, per arrivare ad un’alleanza poli­
tica.
Questa tendenza è stata precisata da un
ministro, che ha insistito sulla necessità per
la Francia di riprendere il suo rango di gran­
de paese, definendo una politica chiara, an­
che se essa dev’essere pericolosa. A suo avvi­
so, è il solo modo di rifare l’unità nel paese e
gettare lo scompiglio nella dissidenza [...].
59 AN/F1CIII 1194, V a r , 3 dicembre 1942. Percorrendo a ritroso il cammino seguito dall’esercito d ’occupazione te­
desco, e portandoci nella parte del paese che è occupata da ormai più di due anni, è possibile verificare reazioni so­
stanzialmente analoghe. I contadini dell’Ile de France, dove “la tendenza antitedesca è diventata antigovernativa”
per almeno “il 90% della popolazione”, che copre “d’un discredito totale [...] la stampa e la radio francesi”, permet­
tendo alla “propaganda antifrancese rapidissimi progressi” (AN/F1CIII 1189, S e i n e - e t - M a r n e , 3 dicembre 1942);
gli abitanti dell’Orléanais, tra i quali fino a poco tempo prima “esisteva una categoria di cittadini che dava fiducia al
governo e preferiva una vittoria tedesca ad una anglosassone” , mentre adesso sarebbe vano cercare “un francese su
100 che ammetta che la Germania possa vincere, e che se ne rallegri” (AN/F1CIII 1163, L o i r e t , 5 dicembre 1942);
sono solo alcuni esempi dell’isolamento in cui la politica di Vichy è caduta, anche tra cittadini che non hanno mai
avuto particolare simpatia per le forze antifasciste. Un isolamento che non risparmia neanche alcune istituzioni che
sono pilastri tradizionali dell’attuale regime: “Lo stato d ’animo della polizia riflette in qualche misura quello della
popolazione: se ci si può fidare totalmente per la repressione anticomunista, si registra ancora una certa reticenza
nella lotta contro il gollismo. Il 60% del personale resta antitedesco e anglofilo. [...]. Gli ambienti ecclesiastici, per
timore di un regime autoritario e per voler seguire l’opinione della massa, non solo non sono conquistati alla politica
del Presidente Lavai, ma per giunta non esitano a tenere pubblicamente propositi tendenziosi o a doppio senso, per­
fino dal pulpito” (A N /F1C III1188, S e i n e - I n f e r i e u r e , 5 gennaio 1943).
40
Giorgio Caredda
La Francia non dovrebbe più essere trattata
da sconfitta ma da alleata”60.
Quanto questa prospettiva sia realistica, lo
può verificare chiunque tenga conto del fatto
che dei tre elementi di cui Vichy avrebbe po­
tuto valersi finora nella trattativa con Berli­
no (l’impero, la marina, il ventilato passag­
gio di Pétain dall’altra parte del Mediterra­
neo), non ne resta più alcuno. Il secondo go­
verno Lavai, accentuando la scelta di fondo
compiuta dal precedente ministero Darlan, si
consegna mani e piedi legati a Hitler. In que­
sto stesso periodo appaiono forme nuove,
più larghe e più dure, d’opposizione al regi­
me e all’occupazione, oramai divenuta tota­
le, ivi compreso un aumento della resistenza
armata; proprio in ottobre del resto, nuovi
dipartimenti (è il caso della Savoia) entrano
nel novero di quelli in cui si verificano atten­
tati e sabotaggi. E del resto le truppe d’occu­
pazione che s’inoltrano nei territori dell’ex
zona libera non possono certo aspettarsi ac­
coglienze entusiastiche: nell’Isère gli italiani
(che hanno attraversato la linea di demarca­
zione I’ll novembre, al pari dei tedeschi)
piombano nel bel mezzo d’una manifestazio­
ne operaia — e solo operaia — che comme­
mora, seguendo l’indicazione della Resisten­
za, la vittoria francese nell’altra guerra: “È
nella classe operaia che i manifestanti sono
stati i più numerosi; in effetti, mentre il 14
luglio molti borghesi avevano preso parte al­
la sfilata, I’ll novembre i lavoratori hanno
scatenato un movimento di sciopero quasi
generale nella metallurgia; il che dimostra
chiaramente lo stato d’animo degli operai e
le loro tendenze”61.
Pierre Lavai è sicuramente il miglior pro­
pagandista dei suoi avversari: se è ben vero
che Vichy non ha mai avuto, neppure agli
esordi, un’adesione operaia, durante il 1943 i
crescenti costi umani della politica di colla­
borazione ostinatamente perseguita dal go­
verno spingono la grande maggioranza dei
lavoratori francesi da un atteggiamento di ri­
fiuto politico a un inizio di mobilitazione at­
tiva contro il regime di Pétain e l’occupante.
Il ponte fra le due fasi è costituito dalla “de­
portazione industriale”, l’emigrazione coatta
nelle industrie del Reich.
Le autorità collaborazioniste sanno bene
che gli operai francesi non vogliono andare a
lavorare in Germania; in ogni angolo del
paese, la relève s’è dimostrata un fiasco, ed è
servita soltanto a rendere più teso il rapporto
con gli operai: all’inizio dell’anno, per esem­
pio, il prefetto del Nord accusa i comunisti di
“sfruttare l’ostilità degli operai” , le loro
“naturali tendenze” a non espatriare, esor­
tandoli “a non rispondere alle convoca­
zioni” . Che questa “campagna incontri
un’accoglienza molto favorevole”, il prefet­
to lo dimostra con alcune cifre: a Valencien­
nes, su 600 convocati, si sono presentati sol­
tanto 224 persone, di cui appena 101 hanno
firmato il contratto; a Cambrai, i convocati
sono stati 901, e sui 245 che hanno risposto
son stati effettivamente assunti 177
lavoratori62. L’evasione è grossa, e segna —
qui come nel resto del paese — il fallimento
della relève lavaliana: per garantire l’approv­
vigionamento di manodopera francese alle
industrie tedesche, il governo deve passare a
forme di reclutamento ben più costruttive. II
16 febbraio 1943 viene così istituito il lavoro
coatto per alcune classi di giovani, quelle che
in tempi normali sarebbero mobilitate per il
servizio militare: è il Service du travail obli­
gatoire (Sto).
Nella regione parigina, il provvedimento
viene accolto con grande inquietudine, e
prende corpo la convinzione che “le partenze
60 A N /A G II26, C h e f d e l’É tat, Copie de compte-rendu du Conseil des Ministres, Vichy, 16 novembre 1942.
61 A N /F 1C III1157, I s è r e , 5 g e n n a i o 1943.
62 AN/F1CIII 1175, N ord, 3 febbraio 1943.
L’opinione pubblica nella Francia di Vichy
hanno l’unico fine si svuotare la Francia di
uomini validi che potrebbero insorgere con­
tro l’esercito d’occupazione, in caso di suc­
cesso angloamericano”63; nel Finistère, dove
già prima del 16 febbraio l’opinione pubblica
riteneva che “gli operai esportati in Germa­
nia, più che a lavorare nelle fabbriche del
Reich, sono destinati a costituire — per una
Germania che scivola verso la sconfitta —
un’importante massa d’ostaggi da usare co­
me merce di scambio per la conclusione d’una pace più favorevole”64, lo svolgimento
delle prime operazioni applicative del Servi
del lavoro obbligatorio dà luogo a reazioni
esplicitamente ostili, abbastanza inusitate in
questo dipartimento bretone, finora relativa­
mente tranquillo.
I giovani, che si sottraggono allo Sto (“re­
frattari” , nel linguaggio burocratico) e si
danno alla macchia, cominciano a costituire
numerosi maquis. Uno dei più forti, fin dal­
l’inizio, è quello dell’Alta Savoia, dove i re­
nitenti trovano ospitalità e comprensione at­
tiva da parte della popolazione: “La popola­
zione non esita ad approvare i designati che
si rifiutano di rispondere alle convocazioni,
li incoraggia a nascondersi in montagna e ne
garantisce la sussistenza. Questo stato d’ani­
mo rende difficile le ricerche dei servizi di
polizia e di gendarmeria, che non possono
41
aspettarsi nessun aiuto dalla popolazione.
Si tratta d’una situazione di cui bisogna
sottolineare la gravità. Dalle informazioni
che mi sono appena giunte, risulta che diver­
se centinaia di refrattari si sono già rifugiati
in montagna, dove s’organizzano in vista
d’una resistenza attiva. Dispongono d’armi e
munizioni”65.
Da subito, le operazioni di reclutamento
dei giovani da mandare a lavorare in Germa­
nia pongono dunque un grave problema di
polizia, a causa dell’entità davvero rilevante
della renitenza. Le misure adottate dal pre­
fetto appena citato — e non dimentichiamo
che il rapporto in questione riguarda lo stes­
so mese in cui è stato istituito lo Sto — lo ri­
velano senz’ombra di dubbio: non appena
designato per la partenza, l’operaio requisito
viene segregato in un apposito centro di rac­
colta sorvegliato dai gendarmi, viene scorta­
to da poliziotti in borghese all’ospedale per
la visita medica e all’ufficio di collocamento
tedesco per le formalità amministrative, e in­
fine viene ricondotto al centro di raccolta fi­
no al giorno in cui partirà. Soltanto con que­
sti accorgimenti — che giustificano piena­
mente l’uso del termine “deportazione indu­
striale” — si riesce a fornire una parte dei
contingenti imposti dal “plenipotenziario per
la manodopera” Sauckel. Ancora a giugno,
63 AN/F1CIII 1190, S e i n e - e t - O i s e , 3 aprile 1943.
64 AN/F1CIII 1153, F i n i s t è r e , 1° febbraio 1943. “A Quimper i giovani hanno sfilato per le strade intonando canti
ingiuriosi per il governo, il cui capo è particolarmente preso di mira. Alcuni rappresentanti della Lvf, venuti alla visi­
ta medica, sono stati brutalmente picchiati, e si è dovuto procedere a diversi arresti. A Brest, in Municipio, i giovani
hanno distrutto le liste del censimento e hanno formato cortei al canto dell’ ‘Internazionale’. Incidenti simili sono
stati segnalati in altri comuni del dipartimento”(A N /FlC III 1153, I d e m , 1° aprile 1943); 10.000 giovani delle tre
classi del dipartimento (il 50% del totale) non si son fatti censire. Sono i segni del fatto che l’opposizione allo Sto non
solo è devastante per il già non molto alto ‘indice di gradimento’ del governo di Vichy, ma che in più essa produce
una radicale disobbedienza civile; ed anche chi parte, chi non si nasconde in città o in campagna, molto spesso Io fa
in un’atmosfera di palese opposizione al governo. Tra gli innumerevoli esempi che offrono in questi mesi le stazioni
ferroviarie di Francia, prendiamo il caso dell’Haute-Vienne: “Le partenze sono state tutte accompagnate da grida
ostili ai governi tedesco e francese, al canto della ‘Marsigliese’ e dell’ ‘Internazionale’. I vagoni sono stati tappezzati
di scritte ingiuriose, e sono stati provocati ritardi col segnale d ’allarme. Alla stazione di Saint-Sulpice-Laurière, du­
rante la sosta del treno proveniente da Guéret, una cinquantina di giovani sono scesi ed hanno compiuto violenze,
tentando di disarmare i gendarmi di guardia. È stato eseguito qualche arresto” (AN/F1CIII 1197, H a u t e -V i e n n e , 6
aprile 1943).
65 AN/F1CIII 1 1 8 7 , H a u t e -S a v o i e , 4 m a r z o 1 9 4 3 .
42
Giorgio Caredda
le autorità di Digione riconoscono che nella
loro regione “il Servizio del lavoro obbliga­
torio esercita sempre meno un’azione di re­
clutamento e sempre più un’operazione di ri­
cerca dei refrattari”66.
Sempre più spesso i massimi dirigenti
dell’apparato statale di Vichy devono occu­
parsi della renitenza allo Sto; i più alti re­
sponsabili della politica economica, adattan­
do il loro spirito manageriale alle poco entu­
siasmanti necessità del momento, si trasfor­
mano in specialisti d’operazioni poliziesche
per “stanare” i giovani francesi che non vo­
gliono andare a lavorare nelle fabbriche d’ol­
tre Reno67.
Durante l’estate 1943 appare ormai chiaro
che una parte consistente della leva per il la­
voro obbligatorio s’è in realtà trasformata in
una leva per la Resistenza: anche se non tutti
i “refrattari” si trasformano in combattenti
attivi della liberazione nazionale, è un dato
di fatto che moltissimi giovani che si danno
alla macchia vanno ad ingrossare i maquis
già esistenti, o ne creano di nuovi. La mappa
dei maquis di renitenti alla leva dello Sto ten­
de a coincidere con quella delle bande partigiane: è in questi mesi che i dirigenti della re­
sistenza armata trovano il grosso delle loro
truppe, estendendo il raggio d’azione dall’at­
tività “gappista” dei grandi centri urbani a
operazioni sempre più frequenti di guerriglia
partigiana. La ricerca dei renitenti e la lotta
antipartigiana finiscono per essere dunque
due facce della stessa medaglia. Sotto
quest’aspetto, lo svolgimento d’una riunione
di prefetti regionali, convocati da Pierre La­
vai alla fine di settembre è esemplare: “Il
Presidente del Consiglio parla per primo:
Giacché le partenze degli studenti sono del
tutto insufficienti e debolissime (qualche de­
cina o qualche centinaio su migliaia), è ne­
cessario adottare misure per recuperarli.
Malgrado tutte le convocazioni e tutti gli av­
vertimenti, continuano a sparire. Il Presiden­
te ritiene che bisogna procedere al loro arre­
sto, senza esitazione e prioritariamente; sono
istruiti, bene educati, e danno il cattivo
esempio, il che è inammissibile. Il Presidente
ha preso degli impegni con le autorità tede­
sche e desidera mantenerli [...].
Certi prefetti ritengono che il lavoro di re­
cupero dei refrattari è su una buona strada,
che in certi casi il loro numero è diminuito di
molto, la qualcosa soddisfa il Presidente, che
chiede ai prefetti regionali di agire utilizzan­
do i procedimenti più adatti alla loro regio­
ne. Il Presidente ritiene ugualmente che biso­
gna usare la formula basata sul Comune, ser­
vendosi meglio dell’influenza dei sindaci e
dei maestri, ed anche di quella dei parroci di
campagna che possono svolgere un’azione
efficace sui loro parrocchiani”68.
66 AN/F1CIII 1199, P r e f e c t u r e R e g i o n a l e d e D u o n , 3 lu g l io 1943.
67 AN/F1CIII 1199, P r e f e c t u r e r é g i o n a l e d e C l e r m o n t - F e r r a n d , 5 agosto 1943, riferisce d’una riunione svolta­
si a Parigi il 30 luglio: il ministro della Produzione industriale Jean Bichelonne ha convocato parte del suo staff mini­
steriale (Weinemann, Calan, Sciandra), le principali autorità amministrative della regione e i competenti servizi tede­
schi (Ritter e i suoi collaboratori di Parigi e Clermont-Ferrand) per mettere a punto una serie di misure che combatta­
no sul terreno la renitenza, riducendo il numero dei refrattari.
68 P r é s i d e n c e d u c o n s e i l , Réunion des préfets régionaux présidée par M. Laval, 21 settembre 1943 (conservato al
Musée de la Résistence d ’Ivry). La chiesa cattolica non sembra però in grado di rispondere alle aspettative di Lavai,
stando almeno all’esperienza riportata dal prefetto regionale della Bretagna in questa stessa riunione: “Il Prefetto re­
gionale di Rennes segnala il suo intervento presso Monsignor Duparc per chiedergli d’usare la sua influenza sui semi­
naristi, per incitarli a partire e dare così l’esempio. Monsignor Duparc ha promesso il suo appoggio al Prefetto regio­
nale ed ha inviato ai seminaristi una lettera. Malgrado ciò, non è partito nessun seminarista. Hanno raggiunto tutti il
maquis, ed ora stanno tra i refrattari. Il prefetto regionale di Rennes approfitta di quest’occasione per far notare che
non bisogna attendersi che la politica di persuasione possa portare a risultati straordinari, perché
se il vescovo non riesce sul suo clero e i suoi seminaristi, il prefetto regionale riuscirà ancor meno sui suoi ammini­
strati” .
L’opinione pubblica nella Francia di Vichy
Lavai intende dunque onorare i suoi impe­
gni e fornire ai nazisti tutti i contingenti di la­
voratori richiesti, con la speranza che essi,
una volta ricevute altre 200.000 persone —
più i renitenti — non avanzino altre pretese.
È una speranza fondata sui colloqui che pro­
prio in queste settimane Jean Bichelonne ha
avuto a Berlino con Albert Speer, e che lì a
poco porteranno all’istituzione delle cosid­
dette Speer-Betriebe69. Per poter raggiungere
questo risultato, e quindi la fine del drenag­
gio di manodopera, bisogna che tutti gli ope­
rai finora previsti raggiungano la Germania;
si ripropone quindi in tutta la sua urgenza il
problema principale, la caccia poliziesca ai
renitenti. Su questo terreno, il capo del go­
verno lascia carta bianca ai prefetti regionali,
che si ritrovano così fra le mani una vera e
propria patata bollente: “Il Prefetto regiona­
le di Limoges sottolinea la gravità della situa­
zione in Corrèze e nella Creuse, dove s’assi­
ste ad una vera mobilitazione dei giovani che
si danno alla macchia.
Il Presidente Lavai gli risponde, indicando
che è il caso di prendere le misure necessarie
d’accordo con Bousquet e le autorità tede­
43
sche. Il Presidente ritiene che le forze di polizia
sono insufficienti per arrivare ad un buon ri­
sultato [...]. Alcuni prefetti regionali segnala­
no che nei Pirenei e nelle Alpi la situazione è
ugualmente gravissima. I refrattari hanno tut­
ti false tessere alimentari. I refrattari sono ar­
mati meglio della polizia. Un tenente delle
guardie mobili è stato assassinato proprio in
questi giorni. II Presidente interviene per dire
che bisognerà dar prova d’abilità e pazienza.
Il Prefetto regionale di Lione sottoli­
nea che l’operazione in corso nella sua re­
gione, dove grazie ad importanti retate
operate da gruppi speciali della polizia re­
gionale sono stati effettuati più di 300 ar­
resti, ha permesso l’invio di 150 operai in
Germania.
Il Prefetto regionale di La Rochelle non
condivide quest’ottimismo. Egli ritiene che
ci sono nella regione da 14 a 16.000 refrat­
tari. Pensa che bisogna cominciare le ope­
razioni su base comunale. Richiede forti
contingenti di polizia per ridurre le bande
organizzate e potenti. Teme che i tedeschi
siano sul punto di prendere in mano la
questione, il che è da evitare”70.
69 Presente alla riunione, Bichelonne ha spiegato ai prefetti regionali le prospettive incoraggianti aperte dai suoi
incontri berlinesi ed ha esposto i vantaggi derivanti dalla ‘protezione’ del nuovo responsabile di tutta l’industria
d’armamento tedesca sulla manodopera francese, parzialmente riconvertita a produzioni che soddisfino il mer­
cato civile della Germania: “Le industrie francesi fabbricherebbero sempre meno armi e in compenso verrebbe
aumentata la produzione d’altri oggetti commerciali; ad esempio, per quanto riguarda le biciclette la produzio­
ne potrebbe venire raddoppiata. Si potrebbe ugualmente fabbricare rubinetteria, cuscinetti a sfera, schermi: ciò
permetterebbe d’utilizzare da noi la mano d ’opera francese ed eviterebbe il suo invio in Germania”. Effettiva­
mente, qualche settimana dopo, il “Ministro del Reich per l’armamento e la produzione bellica” decide di clas­
sificare Speer-betriebe le imprese dell’industria estrattiva, siderurgica, edilizia, di semilavorati e prodotti finiti,
artigiane, che abbiano un minimo di dipendenti da stabilire settore per settore e che ottemperino ad una condi­
zione essenziale: almeno il 70% della loro produzione dev’essere destinato alla Germania, secondo un piano
stabilito dal servizio tedesco competente. Le imprese in questione sono “protette” dal “prelievo d ’operai”. Da­
vanti ai giudici di Norimberga, Speer spiegherà le ragioni della sua opposizione alla politica di “deportazione
industriale” applicata da Sauckel, partendo proprio dai turbamenti gravi che il drenaggio di manodopera e la
concomitante resistenza operaia provoca nell’apparato produttivo dei territori occupati: le misure di forza face­
vano “correre il rischio di vedere la gente fuggire in gran numero nelle foreste per non essere trasferita in Ger­
mania, ed andare a rafforzare i movimenti di resitenza”, con la conseguente “recrudescenza dei sabotaggi, che
aveva per risultato una diminuzione della produzione nelle regioni occupate” (Tribunal Militaire Internatio­
nal de N uremberg, Procès de grands criminels de guerre, texte officiel en langue française, t. XVI, udienza
del 20 giugno 1946, p. 476).
70 P résidence du Conseil, Réunion des préfets régionaux, cit.
44
Giorgio Caredda
Poco tempo dopo, gli accordi SpeerBichelonne, che prendono atto dell’imponen­
te renitenza allo Sto e per il momento in­
terrompono le requisizioni di manodopera,
sono ampiamente pubblicizzati dal gover­
no, ma essi non sortiscono gli effetti di­
stensivi che autorità tedesche e collaborazioniste s’attendevano: così ad esempio,
nella Drôme i giovani continuano a salire
sul Vercors, perché sono convinti che “in
caso di prolungamento della guerra,
reincorporandosi all’economia nazionale ri­
schierebbero d’essere ripresi per una par­
tenza in Germania all’inizio del ’44, visto
che quest’accordo concerne soltanto l’anno
in corso”71; nella regione di Bordeaux, “i
recenti accordi relativi agli effettivi del la­
voro obbligatorio in Germania non hanno
avuto l’accoglienza che ci si augurava; in
molti ambienti essi sono considerati una
diversione, in vista di altri appelli alla ma­
nodopera francese”72; stesso suono di cam­
pana a Montpellier, dove le dichiarazioni
di Bichelonne “non hanno tolto niente allo
scetticismo della maggioranza degli interes­
sati”, secondo i quali l’obiettivo ricercato
era “dissociare i gruppi di refrattari” e
“raggruppare fin d’ora i lavoratori da far
ripartire in Germania”73. L’aspettativa pes­
simistica dei diretti interessati, giustificata
dall’esperienza di tutti questi anni, verrà
effettivamente confermata tra qualche me­
se, quando i tedeschi imposteranno un’en­
nesima ‘azione Sauckel’ con metodi di re­
clutamento ancora più drastici, e le strade
delle città francesi saranno teatro di gigan­
tesche retate, organizzate congiuntamente
dagli uomini del nuovo segretario all’ordi­
ne pubblico, il capo della milizia Joseph
Darnand, e dai gendarmi tedeschi.
Tra le cause del rilevante fenomeno di
renitenza alla leva per il lavoro obbligatorio in Germania, c’è una convinzione sem­
pre più diffusa nella popolazione francese,
una convinzione che consente di affrontare
meglio il periodo d’illegalità, di latitanza,
che vedono spalancarsi davanti quanti scel­
gono di darsi alla macchia per sottrarsi al­
la deportazione. All’inizio dell’estate 1943,
in ogni angolo del paese ha preso corpo
una robusta speranza: la guerra non tarde­
rà a finire, grazie ai successi anglosassoni
in Africa e alle vittorie dell’Armata rossa.
Gli effetti della svolta della guerra della fi­
ne del 1942 cominciano a farsi sentire con
forza, e le decine di migliaia di giovani
operai, contadini, studenti che formano in
questi mesi degli importanti maquis non si
sentono dei disperati fuorilegge, ma si con­
siderano piuttosto come fratelli d’arme di
chi ora sta vincendo la guerra.
Già subito dopo Stalingrado appaiono
innumerevoli segni del fatto che la maggio­
ranza dei francesi ha capito esattamente il
cambiamento decisivo che s’è prodotto nei
rapporti di forza tra i due blocchi conten­
denti: “Le serie difficoltà che attualmente
gli eserciti del Reich incontrano sul fronte
dell’Est sono state in genere accolte con
molto favore dalla massa della popolazio­
ne. A Stalingrado, per la prima volta dal­
l’inizio della guerra, un gruppo importante
d’armate tedesche s’è trovato accerchiato
su un punto del fronte e costretto alla resa
[...]. Alcuni vogliono credere che il regime
sovietico attuale s’è profondamente modi­
ficato e che tende ad avvicinarsi a quello
delle grandi democrazie”74.
Sta già nascendo un elemento caratteristi­
co del patrimonio comune di tutta la resi-
71 A N / F I C I I I 1 1 5 2 , D r ô m e , 3 n o v e m b r e 1 9 4 3 .
72 A N / F I C H I 1 1 9 9 , P r e f e c t u r e
r e g io n a l e d e
73 A N / F 1 C I I I 1 2 0 1 , P
r e f e c t u r e r e g io n a l e d e
74 A N / F 1 C I I I 1 1 7 5 , N
ord,
3 fe b b ra io 1943.
B o r d e a u x , 5 n o v e m b re 1943.
M
o n t p e l l ie r ,
7 d ic e m b re 1943.
L’opinione pubblica nella Francia di Vichy
stenza francese ed europea di questi anni: le
vittorie dell’Armata rossa producono un
cambiamento dell’atteggiamento antisovieti­
co di tanta parte della popolazione francese.
Gli effetti di Stalingrado annullano a tal
punto le conseguenze del patto RibbentropMolotov da far estendere il giudizio positivo
dell’efficienza militare al carattere stesso del
regime interno sovietico. Il prefetto regiona­
le di Lione può dire in modo lapidario: “Il
bolscevismo è finito. Non è più uno spaurac­
chio nella mani del Governo. Talvolta si sen­
tono degli operai che dicono: ‘Noi avanzia­
mo in Russia!”’75. È da notare che questo fe­
nomeno non si limita ad interessare gli ope­
rai di Lione o i minatori e i métallos di Lilla;
anche all’altro capo del paese, a Bordeaux,
“la lotta gigantesca delle truppe tedesche
contro i Soviet ha monopolizzato l’attenzio­
ne di quasi tutta la popolazione”, che a gran­
de maggioranza “resta favorevole al predo­
minio russo su quel fronte”: “Benché alcu­
ni iconoscano il pericolo bolscevico, essi
pensano che la Russia, sfinita e distrut­
ta, dopo la guerra non sarebbe più in gra­
do d’installare il comuniSmo in Europa,
pretendendo inoltre che le idee e i costumi
dei popoli occidentali s’oppongono all’in­
staurazione di questo regime nel loro paese, e
che d’altra parte il comuniSmo si è decisa­
mente edulcorato”76.
Il comuniSmo e l’Unione Sovietica non
fanno dunque più paura; è una novità di ri­
lievo, che si accentua ancora durante l’estate
del 1943. Se in una regione moderata come la
Normandia non si sta più a “discutere le pos­
sibilità dell’uno e dell’altro gruppo di bellige­
ranti”, giacché decisamente “la Germania ha
perso la partita”, e si pensa che intanto, do­
75
76
77
78
79
45
po la guerra, “il blocco anglosassone impedi­
rà la diffusione del comuniSmo in
Europa”77, nella regione di Grénoble l’am­
mirazione per i combattenti sovietici, incon­
trandosi con il desiderio di vedere libero al
più presto il proprio paese, cresce in propor­
zione diretta ad una certa delusione nei con­
fronti degli angloamericani: “L’opinione
pubblica, che si augura la sconfitta della
Germania, giudica con grande severità l’at­
teggiamento degli angloamericani nei con­
fronti del loro alleato sovietico, ritenendo
che essi non forniscono lo sforzo necessario
per far concludere la guerra nel prossimo fu­
turo; essa afferma che gli inglesi e gli ameri­
cani sono più forti intorno a un tavolo che
sul campo di battaglia”78.
“Gli assalti incessanti dell’Armata rossa”
convincono anche gli abitanti della regione di
Bordeaux che è inutile “credere alla ressurrezione dell’esercito tedesco, davanti alla massa
d’uomini e di materiale gettata nella battaglia
dal comando sovietico”, mentre viene critica­
ta “la lentezza dell’avanzata angloamericana
in Italia”79. Un’ultima citazione, da Chalonssur-Marne: “Certamente gli Alleati continua­
no a riportare successi offensivi, ma la fla­
grante sproporzione tra le conquiste di territo­
rio dell’Est e la lenta risalita dello stivale ita­
liano da parte degli anglosassoni, suscita con­
tinui commenti ironici per questi ultimi.
Lo sguardo di quanti desiderano una vitto­
ria delle democrazie si rivolge alla battaglia
d’Ucraina, anche se molti vedono con preoc­
cupazione la potenza della macchina da
guerra sovietica, perché sanno che essa è al
servizio d’un regime che hanno pregustato
nel 1936, e di cui l’Algeria sta ora compiendo
la dolorosa esperienza; essi ne temono il ri-
A N /F1C III 1200, P refecture regionale de Lyon, 5 febbraio 1943.
A N /F 1 C III 1 1 5 5 , G i r o n d e , 3 a p r i l e 1 9 4 3 .
AN/F1C1II 1188, Seine-Inferieure, 2 settembre 1943.
A N /FICHI 1157, Isère, 30ottobre 1943.
A N /F1C III 1199, P refecture regionale de Bordeaux, 5 novembre 1943.
46
Giorgio Caredda
torno brutale, giacché la Conferenza di
Mosca ha confermato che è Stalin a con­
durre il gioco diplomatico nel clan degli
Alleati”80.
Il timore del prefetto Peretti della Rocca
esprime bene la paura di buona parte della
borghesia francese di vedere, alla fine della
guerra, i cosacchi abbeverare i loro cavalli
nelle acque della Senna; è anche uno spau­
racchio che, agitato nel corso d’una guerra
civile condotta nella primavera 1944, non
impedirà a molti francesi di partecipare alla
liberazione del loro paese, una volta realizza­
to il tanto atteso secondo fronte.
80 AN/FICHI 1199, P refecture regionale de Chalons-sur-Marne, 5 novembre 1943.
Giorgio Caredda