Siena
Istituita dal Conte Guido Chigi Saracini nel 1932
Eretta in Fondazione con Decreto Presidenziale del 17 ottobre 1961
70a Settimana Musicale Senese
9-18 Luglio 2013
Siena
Pubblicazione della Fondazione
Accademia Musicale Chigiana - Siena
A cura di
Cesare Mancini
Composizione grafica e stampa
Tipografia Senese - Siena
In copertina
Charles Joshua Chaplin, Ragazza con colomba
Gli ornamenti inseriti agli angoli inferiori delle pagine sono, rispettivamente, un autografo di
Giacomo Puccini e parte dello stemma chigiano, e sono di proprietà dell’Accademia Musicale Chigiana
9 - 18 luglio 2013
Settimana Musicale Senese
70a edizione
Accademia Musicale Chigiana
Siena
Presidente
Gabriello Mancini
Vicepresidente
Vittorio Carnesecchi
Direttore artistico
Aldo Bennici
Direttore amministrativo
Angelo Armiento
Consiglio di Amministrazione
Maurizio Bettini Amministrazione Provinciale di Siena
Enrico Bindi Fondazione Monte dei Paschi di Siena
Beatrice Bizzarri Regione Toscana
Vittorio Carnesecchi Rettore Società Esecutori Pie Disposizioni
Andrea Fantozzi Fondazione Monte dei Paschi di Siena
Vittorio Innocenti Comune di Siena
Gabriello Mancini Presidente Fondazione Monte dei Paschi di Siena
Claudio Pieri Provveditore Fondazione Monte dei Paschi di Siena
Alessio Rosati Fondazione Monte dei Paschi di Siena
Roberto Saladini Comune di Siena
Paola Severini Ministero Beni e Attività Culturali
Collegio dei revisori dei conti
Effettivi
Marco Baglioni Fondazione Monte dei Paschi di Siena
Fabio Coviello Ministero Beni e Attività Culturali
Andrea Sbardellati Comune di Siena
Supplenti
Francesco Carvisiglia Ministero Beni e Attività Culturali
Lucia Mangani Fondazione Monte dei Paschi di Siena
Assistente del Direttore artistico
Cesare Mancini
Capo servizio attività didattiche e artistiche
Carla Bellini
Capo servizio segreteria amministrativa
Maria Rosaria Coppola
Sommario
7
9
13
Gabriello Mancini Saluto per la 70ª Settimana Musicale Senese
Aldo Bennici La Settimana Musicale Senese fra riscoperte, novità
del nostro tempo e gli omaggi a Berio, Verdi e Wagner
Programma generale
15
18
28
32
59
9 luglio - 10 luglio
Charles Gounod
Gérard Condé La Colombe
Cesare Mancini Una Colombe per Poulenc, attraverso Stravinskij
Libretto
Gli interpreti
65
68
76
11 luglio
Lucia Ronchetti
Lucia Ronchetti Drammaturgie per la Chigiana
Gli interpreti
79
81
86
89
92
99
115
117
12 luglio
Franz Liszt
Michele Campanella Le parafrasi di Liszt nei due bicentenari
paralleli
Gli interpreti
13 luglio
Georg Friedrich Händel
Raffaele Mellace «Hymen, a serenata», o i tormenti di Rosmene,
da Napoli a Dublino
Libretto
Brani di Georg Friedrich Händel eseguiti all’Accademia Musicale
Chigiana negli ultimi 20 anni
Gli interpreti
134
138
15 luglio
Francesco D’Orazio, Nicola Fiorino
Vincenzina Ottomano Tra virtuosismo e polifonia... I dialoghi di
Corelli e Berio con gli strumenti ad arco
Brani di Luciano Berio eseguiti all’Accademia Musicale Chigiana
Gli interpreti
141
144
149
17 luglio
Mahler Chamber Soloists
Francesco Ermini Polacci Takemitsu, Verdi, Brahms
Gli interpreti
151
154
161
18 luglio
Mahler Chamber Orchestra, Daniel Harding
Marina Vaccarini Le tante facce del do maggiore
Gli interpreti
123
125
Gabriello Mancini
Presidente
dell’Accademia Musicale Chigiana
Saluto per la 70ª Settimana Musicale Senese
«Facciamo rete, lanciamo un appello. Se uniamo le nostre voci forse qualcosa
succederà». Il messaggio forte che Salvatore Accardo ha rilasciato in una recente
intervista mi ha colpito per l’intensità del richiamo a porre attenzione sulla grave situazione in cui versa anche il settore della musica e che, quindi, ci riguarda da vicino.
Ci coinvolge a tal punto che non nascondo che la pianificazione della Settimana Musicale Chigiana di quest’anno sia stata particolarmente sofferta a causa
dell’incertezza delle risorse disponibili. Nonostante le oggettive difficoltà, però,
la 70ª edizione non risente qualitativamente di nessun tipo di approssimazione.
Tutt’altro.
Prime esecuzioni italiane e omaggi ai compositori di cui viene celebrata una
particolare ricorrenza; grandi orchestre, prestigiosi cantanti e musicisti internazionali vanno ad animare il cartellone denso e forbito della Settimana, che, come da
tradizione, combina spettacolo e musica, per stupire, appassionare ed emozionare,
in una forma esclusiva, ormai collaudata grazie alla pluriennale esperienza del direttore artistico Aldo Bennici.
Con questa edizione, termina la mia guida a questo straordinario ente dalle
eccezionali potenzialità, alcune ancora tutte da scoprire. Quello che la Chigiana ha
raggiunto e realizzato fino ad ora è un risultato tangibile, stimato e riconosciuto a
livello internazionale, ma è sul futuro che l’impegno deve essere ancor più determinante e decisivo. L’obiettivo ambizioso, infatti, è quello di evidenziare ulteriormente
l’unicità dell’Accademia, quale ente promotore dell’arte e della cultura, e di far leva
sulla qualità, associata all’immagine e al nostro marchio, per intensificare sostegni,
attirare nuove risorse finanziarie e “fare rete”, per salvaguardare il nostro settore.
Progetto proprio della Fondazione Monte dei Paschi, l’attività dell’Accademia Chigiana, e in particolar modo della Settimana Musicale Chigiana, è, ad oggi,
sostenuta da Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Toscana e Banca
Monte dei Paschi di Siena, Istituzioni a cui rinnovo il mio sentito ringraziamento
per la costante attenzione e sensibilità nei confronti dell’elevato valore culturale
che l’Accademia esprime e diffonde in tutto il mondo, con l’auspicio che il loro
supporto sia affiancato da ulteriori, determinanti e valide collaborazioni.
7
Aldo Bennici
Direttore artistico
dell’Accademia Musicale Chigiana
La Settimana Musicale Senese fra riscoperte, novità del nostro tempo
e gli omaggi a Berio, Verdi e Wagner
Passato e presente, riscoperte e novità tornano a confrontarsi nell’edizione
2013 della Settimana Musicale Senese per stabilire nuovi colloqui con epoche
e stili fra i più differenti. Prosegue così il percorso tracciato fino ad oggi dalle
mie scelte artistiche chigiane. Mi sento particolarmente orgoglioso di proporre
quest’anno l’ascolto de La Colombe di Charles Gounod: gemma di un repertorio
poco frequentato, quello dell’opéra-comique, e che a Siena sarà ancor più preziosa
perché proposta (con ogni probabilità, una prima esecuzione moderna) con i
recitativi messi in musica da Francis Poulenc, fra i massimi musicisti francesi del
Novecento. Una versione de La Colombe dove la Francia musicale di due secoli
diversi dà vita a un connubio dagli esiti assai piacevoli: conobbe la sua prima
rappresentazione nel 1924, a Montecarlo, e nasceva dall’idea di Igor Stravinskij
e Sergej Djagilev (il celeberrimo impresario fondatore a Parigi dei «Ballets
Russes») di recuperare alcune opere francesi dell’Ottocento ma dando loro una
tinta contemporanea. Come fece appunto Poulenc componendo ex novo, seppur
guardando allo stile di Gounod, i recitativi de La Colombe.
Un’opera che mi ha affascinato fin da subito, perché accompagnata dal sorriso,
da una leggerezza dal sapore teneramente infantile, rivelando, allo stesso tempo,
la finezza compositiva di mani davvero sapienti. Una delicatezza sentimentale che
affiora già nella vicenda, che i librettisti Jules Barbier e Michel Carré trassero da
Boccaccio e La Fontaine: è incentrata su una colomba, animale qui dotato di una
sensibilità e di un’intelligenza eccezionali, la cui presenza finirà col riaccendere
l’antica passione fra Horace e Sylvie, i due protagonisti. La Colombe di GounodPoulenc viene presentata in uno spettacolo firmato da Denis Krief, regista il cui
nome è legato alla Chigiana da diversi felici allestimenti, e impegna l’Orchestra
della Toscana diretta da Philipp von Steinaecker.
Ma le riscoperte riguardano anche il Settecento, nel solco di quell’attenzione
ad uno Händel raro che ha portato la Chigiana a proporre titoli operistici come
Arminio, Rodrigo e Deidamia, produzioni documentate da registrazioni per la casa
discografica Virgin. L’opera di Händel stavolta scelta, grazie a una proposta di
un amico di lunga data come Fabio Biondi (che la dirigerà sul podio del suo
complesso di strumenti d’epoca, Europa Galante), è Hymen: un dramma per
9
10
musica presentato per la prima volta nel 1740 a Londra e che a Siena rivivrà (prima
esecuzione italiana) nella versione da concerto approntata dallo stesso Händel per
Dublino, due anni dopo.
Dal passato ai giorni nostri, la Chigiana torna a riconfermare la sua assidua
vocazione alla contemporaneità: sarebbe un lungo elenco quello delle partiture
fino ad oggi commissionate ed eseguite in prima assoluta a Siena, lavori che sono
poi regolarmente circuitati nei principali centri musicali europei. E dopo Silvia
Colasanti (Faust) e Isidora Zebeljan (Due teste e una ragazza), per ricordare i casi
più recenti, sarà ancora una figura femminile a dimostrare il suo talento nell’arte
della composizione: Lucia Ronchetti, romana, attualmente impegnata in nuove
composizioni per la Semperoper di Dresda e il Nationaltheater di Mannheim. Una
figura che seguo da diversi anni nel suo itinerario artistico e della quale ammiro,
in particolare, l’abilità di scrittura, la capacità artigianale di creare musica. Qualità
che avremo modo di apprezzare nelle pagine della serata musicale a lei dedicata,
con protagonisti l’ensemble vocale Neue Vocalsolisten e gli archi dell’Ensemble
Alter Ego: le prime esecuzioni italiane di Blumenstudien (un madrigale con musica
di Gesualdo da Venosa) e di Hombre de mucha gravedad, assieme ad Anatra al sal e
Pinocchio, su testo di Collodi, rivisitazione in chiave tragicomica della nota storia
del burattino di legno.
Due importanti omaggi segnano poi la Settimana. Il primo, in realtà duplice,
ricorda il congiunto bicentenario della nascita di Richard Wagner e Giuseppe
Verdi, attraverso Franz Liszt: di Liszt sono infatti le parafrasi per pianoforte (tratte
da Parsifal, Tristano e Isotta, L’olandese volante, Tannhäuser, da Simon Boccanegra,
Rigoletto, Trovatore e Aida) che compongono il programma interpretato da Michele
Campanella. Per diversi anni docente nei corsi di perfezionamento della nostra
Accademia, l’amico Campanella è il pianista che più di ogni altro si è dedicato
a Liszt, penetrandone a fondo il mondo sfaccettato: non solo come pianista, ma
anche come studioso, come del resto dimostra ampiamente il suo bel volume Il
mio Liszt. Considerazioni di un interprete.
L’altro omaggio è a Luciano Berio, nel decennale della scomparsa. Berio il
maestro, il mentore, il grande compositore, l’amico più caro. Affettuosamente
legato anche alla Chigiana, per la quale tenne, nell’estate del 2001, un seguitissimo
ciclo di lezioni. Berio verrà celebrato in un concerto, affidato al violino di Francesco
D’Orazio e al violoncello di Nicola Fiorino, dove la sua musica (Sequenza XIV,
Sequenza VIII, alcuni Duetti per due violini) dialoga con quella di Arcangelo
Corelli (la celebre Sonata «La Follia»). Un confronto fra epoche lontanissime, fra
due innovatori del linguaggio strumentale. Il virtuosismo sonoro del violino di
Corelli, il virtuosismo timbrico ed espressivo di Berio.
La Settimana volgerà al termine nel nome di una formazione strumentale
di fama mondiale, la Mahler Chamber Orchestra, fondata da Claudio Abbado.
In veste strumentale raccolta, renderà anche omaggio al bicentenario della nascita
di Verdi proponendone il suo unico Quartetto: nella sua consueta formazione,
affronterà invece un programma di ampio respiro, ricordando stavolta l’anniversario
di Wagner (Idillio di Sigfrido), assieme alla Sinfonia n. 7 di Jean Sibelius, di raro
ascolto anche in Italia, alla Sinfonia n. 2 di Robert Schumann, al Concerto per
pianoforte K 503 di Mozart con solista Paul Lewis, rinomato pianista inglese che
è stato anche insignito del Premio Internazionale Accademia Musicale Chigiana.
Il concerto finale vedrà sul podio della Mahler Chamber Orchestra Daniel
Harding, uno dei più rappresentativi direttori delle recenti generazioni. Sarà per
la prima volta ospite dell’Accademia Chigiana: un altro nome di spicco che si
aggiunge alla lista dei tanti direttori di fama internazionale che fino ad oggi hanno
costellato le programmazioni della Settimana Musicale Senese.
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Settimana Musicale Senese
70a edizione
Siena, 9 - 18 luglio 2013
9 martedì
10 mercoledì
Teatro dei
Rinnovati
ore 21.15
CHARLES GOUNOD
11 giovedì
Teatro
dei Rozzi
ore 21.15
LUCIA RONCHETTI
12 venerdì
Teatro
dei Rozzi
ore 21.15
In occasione del bicentenario della nascita di Wagner e Verdi (1813-2013)
LA COLOMBE
opéra-comique in due atti di J. Barbier e M. Carré
Prima esecuzione italiana nella versione di FRANCIS POULENC
ORCHESTRA DELLA TOSCANA
PHILIPP VON STEINAECKER direttore
DENIS KRIEF regia, scene, luci e costumi
Laura Giordano soprano
Laura Polverelli mezzosoprano
Juan Francisco Gatell tenore
Filippo Polinelli basso
Blumenstudien madrigale a cinque voci su musica di G. da Venosa
Prima esecuzione italiana
Hombre de mucha gravedad (da Le damigelle d’onore di Velázquez)
drammaturgia per quattro voci e quartetto d’archi
Prima esecuzione italiana
Anatra al sal commedia armonica per sei voci
Pinocchio, una storia parallela drammaturgia per quattro voci maschili
su testo di Carlo Collodi
NEUE VOCALSOLISTEN ensemble vocale
ENSEMBLE ALTER EGO archi
MICHELE CAMPANELLA pianoforte
Franz Liszt Wagner-Verdi, le parafrasi
Feierlicher Marsch zum heiligen Gral dal Parsifal R. 283
Réminiscenses de Boccanegra R. 271
Rigoletto. Paraphrase de concert R. 267
Isoldens Liebestod dal Tristan und Isolde R. 280
Miserere du Trovatore R. 266
Coro delle filatrici da Der Fliegende Holländer R. 273
Aida. Danza sacra e duetto finale R. 269
Ouverture del Tannhäuser R. 275
13 sabato
Chiesa di
Sant’Agostino
ore 21.15
GEORG FRIEDRICH HÄNDEL
15 lunedì
Chiesa di
Sant’Agostino
ore 21.15
In occasione del terzo centenario della morte di Arcangelo Corelli e del
decimo anniversario della morte di Luciano Berio
HYMEN
serenata (Dublino 1742)
Prima esecuzione italiana
EUROPA GALANTE ensemble musicale barocco
FABIO BIONDI direttore
Cristiana Arcari, Ditte Andersen soprani
Ann Hallenberg mezzosoprano
Magnus Staveland basso-baritono
Marcos Fink basso
FRANCESCO D’ORAZIO violino
NICOLA FIORINO violoncello
Corelli Sonata in do magg. op. V n. 3 per violino e basso continuo
Berio Sequenza XIV per violoncello (2002)
Selezione dai 34 Duetti per due violini
Sequenza VIII per violino (1976)
Corelli Sonata in re min. op. V n. 12 “La Follia” per violino e basso
continuo
17 mercoledì
Chiesa di
Sant’Agostino
ore 21.15
18 giovedì
Teatro dei
Rinnovati
ore 21.15
MAHLER CHAMBER SOLOISTS
Takemitsu Rocking Mirror Daybreak per duo di violini
Verdi Quartetto in mi min. per archi
Brahms Quintetto per clarinetto e archi in si min. op. 115
MAHLER CHAMBER ORCHESTRA
DANIEL HARDING direttore
PAUL LEWIS pianoforte
Sibelius Sinfonia n. 7 in do magg. op. 105
Mozart Concerto in do magg. per pianoforte K 503
Wagner Idillio di Sigfrido
Schumann Sinfonia n. 2 in do magg. op. 61
Con il contributo della Banca Monte dei Paschi di Siena
Gounod dirige Roméo et Juliette (da «L’Illustration», 1888).
Martedì 9 luglio
Mercoledì 10 luglio
Teatro dei Rinnovati
ore 21.15
CHARLES GOUNOD
Parigi 1818 - Saint Cloud 1893
La Colombe
opéra comique in due atti di Jules Barbier e Michel Carré
Prima esecuzione italiana nella versione con i recitativi di Francis Poulenc
Gounod:
Casa Editrice Choudens (Parigi) - Rappr. in Italia Casa Musicale Sonzogno (Milano)
Poulenc:
Bibliothèque Nationale de France (Parigi)
con l’autorizzazione di Benoît Seringe
Trascrizione e integrazione con i recitativi di Francis Poulenc di Bruno Moretti
16
Orchestra della Toscana
Philipp von Steinaecker
direttore
Denis Krief
regia, scene, luci e costumi
Personaggi e interpreti
Sylvie
una ricca contessa
Laura Giordano
soprano
Mazet
servitore di Horace
Laura Polverelli
mezzosoprano
Horace
povero ma innamorato di Sylvie
Maître Jean
maggiordomo della contessa
Maestro collaboratore al pianoforte
Assistente alla regia
Assistente all’allestimento
Capo elettricista e datore luci
Truccatore e parrucchiere
Pittura di scena
Coordinamento artistico produzione
Juan Francisco Gatell
tenore
Filippo Polinelli
basso
Nathalie Steinberg
Pia di Bitonto
Benedetta Dalai
Alberto Biondi
Luca Oblach e Giuseppe Tafuri
Gino Bruni
Paolo Frassinelli
17
Sopratitoli a cura di
PrescottStudio srl
Firenze
LA COLOMBE
Gérard Condé
18
I successi del Faust (1859)
e di Roméo et Juliette (1867)
hanno valso a Charles Gounod
(1818-1893) di vedere il suo
nome iscritto accanto alle più
grandi glorie del teatro lirico.
Ma era grazie alla sua musica religiosa (la Messe de Sainte
Cécile), alle sue mélodies (Venise, Le Soir), alla sua Méditation
sur un prélude de Bach e alle sue
due sinfonie che il compositore
Charles Gounod.
si era dapprima imposto presso il pubblico parigino. Tutto
cambiò all’approssimarsi dei
quarant’anni: mentre i mediocri successi di Sapho (1851) e La Nonne sanglante (1854) all’Opéra avevano fatto dubitare delle sue doti per la musica
drammatica, la creazione del Médecin malgré lui (da Molière) sulla più intima scena del Théâtre-Lyrique rivelò ch’egli poteva apportare una freschezza
inedita e un profumo personale a un genere meno monumentale del grand
opéra.
Fu allora, e senza dubbio a causa di ciò, che Gounod ricevette dal
Casinò di Baden-Baden la commissione di un’opéra-comique della stessa
vena spirituale e raffinata. Per il pubblico colto e cosmopolita che in estate
veniva a prendervi le acque egli scelse un soggetto ispirato a Ovidio e a La
Fontaine: Philémon et Baucis. Vi lavorò nel 1859, nel momento in cui Faust
appariva sulla scena del Théâtre-Lyrique. L’accoglienza del Faust fu ancora
più favorevole del Médecin malgré lui e il direttore, Léon Carvalho, convinto che una terza opera avrebbe avuto ancora maggior successo, chiese a
Gounod di affidargli la prima direzione di Philémon et Baucis, dato che la
partitura avrebbe potuto offrire a sua moglie, Caroline Miolan-Carvalho,
un ruolo più brillante di quello di Marguerite.
Il direttore artistico del Casinò di Baden-Baden accettò di cedere la
priorità a Carvalho, tanto più che le tensioni tra Francia e Germania facevano aleggiare un dubbio sull’epoca della creazione. In cambio, Gounod
s’impegnò a comporre un’altra opera, equivalente, La Colombe, liberamente
ispirata a un racconto in versi di La Fontaine (Le Faucon) tratto da Boccaccio (Federigo degli Alberighi, giornata V, novella 9 del Decameron).
Per scrivere il libretto, Gounod fece appello ai suoi fedeli collaboratori
Jules Barbier e Michel Carré. Questi uomini di teatro dalla penna pronta si
erano imposti per la loro schiettezza e per una qualità letteraria che escludeva le rime già confezionate e i cliché che da trent’anni sclerotizzavano
le partiture liriche. Si erano specializzati nell’adattamento di romanzi, di
pièces teatrali o di poemi.
La Colombe, composta nella primavera del 1860, conobbe un successo
più vivo di quello di Philémon et Baucis. In compenso, la sua sorte fu molto
più oscura. Questo drama giocoso da camera, secondo la felice formula del
critico Joseph d’Ortigue, non merita pertanto l’oblio dal quale comunque
in questi ultimi anni sembra fortunatamente uscire. Stravinskij, nelle sue
Chroniques de ma vie, definì quest’opera «breve ma deliziosa» all’epoca delle
rappresentazioni monegasche del 1924 nel contesto dei Ballets Russes. Per
la circostanza, su richiesta di Djagilev, Francis Poulenc, egli stesso fortemente ammirato, aveva musicato alcuni recitativi. Pieni di brio
e d’inventiva, questi rimasero,
senza pasticciare Gounod, entro
i limiti stilistici di un’opera essenzialmente galante, con quel
pizzico di sensibilità e di civetteria che basta a evitare aridità e leziosaggine. Condotti con grande
sicurezza di ritmo drammatico,
essi portano in modo sempre naturale la musica di Gounod.
La prima esecuzione
La prima a Baden-Baden
ebbe luogo il 3 agosto 1860
nel Salone Luigi XIV del Casinò, sotto la direzione di M.
Madame Carvalho, la prima Sylvie.
19
20
Koennemann, in presenza del re
del Württemberg e del duca di
Brunswick. Era prevista la vigilia,
ma Gounod richiese una prova
supplementare. Il cast riunì Caroline Miolan-Carvalho (Sylvie,
soprano leggero), Gustave Roger
(Horace, tenore), Amélie Faivre
(Mazet, mezzosoprano, en travesti) ed Émile Balanqué (Maître
Jean, basso cantante). Il successo
della première fu confermato dalle tre successive rappresentazioni. Madame Carvalho trovò nel
ruolo di Sylvie tutti i vocalizzi
che poteva sognare. Il suo partner Gustave Roger, primo Faust
Lettera di Gounod a Giuseppe Martucci (Siena,
di Berlioz e primo interprete
Biblioteca dell’Accademia Musicale Chigiana).
del protagonista nel Prophète di
Meyerbeer, era pure nel pieno possesso dei suoi mezzi, malgrado la perdita
di un braccio in seguito a un incidente di caccia nel 1859. Amélie Faivre era
stata Martine nel Médecin malgré lui e Siebel nel Faust; Balanqué, infine, era
stato il primo Méphisto nel Faust e poi Vulcain in Philémon.
In «Le Ménestrel» del 12 agosto 1860 Étienne Carjat credette di poter
suonare la tromba della vittoria: «I Tedeschi, questi padri coscritti dell’armonia, hanno battuto le mani e gridato Bravo! all’ascolto della Colombe,
come della partitura di un nipote di Beethoven o di Mozart. Giammai il
teatro di Baden-Baden si era trovato a una pari festa. L’entusiasmo, che
d’ordinario sembra fuggire questa sala sontuosa e austera, venerdì sera vi è
esploso. Dopo la rappresentazione, l’orchestra in massa – al chiarore delle
torce – è andata a dare una serenata sotto al balcone dell’Hôtel de France».
La serata volse al termine con un punch offerto da Gounod all’orchestra.
Il pubblico parigino non scoprì La Colombe che il 7 giugno 1866,
all’Opéra-Comique, con alcune modifiche: un’aria aggiunta per Mazet (la
pungente «Ah, les femmes!») e una nuova versione del Madrigal di Horace («Ces attraits que chacun admire»), sulle medesime parole. La critica fu
più favorevole che per Philémon et Baucis e, dopo il fiasco subìto dalla Reine de Saba sulla scena dell’Opéra nel 1862, fu concorde nel riconoscere la
superiorità di Gounod nel genere intimo. «Non è che una bagatella nell’opera del musicista, ma la bagatella è squisita», scrisse Jouvin in «Le Figaro» del
14 giugno 1866, aggiungendo, sempre con quell’altezzoso modo di fissare
limiti a Gounod: «Tutte queste affascinanti cose di dettaglio che non hanno
che imperfettamente carezzato la nostra attenzione in teatro vanno a riconquistare la loro importanza e il loro rilievo al pianoforte. […] Il successo del
salone è assicurato all’Entr’acte vaporoso e pittoresco sospirato dagli strumenti. Il Madrigal è la pagina che si leggerà e rileggerà in questa piccola partitura.
Basterà questa ad assicurarle il successo. Raramente l’amore, portato sulle ali
della musica, ha incontrato un’espressione più penetrante e più velata».
Nella «Revue et Gazette musicale» del 10 giugno 1866, Paul Bernard
lodò senza riserve questa «opera affascinante, piena di semplicità e assieme di scienza, di abbandono e di attrattiva nella forma, di tesori celati nei
dettagli, un’opera che ha dettato il cuore e che la mano abile del musicista
ha firmato da par suo». E, a proposito dell’Entr’acte, che ammirava in modo particolare, aggiunse: «Si sa come questo genere di brano sinfonico sia
riuscito a M. Gounod. È un vero gioiello. Niente di più grazioso, di più
elegante, di più distinto; è stato bissato sulle ali dell’entusiasmo ed è stato
giusto. Si spegne in un trillo che sale fino ai limiti estremi del mi cantino
dei violini, accompagnato da secchi accordi discretamente enunciati dal fagotto. È tutto un poema d’amore; è una canzone di Orazio, un sonetto del
Petrarca […] L’orchestra si è superata. Sentiva che doveva mettersi all’altezza di una partitura così finemente cesellata». E concluse: «M. Gounod si
sentirà ormai a casa propria nella sala sempre distinta dell’Opéra-Comique.
L’alleanza è fatta, il patto è stato firmato dagli applausi». Il pubblico si lasciò
sedurre, anche se non conosceva la differenza che separava questa partitura
da quelle di Bazin, Poise o Thomas, che gli venivano offerte le altre sere.
La partitura
Ciò che in un’opera come questa distingue lo stile di Gounod da quello di Auber o di Adam, i suoi più notevoli predecessori nel campo dell’opéra
comique, è da una parte la qualità dell’invenzione armonica che colora la
linea melodica, sempre così nitida da poter bastare a se stessa, e dall’altra
parte il sottile legame tra i dettagli dell’invenzione melodica e il rispetto
degli accenti e dei valori ritmici della prosodia. In un tutt’uno con una
naturale estraneità alla banalità, questa disinvoltura è un effetto dell’arte.
In questo, Gounod, che potrebbe aver preso Mozart a modello, è forse più
prossimo a Schubert.
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L’Introduzione, voltando le spalle alle ouvertures pot-pourri dell’epoca, estrae alcune misure dalla Romance di Horace (es. 1), il cui libero sviluppo termina con un malinconico assolo di corno su un fondo di tremoli.
La Romance di Mazet, che nutre l’uccello del suo padrino (es. 2), è
introdotta da un Allegretto modulante la vivacità delle cui figure ritmiche
permette giochi di scena. Il tono semplice e dolce delle strofe, l’ornamento
su «votre», tipico della vecchia opéra-comique francese (Dalayrac, Monsigny), sono un ammiccamento neoclassico, ma l’eco strumentale come un
grido d’uccello e le modulazioni passeggere oltrepassano il pastiche.
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Il recitativo portato di Horace, che respinge l’oro propostogli da Maître
Jean (inviato da Sylvie) in cambio della sua colomba, le proteste che seguono e il ritornello del clarinetto evitano alla Romance (es. 2) di richiamare
troppo la precedente: Horace vi evoca il legame tra la colomba e la graziosa
Sylvie, della quale era innamorato. Questa Romance non forma d’altronde
che la parte elegiaca del Trio nel quale s’inserisce. Il carattere di Horace,
sognatore e vivo, è ben tracciato. Come nell’aria precedente, il clarinetto vi
gioca ancora un ruolo assai espressivo.
L’Ariette di Maître Jean («Les amoureux») è un quasi-minuetto beffardo a cui gli strumenti (il fagotto) fanno da eco. Tre ritornelli inquadrano
due strofe. La prima di queste, breve e falsamente intenerita, fa da parodia
alla serenata di un amante sconsolato; la seconda, più sviluppata, evocante
il potere della bella, termina con uno scoppio di risa che riconduce al ritornello, prolungato in una coda in cui i due caratteri si ritrovano.
L’Air d’entrata di Sylvie è il primo grande numero dell’opera. Un recitativo, ambiguo come le intenzioni della civetta, introduce un movimento
di valzer dapprima pungente e cinico:
Poi il lirismo («Oui, s’il m’aime») porta alla domanda sui rischi dell’avventura («Faudra-t-il que je tombe au piège?»). La parte centrale dell’Air
(«Si le Seigneur Horace») evoca – con la complicità attiva degli strumenti
che fanno eco ai passaggi vocali – le eventualità: «un sourire… un regard?
soit. Un baiser? Non!». Dopo un lungo vocalizzo (fino al do acuto) riprende
la prima parte, coronata da una coda più virtuosistica, fino al re acuto.
I Couplets di Mazet, al contrario, potrebbero essere quasi soltanto parlati sui borbottii furiosi dell’orchestra.
23
Questa declamazione notata, con i suoi cromatismi, i suoi salti di settima o di ottava, i suoi sussulti ritmici, è di un effetto sicuro, confermato
dal successo. La comicità di ritorno di queste imprecazioni, che costituiscono il ritornello, è rinforzata dalla scempiaggine confessata delle due strofe
bucoliche («Voyez cet asile»); la seconda strofa, con alcuni vocalizzi gioiosi
che s’involano al si bemolle, è più sviluppata. L’ultimo ritorno del ritornello
completo restaura la passione comica.
Il Terzetto («Ô vision enchanteresse») mette faccia a faccia Horace, che
esprime il suo rapimento con intimidita sensualità, e (dopo un breve trio
sospensivo a parte in cui Mazet mescola la propria voce) Sylvie, che, dopo
un esordio differente, riprende la melodia e la conclude nel medesimo modo. La civetta, che era venuta solo per acquistare l’uccello, non resta dunque
insensibile al fascino dell’accoglienza di Horace.
Il Quartetto finale («Ô douce joie!») è posto sotto il segno del giubilo
amoroso di Horace e poi della gioia maliziosa di Sylvie, che riprende la stessa melodia e l’abbellisce. Le tenere inflessioni amorose annunciano quelle
di Roméo et Juliette:
24
mentre Maître Jean s’indigna per la bassezza dello stratagemma in uno stile
neoclassico più aspro. Il milieu è trattato in conversazione: Mazet e Maître
Jean sono irrequieti, ma né Horace né Sylvie se ne curano: le differenze di
tono escludono le simmetrie. Coda inattesa: Mazet, rimasto solo, stavolta
esclama «Ah! les hommes!», eco della sua aria (es. 4), che chiude l’atto su
una nota comica e animata.
L’Allegretto orchestrale che apre il secondo atto srotola una lunga, vaporosa melodia; vale soprattutto per la leggerezza di una strumentazione
dai colori pastello, con i violini nel registro medio. È una romanza senza
parole che non esprime alcunché di preciso. «Autentico capolavoro di melodia graziosa, questa piccola pagina che profuma la partitura», secondo
Louis Pagnerre, si esegue a sipario alzato, ma si ignora quale pantomima
l’accompagnava.
L’Air di Maître Jean («Le grand art de la cuisine»), contenente, nella
sua parte centrale, una raffigurazione dei banchetti di un tempo, ricca di
madrigalismi e di arcaismi musicali, non ha incidenza sull’azione. Si giustifica per il partito che prende il personaggio. «L’impiego sistematico dei
fagotti e dei timbri nasali» e la convinzione «di mettervi l’acqua in bocca»
con la quale «Balanqué ha eseguito e cantato questo brano pantagruelico»,
scrisse François Schwab, assicurarono un vivo successo a quest’aria all’epoca
della prima rappresentazione.
Il Duo tra Horace e Mazet («Il faut d’abord dresser la table») è molto
‘teatrale’. Trattato a mo’ di conversazione, è il numero maggiormente sviluppato della partitura. Il suo piano segue le tre fasi dell’azione. In un primo
momento, sul ritmo brioso e polivalente di 6/8 si vedono i giovani sistemare il tavolo zoppo (su un ritmo zoppo), lacerare completamente una tovaglia
che lo era a metà (l’orchestra imita il rumore), rallegrarsi reciprocamente
per la loro destrezza imitando lo stile di un segnale di caccia (es. 6); poi,
su una musica nuova ma dalla stessa energia pungente, prendere i bicchieri
e strofinare i coperti (con un altro effetto strumentale) e felicitarsi come
daccapo.
In un recitativo falsamente solenne, Mazet (vocalizzo discendente parodistico su «admirable») mette il suo padrino davanti alla realtà: nella dispensa non ha più di che preparare un pasto. Horace risponde mandandolo
a cercare frutti e legumi nel giardino, introducendo un barlume di speranza, peraltro smentita da un Andante in si minore («Ô pauvreté funeste»)
dal ritmo ossessivo. Il ritorno di Mazet non riprende la musica danzante della speranza che per derisione e per farla sfilacciare sotto il recitativo.
Un improvviso crescendo precede il colpo di scena: sacrificare la colomba!
L’ultima parte della scena («Pour recevoir ma belle») è trattata in stile
di melodramma italiano: accompagnamento chitarristico, raddoppi della
voce e una stretta in 2/4 culminante su un si acuto del tenore:
25
È troppo per il sacrificio di una colomba? Il primo interprete, Roger,
era un valido tenore e in quest’opera a mezze tinte trova posto un tocco
eroico: eventualmente, in un batter d’occhio.
Il violino solo accompagna, a mo’ di mélodrame, i sogni di Sylvie, che,
cogliendo un mazzo di fiori nel giardino di Horace, gli si riavvicina. La
sua Romance («Que de rêves charmants») è introdotta da un ritornello
le cui sinuosità e i cui cromatismi servono a far valere alla linea di canto
un’espressione inalterata del ritorno della giovane donna a uno stato d’innocenza (do maggiore), come se lei fosse diventata colomba.
In due strofe, allo stesso modo ma nella tonalità più lontana di sol bemolle maggiore, il Madrigal di Horace («Ces attraits») offre un carattere del
tutto differente: all’introspezione immobile oppone il movimento. Slancio
di flussi melodici, quasi-rubato, preziose modulazioni, animazione orchestrale sotto il ritornello («Déesse ou femme») che si esaspera nella coda: si
sente il soffio della vita sollevare il velo della galanteria.
Il Quartettino («Déjà son cœur») è situato in un momento di esitazione, in cui il tempo pare sospeso. La bonomia maliziosa di Haydn non è
estranea all’ispirazione di questa pagina, che sembra camminare in punta di
piedi. Sylvie, turbata, canta per prima; Maître Jean riprende la sua melodia,
che presto le viene a contrappuntare. È la volta di Horace, e il repentino
passaggio da si bemolle a re bemolle maggiore mette in risalto il suo tono
appassionato; poco a poco egli ritrova le inflessioni melodiche dei suoi interlocutori e la tonalità di si bemolle maggiore. In quel momento appare
Mazet, e il tempo si rimette in marcia. È la parte centrale, più animata, in
cui si mescolano a parte e dialoghi. Un lungo trillo vincitore di Sylvie dà il
segnale di ripresa dell’inizio, trattato in quartetto.
Il Duo («Combien je vous rends grâce») che vi si concatena è la pietra
di paragone dell’opera. Procede in quattro tappe. La prima, attorno al pranzo, è piena di un’allegria di facciata che mostra imbarazzo – ciascuno ignora
ciò che l’altro tace –, con questa conclusione da opera buffa in due tempi
che corona la fase comica:
26
Poi il tono cambia; la conversazione e l’accompagnamento si fanno
più intimi. La domanda di Sylvie, già tinta di compassione, è quasi interamente presa a prestito da La Fontaine, così come la cavalleresca risposta
di Horace. Troppi sono i sottili intenti nelle inflessioni melodiche, nella
colorazione armonica e nel ritmo dell’eloquio, perché si possano descrivere.
L’Andante «Rien coûte-t-il» introduce un lirismo più estroverso che assicura
la progressione fino all’assenso di Sylvie «Voici ma main». Lo stretto, Allegro molto, non raggiunge la stessa altezza stilistica. È forse l’annuncio del
carillon nuziale:
La concatenazione con il Final («Apaisez, blanche colombe», es. 2)
produce un effetto tanto più magico quanto più Mazet si rivolge alla colomba in una tonalità inattesa. Tutto allora precipita: spiegazioni, esclamazioni,
musica spirituale in perpetuo rinnovamento senza un sistema prestabilito,
grande vocalizzo di Sylvie fino al mi acuto. Il ritorno del carillon spirituale
(es. 9) trova la sua giustificazione come piroetta conclusiva.
Traduzione dal francese di Cesare Mancini
27
Gounod nel suo studio.
UNA COLOMBE PER POULENC,
ATTRAVERSO STRAVINSKIJ
Cesare Mancini
28
L’estetica della «semplicità» indicata da Jean Cocteau in
Le Coq et l’Arlequin del 1917 fu
tracciata con successo da Francis Poulenc con i Mouvements
perpétuels (1918) e con Le Bestiaire (1919) in un percorso che
lo condusse in seno ai «Ballets
Russes» di Sergej Djagilev. Era il
1923, e l’impresario russo stava
mettendo a punto l’idea di commissionare a compositori appartenenti alla «Giovane scuola
francese» una serie di balletti da
rappresentarsi durante la prossima stagione al Théâtre du Casino di Montecarlo. Consigliato
Francis Poulenc nel 1923.
da Misia Sert (la celebre pianista
e femme fatale immortalata da
pittori dello stampo di Renoir e Toulouse-Lautrec), Djagilev dette incarico a Poulenc di musicare Les Biches, il «balletto erotico» allestito da Marie
Laurencin la cui coreografia, ambientata in un boudoir, raggruppava venti
giovani silfidi e tre «bei ragazzi in costume da vogatori». Assieme al lavoro
di Poulenc, il progetto comprese Les Fâcheux di Georges Auric (lodato da
Stravinskij per la sua «verve e la sua mordacità» e per l’«indimenticabile
scenario» di Georges Braque) e il vivido, atletico Le Train Bleu di Darius
Milhaud. La coreografia di tutti e tre i balletti, affidata a Bronislava Nijinska, ebbe un grande successo: così come lo ebbero le esibizioni di Vera
Nemþinova, Leon Woizikovskij e Anton Dolin.
Parallelamente alla commissione di questi tre nuovi balletti, per
quella stessa stagione concertistica Djagilev intese produrre l’allestimento di alcune brevi opere
tratte dal repertorio francese del
secolo passato, per lo più ormai dimenticate, ma meritevoli
di nuova freschezza. Ne parlò a
lungo con Stravinskij, che in seguito confessò di aver «riscoperSergej Djagilev e Igor Stravinskij.
to» assieme a lui La Colombe e Le
Médecin malgré lui di Gounod e
di essere rimasto colpito da quei «piccoli capolavori». Entrambi concordarono sull’opportunità di affidare ancora ai compositori della «Giovane
scuola francese» l’incarico di mettere in musica i recitativi che in origine
venivano semplicemente declamati.
Poulenc, evidentemente assai apprezzato tra i Six, fu nuovamente coinvolto nei progetti di Djagilev e si vide richiedere il ‘completamento’ musicale della Colombe. Parlò diverse volte del progetto durante l’inizio dell’autunno del 1923 in alcune lettere al suo maestro Charles Koechlin e allo stesso
Stravinskij. A Koechlin da Nazelles il 3 settembre 1923 disse: «Mi scuso per
il mio silenzio. Non scrivo, perché lavoro intensamente. Figuratevi che oltre
alle Biches mi è piombato addosso da terminare e orchestrare un lavoro assai
pericoloso, commissionato da Djagilev. Si tratta di fare dei recitativi talvolta
piuttosto lunghi nel numero di 8 per un’opéra-comique di Gounod, La
Colombe, che si darà quest’inverno a Montecarlo. Fortunatamente conosco
molto bene il teatro del vecchio Charles. Ho raccolto dunque tutte le mie
nozioni sullo stile, tra parentesi mirabile, di questo musicista troppo descritto, e mescolandovi il mio poco savoir-faire ho partorito un buon lavoro.
Una volta di più mi sono serviti i corali. Terminata questa fatica, mi sono
messo sulle Biches, che termino questa settimana e che porterò a Parigi da
Djagilev».
Ancora da Nazelles, in quegli stessi inizi di settembre 1923 scrisse invece a Stravinskij: «Ho terminato e sottoposto a Sergej Djagilev i miei recitativi per La Colombe. Ho fatto un lavoro scrupoloso, cercando di evitare un
pastiche o una lezione di armonia alla Reber. Spero che ciò non vi appaia orribile. Fra dieci giorni andrò a Parigi e porterò con me Les Biches complete».
Erik Satie, che come vedremo tra breve fu pure coinvolto nel progetto di Djagilev, scrisse a Paul Collaer: «Poulenc ha fatto una Colombe
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vertiginosa, di grande verve e abilità. Insomma, un’opera che funziona».
Con questa nuova veste, La Colombe andò dunque in scena per la
prima volta il 1 gennaio 1924 a Montecarlo, ad apertura dello speciale «Festival Français», il cui cartellone avrebbe occupato l’intero mese. Le scene e
i costumi erano di Juan Gris (e dipinte da Vladimir ed Elisabeth Polunin),
anche se Poulenc avrebbe preferito un altro artista; la regia era di Constantin Landau e la direzione di Édouard Flament. Sylvie fu impersonata da
Maria Barrientos e Mazet da Jeanne Montfort. Horace e Maître Jean furono
rispettivamente un certo Reich e un certo Vigneau. Le repliche furono il 6
e il 15 gennaio. Il programma includeva anche Daphnis et Chloé di Ravel.
Sul manoscritto olografo, conservato nella Bibliothèque Nationale de
France a Parigi, campeggia un’eloquente dedica: «Francis Poulenc | Partitions
d’orchestre | des | récitatifs | composés pour l’opéra-comique | de Gounod: | La
Colombe | à mon cher grand ami | Boris Kochno en souvenir | de Monte-Carlo
et la 1ere – des Biches | Francis Poulenc | Décembre 1923».
Oltre a La Colombe con i recitativi musicati da Poulenc, Djagilev mise
in scena in quello stesso festival anche Le Médecin malgré lui di Gounod,
con recitativi di Satie (5 e 12 gennaio 1924) e Une éducation manquée di
Chabrier, con recitativi di Milhaud (17 gennaio 1924). Era prevista anche
Philémon et Baucis, ancora di Gounod, con recitativi di Auric. Gli eredi di
Gounod, però, respinsero i recitativi di Auric.
A causa di un viaggio in Belgio per concerti, Stravinskij non poté purtroppo assistere alle opere di Gounod rappresentate a Montecarlo. Nella
sua Autobiography (New York, Steuer 1958) lasciò tuttavia un resoconto
sulle serate monegasche, con un’autorevolezza e al tempo stesso un’amara
considerazione sul pubblico che lasciano ben poco spazio a dubbi: «Come ho già detto, io non ebbi l’opportunità di vedere le opere di Gounod
che Djagilev stava producendo a Montecarlo. So solo che il pubblico si
era mostrato indifferente a quelle rappresentazioni e non aveva apprezzato
il gesto del mio amico. Nel suo incolto snobismo, la maggior preoccupazione di quella gente era di apparire indietro rispetto ai tempi se avessero
mostrato apprezzamento verso una musica stupidamente condannata dai
trafficanti di pubblicità di ciò che una volta era l’avanguardia. Io stesso fui
testimone di questa sciocca attitudine del pubblico durante la prima esecuzione dell’Éducation manquée per i “Ballets Russes” agli Champs-Élysées.
Il titolo era ironico, per cui l’uditorio dimostrò una completa mancanza di
educazione. Essendo abituato a non vedere altro che balletti agli spettacoli
di Djagilev, pensò di essere stato truffato dovendo assistere a un’opera, per
quanto breve, e rese evidente la sua impazienza con interruzioni e gridando
“Danza, danza!”. Era nauseante. È giusto dire che queste interruzioni provenivano per la maggior parte da estranei facilmente riconoscibili per il loro
accento straniero. E pensare che questo stesso pubblico ascolta devotamente
e con angelica pazienza le edificanti arringhe di re Marco incessantemente
reiterate ai gala ufficiali sotto la bacchetta direttoriale della stella di turno!».
31
Francis Poulenc.
libretto
32
traduzione
N.B.
Il testo musicato da Poulenc
è evidenziato in grassetto.
N.B.
Il testo musicato da Poulenc
è evidenziato in grassetto.
acte i
atto i
N. 1
romance
Mazet
N. 1
romance
Mazet
mazet
Apaisez, blanche colombe, votre faim
Du grain de froment qui tombe de
ma main!
Avant que vous manquiez de grain
Votre maître sera sans pain!..
Après la faim assouvie. Bel oiseau!
Calmez votre soif, Sylvie! D’un peu
d’eau!
A la fraicheur du jour nouveau,
J’ai puise cette onde au ruisseau!
mazet
Placate, bianca colomba, la vostra fame
Di chicco di grano che cade dalla mia
mano!
Prima che vi manchi il grano
Il vostro padrone sarà senza pane!..
Dopo la fame saziata. Bell’uccello!
Calmate la vostra sete, Sylvie! Di un
po’ d’acqua!
Alla freschezza del nuovo giorno,
Ho attinto questa onda al ruscello!
i. recitatif
Maître Jean, Mazet, Horace
Entre Maître Jean
i. recitativo
Maître Jean, Mazet, Horace
Entra Maître Jean
MAÎTRE JEAN
MAÎTRE JEAN
C’est bien ici le logis du seigneur
Horace?
È dunque questa la dimora del
Signor Horace?
MAZET
MAZET
Oui Monsieur. Qu’ya-t’ il pour
votre service?
Sì, Signore. Che cosa posso fare per
voi?
MAÎTRE JEAN
MAÎTRE JEAN
Je voudrais avoir quelques
renseignement sur certaine colombe
que possède votre maître. Est-il vrai
qu’elle ait des talents merveilleux
et qu’elle fasse mille tours
extraordinaires?
Vorrei avere qualche informazione
su una certa colomba che possiede il
vostro padrone. È vero che possiede
doti meravigliose e che è capace di
mille straordinarie imprese?
MAZET
MAZET
C’est la vérité, Monsieur, et vous
chercherez loin sa pareille.
È la verità, Signore, e potreste
cercare a lungo senza trovarne
l’eguale.
MAÎTRE JEAN
Eh bien, je suis le majordome d’une
dame très riche qui désire acheter la
colombe du seigneur Horace.
MAZET
Le diable c’est que mon maître ne
voudra jamais la vendre.
HORACE
(de la coulisse)
Mazet!
MAZET
Mais c’est lui! Cachez vous la.
Entre Horace
MAÎTRE JEAN
Ebbene, io sono il maggiordomo di
una signora molto ricca che desidera
acquistare la colomba del signor
Horace.
MAZET
Il problema è che il mio padrone
non accetterà mai di venderla.
HORACE
(da dietro le quinte)
Mazet!
MAZET
Ma è lui! Nascondetevi là.
Entra Horace
HORACE
HORACE
Mazet pourquoi ne viens tu pas
quand je t’appelle?
Mazet, perché non vieni quando ti
chiamo?
MAZET
MAZET
J’avais la visite du majordome
d’une dame, qui désire acheter votre
colombe.
Ho ricevuto la visita del
maggiordomo di una signora
che desidera acquistare la vostra
colomba.
N. 2
romance et trio
Maître Jean à part, Mazet, Horace
N. 2
romance e trio
Maître Jean nascosto, Mazet, Horace
horace
Qu’il garde son argent!..
D’une chère habitude
Je ne priverai pas mes jours!
Je ne briserai pas ces paisibles amours
Seul charmes de ma solitude.
horace
Che conservi i suoi soldi!..
Di una cara abitudine
Non priverò i miei giorni!
Non spezzerò questi placidi amori
Uniche attrattive della mia solitudine.
33
34
mazet
Seigneur!
mazet
Signore!
horace
Tais toi!
horace
Taci!
maître jean
Tenons nous coi, tenons nous coi!
Le pauvre homme est en démence,
Il méprise nos ducats.
maître jean
Restiamo calmi, restiamo calmi!
Il pover’uomo è folle,
Disprezza i nostri soldi.
mazet
Songez à notre indigence,
Seigneur, vous n’y pensez pas!..
mazet
Pensate alla nostra indigenza,
Signore, voi non ci state pensando!..
horace
Que m’importe l’indigence?..
Non, je ne la vendrai pas!
J’aimais jadis une cruelle
Qui ne paya que de mépris
Mon coeur épris!..
horace
Cosa mi importa dell’indigenza?..
No, non la venderò!
Ho amato un tempo una crudele
Che non ripagava che di disprezzo
Il mio cuore innamorato!..
maître jean
J’offrais ce pendant un bon prix.
maître jean
Offrirò nonostante ciò un buon prezzo.
horace
L’oiseau lui portait sous son aile
Ce que m’inspirait chaque jour
Le dieu d’amour!
horace
L’uccello le portava sotto la sua ala
Ciò che mi ispirava ogni giorno
Il dio d’amore!
maître jean
Que diable parle-t-il d’amour?
maître jean
Che diamine, parla di amore?
mazet
Sotte chanson! Maudit amour!..
mazet
Sciocca canzone! Maledetto amore!..
horace
Tout en riant de ma tendresse,
Elle flattait sans y songer
Le messager,
Et quelque fois d’une caresse
Le doux parfum lui demeurait
Et m’enivrait!
Oiseau fidèle,
Mon seul trésor!
Parle moi d’elle tout bas encor!
horace
Ridendo della mia tenerezza,
Lusingava senza pensare
Il messaggero,
E qualche volta di una carezza
Il dolce profumo le restava
E mi inebriava!
Uccello fedele,
Mio solo tesoro!
Parlami ancora di lei sottovoce!
maître jean
L’aventure est nouvelle,
Il repousse notre or.
maître jean
L’avventura è nuova,
Egli respinge il nostro oro.
mazet
Ah! la pauvre cervelle!
Nous jeûnerons encor!
mazet
Ah! Il povero cervello!
Digiuneremo ancora!
horace
Ayant, un jour, pris sous l’ombrage
L’oiseau qui jouait près de nous
Sur ses genoux,
horace
Avendo un giorno, preso sotto l’ombra
L’uccello che giocherellava intorno a noi
Sulle sue ginocchia,
maître jean
Le diantre soit de ces deux fous!..
maître jean
Al diavolo questi due folli!..
horace
Elle admira son fin plumage,
Et je vis sa lèvre y poser
Un doux baiser!
horace
Ella ammirò il suo pregiato piumaggio,
E io vidi il suo labbro posarvi
Un dolce bacio!
maître jean
L’argent n’est pas à refuser!
maître jean
Il denaro non è da rifiutare!
mazet
Nous avons tort de refuser.
mazet
Noi sbagliamo a rifiutare.
horace
Plaisir et douleur de ma vie,
Ce baiser charmant et moqueur,
Brûle mon coeur,
Le doux oiseau me rappelle Sylvie,
Et d’un nom que j’ai tant aimé
Je l’ai nommé!
Oiseau fidèle,
Mon seul trésor!
Parle-moi d’elle
Tout bas encor!
horace
Piacere e dolore della mia vita,
Questo bacio incantevole e beffardo,
Arde il mio cuore,
Il dolce uccello mi ricorda Sylvie,
E di un nome che ho tanto amato
Io l’ho chiamato!
Uccello fedele,
Mio solo tesoro!
Parlami ancora di lei sottovoce!
maître jean
L’aventure est nouvelle,
Il repousse notre or.
maître jean
L’avventura è nuova,
Egli respinge il nostro oro.
mazet
Ah! la pauvre cervelle!
Nous jeûnerons encor!
Horace part
mazet
Ah! Il povero cervello!
Digiuneremo ancora!
Horace se ne va
35
ii. recitatif
Mazet, Maître Jean
ii. recitativo
Mazet, Maître Jean
MAZET
MAZET
Bien! Vous le voyez, il est
inébranlable.
Bene! Vedete, è irremovibile.
MAÎTRE JEAN
Sì, ma se ho ben capito, il signor
Horace arde ancora per i begli occhi
della mia padrona.
Oui, mais si j’ai bien compris, le
seigneur Horace brûle encore pour
les beaux yeux de ma maîtresse.
36
MAÎTRE JEAN
N. 3
ariette
Maître Jean
N. 3
ariette
Maître Jean
maître jean
Les amoureux,
C’est la mode ordinaire,
Quand il s’agit de plaire,
Les amoureux,
Ont le coeur généreux!
L’amant que l’on implore
A celle qu’il adore
Offre pour être heureux
Sa vie et plus encore!
Une belle, je pense,
Peut tout obtenir d’eux;
La moindre récompense
Vaut toute leur dépense.
Mazet part
maître jean
Gli innamorati,
È la moda ordinaria,
Quando si tratta di piacere,
Gli innamorati,
Hanno il cuore generoso!
L’amante che si implora
A colei che egli adora
Offre per essere felice
La sua vita e più ancora!
Una bella, penso,
Può ottenere tutto da loro;
La minima ricompensa
Vale tutto il loro dispendio.
Mazet se ne va
iii. recitatif
Sylvie, Maître Jean
Entre Sylvie
iii. recitativo
Sylvie, Maître Jean
Entra Sylvie
SYLVIE
SYLVIE
Eh bien, Maître Jean, que
m’annoncez vous?
Ebbene, Maître Jean, cosa mi
annunciate?
MAÎTRE JEAN
MAÎTRE JEAN
Que vois je? Madame la comtesse
ici!
Cosa vedo? La signora contessa qui!
SYLVIE
SYLVIE
Vous feriez mieux de me dire si vous
avez réussi dans votre mission.
Fareste meglio a dirmi se siete
riuscito nella vostra missione.
MAÎTRE JEAN
MAÎTRE JEAN
Hélas! Madame, le seigneur Horace
ne veut pas vendre sa colombe et je
dois même ajouter qu’il a donné
a cet oiseau, le nom de la comtesse.
Ahimé! Signora, il signor Horace
non vuole vendere la sua colomba e
devo anche aggiungere che egli ha
dato a questo uccello il nome della
contessa.
SYLVIE
Vraiment? C’est égal, je suis
désespérée, et le perroquet
d’Amynte me fera mourir de
chagrin. Car
c’est pour cette femme une lutte
que je perds si je lui abandonne la
partie. Je n’ai pas eu d’adorateur
qu’elle n’ait voulu m’enlever. Pas
un bijou, un palais qu’elle ne m’ait
disputés. Jusqu’ici, grâce à
Dieu, j’avais écrasé ma rivale,
quand elle a trouvé ce maudit
perroquet, qui parle, qui chante
étourdit
tout Florence. N’est ce pas une
dérision de la destinée?
MAÎTRE JEAN
Il est vrai que la colombe du
seigneur Horace n’aurait pas eu de
peine à l’emporter.
SYLVIE
SYLVIE
Davvero? Fa lo stesso, io sono
disperata, e il pappagallo di Aminta
mi farà morire di dispiacere. Poiché
è per questa donna una lotta che
perdo se mi arrendo a lei. Non ho
avuto un adoratore che lei non abbia
voluto sottrarmi. Non un gioiello,
non un palazzo che lei non mi abbia
conteso. Fin qui, grazie a Dio, avevo
sopraffatto la mia rivale, quando
ella ha trovato questo maledetto
pappagallo, che parla, che canta,
stordisce tutta Firenze. Non è uno
scherzo del destino?
MAÎTRE JEAN
È vero che la colomba del signor
Horace non avrebbe fatto fatica a
prevalere.
SYLVIE
Eh bien, créchez moi ce jeune
homme et dites lui qu’une dame
l’attend et ne me nommez pas.
Maître Jean part
Ebbene, cercate per me questo
giovane, ditegli che una signora lo
attende e non fate il mio nome.
Maître Jean se ne va
N. 4
air
Sylvie
N. 4
air
Sylvie
sylvie
Je veux interroger ce jeune homme et
connaitre
sylvie
Voglio interrogare questo giovane e
conoscere
37
38
S’il est vrai que je sois encor chère à
son maître;
Comment, par quelle ruse on pourra
l’amener
A vendre sa colombe
Où bien… à la donner!
Si je suis belle encore,
S’il est vrai qu’il m’adore,
S’il garde un peu d’espoir…
Sa résistance est vaine
Ma victoire est certaine:
Il est en mon pouvoir!
Oui, s’il m’aime,
En mes attraits j’ai foi!
L’amour même
L’amour combat pour moi!..
Mais quoi!..
Faudra-t-il que je tombe
Au piège où lui mémé s’est pris
Pour lui payer le prix
De sa chère colombe,
L’amour est parfois éxigeant!
Que veut-il à défaut d’argent?
Si le Seigneur Horace
Veut un sourire… Passe!..
On peut donner cela!..
Si tout bas il implore un regard!..
Passe encore!..
On ira jusques là!
Mais si dans sa folie
L’amant discret s’oublie
Et demande un baiser!..
Il faut y renoncer!
Non, jamais, non jamais!
Se è vero che sono ancora cara al suo
padrone;
Come, con quale astuzia lo si potrà
indurre
A vendere la sua colomba
O meglio… a regalarla!
Se io sono ancora bella,
Se è vero che egli mi adora,
Se conserva un po’ di speranza…
La sua resistenza è vana
La mia vittoria è certa:
Egli è in mio potere!
Sì, se egli mi ama,
Nelle mie seduzioni ho fiducia!
L’amore stesso
L’amore combatte per me!..
Ma che cosa!..
Sarà necessario che io cada
Nella trappola in cui egli stesso è caduto
Per pagargli il prezzo
Della sua cara colomba,
L’amore è talvolta esigente!
Cosa vuole in mancanza di soldi?
Se il Signor Horace
Vuole un sorriso… Passi!..
Glielo possiamo regalare!..
Se in silenzio implora uno sguardo!..
Passi ancora!..
Si andrà fin là!
Ma se nella sua follia
L’amante discreto perde il controllo di sé
E chiede un bacio!..
Bisogna rinunciarvi!
No, mai, no mai!
N. 5
couplets
Mazet
Entre Mazet
N. 5
couplets
Mazet
Entra Mazet
mazet
Ah! Les femmes! Les femmes!
mazet
Ah! Le donne! Le donne!
Filles, veuves, dames!
Avec où sans appas,
Ne m’en parlez pas! Brrrr…
Cela jase rumine,
S’ingénie imagine,
Désespère, assassine,
Jusques au trépas!
Hou! Rétrò satanas!
Voyez cet asile
Heureux et tranquille
Ou loin de la ville
S’écoulent nos jours!
Nous fermons la porte
A cette cohorte
Que le diable emporte
Avec les amours!!!
Dans la solitude
Fuir la servitude
Faire son étude
D’être bien portant
Est il une vie
Plus digne d’envie
Dieu même y convie
Notre coeur content
Et riant du monde
Que trompe à la ronde
La brune ou la blonde
Nous buvons d’autant!
Fanciulle, vedove, signore!
Con o senza fascino,
Non me ne parlate! Brrrr…
Questa spettegola, rimugina,
S’ingegna, immagina,
Dispera, assassina,
Fino alla morte!
Uh! Vade retro, Satana!
Guardate questa dimora
Felice e tranquilla
Ove lontano dalla città
Trascorrono i nostri giorni!
Noi chiudiamo la porta
A questa brigata
Che il diavolo travolge
Con gli amori!!!
Nella solitudine
Evitare la schiavitù
Cercare
Di stare bene
È una via
Più degna di desiderio
Dio stesso convita
Il nostro cuore contento
E ridente del mondo
Che inganna tutt’intorno
La bruna o la bionda
Beviamo in ogni caso!
N. 6
terzetto
Sylvie, Horace, Mazet à part
Entre Horace
N. 6
terzetto
Sylvie, Horace, Mazet a parte
Entra Horace
horace
Ô vision enchanteresse!
Quel Dieu vous amène vers nous?
Je ne vous offre en ma détresse
Qu’un accueil indigne de vous!..
Je maudissais mon indigence,
Et pourtant, je vous appelais!..
Je vous vois et votre présence,
Change ma chaumière en palais!
horace
O visione incantatrice!
Quale Dio vi conduce a noi?
Non vi offro nella mia miseria
Che un’accoglienza indegna di voi!..
Maledicevo la mia indigenza,
E pertanto, mi rivolgevo a voi!..
Vi vedo e la vostra presenza,
Trasforma la mia capanna in palazzo!
39
40
mazet
Il est encore en sa puissance:
L’amour le tient dans ses filets.
mazet
È ancora in suo potere:
L’amore lo tiene nelle sue reti.
sylvie
Il est encore en ma puissance:
J’obtiendrais tout si je parlais!
Non loin de ce séjour champêtre
Le hasard a conduit mes pas…
Le bonheur est par là peut être!..
Me disais-je à part moi, tout bas!..
La porte n’était pas fermée!..
Chez vous je m’arrête en chemin!..
Je vous vois et je suis charmée,
De pouvoir encore vous tendre la
main!
sylvie
È ancora in mio potere:
Otterrei tutto se parlassi!
Non lontano da questo soggiorno
campestre
Il caso ha condotto i miei passi…
Forse la fortuna è là!..
Mi dicevo tra me e me, sottovoce!..
La porta non era chiusa!..
Presso di voi mi fermo per strada!..
Io vi vedo e sono incantata,
Di potervi ancora tendere la mano!
horace
Aux regrets mon âme est fermée,
Adieu, noirs soucis! A demain!
horace
Ai rimpianti la mia anima è chiusa,
Addio, pensieri oscuri! A domani!
mazet
La porte n’était pas fermée,
Songeons à la fermer demain.
mazet
La porta non era chiusa,
Pensiamo a chiuderla domani.
iv. recitatif
Les mêmes et Maître Jean
iv. recitativo
Gli stessi e Maître Jean
SYLVIE
SYLVIE
Cher seigneur, je suis ravie de vous
revoir. Et je m’invite même à diner.
Caro signore, sono felicissima di
rivedervi. E mi invito anche a cenare.
HORACE
HORACE
Vous comblez mes voeux madame et
je ne peux croire a mon bonheur.
Mais… qui vient là?
Entre Maître Jean
Voi soddisfate i miei desideri signora
e io non posso credere alla mia
fortuna.
Ma… chi sta arrivando?
Entra Maître Jean
SYLVIE
Tiens c’est le majordome d’une de
mes amies. Il vient fort à propos.
SYLVIE
Guarda, è il maggiordomo di una
delle mie amiche. Giunge proprio a
proposito.
N. 7
quatour final
Sylvie, Horace, Mazet et Maître Jean
N. 7
quartetto finale
Sylvie, Horace, Mazet e Maître Jean
horace
Ô douce joie!
Dieu permet que je revoir
Ses traits charmant!..
Heure cruelle,
N’emporte pas sur ton aîle
Ces doux moments!
horace
O dolce gioia!
Dio permette che io riveda
I suoi tratti incantevoli!..
Ora crudele,
Non portare via sulla tua ala
Questi dolci momenti!
sylvie
Comme la proie
Autour du piège tournoie
Etourdiment!
Un coeur fidèle,
Livre toujours à sa belle
Un faible amant!
sylvie
Come la preda
Intorno alla trappola volteggia
Sconsideratamente!
Un cuore fedele,
Consegna sempre alla sua bella
Un debole amante!
maître jean
Faut-il qu’on voie
Se compromettre avec joie,
Ouvertement,
Une si belle
Et si noble demoiselle
Près d’un amant!
maître jean
Si possa vedere
Compromettersi con gioia,
Apertamente,
Una così bella
E così nobile fanciulla
Presso un amante!
mazet
Nous voilà, pour lui plaire
Dans un bel embarras!..
mazet
Eccoci, per compiacerlo,
In un bell’imbarazzo!..
horace
Bon! Tire-toi d’affaire
Du mieux que tu pourras!..
horace
Bene! Chiarisci la faccenda
Meglio che potrai!..
maître jean
Madame se hasarde
En quelque affreux repas.
maître jean
La Signora si azzarda
In qualche orrendo pasto.
horace
Peut-être allez vous faire
Une assez triste chère!..
horace
Forse state per dare
Un’accoglienza molto triste!..
41
42
sylvie
Pour apaiser ma faim,
N’avez-vous pas du pain?..
sylvie
Per placare la mia fame,
Non avete del pane?..
maître jean
Du pain?.. quelle démence!..
maître jean
Del pane?.. che idiozia!..
horace
C’est tout au plus, ma foi!..
horace
È tutt’al più, in fede mia!..
maître jean
Mais Madame!..
maître jean
Ma signora!..
sylvie
Silence!..
sylvie
Silenzio!..
mazet
Songez, seigneur!..
mazet
Pensate, signore!..
horace
Tais-toi!..
horace
Taci!
mazet
Je me tais!..
mazet
Taccio!..
horace
Ô douce joie!
Dieu permet que je revoir
Ses traits charmant!..
Heure cruelle,
N’emporte pas sur ton aîle
Ces doux moments!
horace
O dolce gioia!
Dio permette che io riveda
I suoi tratti incantevoli!..
Ora crudele,
Non portare via sulla tua ala
Questi dolci momenti!
mazet
Ô folle joie!
Qui livres comme une proie
Un pauvre amant!
A cette belle,
Qui s’amuse la cruelle
De son tourment!
mazet
O folle gioia!
Che consegni come una preda
Un povero amante!
A questa bella,
Che si diverte la crudele
Del suo tormento!
sylvie
Comme la proie
Autour du piège tournoie
Etourdiment!
Un coeur fidèle,
sylvie
Come la preda
Intorno alla trappola volteggia
Sconsideratamente!
Un cuore fedele,
Livre toujours à sa belle
Un faible amant!
Consegna sempre alla sua bella
Un debole amante!
maître jean
Faut-il qu’on voie
Se compromettre avec joie,
Ouvertement,
Une si belle
Et si noble demoiselle
Près d’un amant!
Ils sortent tous, sauf Mazet
maître jean
Si possa vedere
Compromettersi con gioia,
Apertamente,
Una così bella
E così nobile fanciulla
Presso un amante!
Escono tutti, eccetto Mazet
mazet
seule
Ah! Les hommes! Les hommes!
Jeunes! Vieux! Riches! Pauvres!
Tous tant que nous sommes,
Ne m’en parlez pas! Brrrr…
mazet
solo
Ah! Gli uomini! Gli uomini!
Giovani! Vecchi! Ricchi! Poveri!
Tutti quanti,
Non me ne parlate! Brrrr…
fin du 1.er acte
fine del i atto
acte ii
atto ii
N. 8
air
Maître Jean, avant le rideau
N. 8
air
Maître Jean, davanti a sipario
maître jean
Le grand art de cuisine
Où je me crois expert,
Grâce à notre lésine,
Est un art qui se perd.
Il faut de grosses sommes
Pour se bien goberger:
Dans le siècle où nous sommes
On ne sait plus manger!
Voyez dans l’histoire
Les gens d’autrefois;
Ou se faisait gloire
Au banquet des rois
De manger, de boire,
Pendant tout un mois!
Ècuyers et pages
Gens à tabliers,
maître jean
La grande arte della cucina
Di cui mi credo esperto,
Grazie alla nostra miseria,
È un’arte che si perde.
Servono delle grosse somme
Per godersela bene:
Nel secolo in cui siamo
Non si sa più mangiare!
Vedete nella storia
Le genti di altri tempi;
Quando ci si vantava
Al banchetto dei re
Di mangiare, di bere,
Per un mese intero!
Scudieri e paggi
Gente con grembiuli,
43
44
Marmitons, maîtres queux,
Aides et sommeliers
A tous les stage,
Par les escaliers,
Descendaient et montaient
Des caves aux celliers,
Portant sur des plats informes
Soutenus à quatre bras
Des morceaux de viande énormes
Et de grands pots d’hypocras!
Et du soir au matin,
Sans trêve ni relâche
Les broches tournaient,
Les fourneaux flambaient,
Les viandes cuisaient:
Témoin le noces de Gamache!
Témoin le noces de Cana!
Mais nous ne faisons plus,
De ces bons diners là!
Apprendisti, cuochi,
Assistenti e sommeliers
A tutti i piani,
Per le scale,
Scendevano e salivano
Dalle cantine alle dispense,
Portando su piatti informi
Sostenuti da quattro braccia
Dei pezzi di carne enormi
E delle grandi brocche di vino!
E dalla sera al mattino,
Senza tregua né sosta
Gli spiedi giravano,
I fornelli ardevano,
Le carni cuocevano:
Testimone le nozze di Gamache!
Testimone le nozze di Cana!
Ma noi non facciamo più,
Quelle cene così buone!
v. recitatif
Mazet, Horace
v. recitativo
Mazet, Horace
MAZET
MAZET
Ah mon dieu que faire, que faire,
que faire, que faire. Les fournisseurs
refusent le moindre crédit. Et me voici
mon panier vide. Ah je ne sais que
devenir.
Ah, mio dio, che fare. I fornitori
rifiutano il minimo credito. Ed ecco
il mio paniere vuoto. Ah non so cosa
fare.
HORACE
Ebbene… ma come, non hai
preparato nulla?
Eh bien… mais comment, tu n’as
rien préparé?
MAZET
HORACE
MAZET
Preparare cosa?
Et quoi préparer?
N. 9
duo
Mazet, Horace
horace
Il faut d’abord dresser la table…
N. 9
duo
Mazet, Horace
horace
Bisogna innanzitutto apparecchiare la
tavola…
mazet
Elle boit un peu!..
mazet
Zoppica un po’!..
horace
Maladroit!..
Sache la mettre au bon endroit!..
Prends ce que nous avons de linge
présentable!
horace
Maldestro!..
Sappila mettere nel posto giusto!..
Prendi la biancheria più presentabile
che abbiamo!
mazet
Où diable est-il?
mazet
Dove diavolo è?
horace
Dans le buffet.
horace
Nella credenza.
mazet
Je ne vois qu’une nappe à moitié
déchirée!
mazet
Non vedo che una tovaglia mezza
strappata!
horace
Donne! La voilà éparée!
horace
Dai qua! Eccola riparata!
mazet
En effet!
mazet
In effetti!
horace
C’est parfait!
horace
È perfetto!
mazet
Parfait, parfait, parfait, parfait!..
mazet
Perfetto, perfetto, perfetto, perfetto!..
horace
Parfait, parfait, parfait, parfait!..
horace
Perfetto, perfetto, perfetto, perfetto!..
mazet, horace
(à 2)
L’adresse est par fois nécessaire
Quand’ on n’a rien:
Avec un peu de savoir-faire
Tout ira bien.
mazet, horace
(a 2)
L’ingegnosità è talvolta necessaria
Quando non si ha niente:
Con un po’ di savoir-faire,
Tutto andrà bene.
horace
Maintenant les assiettes
Les verres, les fourchettes!
horace
Adesso i piatti
I bicchieri, le forchette!
mazet
Les assiettes du moins ne manquent pas ici
mazet
I piatti almeno qui non mancano
45
Elles sont deux: et les voici.
Sono due: ed eccoli.
horace
Cela prouve en tout cas que ma vie est
frugale!
horace
Ciò prova in ogni caso che la mia vita
è frugale!
mazet
Quant aux verres
Ils sont de grandeur inégale!..
horace
Le petit en sera plus commode à sa
main!..
mazet
Les fourchettes sont en étain!..
horace
Pour si peu faut-il qu’on soupire?
Ton orgueil est trop éxigeant.
Aisément on les fait reluire.
Et l’étain devient de l’argent!..
mazet
Oui, vraiment,
C’est charmant!
horace
C’est charmant!
46
mazet
Charmant, charmant charmant,
charmant!
mazet
Quanto ai bicchieri
Sono di grandezza diversa!..
horace
Il piccolo sarà più comodo nella sua
mano!..
mazet
Le forchette sono di stagno!..
horace
Per così poco dovremmo sospirare?
Il tuo orgoglio è troppo esigente.
Facilmente le facciamo lucidare.
E lo stagno diventa argento!..
mazet
Sì, davvero,
È geniale!
horace
È geniale!
mazet
Geniale, geniale, geniale,
geniale!
horace
Charmant, charmant charmant,
charmant!
horace
Geniale, geniale, geniale,
geniale!
mazet, horace
(à 2)
L’adresse est par fois nécessaire
Quand’ on n’a rien:
Avec un peu de savoir-faire
Tout ira bien.
mazet, horace
(a 2)
L’ingegnosità è talvolta necessaria
Quando non si ha niente:
Con un po’ di savoir-faire,
Tutto andrà bene.
mazet
Voilà sans doute un couvert
admirable!
Mais que servirons-nous maintenant
sur la table?
horace
Que servirons-nous?..
mazet
Oui!
horace
Que peux-tu nous servir?..
mazet
Absolument rien!..
horace
Diable!..
Le jardin peut déjà fournir
Avec le raisin de ses treilles
Des fruits qui rempliront pour le
moins deux corbeilles.
mazet
D’accord! Mais les grappes vermeilles
Ne sont pas bonnes à rôtir!
horace
Va toujours!
Quant au reste, nous saurons y
pourvoir!... va!..
Mazet va dans le jardin
horace
Ô pauvreté funeste!
Qui m’empêches lui donner
Un malheureux diner!
Mazet revient du jardin
mazet
Ecco senza dubbio un coperto
ammirevole!
Ma cosa serviremo adesso sulla tavola?
horace
Cosa serviremo?..
mazet
Sì!
horace
Cosa ci puoi servire?..
mazet
Assolutamente niente!..
horace
Diamine!..
Il giardino può già fornire
Con l’uva delle sue vigne
Dei frutti che riempiranno almeno due
ceste.
mazet
D’accordo! Ma i grappoli vermigli
Non sono buoni da arrostire!
horace
Va’ comunque!
Quanto al resto, noi ci saremo per
vedere!.. Va’!..
Mazet va in giardino
horace
O povertà funesta!
Che mi impedisci di donarle
Un misero pasto!
Mazet torna dal giardino
mazet
Voici les fruits.
mazet
Ecco i frutti.
horace
Parbleu! J’y pense…
horace
Perbacco! Ci penso…
47
Fais main basse
Sur tout ce qui demeure encor au
poulailler.
Fai man bassa
Su tutto ciò che ancora resta nel
pollaio.
mazet
Eh! Seigneur perdez-vous la tête?
Nos poulets sont morts et la bête
A tout mangé jusqu’au dernier!..
mazet
Eh! Signore perdete la testa?
I nostri polli sono morti e la bestia
Ha mangiato tutto fino alla fine!..
horace
Quoi!... rien!..
horace
Cosa!.. Niente!..
mazet
Voyez plutôt vous-même!..
Horace sort
mazet
Piuttosto guardate voi stesso!..
Horace esce
mazet
S’il trouve seulement un pigeon, par
ma foi!
Mon cher parrain sera plus habile que
moi!
Est-on assez fou quand on aime…
Eh bien! Seigneur!
Horace revient
mazet
Se trovasse solo un piccione, in fin dei
conti!
Il mio caro padrino sarà più abile di me!
Si è piuttosto folli quando si ama…
Ebbene! Signore!
Horace ritorna
horace
Eh bien!.. tu te trompais!
48
mazet
Comment?..
horace
Prends ce qui reste et promptement.
mazet
Et que reste-t-il donc?..
horace
Sylvie!
horace
Ebbene!.. Ti sbagliavi!
mazet
Come?..
horace
Prendi ciò che resta e rapidamente.
mazet
E cosa resta dunque?..
horace
Sylvie!
mazet
Sylvie! Y pensez-vous?
Que j’aille ôter la vie à votre colombe!
mazet
Sylvie! Ci pensate?
Che io vada a togliere la vita alla vostra
colomba!
horace
Il le faut! Obéis,
Et ne soufflé mot.
horace
È necessario! Obbedisci,
E non fiatare.
Pour recevoir ma belle
Il n’est rien de trop beau!
Meure pour elle
Meure mon oiseau!
Per ricevere la mia bella
Non c’è niente di troppo bello!
Muore per lei
Muore il mio uccello!
mazet
Devait-il pour sa belle
Te livrer au couteau?..
Tu meurs pour elle
Pauvre oiseau!
mazet
Doveva per la sua bella
Consegnarti al coltello?..
Tu muori per lei
Povero uccello!
N. 9 bis
mélodrame
Sylvie
N. 9 bis
mélodrame
Sylvie
sylvie
(réveuse, un bouquet à la main)
Me voilà tombée dans une étrange
rêverie!.. Mille souvenirs me
reviennent à la fois et je ne puis me
défendre d’une certaine tristesse en
parcourant ce pauvre domaine où j’ai
condamné le segneur
Horace à s’exiler!.. Je me reproche
ma cruauté et je m’en veux de l’avoir
sacrifié à d’indignes rivaux
qui n’avaient pour me plaire ni sa
jeunesse, ni son esprit, ni sa tendre
façon d’aimer!
sylvie
(sognante, un bouquet in mano)
Ed eccomi immersa in uno strano
sogno!.. Mille ricordi mi tornano alla
mente e non posso più difendermi da
una certa tristezza percorrendo questa
povera tenuta in cui ho condannato
all’esilio il signor Horace!.. Mi
rimprovero la mia crudeltà e mi pento
di averlo sacrificato a rivali indegni che
non avevano, per piacermi, né la sua
giovinezza, né la sua intelligenza, né il
suo tenero modo di amare!
N. 10
romance
Sylvie
N. 10
romance
Sylvie
sylvie
Que de rêves charmants emportés
sans retour!
Que de fragiles chaines!
Que de promesses vaines!
Que de serments trompeurs d’un
éternel amour
Oubliés ou trahis avant la fin du
jour!..
sylvie
Che sogni meravigliosi portati via
senza ritorno!
Che fragili catene!
Che promesse vane!
Quanti giuramenti ingannevoli di un
eterno amore
Dimenticati o traditi prima della fine
del giorno!..
49
Lui seul, ingrate Sylvie,
En te donnant son âme, en te
donnant sa vie,
Lui seul, hélas ne mentait pas!..
Lui solo, ingrata Sylvie,
Donandoti la sua anima, donandoti la
sua vita,
Lui solo, ohimè! Non mentiva!..
J’accueillais ses aveux d’un sourire
vainqueur,
Je riais de sa flamme,
Je torturais son âme!
Et malgré mes dédains et mon refus
moqueur
L’amour qu’il me jurait vit encor dans
son coeur!..
Lui seul, ingrate Sylvie,
En te donnant son âme, en te
donnant sa vie,
Lui seul, hélas ne mentait pas!..
Accoglievo le sue confessioni con un
sorriso vincitore,
Ridevo della sua passione,
Torturavo la sua anima!
E nonostante il mio disprezzo e il mio
rifiuto beffardo
L’amore che egli mi giurava vive ancora
nel suo cuore!..
Lui solo, ingrata Sylvie,
Donandoti la sua anima, donandoti la
sua vita,
Lui solo, ohimè! Non mentiva!..
vi. recitatif
Sylvie, Horace
Entre Horace
SYLVIE
Eh bien, seigneur, vous
m’abandonnez.
50
vi. recitativo
Sylvie,Horace
Entra Horace
SYLVIE
Ebbene, signore, voi mi
abbandonate.
HORACE
HORACE
Excusez moi madame. J’avais un
ordre a donner.
Scusatemi signora. Avevo un ordine
da dare.
N. 11
madrigal
Horace
N. 11
madrigal
Horace
horace
Ces attraits que chacun admire,
Ce regard divin, ce sourire!
Nous faisaient tomber tous,
Hélas!
Madame à vos genoux!
Déesse ou femme,
Ange des cieux!
Qui ne s’enflamme
horace
Queste seduzioni che ognuno ammira,
Questo sguardo divino, questo sorriso!
Ci faceva cadere tutti,
Ohimè!
Signora alle vostra ginocchia!
Dea o donna,
Angelo dei cieli!
Che non si infiamma
A perdu l’âme,
Ou bien les yeux.
Cette voix que chacun adore,
Cette douce voix chante encore!
Qu’ils étaient ravissants,
Mon Dieu!
Madame, ces doux accents!
Déesse ou femme,
Ange des cieux!
Qui ne s’enflamme
A perdu l’âme,
Ou bien les yeux.
Ha perduto l’anima,
Ovvero gli occhi.
Questa voce che ognuno adora,
Questa dolce voce canta ancora!
Come erano incantevoli,
Mio Dio!
Signora, quei dolci accenti!
Dea o donna,
Angelo dei cieli!
Che non si infiamma
Ha perduto l’anima,
Ovvero gli occhi.
vii. recitatif
Sylvie, Horace
vii. recitativo
Sylvie, Horace
HORACE
HORACE
Mais puisque le repas se fait encore
attendre ne me direz vous pas
l’objet de votre visite?
Ma mentre il pasto si fa ancora
attendere non mi direste il motivo
della vostra visita?
SYLVIE
SYLVIE
Non, non, pas tout de suite. Quand
nous aurons dîné.
No, no, non subito. Quando avremo
cenato.
N. 12
quartettino
Sylvie, Horace, Mazet, Maître Jean
N. 12
quartettino
Sylvie, Horace, Mazet, Maître Jean
sylvie
(à part)
Déjà… son coeur… semble tout bas
souscrire,
A tous mes voeux!..
Et ce pendant je n’ose pas lui dire
Ce que je veux!
sylvie
(a parte)
Già… il suo cuore… sembra
silenziosamente appagare
Tutti i miei desideri!..
E nonostante ciò io non oso dirgli
Ciò che io voglio!
maître jean
(à part)
Puisqu’elle écoute avec un doux
sourire
De tels aveux,
Pourquoi tarder si long temps à lui dire
Quels sont ses voeux?..
maître jean
(a parte)
Poiché ella ascolta con un dolce sorriso
Tali confessioni,
Perché tardare così tanto a dirle
Quali sono i suoi desideri?..
51
horace
(à part)
Ah! Que sa bouche où passe un doux
sourire
Disse: je veux!..
Aveuglément je promets de souscrire
A tous se voeux!..
horace
(a parte)
Ah! Che la sua bocca ove passa un
dolce sorriso
Dica: io voglio!..
Ciecamente prometto di soddisfare
Tutti i suoi desideri!..
mazet
Entre
Seigneur, on peut se mettre à table!
mazet
Entra
Signore, possiamo metterci a tavola!
horace
Pauvre Sylvie, hélas! Pardonne-moi ta
mort!
horace
Povera Sylvie, ohimè! Perdonami la tua
morte!
sylvie
Qu’a-t il à soupirer de cet air
lamentable?..
Allons, seigneur!
sylvie
Cosa c’è da sospirare con questa aria
pietosa?..
Andiamo, signore!
maître jean
Quel coup du sort par un oiseau rôti
Remplace les fèves du seigneur
Horace?..
maître jean
Quale colpo del destino per un uccello
arrosto
Prende il posto delle fave del signor
Horace?..
sylvie
Nous n’avons plus besoin de vous!
sylvie
Non abbiamo più bisogno di voi!
horace
Puisqu’on l’ordonne, laisse-nous!
horace
Dal momento che lo si ordina, lasciaci!
mazet, maître jean
(à 2)
Puisqu’on l’ordonne, éloignons-nous.
mazet, maître jean
(a 2)
Dal momento che lo si ordina,
allontaniamoci.
sylvie
(à part)
Déjà… son coeur… semble tout bas
souscrire,
A tous mes voeux!..
Et ce pendant je n’ose pas lui dire
Ce que je veux!
sylvie
(a parte)
Già… il suo cuore… sembra
silenziosamente appagare
Tutti i miei desideri!..
E nonostante ciò non oso dirgli
Ciò che io voglio!
52
maître jean
(à part)
Puisqu’elle écoute avec un doux
sourire
De tels aveux,
Pourquoi tarder si long temps à lui dire
Quels sont ses voeux?..
maître jean
(a parte)
Poiché ella ascolta con un dolce
sorriso
Tali confessioni,
Perché tardare così tanto a dirle
Quali sono i suoi desideri?..
mazet, maître jean
(à part)
Puisqu’elle écoute avec un doux
sourire
De tels aveux,
Pourquoi tarder si long temps à lui dire
Quels sont ses voeux?..
Mazet et Maître Jean s’en vont
mazet, maître jean
(a parte)
Poiché ella ascolta con un dolce
sorriso
Tali confessioni,
Perché tardare così tanto a dirle
Quali sono i suoi desideri?..
Mazet e Maître Jean se ne vanno
viii. recitatif
Sylvie, Horace
viii. recitativo
Sylvie, Horace
SYLVIE
SYLVIE
Qu’est ce cela, je vous prie?
Che cos’è questo, vi chiedo?
HORACE
HORACE
Un oiseau de ma chasse…
Un uccello della mia caccia…
SYLVIE
SYLVIE
Saveur étrange!.. Je n’ai jamais
mangé d’un pareil mets. Me direz
vous enfin votre secret.
Strano sapore!.. Non ho mai
mangiato una simile pietanza. Mi
direte finalmente il vostro segreto.
N. 13
duo
Sylvie, Horace
N. 13
duo
Sylvie, Horace
sylvie
Hélas! Seigneur, pardonnez-moi si
j’ose
Vous demander l’unique chose
Qui vous restait!..
Je ne mérite rien!
Votre repos, votre honneur, votre bien
S’en sont allés aux plaisirs de Sylvie!
sylvie
Ohimè! Signore, perdonatemi se oso
Chiedervi l’unica cosa
Che vi rimaneva!..
Non merito nulla!
Il vostro riposo, il vostro onore, i vostri
beni
Se ne sono andati ai piaceri di Sylvie!
53
Vous m’aimiez, plus que votre propre vie!
A vos feux j’ai mal répondu
Et je m’en viens, pour comble
d’injustice
Vous demander…
Eh quoi?.. c’est temps perdu..
Voi mi amavate, più della vostra stessa
vita!
Ai vostri fuochi ho risposto male
E giungo, per eccesso di ingiustizia
A chiedervi…
Eh cosa?.. è tempo perso…
horace
Parlez!.. de grâce…
horace
Parlate!.. di grazia…
sylvie
Votre colombe.
sylvie
La vostra colomba.
horace
O ciel!
54
horace
O cielo!
sylvie
A ce caprice
L’oiseau d’Aminte et ses mépris
Ont follement entraîne mes esprits.
Mais non! Plutôt périsse
Ma gloire aux yeux d’un monde
inconstant et moqueur
Que d’aller sans pitié vous arracher le
coeur!
sylvie
A questo capriccio
L’uccello di Aminte e il suo disprezzo
Hanno follemente trascinato il mio
spirito.
Ma no! Piuttosto soccomba
La mia gloria agli occhi di un mondo
incostante e beffardo
Che straziarvi il cuore senza pietà!
horace
Ô destin fatal!
horace
O destino fatale!
sylvie
Il hésite!
sylvie
Egli esita!
horace
Combien je suis infortuné!..
horace
Quanto sono sfortunato!..
sylvie
Adieu, seigneur; excusez ma visite!..
sylvie
Addio, signore; perdonate la mia
visita!..
horace
L’oiseau n’est plus!.. vous en avez diné!..
Plût au ciel vous avoir à sa place servi
mon coeur!..
Mais le sort me fait voir
Qu’il ne sera jamais en mon pouvoir
De mériter de vous aucune grâce.
horace
L’uccello non c’è più!.. ci avete cenato!..
Voglia Dio avervi servito il mio cuore
al suo posto!..
Ma la sorte mi fa vedere
Che non sarà mai in mio potere
Meritare da voi alcuna grazia.
sylvie
L’oiseau n’est plus!
sylvie
L’uccello non c’è più!
horace
Rien ne m’était resté!
Devant mes yeux l’oiseau s’est
présenté:
Je l’ai sacrifié sans peine!
Rien coûte-t-il quand on reçoit sa
reine?..
Ce que je puis pour vous, c’est de
chercher
Un autre oiseau! Ce n’est chose si rare
Que dès demain l’on ne puisse en
trouver.
Dites un mot!..
horace
Non mi era rimasto nulla!
Davanti ai miei occhi l’uccello si è
presentato:
L’ho sacrificato senza difficoltà!
Niente costa quando si riceve la
propria regina?..
Ciò che posso fare per voi, è cercare
Un altro uccello! Non è cosa tanto rara
Che da domani non se ne possa
trovare.
Dite una parola!..
sylvie
Non, seigneur! Je déclare
Que c’est assez!
Vous ne m’avez jamais donné
De votre amour une marque si forte.
Que sur moi désormais
Ma rivale l’emporte,
Ce n’est plus là le but de mes souhaits.
Voici ma mai net qu’elle soit le gage
D’un coeur dont vous avez amolli le
courage.
sylvie
No, Signore! Io dico
Che è abbastanza!
Voi non mi avete mai dato
Del vostro amore una prova così forte.
Che su di me ormai
La mia rivale abbia la meglio,
Non è più quello l’obiettivo dei miei
desideri.
Ecco la mia mano e ch’ella sia il pegno
Di un cuore di cui avete mitigato il
coraggio.
horace
O délire! Ô bonheur!
Dois-je croire à ce mot suprême?..
horace
O delirio! O fortuna!
Devo credere a questa parola suprema?..
sylvie
Oui, seigneur! Je vous aime!
sylvie
Sì, signore! Io vi amo!
horace
Ah! Pour mon coeur
C’est trop d’ivresse!
J’étais vainqueur
De ma tristesse,
Mais de plaisir
Je vais mourir!
Oui, de plaisir
Je vais mourir!
horace
Ah! Per il mio cuore
È troppa ebbrezza!
Ero vincitore
Della mia tristezza,
Ma di piacere
Sto per morire!
Sì, di piacere
Sto per morire!
55
56
sylvie
L’amour vainqueur
De ma sagesse
Livre mon coeur
A sa tendresse
Et de plaisir
Me fait rougir!
sylvie
L’amore vincitore
Della mia saggezza
Abbandona il mio cuore
Alla sua tenerezza
E di piacere
Mi fa arrossire!
N. 14
final
Sylvie, Mazet, Horace, Maître Jean
N. 14
final
Sylvie, Mazet, Horace, Maître Jean
mazet
(dans la coulisse)
Apaisez, blanche colombe
Votre faim
Du grain de froment qui tombe
De ma main!
Mazet entre avec la colombe
mazet
(da dietro le quinte)
Placate, bianca colomba,
La vostra fame
Di chicco di grano che cade
Dalla mia mano!
Mazet entra con la colomba
horace
Grand Dieu!
horace
Mio Dio!
sylvie
Que vois-je?
sylvie
Cosa vedo?
mazet
A Sylvie
Le ciel a sauvé la vie…
mazet
A Sylvie
Il cielo ha salvato la vita…
horace
Et comment?
horace
E come?
maître jean
(Montrant Mazet)
En jetant tout exprès le perroquet
d’Aminte dans ses rets.
maître jean
(Mostrando Mazet)
Gettando volutamente il pappagallo di
Aminte nelle sue reti.
mazet
Au moment où votre colombe
Avait déjà, seigneur, une aîle dans la
tombe!
mazet
Nel momento in cui la vostra colomba
Aveva già, signore, un’ala nella tomba!
sylvie
Ah! C’est le perroquet d’Aminte
Que tout à l’heure j’ai mangé! Ah! Ah!
sylvie
Ah! è il pappagallo di Aminte
Che ho mangiato poco fa! Ah! Ah!
horace
Ma colombe, à présent, vous devient
inutile.
sylvie
Non, seigneur si chaque jour
Elle rappelle à mon coeur votre amour!
maître jean
Bah!
mazet
L’amour avec vous nous ramène à la ville!
L’amour vainqueur
A sa tendresse,
Livre le coeur
De sa maîtresse.
Un tel plaisir
Fait-il mourir?
sylvie
L’amour vainqueur
De ma sagesse
Livre mon coeur
A sa tendresse
Et de plaisir
Me fait rougir!
horace
Ah! pour mon coeur
C’est trop d’ivresse
J’étais vainqueur
De ma tristesse
Mais de plaisir
Je vais mourir!
maître jean
L’amour vainqueur
Dont la comtesse
Goûte en son coeur
La douce ivresse
Au repentir
Doit aboutir.
fin
horace
La mia colomba, adesso, vi sarà inutile.
sylvie
No, signore se ogni giorno
Ella ricorda al mio cuore il vostro amore!
maître jean
Bah!
mazet
L’amore con voi ci conduce al centro,
L’amore vincitore
Alla sua tenerezza,
Abbandona il cuore
Della sua padrona.
Un tale piacere
Fa morire?
sylvie
L’amore vincitore
Della mia saggezza
Abbandona il mio cuore
Alla sua tenerezza
E di piacere
Mi fa arrossire!
horace
Ah! Per il mio cuore
È troppa ebbrezza
Ero vincitore
Della mia tristezza
Ma di piacere
Sto per morire!
maître jean
L’amore vincitore
Di cui la contessa
Gusta nel suo cuore
La dolce ebbrezza
Al pentimento
Deve approdare.
fine
Traduzione dal francese di Barbara
Valdambrini
57
Orchestra della Toscana
Violini primi
Andrea Tacchi *
Daniele Giorgi *
Paolo Gaiani **
Gabriella Colombo
Marcello D’Angelo
Chiara Foletto
Alessandro Giani
Susanna Pasquariello
Violini secondi
Chiara Morandi *
Angela Asioli **
Patrizia Bettotti
Paolo Del Lungo
Francesco Di Cuonzo
Marian Elleman
58
Viole
Stefano Zanobini *
Pier Paolo Ricci **
Caterina Cioli
Alessandro Franconi
Violoncelli
Luca Provenzani *
Christine Dechaux **
Stefano Battistini
Giovanni Simeone
Contrabbassi
Gianpietro Zampella *
Luigi Giannoni **
Flauti
Fabio Fabbrizzi *
Elisa Cozzini
Oboi
Alessio Galiazzo *
Flavio Giuliani *
Clarinetti
Marco Ortolani *
Francesco Negrini*
Fagotti
Paolo Carlini *
Umberto Codecà *
Corni
Andrea Albori *
Paolo Faggi *
Giulia Montorsi
Gianluca Mugnai
Trombe
Donato De Sena *
Alessandro Presta
Timpani
Morgan M.Tortelli *
Arpa
Cinzia Conte *
* prime parti
** concertino
Ispettore d’orchestra e Archivista
Alfredo Vignoli
Tecnici di palcoscenico
Francesco Vensi
Angelo Del Rosso
ORCHESTRA DELLA TOSCANA
Si è formata a Firenze nel 1980 per iniziativa della Regione Toscana, della Provincia e
del Comune di Firenze. Nel 1983, durante la
direzione artistica di Luciano Berio, è diventata
Istituzione Concertistica Orchestrale per riconoscimento del Ministero del Turismo e dello
Spettacolo. Attualmente la direzione artistica è
affidata a Giorgio Battistelli, succeduto ad Aldo
Bennici, uno dei padri fondatori dell’ORT.
Composta da 45 musicisti, che si suddividono anche in agili formazioni cameristiche,
l’Orchestra realizza le prove e i concerti, distribuiti poi in tutta la Toscana, nello storico Teatro
Verdi, situato nel centro di Firenze. Le esecuzioni
fiorentine sono trasmesse su territorio nazionale da Radiorai Tre e in Regione da Rete Toscana
Classica.
Interprete duttile di un ampio repertorio
che dalla musica barocca arriva fino ai compositori contemporanei, l’Orchestra riserva ampio spazio a Haydn, Mozart, tutto il Beethoven
sinfonico, larga parte del barocco strumentale, con una particolare attenzione alla letteratura meno eseguita. Una precisa vocazione per il Novecento storico, insieme a una singolare sensibilità per la musica d’oggi, caratterizzano la formazione toscana nel panorama
musicale italiano.
Ospite delle più importanti società di concerti italiane, si è esibita con grande successo al Teatro alla Scala di Milano, al Maggio Musicale Fiorentino, al Comunale di Bologna, al Carlo Felice di Genova, all’Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto di Torino,
all’Accademia di S. Cecilia di Roma, alla Settimana Musicale Senese, al Ravenna Festival,
al Rossini Opera Festival e alla Biennale di Venezia.
Numerose le sue apparizioni all’estero a partire dal 1992: più volte nei teatri della
Germania, del Giappone e del Sud America, e poi a Cannes, Edimburgo, Hong Kong, Madrid, New York, Parigi, Salisburgo, Strasburgo. Tra i prestigiosi musicisti che hanno collaborato con l’ORT citiamo: Roberto Abbado, Salvatore Accardo, Martha Argerich, Rudolf
Barshai, Bruno Bartoletti, Yuri Bashmet, George Benjamin, Luciano Berio, Frans Brüggen, Mario Brunello, Sylvain Cambreling, Kyung Wha Chung, Myung-Whun Chung,
Alicia De Larrocha, Enrico Dindo, Gabriele Ferro, Eliot Fisk, Rafael Frübech De Burgos,
Gianandrea Gavazzeni, Gianluigi Gelmetti, Irena Grafenauer, Natalia Gutman, Daniel
Harding, Heinz Holliger, Eliahu Inbal, Kim Kashkashian, Ton Koopman, Gidon Kremer,
Yo-Yo Ma, Gustav Kuhn, Alexander Lonquich, Andrea Lucchesini, Peter Maag, Eduardo Mata, Peter Maxwell Davies, Mischa Maisky, Sabine Meyer, Midori, Shlomo Mintz,
Viktoria Mullova, Roger Norrington, David Robertson, Esa Pekka Salonen, Hansjoerg
Schellenberger, Heinrich Schiff, Jeffrey Tate, Jean-Yves Thibaudet, Vladimir Spivakov, Uto
Ughi, Maxim Vengerov, Radovan Vlatkovich.
L’Orchestra ha inciso per Caroman, Foné, EMI Classics, Ricordi, Agorà, Splasc(h),
Dreyfus, Blue Label. Per l’Accademia Musicale Chigiana ha inciso: Le Congiurate di
59
Schubert con Gérard Korsten per la regia di Denis Krief e il Requiem di Mozart con Gianluigi Gelmetti. Recentemente ha inciso Le sette ultime parole del nostro Redentore in Croce
di Haydn, concertatore Andrea Tacchi, Play It! con musiche di Sylvano Bussotti, Carla
Rebora, Riccardo Panfili per VDM Records.
60
PHILIPP VON STEINAECKER
Cresciuto ad Amburgo, ha iniziato i suoi
studi presso la Musikhochschule di Lubecca.
Durante il liceo ha fatto il suo debutto alla Musikhalle di Amburgo come violoncellista ed è stato
membro sia dell’Orchestra Giovanile Tedesca sia
della Gustav Mahler Jugendorchester.
Dopo la maturità ha studiato presso la Musikhochschule di Vienna e soprattutto presso la
Juilliard School di New York con Harvey Shapiro,
dove ha compiuto gli studi con il titolo di Master of Music. In seguito ha studiato il violoncello
barocco presso il CNSM a Parigi nella classe di
Christophe Coin. Ha infine compiuto i suoi studi
di direzione d’orchestra con Mark Stringer e Yuchi Yoasa presso l’Università di Musica di Vienna.
Nel 2008 ha vinto il concorso di direzione Melgaard OAE Young Conductor Auditions a Londra ed è stato l’assistente dell’Orchestra of the Age of Enlightenment per un
anno lavorando con direttori come Rattle, Jurowski, Norrington.
Ha preparato l’Orchestra of the Age of Enlightenment per Vladimir Jurowski, la
Symphonica Toscanini per Lorin Maazel, la Trondheim Symphony Orchestra per Daniel
Harding ed ha assistito lo stesso Harding all’Orchestra della Radio Svedese di Stoccolma
e alla London Symphony Orchestra. È stato l’assistente di John Eliot Gardiner per la sua
produzione di Pelléas e Mélisande all’Opéra Comique a Parigi. Nell’ottobre 2010 ha diretto
il concerto finale dell’Orchestra dell’Accademia Gustav Mahler a Bolzano con musiche di
Mozart, Saint-Saëns e Schumann.
È fondatore e direttore dell’orchestra Musica Saeculorum in Alto Adige. Con questo
gruppo ha debuttato alle Settimane Mahleriane 2008 a Dobbiaco con un programma di
cantate di Bach. Inoltre il gruppo si è esibito con un programma per Salonorchester su
strumenti del Novecento, con cantate natalizie di Bach, Charpentier e Händel, con il Lied
von der Erde di Mahler e con la Messa in do minore e la Jupiter di Mozart. Steinaecker dirige anche i Solisti della Mahler Chamber Orchestra. L’ensemble si è presentato sotto la sua
direzione musicale nell’ambito delle Wiener Festwochen 2007 con musiche di Schönberg,
Berg, Stravinskij e Janáþek. Insieme a sua moglie, la flautista Chiara Tonelli, è direttore
artistico del Festival di Musica da Camera a Castel Presule vicino a Bolzano. È membro
della Mahler Chamber Orchestra con Daniel Harding e della Lucerne Festival Orchestra
con Claudio Abbado.
Viene regolarmente invitato come primo violoncello dagli English Baroque Soloists
e dall’Orchestre Révolutionaire et Romantique di John Eliot Gardiner, dalla Camerata
Academica Salzburg ed ha anche collaborato spesso con l’ensemble barocco Le Concert
d’Astrée di Emanuelle Haïm. Ha suonato con i Wiener Philharmoniker in tutto il mondo
e sotto la direzione di tutti i maggiori direttori di oggi.
DENIS KRIEF
Artista romano di formazione cosmopolita, ha studiato musica a Parigi e si è formato alla
scuola italiana di regia guardando con attenzione
anche al teatro d’opera in Germania e, soprattutto, facendo tesoro degli allestimenti del teatro di
prosa russo.
Musicista e uomo di teatro, si distingue
per l’originalità e la profondità nella lettura del
repertorio sia classico sia contemporaneo: ha realizzato regie di opere distanti nel tempo, da La
clemenza di Tito di Mozart alle prime italiane di
Morte di Klinghoffer di John Adams, a Prova d’orchestra di Giorgio Battistelli.
«… ricreata con ammirevole forza drammatica seppur attraverso la rinuncia ai tradizionali gesti melodrammatici» è la menzione
speciale che la critica musicale italiana con il Premio Abbiati 2000 ha attribuito a Denis
Krief per la realizzazione di Turandot di Puccini, Turandot di Busoni, Carmen e Lucia di
Lammermoor.
Richiesto dai teatri d’opera italiani, ma anche al Teatro Helicon di Mosca (Macbeth
di Verdi e Jolanta di ýajkovskij), all’Opera La Bastille di Parigi con Benvenuto Cellini di
Berlioz, al Teatro Karlsruhe in Germania, dove in questo periodo è impegnato nell’allestimento della Tetralogia di Wagner.
In Italia ha lavorato al Teatro dell’Opera di Roma per il Sogno di una notte di mezza
estate di Britten, al Massimo di Palermo Moses und Aron di Schönberg, al Comunale di
Bologna Un ballo in maschera di Verdi, al Lirico di Cagliari, e spesso con la direzione di
Gérard Korsten, Lucia di Lammermoor, Aida, Il barbiere di Siviglia, e la prima italiana di
Die ägyptische Helena di Richard Strauss. Nel 2005 ha riscosso apprezzamento di pubblico
e critica per la regia del Parsifal al Teatro La Fenice di Venezia.
Si ricorda il successo delle sue regie realizzate a Siena per passate edizioni della Settimana Musicale Senese: Le congiurate di Schubert (2004); Die Heimkehr aus der Fremde (Il
ritorno da lontano) di Mendelssohn (2005), La madre del mostro di Vacchi (2007), La fede
ne’ tradimenti di Ariosti (2011).
LAURA GIORDANO
È considerata una dei più talentuosi soprani della sua generazione, apprezzata da pubblico
e critica. È nata a Palermo e ha debuttato giovanissima nel ruolo della protagonista ne I pazzi
per progetto di Donizetti e nell’Adina di Rossini
al Teatro Massimo di Palermo.
In seguito ha calcato i palcoscenici di molti fra i più prestigiosi teatri internazionali, fra i
quali il Teatro alla Scala di Milano, il Festival di
Salisburgo, l’Opéra National de Paris, il Théâtre
des Champs-Elysées de Paris.
Ha collaborato con direttori d’orchestra
61
quali Riccardo Muti, Riccardo Chailly, Valery Gergiev, Gianandrea Noseda, Jesus Lopez
Cobos, Rinaldo Alessandrini, Jurij Bashmet, Kazushi Ono, Christophe Rousset, JeanChristophe Spinosi, Alberto Zedda, Paolo Arrivabeni, Michel Plasson.
Ha inciso L’Olimpiade di Vivaldi con Rinaldo Alessandrini (Opus 111) e brani inediti di Rossini con Riccardo Chailly (Decca), ha registrato inoltre dvd de La bohème nella
produzione del Teatro Real di Madrid diretta da Lopez Cobos, del Don Pasquale diretto da
Riccardo Muti e de La pietra del paragone diretto da Jean-Christophe Spinosi.
62
LAURA POLVERELLI
Laura Polverelli è ospite abituale delle più
importanti istituzioni musicali italiane ed estere
quali il Teatro alla Scala, l’Accademia Nazionale
di Santa Cecilia, il Teatro del Maggio Musicale
Fiorentino, l’Accademia Chigiana di Siena, il
Teatro La Fenice, il Teatro Carlo Felice di Genova, il Teatro Comunale di Bologna, il Teatro Regio di Torino, il Teatro San Carlo, la Bayerische
Staatsoper, il Festival di Glyndebourne, l’Opéra
de Lyon, l’Opéra de Montecarlo, il Rossini Opera Festival, il Teatro Réal di Madrid, il Théâtre
des Champs Elysées, il Théâtre Royal de la Monnaie, collaborando con molti fra i più importati
direttori d’orchestra come Claudio Abbado, Riccardo Muti, Zubin Mehta, Jeffrey Tate,
Rinaldo Alessandrini, Gary Bertini, Fabio Biondi, Riccardo Chailly, Ottavio Dantone, Sir
Colin Davis, Gianluigi Gelmetti, Jésus Lopez-Cobos, René Jacobs, Jean-Claude Malgoire,
Andrea Marcon, Carlo Rizzi, Christophe Rousset, Alain Lombard, Gianandrea Noseda. Il
suo repertorio comprende specialmente ruoli rossiniani e mozartiani, oltre ad essere molto
apprezzata nel repertorio barocco. Molto intensa anche la sua attività concertistica che la
vede impegnata su un vasto repertorio che spazia da Pergolesi a Caldara, da Bach a Berlioz.
La discografia di Laura Polverelli comprende registrazioni con le case discografiche FNAC,
Auvidis, Teldec, Decca, Virgin, Mondo Musica, Opus 111e Dynamic.
JUAN FRANCISCO GATELL
Il tenore ispano-argentino Juan Francisco
Gatell nasce a La Plata (Argentina) nel 1978 e
inizia gli studi musicali all’età di nove anni presso
il Conservatorio della sua città. Prosegue i suoi
studi perfezionandosi a Madrid. Dalla stagione
2005/2006 inizia la sua carriera in importanti teatri italiani e stranieri cantando ruoli come
l’Innocente (Boris Godunov al Maggio Musicale
Fiorentino diretto dal S. Bichkov), il Conte di
Almaviva (Barbiere di Siviglia), Don Ottavio
(Don Giovanni) al Teatro dell’Opera di Roma e
Tamino (Die Zauberflöte) a Venezia. Contemporaneamente arricchisce il suo repertorio
con concerti sinfonici al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino e al Ravenna Festival diretto da Riccardo Muti. Ancora con Muti si è esibito tra l’altro al Musikverein di Vienna,
al Théatre des Champs-Elysées di Parigi e a Salisburgo.
Nel 2006 vince il 57° Concorso As.Li.Co. Nella stagione 2007/2008 ha debuttato a
Parigi all’Opera Garnier in Capriccio di Strauss e al Teatro Real di Madrid con Il Burbero
di buon cuore di Martin y Soler.
Nel 2009 con una nuova produzione de Il Viaggio a Reims debutta al Teatro alla
Scala di Milano nel ruolo di Belfiore, diretto da Ottavio Dantone. Il suo sodalizio con
Riccardo Muti lo riporta a Salisburgo nello stesso anno, dove interpreta il ruolo di Eliézer
nel Moise et Pharaon di Rossini, poi riproposto nel 2010 al Teatro dell’Opera di Roma.
Debutta nel 2009 negli Stati Uniti come Conte d’Almaviva nel Barbiere di Siviglia alla
Washington Opera.
FILIPPO POLINELLI
Nato a Tortona nel 1984, ha iniziato gli
studi come basso per poi proseguirli come baritono. Nel 2006 ha intrapreso l’attività professionale, debuttando in Manon di Massenet al Teatro
alla Scala e in Otello di Verdi a Rovigo, Bolzano,
Rimini, Ravenna, Trento, Livorno e Savona. Nel
2007 ha debuttato al Teatro Regio di Parma in
La pietra del paragone di Rossini, in La Gazzetta
di Rossini e nel Don Chisciotte di Mercadante al
Bad Wildbad Belcanto Opera Festival.
Ha collaborato con importanti direttori
d’orchestra, quali Ion Marin, Donato Renzetti,
Jurij Temirkanov, Zubin Mehta e registi quali
Nicolas Joël, Giorgio Barberio Corsetti, Ursel e Karl-Ernst Herman. Ha al suo attivo incisioni per Naïve, Naxos e Rai Trade.
Recentemente ha cantato ne Le convenienze e inconvenienze teatrali al Teatro alla
Scala, ha partecipato a Tokyo ad una serata di gala accanto a Placido Domingo, ha cantato
ne La forza del destino diretta da Zubin Mehta, prima al Maggio Musicale Fiorentino e poi
in tournée a Tokyo, ed è stato al Regio di Parma con Un ballo in maschera.
Nel 2012 ha cantato ne Il barbiere di Siviglia a Bari sotto la direzione di Lorin Maazel
e Don Pasquale al Teatro alla Scala di Milano.
63
L’Orchestra della Toscana.
Lucia Ronchetti.
Giovedì 11 luglio
Teatro dei Rozzi
ore 21.15
LUCIA RONCHETTI
Roma 1963
Blumenstudien
madrigale a cinque voci con musica di Gesualdo da Venosa
Prima esecuzione italiana
Hombre de mucha gravedad
(da Le damigelle d’onore di Velázquez)
drammaturgia per quattro voci e quartetto d’archi
Prima esecuzione italiana
***
Anatra al sal
comedia armonica per sei voci
Pinocchio, una storia parallela
drammaturgia per quattro voci maschili su testo di Carlo Collodi
66
Neue Vocalsolisten Stuttgart
Sarah Maria Sun
Truike van der Poel
Daniel Gloger
Martin Nagy
Guillermo Anzorena
Andreas Fischer
soprano
mezzosoprano
controtenore
tenore
baritono
basso
Ensemble Alter Ego
Aldo Campagnari
Jacopo Bigi
Stefano Zanobini
Francesco Dillon
violino
violino
viola
violoncello
67
DRAMMATURGIE PER LA CHIGIANA
Lucia Ronchetti
I miei lavori di teatro musicale sono riconducibili a quattro tipi formali che si possono definire: opere, opere corali, action concert pieces e drammaturgie.
Le Drammaturgie presentate a Siena dai Neue Vocalsolisten, sono
esperimenti di teatro musicale in assenza di scena e di azione, basati sull’identificazione acustica degli interpreti con i personaggi, assecondati dalla
presenza di un libretto e di un impianto narrativo evidente. Questo tipo
di teatro in concerto fa riferimento alla tradizione rinascimentale dei madrigali rappresentativi.
68
Anatra al sal è il mio primo lavoro composto per i Neue Vocalsolisten nel 1999 su libretto e ideazione drammaturgica di Ermanno Cavazzoni. È una sorta di ‘opera gastronomica’, uno sguardo indiscreto nella
cucina di cinque chef che dapprima discutono animatamente di ciò che
devono cucinare, poi litigano violentemente per la preparazione del piatto, un’anatra al sale, ma alla fine portano armonicamente a compimento
il procedimento culinario stupiti dall’ottimo risultato ottenuto. I conflitti
e le riconciliazioni sono rappresentati nel contrappunto vocale e confidati
alla capacità degli interpreti di presentare il proprio personaggio, il suo carattere e le sue attitudini esclusivamente attraverso l’esecuzione musicale,
lasciando immaginare al pubblico il luogo e la scenografia ideali.
L’azione drammaturgica è percepibile solo se si rispettano i tempi, le
scansioni e le sincronie del dialogo tra i personaggi. La temporalità degli
scambi dialogici (che subisce una naturale variazione in accelerando, nei
momenti di tensione o di litigio e in rallentando, nei momenti di riconciliazione e di generale soddisfazione), crea una temporalità specifica, che
permette un’utilizzazione virtuosistica delle sei voci concepita ad personam
per i Neue Vocalsolisten. La caratterizzazione di ogni voce è realizzata anche grazie all’elaborazione del testo creata da Ermanno Cavazzoni secondo
una scelta mono-vocalica studiata sui differenti ambiti. Cinque delle sei
voci hanno un testo realizzato interamente su una sola vocale, artificio
retorico della categoria dei lipogrammi, spesso utilizzati nella poesia del
Cinquecento.
Es. 1
propongo lor:
col pomodoro
sol lo sopporto,
solo lo godo
col pomodoro.
Modo ortodosso,
pronto con poco:
pomodoro odoroso,
grosso polposo;
pomodoro rotondo,
rosso, lo sgrondo.
Lo scotto,
lo spolpo,
&))&&)
oh pomodoro!
oh nostro onor!
Col pomodoro
rosso monocromo.
Oh porco mondo
Salsa malsana
fa far la cacca…
Tremende
scemenze…
La salsa tartara
ha la fragranza,
la salsa tartara
adatta all'anatra
Col pomodoro
La salsa tartara
Oh!
Ah!
Gustum luctum…
gustum funus…
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%'%+-%&&%*%%(%
Messer se permette,
'!--!-!&!!+!--!9
Mulsum
mustur
guttur
vult…
!--!-!&!!+!--!
Mulsum mustum
Eh!
Uh!
Il basso Andreas Fischer, rappresenta il cuoco più importante e famoso del gruppo. Consulta solo testi latini, utilizzando unicamente parole
con la vocale ‘u’ ed interviene con brevi e sarcastici commenti, anch’essi
in latino. È al suo seguito una assistente-interprete, Susanne Leitz-Lorey,
soprano lirico, la quale, traducendo liberamente e poeticamente i rigidi
interventi del basso, è l’unica voce libera dalla gabbia monovocalica e rappresenta quindi un fil-rouge tra tutte le voci e le vocali, nonché il tenor fondante tutti i divenire armonici sui quali è fondato il contrappunto a 5 dei
cuochi. L’utilizzo dei mono-vocalismi sottolinea l’effetto comico ricercato
ed emancipa la struttura timbrica particolare di ogni voce.
Per la seconda drammaturgia composta per i Neue Vocalsolisten nel
2005, Pinocchio, una storia parallela, ho deciso di fare riferimento ad
un racconto universalmente noto, il Pinocchio di Collodi, per poter dare
ai quattro interpreti la possibilità di evocare il paesaggio scenico e di scolpire allo stesso tempo la presenza musicale dei diversi personaggi, potendo
contare su un automatico riconoscimento dell’azione da parte del pubblico. Il testo di Collodi è stato selezionato secondo la lettura analitica di
Giorgio Manganelli che costruisce, a partire dall’originale, un’infinità di
ramificazioni e varianti, evocando infiniti racconti possibili, tutti virtualmente contenuti e paralleli al Pinocchio originale. Questo procedimento è
trasferito in ambito compositivo, soprattutto nella organizzazione formale
69
a ‘palinsesto’, con brevissime scene ‘acustiche’ incastrate le une dentro le
altre, per ricreare il labirinto e lo spaesamento dell’innocente burattino.
Anche i ruoli, che sono impersonati dalle quattro voci maschili, cambiano
continuamente ed evidenziano le realtà vocali indipendenti di cui sono
portatori i quattro solisti. In questo caso il teatro musicale scaturisce dal
progetto poetico e dalle possibilità vocali dei cantanti. Daniel Gloger, il
controtenore, è Pinocchio, con un vasto ambito di inclinazioni e tentazioni ma con l’aspirazione alla normalità. Martin Nagy, il tenore, rappresenta tutte le presenze delicate e positive (Geppetto, la Fatina, il Delfino),
Guillermo Anzorena, il baritono, viaggia tra i personaggi crudeli, comici
e buffoneschi, dando voce al Pescatore, il Gatto e la Volpe, oltre che naturalmente a Mangiafuoco. Il basso Andreas Fischer, è la voce ex-machina,
Manganelli, Collodi, un possibile spettatore.
Il quartetto si riunisce a tratti per rappresentare il paesaggio italiano
evocato da Collodi, in una trasposizione acustica basata sull’agogia frenetica degli spostamenti del burattino. Violente esplosioni sonore si alternano
a malinconiche sospensioni, secondo gli stati d’animo di ansia, sorpresa,
attesa e paura di Pinocchio.
13
Stringendo
Es. 2
ENSEMBLE
35
CTen
P
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J”
Oh!
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in - sa-na - bi-le con - ta-gio
di
fu -ghe, ten-ta - zio - ni, sco-per - te,
a tempo I , leggero, come danza interrotta
CTen
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Bar.
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Improvviso
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RTC - 1786
© Rai Trade
Hombre de mucha gravedad, per quartetto vocale e quartetto d’archi, è uno studio acustico di Las Meninas di Velázquez, composto nel
2002. Ogni personaggio del quadro è rappresentato nella partitura da abbinamenti tra voci e strumenti che si dispongono secondo la gabbia spaziale ideata da Velázquez per i suoi personaggi, rompendo le fila del doppio
quartetto e descrivendo una profondità orizzontale di primi piani e di retro-scene. Gli otto straordinari solisti per i quali il lavoro è stato composto,
sono chiamati anche a riproporre, attraverso una articolata rete di citazioni
letterarie, alcune delle idee estetiche legate allo stile di Velázquez ed alla sua
elaborata ricerca pittorica. Grazie alla ricchissima letteratura critica relativa
a Las Meninas, è stato possibile per Andrea Fortina, autore della raccolta
di frammenti da testi spagnoli del Seicento, arrivare a definire ogni figura
del quadro quale persona con specifiche funzioni e posizioni nei confronti
della corte di Filippo IV e quale ‘argomento’ e destinatario dello specifico
collage testuale.
Velázquez, in piedi vicino alla tela rovesciata, è rappresentato dal primo violino. È lui l’Hombre de mucha gravedad che con interventi puntualissimi, concisi, arditi e funambolici sprigiona le linee dello sviluppo
formale e provoca, in continua acrobazia, la formazione delle campiture
sonore. La nana di corte Mari Bàrbola, in piedi alla destra del gruppo, rappresenta la follia provocatoria e la messa in discussione delle regole formali.
Al soprano che la interpreta sono affidati frammenti di canzoni popolari,
poesie d’amore e proverbi che determinano esplosioni volgari ed improvvisa saggezza. L’Infanta Margherita, apparente protagonista del dipinto, è
trasfigurata in musica dal controtenore e dal violoncello. Il duo è sempre
trattato con trame trasparenti e sospese per esprimere il contrasto tra il
sogno e la costrizione. José Nieto Velázquez, direttore dell’Arazzeria della
Regina, in fondo al dipinto, affacciato ad una porta da cui penetra la luce,
è rappresentato dal baritono attraverso diversi frammenti di testo che dettano e definiscono l’argomento principale di tutto il lavoro: il disincanto.
La cupezza e l’eleganza dei suoi interventi sono spesso interrotte dai duetti
isterici di Doña Marcella de Ulloa (guardia minore delle dame) e del Guarda Dame (entrambi in secondo piano, quasi nell’ombra, sulla destra del
dipinto). Rappresentati dall’unione di soprano, controtenore e secondo
violino, i guardiani delle dame commentano e sottolineano le regole della
corte attraverso poesie ed emblemata, esprimendo devozione e paura attraverso silenziose accelerazioni e improvvisi sussurri. La follia incontenibile
caratterizza invece i contraddittori interventi del Nano di corte italiano,
Nicola Pertusato che con proverbi, scioglilingua osceni, e cantilene italiane rompe e distrae il ritmo compassato della virtuale ‘conversazione’ tra i
personaggi convenuti intorno al quadro ed al Maestro. I ritmi caratteristici
71
ed i colori screziati del linguaggio di Pertusato sono trasposti in musica
attraverso l’unisono tra il baritono e la viola. Tutto l’ordito degli interventi
dei diversi personaggi, rappresentati in musica da solisti o piccoli gruppi,
è infine avvolto e sottolineato dallo scorrere del Tempo, divenuto personaggio attraverso l’interpretazione del basso che cita cronache del tempo e
dispensa tecniche pittoriche ed alchemiche generando l’organizzazione armonica ed il sostegno contrappuntistico dei diversi movimenti. Lo specchio
che rimanda ai visitatori l’immagine dei reali, forse reale oggetto del dipinto, interrompe la confusione della conversazione con mormorii e bisbigli
di stupore affidati al quartetto vocale così riunito. La coppia reale, presenza
incombente sul dipinto e su tutti i personaggi, è invece rappresenta dal
quartetto d’archi che riflette ed esaspera le indicazioni del quartetto vocale.
«Quedo adbatito», è il commento sintomatico finale della coppia reale, alla sconsolata intonazione sul logorarsi del tempo e dei tempi dell’Infanta Margherita tratta da Luís de Gongora.
Es. 3
72
Blumenstudien, Madrigale
a cinque voci, è l’ultimo pezzo
composto per i Neue Vocalsolisten e corona tredici anni di
collaborazione, scambi di idee e
amicizia. È un regalo all’ensemble che chiedeva una nuova interpretazione compositiva della
musica di Gesualdo, realizzata
appositamente per le loro voci.
Ho creato per loro una selezione di frammenti dal V e VI libro
dei madrigali, adattando la musica per le tessiture e le caratteristiche vocali delle cinque voci
e rielaborando l’originale con
un nuovo testo, una selezione
di frammenti da poesie tedesche
dedicate ai fiori, secondo una selezione di Marie Luise Knott.
L’armatura appartenuta a Gesualdo da Venosa.
Frammenti da Barthold
Heinrich Brockes, Hugo von
Hofmannsthal, Christian Morgenstern, Rainer Maria Rilke, Angelus Silesius, Ludwig Uhland, Sigmund von Birken e Johannes Klaj sono alternati
al poema principale, «La metamorfosi delle piante», una elegia scritta da
Johann Wolfgang von Goethe nel 1798.
Es. 4
© Rai Trade
73
Quale composizione ‘interpretativa’ ho solo aggiunto all’originale
indicazioni riguardanti l’andamento, l’intensità e l’attitudine vocale, cercando di realizzare il contrappunto vocale originario in una nuova visione moderna propria dei Neue Vocalsolisten e del loro stile interpretativo,
evidenziando la loro ricerca timbrica e la loro immensa paletta coloristica.
Ho cercato di enfatizzare gli effetti scultorei della texture gesualdiana, il suo
gioco continuo di pieni e vuoti, come se la sua musica fosse uno specchio
acustico dell’architettura borrominiana. Uno spazio sonoro dove le voci
possono entrare e disegnare florescenze vocali.
Il testo di Goethe descrive la progressiva e complessa evoluzione
dell’essere vegetale, dal buio della terra verso l’esplosione di colori generata
dalla fioritura in una sorta di labirintico vortice che si innalza verso la luce.
La descrizione è interrotta da alcuni ritratti di fiori, immagini poetiche scevre da intenzioni metaforiche: la rosa di Silesius, l’ortensia blu di Rilke, il
giacinto di Brockes, il botton d’oro di Morgenstern sono descritti in quanto presenze dalla misteriosa e caduca bellezza. Ogni ritratto di fiore è l’occasione per una cadenza solistica di una delle voci dell’ensemble, cadenza
che assorbe tutto l’ordito contrappuntistico gesualdiano e lo restituisce in
forma di polifonia virtuale.
Es. 5
74
© Rai Trade
In questo lavoro la drammaturgia consiste nella rappresentazione
dell’organismo vegetale, così come descritto da Goethe affidato alla realizzazione sonora delle voci che devono dare vita ad un insieme dapprima
segreto, misterioso, opaco e progressivamente aprire il colore dell’ensemble
di voci per rappresentare il momento di massima apertura e fioritura della
pianta e il suo imminente ma sempre scongiurato sfiorire
75
Diego Velázquez, Las Meninas, 1656 (Madrid, Museo del Prado).
76
LUCIA RONCHETTI
Nata a Roma, nel 1987 si diploma in composizione e in musica elettronica presso il Conservatorio di Santa Cecilia e si laurea in lettere
e filosofia presso l’Università La Sapienza di Roma. A Parigi ottiene il D.E.A. in estetica presso
la Sorbonne e nel 1999 discute la sua tesi di dottorato in musicologia presso l’Ecole Pratique des
Hautes Etudes en Sorbonne, sotto la direzione di
François Lesure.
Nel 1995/’96 segue il corso annuale dell’IRCAM, nel 1996/’97 ottiene la Residenza alla Cité
Internationale des Arts a Parigi e la Borsa Erato
del Ministero degli Esteri per Parigi. Nel 1999
è Compositore in residenza all’Akademie Schloss
Solitude di Stoccarda, nel 2003 alla Mac Dowell
Colony di Peterbourough di Boston e al Forum
Neues Musiktheater della Staatsoper di Stuttgart.
Nel 2005 vince il premio Fullbright quale Visiting Scholar alla Columbia University di
New York. Nel 2005/’06 risiede a Berlino, grazie al premio della DAAD. Nel 2007 è compositore in residenza presso la Corporation of Yaddo di New York. Importanti per la sua
formazione compositiva gli studi con Salvatore Sciarrino (Città di Castello, 1988-1989),
Gérard Grisey (Parigi, 1993-1996) e Tristan Murail (Parigi, 1996-‘97).
La sua opera da camera Der Sonne entgegen ha ricevuto il premio del Fonds Experimentelles Musiktheater NRW 2006, il premio Music Theater Now dell’International Theater Institut di Berlino nel 2008 e il sostegno dello Haupt Stadt Kultur Fonds di Berlino per
la prima esecuzione della nuova versione prevista a Berlino nel festival Maerzmusik 2010.
La Stradivarius ha pubblicato un cd dedicato alle sue produzioni tedesche in collaborazione
con Deutschlandradio Kultur, SWR ed Experimental Studio di Freiburg.
Ha ricevuto commissioni da numerose istituzioni, tra le quali: Ensemble Modern/
Siemens Arts Program (2008), Experimentalstudio für akustische Kunst e.V., Freiburg
(2008), MaerzMusik (2007), Neue Vocalsolisten (2007), Deutschlandradio (2007), Commande de l’État - Neue Vocalsolisten/Ensemble 2E2M (2007), Kultur-Secretariat/Kunststiftung NRW (2006), Musik der Jahrhunderte/Joachim Meyer (2006), Ensemble Recherche (2005), Bayerische Staatsoper (2005), Festival Ultrashall/DAAD (2005), Kulturveranstaltungen des Bundes, Berlin (2005), Technische Universität, Berlin (2005), Orchestra Rai
di Torino (2004), Experimentalstudio für akustische Kunst e.V., Freiburg (2003), Staatsoper Stuttgart (2003), Arditti Quartett/Neue Vocalsolisten (2002), Festival Presence-Radio
France (2002), WDR Sinfonieorchester (2001), Teatro La Fenice/Teatro Sociale di Rovigo (2001), Commande d’État-Ensemble Court-Circuit (2000), Wittener Tagen (2000),
Elektronisches Studio Musik-Akademie-Basel (2000), G.R.M., Radio France (1999), Studio für Elektroakustische Musik der Akademie der Künste (1999), Commande de l’ÉtatEnsemble Court-Circuit, (1998), Orchestra della Toscana (1994), Studio Muse en Circuit
(1994), Radio France (1994), Commande de l’État (1993), Münchener Biennale (1993).
NEUE VOCALSOLISTEN
I Neue Vocalsolisten sono un gruppo di
ricercatori, esploratori e idealisti. I loro partner
sono ensemble specializzati, orchestre, istituzioni
operistiche, spazi teatrali sperimentali, studi di
creazione elettronica e festival di tutto il mondo.
Fondato nel 1984 quale ensemble specializzato nell’interpretazione della musica vocale
contemporanea nell’ambito dell’organizzazione
di Musik der Jahrhunderte, i Neue Vocalsolisten
sono un ensemble artisticamente indipendente
dal 2000.
Ognuno dei sette solisti, che nell’insieme
disegnano un vasto ambito, dal soprano coloratura al basso profondo, gestiscono il lavoro interpretativo in collaborazione creativa con i compositori. A seconda delle necessità compositive, un
gruppo di cantanti specializzati completa e asseconda il gruppo di base.
L’interesse primario del gruppo è la ricerca, l’esplorazione di nuovi suoni, nuove
tecniche vocali e nuove forme di articolazione, dando risalto al dialogo con i compositori.
Ogni anno l’ensemble crea circa 20 nuove composizioni. Un ruolo particolare riveste il
lavoro nell’area del teatro musicale e il lavoro interdisciplinare con l’elettronica, il video, le
arti visive e la letteratura, così come la giustapposizione e il confronto tra i repertori della
musica antica e contemporanea.
ENSEMBLE ALTER EGO
Costituitosi a Roma nel 1991, Alter
Ego è ospite abituale delle principali stagioni
concertistiche e festival di musica contemporanea in tutto il mondo. Ciò che più caratterizza la sua attività è la costante collaborazione che ha instaurato con artisti provenienti da
diverse esperienze artistiche: artisti elettronici
(Deathprod, Philip Jeck, Matmos, Pan Sonic,
Robin Rimbaud aka Scanner), cantanti pop
(Frankie HI-NRG, John De Leo), artisti visivi (D-Fuse, Andrew Hooker, Michelangelo
Pistoletto), attori (Vladimir Luxuria), interpreti (Irvine Arditti, David Moss, Neue Vocalsolisten).
Tra i compositori vanno segnalati gli stretti legami con Louis Andriessen, Gavin
Bryars, Alvin Curran, Philip Glass (realizzazione in prima europea di 600 Lines al festival
Settembre Musica, opera inedita del 1968 concessa in esclusiva europea ad Alter Ego), Jonathan Harvey, Toshio Hosokawa, Giya Kancheli, Bernhard Lang, David Lang, Alvin Lucier, Terry Riley (prima assoluta di The slaving wheel of meat conception per il Romaeuropa
Festival e l’Accademia Nazionale Santa Cecilia con Matmos e lo stesso Riley al pianoforte),
77
Frederic Rzewski, Kaija Saariaho, Laszlo Sáry, Salvatore Sciarrino, Jǀji Yuasa.
Nel 2004 Alter Ego ha curato un proprio festival dal titolo Cometodaddy all’Auditorium di Milano con ospiti internazionali e con la collaborazione dell’Orchestra Sinfonica
di Milano.
Nelle ultime stagioni Alter Ego ha avviato una regolare collaborazione con l’Auditorium Fondazione Musica per Roma e ha stabilito una consolidata collaborazione artistica
con la Stradivarius. Il cd Music in the Shape of a Square di Philip Glass è stato premiato con
il prestigioso Editor’s Choice della rivista inglese «Gramophone».
78
Franz Liszt.
Venerdì 12 luglio
Teatro dei Rozzi
ore 21.15
In occasione del bicentenario della nascita di Richard Wagner e Giuseppe Verdi
(1813-2013)
FRANZ LISZT
Raiding 1811 - Bayreuth 1886
Wagner-Verdi, le parafrasi
Feierlicher Marsch zum heiligen Gral dal Parsifal R. 283
Réminiscences de Boccanegra R. 271
Rigoletto. Paraphrase de concert R. 267
Isoldens Liebestod dal Tristan und Isolde R. 280
***
80
Miserere du Trovatore R. 266
Coro delle filatrici da Der Fliegende Holländer R. 273
Aida. Danza sacra e duetto finale R. 269
Ouverture del Tannhäuser R. 275
Michele Campanella
pianoforte
LE PARAFRASI DI LISZT NEI DUE BICENTENARI
PARALLELI
Michele Campanella
«Metafrasi, il processo di trasferimento di
un autore parola per parola, riga per riga,
da una lingua a un’altra. [...] Parafrasi,
traduzione libera, dove l’autore è tenuto di
vista dal traduttore, in modo da non andare
mai perduto, ma le sue parole non sono tanto
rigidamente seguite quanto il suo senso, e
anche questo può essere ampliato, ma non
alterato.»
G. Steiner, Dopo Babele, Milano, Garzanti,
2004, pp. 307, 309
«Ogni notazione è già trascrizione di un’idea
astratta […], da questa prima alla seconda
trascrizione il passo è relativamente breve
[…], anche l’esecuzione di un lavoro è una
trascrizione.»
F. Busoni, Scritti e Pensieri, Milano, Ricordi,
1954, pp. 28-29
È sorprendente come, parlando di traduzioni, sia un letterato a cogliere esattamente il senso da dare alla parola parafrasi e quindi a definire l’ambito e lo spirito in cui Liszt si muove nel gigantesco capitolo che
nel suo catalogo è dedicato a parafrasi e trascrizioni. Già è da sottolineare
come le due parole, parafrasi e trascrizione, non possano essere distinte
in modo netto ed inequivoco. Spesso le trascrizioni contengono libertà e
postille creative, mentre le parafrasi partono sempre da materiale originale
trascritto in modo fedele. Ma, al di là delle classificazioni che in Liszt sono
di relativa importanza, il punto centrale di un programma da concerto
dedicato esclusivamente alle parafrasi lisztiane sta nel senso che oggi vogliamo attribuire a tal modo di comporre. Per una lunga parte del Novecento le parafrasi lisztiane (come di ogni altro autore) sono state considerate musiche deteriori, prodotte da un’epoca lontana da collocare nel loro
contesto, svalutando così completamente il loro valore metastorico. Oggi
siamo giunti ad un altro giudizio di merito, se mi è consentito proporre al
pubblico un siffatto programma.
81
Liszt a Berlino, all’apice della fama: le donne svenivano e gettavano i loro gioielli sul palcoscenico.
82
Cosa resta delle parafrasi, cosa si è perso per strada?
Le parafrasi di Liszt sono nate quali appropriazioni di creazioni altrui,
quali risonanze interiori che vibrano a contatto con il mondo dell’opera
lirica, con i Lieder di Schubert, e con molte altre personalità musicali a lui
contemporanee. Grande ascoltatore, grande critico, musicista spregiudicato, senza barriere estetiche o ideologiche, Liszt assorbiva ogni input che gli
proveniva dalla musica europea, colta o popolare che fosse, e lo restituiva al
mondo nella sua personale versione, oggi si direbbe nel suo arrangiamento.
Le parole di Busoni, sempre illuminanti, aiutano a comprendere come non
si possano estromettere le parafrasi dal salotto buono della musica colta e
come debbano essere accolte senza riserve estetiche.
La chiave di ascolto per questo tipo di composizione è la parola spesso
usata da Liszt nella titolazione: reminiscenza. La reminiscenza contiene in
sé un ricordo ed un’elaborazione, un filtro della nostra sensibilità, un’appropriazione del ricordo come patrimonio da conservare per la vita, collegato ad emozioni lontane ma sempre presenti. Reminiscenza significa condividere con Liszt un ricordo vivido ed emozionante di musiche ascoltate
ed amate. Liszt ricorda, e ricordando elabora: noi ci uniamo al suo ricordo
e ci facciamo da lui condurre nel mondo della sua e della nostra fantasia.
L’ascolto della parafrasi richiede una sorta di complicità, di adesione comune. Quando nella parafrasi da concerto sul Rigoletto sul silenzio attacca il
tema di «Bella figlia dell’amore»,
cosa accade nella nostra memoria? Solo il riconoscere il famoso
motivo? Oppure questo riconoscere porta con sé emozioni personali legate all’opera verdiana?
Paradossalmente le parafrasi di
Liszt ,che appaiono come opere
‘facili’, richiedono dal pubblico una conoscenza del mondo
dell’opera lirica senza la quale
non potrebbe scattare la reminiscenza. Liszt componeva le sue
parafrasi a ridosso della nascita
delle opere stesse, per intenderci
anche a distanza di pochi mesi,
un sorta di instant music, e quindi il pubblico non faceva fatica
a riconoscere la musica appena
udita durante le stagioni teatrali.
Richard Wagner nel 1868.
Quelle opere oggi non sono più
novità di cui si parla nei salotti
o nei caffè, vivono altrimenti nel canone dei capolavori che sono alla base
dell’identità culturale europea. Ascoltare le parafrasi di Liszt può anche significare il recuperare un patrimonio trascurato, nel nostro caso spunti che
provengono da opere eccelse di Verdi e di Wagner. Insomma, le parafrasi
richiedono un’interpretazione e un ascolto al quadrato che includa sia la
reminiscenza delle opere verdiane e wagneriane, sia la fortissima presenza
dell’arrangiatore, Franz Liszt.
I due bicentenari paralleli creano l’opportunità di ascoltare (e confrontare) alcune tra le migliori parafrasi composte da Liszt su opere di Wagner e
di Verdi. L’impaginazione del programma di stasera propone composizioni
giovanili (Tannhäuser e Olandese volante, Rigoletto e Trovatore) e opere tarde
(Tristano e Isotta e Parsifal, Aida e Simone Boccanegra), sottolineando così
come il linguaggio pianistico di Liszt si trasformi nel corso del tempo, come
il virtuosismo estremo del Tannhäuser si spiritualizzi nei silenzi del Parsifal,
come l’ironia istrionica del Rigoletto lasci posto alla severa asciuttezza del
Boccanegra. Ogni brano che ascolterete stasera ha un fascino particolare:
ma quelli che mi colpiscono di più sono Aida: Danza sacra e Duetto finale
ed Isoldens Liebestod. Quest’ultima è una delle pagine che hanno fatto la
storia della musica: rappresenta non soltanto un capolavoro di uno dei più
83
grandi compositori mai vissuti,
ma anche una sintesi fulminante
della Weltanschauung germanica.
Insomma uno di quei rari brani
circondati da un’aura sacrale che
non ammetterebbero arrangiamenti. Eppure Liszt ha avuto il
coraggio (o la sfacciataggine, secondo i punti di vista) di farne
un brano pianistico, quando la
sola idea di trascriverne l’ordito
orchestrale fa tremare i polsi.
Credo che questa ‘appropriazione’ sia uno dei casi estremi in cui
la preponderante personalità di
Liszt si manifesta. Ma nel giudicare l’operazione ed i suoi esiti
sul campo non bisogna dimenticare quanto rispetto, quanta
Giuseppe Verdi in una litografia di Ape
devozione Liszt portasse a Wa(Carlo Pellegrini) pubblicata su «Vanity
gner. Quindi, piuttosto che preFair», Londra, 1879.
potenza e presunzione, direi che
la Morte di Isotta per pianoforte è un atto di amore per un grande amico.
84
Ben diverso era l’atteggiamento di Liszt verso Verdi. I due non si incontrarono mai e non risulta abbiano avuto scambio di corrispondenza.
Eppure otto sono le parafrasi che nascono da un rapporto musicale di
profondo fascino e, tra queste, Danza sacra e Duetto finale spicca per essere
una delle vette più alte raggiunte da Liszt compositore tout-court. La reazione chimica tra Verdi e Liszt scatta in questo caso in un terreno di coltura
‘esotico’, l’Egitto immaginario del dramma musicale. Proprio dell’esotismo
Liszt aveva alle spalle un’enorme esperienza, fatta di approcci a varie culture
musicali regionali, tzigana, spagnola, italiana e persino ottomana. La danza
sacra, con quell’andamento da harem, struggente e sensuale, tutto basato su piccole vibrazioni, privo di gesti eclatanti, trova nell’immaginazione
dell’ungherese una sintonia coinvolgente. La disperazione che circola nel
duetto finale, consapevole di essere la musica dell’addio al mondo, coglie
immediata sintonia nella depressione in cui Liszt cadde proprio negli anni
Settanta. Al punto che non riesco a dire se il fascino decadente di questo
brano sia più riconducibile a Liszt che a Verdi. L’ultima pagina del duetto
si spegne come nell’opera di Verdi e si avvicina molto al ripensamento che
ascoltiamo nella Sonata in si minore dove, alla conclusione trionfale l’ungherese preferisce quella che si perde nel silenzio. Il migliore Liszt rinuncia
alle più clamorose dotazioni balistiche e mostra quanta finezza sia nascosta
nella sua sensibilità. E Aida è uno di quei casi in cui comprendiamo quanto sia ingeneroso ridurre Liszt allo stereotipo dell’istrione.
Henri Fantin-Latour, Tannhäuser sul Venusberg, 1864 (Los Angeles,
County Museum of Art).
85
R. Salvadori, Le principali scene del «Trovatore», acquarello, 1901.
MICHELE CAMPANELLA
86
Considerato internazionalmente uno dei
maggiori virtuosi e interpreti lisztiani, Michele
Campanella ha affrontato in oltre 45 anni di attività molte tra le principali pagine della letteratura pianistica. La Società Franz Liszt di Budapest
gli ha conferito il Gran Prix du Disque nel 1976,
nel 1977 e nel 1998. Nel 1986 il Ministero della
Cultura ungherese gli ha conferito la Medaglia ai
meriti lisztiani, così come l’American Liszt Society nel 2002. Formatosi alla scuola pianistica
napoletana di Vincenzo Vitale, Michele Campanella è un artista di temperamento assai versatile.
Questa sua caratteristica lo ha portato ad avvicinare autori quali Clementi, Weber, Poulenc, Busoni (Premio della Critica Discografica Italiana
nel 1980 per le incisioni con la Fonit Cetra), Rossini, Brahms, Ravel e Liszt, di cui ha
recentemente inciso una scelta di brani del tardo periodo suonati sul Bechstein che appartenne a Liszt e conservato presso l’Accademia Musicale Chigiana di Siena: primo grande
capitolo di un’importante serie dedicata all’opera lisztiana che comprenderà ben 12 cd, in
uscita per l’etichetta Brilliant.
La sua discografia comprende incisioni per etichette quali Emi (Ravel), Philips (Liszt,
Saint-Saëns), Foné (Chopin), PYE (Liszt, ýajkovskij), Fonit Cetra (Busoni), Nuova Era
(ýajkovskij, Liszt, Musorgskij, Balakirev), Musikstrasse (Rossini), P&P (Brahms, Liszt,
Scarlatti).
Ha suonato con le principali orchestre europee e statunitensi, collaborando con direttori quali Abbado, Gelmetti, Inbal, Mackerras, Mehta, Muti, Prêtre, Salonen, Sawallisch, Schippers, Soudant, Steinberg, Thielemann. È frequentemente invitato in paesi quali
Australia, Russia, Gran Bretagna, Cina, Argentina ed è stato ospite dei festival internazionali di Lucerna, Vienna, Praga, Berlino e Pesaro (Rossini Opera Festival). È stato al fianco
di Salvatore Accardo e Rocco Filippini, quali partner ideali per affrontare i capolavori della
musica da camera. Spiccano tra gli ultimi importanti traguardi l’esecuzione di tutti i concerti di Beethoven e Mozart, e l’integrale della musica per pianoforte di Brahms.
Negli anni recenti si è molto sviluppata l’attività di Michele Campanella in veste
di direttore-solista con le più prestigiose orchestre italiane. Si dedica con passione all’insegnamento: è stato titolare della cattedra di pianoforte all’Accademia Chigiana di Siena
dal 1986 al 2010 e per otto anni ha tenuto corsi di perfezionamento a Ravello. Dirige il
Centro di Studi pianistici Vincenzo Vitale dell’Accademia Europea di Musica e Arti dello Spettacolo, presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. È stato insignito dei
prestigiosi riconoscimenti delle Fondazioni Premio Napoli e Guido e Roberto Cortese. È
membro dell’Accademia di Santa Cecilia, dell’Accademia Filarmonica Romana, dell’Accademia Cherubini di Firenze. È stato per nove anni direttore artistico di tre stagioni
concertistiche nate nell’ambito delle Università di Napoli, Benevento e Catanzaro. Di recente è stato nominato direttore artistico del Maggio della Musica di Napoli. Dal 2008 è
Presidente della Società Liszt, chapter italiano dell’American Liszt Society.
Nel 2011, anno in cui si è celebrato in tutto il mondo il bicentenario della nascita
di Franz Liszt, Campanella ha dedicato interamente la sua attività di pianista e direttore
d’orchestra al compositore ungherese, impegnandosi in una lunga serie di concerti solistici
in Italia e all’estero, e con l’Orchestra Luigi Cherubini per l’esecuzione, in una sola serata,
come solista e direttore, di tutta la musica per pianoforte e orchestra di Liszt. Inoltre, in
collaborazione con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e con l’Accademia Musicale
Chigiana, Campanella ha creato e diretto nel 2011 al Parco della Musica di Roma una serie
di Maratone lisztiane, nel corso delle quali era in programma l’integrale della musica scritta
per il pianoforte da Liszt. Si è trattato di un evento che ha coinvolto ben 75 pianisti italiani
e che ha assunto una rilevanza eccezionale in quanto mai realizzato al mondo prima d’ora.
All’attività di musicista, Campanella affianca quella di scrittore. Nel 2011 Bompiani
ha pubblicato il libro Il mio Liszt. Considerazioni di un interprete.
Nel 2012 Michele Campanella ha ricevuto il prestigioso Premio Scanno per la Musica e il Premio Grotta di Tiberio. Nel 2013, l’anno del bicentenario della nascita di Wagner
e Verdi, è impegnato in una lunga serie di concerti dedicati alle Parafrasi di Franz Liszt,
quale luogo musicale d’incontro delle opere e della vita dei due compositori. La Brilliant
Classics dedicherà a queste composizioni un cofanetto di 3 cd.
87
G. e B. Bertoja, disegno per la scena II dell’atto I del Rigoletto alla sua prima rappresentazione
(Venezia, 1851).
P. Cézanne, Giovane fanciulla al piano (Ouverture del «Tannhäuser»), 1869 ca. (San
Pietroburgo, Ermitage).
Theodor van Thulden, Imeneo ed Armonia, 1652 (Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts).
Sabato 13 luglio
Chiesa di Sant’Agostino
ore 21.15
GEORG FRIEDRICH HÄNDEL
Halle 1685 - Londra 1759
Hymen
serenata (Dublino 1742)
Prima esecuzione italiana
Europa Galante
ensemble strumentale barocco
Fabio Biondi
direttore e violino solista
90
Violini primi
Fabio Ravasi
Carla Marotta
Barbara Altobello
Violini secondi
Andrea Rognoni
Luca Giardini
Silvia Falavigna
Viola
Stefano Marcocchi
Violoncello
Antonio Fantinuoli
Violone
Patxi Montero
Tiorba
Giangiacomo Pinardi
Cembalo
Paola Poncet
Personaggi e interpreti
Imeneo
Magnus Staveland
basso-baritono
Tirinto
Ann Hallenberg
mezzosoprano
Rosmene
Ditte Andersen
soprano
Clomiri
Cristiana Arcari
soprano
Argenio
Marcos Fink
basso
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«HYMEN, A SERENATA», O
I TORMENTI DI ROSMENE, DA
NAPOLI A DUBLINO
Raffaele Mellace
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HYMEN, 1742: il ridente crepuscolo del dio
Saranno stati del tutto ignari i primissimi spettatori dell’Imeneo, a
Londra nell’autunno 1740, come anche quelli che l’ascoltarono col titolo
di Hymen a Dublino il 24 e il 31 marzo 1742, di assistere a un evento di portata storica. Con quel lavoro, seguito a ruota dall’ultimogenita Deidamia,
si concludeva infatti la carriera operistica quasi quarantennale di Georg
Friedrich Händel, quell’avventura, intrapresa dal compositore appena ventenne nel 1705 ad Amburgo, che costituisce uno dei fenomeni più cospicui non solo della storia dell’opera ma dell’intero teatro europeo dell’età
moderna: 44 titoli, tra la Germania, l’Italia e Londra, che danno vita a una
vera e propria enciclopedia delle passioni tra barocco e illuminismo. Del
crepuscolo di questo dio dell’opera non doveva essere consapevole nemmeno lo stesso Händel, che concepì persino i titoli estremi come altrettante
vie per rinnovare il linguaggio del proprio teatro. E tuttavia, l’opera che
ci si appresta ad ascoltare vide la
luce in uno snodo decisivo nella carriera del suo Autore, non
privo di conseguenze sull’intero
Settecento musicale: la definitiva consacrazione di Händel ai
grandi lavori oratoriali in lingua
inglese, che si assiepano sullo
scrittoio del compositore nei tre
anni e mezzo che intercorrono
tra l’avvio della stesura dell’Imeneo e l’esecuzione della seconda
versione dell’opera: Saul, Israel
in Egypt, Ode for St Cecilia’s
Day, L’Allegro, il Penseroso ed il
Moderato. L’ultimo e più emblematico titolo, l’intramontabile
Messiah, sarà tenuto a battesimo
Georg Friedrich Händel.
proprio nella medesima sala dublinese in cui vedrà la luce il rivisto Imeneo,
tre settimane appena dopo quest’ultimo.
È dunque un compositore in stato di grazia a mettere in cantiere,
nel settembre 1738, la sua 43a opera, intravvedendone le condizioni per
metterla in scena; tramontate ben presto quelle prospettive, il manoscritto
incompleto giacerà per un paio d’anni in un cassetto (non senza peraltro
uscirne di tanto in tanto per fornire materiali ad altri lavori dell’operoso
laboratorio händeliano), finché Händel non si opererà, per l’ultima volta
nella carriera, per organizzare una stagione operistica prendendo in gestione il piccolo teatro londinese noto come Lincoln’s Inn Fields, dove Imeneo
venne allestito il 22 novembre 1740, con un’unica replica il 13 dicembre.
La complessa vicenda di quest’opera – fissata in un autografo ‘in stato
confusionale’, tormentato da ogni sorta d’interventi che testimoniano la
stratificazione di diverse fasi compositive, ripensamenti, sostituzioni, cancellazioni, ripristini e modifiche nell’attribuzione ai personaggi dei diversi
pezzi, dovuti principalmente ai diversi cast previsti (un caos regolato soltanto nel 2001/2 dall’edizione critica a cura di Donald Burrows e da un
saggio di John Roberts) – non doveva tuttavia arrestarsi a quell’avvio ben
presto interrotto. Oltre un anno dopo, infatti, il compositore confermò
l’alta considerazione nutrita per quella partitura, che lo specialista Winton
Dean ha definito in tempi recenti «un piccolo capolavoro», preparandone
una nuova versione in vista della tournée che l’avrebbe portato a Dublino
nella primavera 1742. Il 24 e poi il 31 marzo di quell’anno l’opera fu
infatti proposta in forma di concerto a Dublino, al New Musick-Hall di
Fishamble Street col titolo, anch’esso nuovo, di Hymen, A Serenata. Un
nuovo inizio (anch’esso peraltro bruscamente interrotto: l’opera non si
sentirà più fino al 1960) per un lavoro freschissimo, che si ripropone di
rinnovare, attraverso la leggerezza del tono e un’intimità non spettacolare,
la formula dell’opera italiana: è proprio questa versione in forma da concerto, l’ultima licenziata dall’Autore, a venir proposta questa sera.
Tra «operetta» e «serenata»
Per il titolo che avrebbe seguito il Serse andato in scena nella primavera
1738, Händel scelse un modello eccentrico rispetto al dramma per musica
di soggetto storico, ancor più eccentrico dello stesso Serse e come questo legato a una figura centrale della librettistica premetastasiana: il poeta romano Silvio Stampiglia. Tra i fondatori dell’Arcadia, Stampiglia (1664-1725)
diede un contributo decisivo alla trasformazione del melodramma barocco
nelle forme riformate del Settecento, grazie a una produzione irradiata in
tutta Europa dalla Vienna in cui fu poeta cesareo presso la Corte imperiale
e dalla Napoli in cui aveva messo a segni i primi successi (con quel Trionfo
di Camilla regina de’ Volsci, musica di Giovanni Bononcini, ancora in auge
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nella Londra di Händel) e dove sarebbe ritornato nell’estrema maturità.
Proprio all’ultimo scorcio dell’attività di Stampiglia, esattamente parallela
a quella di Alessandro Scarlatti, risale Imeneo, «componimento dramatico» in due parti messo in musica da Nicola Porpora a Napoli nel 1723
in occasione delle nozze di Leonardo Tocco, principe di Montemiletto e
Camilla Cantelmi de’ duchi di Popoli, col giovanissimo Farinelli nella parte di Tirinto e Marianna Benti Bulgarelli, la prima Didone metastasiana,
in quella di Rosmene. A quel testo (probabilmente già steso, ma forse non
eseguito, nel 1717, e destinato a calcare le scene dei teatri col nuovo titolo
di Imeneo in Atene e una struttura ampliata ai tradizionali tre atti) ricorse
Händel nel settembre 1738, non già però lavorando sul libretto a stampa,
bensì direttamente, come d’altra parte non era insolito fare, sulla partitura
di Porpora. Sulla penultima opera händeliana incidono in misura determinante da un lato la destinazione nuziale (per la quale forse anche Händel
aveva pensato in origine l’opera), cui si deve il soggetto, il mito greco di
Imeneo, dio delle nozze, raccontato nel IV secolo d.C. da Servio nel suo
commento all’Eneide; dall’altro il formato della serenata, cioè quel componimento destinato a uno spettacolo encomiastico, al più semiscenico,
che nel terzo decennio del Settecento impegnò a Napoli i migliori talenti
poetici (Metastasio incluso) e musicali (i Porpora, i Vinci, gli Hasse): una
sorta di opera in miniatura, adatta anche a un teatro effimero o a una semplice sala, in cui la qualità della musica, unita dall’eleganza del dettato poetico, avrà monopolizzato, in assenza della scena, l’attenzione dello scelto
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Il New Musick-Hall di Dublino in una stampa del 1844.
pubblico. Nel proporre il proprio Imeneo Händel si rifà consapevolmente
a quella tradizione, cui egli stesso aveva contribuito in gioventù, giusto
a Napoli, con Aci, Galatea e Polifemo, qualificando l’originaria versione
londinese come «an Operetta» e la ripresa dublinese direttamente come «A
Serenata». Sospinta dalla brezza ancora fresca di quel repertorio sbocciato
sulle rive del Golfo di Napoli, la vicenda mitico-allegorica di Imeneo corre
così leggera sui binari d’una struttura drammatica essenziale, sin dall’origine quasi un mero pretesto celebrativo, ulteriormente prosciugata da
una serie d’interventi (potature e sostituzioni) operati dal drammaturgo
espertissimo per la versione da concerto proposta alla vigilia del Messiah,
procedendo in quell’emancipazione dalla scena teatrale che rappresenterà
la cifra caratteristica della piena maturità händeliana, quando la musica
assumerà su di sé l’intero onere dell’azione drammatica.
Ragione e sentimento
L’Imeneo di Stampiglia inscena la tradizionale dialettica barocca fra
ragione e sentimenti, cioè dovere e piacere, personificati, quasi ci trovassimo in un’azione sacra allegorica, in due personaggi (rispettivamente
Imeneo e Tirinto) che si contendono le inclinazioni del terzo (Rosmene).
Quest’ultima deve la vita a Imeneo (istanze giudiziose della ragione prendono dunque le vesti della gratitudine), che l’ha salvata dai pirati e la reclama in sposa dalla «saggia Atene», ma ama da tempo Tirinto. Questo in
sintesi il plot: un traliccio minimo, tendenzialmente statico. La tenacia del
legame sentimentale non lascia dubbio alcuno allo spettatore odierno in
merito al campo in cui schierarsi; e tuttavia Rosmene, posta come Ercole
davanti al bivio tra virtù e piacere, sceglie – per quanto attraverso un percorso tormentato che culmina nel gesto di massima evidenza scenica della
perdita dei sensi – l’aspro sentiero del dovere. Questo almeno nel dramma
di Stampiglia. Sì, perché la musica di Händel, nell’atto in cui conserva l’impianto drammatico originario, cui conferisce una certa solennità moralistica l’aggiunta ex novo dei cori (in severo modo minore quelli che chiudono
gli atti II e III), contraddice di fatto per esclusiva via musicale l’assunto ideologico della serenata di Stampiglia, esaltando, dilatando, intensificando lo
spazio delle ragioni del cuore, che finiscono per prevalere, nella percezione
dell’ascoltatore, rispetto all’esito di prammatica dell’esile vicenda. In altre
parole, sono le pene d’amore di Rosmene e Tirinto a imprimersi nella memoria quale vero centro gravitazionale della vicenda, presidiata in tre luoghi chiave da altrettante pagine dall’inequivocabile tinta erotica: la prima
aria grande dell’opera, «Se potessero i sospir miei», in cui Tirinto canta la
nostalgia dell’amore lontano, con un melos d’alto volo, mutuato dal coevo
Saul, preparato dal suasivo ritornello dell’orchestra (alla sua prima comparsa in combinazione con la voce) che predispone una pania sentimentale
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in cui immancabilmente s’invischieranno Giovanni Battista Andreoni alla
‘prima’ londinese e Susanna Maria Arne (Mrs Cibber) a Dublino (dove
dunque si vide e ascoltò nella parte di Tirinto una donna en travesti in
luogo d’un castrato); il duetto «Vado e vivo con la speranza», migrato con
modifiche dall’allora ancora recente Faramondo (1738), che scalza l’originario coro a sigillo dell’atto I con la vibrante esaltazione d’una tensione
erotica alimentata dal desiderio; infine, immediatamente prima del coro
conclusivo, un secondo duetto, «Per le porte del tormento», capolavoro
mutuato dal Sosarme (1732), che sublima la delusione del desiderio cantato nel duetto precedente prodigando delizie sonore chiamate a dimostrare
per via d’efficacia estetica la validità dell’assunto poetico («Per le porte del
tormento / passan l’anime a gioir»), anticipando quel nesso sofferenzafelicità che, su altro piano, chiuderà al termine di quel decennio, con un
analogo splendido duetto tra due amanti, l’oratorio Theodora (1750) (in
mi maggiore, il duetto dell’Imeneo contrasta meravigliosamente col successivo coro conclusivo, in mi minore, capovolgendo la sequenza delle medesime tonalità che avrebbe aperto, poche settimane dopo, il Messiah). Si sarà
notato come questo duetto dall’efficacia allora già sperimentata completi la
marginalizzazione dell’eroe eponimo, cui viene così scippata l’ultima pagina solistica dell’opera: contro l’originaria volontà del poeta-drammaturgo
Stampiglia, il musicista-drammaturgo Händel celebra dunque il trionfo
degli amanti, che, non casualmente, è anche il trionfo dei ruoli vocali di
primo uomo e prima donna, appannaggio nel primo Settecento delle voci
acute. Non diversamente era avvenuto un anno prima per l’ultima opera di
Händel, la Deidamia, in cui Achille aveva dovuto farsi da parte per lasciar
duettare Ulisse e Deidamia, i medesimi interpreti, Andreoni ed Elisabeth
Duparc, dell’originario Imeneo londinese.
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LARGHETTO con molte variazioni
I rapporti di forza tra i personaggi dell’Imeneo dublinese (il cui assetto, giova ripeterlo, si differenzia notevolmente dall’originale londinese e
s’allontana ancor più dal dramma di Stampiglia) sono espressi con chiarezza dalla distribuzione delle occasioni canore e dalla loro disposizione. Gli
amanti Tirinto e Rosmene si attestano su una sostanziale parità, rispettivamente con cinque e quattro arie ciascuno, i due duetti già discussi e il terzetto con Imeneo sul finire dell’atto II. Vanno poi presi in considerazione
alcuni pezzi di minor peso, ma numerosi e dalla collocazione strategica
nell’opera: si tratta di cavatine monostrofiche (per cavatina s’intendavano
originariamente dei versi lirici ‘cavati’, estratti da un passo di recitativo;
l’edizione ottocentesca di Chrysander li definisce impropriamente ‘ariosi’) di cui Händel fa ampio uso, simmetricamente in apertura degli atti I
e II, e con dovizia nel III, dove una medesima cavatina viene riproposta
(con meccanismo analogo
all’Alessandro nell’Indie metastasiano, che Händel aveva
intonato col titolo di Poro
nel 1731) per tre volte, prima separatamente e poi insieme dai due spasimanti.
Un’ulteriore cavatina cantata
da Rosmene rivestirà un’importanza particolare: e infatti
«Al voler di tua fortuna» sancirà la «sentenza» definitiva
di Rosmene, la scelta della via
della ragione, maturata attraverso il travaglio dell’unico
recitativo accompagnato delGeorg Friedrich Händel.
la partitura, un’autentica scena di follia dalla forte carica
irrazionale. Al protagonista Imeneo (Händel oscillò nelle varie versioni tra
tenore e basso) tocca, al netto della cavatina condivisa con Tirinto e del
terzetto, il magro bottino di due arie, esattamente quante ne canta il basso
Argenio, padre di Clomiri (a Dublino la parte di quest’ultima, confinata
al recitativo, verrà di fatto esautorata e con lei, innamorata di Imeneo,
l’intreccio secondario).
La caratterizzazione drammatica dei personaggi passa naturalmente
anche attraverso le scelte del linguaggio musicale. Il tono sentimentale
dell’indicazione agogica Larghetto – comune già ai primi due numeri chiusi, la cavatina (ma Stampiglia aveva previsto un’aria completa in due strofe)
e l’aria di Tirinto, è l’indicazione con cui si apre anche il coevo Messiah;
qui bene si sposa con l’originaria ambientazione bucolica, a scena unica,
in una Deliziosa –, dispensata generosamente, parrebbe quasi la cifra caratterizzante, dal lirismo perlopiù pudico, d’una partitura che pur vanta
naturalmente, nella complessiva leggerezza del tono, un’ampia tavolozza
di colori, dal tono volage di «Semplicetta, la saetta» (citato, come altre arie
dell’opera, nei coevi Concerti grossi op. VI) all’arcaicizzante severità cerimoniale del terzetto, decisamente old-fashioned nel 1742, distante anni luce
dalla scrittura galante dall’aria con cui Rosmene apre l’atto III, «In mezzo a
voi dui», a due parti strumentali (violini all’unisono e bassi) ed elettrizzata
dalla figura ritmica dominante d’una sincope sbarazzina. Due altre arie,
«D’amor ne’ primi istanti» e «Un guardo solo», provengono dall’atto II
dell’allora recentissima Deidamia (1741). Idomeneo e Argenio sono accomunati, oltre che dal numero delle arie, anche dalla tipologia ‘di paragone’:
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intonano infatti testi di carattere naturalistico chiamati a oggettivare le
passioni, di cui si evita così l’espressione diretta, come ad esempio «Su
l’arena di barbara scena» («the ‘Lion Song’», la chiama nella propria corrispondenza un’amica e ammiratrice di Händel) o la virtuosistica «Sorge
nell’alma mia», splendida, moderna aria di tempesta che mette a tema il
processo di sviluppo della gelosia, quasi aria ‘della calunnia’ ante litteram.
Un’ulteriore aria di paragone, «Di cieca notte», un Andante in si minore,
spalanca una prospettiva ben nota a Händel, e quasi solum sua, in cui
l’evocazione delle tenebre notturne si carica di quell’arcana, quasi sacrale
profondità già appartenuta allo Zoroastro dell’Orlando, al Licomede della
Deidamia, allo stesso Messiah («The people that walked in darkness»). A ricordarci come la profondità sia pronta a sorprenderci dietro ogni dettaglio
di quell’autentica enciclopedia delle passioni che è il teatro händeliano.
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libretto
atto i
scena i
Tirinto, poi Argenio
tirinto
Larghetto
La mia bella, perduta Rosmene,
Per pietà chi m’insegna dov’è?
Per mercé chi mi dice?
tirinto
Dal dì ch’io la perdei
Quest’alma innamorata non mai
Non ebbe più bene un momento
Di pace aver non sa.
Larghetto
La mia bella perduta Rosmene, etc.
Entra Argenio
argenio
Tirinto!
tirinto
Argenio!
argenio
O barbara fortuna!
Non abbiam nuova alcuna delle rapite vergini d’Atene.
tirinto
(E che farà Rosmene?)
Infelici donzelle!
Aria
Se potessero i sospir miei
Far che l’onde a queste sponde
Li portassero il legno infido,
Io vorrei tutti sciogliere
Là sul lido i sospiri del mio cor.
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Ma non possono far dal mare
Ritornare a me Rosmene.
Deh! Su l’ali a queste arene
La conduca il Dio d’amor!
Se potessero, etc.
scena ii
argenio
Cerere onnipotente,
Vendica i tuoi oltraggi e riconduca alle sacre tue are l’involate donzelle il tuo
favore.
Cada sugli empi, e vendicar il tuo onore!
coro
Vien Imeneo fra voi,
Viene fra voi!
Sperate, oh amanti!
E vien con esso Amor.
Viene Amor, godete, oh cori!
Vien Imeneo fra voi,
Viene fra voi! sperate, oh amanti!
tirinto
Argenio, addio!
argenio
Dove, Tirinto?
100
tirinto
In traccia del perduto mio ben.
Né tornar mi vedrai senza Rosmene.
Andrò di riva in riva per salvezza di lei.
Per mio conforto vago di averne avviso.
Entra Imeneo, sorprendendolo
imeneo
Io te lo porto!
tirinto
Valoroso Imeneo!
argenio
Prode garzone!
tirinto
N’attendi dalla patria il guiderdone.
imeneo
Dalla Patria non chiedo
Che di stringer la mano
All’amata Rosmene.
argenio
E solo questa è la tua domanda?
tirinto
(Ahi ciel! Per me funesto!)
argenio
Perché ne sei ben degno
L’opra mia ti prometto.
tirinto
(Ardito impegno!)
imeneo
Olà! Venga Clomiri, entri Rosmene!
tirinto
Rivolto ad Argenio
Pensa, Argenio, al mio...
E che mi sia...
argenio
Rivolto a Tirinto
So ben che regna in te la gelosia!
Aria
Di cieca notte
Allor che l’ombra il monte ingombra.
Oscura il piano;
Ogni lontano acceso fuoco di loco in loco
Scoprir si fa.
Così all’ombre la gelosia scopre
Qual sia di core in core
L’acceso amore,
Ch’ardendo va.
Di cieca notte, etc.
101
scena iii
imeneo
Avvicinatosi a Rosmene
Rosmene, alfin dovresti
Renderti ai miei voti.
Per me libera sei da tue ritorte.
rosmene
A Imeneo
Aria
Ingrata mai non fui
Non ho di sasso il cor.
A Tirinto
Ma il cor non è per lui lo serbo per te.
A Imeneo
D’aver pietà mi vanto:
Priva non son d’amore.
A Tirinto
Deh! Non ombrarti tanto!
Fidati pur di me.
A Imeneo
Ingrata mai, etc.
scena iv
Imeneo, Tirinto e Clomiri
102
imeneo
Se non era il mio braccio,
Si troveria Rosmene in servitù di barbare catene;
Generoso sarai, se tu la cedi.
Nulla rispondi ancor?
tirinto
Troppo mi chiedi.
Aria
D’amor nei primi istanti
Facili son gli amanti
A farsi lusingar solo per vanità.
Del merto lor l’effetto credono
Quell’affetto e il vanto voglion dar
Più a sé ch’alla beltà.
D’amor, etc.
scena v
Imeneo solo
imeneo
Paventar non degg’io
Che non venga Rosmene a me concessa.
Vano sospetto rio a perturbarmi viene.
Sconoscente non è
La saggia Atene!
Aria
Esser mia dovrà la bella tortorella
Ch’io sottrassi dai perigli degl’artigli.
Ed uccisi in faccia a quella lo sparvier che la rapì.
Più non teme, più non geme ch’ella non è
Qual era prigioniera del crudel
Che già morì.
Esser mia, etc.
scena vi
Duetto
rosmene - tirinto
Vado e vivo con la speranza
Vanne e vivi con la speranza
D’ottener la tua beltà
D’ottener la mia pietà
Puoi, vuoi, sperar
Che la costanza vincerà la crudeltà.
103
fine atto i
atto ii
scena i
Rosmene, poi Argenio
rosmene
Largo
Deh, m’aiutate, o Dei!
Che degli affetti
Miei troppo è il mio martoro!
Entra Argenio
argenio
Vogliono i tuoi maggiori,
Il senato, la patria.
E vuol ragion che tu
Sia d’Imeneo.
rosmene
Amor s’oppose. Amor fedel.
argenio
Rosmene, con la tua pace altro è l’esser fedel, altro ostinata!
rosmene
Dovrò dunque sforzata
Per non esser ingrata, esser infida?
Ah! Onor, dover, amor, a me fatale!
104
argenio
Aria
Su l’arena di barbara scena
Esce in campo feroce leone.
Pria d’un misero a danno si pone
Poi si ferma e baciandolo va.
Egli tolse una spina al suo piede
Là dell’Africa in mezzo alle selve.
E il Re della belva appena lo vede
Che sdegnando la taccia d’ingrato
Del suo stato si muove a pietà.
Su l’arena, etc.
scena ii
Rosmene e poi Clomiri
rosmene
La mia mente or confusa vorria...
Non sa... si pente... incolpa...
Si scusa... e mi trovo fra i flutti del pensiero
Qual navicella in mar senza nocchiero.
Entra Clomiri
clomiri
Rosmene, mostra il volto ch’abbi turbato il core.
Perché? dimmi perché?
rosmene
Conosci amore?
clomiri
Un principio confuso in me ne sento.
rosmene
Buon giudice non sei
Del mio tormento!
Aria
Semplicetta, la saetta
Non intendi ancor d’amore.
Ma il tuo cor forse un dì l’intenderà.
Sempre al varco sta coll’arco
E a ferire il tempo aspetta.
Semplicetta, se da lui non ben ti guardi
Coi suoi dardi quell’arcier t’impiagherà.
Semplicetta, etc.
scena iii
Tirinto ed Imeneo
tirinto
Imeneo, lieto in viso tutto, gioir ti veggio.
imeneo
Al padre tuo io deggio l’intesa gioia mia.
Oprò che degno io sia di conseguir Rosmene
E così darò fine a’ dolor miei.
tirinto
N’avviserò colei a cui dal tuo valore fu sciolto
Il piede, e fu legato il core.
Aria
E sì vaga del tuo bene
Ch’al suo mal non penserà.
Così t’ama, ch’ella brama
Più ristori alle tue pene
105
Ch’alle sue trovar pietà.
E sì vaga, etc.
Parte
imeneo
Aria
Sorge nell’alma mia
Qual va sorgendo in cielo
Piccola nuvoletta che poi tuona e saetta
E passa ad agitare la terra e il mare ancor.
Questa è la gelosia
Che va spiegando un velo
Di torbido sospetto
Che poi dentro al mio petto
Potrebbe diventar tormento del mio core.
scena iv
tirinto
Sembra un fanciullo amore, innocente, vezzoso,
E par che i giorni e l’ore possa ogni alma con lui
Passar per gioco. Ma poi ne sente il fuoco
E vive lamentando all’ombra ed al sole.
Non s’innamori chi penar non vuole!
106
Aria
Chi scherza con le rose
Un dì si pungerà.
Farfalle amorose girate attorno al lume
Farfalle fuggite che le piume alfin v’abbrucierà.
Chi scherza, etc.
scena v
Argenio, Tirinto, Imeneo, e Rosmene
argenio
Udisti già
Che ad Imeneo concesso è d’ottener Rosmene.
Si spieghi a chi di voi Rosmene arrida.
Arbitra di sue nozze, ella decida!
Terzetto Imeneo, Rosmene, Tirinto
imeneo
Consolami, mio bene
Pria che il dolor m’uccida.
Pietà del mio cordoglio
Pietà di me ti chieggio.
Almen dimmi ch’io mora.
rosmene
Bramando uscir di pene
Tu mi vorresti infida.
Idolo del cor mio
Tu mi vorresti ingrata.
Infida esser non voglio
Ingrata esser non deggio.
tirinto
Deh, non cangiar desio
Bell’anima adorata.
Pietà del mio cordoglio
Pietà di me io chieggo
Almen dimmi ch’io mora.
tutti e tre
Ah, s’io morissi ancora
meglio saria per me.
imeneo
Non essermi crudele.
Alfin chi di noi due
ritroverà mercè?
tirinto
Risolvi d’esser mia!
Alfin chi di noi due
Ritroverà mercè?
rosmene
Che io non sia fedele?
Ch’io sconoscente io sia?
Non so, se poi di lui
Se poi sarò di te.
imeneo
Consolami, etc.
107
coro
E troppo bel trofeo
Della bellezza il cor.
Lo vincerà Imeneo
E già lo vinse Amor.
fine atto ii
atto iii
scena i
Tirinto, Imeneo e Rosmene
tirinto e imeneo
Alfin decidi!
rosmene
Deciderò, ma poi spiacerà
La sentenza ad un di voi.
imeneo
Dimmi il mio fato!
tirinto
Attendo mia sorte!
108
rosmene
(Gratitudine e amore son due tiranni che mi dan la morte!)
imeneo
Via su, mia bella!
tirinto
Parla, idolo mio!
rosmene
Crudo Imeneo, crudo Tirinto, addio!
Aria
In mezzo a voi due
Qui lascio il mio core.
Parlate con lui,
Parlate d’amore
Ch’io sono contenta
V’ascolti vi senta,
Risponda per me!
In mezzo a voi due, etc.
scena ii
Imeneo e Tirinto
imeneo
Se tua sarà Rosmene
Quest’anima smarrita uscir vedrai
Di vita e uscir di pene.
tirinto
Dì, se mai la fortuna arride al tuo conforto
Ch’è tua Rosmene
E che Tirinto è morto.
scena iii
rosmene
Fiero destino contro di me s’è mosso.
Risolver deggio e ritardar non posso.
Saprò ben io con arte uscir fuor di me stessa,
E in me raccolta oprar da saggia e favellar stolta!
scena iv
Rosmene ed Imeneo
imeneo
Rosmene, a che sospendi la sentenza fatal!
rosmene
Taci!
imeneo
Ch’io taccia?
Parte Rosmene
Cavatina
Avvicinandosi a lei
Se la mia pace
A me vuoi togliere,
Barbara, toglimi
La vita ancor!
109
scena v
Tirinto da una parte, e Rosmene dall’altra
tirinto
Sospirata Rosmene, Rosmene anima mia.
rosmene
(Ecco un novello inciampo, fuggo Imeneo,
Ed in Tirinto inciampo).
tirinto
(Combattuta passeggia fosca nel ciglio e nubilosa in faccia.)
Aria
Un guardo solo
Pupille amate
Conforto al duolo
Non mi negate;
Ma un guardo o care
In cui svalilla
D’amor la face
Ogn’altr sguardo
Che a me volgete
È freddo dardo,
Deh! rendete pietose,
Vezzose al cor la pace.
Un guardo solo, etc.
110
tirinto
Senti per pietà.
rosmene
Taci.
tirinto
Ch’io taccia?
Cavatina
Se la mia pace
A me vuoi togliere,
Barbara, toglimi
La vita ancor!
scena ultima
Clomiri, Argenio, e poi Rosmene, e finalmente Imeneo da una parte, e Tirinto
dall’altra
clomiri
Scorgesti che Rosmene
Può non sembrare in se stessa?
argenio
Io la compiango.
rosmene
È questo il dì per definir la lite?
È questo?... Dunque, la sentenza udite!
Cavatina
tirinto e imeneo
Se la mia pace
A me vuoi togliere,
Barbara, toglimi
La vita ancor!
rosmene
La vita? E che donna venne quaggiù
Dalla sua stella uscita per dare, non per togliere, la vita!
tirinto
Insensata favella!
rosmene
Risolverò. Ma s’aprano gli abissi.
Venga Rosmene accanto l’ombra
Di Radamanto
E dal profondo baratro si muova.
Voglio sentir s’il mio decreto approva.
Recitativo accompagnato
Miratela! che arriva cinta di negro manto a passo lento e piano, col brando in
pugno e la bilancia in mano.
Ella per me decida. Ascolta! Esser io deggio o ingrata o infida?
A Imeneo
Sparso d’affanni il viso.
A Tirinto
Tinto di morte il volto.
111
A Imeneo
Tu, di vincer diffidi?
A Tirinto
Tu, di perder paventi? Ombra, decidi! In atto di vibrarla
Ella già tiene la nuda spada in alto.
Cadde il colpo, e divide dal mio core il mio cor.
L’ombra decide. Ahi! Che mancar mi sento.
Caliginoso intorno mi sembra
Il giorno e l’anima già sviene.
Chi di voi, per pietà chi mi sostiene?
S’abbandona, sostenuta da Tirinto ed Imeneo
imeneo
Misera!
tirinto
Sventurata!
clomiri
Deplorabil destin!
argenio
Sorte spietata!
rosmene
Rosmene in braccio a dui?
112
A Tirinto
Vanne e lascia ch’io resti
In braccio a lui.
Cavatina
A Imeneo
Al voler di tua fortuna
Già Rosmene acconsentì.
A Tirinto
Non aver più speme alcuna
Fui costretta a dir di sì.
rosmene
Disappunto così quando del pomo d’oro la gran lite decise il pastorello, giudice
severo.
Clomiri, Argenio, è vero?
argenio
È vero.
clomiri
È vero.
imeneo
Per sua pietà sospiro scorgendo che vaneggia.
rosmene
Io non deliro.
tirinto
Numi, aita vi chieggio
L’idolo mio delira.
rosmene
Io non vaneggio.
Aria
Verso Tirinto
Io son quella navicella
Che veniva a questa sponda
Sorse il vento, e turbò l’onda.
Verso Imeneo
E in quest’altra la portò.
rosmene
A Imeneo
Non vuol ch’io ritorni il mio nocchiero al lido abbandonato.
È vero?
imeneo
È vero.
rosmene
Ecco la navicella
Che fuor della tempesta
Tutta si ricompone e come vuol ragione
Al fin lega se stessa
(dando la mano ad Imeneo)
A questa piaggia.
Parlai da stolta, e stabilii da saggia.
imeneo
Fortunato Imeneo!
113
rosmene
Tirinto, datti pace, e non dispiaccia a te ciò che a me piace.
Duetto
rosmene e tirinto
Per le porte del tormento
Passan l’anime a gioir.
Sta il contento del cordoglio
Sul confine,
Non v’è rosa senza spine.
Per le porte, etc.
coro
Se consulta il suo dover
Nobil alma, o nobil cor
Non mai piega a’ suoi voler
Ma ragion seguendo va.
E se nutre un qualche amor
Ch’a ragion non si convien
Quell’amor scaccia dal sen
E ad un altro amor si dà.
fine della serenata
114
Brani di Georg Friedrich Händel eseguiti all’Accademia Musicale
Chigiana negli ultimi 20 anni
Arminio opera in tre atti su libretto di Antonio Salvi
26 luglio 2000
Interpreti: Il Complesso Barocco, Alan Curtis realizzazione musicale e direzione, Vivica
Genaux mezzosoprano, Geraldine Mc Greevy soprano, Dominique Labelle soprano,
Manuela Custer mezzosoprano, Riccardo Ristori basso, Luigi Petroni tenore, Sytse
Buwalda controtenore
Prima riproposta italiana (in forma di concerto)
Ciaccona con 22 variazioni in sol maggiore per pianoforte
19 maggio 1996
Interprete: Murray Perahia
Concerto grosso in si bemolle maggiore op. 6 n. 7 per orchestra
Concerto grosso in sol maggiore op. 6 n. 1 per orchestra
Concerto in fa maggiore op. 4 n. 4 per organo e orchestra
Concerto in fa maggiore op. 4 n. 5 per organo e orchestra
Concerto in si bemolle maggiore op. 4 n. 2 per organo e orchestra
10 luglio 2011
Interpreti: Ottavio Dantone, Accademia Bizantina
Deidamia opera in tre atti su libretto di Paolo Antonio Rolli
18 luglio 2002
Interpreti: Il Complesso Barocco, Coro del Complesso Barocco, Alan Curtis direttore,
Simone Kermes soprano, Dominique Labelle soprano, Annamaria Panzarella soprano,
Anna Bonitatibus mezzosoprano, Furio Zanasi baritono, Antonio Abete baritono
Prima ripresa italiana
“How beautiful” da The Messiah
26 marzo 2010
Interpreti: Elizaveta Martirosyan soprano, Ulla Casalini pianoforte
Händel e Napoli ovvero I percorsi del caro Sassone:
- How vain is man da Judas Maccabaeus HWV 63 (Londra 1746)
- Sonata II dalle Sei Sonate per due violini (Londra 1739)
- La speme ti consoli da Partenope HWV 27 (Londra 1730)
- While Kedron’s Brook da Joshua, A Sacred Drama HWV 64 (Londra 1748)
4 febbraio 2011
Interpreti: Accordone, Guido Morini clavicembalo e direzione musicale
Messiah
17 aprile 2009
Interpreti: Bach-Collegium Stuttgart, Gächinger Kantorei Stuttgart, Helmuth Rilling
direttore, Jutta Koch soprano, Okka von der Damerau contralto, Brenden Gunnell
tenore, Michael Nagy basso
115
Passacaglia in sol minore per violino e viola (arr. J. Bashmet)
7 agosto 2002
6 agosto 2007
Interpreti: Jurij Bashmet viola, Elena Revitch violino, Mikhail Muntjan pianoforte
“Piangerò la sorte mia” per soprano e pianoforte dall’opera Giulio Cesare
“Un cenno leggiadretto” per soprano e pianoforte dall’opera Serse
24 luglio 1994
Interpreti: Valeria Mariconda soprano, Pierina Brizzi pianoforte
Sinfonia “L’arrivo della Regina di Saba” da Solomon
10 luglio 2011
Interpreti: Accademia Bizantina, Ottavio Dantone direttore
Sonata in re maggiore op. 1 n. 13 per violino e basso continuo
28 luglio 2001
Interpreti: Uto Ughi violino, Alessandro Specchi pianoforte
“The King shall rejoice” da Coronation Anthems HWV 260 per coro e orchestra
“Zadok the priest” da Coronation Anthems HWV 258 per coro e orchestra
Ode for St Cecilia’s Day HWV 76 (Ode auf St. Caecilia nell’elaborazione di W.A. Mozart
K. 592) per soli, coro e orchestra
22 novembre 2011
Interpreti: Orchestra da Camera di Mantova, Coro da Camera Ricercare Ensemble,
Romano Adami maestro del coro, Gemma Bertagnolli soprano, Carlo Allemano tenore,
Mauro Borgioni basso, Corrado Rovaris direttore
116
Vincer se stesso è la maggior vittoria ovvero Rodrigo dramma per musica in tre atti su
libretto di Francesco Silvani
20 luglio 1997
Interpreti: Il Complesso Barocco, Alan Curtis realizzazione musicale e direzione, Gloria
Banditelli mezzosoprano, Sandrine Piau soprano, Elena Cecchi Fedi soprano, Rufus
Müller tenore, Roberta Invernizzi soprano, Caterina Calvi contralto
Prima riproposta italiana (in forma di concerto)
Water Music (Brani dalle Suites I, II e III)
13 luglio 1999
Interprete: North Carolina School of the Arts
EUROPA GALANTE
Europa Galante nasce nel 1990 dal desiderio del suo direttore artistico, Fabio Biondi, di fondare un gruppo strumentale italiano per le interpretazioni, su strumenti d’epoca,
del grande repertorio barocco e classico. L’ensemble ottiene un grande successo fin dalla
pubblicazione del primo disco, dedicato alla produzione concertistica vivaldiana (Premio
Cini di Venezia, «Choc de la Musique» in Francia). Negli anni seguenti il gruppo colleziona un’eccezionale lista di riconoscimenti: cinque Diapason d’Oro, Diapason d’Oro
dell’anno in Francia, premio RTL, nomina «Disco dell’anno» in Spagna, Canada, Svezia,
Francia e Finlandia, «Prix du disque», tra i tanti altri. Da allora Europa Galante si è esibita
nelle più importanti sale da concerto e teatri del mondo: dal Teatro alla Scala di Milano
all’Accademia di Santa Cecilia a Roma, dalla Suntory Hall di Tokyo al Concertgebouw di
Amsterdam, dalla Royal Albert Hall di Londra al Lincoln Center di New York, dal Théatre
des Champs-Elysées di Parigi alla Sydney Opera House, e poi Festival Chopin a Varsavia,
Festival Mozart a Würzburg, BBC Proms a Londra. In Italia collabora con l’Accademia
Nazionale di Santa Cecilia nel recupero di opere vocali del Settecento italiano quali la Passione di Gesù Cristo di Caldara, Sant’Elena al Calvario di Leo e Gesú sotto il peso della Croce
di di Mayo. Nell’ambito di questa collaborazione, nel 2009 è stata inaugurata la stagione a
Roma con l’Oratorio di A. Scarlatti La Santissima Annunziata. Europa Galante si è anche
impegnata nella diffusione del repertorio scarlattiano, con numerosi oratori e opere. Con
grande successo di pubblico e di critica, Europa Galante è stata presente a Venezia, in collaborazione con la Fondazione Teatro La Fenice.
Nel 2002, Fabio Biondi ed Europa Galante hanno ottenuto il Premio Abbiati della
critica musicale italiana per l’insieme dell’attività concertistica e per l’esecuzione del Trionfo
dell’Onore di Alessandro Scarlatti. Di nuovo nel 2008 è stato assegnato a Fabio Biondi ed
117
Europa Galante, insieme alla Compagnia Colla, il premio speciale Abbiati per Filemone
e Bauci di Haydn (produzione dell’Accademia Musicale Chigiana per la LXV Settimana
Musicale Senese), per l’originalità e il pregio della riscoperta di questo lavoro, che gli ha
restituito il pieno splendore strumentale e vocale.
Nel 2004 Fabio Biondi ed Europa Galante hanno vinto il Premio Scanno per la
Musica. Oltre alle numerose date europee, Europa Galante è stata negli Stati Uniti per una
lunga tournée di undici concerti in sedi prestigiose quali la Walt Disney Hall e la Carnegie
Hall. Nel 2012, Europa Galante ha presentato di nuovo la Norma di Bellini, questa volta in
Spagna al Palau de la Musica (Valencia) e all’Auditorium Baluarte (Pamplona). Dal 1998,
dopo un’importante discografia edita in collaborazione con la casa discografica francese
Opus 111, Europa Galante collabora con Virgin Classics per la quale ha pubblicato numerosi dischi che ottengono regolarmente i massimi riconoscimenti internazionali. Oggi
Europa Galante collabora con la casa discografica Agogique per la quale ha pubblicato nel
2012 un primo disco di musiche di Telemann. Europa Galante risiede presso la Fondazione Teatro Due a Parma.
118
FABIO BIONDI
Nato a Palermo, Fabio Biondi inizia la sua
carriera internazionale all’età di dodici anni, con
i primi concerti solistici. A sedici viene invitato
al Musikverein di Vienna per interpretare i Concerti per violino di Bach. Da allora collabora
quale primo violino con i più famosi ensemble
specializzati nell’esecuzione di musica antica con
strumenti e prassi esecutiva originali: la Cappella Real, Musica Antiqua Vienna, Il Seminario
Musicale, La Chapelle Royale e i Musiciens du
Louvre (sin dalla sua fondazione). Nel 1990 la
svolta decisiva: fonda Europa Galante, che in pochissimi anni, grazie a un’attività concertistica estesa in tutto il mondo e ad un incredibile successo discografico, diviene l’ensemble
italiano specializzato in musica antica più famoso e più premiato in campo internazionale.
In pochi anni vende quasi un milione di dischi, e Le quattro stagioni vivaldiane incise per
Opus 111 diventano un vero caso internazionale, conquistando tutti i più importanti
premi e vendendo oltre cinquecentomila copie. Accanto alle Quattro stagioni vivaldiane, i
Concerti Grossi di Corelli o le Sonate di Schubert, Schumann o Bach, si evidenziano gli
sforzi tesi alla riscoperta delle opere di Alessandro Scarlatti, di Haendel, come al repertorio
violinistico del Settecento italiano.
Oggi, Fabio Biondi incarna il simbolo della perpetua ricerca dello stile, uno stile libero da condizionamenti dogmatici e interessato alla ricerca del linguaggio originale. Questa
inclinazione lo porta a collaborare in veste di solista e direttore con orchestre quali l’Orchestra di Santa Cecilia a Roma, l’Orchestra da Camera di Rotterdam, l’Orchestra dell’Opera
di Nizza, l’Orchestra dell’Opera di Halle, l’Orchestra da Camera di Zurigo, l’Orchestra da
Camera di Norvegia, Orchestra Mozarteum di Salisburgo, la Mahler Chamber Orchestra,
l’Orchestra della Svizzera Italiana, l’Orchestra Nazionale di Montpellier, l’Ensemble Orchestral de Paris etc.
Fabio Biondi è diventato, dal 2005, direttore stabile per la musica antica della Stavanger Symphony Orchestra. In duo con pianoforte, cembalo, fortepiano e come solista, è
presente nelle sale più prestigiose: Cité de la Musique a Parigi, Hogi Hall a Tokio, Carnegie
Hall a New York, Wigmore Hall a Londra. Nel 2002, Fabio Biondi ed Europa Galante
hanno ottenuto il Premio Abbiati della critica musicale italiana per l’insieme dell’attività
concertistica e per l’esecuzione del Trionfo dell’Onore di Alessandro Scarlatti. Di nuovo nel
2008 è stato assegnato a Fabio Biondi ed Europa Galante, insieme alla Compagnia Colla,
il premio speciale Abbiati per Filemone e Bauci di Haydn (produzione dell’Accademia Musicale Chigiana per la LXV Settimana Musicale Senese), per l’originalità e il pregio della
riscoperta di questo lavoro, che gli ha restituito il pieno splendore strumentale e vocale.
Dal 2011 Fabio Biondi è Accademico dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
Suona un violino ‘Andrea Guarneri’ (Cremona, 1686). Suona anche un violino ‘Carlo
Ferdinando Gagliano’ del 1766, già appartenuto al suo maestro Salvatore Cicero, e affettuosamente messo a disposizione dall’omonima Fondazione.
CRISTIANA ARCARI
Nata a Roma, Cristiana Arcari ha svolto gli
studi musicali nella sua città e si è laureata in storia della musica presso l’Università La Sapienza.
Ha in seguito studiato canto con Rudolf Knoll
al Mozarteum di Salisburgo e con Luisa Castellani all’Accademia Chigiana di Siena e di canto
barocco con Emma Kirkby. Si è esibita nei maggiori teatri d’Italia e d’Europa in opere che vanno
da Cavalli a DvoĜák, da John Gay a Mozart. Ha
inciso per Hyperion l’opera inedita Le disgrazie
d’Amore di Antonio Cesti.
Grazie a un repertorio che spazia dal barocco alla vocalità contemporanea, Cristiana
Arcari collabora con Europa Galante, La Cappella della Pietà dei Turchini, I Cameristi
Vocali Italiani, Tacitevoci Ensemble, CappellAntiqua Berna, Seicentonovecento, Il Concerto d’Arianna e con Nicola Piovani, Vincenzo Cerami, Franca Valeri, Ennio Morricone,
Bruno de Franceschi, Lorenzo Jovanotti, Germano Mazzocchetti, Valerio Magrelli, Matteo
d’Amico, Giuseppe Piccioni, esibendosi nell’ambito di festival e stagioni concertistiche tra
cui Misteria Pascalia, Festival Barocco di Viterbo, Sagra Malatestiana di Rimini, Baroktage
Stift Melk, Biennale di Musica contemporanea di Zagabria, Oratorio del Gonfalone, Nuova Consonanza, Istituzione Universitaria dei Concerti di Roma, I concerti del Quirinale.
Sue interpretazioni sono presenti nella colonna sonora de L’ultimo bacio di Gabriele
Muccino e di Io, Don Giovanni di Carlos Saura. Recentemente Cristiana Arcari è stata
invitata da Claudio Abbado a partecipare al Progetto Prometeo in una serie di concerti in
programma per il 2014.
119
DITTE ANDERSEN
Il soprano danese Ditte Andersen ha studiato sotto la guida di Susanna Eken presso la
Royal Danish Academy of Opera di Copenhagen. È apparsa in ruoli importanti di opere e in
campo concertistico on un repertorio che spazia
da Bach a Mozart, Haydn, Richard Strauss, Wagner, Bellini, Rameau, d’Albert, comprendendo
prime esecuzioni quali la Passione e resurrezione
di Erik Esenvalds a Bergen. Si esibisce in sedi e
festival come ad esempio l’Opéra Garnier di Parigi, l’Opéra du Rhin di Strasburgo, il Palais des
Beaux-Arts di Bruxelles, l’Opéra Garnier di Monaco, il Théâtre des Champs-Elysées di Parigi,
l’Opéra-Comique di Parigi, Aix-en-Provence, la
Royal Albert Hall di Londra, il Teatro Monumental di Madrid, la Salle Pleyel, la Cité de la
musique di Parigi, il Bozar a Bruxelles, il Concertgebouw di Amsterdam e la Konzerthaus
di Berlino, e in molte altre importanti sedi d’Europa.
Ditte Andersen ha collaborato con direttori d’orchestra del calibro di Yves Abel,
Paolo Arrivabeni, Fabio Biondi, Thomas Dausgaard, Peter Dijkstra, Olari Elts, Laurence Equilbey, Adam Fischer, Matthias Foremny, Patrick Fournillier, Rafael Frühbeck de
Burgos, Christopher Hogwood, Graeme Jenkins, Vladimir Jurowski, Johannes Knecht,
Adrian Leaper, Michael Hofstetter, Ion Marin, Andrew Manze, Paul McCreesh, Marc
Minkowski, Lars Ulrik Mortensen, Jun Märkl, Tomas Netopil, Daniel Oren, Juan Bautista Otero, Hans-Christoph Rademann, Lawrence Renes, Christophe Rousset, Donald
Runnicles, Ulf Schirmer, Andreas Spering, Johannes Willig.
120
ANN HALLENBERG
Il mezzosoprano svedese Ann Hallenberg
si esibisce regolarmente presso le più prestigiose sale concertistiche mondiali quali la Scala di
Milano, La Fenice di Venezia, il Teatro Carlo
Felice di Genova, il Teatro Real di Madrid, il
Theater an der Wien di Vienna, la Opernhaus
di Zurigo, l’Opéra National de Paris, il Théâtre
des Champs-Elysées di Parigi, l’Opéra de Lyon,
l’Opéra National du Rhin di Strasburgo, l’Opéra
de Monaco, la Nederlandse Opera di Amsterdam, la Vlaamse Opera di Anversa, la Bayerische
Staatsoper di Monaco di Baviera, la Semperoper
di Dresda, la Royal Swedish Opera, il Drottningholm Theatre di Stoccolma. Appare inoltre di frequente in molti altri teatri e importanti
festival d’Europa e Nord America.
Ann Hallenberg collabora regolarmente con direttori d’orchestra del calibro di Giovanni Antonini, Fabio Biondi, Ivor Bolton, Frans Brüggen, William Christie, Francesco
Corti, Alan Curtis, Ottavio Dantone, Alessandro De Marchi, Peter Dijkstra, Diego Fasolis, sir John Eliot Gardiner, Enoch zu Guttenberg, Daniel Harding, Philippe Herreweghe,
Michael Hofstetter, Paavo Järvi, Paul McCreesh, Marc Minkowski, Riccardo Muti, Kent
Nagano, sir Roger Norrington, Daniel Reuss, Christophe Rousset, Federico Maria Sardelli, Mark Tatlow, Lothar Zagrosek, Alberto Zedda.
Il repertorio di Ann Hallenberg include un vasto numero di ruoli principali in opere
di Rossini, Mozart, Gluck, Haendel, Vivaldi, Monteverdi, Purcell, Bizet, Massenet, e un
repertorio concertistico che spazia dalla musica degli inizi del XVII secolo fino alle composizioni contemporanee di Franz Waxman e Daniel Börtz.
MAGNUS STAVELAND
Il tenore norvegese Magnus Staveland ha
studiato presso l’Accademia di Musica di Stato di
Oslo e alla Royal Opera Academy di Copenhagen sotto la guida di Susanna Eken. Si è immediatamente affermato sulla scena come uno dei
migliori cantanti scandinavi.
I suoi appuntamenti operistici lo hanno
visto protagonista in numerose opere di autori quali Monteverdi, Cavalli, Haydn, Mozart,
Schoenberg in prestigiose sedi come l’Opéra
Garnier di Parigi, il Teatro alla Scala di Milano,
il Teatro La Fenice di Venezia, il Teatro Regio di
Torino, l’Opéra du Rhin di Strasburgo, il Palais
des Beaux-Arts di Bruxelles, la Settimana Musicale Senese (Filemone e Bauci di Haydn nel
2008), l’Opéra Garnier di Monaco, Le Corum di Montpellier, la Staatsoper di Berlino,
il Festival di Aix-en-Provence, il Théâtre de La Monnaie di Bruxelles, il Drottningholm
Festival di Stoccolma, il Theater an der Wien.
Magnus Staveland collabora regolarmente con direttori d’orchestra del calibro di Rinaldo Alessandrini, Fabio Biondi, Gary Cooper, Simon Carrington, Thomas Dausgaard,
Alessandro De Marchi, Eric Ericsson, Rafael Frühbeck de Burgos, René Jacobs, Stefan
Klingele, Nicholas Kraemer, Cristoph Kühlwein, Andrew Manze, Marc Minkowski, Juan
Bautista Otero, Andrew Parrot, Christophe Rousset, Federico Maria Sardelli, Marc Soustrot, Mark Tatlow, Ottaviano Tenerani. Il suo repertorio concertistico include numerose opere di autori tra cui Bach, Beethoven, Britten, Caldara, Purcell, DvoĜák, Haendel,
Haydn, Mendelssohn, Monteverdi, Mozart, Scarlatti, Telemann, Vivaldi, Schoenberg.
121
MARCOS FINK
Il basso-baritono Marcos Fink è nato a
Buenos Aires da genitori sloveni. Ha acquisito
la sua formazione di cantante grazie alla guida
di Ivan Ivaniv e Victor Srugo e alle masterclass
tenute da Philippe Huttenlocker, Wolfgang
Schöne, Erik Werba e Aldo Baldin. Nel 1998 gli
è stata conferita una borsa di studio per una specializzazione a Londra con Lady Heather Harper
e Robert Sutherland.
Si è esibito presso le più prestigiose sale da
concerto del mondo nelle città di Parigi, Bordeaux, Basilea, Berlino, Francoforte, Vienna, Madrid, Barcellona, Ginevra, Roma, Milano, Aixen-Provence, Lisbona, Lubiana, Tokyo, Osaka,
Buenos Aires, Sao Paulo e Houston. Ha inoltre collaborato con direttori d’orchestra del
calibro di Michel Corboz, Hans Graf, Leopold Hager, Alain Lombard, Semyon Bychkow,
Uwe Mund, Milan Horvat, Pinchas Steinberg, Anton Nanut, Lior Shambadal e René
Jacobs.
La discografia di Marcos Fink include un ampio repertorio che va da Mozart a Frank
Martin. Nel 2013 è nominato per i Grammy Awards per la categoria ‘Miglior registrazione
operistica’; ha ricevuto il ‘Premio Orphée d’Or’ da parte dell’Academie du disque lyrique
di Parigi, un ‘BBC Music Award’, il ‘Premio della Cultura’ della Repubblica di Slovenia.
122
Luciano Berio nel cortile dell’Accademia Chigiana di Siena
(Foto Lensini).
Lunedì 15 luglio
Chiesa di Sant’Agostino
ore 21.15
In occasione del terzo centenario della morte di Arcangelo Corelli
e del decimo anniversario della morte di Luciano Berio
Francesco D’Orazio
violino
Nicola Fiorino
violoncello
Arcangelo Corelli
Fusignano di Romagna 1653 - Roma 1713
Sonata in do magg. op. V n. 3 per violino e basso continuo
Allegro
Adagio
Allegro
Allegro
Luciano Berio
Oneglia 1925 - Roma 2003
124
Sequenza XIV per violoncello (2002)
Dai 34 Duetti per due violini
Bela / Peppino / Alfredo / Vinko / Aldo / Massimo / Alfred / Lele
Sequenza VIII per violino (1976)
Arcangelo Corelli
Sonata in re min. op. V n. 12 «La Follia» per violino e basso continuo
TRA VIRTUOSISMO E POLIFONIA...
I DIALOGHI DI CORELLI E BERIO CON GLI
STRUMENTI AD ARCO
Vincenzina Ottomano
Le Sonate a Violino e Violone o Cimbalo opus V di Arcangelo Corelli
rappresentano un caso unico della storia della musica barocca. Esse testimoniano il consolidarsi dell’idioma italiano nell’ambito del repertorio
strumentale e nello stesso tempo un successo duraturo, sorto già durante la
vita dell’autore e rimasto ininterrotto fino ai nostri giorni.
La datazione della prima edizione dell’opus V risale al «primo Gennaro 1700» come si legge nella lettera dedicatoria alla Serenissima Altezza
Elettorale Sofia Carlotta di Brandeburgo (Fig. 1), una data che segna non
solo lo spartiacque fra due secoli ma apre anche l’ultima e forse più significativa fase della vita compositiva di Corelli.
125
Fig. 1. Arcangelo Corelli, Sonate a Violino e Violone o Cimbalo opus V, Roma 1700.
Lettera dedicatoria a Sofia Carlotta di Brandeburgo.
Dopo gli studi all’Accademia di Bologna e la carriera a Roma dove
lavora presso prestigiosi mecenati quali Cristina di Svezia, il cardinale Benedetto Pamphilij e infine al servizio del prelato Ottoboni, il musicista
originario di Fusignano alla soglia del suo cinquantesimo compleanno
è all’apice della carriera musicale, riconosciuta in ambito internazionale
così come in quello italiano: ha una posizione di rilievo nella potentissima
«Congregazione dei Musici di Roma» – quella che nell’Ottocento verrà
ribattezzata Accademia di Santa Cecilia – come guardiano della sezione
strumenti e pochi anni più tardi, proprio per la fama acquisita con la pubblicazione delle Sonate opus V otterrà uno dei riconoscimenti più ambiti
per i musici dell’epoca, l’ammissione ufficiale in Arcadia, una delle più
prestigiose accademie letterarie del Settecento. Corelli è assunto nell’olimpo così selettivo di questa istituzione con il nome di Arcomelo, un appellativo che già di per sé lascia intuire il potere cantabile e la sua abilità sia
nell’uso dell’archetto che nel disegno melodico.1
La consapevolezza della maturità e la padronanza tecnica della scrittura per violino sono i due elementi chiave per la lettura delle Sonate, concepite nella consueta successione di dodici suites e organizzate in due parti.
Nella prima, a cui appartengono le Sonate dalla numero 1 alla 6, domina
lo stile grave, da chiesa come si usava dire al tempo, mentre la seconda –
dalla numero 7 alla 12 – porta la dicitura autografa di «Preludi Allemande»
in riferimento ai movimenti di danza (Corrente, Giga, Sarabanda, Gavotta
e Follia) che contraddistinguono il carattere di questa ultima sezione (Fig.
2).
126
Fig. 2. Arcangelo Corelli, Sonate a Violino e Violone o Cimbalo opus V, Roma 1700.
Frontespizio della Parte Seconda.
A differenza dell’impianto tradizionale dell’opera è nell’architettura
dei singoli movimenti e nella distribuzione delle parti che Corelli apporta
sostanziali innovazioni. Nelle prime sei sonate vi è l’aggiunta sistematica di un quinto tempo, solitamente un Allegro o un Vivace, rispetto alla
1
Massimo Privitera, Arcangelo Corelli, Palermo, L’Epos 2000, pp. 62-63.
scansione seicentesca in solo quattro movimenti, mentre la stessa suddivisione interna dimostra una dialettica significativa tra andamento ‘lento’ e
quello ‘veloce’. Nella Sonata in do maggiore n. 3, ad esempio, nell’Adagio
Corelli espone il materiale melodico, un tema semplice, immediatamente
riconoscibile ma allo stesso tempo pregnante e ben scandito ritmicamente.
All’Adagio segue l’Allegro in stile fugato a tre voci dove il violino dialoga
costantemente con la linea del basso che quindi abbandona la sua funzione
di supporto armonico per partecipare attivamente alla definizione polifonica della composizione. Il terzo tempo ritorna ancora in Adagio allargando il tema iniziale con note lunghe, abbellite da elementi virtuosistici
che espandono la liricità del violino. Gli ultimi due movimenti chiudono
la Sonata con due tempi in Allegro, quasi una ricapitolazione dei temi
apparsi precedentemente e rielaborati dapprima in figurazioni arpeggiate
di biscrome e poi rallentate nell’ostinato delle crome che ‘punteggiano’ le
corde di recita tra tonica e dominante.
Un caso del tutto particolare nella raccolta opus V è rappresentato
dalla Sonata n. 12, che riporta in partitura il titolo di Follia (Fig. 3).
127
Fig. 3. Arcangelo Corelli, Sonata opus V n. XII, Follia.
L’intera composizione si basa su un basso ostinato esposto integralmente nell’Adagio iniziale: una melodia di otto battute in tempo ternario.
Di origine portoghese, la Folía apparve per la prima volta nel 1577 nel trattato De musica libri septem di Francisco de Salinas e fin da subito ottenne
enorme successo presso compositori come Frescobaldi che l’impiegò nel suo
primo libro di toccate, Lully e ancora Scarlatti, fino all’Ottocento dove ritroviamo la melodia nel Totentanz di Liszt. Sul basso di Follia Corelli costruisce
un ciclo di variazioni che impegnano allo stesso modo violino e continuo,
che acquistano così pari dignità all’interno del discorso musicale.
Il principio di elaborazione e variazione si sviluppa con diverse tecniche all’interno della Sonata. Nell’Allegro, Corelli procede con una diminuzione costante dei valori musicali e con l’iterazione di cellule tematiche
minime, mentre nel successivo Vivace la linea melodica è frammentata tra
canto e basso fino a generare una linea ininterrotta di sincopi. L’ultima
variazione, al contrario riprende il dialogo fra le due parti intensificando
il discorso polifonico nella linea del violino in una fitta serie di bicordi e
tricordi. Questa volta è l’elemento virtuosistico a prendere il sopravvento e
chiudere il pezzo in una vera e propria follia esecutiva.
128
La ricerca di una nuova modalità di ascolto polifonico e il concetto
di virtuosismo sono i due aspetti che accomunano anche le Sequenze di
Luciano Berio. L’idea di comporre un ciclo di brani per strumento solista
ebbe inizio al volgere degli anni Cinquanta a seguito di una sollecitazione
del flautista Severino Gazzelloni che, in occasione di un recital alla Radio
di Colonia, chiese esplicitamente al compositore un pezzo per flauto solo,
capace di enfatizzare le potenzialità idiomatiche dello strumento e quelle
tecniche dell’esecutore. L’esperienza compositiva di Sequenza I aprì la strada
a un’esplorazione costante della natura dei singoli strumenti musicali e della
capacità espressiva dell’interprete. Dopo il sodalizio con Gazzelloni, infatti,
tutte le Sequenze successive nascono a misura di un esecutore specifico, come
ad esempio Sequenza III modellata sulle capacità vocali di Cathy Berberian,
Sequenza V per trombone, scritta per Stuart Dempster, o ancora Sequenza IX
per clarinetto, nata per Michel Arrignon.
Scritta nel 1976 e dedicata a Carlo Chiarappa, Sequenza VIII è un
omaggio, un «debito personale», come scrive lo stesso Berio, pagato al violino: all’idea musicale si unisce qui una dimensione storica, legata da un
lato al ricordo d’infanzia del compositore – che studia violino per qualche
anno e conserva per questo strumento un rapporto di grande attrazione – e
dall’altro a una storicità che abbraccia lo sviluppo musicale del linguaggio
violinistico da Bach fino alla contemporaneità, come precisa il compositore
nella sua nota d’autore:2
Se quasi tutte le altre mie Sequenze sviluppano all’estremo una scelta molto
ristretta di possibilità strumentali e di comportamenti del solista, Sequenza VIII
presenta un’immagine più globale e più storica dello strumento: essa può essere ascoltata come uno sviluppo di gesti strumentali. Sequenza VIII si appoggia
costantemente su due note (la e si) che, come in una ciaccona, costituiscono la
bussola nel percorso abbastanza diversificato ed elaborato del pezzo, in cui la
polifonia non è più virtuale ma reale e il solista deve sempre rendere consape2
Luciano Berio, Sequenza VIII, nota dell’autore, ora in http://www.lucianoberio.org/
node/1478?878941924=1.
vole l’ascoltatore della storia che sta dietro a ogni gesto strumentale. È così che
Sequenza VIII diventa anche, inevitabilmente, un omaggio a quel culmine musicale che è la Ciaccona della Partita in re minore di Johann Sebastian Bach, in
cui – storicamente – coesistono tecniche violinistiche passate, presenti e future.
L’omaggio a Bach è dunque presente nella stabilità armonica legata a
due note perno (la3 e si3) che determinano veri e propri «campi armonici»
dai quali prende vita l’intera narrazione compositiva. Il principio della variazione a partire da cellule minime costruisce un percorso musicale fatto
di gesti, riconducibili sia alla tecnica brillante della scrittura per violino
– indicazioni puntualmente riportate da Berio in partitura come il movimento delle arcate, l’impiego di una o più corde e l’esecuzione di accordi
di tre o quattro suoni – sia alla potenzialità virtuosistica dell’esecutore capace di esteriorizzare, quasi ‘teatralizzare’ la dimensione empatica con lo
strumento.
La scrittura, a partire dalla diade principale, raggiunge così una simultaneità di eventi che determina una struttura polifonica ‘ideale’: Berio
enfatizza sistematicamente, all’interno della parte del violino, almeno due
dei quattro parametri del suono (altezze, rapporti intervallari, dinamiche e
durate) per poi sovrapporre, iterare e sviluppare il tessuto sonoro (Es. 1).
129
Es. 1. Luciano Berio,“Sequenza VIII für Violine” © Copyright 1996
by Universal Edition A.G., Wien/UE 15990.
Dalla densità del suono che ricrea una esperienza d’ascolto a più voci,
gradualmente il discorso musicale si fa più rarefatto e il ‘cantabile’ della
linea del solista è interamente affidato alla maestria dell’interprete che in
pianissimo e con un tempo molto instabile, quasi improvvisando riconduce
simmetricamente la sezione finale del pezzo nuovamente sui suoni originari la3 e si3 (Es. 2).
130
Es. 2. Luciano Berio, “Sequenza VIII für Violine” © Copyright 1996
by Universal Edition A.G., Wien/UE 15990.
La riflessione sulla natura dello strumento e sulla sua evoluzione continua ad alimentare Sequenza XIV per violoncello scritta in collaborazione
con il musicista srilankese Rohan de Saram e ultima del ciclo per strumento solo composta da Berio nel 2002.
Come ricorda lo stesso de Saram, l’idea compositiva nacque grazie
all’interesse di Berio per la straordinaria ricchezza di strumenti ritmici dello Sri Lanka e in particolare per il tamburo di Kandy, l’antica capitale di
Ceylon:3
3
Rohan de Saram, Introduzione a Sequenza XIV, Universal Edition http://www.
universaledition.com/Luciano-Berio/composers-and-works/composer/54/work/2177/work_
introduction, traduzione italiana a cura di chi scrive.
Un aspetto del tamburo di Kandy che interessava particolarmente il Maestro
Berio era che esso produce quattro suoni, due per ogni estremità di questo
strumento di forma cilindrica. Era divertito dal constatare che dei due strumenti da me suonati, uno aveva quattro corde mentre l’altro aveva quattro
suoni percussivi! In seguito il Maestro Berio mi chiese di spedirgli delle registrazioni di ritmi del tamburo, insieme con la loro trascrizione in notazione
occidentale che io approntai per lui affinché potesse seguire i ritmi registrati
sul nastro.
L’assimilazione di differenti linguaggi musicali e il dialogo costante
tra tradizione occidentale e tradizione orientale sono presenti in Sequenza
XIV fin dalle battute iniziali: qui Berio esplora il potenziale percussivo del
violoncello evocando i moduli ritmici trascritti da de Saram – assimilati e
contrapposti in modo da generare durate variabili – e la pratica performativa e rituale del tamburo di Kandy.
In questa prima sezione, infatti, l’interprete abbandona l’archetto per un
contatto ‘fisico’ con lo strumento: la mano sinistra impegnata sulle corde,
quella destra sul corpo dello strumento (Es. 3).
131
Es. 3. Luciano Berio, “Sequenza XIV für Violoncello” © Copyright 2002
by Universal Edition A.G., Wien/UE 32914.
Il gesto si trasforma così in ‘teatro’, dove l’intenzione dell’esecutore
esterna un contatto diretto con lo strumento e dallo strumento arriva fino al
pubblico, come parte attiva della ritualità in atto sul palcoscenico.
Il dialogo costante tra melodia e densità armonica raggiunge il culmine
nella seconda parte del brano che contrappone, alla robusta ritmicità del
gesto percussivo, «un clima espressivo» più intimo dove le ampie arcate e
il portamento della linea melodica enfatizzano, questa volta, la dimensione
timbrica del violoncello che, nelle parole di Berio, «è uno dei pochi strumenti ad essere stati attraversati tanto profondamente e lungamente dalla storia
della musica».4
La tecnica dello strumento, la ricerca di ‘nuovi linguaggi’ e la dimensione didattica strettamente connessa all’esperienza violinistica ritornano come
motivi conduttori anche nella composizione dei 34 Duetti per due violini,
scritti da Berio tra il 1979 e il 1983.
L’occasione per questa collezione di ‘aforismi musicali’ si delinea nel
clima amichevole di una serata che il compositore passa in compagnia del
musicologo Lorenzo Pinzauti e del violinista Chiarappa: i tre discutono
della Scuola musicale di Fiesole – dove Pinzauti nel 1979 lavorava come
insegnante di violino – e soprattutto della difficoltà di tanti giovani musicisti ad entrare in contatto con i ‘nuovi linguaggi’ della musica e soprattutto a ‘sopportare’ sfiancanti ore studio sullo strumento:5
132
Con Berio parlai perciò della mia nuova esperienza di insegnante di violino e
in particolare di certe astuzie didattiche dei violinisti del Settecento che, consapevoli di quanto sia poco gratificante, specialmente all’inizio, lo studio di
uno strumento ad arco, ricorrevano nei loro Metodi all’espediente di scrivere
gli esercizi, da quelli sulle corde a vuoto per i principianti fino ai più complessi nelle posizioni alte, su due righi: uno per l’allievo e l’altro per il maestro che
suona pari passo con lui qualcosa di musicalmente più compiuto, dandogli
così l’illusione che anche la scala più faticosa e prevedibile possa trasformarsi
in un pezzo di musica.
Questo orientamento settecentesco aveva trovato naturale continuazione nei duetti di Béla Bartók, ultimo compositore a scrivere, con intenti
pedagogici, una serie di brevissimi capolavori nei quali il discorso musicale
coniugasse perfettamente la progressiva difficoltà tecnica alla sostanziale
dissoluzione del linguaggio tonale. La provocazione di Pinzauti è colta immediatamente da Berio che, la notte stessa di quel 10 novembre 1979,
incomincia a scrivere i ‘suoi’ Duetti per due violini intitolandone il primo
proprio con il nome del maestro ungherese.
La curiosità didattica e la freschezza dell’idea compositiva rimangono legate alle circostanze ‘familiari’ che videro la nascita di questi pezzi.
4
Luciano Berio, Sequenza XIV, nota dell’autore, ora in http://www.lucianoberio.org/
node/1490?361915791=1.
5
Lorenzo Pinzauti, I “Duetti” per due violini, in Sequenze per Luciano Berio, a cura di Enzo
Restagno, Milano, Ricordi BMG 2000, pp. 210-211.
Ragioni nascoste e occasioni personali, come specifica lo stesso Berio, che
per ogni Duetto dipingono quasi un ritratto o un ricordo del dedicatario:6
In BRUNO (Maderna), per esempio, c’è il ricordo delle musiche «funzionali»
che si componevano assieme negli anni Cinquanta; MAJA (Pliseckaja), russa,
dà il nome alla trasformazione di una canzone russa, mentre ALDO (Bennici), siciliano, dà il nome a una vera e propria canzone siciliana; con PIERRE
(Boulez), scritto in occasione di una serata d’addio, sviluppo un frammento
di ...Explosante-fixe...; GIORGIO FEDERICO (Ghedini) è un ricordo dei
miei anni di conservatorio. E così via… Questi Duetti sono per me un equivalente di quello che i vers de circonstance erano per Mallarmé: non sono cioè
legati da ragioni musicali ma, piuttosto, dal tenue filo delle circostanze.
Accanto all’omaggio e al pensiero per una persona cara predomina
nei Duetti il fascino per le possibilità esecutive offerte dallo strumento ad
arco, sviluppate gradualmente nelle due sezioni di ciascuna composizione.
Ogni duetto, di durata estremamente variabile e comunque non più lungo
di quattro minuti, esplora un problema tecnico specifico legato allo strumento – come la posizione dell’archetto, l’esecuzione di bicordi o ancora il
livello espressivo del timbro che crea situazioni stilistiche differenti, a volte
estremamente semplice, a volte oltremodo complesse.
Un caleidoscopio che attraversa il suono in se stesso, lo strumento che
lo produce, il musicista che impara ad ascoltarlo e interpretarlo. Un diario
in diverse tappe che racconta con una possibilità infinita di soluzioni quello che Berio chiamò il suo «folklore privato».
133
Carlo Chiarappa e Luciano Berio, Ravenna, luglio 1988,
foto di Giorgio Biserni ©.
6
Luciano Berio, Duetti per due violini, nota dell’autore, ora in http://www.lucianoberio.org/
node/1370?1300602058=1.
Brani di Luciano Berio eseguiti all’Accademia Musicale Chigiana
Agnus (1971)
24 luglio 1995
Interpreti: London Sinfonietta Voices, Terry Edwards direttore
A-Ronne (1974 / 1975), documentario musicale per cinque attori su una poesia di
Edoardo Sanguineti
21/22 luglio 1995, Teatrino di Palazzo Chigi Saracini
Interpreti: Burattini di Amy Luckenbach
Novità assoluta
Brin (1990); Leaf (1990), Erdenklavier (1965), Wasserklavier, Luftklavier (1985),
Feuerklavier (1989), da Encores (1965-1990)
14 luglio 2005
Interprete: Andrea Lucchesini pianoforte
20 luglio 1972
Interprete: Antonio Ballista (Wasserklavier)
Call (Fanfara per Siena)
8 giugno 1991
Interpreti: Quintetto di ottoni dell’Orchestra Giovanile Italiana
Canticum Novissimi Testamenti II (1989), testo di Edoardo Sanguineti
Interpreti: London Sinfonietta Voices, Quartetto Claude Debussy, Eclettico Ensemble,
Luciano Berio direttore
134
Chemin II
11 luglio 1996
Interpreti: Ensemble Intercontemporain, Pierre Boulez direttore, Christophe Desjardins
viola
Cries of London (1976)
24 luglio 1995
Interpreti: London Sinfonietta Voices, Terry Edwards direttore
Différences
28 agosto 1970
Interpreti: London Sinfonietta, Luciano Berio direttore
29 agosto 1980
Interpreti: Ensemble Intercontemporain, Peter Eötvös direttore, Luciano Berio regia del suono
Tre Duetti per due violini: Peppino (1979), Aldo (1981), Lele (1983)
16 luglio 2003
Interpreti: Carlo Chiarappa violino, Dominique Chiarappa-Zryd violino
Folk songs (1964)
28 agosto 1970
Interpreti: Cathy Berberian, London Sinfonietta, Luciano Berio direttore
15 luglio 2000
Interpreti: Monica Bacelli, Ensemble Novecento e oltre, Antonio Ballista pianoforte
solista e direttore
Lied (1983)
7 agosto 1985
Interprete: Antonio Garbarino clarinetto
Linea per due pianoforti e percussioni
26 novembre 1999
Interpreti: Andrea Lucchesini e Pietro De Maria duo pianistico, Maurizio Ben Omar e
Andrea Dulbecco percussioni
Melodrama da Opera
27 agosto 1970
Interpreti: London Sinfonietta, Luciano Berio direttore
Prima esecuzione europea
Naturale per viola, percussioni e nastro magnetico
8 giugno 1991
Interpreti: Aldo Bennici viola, Giovanni Tamborrino percussione, Tempo Reale nastro
magnetico
6 luglio 2002
Interpreti: Kim Kashkashian viola, Robyn Schulkovsky percussioni
Opus Number Zoo (1951; revis. 1970)
29 agosto 1983
Interprete: Musicus Concentus
20 agosto 2003
Interprete: Quintetto Bibiena
Quattro Elementi
5 marzo 1993
Interprete: Andrea Lucchesini pianoforte
Rendering (1989-1990)
19 luglio 2001
Interpreti: Camerata Strumentale Città di Prato, Alessandro Pinzauti direttore
135
Requies (Frammento) (1984)
18 luglio 2003
Interpreti: Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Gary Bertini direttore
Ricorrenze
18 febbraio 1994
Interprete: Quintetto Arnold
23 marzo 2007
Interprete: Quintetto Bibiena
Ritorno degli Snovidenia
20 luglio 1991
Interpreti: Ensemble Intercontemporain, Pierre Boulez direttore, Jean-Guiheu Queyras
violoncello
Rounds (1967)
14 luglio 2005
Interprete: Andrea Lucchesini pianoforte
Sequenza I per flauto solo
3 marzo 1989
Interprete: Roberto Fabbriciani
22 agosto 2003
Interprete: Patrick Gallois
Sequenza II per arpa
24 agosto 2005
Interprete: Fabrice Pierre
136
Sequenza III per voce sola
28 agosto 1970
Interprete: Cathy Berberian
8 giugno 1991
Interprete: Giovanni Tamborrino
Sequenza IV (1966) per pianoforte
29 agosto 1971
Interprete: C.R. Alsina
14 luglio 2005
Interprete: Andrea Lucchesini
Sequenza VI per viola sola
28 gennaio 1977
Interprete: Aldo Bennici
30 luglio 1985
Interprete: Gérard Caussé
Sequenza VIII per violino
27 agosto 1977
Interprete: Carlo Chiarappa
Prima esecuzione italiana
Sequenza IX per clarinetto
29 agosto 1980
Interprete: Michael Arrignon
Prima esecuzione italiana
9 agosto 1984
Interprete: Giuseppe Garbarino
10 agosto 1997
Interprete: Antony Pay
6 agosto 2003
Interprete: Antony Pay
Sequenza X per tromba in do e pianoforte (Risonanza) (1985)
18 luglio 1998
Interpreti: Håkan Hardenberger tromba, Folco Vichi pianoforte
Sequenza XI per chitarra
28 agosto 2002
Interprete: Eliot Fisk
Sequenza XV per violoncello
27 luglio 2004
Interprete: Rohan De Saram
Sinfonia per otto voci e orchestra, testi di Claude Lévi-Strauss e Samuel Beckett
14 luglio 2007
Interpreti: Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Antonio Pappano
direttore, The Swingle Singers
Sonata (2001) per pianoforte
18 luglio 2001
Interprete: Andrea Lucchesini
Prima esecuzione italiana
Thema per nastro magnetico
28 agosto 1970
Interpreti: London Sinfonietta, Luciano Berio direttore
137
138
FRANCESCO D’ORAZIO
«Violinista brillante e versatile ha messo le
sue qualità tecniche e musicali al servizio di un’eccezionale poliedricità, imponendosi come punto
di riferimento nella musica contemporanea, nella
collaborazione con compositori come Luciano Berio, Ivan Fedele e numerosi altri (con molte prime
assolute), non meno che in repertori del tutto diversi, in particolare in quello barocco, come solista
e violinista dell’Ensemble Astrée di Torino». Con
questa motivazione, nel 2010, Francesco D’Orazio è stato insignito del XXIX Premio Abbiati
della Critica Musicale Italiana quale Miglior Solista, primo violinista italiano a ricevere questo
prestigioso riconoscimento dopo Salvatore Accardo nel 1985.
Nato a Bari, si è diplomato in violino e viola sotto la guida del padre, perfezionandosi con Carlo Chiarappa e Cristiano Rossi e successivamente con Denes Zsigmondy presso il Mozarteum di Salisburgo e Yair Kless presso
l’Accademia Rubin di Tel Aviv. Si è laureato in lettere con una tesi in storia della musica sul
compositore Virgilio Mortari.
Il suo vasto repertorio spazia dalla musica antica eseguita con strumenti originali
(è il violinista dell’ensemble L’Astrée di Torino) alla musica classica, romantica e contemporanea. Numerosi compositori hanno scritto per lui lavori per violino e orchestra: Ivan
Fedele (Mosaique e Orizzonte di Elettra per violino elettrico 5 corde), Terry Riley (Zephir),
Marco Betta, Michele dall’Ongaro (Hauptstimme), Michael Nyman (Concerto n. 2 e 2a),
Raffaele Bellafronte, Lorenzo Ferrero, Gilberto Bosco, Fabian Panisello, Flavio Emilio Scogna, Nicola Campogrande. Luis de Pablo gli ha dedicato il brano violinistico Per Violino.
Di particolare rilievo è stata la sua lunga collaborazione con Luciano Berio, del quale ha
eseguito Divertimento per trio d’archi in prima mondiale al Festival di Strasburgo, e inoltre
Sequenza VIII al Festival di Salisburgo e Corale per violino e orchestra alla Cité de la Musique a Parigi e all’Auditorium Nacional de Musica di Madrid diretto dall’autore. Ha tenuto
le prime esecuzioni italiane dei concerti per violino e orchestra di molti autori contemporanei. Nel 2007 ha inaugurato la 51a Biennale Musica di Venezia con le prime assolute del
Secondo Concerto per violino e orchestra e della Suite The Libertine di Michael Nyman con
l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
Ha tenuto concerti in tutta Europa, Nord e Sud America, Messico, Cina e Giappone ed effettuato registrazioni discografiche per Decca, Opus 111, Hyperion, Stradivarius,
AVI, Stradivarius e Amadeus.
È stato ospite di prestigiose istituzioni musicali di tutto il mondo. Nel 2011, diretto
da Lorin Maazel, ha tenuto a Washington il concerto celebrativo in USA per i 150 anni
dell’Unità d’Italia suonando per l’occasione lo Stradivari 1727 dello stesso Maazel.
Ha tenuto concerti con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, l’Orchestra Sinfonica Nazionale d’Ile de France, i Berliner Symphoniker, la NRO di Denver, la OFUNAM
e l’Orchestra Filarmonica di Città del Messico, la Filarmonica di Timisoara, la Regionale
Toscana, la Saarlandischer Rundfunk, l’Orchestra Filarmonica di Shangai, l’Orchestra Filarmonica di Nagoya, l’Orchestra Filarmonica di Torino, l’Orchestra Sinfonica Siciliana,
l’Orchestra da Camera Reina Sofia di Madrid, l’Academia Montis Regalis, l’Accademia
Bizantina, la Manitoba Chamber Orchestra, i Solisti Aquilani diretto tra gli altri da Boris Brott, Aaron Jay Kernis, Michael Nyman, Steven Mercurio, Zuohuang Chen, Daniel
Kawka, Hansjörg Schellenberger, Luciano Berio e Arturo Tamayo.
Suona il violino Comte de Cabriac di Giuseppe Guarneri costruito a Cremona nel 1711.
NICOLA FIORINO
Nato ad Altamura, ha intrapreso lo studio
del violoncello con Gianlorenzo Sarno. È stato
invitato in seguito da Rocco Filippini a studiare
nella sua classe presso il Conservatorio di Milano, dove si è diplomato. Ha poi frequentato l’Accademia Stauffer a Cremona e i corsi di Antonio
Janigro e Mario Brunello a Brescia, oltre a numerosi altri corsi di perfezionamento. All’estero
ha proseguito gli studi sotto la guida di Marzio
Carneiro presso la Musikhochschule di Detmold
diplomandosi con il massimo dei voti, e con Johannes Goritzki alla Musikhochschule di Düsseldorf dove nel 1996 ha conseguito il Diploma
da Solista.
Gli anni trascorsi in Germania sono stati
caratterizzati da una intensa attività musicale decisiva per l’evoluzione dei suoi approfondimenti stilistici grazie al contatto con la tradizione
musicale mitteleuropea e alla collaborazione con straordinari musicisti provenienti da ogni
parte del mondo. È titolare della cattedra di violoncello presso il Conservatorio di Bari.
Nel 2005 ha ottenuto il Premio Abbiati come componente dell’ensemble I Solisti
Dauni. Ha riscosso ampio successo in Italia, Germania, Francia, Svizzera e Russia, in un
vasto repertorio solistico e da camera. Ha ricevuto entusiastici consensi collaborando con
prestigiosi compositori contemporanei del calibro di Kaija Saariaho, Fabio Vacchi, Marco
Stroppa, Alessandro Solbiati e Michele Dall’Ongaro per l’esecuzione di loro opere per violoncello solo e con Ivan Fedele e Toshio Hosokawa per la musica da camera.
139
Christofer Schor, Festa in Piazza di Spagna, Roma, 1687. La grande orchestra è probabilmente
diretta al violino da Corelli.
Giuseppe Verdi ritratto da Giovanni Boldini
(Milano, Casa di riposo per musicisti G. Verdi).
Mercoledì 17 luglio
Chiesa di Sant’Agostino
ore 21.15
Toru Takemitsu
Tokyo 1930 - 1996
Rocking Mirror Daybreak per due violini
da poesie di Makoto Ooka e Thomas Fitzsimmons (1983)
I Autumn
II Passing Bird
III In the Shadow
IV Rocking Mirror
GIUSEPPE VERDI
Roncole di Busseto, Parma 1813 - Milano 1901
Quartetto per archi in mi min.
Allegro
Andantino
Prestissimo
Scherzo Fuga (Allegro assai mosso)
***
142
JOHANNES BRAHMS
Amburgo 1833 - Vienna 1897
Quintetto per clarinetto e archi in si min. op. 115
Allegretto
Adagio
Andantino, Presto non assai, ma con sentimento
Finale (Con moto)
Mahler Chamber Soloists
Henja Semmler
violino
Sonja Starke
violino
Anna Puig Torné
Antoaneta Emanuilova
Olivier Patey
viola
violoncello
clarinetto
143
TAKEMITSU, VERDI, BRAHMS
Francesco Ermini Polacci
144
Toru Takemitsu
Toru Takemitsu è considerato uno dei principali compositori giapponesi contemporanei. La sua formazione musicale avvenne sostanzialmente
da autodidatta, e all’inizio si basò su una vorace esperienza di ascolti (dalla
musica occidentale, conosciuta grazie alla radio americana, al jazz, apprezzato sui dischi del padre); in seguito il suo gusto subì anche gli influssi della
musica francese, di Debussy e Messiaen in particolare. Con il Requiem per
orchestra d’archi (1957), uno dei primi lavori più significativi, Takemitsu
ricevette gli elogi di Igor Stravinskij e vide avviarsi la sua carriera internazionale. Col tempo avrebbe maturato uno stile personalissimo, per lo più
incentrato sulla valorizzazione dell’elemento timbrico in sé, e dove la sua
concezione segue parallelamente lo stile occidentale – per lui quasi imprescindibile – e quello orientale: senza però mai combinarli in un’unica alchimia, ma seguendone i percorsi nel nome di una visione musicale ad ampio
raggio. Infatti, contrariamente a quello che si potrebbe in un primo tempo
pensare, Takemitsu non si è mai fatto testimone esclusivo del linguaggio
della tradizione musicale giapponese, pur avendone talvolta utilizzato gli
strumenti tipici (ma secondo i canoni occidentali): quella cultura è nella sua opera presente più che altro
come una filosofia, uno stato d’animo per il quale il silenzio ha pari
importanza del suono e la libertà,
non le strutture, regola il fluire della
musica. Non meraviglierà allora che
uno dei motivi ispiratori dell’arte di
Takemitsu sia la Natura, non certo
intesa come patrimonio di suggerimenti meramente illustrativi ma
come forza vitale, dotata di una sua
fisicità sonora. Un tema da tenere
presente anche in una breve pagina come Rocking Mirror Daybreak,
scritta per le sorelle violiniste di oriToru Takemitsu.
gini armene Ida e Ani Kavafian, che l’hanno eseguita per la prima volta
il 17 novembre 1983, alla Carnegie Hall di New York. Una partitura che
deve il suo nome all’omonima raccolta di liriche curata da Makoto Ooka
e Thomas Fitzsimmons, poeti e studiosi di letteratura giapponese coetanei
di Takemitsu. Ciascuno dei quattro rapidi movimenti in cui è articolata
prende il nome dall’incipit del testo poetico ispiratore, e Takemitsu allude
alle immagini naturali evocate (come l’autunno o il passaggio di un uccello) affidando alle voci dei due violini scale di otto e cinque suoni, silenzi
eloquenti, sonorità ben tangibili eppur sospese e misteriose, che paiono
rifrangersi in quello specchio chiamato in causa dal titolo di questa suggestiva composizione.
Giuseppe Verdi
L’unico e solo lavoro strumentale da camera non venne scritto da Giuseppe Verdi negli anni giovanili, come pagina dimostrativa di una sapienza
compositiva maturata attraverso un rigoroso studio, come saggio di un
genere poi abbandonato a favore di un percorso artistico indirizzato esclusivamente verso il mondo dell’opera. Il Quartetto per archi in mi minore
venne da lui composto a sessant’anni compiuti, nella primavera del 1873.
All’epoca Verdi si trovava a Napoli, per seguire al Teatro San Carlo la prima
ripresa di Aida, l’ultima opera allora scritta, tenuta trionfalmente a battesimo al Cairo nel 1871 e presentata con successo anche alla Scala di Milano,
l’anno subito dopo. Fra una prova e l’altra dell’Aida napoletana, Verdi si
dedicò alla scrittura di un quartetto per archi, che poi presentò a sorpresa a
un ristretto gruppo di amici, riuniti, con la scusa di un ricevimento, in una
sala dell’albergo delle Crocelle (poi divenuto il noto Hotel Hassler), dove
il maestro alloggiava: il 1 aprile di quello stesso 1873, quell’uditorio privilegiato poté così accogliere con particolare ammirazione e stupore il nuovo
Quartetto di Verdi, suonato nell’occasione da alcune prime parti dell’Orchestra del Teatro San Carlo. Nel 1876, il Quartetto avrebbe conosciuto la
sua prima stampa, per Ricordi, e avrebbe iniziato a circolare nei maggiori
centri musicali d’Europa, fra l’altro con un particolare successo. E questo
nonostante Verdi avesse più volte dichiarato un certo distacco nel parlare
di quel lavoro, scritto, diceva, quasi come una sorta di passatempo, e che
inizialmente non voleva neppure render noto. Ma poi la fortuna che iniziò
ad arridere al Quartetto gli fece tirar definitivamente fuori quell’orgoglio in
fondo malcelato («Se il Quartetto sia bello o brutto non so... so però che è
un quartetto!», aveva scritto all’amico Opprandino Arrivabene, il 13 aprile
145
146
1873), a riconoscere apertamente
la validità artistica innegabile di
quel suo ‘figlio minore’, del quale
iniziò anche ad autorizzare l’esecuzione a parti raddoppiate, ossia per
orchestra d’archi. In realtà, dietro
quel continuo schernirsi, Verdi nascondeva il timore che il suo Quartetto non potesse venir compreso:
dedicarsi ad un quartetto per archi
significava confrontarsi con il genere musicale più alto, e segnatamente con quella tradizione esemplare
rappresentata da Haydn, Mozart,
Beethoven, Schubert. Sulla carta,
Giuseppe Verdi.
appariva poco credibile che un italiano, che per di più aveva sempre
battuto il terreno del melodramma, potesse uscire vittorioso da quel temibile raffronto. Verdi però alla
fine ci riuscì, percorrendo in maniera personale una strada dove il rigore e
la coerenza formale del quartetto per archi si sposano a tinte di gusto operistico e raffinatezze strumentali, e consegnando alla storia un capolavoro.
Alla fine, si trattò per lui anche di una piccola rivincita, soprattutto contro
quei critici di formazione e gusto austro-tedeschi che lo accusavano ripetutamente di non saper scrivere musica puramente strumentale, di ignorare
le regole del contrappunto, di essersi asservito al solo melodramma, genere
ormai in decadenza: scrivere un quartetto significò, insomma, vincere su
quello stesso campo in cui era comune proclamare un’egemonia tedesca, e
dimostrare che la musica italiana non era fatta soltanto di opere.
Quattro sono i movimenti, come quelli canonici di un classico quartetto per archi. L’Allegro iniziale soddisfa le regole della tradizionale forma
sonata, con un primo motivo incalzante e sinuoso, e un secondo più meditativo e dolce: sono idee contrastanti e d’impronta operistica, che vengono
sottoposte, secondo le regole, a un denso sviluppo contrappuntistico, infine suggellato da un’energica coda conclusiva. Il secondo tempo (Andantino) si presenta in una forma originale: è una sorta di mazurka dal passo
leggero, un po’ svagata e anche ironica, che può richiamare alla mente
l’ambiente della corte mantovana di Rigoletto. A pervaderla è però un’aura
malinconica, che talvolta si accende di quella concitazione drammatica
che ha già segnato il primo movimento. Un’impetuosa e virile baldanza,
degna delle più celebri pagine del Trovatore, caratterizza invece il successivo Prestissimo. Un piglio che, nell’episodio centrale, lascia il posto ad un
disteso cantabile del violoncello solo, motivo affascinante che si dispiega
su un tappeto di pizzicati nello spirito di una romanza d’opera. Sorprende,
infine, il conclusivo Scherzo-Fuga: non tanto per l’uso in sé dei principi rigorosi del contrappunto (cari, ad esempio, al Beethoven degli ultimi Quartetti), quanto per l’inusuale concezione di un movimento in tempo rapido
governato da quelle leggi, in un gioco continuo di brillantezza e severità.
Gioco portato avanti con mano abilissima e raffinata, lontano dagli esiti
trascendentali di Beethoven, e invece risolto in una dimensione terrena di
piacevole, estrosa disinvoltura. Una fuga, come quella che accoglierà poi il
sorriso disincantato del vecchio Verdi nella conclusione di Falstaff.
Johannes Brahms
Il Quintetto per clarinetto in si minore op. 115 rappresenta il momento più alto della matura produzione cameristica di Johannes Brahms.
Quando lo compone, nell’estate del 1891, Brahms ha ormai lasciato alle
spalle le polemiche anti-wagneriane, ma l’affermarsi impetuoso dei poemi
sinfonici straussiani lo ha ormai reso consapevole della sua estraneità ai
nuovi valori estetici della cultura musicale tedesca di quel fin de siècle; la
147
La sala della musica nell’appartamento viennese di Brahms. Sulla parete sono
appesi tra gli altri un ritratto di Cherubini e un busto di Beethoven.
148
certezza della fine di un’epoca si unisce ad un sentore di morte. Casi della
vita e situazione storica lo portano così ad accentuare la posizione connaturata di custode dei valori della tradizione, e a riscoprire gli aspetti più
squisitamente artigianali della creazione musicale. È difatti la conoscenza
e la frequentazione di un esecutore dalle eccezionali qualità a stimolare
l’estro creativo di Brahms: il clarinettista Richard von Mühlfeld, ottimo
concertista e primo clarinettista dell’Orchestra di Meiningen, la stessa che
di Brahms aveva tenuto a battesimo la Quarta Sinfonia (1885). Ma non
va certo dimenticata la personale predilezione che Brahms aveva per il clarinetto, strumento da lui particolarmente amato per il timbro discreto e
notturno. Concepito non a caso assieme al Trio per pianoforte, clarinetto
e violoncello op. 114, un altro capolavoro di quegli ultimi anni, il Quintetto in si minore è una pagina dove pare stendersi l’ombra cupa e presaga
della fine: con il clarinetto incaricato di dar voce alla languida eppur nobile
malinconia che ormai domina lo spirito del compositore, unito ai quattro
archi per riproporre il fascino timbrico carico di fascino che già Mozart
aveva individuato, quasi un secolo prima, nel Quintetto K 481. Già il
primo struggente tema dell’Allegro, accennato agli archi e subito sviluppato dal clarinetto in distese e quasi visionarie volute, risuona come una
sorta di confessione rassegnata eppur dolcissima; ad esso si contrappone
un’altra idea dal tono più drammatico, ma in realtà è proprio quel primo
motivo a far da pietra angolare all’intero movimento e a tutta la composizione, perché ogni frammento viene rielaborato di continuo come spunto
per i successivi sviluppi. L’Adagio successivo si apre alla luce soffusa del
si maggiore, in un’atmosfera di sognante e crepuscolare dolcezza, con un
episodio centrale dove il solista segue percorsi inquieti e intona cadenze
dagli accenti malinconici quanto fantastici. L’Andantino è un momento
di gioviale discorsività, classicamente composto, con un momento centrale
(Presto non assai) dai toni fantastici e quasi spiritati. Il Finale (Con moto)
è un omaggio di Brahms alla forma tanto cara della variazione, principio
costruttivo fondamentale in tante sue composizioni. Un tema di austera
semplicità, quasi un corale, che si riflette in una serie ininterrotta di cinque
diverse elaborazioni, dal carattere ora severo, ora fremente, ora sbigottito,
ora soave, ora di estatica dolcezza. Fino a quando, e in modo del tutto
inaspettato, agli archi riaffiora, con fare esitante, il tema principale ascoltato nel primo movimento: sommesso, riecheggiato in maniera mesta dal
clarinetto, suggella questo capolavoro di Brahms con i sospiri malinconici
di un incerto e dolente congedo.
MAHLER CHAMBER SOLOISTS
I musicisti della Mahler Chamber Orchestra (MCO) si esibiscono regolarmente
all’interno di ensemble cameristici più ristretti. Grazie alla musica da camera, tali artisti
hanno la possibilità di potenziare le proprie qualità musicali, elemento fondamentale da
cui di riflesso trae giovamento anche l’Orchestra. Questo tipo di format ristretto e flessibile consente anche di sperimentare repertori, nuove modalità di concerti e sale, andando
ad arricchire l’identità dell’Orchestra. Tutti gli ensemble musicali della MCO si esibiscono con il nome di ‘Mahler Chamber Soloists’.
I Mahler Chamber Soloists si esibiscono sui palcoscenici più prestigiosi del mondo: sale da concerti, teatri, spazi all’aperto per musica Klezmer, in locali al fianco di DJ
o in musei ad accompagnare le installazioni in esposizione. Nella città di Ferrara, in cui
la MCO è orchestra ‘residente’, i Soloists si esibiscono in una serie di concerti al Jazz
Club Ferrara. A Berlino l’attività musicale della MCO ha portato a collaborazioni regolari con l’associazione culturale Radialsystem V e con la compagnia di danza Sasha Waltz
& Guests. I Soloists sono stati protagonisti di tournée in Italia, Germania e due volte in
India. Nel 2012, attività educative e di solidarietà hanno fatto da corollario alla prima
tournée indiana. La seconda, nel 2013, è stata coprodotta con la compagnia Sasha Waltz
& Guests.
Durante i suoi quindici anni di attività, la Mahler Chamber Orchestra è diventata
uno degli ensemble più interessanti dal punto di vista artistico e di maggior successo
all’interno del panorama musicale internazionale. La MCO è titolare di ‘residenze’ in
diversi Paesi europei ed è protagonista di tournée in tutto il mondo, con una media di
circa duecento concerti all’anno. Durante la stagione 2012/2013 l’Orchestra si esibisce in
tredici Paesi europei, in Giappone e in Australia, con apparizioni nelle città più importanti d’Europa e in festival prestigiosi quali il Musikfest di Berlino, il Festival Musicale
Internazionale Primavera di Praga e il Festival di Salisburgo. L’Orchestra è titolare di ‘residenze’ nelle città di Ferrara (Italia), nel Nord Reno-Vestfalia (‘residenza’ che include le
città tedesche di Dortmund, Essen e Colonia) e al Festival di Lucerna, in cui ogni estate
la MCO costituisce la parte principale dell’Orchestra del Festival di Lucerna.
149
Nella primavera del 2011 la MCO ha ricevuto il titolo di Ambasciatore Culturale
dell’Unione Europea. L’Orchestra sta dimostrando un crescente impegno sociale tramite
la MCO Academy e il programma socio-educativo MCO Landings. Daniel Harding,
insieme al direttore d’orchestra fondatore Claudio Abbado, ha avuto una notevole importanza nel processo evolutivo della MCO.
Nel 2011 l’Orchestra ha deciso di conferirgli a vita il titolo di Direttore onorario.
Il pianista norvegese Leif Ove Andsnes può vantare un rapporto speciale con l’Orchestra.
Dal 2012 infatti è Partner artistico dell’Orchestra. La MCO ha realizzato registrazioni di
successo con prestigiose etichette discografiche, tra cui Sony Classical, Decca e Deutsche
Grammophon.
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Giuseppe Tivoli, Ritratto di Richard Wagner, 1883 (Bologna, Civico Museo Bibliografico
Musicale).
Giovedì 18 luglio
Teatro dei Rinnovati
ore 21.15
MAHLER CHAMBER ORCHESTRA
DANIEL HARDING
direttore
Paul Lewis
pianoforte
JEAN SIBELIUS
Hämeenlinna 1865 - Järvenpää 1957
Sinfonia n. 7 in do magg op. 105
Adagio, Un pochettino meno adagio, Vivacissimo, Adagio,
Allegro molto moderato, Vivace, Presto
WOLFGANG AMADEUS MOZART
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Salisburgo 1756 - Vienna 1791
Concerto n. 25 in do magg. per pianoforte e orchestra K 503
Allegro maestoso
Andante
Allegretto
***
RICHARD WAGNER
Lipsia 1813 - Venezia 1883
Idillio di Sigfrido
ROBERT SCHUMANN
Zwickau, Sassonia 1810 - Endenich, Bonn 1856
Sinfonia n. 2 in si bem. magg. op. 61
Largo, Allegro vivace
Andante
Minuetto
Presto vivace
Concerto realizzato
con il contributo della
Banca
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LE TANTE FACCE DEL DO MAGGIORE
Marina Vaccarini
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«All’inizio era il Verbo»
C’è un aspetto unificante nel programma di questo concerto: fatta
eccezione per l’Idillio di Sigfrido di Wagner, tutti i brani sono in do maggiore; coincidenza significativa per un primo orientamento all’ascolto. Do
maggiore è la tonalità con tutti i tasti bianchi, la prima base per lo studio
della musica, il modello su cui costruire le successive trasposizioni. Nel
1784, tra le inquietudini dello Sturm und Drang e due anni prima che
Mozart componesse il suo Concerto per pianoforte K 503, il poeta e compositore tedesco Christian Friedrich Daniel Schubart nel suo saggio Ideen
zu einer Ästhetik der Tonkunst (Idee per un’estetica della musica, pubblicato postumo, Vienna 1806) associava al do maggiore sentimenti di «innocenza, semplicità, naturalezza, voce di fanciullo». E se Schumann sceglie
questa tonalità per imprimere un senso di sicurezza e di solidità alla sua
Sinfonia op. 61, Charles Gounod, in pieno Ottocento, sosteneva che «solo
Dio compone in do maggiore». Sulle estreme propaggini di questa concezione ultraterrena si inquadra la grande visione panteistica in do maggiore
dell’ultima sinfonia di Sibelius, quanto mai ‘inattuale’ in tempi in cui si
riteneva che la fonte della tonalità fosse ormai inaridita e che non avesse
più nulla da offrire («la fine dell’era classica» è l’accordo di do che chiude
la Sinfonia secondo il direttore d’orchestra Sir Colin Davis). A prima vista
l’immagine di autorevolezza divina sembrerebbe antitetica a quella disarmante del linguaggio infantile. Tuttavia, entrambe le posizioni potrebbero
sottintendere un’idea di ‘inizio’ – in do maggiore, appunto – che si traduce
in purezza originaria in Mozart, in rinascita fisica e psichica in Schumann,
in richiamo alla vita di forze spirituali in Sibelius. In ogni caso da questa
tonalità resta escluso l’‘uomo’: o lo precede o lo oltrepassa. Può comunicare
l’innocenza, l’infanzia, la preghiera; può supportare la grandezza e l’apoteosi; ma solo raramente può narrare l’emozione di intime confessioni.
Può elevarsi fino alla trascendenza ma solo raramente scende a patti con le
umane passioni dell’anima.
Sibelius in «lotta con Dio»
L’immagine di Sibelius che la critica musicale ci aveva tramandato fino a tempi relativamente recenti era quella di un compositore informato sugli sviluppi della musica europea per
formazione e per frequentazione diretta ma,
per scelta e cultura, isolato e indissolubilmente
legato alla Finlandia e al suo folklore; discutibile per certi aspetti e, comunque, estraneo ai
grandi movimenti di rinnovamento novecenteschi. Studi più approfonditi e focalizzati su
alcuni generi della sua produzione hanno permesso di evidenziare l’alto livello di originalità
e di innovazione presente nelle sue sinfonie,
Jean Sibelius.
per il trattamento della forma, per il caratteristico idioma armonico e melodico, per la ricchezza dell’orchestrazione, per
la profondità dell’ispirazione e per la loro singolarità.
La Settima Sinfonia op. 105 si colloca cronologicamente tra le ultime
composizioni (una progettata Ottava Sinfonia non fu mai completata).
La sua creazione fu piuttosto elaborata e la forma breve, concisa, in un
solo movimento, è frutto di una serie di ripensamenti. In una lettera del
20 maggio 1918 all’amico Axel Carpelan, Sibelius la descrive come «gioia
di vivere e vitalità con sezioni appassionato. In tre movimenti; l’ultimo dei
quali è un ‘rondò ellenico’». Un paio d’anni dopo, l’autografo mostra il
primo mutamento d’indirizzo: quattro movimenti e sol minore come tonalità d’impianto. Dal secondo movimento di questo abbozzo, un Adagio
in do maggiore, Sibelius ricavò in seguito la maggior parte del materiale,
mentre alcune sezioni in tempo veloce derivano dal finale, probabilmente
il progettato ‘rondò ellenico’. Le prime testimonianze di una sinfonia in un
solo movimento risalgono al 1923. Attorno a questa idea Sibelius lavorò
durante l’estate senza tuttavia arrivare a una conclusione. Riprese il lavoro
agli inizi del 1924 e solo il 2 marzo riuscì a completarlo lasciando, tuttavia,
ancora aperta l’opzione sul titolo: «Fantasia sinfonica No. 1» / «Sinfonia 7
continua», sull’autografo. Come Fantasia sinfonica Sibelius la presentò al
pubblico il 24 marzo dirigendo la Konsertförening Orchestra all’Auditorium di Stoccolma. L’anno dopo fu pubblicata come Sinfonia Nr. 7. In un
movimento. Questa indecisione è sintomatica di un percorso interiore che
Sibelius aveva intrapreso una quindicina d’anni prima e che si ripercuote
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sulle sue scelte formali: come adattare strutture razionalmente precostituite, come la sinfonia, con le nuove esigenze timbriche che egli faceva
derivare da una percezione spirituale di immagini sonore animisticamente
interpretate come manifestazioni dell’Essenza della natura. In una sorta di
panteistica unione spirituale tra natura e musica l’atto compositivo divenne per Sibelius un esercizio mistico estraneo a qualsiasi logica, una «lotta
con Dio» (da una pagina del suo diario datata 26 gennaio 1916).
Il metodo compositivo di Sibelius si fonda su un principio rotatorio:
ritorni variati del tema fissano la prima rotazione. Questa ciclicità produce
situazioni di accumulo che derivano dalla ricorrenza del tema e dal trasformarsi e congiungersi di nuove idee man mano che si procede. Per Sibelius,
in particolare, questo principio si collega all’idea di genesi teleologica: il
graduale sorgere di una spinta verso una meta – rappresentazione del pieno manifestarsi dell’Essenza della natura. Liberamente condotto questo
principio può assumere le più svariate forme o, viceversa, cristallizzarsi
in forme ben definite. Nel caso della Settima Sinfonia queste ricorrenze
avvengono in modo libero o apparentemente casuale.
L’inizio è una scala ascendente, Adagio. Dopo alcuni passaggi la musica si stabilizza in un ‘corale’ polifonico affidato agli archi da interpretare,
secondo Sibelius, «come se ci si ponesse davanti a Dio»:
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Al culmine di un graduale potenziamento della sonorità prende forma un maestoso tema in do maggiore del trombone:
Questo tema ricorre tre volte e delimita la struttura della Sinfonia.
Cade la tensione e in maniera sfumata, quasi impercettibilmente, si passa
al Vivacissimo, la prima delle due sezioni interne, che conduce alla seconda
apparizione del tema del trombone, ora in do minore. La seconda sezione interna, un tempo di danza, Allegro moderato, rasserena l’atmosfera.
Ancora un graduale accelerando conduce al Presto prima di sfociare nella
terza enunciazione del tema del trombone, di nuovo in do maggiore, che
prepara il commiato. Come in una ripresa abbreviata, tornano i motivi
dell’Adagio liberamente disposti e, in conclusione, un perentorio accordo
di do maggiore.
Mozart «tra il troppo
facile e il troppo difficile»
I primi anni di Mozart
a Vienna sono segnati da una
consistente produzione di concerti per pianoforte e orchestra
che egli stesso eseguiva nel corso delle accademie cittadine.
Tra il 1782 e il 1786 ne compose quindici e in proposito
così scriveva al padre: «I concerti sono una via di mezzo tra
il troppo facile e il troppo difficile, sono molto brillanti, gradevoli all’orecchio pur senza
Anonimo, Ritratto di Wolfgang Amadeus
cadere nella vuotaggine; qua e
Mozart, 1777 (Bologna, Civico Museo
là anche gli intenditori avranBibliografico Musicale).
no di che essere soddisfatti, ma
in modo che anche coloro che
non lo sono proveranno piacere, senza sapere perché». Il Concerto K 503
è l’ultimo di questa serie, terminato il 4 dicembre 1786. Con il precedente
K 467, nella medesima tonalità di do maggiore, questo concerto condivide
la brillantezza e una certa vigorosa compostezza nel carattere che si impone
fin dall’iniziale tempo di marcia. In questo caso, tuttavia, le solide certezze
vengono turbate di continuo da inquietanti correnti sotterranee in modo
minore. Questo aspetto di instabilità emerge soprattutto nell’Andante che
prepara il Rondò conclusivo, poco esuberante rispetto alle aspettative.
157
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L’«Augurio sinfonico di compleanno» di Richard a Cosima
La composizione del Siegfried-Idyll è strettamente connessa alla vita
privata di Wagner; in particolare al suo amore per Cosima, la seconda figlia nata dalla relazione di Liszt con la contessa Marie d’Agoult. La mattina di Natale del 1870 Cosima fu svegliata da una dolcissima sinfonia di
tredici strumenti che proveniva dall’esterno della sua camera nella casa di
Tribschen, un sobborgo di Lucerna, in Svizzera. Celebrate le nozze nell’agosto dello stesso anno, qui i coniugi Wagner abitavano con i tre figli nati
dalla loro relazione, Isolde, Eva, Siegfried, e con le due figlie nate dal precedente matrimonio di Cosima con Hans von Bülow. Il giorno prima Cosima
aveva compiuto trentatre anni e tanta fu la commozione provata per questo
inaspettato dono di compleanno e natalizio che riuscì a esprimerla solo per
iscritto in una pagina del suo diario: «Non riesco a dire niente di questo
giorno, niente sui miei sentimenti, niente sul mio stato d’animo, niente
di niente. Posso semplicemente raccontarvi ciò che accadde. Fui destata
da un suono che diventava sempre più forte; sapevo che non stavo ancora
sognando, era musica, e che musica! Quando cessò, Richard entrò nella mia
stanza con i cinque bambini e mi donò la partitura del suo “Augurio sinfonico di compleanno” – Piangevo, come tutti gli altri nella casa. Richard
aveva disposto la sua orchestra sulle scale, e così la nostra Tribschen è stata
consacrata per sempre».
Il titolo originario era Idillio di Tribschen, con il canto degli uccelli di
Fidi e il sorgere arancione del sole. Fidi era il soprannome che i coniugi davano al loro ultimogenito Siegfried, di diciotto mesi. Nonostante il brano
sia ricco di riferimenti personali destinati a rimanere nel segreto del loro amore,
Wagner fu costretto a rielaborare l’Idillio
per orchestra e a pubblicarlo, con grande disappunto di Cosima, per far fronte
alle consuete difficoltà finanziarie. Parti
della composizione confluirono nel terzo
atto dell’opera Siegfried (1876): il tema
principale, annotato da Wagner sei anni
prima per un quartetto d’archi da dedicare a Cosima, è destinato a Brünhild.
La citazione della ninnananna popolare
tedesca Schlaf, Kindchen, schlafe (Dormi,
bambino, dormi), intonata dall’oboe, fa
Wagner con il figlio Siegfried.
riferimento, invece, alla figlia Eva.
La rigenerazione di Schumann
Anche l’origine della Sinfonia
op. 61 di Schumann ha forti legami biografici. L’abbozzo risale al
dicembre 1845 ma già dal settembre Schumann stava pensando alla
composizione di una grande sinfonia, «una specie di Jupiter», diceva,
svelando un intenzionale parallelismo, non solo tonale, con il modello mozartiano e, in senso lato, con
il classicismo viennese. La ricaduta della malattia psico-fisica di cui
Schumann nel 1853.
aveva già sofferto l’anno prima lo
costrinsero a procrastinare l’orchestrazione all’anno seguente. Nel frattempo studiava approfonditamente il
contrappunto di Bach, scriveva fughe e maturava un nuovo modo di comporre, non più di getto al pianoforte, ma ponderato e al tavolino. Questa
difficile scelta, una specie di auto-imposizione, derivava dalla necessità di
risolvere l’inconciliabilità tra la libera ispirazione poetica e la costruzione
della grande forma in un tutto unitario, attraverso una meticolosa opera
di elaborazione. L’originalità dei risultati raggiunti non venne compresa
subito dai contemporanei che, in generale, giudicarono questa Sinfonia
disuguale e, a tratti, incoerente. Per il suo autore rappresentò «la resistenza
dello spirito contro le mie condizioni fisiche. Il primo movimento è pieno
di questa lotta e del suo carattere capriccioso e ostinato». Alla moglie Clara
piacque «in modo specialissimo». La prima esecuzione avvenne al Gewandhaus di Lipsia il 5 novembre 1846, sotto la direzione di Mendelssohn.
La Sinfonia è innovativa e ricca di citazioni e di forme di scrittura
prese a prestito dal passato. Ogni movimento è dominato dall’ispirazione
bachiana fin dall’inizio, Sostenuto assai, in stile di preludio-corale. L’incipit tematico degli ottoni
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viene assunto da Schumann come motto ricorrente: in forma variata ricompare nella coda del primo movimento, nella coda dello Scherzo e, facilmente riconoscibile, nella coda dell’ultimo movimento.
L’Allegro ma non troppo si fonda su un ostinato ritmico, che ricorda il puntato della barocca ouverture alla francese, e su altre figurazioni
derivate dall’introduzione. Tutto questo materiale, sottoposto a continue
trasformazioni e metamorfosi, tende a scardinare la struttura della forma
sonata, pur mantenendo il principio di opposizione e dei forti contrasti
mutuato da Beethoven mediante l’introduzione di nuovi spunti tematici:
una «disgregazione della forma per mezzo della sostituzione del materiale
tematico», secondo Carl Dahlhaus.
Lo Scherzo, irruento ed energico, ha due Trii, il primo vivace e spigliato, il secondo più riflessivo e, ancora, disposto polifonicamente in
forma di corale. Questo secondo Trio racchiude una prima allusione alla
melodia del sesto Lied del ciclo An die ferne Geliebte (All’amata lontana) di
Beethoven, «Nimm sie hin denn, diese Lieder» («Accettali, dunque, questi
canti»), che verrà richiamata nel finale.
L’Adagio espressivo sembra una reinterpretazione romantica della
scrittura bachiana e barocca: accenti, sospiri, figure ornamentali, sezioni
imitative. Questo tempo lento rappresenta il fulcro espressivo dell’intera
Sinfonia e, forse, il punto di svolta psicologico di Schumann: «veramente
mi sentii di nuovo meglio dopo aver terminato tutta l’opera. Per il resto,
come ho detto, mi rammenta tempi bui». L’Allegro molto, infatti, esplode
in una festosa marcia trionfale che ricorda la mozartiana «Es lebe Sarastro»
(«Evviva Sarastro») del Flauto magico. Nella seconda sezione di questo finale, immerso in uno stato di agitazione, torna il tema bachiano dell’Adagio.
Quindi l’oboe introduce un nuovo motivo teneramente ardente, ma altre
lacerazioni irrompono con il proposito di portare a progressiva e definitiva
estinzione il clima rassicurante faticosamente raggiunto. Alla fine torneranno, come ricordi provenienti da lontano, solo il tema di ispirazione
beethoveniana
e, a chiudere il cerchio, il motto d’inizio.
MAHLER CHAMBER ORCHESTRA
La Mahler Chamber Orchestra è un’orchestra internazionale itinerante che viaggia
all’incirca duecento giorni all’anno. L’ensemble si è esibito in tutto il mondo nelle più
importanti sale da concerto e in festival prestigiosi dal Polo Nord al Mar Rosso. Quando
l’orchestra ha fatto il suo debutto al Teatro Real di Madrid con il Fidelio di Beethoven
diretto da Claudio Abbado, Le Monde l’ha definita «la migliore orchestra del mondo».
Nella primavera del 2011 la MCO è stata nominata Ambasciatrice Culturale dell’Unione Europea. Con i suoi versatili progetti educativi l’orchestra è anche sempre più coinvolta sul piano sociale e pedagogico.
Accanto al fondatore Claudio Abbado, Daniel Harding è stata una delle principali
figure di riferimento dell’orchestra. Nominato Principale direttore ospite a 22 anni, nel
2003 è stato eletto Direttore musicale e nel 2008 ha assunto il titolo di Direttore principale. Nell’estate del 2011 l’orchestra ha deciso all’unanimità di conferirgli a vita il titolo di
Conductor Laureate. Molti cd e dvd documentano la loro collaborazione.
I 45 membri della MCO provengono da 20 paesi diversi e vivono in tutta Europa.
Oltre al suo nucleo fisso, la MCO si avvale anche di una rete di eccellenti musicisti, accuratamente selezionati e formati, che si uniscono all’orchestra in base alle necessità dei
diversi progetti che la vedono coinvolta. Grazie a ciò l’ensemble ha la possibilità di suonare
sempre ai massimi livelli qualitativi un repertorio molto ampio, che spazia dalla musica da
camera alle grandi sinfonie, dal barocco alla musica contemporanea, da opere in versione
concertante a produzioni sceniche o progetti crossover.
Economicamente indipendente, la MCO si finanzia principalmente grazie agli incassi dei concerti e con l’aiuto di mecenati e sponsor. La MCO ha una struttura organizzativa democratica ed è governata dal consiglio dell’orchestra in collaborazione con la
direzione, che ha la sua sede a Berlino.
Il nome della Mahler Chamber Orchestra risale alle origini dell’ensemble: la MCO
fu fondata da membri della Gustav Mahler Jugendorchester (GMJO) che, raggiunti i limiti d’età dell’orchestra giovanile, desideravano continuare a suonare insieme. Fu così che,
161
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con il sostegno del loro mentore musicale Claudio Abbado, crearono l’orchestra. La parola
‘chamber’ nel nome dell’ensemble si riferisce più alla sensibilità cameristica che ne caratterizza i musicisti che alle dimensioni dell’orchestra.
Ogni anno la MCO esplora nuove sale da concerto, ma conserva anche collaborazioni artistiche di lungo termine, soprattutto con le sue sedi di residenza. Qui hanno luogo
sessioni di prove e concerti con la possibilità di disporre di più tempo per ulteriori attività
come musica da camera eseguita in contesti insoliti, prove aperte e progetti educativi. In
questo modo durante le residenze si sviluppa una relazione stretta e personale tra i musicisti e le sedi di residenza come anche con le persone che vivono e lavorano in queste città.
Attualmente la MCO ha tre sedi di residenza: quella con cui collabora da più lunga data
è Ferrara, in Italia, dove fin dal 1998 la MCO è stata una grande protagonista della scena
musicale cittadina.
Nelle tre città tedesche di Dortmund, Essen e Colonia nel Nord Reno-Vestfalia
(NRW) la MCO ha trovato la sua seconda residenza stabile a partire dal 2009. La Kunststiftung NRW e la regione del Nord Reno-Vestfalia sono partner e sostenitori di questa
collaborazione. Un elemento centrale di questa residenza è la MCO Academy, condotta
in collaborazione con l’Orchesterzentrum|NRW di Dortmund. L’Academy è impegnata
nell’educazione e formazione della prossima generazione di orchestrali. Le Academies della
MCO sono state dirette da Daniel Harding, Ton Koopman, Pierre Boulez, Esa-Pekka
Salonen.
L’altro caposaldo della residenza consiste in concerti e progetti operistici di altissima
qualità artistica eseguiti presso le sale di concerto di Dortmund, Essen e Colonia. Questi
progetti, ideati in collaborazione con la MCO e nati nel NRW, approdano poi sui palcoscenici di tutto il mondo, ottenendo così una risonanza che va molto oltre i confini della
regione e contribuisce alla creazione di reti sia all’interno sia all’esterno del NRW.
Un’altra collaborazione a lungo termine unisce la MCO alla città di Lucerna, dove
l’ensemble è una presenza regolare da quando Claudio Abbado ne ha fatto il nucleo della
Lucerne Festival Orchestra (LFO) nel 2003. Oltre ai concerti della LFO, in occasione del
Festival la MCO esegue anche due concerti nella sua formazione originale, includendo
spesso prime esecuzioni assolute o opere in versione concertante.
La MCO ha realizzato oltre 20 registrazioni, molte delle quali hanno ottenuto premi prestigiosi, per etichette come Virgin Classics, Harmonia Mundi, Decca e Deutsche
Grammophon.
DANIEL HARDING
Agli inizi della sua carriera, Daniel Harding, nativo di Oxford, è stato assistente di Sir
Simon Rattle all’Orchestra Sinfonica della Città
di Birmingham con cui ha debuttato nel 1994.
Successivamente è stato assistente di Claudio Abbado alla Filarmonica di Berlino debuttando con
l’orchestra nel 1996 al Festival di Berlino.
Daniel Harding è Primo direttore ospite
dell’Orchestra Sinfonica di Londra, Direttore
musicale dell’Orchestra Sinfonica della Radio
Svedese e ‘Music Partner’ della Nuova Filarmonica Giapponese. Di recente è stato insignito del
titolo di Direttore onorario a vita della Mahler
Chamber Orchestra, dopo esserne stato Direttore principale e Direttore musicale (2003-2011).
È stato inoltre Direttore principale della Sinfonica di Trondheim in Norvegia (1997-2000), Primo direttore ospite della Sinfonica di
Norrköping (1997-2003) e Direttore musicale della Filarmonica da Camera Tedesca di
Brema (1997-2003). Attualmente è Direttore artistico della Ohga Hall di Karuizawa in
Giappone.
Daniel Harding è regolarmente ospite della Staatskapelle di Dresda, della Filarmonica di Vienna (entrambe dirette al Festival di Salisburgo), dell’Orchestra del Concertgebouw, dell’Orchestra della Radio Bavarese, dell’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia e
dell’Orchestra Filarmonica della Scala. Si è inoltre esibito in qualità di Direttore ospite
con la Filarmonica di Berlino, la Filarmonica di Monaco di Baviera, l’Orchestre National de Lyon, la Filarmonica di Oslo, la Filarmonica di Londra, la Filarmonica di Stoccolma, l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’Orchestra of the Age of
Enlightenment, la Filarmonica di Rotterdam, le Orchestre della Radio di Francoforte e
l’Orchestre des Champs-Elysées. Tra le orchestre americane con cui ha collaborato figurano
la Filarmonica di New York, l’Orchestra di Filadelfia, la Filarmonica di Los Angeles e la
Sinfonica di Chicago.
Impegnato in molte produzioni operistiche alla Scala di Milano, al Festival di Salisburgo, alla Royal Opera House di Londra, al Festival di Aix-en-Provence, alla Bayerische
Staatsoper di Monaco. In una stretta collaborazione con il Festival di Aix-en-Provence,
Daniel Harding percorre inoltre gran parte del repertorio sinfonico. Le recenti registrazioni
di Daniel Harding per l’etichetta discografica Deutsche Grammophon includono la Sinfonia n. 10 di Mahler con l’Orchestra Filarmonica di Vienna e i Carmina Burana di Orff
con l’Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese, che hanno riscosso un notevole consenso
di critica. In precedenza ha registrato in esclusiva per Virgin/EMI, con cui ha all’attivo le
incisioni della Sinfonia n. 4 di Mahler con la Mahler Chamber Orchestra; le Sinfonie n. 3
e n. 4 di Brahms con l’Orchestra Filarmonica da Camera Tedesca di Brema; Billy Budd con
l’Orchestra Sinfonica di Londra (registrazione vincitrice di un Grammy Award come ‘Miglior Registrazione’); Don Giovanni e The turn of the screw (registrazioni vincitrici del premio Choc de l’Année 2002, il Grand Prix de l’Académie Charles Cros e un Gramophone
Award), entrambe realizzate insieme alla Mahler Chamber Orchestra; opere di Lutosławski
163
con Solveig Kringelborn e l’Orchestra da Camera Norvegese e opere di Britten con Ian
Bostridge e la Britten Sinfonia (registrazione vincitrice del premio Choc de l’Année 1998).
Nel 2002 Daniel Harding è stato insignito dal governo francese del titolo di Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres.
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PAUL LEWIS
Paul Lewis è riconosciuto uno dei più notevoli pianisti della sua generazione. Tra i molti
riconoscimenti ottenuti si segnalano il Premio
Internazionale Accademia Musicale Chigiana di
Siena, il Royal Philharmonic Society’s Instrumentalist of the Year Award, il Preis der Deutschen
Schallplattenkritik e tre Gramophone Awards.
Nel 2009 è stato insignito del titolo di Honorary
Doctorate all’Università di Southampton. Le sue
esibizioni concertistiche e le sue registrazioni per
Harmonia Mundi gli hanno valso unanimi consensi da tutto il mondo, culminati nel 2010 con
l’onore di essere il primo pianista nella storia dei
BBC Proms ad eseguire tutti i cinque Concerti di Beethoven in una singola stagione Proms.
Paul Lewis è ospite regolare di molti festival prestigiosi di tutto il mondo, dove collabora con alcuni dei maggiori direttori di oggi. Nel 2011 ha avviato un progetto biennale
consistente nell’esecuzione di tutte le composizioni pianistiche degli ultimi sei anni di vita
di Schubert: la serie viene presentata a Londra, New York, Chicago, Tokyo, Melbourne,
Rotterdam, Bologna, Firenze, la Schubertiade Schwarzenberg e altre importanti tappe nel
mondo. Paul Lewis ha studiato con Ryszard Bakst alla Chethams School of Music e con
Joan Havill alla Guildhall School of Music and Drama, prima di studiare privatamente
con Alfred Brendel. Assieme alla moglie, la violoncellista Bjørg Lewis, è direttore artistico
di Midsummer Music, un festival di musica da camera che si tiene annualmente nel Buckinghamshire in Gran Bretagna.
Stampato nel mese di giugno 2013
da Tipografia Senese
Siena