Riccardo III e le Regine

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Persinsala Teatro
Simona Maria Frigerio
novembre 7, 2016
Al Cantiere Florida di Firenze va in scena Riccardo III e le Regine. Più
uno studio che uno spettacolo finito.
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Premessa. Riccardo III c’è. E De Summa ammicca da autentico villain
shakespeariano al suo pubblico, ammaliando ancora oggi la platea, come
lo fu ai suoi tempi Baudelaire. Il deforme, spinto anzitempo nel pulsante
mondo in una forma appena abbozzata, ha la retorica di un novello
Goebbels da propaganda di regime e l’appeal del Satana miltoniano –
perché è “meglio regnare all’Inferno, che servire in Paradiso”. Solo nel
finale, ancora abbozzato, il personaggio si sdrucisce laddove il rimorso –
che dovrebbe essere suscitato dalle accuse dei fantasmi delle sue vittime,
appena accennate – appare poco credibile, mentre “Il mio regno per un
cavallo” sfugge ironicamente dalle labbra dell’usurpatore, come una
boccia da bowling afferrata malamente.
Il dialogo tra Lady Anna (Marina Occhionero) e Riccardo, il fine eloquio che
piega la volontà e ammalia i sensi, c’è pure lui. Il mutare dei sentimenti
della giovane vedova è realistico, la costruzione dei due personaggi che si
affrontano nella schermaglia dei sentimenti credibile e appassionata.
Così come Isabella Carloni è una Banshee convincente, che canta il suo
strazio quando veste i panni della Regina Margherita, dannata nel suo odio
irriducibile e miope di fronte ai suoi stessi peccati (aderendo così
perfettamente ai voleri shakespeariani). E la sua voce e le musicalità alle
quali attinge precipitano palco e platea in un terrore ancestrale, che ben si
addice al testo. Purtroppo, la Carloni risulta meno credibile quando
dovrebbe modulare le infinite tonalità emozionali della Duchessa di York
che, non a caso, pronuncia – prima delle invettive – la frase di una madre
addolorata, che sta per raccontare il suo strazio e rinnegare il suo stesso
figlio: “I will be mild and gentle in my words” (“sarò dolce e gentile nelle
mie parole”).
Marco Manfredi è un Duca di Buckingham credibile ed efficace, istrionico e
accattivante. Il dialogo finale tra lui e Riccardo, se fosse sostenuto un po’
più a lungo, potrebbe essere la scena perfetta per comunicare al pubblico
tutta l’angoscia che si prova di fronte al potere quando si sa che le proprie
fortune e persino la propria vita dipendono dai suoi capricci e non da leggi
chiare, valide per tutti.
Dal punto di vista del testo, i tagli funzionano (almeno per tre quarti dello
spettacolo). Anche la suddivisione delle scene, la scelta delle luci e le
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entrate e uscite hanno un buon ritmo e rendono l’azione conseguente, e
comprensibile anche a chi potrebbe non essere edotto sull’intera stirpe
degli York. Ottima l’idea di tagliare le scene di guerra, alquanto
anacronistiche a teatro, e di concentrarsi (come fece Carmelo Bene) sui
rapporti interpersonali di Riccardo, con quelle donne – vittime e carnefici,
complici e nemiche, amanti e supplici – che ammalia con l’unica, vera
arma in suo possesso: ossia, la sua retorica.
Però. E qui andiamo oltre la premessa. Ci sono alcuni nodi che ancora non
sembrano risolti. Sebbene si capisca di trovarsi di fronte a un esperimento
di attualizzazione di Riccardo III che potrebbe convincere, alcune scelte
appaiono abbozzate quanto il protagonista shakespeariano.
In primis, se ci concedete un paragone forse un po’ desueto, i personaggi
sembrano dei solisti di un’orchestra senza direttore. Manca quella
univocità di senso e di interpretazione che dà unità alle esecuzioni, in una
sinfonia. Un esempio, fra tutti. Lady Anna, dopo essere risultata
estremamente credibile nel dialogo con Riccardo (fedele a un buon teatro
di tradizione), si trasforma in una Nancy (privata del suo Sid), calata in
un’opera rock, vestita da punkettara, che si spara una pera (e usiamo
questo linguaggio perché è quello più esatto per descrivere quanto messo
in scena, con una tale dovizia di particolari da mostrare il cucchiaino
scaldato con la fiamma e il picchiettarsi il braccio per far risaltare la vena
pronta all’ago). Nessuno avrebbe da obiettare se questa fosse la lettura
complessiva dell’opera. Ma non è così. E la versione punk ha poco a che
fare sia con l’ironia gigiona del Riccardo delle prime scene o con i vocalizzi
da musica tradizionale della Regina Margherita, sia con la resa credibile e
tradizionale del dialogo agito dalla stessa Lady Anna.
Il secondo punto che vogliamo sottolineare è la resa, a volte monocorde,
dei personaggi. Abbiamo già scritto del dialogo della Duchessa di York, ma
è soprattutto la figura della Regina Elisabetta (interpretata da Silvia
Gallerano, la straordinaria protagonista de La merda) che non convince. Il
suo monologo, con quelle ripetizioni di “io, io, io”, sembra indugiare verso
un crescendo rap che, poi, le sfugge di mano trasfromandosi in
un’invettiva monotòno. Così come il dialogo finale con Riccardo risulta
privo di sfumature emotive e, di conseguenza, vocali. Più che di fronte al
personaggio shakespeariano, a suo modo umano e credibile (almeno fin
quasi alla fine), pare di trovarsi di fronte a un’altra Regina Margherita –
imperterrita nella sua vocazione all’annichilimento. In breve, è come se i
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personaggi sapessero già il finale e corressero imperterriti verso quel
j’accuse contro Riccardo saltando qualsiasi emozione diversa dall’odio, e
dimenticando che Riccardo è anche l’affabulatore che conquista con la sua
loquela, il potente da temere perché può uccidere loro e i loro amati, il re
che bisogna pur sempre obbedire, il tiranno che comanda sui sudditi in
maniera assolutistica, e il maschio che ha imperio sulle donne (in un’epoca
che non sembra molto diversa da quella attuale).
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Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Cantiere Florida
via Pisana 111r – Firenze
venerdì 4 e sabato 5 novembre, ore 21.00
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L’acustica non perfetta e la musica, a volte, troppo alta (e non sempre
convincente) rendono le parole di difficile comprensione e, ti tanto in
tanto, più che perdere l’ultima sillaba si perde l’intera frase.
Non si può che concludere che il canovaccio c’è, ed è interessante. La
linea di ricerca sembra ben diretta e i risultati potrebbero essere notevoli.
Ma i tempi della creatività e quelli della produzione non sempre coincidono
e questo, purtroppo, va a detrimento della prima.
La Corte Ospitale presenta:
Riccardo III e le Regine
da William Shakespeare
ideazione e regia Oscar De Summa
con Oscar De Summa
e con Isabella Carloni, Silvia Gallerano, Marco Manfredi e Marina Occhionero
scene Matteo Gozzi e laboratorio scenotecnico di Armunia
luci Matteo Gozzi
costumi Emanuela Dall’Aglio
produzione La Corte Ospitale
in collaborazione con Armunia Centro di Residenze Artistiche Castiglioncello
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