Siena Istituita dal Conte Guido Chigi Saracini nel 1932 Eretta in Fondazione con Decreto Presidenziale del 17 ottobre 1961 70a Settimana Musicale Senese 9-18 Luglio 2013 Siena Pubblicazione della Fondazione Accademia Musicale Chigiana - Siena A cura di Cesare Mancini Composizione grafica e stampa Tipografia Senese - Siena In copertina Charles Joshua Chaplin, Ragazza con colomba Gli ornamenti inseriti agli angoli inferiori delle pagine sono, rispettivamente, un autografo di Giacomo Puccini e parte dello stemma chigiano, e sono di proprietà dell’Accademia Musicale Chigiana 9 - 18 luglio 2013 Settimana Musicale Senese 70a edizione Accademia Musicale Chigiana Siena Presidente Gabriello Mancini Vicepresidente Vittorio Carnesecchi Direttore artistico Aldo Bennici Direttore amministrativo Angelo Armiento Consiglio di Amministrazione Maurizio Bettini Amministrazione Provinciale di Siena Enrico Bindi Fondazione Monte dei Paschi di Siena Beatrice Bizzarri Regione Toscana Vittorio Carnesecchi Rettore Società Esecutori Pie Disposizioni Andrea Fantozzi Fondazione Monte dei Paschi di Siena Vittorio Innocenti Comune di Siena Gabriello Mancini Presidente Fondazione Monte dei Paschi di Siena Claudio Pieri Provveditore Fondazione Monte dei Paschi di Siena Alessio Rosati Fondazione Monte dei Paschi di Siena Roberto Saladini Comune di Siena Paola Severini Ministero Beni e Attività Culturali Collegio dei revisori dei conti Effettivi Marco Baglioni Fondazione Monte dei Paschi di Siena Fabio Coviello Ministero Beni e Attività Culturali Andrea Sbardellati Comune di Siena Supplenti Francesco Carvisiglia Ministero Beni e Attività Culturali Lucia Mangani Fondazione Monte dei Paschi di Siena Assistente del Direttore artistico Cesare Mancini Capo servizio attività didattiche e artistiche Carla Bellini Capo servizio segreteria amministrativa Maria Rosaria Coppola Sommario 7 9 13 Gabriello Mancini Saluto per la 70ª Settimana Musicale Senese Aldo Bennici La Settimana Musicale Senese fra riscoperte, novità del nostro tempo e gli omaggi a Berio, Verdi e Wagner Programma generale 15 18 28 32 59 9 luglio - 10 luglio Charles Gounod Gérard Condé La Colombe Cesare Mancini Una Colombe per Poulenc, attraverso Stravinskij Libretto Gli interpreti 65 68 76 11 luglio Lucia Ronchetti Lucia Ronchetti Drammaturgie per la Chigiana Gli interpreti 79 81 86 89 92 99 115 117 12 luglio Franz Liszt Michele Campanella Le parafrasi di Liszt nei due bicentenari paralleli Gli interpreti 13 luglio Georg Friedrich Händel Raffaele Mellace «Hymen, a serenata», o i tormenti di Rosmene, da Napoli a Dublino Libretto Brani di Georg Friedrich Händel eseguiti all’Accademia Musicale Chigiana negli ultimi 20 anni Gli interpreti 134 138 15 luglio Francesco D’Orazio, Nicola Fiorino Vincenzina Ottomano Tra virtuosismo e polifonia... I dialoghi di Corelli e Berio con gli strumenti ad arco Brani di Luciano Berio eseguiti all’Accademia Musicale Chigiana Gli interpreti 141 144 149 17 luglio Mahler Chamber Soloists Francesco Ermini Polacci Takemitsu, Verdi, Brahms Gli interpreti 151 154 161 18 luglio Mahler Chamber Orchestra, Daniel Harding Marina Vaccarini Le tante facce del do maggiore Gli interpreti 123 125 Gabriello Mancini Presidente dell’Accademia Musicale Chigiana Saluto per la 70ª Settimana Musicale Senese «Facciamo rete, lanciamo un appello. Se uniamo le nostre voci forse qualcosa succederà». Il messaggio forte che Salvatore Accardo ha rilasciato in una recente intervista mi ha colpito per l’intensità del richiamo a porre attenzione sulla grave situazione in cui versa anche il settore della musica e che, quindi, ci riguarda da vicino. Ci coinvolge a tal punto che non nascondo che la pianificazione della Settimana Musicale Chigiana di quest’anno sia stata particolarmente sofferta a causa dell’incertezza delle risorse disponibili. Nonostante le oggettive difficoltà, però, la 70ª edizione non risente qualitativamente di nessun tipo di approssimazione. Tutt’altro. Prime esecuzioni italiane e omaggi ai compositori di cui viene celebrata una particolare ricorrenza; grandi orchestre, prestigiosi cantanti e musicisti internazionali vanno ad animare il cartellone denso e forbito della Settimana, che, come da tradizione, combina spettacolo e musica, per stupire, appassionare ed emozionare, in una forma esclusiva, ormai collaudata grazie alla pluriennale esperienza del direttore artistico Aldo Bennici. Con questa edizione, termina la mia guida a questo straordinario ente dalle eccezionali potenzialità, alcune ancora tutte da scoprire. Quello che la Chigiana ha raggiunto e realizzato fino ad ora è un risultato tangibile, stimato e riconosciuto a livello internazionale, ma è sul futuro che l’impegno deve essere ancor più determinante e decisivo. L’obiettivo ambizioso, infatti, è quello di evidenziare ulteriormente l’unicità dell’Accademia, quale ente promotore dell’arte e della cultura, e di far leva sulla qualità, associata all’immagine e al nostro marchio, per intensificare sostegni, attirare nuove risorse finanziarie e “fare rete”, per salvaguardare il nostro settore. Progetto proprio della Fondazione Monte dei Paschi, l’attività dell’Accademia Chigiana, e in particolar modo della Settimana Musicale Chigiana, è, ad oggi, sostenuta da Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Toscana e Banca Monte dei Paschi di Siena, Istituzioni a cui rinnovo il mio sentito ringraziamento per la costante attenzione e sensibilità nei confronti dell’elevato valore culturale che l’Accademia esprime e diffonde in tutto il mondo, con l’auspicio che il loro supporto sia affiancato da ulteriori, determinanti e valide collaborazioni. 7 Aldo Bennici Direttore artistico dell’Accademia Musicale Chigiana La Settimana Musicale Senese fra riscoperte, novità del nostro tempo e gli omaggi a Berio, Verdi e Wagner Passato e presente, riscoperte e novità tornano a confrontarsi nell’edizione 2013 della Settimana Musicale Senese per stabilire nuovi colloqui con epoche e stili fra i più differenti. Prosegue così il percorso tracciato fino ad oggi dalle mie scelte artistiche chigiane. Mi sento particolarmente orgoglioso di proporre quest’anno l’ascolto de La Colombe di Charles Gounod: gemma di un repertorio poco frequentato, quello dell’opéra-comique, e che a Siena sarà ancor più preziosa perché proposta (con ogni probabilità, una prima esecuzione moderna) con i recitativi messi in musica da Francis Poulenc, fra i massimi musicisti francesi del Novecento. Una versione de La Colombe dove la Francia musicale di due secoli diversi dà vita a un connubio dagli esiti assai piacevoli: conobbe la sua prima rappresentazione nel 1924, a Montecarlo, e nasceva dall’idea di Igor Stravinskij e Sergej Djagilev (il celeberrimo impresario fondatore a Parigi dei «Ballets Russes») di recuperare alcune opere francesi dell’Ottocento ma dando loro una tinta contemporanea. Come fece appunto Poulenc componendo ex novo, seppur guardando allo stile di Gounod, i recitativi de La Colombe. Un’opera che mi ha affascinato fin da subito, perché accompagnata dal sorriso, da una leggerezza dal sapore teneramente infantile, rivelando, allo stesso tempo, la finezza compositiva di mani davvero sapienti. Una delicatezza sentimentale che affiora già nella vicenda, che i librettisti Jules Barbier e Michel Carré trassero da Boccaccio e La Fontaine: è incentrata su una colomba, animale qui dotato di una sensibilità e di un’intelligenza eccezionali, la cui presenza finirà col riaccendere l’antica passione fra Horace e Sylvie, i due protagonisti. La Colombe di GounodPoulenc viene presentata in uno spettacolo firmato da Denis Krief, regista il cui nome è legato alla Chigiana da diversi felici allestimenti, e impegna l’Orchestra della Toscana diretta da Philipp von Steinaecker. Ma le riscoperte riguardano anche il Settecento, nel solco di quell’attenzione ad uno Händel raro che ha portato la Chigiana a proporre titoli operistici come Arminio, Rodrigo e Deidamia, produzioni documentate da registrazioni per la casa discografica Virgin. L’opera di Händel stavolta scelta, grazie a una proposta di un amico di lunga data come Fabio Biondi (che la dirigerà sul podio del suo complesso di strumenti d’epoca, Europa Galante), è Hymen: un dramma per 9 10 musica presentato per la prima volta nel 1740 a Londra e che a Siena rivivrà (prima esecuzione italiana) nella versione da concerto approntata dallo stesso Händel per Dublino, due anni dopo. Dal passato ai giorni nostri, la Chigiana torna a riconfermare la sua assidua vocazione alla contemporaneità: sarebbe un lungo elenco quello delle partiture fino ad oggi commissionate ed eseguite in prima assoluta a Siena, lavori che sono poi regolarmente circuitati nei principali centri musicali europei. E dopo Silvia Colasanti (Faust) e Isidora Zebeljan (Due teste e una ragazza), per ricordare i casi più recenti, sarà ancora una figura femminile a dimostrare il suo talento nell’arte della composizione: Lucia Ronchetti, romana, attualmente impegnata in nuove composizioni per la Semperoper di Dresda e il Nationaltheater di Mannheim. Una figura che seguo da diversi anni nel suo itinerario artistico e della quale ammiro, in particolare, l’abilità di scrittura, la capacità artigianale di creare musica. Qualità che avremo modo di apprezzare nelle pagine della serata musicale a lei dedicata, con protagonisti l’ensemble vocale Neue Vocalsolisten e gli archi dell’Ensemble Alter Ego: le prime esecuzioni italiane di Blumenstudien (un madrigale con musica di Gesualdo da Venosa) e di Hombre de mucha gravedad, assieme ad Anatra al sal e Pinocchio, su testo di Collodi, rivisitazione in chiave tragicomica della nota storia del burattino di legno. Due importanti omaggi segnano poi la Settimana. Il primo, in realtà duplice, ricorda il congiunto bicentenario della nascita di Richard Wagner e Giuseppe Verdi, attraverso Franz Liszt: di Liszt sono infatti le parafrasi per pianoforte (tratte da Parsifal, Tristano e Isotta, L’olandese volante, Tannhäuser, da Simon Boccanegra, Rigoletto, Trovatore e Aida) che compongono il programma interpretato da Michele Campanella. Per diversi anni docente nei corsi di perfezionamento della nostra Accademia, l’amico Campanella è il pianista che più di ogni altro si è dedicato a Liszt, penetrandone a fondo il mondo sfaccettato: non solo come pianista, ma anche come studioso, come del resto dimostra ampiamente il suo bel volume Il mio Liszt. Considerazioni di un interprete. L’altro omaggio è a Luciano Berio, nel decennale della scomparsa. Berio il maestro, il mentore, il grande compositore, l’amico più caro. Affettuosamente legato anche alla Chigiana, per la quale tenne, nell’estate del 2001, un seguitissimo ciclo di lezioni. Berio verrà celebrato in un concerto, affidato al violino di Francesco D’Orazio e al violoncello di Nicola Fiorino, dove la sua musica (Sequenza XIV, Sequenza VIII, alcuni Duetti per due violini) dialoga con quella di Arcangelo Corelli (la celebre Sonata «La Follia»). Un confronto fra epoche lontanissime, fra due innovatori del linguaggio strumentale. Il virtuosismo sonoro del violino di Corelli, il virtuosismo timbrico ed espressivo di Berio. La Settimana volgerà al termine nel nome di una formazione strumentale di fama mondiale, la Mahler Chamber Orchestra, fondata da Claudio Abbado. In veste strumentale raccolta, renderà anche omaggio al bicentenario della nascita di Verdi proponendone il suo unico Quartetto: nella sua consueta formazione, affronterà invece un programma di ampio respiro, ricordando stavolta l’anniversario di Wagner (Idillio di Sigfrido), assieme alla Sinfonia n. 7 di Jean Sibelius, di raro ascolto anche in Italia, alla Sinfonia n. 2 di Robert Schumann, al Concerto per pianoforte K 503 di Mozart con solista Paul Lewis, rinomato pianista inglese che è stato anche insignito del Premio Internazionale Accademia Musicale Chigiana. Il concerto finale vedrà sul podio della Mahler Chamber Orchestra Daniel Harding, uno dei più rappresentativi direttori delle recenti generazioni. Sarà per la prima volta ospite dell’Accademia Chigiana: un altro nome di spicco che si aggiunge alla lista dei tanti direttori di fama internazionale che fino ad oggi hanno costellato le programmazioni della Settimana Musicale Senese. 11 Settimana Musicale Senese 70a edizione Siena, 9 - 18 luglio 2013 9 martedì 10 mercoledì Teatro dei Rinnovati ore 21.15 CHARLES GOUNOD 11 giovedì Teatro dei Rozzi ore 21.15 LUCIA RONCHETTI 12 venerdì Teatro dei Rozzi ore 21.15 In occasione del bicentenario della nascita di Wagner e Verdi (1813-2013) LA COLOMBE opéra-comique in due atti di J. Barbier e M. Carré Prima esecuzione italiana nella versione di FRANCIS POULENC ORCHESTRA DELLA TOSCANA PHILIPP VON STEINAECKER direttore DENIS KRIEF regia, scene, luci e costumi Laura Giordano soprano Laura Polverelli mezzosoprano Juan Francisco Gatell tenore Filippo Polinelli basso Blumenstudien madrigale a cinque voci su musica di G. da Venosa Prima esecuzione italiana Hombre de mucha gravedad (da Le damigelle d’onore di Velázquez) drammaturgia per quattro voci e quartetto d’archi Prima esecuzione italiana Anatra al sal commedia armonica per sei voci Pinocchio, una storia parallela drammaturgia per quattro voci maschili su testo di Carlo Collodi NEUE VOCALSOLISTEN ensemble vocale ENSEMBLE ALTER EGO archi MICHELE CAMPANELLA pianoforte Franz Liszt Wagner-Verdi, le parafrasi Feierlicher Marsch zum heiligen Gral dal Parsifal R. 283 Réminiscenses de Boccanegra R. 271 Rigoletto. Paraphrase de concert R. 267 Isoldens Liebestod dal Tristan und Isolde R. 280 Miserere du Trovatore R. 266 Coro delle filatrici da Der Fliegende Holländer R. 273 Aida. Danza sacra e duetto finale R. 269 Ouverture del Tannhäuser R. 275 13 sabato Chiesa di Sant’Agostino ore 21.15 GEORG FRIEDRICH HÄNDEL 15 lunedì Chiesa di Sant’Agostino ore 21.15 In occasione del terzo centenario della morte di Arcangelo Corelli e del decimo anniversario della morte di Luciano Berio HYMEN serenata (Dublino 1742) Prima esecuzione italiana EUROPA GALANTE ensemble musicale barocco FABIO BIONDI direttore Cristiana Arcari, Ditte Andersen soprani Ann Hallenberg mezzosoprano Magnus Staveland basso-baritono Marcos Fink basso FRANCESCO D’ORAZIO violino NICOLA FIORINO violoncello Corelli Sonata in do magg. op. V n. 3 per violino e basso continuo Berio Sequenza XIV per violoncello (2002) Selezione dai 34 Duetti per due violini Sequenza VIII per violino (1976) Corelli Sonata in re min. op. V n. 12 “La Follia” per violino e basso continuo 17 mercoledì Chiesa di Sant’Agostino ore 21.15 18 giovedì Teatro dei Rinnovati ore 21.15 MAHLER CHAMBER SOLOISTS Takemitsu Rocking Mirror Daybreak per duo di violini Verdi Quartetto in mi min. per archi Brahms Quintetto per clarinetto e archi in si min. op. 115 MAHLER CHAMBER ORCHESTRA DANIEL HARDING direttore PAUL LEWIS pianoforte Sibelius Sinfonia n. 7 in do magg. op. 105 Mozart Concerto in do magg. per pianoforte K 503 Wagner Idillio di Sigfrido Schumann Sinfonia n. 2 in do magg. op. 61 Con il contributo della Banca Monte dei Paschi di Siena Gounod dirige Roméo et Juliette (da «L’Illustration», 1888). Martedì 9 luglio Mercoledì 10 luglio Teatro dei Rinnovati ore 21.15 CHARLES GOUNOD Parigi 1818 - Saint Cloud 1893 La Colombe opéra comique in due atti di Jules Barbier e Michel Carré Prima esecuzione italiana nella versione con i recitativi di Francis Poulenc Gounod: Casa Editrice Choudens (Parigi) - Rappr. in Italia Casa Musicale Sonzogno (Milano) Poulenc: Bibliothèque Nationale de France (Parigi) con l’autorizzazione di Benoît Seringe Trascrizione e integrazione con i recitativi di Francis Poulenc di Bruno Moretti 16 Orchestra della Toscana Philipp von Steinaecker direttore Denis Krief regia, scene, luci e costumi Personaggi e interpreti Sylvie una ricca contessa Laura Giordano soprano Mazet servitore di Horace Laura Polverelli mezzosoprano Horace povero ma innamorato di Sylvie Maître Jean maggiordomo della contessa Maestro collaboratore al pianoforte Assistente alla regia Assistente all’allestimento Capo elettricista e datore luci Truccatore e parrucchiere Pittura di scena Coordinamento artistico produzione Juan Francisco Gatell tenore Filippo Polinelli basso Nathalie Steinberg Pia di Bitonto Benedetta Dalai Alberto Biondi Luca Oblach e Giuseppe Tafuri Gino Bruni Paolo Frassinelli 17 Sopratitoli a cura di PrescottStudio srl Firenze LA COLOMBE Gérard Condé 18 I successi del Faust (1859) e di Roméo et Juliette (1867) hanno valso a Charles Gounod (1818-1893) di vedere il suo nome iscritto accanto alle più grandi glorie del teatro lirico. Ma era grazie alla sua musica religiosa (la Messe de Sainte Cécile), alle sue mélodies (Venise, Le Soir), alla sua Méditation sur un prélude de Bach e alle sue due sinfonie che il compositore Charles Gounod. si era dapprima imposto presso il pubblico parigino. Tutto cambiò all’approssimarsi dei quarant’anni: mentre i mediocri successi di Sapho (1851) e La Nonne sanglante (1854) all’Opéra avevano fatto dubitare delle sue doti per la musica drammatica, la creazione del Médecin malgré lui (da Molière) sulla più intima scena del Théâtre-Lyrique rivelò ch’egli poteva apportare una freschezza inedita e un profumo personale a un genere meno monumentale del grand opéra. Fu allora, e senza dubbio a causa di ciò, che Gounod ricevette dal Casinò di Baden-Baden la commissione di un’opéra-comique della stessa vena spirituale e raffinata. Per il pubblico colto e cosmopolita che in estate veniva a prendervi le acque egli scelse un soggetto ispirato a Ovidio e a La Fontaine: Philémon et Baucis. Vi lavorò nel 1859, nel momento in cui Faust appariva sulla scena del Théâtre-Lyrique. L’accoglienza del Faust fu ancora più favorevole del Médecin malgré lui e il direttore, Léon Carvalho, convinto che una terza opera avrebbe avuto ancora maggior successo, chiese a Gounod di affidargli la prima direzione di Philémon et Baucis, dato che la partitura avrebbe potuto offrire a sua moglie, Caroline Miolan-Carvalho, un ruolo più brillante di quello di Marguerite. Il direttore artistico del Casinò di Baden-Baden accettò di cedere la priorità a Carvalho, tanto più che le tensioni tra Francia e Germania facevano aleggiare un dubbio sull’epoca della creazione. In cambio, Gounod s’impegnò a comporre un’altra opera, equivalente, La Colombe, liberamente ispirata a un racconto in versi di La Fontaine (Le Faucon) tratto da Boccaccio (Federigo degli Alberighi, giornata V, novella 9 del Decameron). Per scrivere il libretto, Gounod fece appello ai suoi fedeli collaboratori Jules Barbier e Michel Carré. Questi uomini di teatro dalla penna pronta si erano imposti per la loro schiettezza e per una qualità letteraria che escludeva le rime già confezionate e i cliché che da trent’anni sclerotizzavano le partiture liriche. Si erano specializzati nell’adattamento di romanzi, di pièces teatrali o di poemi. La Colombe, composta nella primavera del 1860, conobbe un successo più vivo di quello di Philémon et Baucis. In compenso, la sua sorte fu molto più oscura. Questo drama giocoso da camera, secondo la felice formula del critico Joseph d’Ortigue, non merita pertanto l’oblio dal quale comunque in questi ultimi anni sembra fortunatamente uscire. Stravinskij, nelle sue Chroniques de ma vie, definì quest’opera «breve ma deliziosa» all’epoca delle rappresentazioni monegasche del 1924 nel contesto dei Ballets Russes. Per la circostanza, su richiesta di Djagilev, Francis Poulenc, egli stesso fortemente ammirato, aveva musicato alcuni recitativi. Pieni di brio e d’inventiva, questi rimasero, senza pasticciare Gounod, entro i limiti stilistici di un’opera essenzialmente galante, con quel pizzico di sensibilità e di civetteria che basta a evitare aridità e leziosaggine. Condotti con grande sicurezza di ritmo drammatico, essi portano in modo sempre naturale la musica di Gounod. La prima esecuzione La prima a Baden-Baden ebbe luogo il 3 agosto 1860 nel Salone Luigi XIV del Casinò, sotto la direzione di M. Madame Carvalho, la prima Sylvie. 19 20 Koennemann, in presenza del re del Württemberg e del duca di Brunswick. Era prevista la vigilia, ma Gounod richiese una prova supplementare. Il cast riunì Caroline Miolan-Carvalho (Sylvie, soprano leggero), Gustave Roger (Horace, tenore), Amélie Faivre (Mazet, mezzosoprano, en travesti) ed Émile Balanqué (Maître Jean, basso cantante). Il successo della première fu confermato dalle tre successive rappresentazioni. Madame Carvalho trovò nel ruolo di Sylvie tutti i vocalizzi che poteva sognare. Il suo partner Gustave Roger, primo Faust Lettera di Gounod a Giuseppe Martucci (Siena, di Berlioz e primo interprete Biblioteca dell’Accademia Musicale Chigiana). del protagonista nel Prophète di Meyerbeer, era pure nel pieno possesso dei suoi mezzi, malgrado la perdita di un braccio in seguito a un incidente di caccia nel 1859. Amélie Faivre era stata Martine nel Médecin malgré lui e Siebel nel Faust; Balanqué, infine, era stato il primo Méphisto nel Faust e poi Vulcain in Philémon. In «Le Ménestrel» del 12 agosto 1860 Étienne Carjat credette di poter suonare la tromba della vittoria: «I Tedeschi, questi padri coscritti dell’armonia, hanno battuto le mani e gridato Bravo! all’ascolto della Colombe, come della partitura di un nipote di Beethoven o di Mozart. Giammai il teatro di Baden-Baden si era trovato a una pari festa. L’entusiasmo, che d’ordinario sembra fuggire questa sala sontuosa e austera, venerdì sera vi è esploso. Dopo la rappresentazione, l’orchestra in massa – al chiarore delle torce – è andata a dare una serenata sotto al balcone dell’Hôtel de France». La serata volse al termine con un punch offerto da Gounod all’orchestra. Il pubblico parigino non scoprì La Colombe che il 7 giugno 1866, all’Opéra-Comique, con alcune modifiche: un’aria aggiunta per Mazet (la pungente «Ah, les femmes!») e una nuova versione del Madrigal di Horace («Ces attraits que chacun admire»), sulle medesime parole. La critica fu più favorevole che per Philémon et Baucis e, dopo il fiasco subìto dalla Reine de Saba sulla scena dell’Opéra nel 1862, fu concorde nel riconoscere la superiorità di Gounod nel genere intimo. «Non è che una bagatella nell’opera del musicista, ma la bagatella è squisita», scrisse Jouvin in «Le Figaro» del 14 giugno 1866, aggiungendo, sempre con quell’altezzoso modo di fissare limiti a Gounod: «Tutte queste affascinanti cose di dettaglio che non hanno che imperfettamente carezzato la nostra attenzione in teatro vanno a riconquistare la loro importanza e il loro rilievo al pianoforte. […] Il successo del salone è assicurato all’Entr’acte vaporoso e pittoresco sospirato dagli strumenti. Il Madrigal è la pagina che si leggerà e rileggerà in questa piccola partitura. Basterà questa ad assicurarle il successo. Raramente l’amore, portato sulle ali della musica, ha incontrato un’espressione più penetrante e più velata». Nella «Revue et Gazette musicale» del 10 giugno 1866, Paul Bernard lodò senza riserve questa «opera affascinante, piena di semplicità e assieme di scienza, di abbandono e di attrattiva nella forma, di tesori celati nei dettagli, un’opera che ha dettato il cuore e che la mano abile del musicista ha firmato da par suo». E, a proposito dell’Entr’acte, che ammirava in modo particolare, aggiunse: «Si sa come questo genere di brano sinfonico sia riuscito a M. Gounod. È un vero gioiello. Niente di più grazioso, di più elegante, di più distinto; è stato bissato sulle ali dell’entusiasmo ed è stato giusto. Si spegne in un trillo che sale fino ai limiti estremi del mi cantino dei violini, accompagnato da secchi accordi discretamente enunciati dal fagotto. È tutto un poema d’amore; è una canzone di Orazio, un sonetto del Petrarca […] L’orchestra si è superata. Sentiva che doveva mettersi all’altezza di una partitura così finemente cesellata». E concluse: «M. Gounod si sentirà ormai a casa propria nella sala sempre distinta dell’Opéra-Comique. L’alleanza è fatta, il patto è stato firmato dagli applausi». Il pubblico si lasciò sedurre, anche se non conosceva la differenza che separava questa partitura da quelle di Bazin, Poise o Thomas, che gli venivano offerte le altre sere. La partitura Ciò che in un’opera come questa distingue lo stile di Gounod da quello di Auber o di Adam, i suoi più notevoli predecessori nel campo dell’opéra comique, è da una parte la qualità dell’invenzione armonica che colora la linea melodica, sempre così nitida da poter bastare a se stessa, e dall’altra parte il sottile legame tra i dettagli dell’invenzione melodica e il rispetto degli accenti e dei valori ritmici della prosodia. In un tutt’uno con una naturale estraneità alla banalità, questa disinvoltura è un effetto dell’arte. In questo, Gounod, che potrebbe aver preso Mozart a modello, è forse più prossimo a Schubert. 21 L’Introduzione, voltando le spalle alle ouvertures pot-pourri dell’epoca, estrae alcune misure dalla Romance di Horace (es. 1), il cui libero sviluppo termina con un malinconico assolo di corno su un fondo di tremoli. La Romance di Mazet, che nutre l’uccello del suo padrino (es. 2), è introdotta da un Allegretto modulante la vivacità delle cui figure ritmiche permette giochi di scena. Il tono semplice e dolce delle strofe, l’ornamento su «votre», tipico della vecchia opéra-comique francese (Dalayrac, Monsigny), sono un ammiccamento neoclassico, ma l’eco strumentale come un grido d’uccello e le modulazioni passeggere oltrepassano il pastiche. 22 Il recitativo portato di Horace, che respinge l’oro propostogli da Maître Jean (inviato da Sylvie) in cambio della sua colomba, le proteste che seguono e il ritornello del clarinetto evitano alla Romance (es. 2) di richiamare troppo la precedente: Horace vi evoca il legame tra la colomba e la graziosa Sylvie, della quale era innamorato. Questa Romance non forma d’altronde che la parte elegiaca del Trio nel quale s’inserisce. Il carattere di Horace, sognatore e vivo, è ben tracciato. Come nell’aria precedente, il clarinetto vi gioca ancora un ruolo assai espressivo. L’Ariette di Maître Jean («Les amoureux») è un quasi-minuetto beffardo a cui gli strumenti (il fagotto) fanno da eco. Tre ritornelli inquadrano due strofe. La prima di queste, breve e falsamente intenerita, fa da parodia alla serenata di un amante sconsolato; la seconda, più sviluppata, evocante il potere della bella, termina con uno scoppio di risa che riconduce al ritornello, prolungato in una coda in cui i due caratteri si ritrovano. L’Air d’entrata di Sylvie è il primo grande numero dell’opera. Un recitativo, ambiguo come le intenzioni della civetta, introduce un movimento di valzer dapprima pungente e cinico: Poi il lirismo («Oui, s’il m’aime») porta alla domanda sui rischi dell’avventura («Faudra-t-il que je tombe au piège?»). La parte centrale dell’Air («Si le Seigneur Horace») evoca – con la complicità attiva degli strumenti che fanno eco ai passaggi vocali – le eventualità: «un sourire… un regard? soit. Un baiser? Non!». Dopo un lungo vocalizzo (fino al do acuto) riprende la prima parte, coronata da una coda più virtuosistica, fino al re acuto. I Couplets di Mazet, al contrario, potrebbero essere quasi soltanto parlati sui borbottii furiosi dell’orchestra. 23 Questa declamazione notata, con i suoi cromatismi, i suoi salti di settima o di ottava, i suoi sussulti ritmici, è di un effetto sicuro, confermato dal successo. La comicità di ritorno di queste imprecazioni, che costituiscono il ritornello, è rinforzata dalla scempiaggine confessata delle due strofe bucoliche («Voyez cet asile»); la seconda strofa, con alcuni vocalizzi gioiosi che s’involano al si bemolle, è più sviluppata. L’ultimo ritorno del ritornello completo restaura la passione comica. Il Terzetto («Ô vision enchanteresse») mette faccia a faccia Horace, che esprime il suo rapimento con intimidita sensualità, e (dopo un breve trio sospensivo a parte in cui Mazet mescola la propria voce) Sylvie, che, dopo un esordio differente, riprende la melodia e la conclude nel medesimo modo. La civetta, che era venuta solo per acquistare l’uccello, non resta dunque insensibile al fascino dell’accoglienza di Horace. Il Quartetto finale («Ô douce joie!») è posto sotto il segno del giubilo amoroso di Horace e poi della gioia maliziosa di Sylvie, che riprende la stessa melodia e l’abbellisce. Le tenere inflessioni amorose annunciano quelle di Roméo et Juliette: 24 mentre Maître Jean s’indigna per la bassezza dello stratagemma in uno stile neoclassico più aspro. Il milieu è trattato in conversazione: Mazet e Maître Jean sono irrequieti, ma né Horace né Sylvie se ne curano: le differenze di tono escludono le simmetrie. Coda inattesa: Mazet, rimasto solo, stavolta esclama «Ah! les hommes!», eco della sua aria (es. 4), che chiude l’atto su una nota comica e animata. L’Allegretto orchestrale che apre il secondo atto srotola una lunga, vaporosa melodia; vale soprattutto per la leggerezza di una strumentazione dai colori pastello, con i violini nel registro medio. È una romanza senza parole che non esprime alcunché di preciso. «Autentico capolavoro di melodia graziosa, questa piccola pagina che profuma la partitura», secondo Louis Pagnerre, si esegue a sipario alzato, ma si ignora quale pantomima l’accompagnava. L’Air di Maître Jean («Le grand art de la cuisine»), contenente, nella sua parte centrale, una raffigurazione dei banchetti di un tempo, ricca di madrigalismi e di arcaismi musicali, non ha incidenza sull’azione. Si giustifica per il partito che prende il personaggio. «L’impiego sistematico dei fagotti e dei timbri nasali» e la convinzione «di mettervi l’acqua in bocca» con la quale «Balanqué ha eseguito e cantato questo brano pantagruelico», scrisse François Schwab, assicurarono un vivo successo a quest’aria all’epoca della prima rappresentazione. Il Duo tra Horace e Mazet («Il faut d’abord dresser la table») è molto ‘teatrale’. Trattato a mo’ di conversazione, è il numero maggiormente sviluppato della partitura. Il suo piano segue le tre fasi dell’azione. In un primo momento, sul ritmo brioso e polivalente di 6/8 si vedono i giovani sistemare il tavolo zoppo (su un ritmo zoppo), lacerare completamente una tovaglia che lo era a metà (l’orchestra imita il rumore), rallegrarsi reciprocamente per la loro destrezza imitando lo stile di un segnale di caccia (es. 6); poi, su una musica nuova ma dalla stessa energia pungente, prendere i bicchieri e strofinare i coperti (con un altro effetto strumentale) e felicitarsi come daccapo. In un recitativo falsamente solenne, Mazet (vocalizzo discendente parodistico su «admirable») mette il suo padrino davanti alla realtà: nella dispensa non ha più di che preparare un pasto. Horace risponde mandandolo a cercare frutti e legumi nel giardino, introducendo un barlume di speranza, peraltro smentita da un Andante in si minore («Ô pauvreté funeste») dal ritmo ossessivo. Il ritorno di Mazet non riprende la musica danzante della speranza che per derisione e per farla sfilacciare sotto il recitativo. Un improvviso crescendo precede il colpo di scena: sacrificare la colomba! L’ultima parte della scena («Pour recevoir ma belle») è trattata in stile di melodramma italiano: accompagnamento chitarristico, raddoppi della voce e una stretta in 2/4 culminante su un si acuto del tenore: 25 È troppo per il sacrificio di una colomba? Il primo interprete, Roger, era un valido tenore e in quest’opera a mezze tinte trova posto un tocco eroico: eventualmente, in un batter d’occhio. Il violino solo accompagna, a mo’ di mélodrame, i sogni di Sylvie, che, cogliendo un mazzo di fiori nel giardino di Horace, gli si riavvicina. La sua Romance («Que de rêves charmants») è introdotta da un ritornello le cui sinuosità e i cui cromatismi servono a far valere alla linea di canto un’espressione inalterata del ritorno della giovane donna a uno stato d’innocenza (do maggiore), come se lei fosse diventata colomba. In due strofe, allo stesso modo ma nella tonalità più lontana di sol bemolle maggiore, il Madrigal di Horace («Ces attraits») offre un carattere del tutto differente: all’introspezione immobile oppone il movimento. Slancio di flussi melodici, quasi-rubato, preziose modulazioni, animazione orchestrale sotto il ritornello («Déesse ou femme») che si esaspera nella coda: si sente il soffio della vita sollevare il velo della galanteria. Il Quartettino («Déjà son cœur») è situato in un momento di esitazione, in cui il tempo pare sospeso. La bonomia maliziosa di Haydn non è estranea all’ispirazione di questa pagina, che sembra camminare in punta di piedi. Sylvie, turbata, canta per prima; Maître Jean riprende la sua melodia, che presto le viene a contrappuntare. È la volta di Horace, e il repentino passaggio da si bemolle a re bemolle maggiore mette in risalto il suo tono appassionato; poco a poco egli ritrova le inflessioni melodiche dei suoi interlocutori e la tonalità di si bemolle maggiore. In quel momento appare Mazet, e il tempo si rimette in marcia. È la parte centrale, più animata, in cui si mescolano a parte e dialoghi. Un lungo trillo vincitore di Sylvie dà il segnale di ripresa dell’inizio, trattato in quartetto. Il Duo («Combien je vous rends grâce») che vi si concatena è la pietra di paragone dell’opera. Procede in quattro tappe. La prima, attorno al pranzo, è piena di un’allegria di facciata che mostra imbarazzo – ciascuno ignora ciò che l’altro tace –, con questa conclusione da opera buffa in due tempi che corona la fase comica: 26 Poi il tono cambia; la conversazione e l’accompagnamento si fanno più intimi. La domanda di Sylvie, già tinta di compassione, è quasi interamente presa a prestito da La Fontaine, così come la cavalleresca risposta di Horace. Troppi sono i sottili intenti nelle inflessioni melodiche, nella colorazione armonica e nel ritmo dell’eloquio, perché si possano descrivere. L’Andante «Rien coûte-t-il» introduce un lirismo più estroverso che assicura la progressione fino all’assenso di Sylvie «Voici ma main». Lo stretto, Allegro molto, non raggiunge la stessa altezza stilistica. È forse l’annuncio del carillon nuziale: La concatenazione con il Final («Apaisez, blanche colombe», es. 2) produce un effetto tanto più magico quanto più Mazet si rivolge alla colomba in una tonalità inattesa. Tutto allora precipita: spiegazioni, esclamazioni, musica spirituale in perpetuo rinnovamento senza un sistema prestabilito, grande vocalizzo di Sylvie fino al mi acuto. Il ritorno del carillon spirituale (es. 9) trova la sua giustificazione come piroetta conclusiva. Traduzione dal francese di Cesare Mancini 27 Gounod nel suo studio. UNA COLOMBE PER POULENC, ATTRAVERSO STRAVINSKIJ Cesare Mancini 28 L’estetica della «semplicità» indicata da Jean Cocteau in Le Coq et l’Arlequin del 1917 fu tracciata con successo da Francis Poulenc con i Mouvements perpétuels (1918) e con Le Bestiaire (1919) in un percorso che lo condusse in seno ai «Ballets Russes» di Sergej Djagilev. Era il 1923, e l’impresario russo stava mettendo a punto l’idea di commissionare a compositori appartenenti alla «Giovane scuola francese» una serie di balletti da rappresentarsi durante la prossima stagione al Théâtre du Casino di Montecarlo. Consigliato Francis Poulenc nel 1923. da Misia Sert (la celebre pianista e femme fatale immortalata da pittori dello stampo di Renoir e Toulouse-Lautrec), Djagilev dette incarico a Poulenc di musicare Les Biches, il «balletto erotico» allestito da Marie Laurencin la cui coreografia, ambientata in un boudoir, raggruppava venti giovani silfidi e tre «bei ragazzi in costume da vogatori». Assieme al lavoro di Poulenc, il progetto comprese Les Fâcheux di Georges Auric (lodato da Stravinskij per la sua «verve e la sua mordacità» e per l’«indimenticabile scenario» di Georges Braque) e il vivido, atletico Le Train Bleu di Darius Milhaud. La coreografia di tutti e tre i balletti, affidata a Bronislava Nijinska, ebbe un grande successo: così come lo ebbero le esibizioni di Vera Nemþinova, Leon Woizikovskij e Anton Dolin. Parallelamente alla commissione di questi tre nuovi balletti, per quella stessa stagione concertistica Djagilev intese produrre l’allestimento di alcune brevi opere tratte dal repertorio francese del secolo passato, per lo più ormai dimenticate, ma meritevoli di nuova freschezza. Ne parlò a lungo con Stravinskij, che in seguito confessò di aver «riscoperSergej Djagilev e Igor Stravinskij. to» assieme a lui La Colombe e Le Médecin malgré lui di Gounod e di essere rimasto colpito da quei «piccoli capolavori». Entrambi concordarono sull’opportunità di affidare ancora ai compositori della «Giovane scuola francese» l’incarico di mettere in musica i recitativi che in origine venivano semplicemente declamati. Poulenc, evidentemente assai apprezzato tra i Six, fu nuovamente coinvolto nei progetti di Djagilev e si vide richiedere il ‘completamento’ musicale della Colombe. Parlò diverse volte del progetto durante l’inizio dell’autunno del 1923 in alcune lettere al suo maestro Charles Koechlin e allo stesso Stravinskij. A Koechlin da Nazelles il 3 settembre 1923 disse: «Mi scuso per il mio silenzio. Non scrivo, perché lavoro intensamente. Figuratevi che oltre alle Biches mi è piombato addosso da terminare e orchestrare un lavoro assai pericoloso, commissionato da Djagilev. Si tratta di fare dei recitativi talvolta piuttosto lunghi nel numero di 8 per un’opéra-comique di Gounod, La Colombe, che si darà quest’inverno a Montecarlo. Fortunatamente conosco molto bene il teatro del vecchio Charles. Ho raccolto dunque tutte le mie nozioni sullo stile, tra parentesi mirabile, di questo musicista troppo descritto, e mescolandovi il mio poco savoir-faire ho partorito un buon lavoro. Una volta di più mi sono serviti i corali. Terminata questa fatica, mi sono messo sulle Biches, che termino questa settimana e che porterò a Parigi da Djagilev». Ancora da Nazelles, in quegli stessi inizi di settembre 1923 scrisse invece a Stravinskij: «Ho terminato e sottoposto a Sergej Djagilev i miei recitativi per La Colombe. Ho fatto un lavoro scrupoloso, cercando di evitare un pastiche o una lezione di armonia alla Reber. Spero che ciò non vi appaia orribile. Fra dieci giorni andrò a Parigi e porterò con me Les Biches complete». Erik Satie, che come vedremo tra breve fu pure coinvolto nel progetto di Djagilev, scrisse a Paul Collaer: «Poulenc ha fatto una Colombe 29 30 vertiginosa, di grande verve e abilità. Insomma, un’opera che funziona». Con questa nuova veste, La Colombe andò dunque in scena per la prima volta il 1 gennaio 1924 a Montecarlo, ad apertura dello speciale «Festival Français», il cui cartellone avrebbe occupato l’intero mese. Le scene e i costumi erano di Juan Gris (e dipinte da Vladimir ed Elisabeth Polunin), anche se Poulenc avrebbe preferito un altro artista; la regia era di Constantin Landau e la direzione di Édouard Flament. Sylvie fu impersonata da Maria Barrientos e Mazet da Jeanne Montfort. Horace e Maître Jean furono rispettivamente un certo Reich e un certo Vigneau. Le repliche furono il 6 e il 15 gennaio. Il programma includeva anche Daphnis et Chloé di Ravel. Sul manoscritto olografo, conservato nella Bibliothèque Nationale de France a Parigi, campeggia un’eloquente dedica: «Francis Poulenc | Partitions d’orchestre | des | récitatifs | composés pour l’opéra-comique | de Gounod: | La Colombe | à mon cher grand ami | Boris Kochno en souvenir | de Monte-Carlo et la 1ere – des Biches | Francis Poulenc | Décembre 1923». Oltre a La Colombe con i recitativi musicati da Poulenc, Djagilev mise in scena in quello stesso festival anche Le Médecin malgré lui di Gounod, con recitativi di Satie (5 e 12 gennaio 1924) e Une éducation manquée di Chabrier, con recitativi di Milhaud (17 gennaio 1924). Era prevista anche Philémon et Baucis, ancora di Gounod, con recitativi di Auric. Gli eredi di Gounod, però, respinsero i recitativi di Auric. A causa di un viaggio in Belgio per concerti, Stravinskij non poté purtroppo assistere alle opere di Gounod rappresentate a Montecarlo. Nella sua Autobiography (New York, Steuer 1958) lasciò tuttavia un resoconto sulle serate monegasche, con un’autorevolezza e al tempo stesso un’amara considerazione sul pubblico che lasciano ben poco spazio a dubbi: «Come ho già detto, io non ebbi l’opportunità di vedere le opere di Gounod che Djagilev stava producendo a Montecarlo. So solo che il pubblico si era mostrato indifferente a quelle rappresentazioni e non aveva apprezzato il gesto del mio amico. Nel suo incolto snobismo, la maggior preoccupazione di quella gente era di apparire indietro rispetto ai tempi se avessero mostrato apprezzamento verso una musica stupidamente condannata dai trafficanti di pubblicità di ciò che una volta era l’avanguardia. Io stesso fui testimone di questa sciocca attitudine del pubblico durante la prima esecuzione dell’Éducation manquée per i “Ballets Russes” agli Champs-Élysées. Il titolo era ironico, per cui l’uditorio dimostrò una completa mancanza di educazione. Essendo abituato a non vedere altro che balletti agli spettacoli di Djagilev, pensò di essere stato truffato dovendo assistere a un’opera, per quanto breve, e rese evidente la sua impazienza con interruzioni e gridando “Danza, danza!”. Era nauseante. È giusto dire che queste interruzioni provenivano per la maggior parte da estranei facilmente riconoscibili per il loro accento straniero. E pensare che questo stesso pubblico ascolta devotamente e con angelica pazienza le edificanti arringhe di re Marco incessantemente reiterate ai gala ufficiali sotto la bacchetta direttoriale della stella di turno!». 31 Francis Poulenc. libretto 32 traduzione N.B. Il testo musicato da Poulenc è evidenziato in grassetto. N.B. Il testo musicato da Poulenc è evidenziato in grassetto. acte i atto i N. 1 romance Mazet N. 1 romance Mazet mazet Apaisez, blanche colombe, votre faim Du grain de froment qui tombe de ma main! Avant que vous manquiez de grain Votre maître sera sans pain!.. Après la faim assouvie. Bel oiseau! Calmez votre soif, Sylvie! D’un peu d’eau! A la fraicheur du jour nouveau, J’ai puise cette onde au ruisseau! mazet Placate, bianca colomba, la vostra fame Di chicco di grano che cade dalla mia mano! Prima che vi manchi il grano Il vostro padrone sarà senza pane!.. Dopo la fame saziata. Bell’uccello! Calmate la vostra sete, Sylvie! Di un po’ d’acqua! Alla freschezza del nuovo giorno, Ho attinto questa onda al ruscello! i. recitatif Maître Jean, Mazet, Horace Entre Maître Jean i. recitativo Maître Jean, Mazet, Horace Entra Maître Jean MAÎTRE JEAN MAÎTRE JEAN C’est bien ici le logis du seigneur Horace? È dunque questa la dimora del Signor Horace? MAZET MAZET Oui Monsieur. Qu’ya-t’ il pour votre service? Sì, Signore. Che cosa posso fare per voi? MAÎTRE JEAN MAÎTRE JEAN Je voudrais avoir quelques renseignement sur certaine colombe que possède votre maître. Est-il vrai qu’elle ait des talents merveilleux et qu’elle fasse mille tours extraordinaires? Vorrei avere qualche informazione su una certa colomba che possiede il vostro padrone. È vero che possiede doti meravigliose e che è capace di mille straordinarie imprese? MAZET MAZET C’est la vérité, Monsieur, et vous chercherez loin sa pareille. È la verità, Signore, e potreste cercare a lungo senza trovarne l’eguale. MAÎTRE JEAN Eh bien, je suis le majordome d’une dame très riche qui désire acheter la colombe du seigneur Horace. MAZET Le diable c’est que mon maître ne voudra jamais la vendre. HORACE (de la coulisse) Mazet! MAZET Mais c’est lui! Cachez vous la. Entre Horace MAÎTRE JEAN Ebbene, io sono il maggiordomo di una signora molto ricca che desidera acquistare la colomba del signor Horace. MAZET Il problema è che il mio padrone non accetterà mai di venderla. HORACE (da dietro le quinte) Mazet! MAZET Ma è lui! Nascondetevi là. Entra Horace HORACE HORACE Mazet pourquoi ne viens tu pas quand je t’appelle? Mazet, perché non vieni quando ti chiamo? MAZET MAZET J’avais la visite du majordome d’une dame, qui désire acheter votre colombe. Ho ricevuto la visita del maggiordomo di una signora che desidera acquistare la vostra colomba. N. 2 romance et trio Maître Jean à part, Mazet, Horace N. 2 romance e trio Maître Jean nascosto, Mazet, Horace horace Qu’il garde son argent!.. D’une chère habitude Je ne priverai pas mes jours! Je ne briserai pas ces paisibles amours Seul charmes de ma solitude. horace Che conservi i suoi soldi!.. Di una cara abitudine Non priverò i miei giorni! Non spezzerò questi placidi amori Uniche attrattive della mia solitudine. 33 34 mazet Seigneur! mazet Signore! horace Tais toi! horace Taci! maître jean Tenons nous coi, tenons nous coi! Le pauvre homme est en démence, Il méprise nos ducats. maître jean Restiamo calmi, restiamo calmi! Il pover’uomo è folle, Disprezza i nostri soldi. mazet Songez à notre indigence, Seigneur, vous n’y pensez pas!.. mazet Pensate alla nostra indigenza, Signore, voi non ci state pensando!.. horace Que m’importe l’indigence?.. Non, je ne la vendrai pas! J’aimais jadis une cruelle Qui ne paya que de mépris Mon coeur épris!.. horace Cosa mi importa dell’indigenza?.. No, non la venderò! Ho amato un tempo una crudele Che non ripagava che di disprezzo Il mio cuore innamorato!.. maître jean J’offrais ce pendant un bon prix. maître jean Offrirò nonostante ciò un buon prezzo. horace L’oiseau lui portait sous son aile Ce que m’inspirait chaque jour Le dieu d’amour! horace L’uccello le portava sotto la sua ala Ciò che mi ispirava ogni giorno Il dio d’amore! maître jean Que diable parle-t-il d’amour? maître jean Che diamine, parla di amore? mazet Sotte chanson! Maudit amour!.. mazet Sciocca canzone! Maledetto amore!.. horace Tout en riant de ma tendresse, Elle flattait sans y songer Le messager, Et quelque fois d’une caresse Le doux parfum lui demeurait Et m’enivrait! Oiseau fidèle, Mon seul trésor! Parle moi d’elle tout bas encor! horace Ridendo della mia tenerezza, Lusingava senza pensare Il messaggero, E qualche volta di una carezza Il dolce profumo le restava E mi inebriava! Uccello fedele, Mio solo tesoro! Parlami ancora di lei sottovoce! maître jean L’aventure est nouvelle, Il repousse notre or. maître jean L’avventura è nuova, Egli respinge il nostro oro. mazet Ah! la pauvre cervelle! Nous jeûnerons encor! mazet Ah! Il povero cervello! Digiuneremo ancora! horace Ayant, un jour, pris sous l’ombrage L’oiseau qui jouait près de nous Sur ses genoux, horace Avendo un giorno, preso sotto l’ombra L’uccello che giocherellava intorno a noi Sulle sue ginocchia, maître jean Le diantre soit de ces deux fous!.. maître jean Al diavolo questi due folli!.. horace Elle admira son fin plumage, Et je vis sa lèvre y poser Un doux baiser! horace Ella ammirò il suo pregiato piumaggio, E io vidi il suo labbro posarvi Un dolce bacio! maître jean L’argent n’est pas à refuser! maître jean Il denaro non è da rifiutare! mazet Nous avons tort de refuser. mazet Noi sbagliamo a rifiutare. horace Plaisir et douleur de ma vie, Ce baiser charmant et moqueur, Brûle mon coeur, Le doux oiseau me rappelle Sylvie, Et d’un nom que j’ai tant aimé Je l’ai nommé! Oiseau fidèle, Mon seul trésor! Parle-moi d’elle Tout bas encor! horace Piacere e dolore della mia vita, Questo bacio incantevole e beffardo, Arde il mio cuore, Il dolce uccello mi ricorda Sylvie, E di un nome che ho tanto amato Io l’ho chiamato! Uccello fedele, Mio solo tesoro! Parlami ancora di lei sottovoce! maître jean L’aventure est nouvelle, Il repousse notre or. maître jean L’avventura è nuova, Egli respinge il nostro oro. mazet Ah! la pauvre cervelle! Nous jeûnerons encor! Horace part mazet Ah! Il povero cervello! Digiuneremo ancora! Horace se ne va 35 ii. recitatif Mazet, Maître Jean ii. recitativo Mazet, Maître Jean MAZET MAZET Bien! Vous le voyez, il est inébranlable. Bene! Vedete, è irremovibile. MAÎTRE JEAN Sì, ma se ho ben capito, il signor Horace arde ancora per i begli occhi della mia padrona. Oui, mais si j’ai bien compris, le seigneur Horace brûle encore pour les beaux yeux de ma maîtresse. 36 MAÎTRE JEAN N. 3 ariette Maître Jean N. 3 ariette Maître Jean maître jean Les amoureux, C’est la mode ordinaire, Quand il s’agit de plaire, Les amoureux, Ont le coeur généreux! L’amant que l’on implore A celle qu’il adore Offre pour être heureux Sa vie et plus encore! Une belle, je pense, Peut tout obtenir d’eux; La moindre récompense Vaut toute leur dépense. Mazet part maître jean Gli innamorati, È la moda ordinaria, Quando si tratta di piacere, Gli innamorati, Hanno il cuore generoso! L’amante che si implora A colei che egli adora Offre per essere felice La sua vita e più ancora! Una bella, penso, Può ottenere tutto da loro; La minima ricompensa Vale tutto il loro dispendio. Mazet se ne va iii. recitatif Sylvie, Maître Jean Entre Sylvie iii. recitativo Sylvie, Maître Jean Entra Sylvie SYLVIE SYLVIE Eh bien, Maître Jean, que m’annoncez vous? Ebbene, Maître Jean, cosa mi annunciate? MAÎTRE JEAN MAÎTRE JEAN Que vois je? Madame la comtesse ici! Cosa vedo? La signora contessa qui! SYLVIE SYLVIE Vous feriez mieux de me dire si vous avez réussi dans votre mission. Fareste meglio a dirmi se siete riuscito nella vostra missione. MAÎTRE JEAN MAÎTRE JEAN Hélas! Madame, le seigneur Horace ne veut pas vendre sa colombe et je dois même ajouter qu’il a donné a cet oiseau, le nom de la comtesse. Ahimé! Signora, il signor Horace non vuole vendere la sua colomba e devo anche aggiungere che egli ha dato a questo uccello il nome della contessa. SYLVIE Vraiment? C’est égal, je suis désespérée, et le perroquet d’Amynte me fera mourir de chagrin. Car c’est pour cette femme une lutte que je perds si je lui abandonne la partie. Je n’ai pas eu d’adorateur qu’elle n’ait voulu m’enlever. Pas un bijou, un palais qu’elle ne m’ait disputés. Jusqu’ici, grâce à Dieu, j’avais écrasé ma rivale, quand elle a trouvé ce maudit perroquet, qui parle, qui chante étourdit tout Florence. N’est ce pas une dérision de la destinée? MAÎTRE JEAN Il est vrai que la colombe du seigneur Horace n’aurait pas eu de peine à l’emporter. SYLVIE SYLVIE Davvero? Fa lo stesso, io sono disperata, e il pappagallo di Aminta mi farà morire di dispiacere. Poiché è per questa donna una lotta che perdo se mi arrendo a lei. Non ho avuto un adoratore che lei non abbia voluto sottrarmi. Non un gioiello, non un palazzo che lei non mi abbia conteso. Fin qui, grazie a Dio, avevo sopraffatto la mia rivale, quando ella ha trovato questo maledetto pappagallo, che parla, che canta, stordisce tutta Firenze. Non è uno scherzo del destino? MAÎTRE JEAN È vero che la colomba del signor Horace non avrebbe fatto fatica a prevalere. SYLVIE Eh bien, créchez moi ce jeune homme et dites lui qu’une dame l’attend et ne me nommez pas. Maître Jean part Ebbene, cercate per me questo giovane, ditegli che una signora lo attende e non fate il mio nome. Maître Jean se ne va N. 4 air Sylvie N. 4 air Sylvie sylvie Je veux interroger ce jeune homme et connaitre sylvie Voglio interrogare questo giovane e conoscere 37 38 S’il est vrai que je sois encor chère à son maître; Comment, par quelle ruse on pourra l’amener A vendre sa colombe Où bien… à la donner! Si je suis belle encore, S’il est vrai qu’il m’adore, S’il garde un peu d’espoir… Sa résistance est vaine Ma victoire est certaine: Il est en mon pouvoir! Oui, s’il m’aime, En mes attraits j’ai foi! L’amour même L’amour combat pour moi!.. Mais quoi!.. Faudra-t-il que je tombe Au piège où lui mémé s’est pris Pour lui payer le prix De sa chère colombe, L’amour est parfois éxigeant! Que veut-il à défaut d’argent? Si le Seigneur Horace Veut un sourire… Passe!.. On peut donner cela!.. Si tout bas il implore un regard!.. Passe encore!.. On ira jusques là! Mais si dans sa folie L’amant discret s’oublie Et demande un baiser!.. Il faut y renoncer! Non, jamais, non jamais! Se è vero che sono ancora cara al suo padrone; Come, con quale astuzia lo si potrà indurre A vendere la sua colomba O meglio… a regalarla! Se io sono ancora bella, Se è vero che egli mi adora, Se conserva un po’ di speranza… La sua resistenza è vana La mia vittoria è certa: Egli è in mio potere! Sì, se egli mi ama, Nelle mie seduzioni ho fiducia! L’amore stesso L’amore combatte per me!.. Ma che cosa!.. Sarà necessario che io cada Nella trappola in cui egli stesso è caduto Per pagargli il prezzo Della sua cara colomba, L’amore è talvolta esigente! Cosa vuole in mancanza di soldi? Se il Signor Horace Vuole un sorriso… Passi!.. Glielo possiamo regalare!.. Se in silenzio implora uno sguardo!.. Passi ancora!.. Si andrà fin là! Ma se nella sua follia L’amante discreto perde il controllo di sé E chiede un bacio!.. Bisogna rinunciarvi! No, mai, no mai! N. 5 couplets Mazet Entre Mazet N. 5 couplets Mazet Entra Mazet mazet Ah! Les femmes! Les femmes! mazet Ah! Le donne! Le donne! Filles, veuves, dames! Avec où sans appas, Ne m’en parlez pas! Brrrr… Cela jase rumine, S’ingénie imagine, Désespère, assassine, Jusques au trépas! Hou! Rétrò satanas! Voyez cet asile Heureux et tranquille Ou loin de la ville S’écoulent nos jours! Nous fermons la porte A cette cohorte Que le diable emporte Avec les amours!!! Dans la solitude Fuir la servitude Faire son étude D’être bien portant Est il une vie Plus digne d’envie Dieu même y convie Notre coeur content Et riant du monde Que trompe à la ronde La brune ou la blonde Nous buvons d’autant! Fanciulle, vedove, signore! Con o senza fascino, Non me ne parlate! Brrrr… Questa spettegola, rimugina, S’ingegna, immagina, Dispera, assassina, Fino alla morte! Uh! Vade retro, Satana! Guardate questa dimora Felice e tranquilla Ove lontano dalla città Trascorrono i nostri giorni! Noi chiudiamo la porta A questa brigata Che il diavolo travolge Con gli amori!!! Nella solitudine Evitare la schiavitù Cercare Di stare bene È una via Più degna di desiderio Dio stesso convita Il nostro cuore contento E ridente del mondo Che inganna tutt’intorno La bruna o la bionda Beviamo in ogni caso! N. 6 terzetto Sylvie, Horace, Mazet à part Entre Horace N. 6 terzetto Sylvie, Horace, Mazet a parte Entra Horace horace Ô vision enchanteresse! Quel Dieu vous amène vers nous? Je ne vous offre en ma détresse Qu’un accueil indigne de vous!.. Je maudissais mon indigence, Et pourtant, je vous appelais!.. Je vous vois et votre présence, Change ma chaumière en palais! horace O visione incantatrice! Quale Dio vi conduce a noi? Non vi offro nella mia miseria Che un’accoglienza indegna di voi!.. Maledicevo la mia indigenza, E pertanto, mi rivolgevo a voi!.. Vi vedo e la vostra presenza, Trasforma la mia capanna in palazzo! 39 40 mazet Il est encore en sa puissance: L’amour le tient dans ses filets. mazet È ancora in suo potere: L’amore lo tiene nelle sue reti. sylvie Il est encore en ma puissance: J’obtiendrais tout si je parlais! Non loin de ce séjour champêtre Le hasard a conduit mes pas… Le bonheur est par là peut être!.. Me disais-je à part moi, tout bas!.. La porte n’était pas fermée!.. Chez vous je m’arrête en chemin!.. Je vous vois et je suis charmée, De pouvoir encore vous tendre la main! sylvie È ancora in mio potere: Otterrei tutto se parlassi! Non lontano da questo soggiorno campestre Il caso ha condotto i miei passi… Forse la fortuna è là!.. Mi dicevo tra me e me, sottovoce!.. La porta non era chiusa!.. Presso di voi mi fermo per strada!.. Io vi vedo e sono incantata, Di potervi ancora tendere la mano! horace Aux regrets mon âme est fermée, Adieu, noirs soucis! A demain! horace Ai rimpianti la mia anima è chiusa, Addio, pensieri oscuri! A domani! mazet La porte n’était pas fermée, Songeons à la fermer demain. mazet La porta non era chiusa, Pensiamo a chiuderla domani. iv. recitatif Les mêmes et Maître Jean iv. recitativo Gli stessi e Maître Jean SYLVIE SYLVIE Cher seigneur, je suis ravie de vous revoir. Et je m’invite même à diner. Caro signore, sono felicissima di rivedervi. E mi invito anche a cenare. HORACE HORACE Vous comblez mes voeux madame et je ne peux croire a mon bonheur. Mais… qui vient là? Entre Maître Jean Voi soddisfate i miei desideri signora e io non posso credere alla mia fortuna. Ma… chi sta arrivando? Entra Maître Jean SYLVIE Tiens c’est le majordome d’une de mes amies. Il vient fort à propos. SYLVIE Guarda, è il maggiordomo di una delle mie amiche. Giunge proprio a proposito. N. 7 quatour final Sylvie, Horace, Mazet et Maître Jean N. 7 quartetto finale Sylvie, Horace, Mazet e Maître Jean horace Ô douce joie! Dieu permet que je revoir Ses traits charmant!.. Heure cruelle, N’emporte pas sur ton aîle Ces doux moments! horace O dolce gioia! Dio permette che io riveda I suoi tratti incantevoli!.. Ora crudele, Non portare via sulla tua ala Questi dolci momenti! sylvie Comme la proie Autour du piège tournoie Etourdiment! Un coeur fidèle, Livre toujours à sa belle Un faible amant! sylvie Come la preda Intorno alla trappola volteggia Sconsideratamente! Un cuore fedele, Consegna sempre alla sua bella Un debole amante! maître jean Faut-il qu’on voie Se compromettre avec joie, Ouvertement, Une si belle Et si noble demoiselle Près d’un amant! maître jean Si possa vedere Compromettersi con gioia, Apertamente, Una così bella E così nobile fanciulla Presso un amante! mazet Nous voilà, pour lui plaire Dans un bel embarras!.. mazet Eccoci, per compiacerlo, In un bell’imbarazzo!.. horace Bon! Tire-toi d’affaire Du mieux que tu pourras!.. horace Bene! Chiarisci la faccenda Meglio che potrai!.. maître jean Madame se hasarde En quelque affreux repas. maître jean La Signora si azzarda In qualche orrendo pasto. horace Peut-être allez vous faire Une assez triste chère!.. horace Forse state per dare Un’accoglienza molto triste!.. 41 42 sylvie Pour apaiser ma faim, N’avez-vous pas du pain?.. sylvie Per placare la mia fame, Non avete del pane?.. maître jean Du pain?.. quelle démence!.. maître jean Del pane?.. che idiozia!.. horace C’est tout au plus, ma foi!.. horace È tutt’al più, in fede mia!.. maître jean Mais Madame!.. maître jean Ma signora!.. sylvie Silence!.. sylvie Silenzio!.. mazet Songez, seigneur!.. mazet Pensate, signore!.. horace Tais-toi!.. horace Taci! mazet Je me tais!.. mazet Taccio!.. horace Ô douce joie! Dieu permet que je revoir Ses traits charmant!.. Heure cruelle, N’emporte pas sur ton aîle Ces doux moments! horace O dolce gioia! Dio permette che io riveda I suoi tratti incantevoli!.. Ora crudele, Non portare via sulla tua ala Questi dolci momenti! mazet Ô folle joie! Qui livres comme une proie Un pauvre amant! A cette belle, Qui s’amuse la cruelle De son tourment! mazet O folle gioia! Che consegni come una preda Un povero amante! A questa bella, Che si diverte la crudele Del suo tormento! sylvie Comme la proie Autour du piège tournoie Etourdiment! Un coeur fidèle, sylvie Come la preda Intorno alla trappola volteggia Sconsideratamente! Un cuore fedele, Livre toujours à sa belle Un faible amant! Consegna sempre alla sua bella Un debole amante! maître jean Faut-il qu’on voie Se compromettre avec joie, Ouvertement, Une si belle Et si noble demoiselle Près d’un amant! Ils sortent tous, sauf Mazet maître jean Si possa vedere Compromettersi con gioia, Apertamente, Una così bella E così nobile fanciulla Presso un amante! Escono tutti, eccetto Mazet mazet seule Ah! Les hommes! Les hommes! Jeunes! Vieux! Riches! Pauvres! Tous tant que nous sommes, Ne m’en parlez pas! Brrrr… mazet solo Ah! Gli uomini! Gli uomini! Giovani! Vecchi! Ricchi! Poveri! Tutti quanti, Non me ne parlate! Brrrr… fin du 1.er acte fine del i atto acte ii atto ii N. 8 air Maître Jean, avant le rideau N. 8 air Maître Jean, davanti a sipario maître jean Le grand art de cuisine Où je me crois expert, Grâce à notre lésine, Est un art qui se perd. Il faut de grosses sommes Pour se bien goberger: Dans le siècle où nous sommes On ne sait plus manger! Voyez dans l’histoire Les gens d’autrefois; Ou se faisait gloire Au banquet des rois De manger, de boire, Pendant tout un mois! Ècuyers et pages Gens à tabliers, maître jean La grande arte della cucina Di cui mi credo esperto, Grazie alla nostra miseria, È un’arte che si perde. Servono delle grosse somme Per godersela bene: Nel secolo in cui siamo Non si sa più mangiare! Vedete nella storia Le genti di altri tempi; Quando ci si vantava Al banchetto dei re Di mangiare, di bere, Per un mese intero! Scudieri e paggi Gente con grembiuli, 43 44 Marmitons, maîtres queux, Aides et sommeliers A tous les stage, Par les escaliers, Descendaient et montaient Des caves aux celliers, Portant sur des plats informes Soutenus à quatre bras Des morceaux de viande énormes Et de grands pots d’hypocras! Et du soir au matin, Sans trêve ni relâche Les broches tournaient, Les fourneaux flambaient, Les viandes cuisaient: Témoin le noces de Gamache! Témoin le noces de Cana! Mais nous ne faisons plus, De ces bons diners là! Apprendisti, cuochi, Assistenti e sommeliers A tutti i piani, Per le scale, Scendevano e salivano Dalle cantine alle dispense, Portando su piatti informi Sostenuti da quattro braccia Dei pezzi di carne enormi E delle grandi brocche di vino! E dalla sera al mattino, Senza tregua né sosta Gli spiedi giravano, I fornelli ardevano, Le carni cuocevano: Testimone le nozze di Gamache! Testimone le nozze di Cana! Ma noi non facciamo più, Quelle cene così buone! v. recitatif Mazet, Horace v. recitativo Mazet, Horace MAZET MAZET Ah mon dieu que faire, que faire, que faire, que faire. Les fournisseurs refusent le moindre crédit. Et me voici mon panier vide. Ah je ne sais que devenir. Ah, mio dio, che fare. I fornitori rifiutano il minimo credito. Ed ecco il mio paniere vuoto. Ah non so cosa fare. HORACE Ebbene… ma come, non hai preparato nulla? Eh bien… mais comment, tu n’as rien préparé? MAZET HORACE MAZET Preparare cosa? Et quoi préparer? N. 9 duo Mazet, Horace horace Il faut d’abord dresser la table… N. 9 duo Mazet, Horace horace Bisogna innanzitutto apparecchiare la tavola… mazet Elle boit un peu!.. mazet Zoppica un po’!.. horace Maladroit!.. Sache la mettre au bon endroit!.. Prends ce que nous avons de linge présentable! horace Maldestro!.. Sappila mettere nel posto giusto!.. Prendi la biancheria più presentabile che abbiamo! mazet Où diable est-il? mazet Dove diavolo è? horace Dans le buffet. horace Nella credenza. mazet Je ne vois qu’une nappe à moitié déchirée! mazet Non vedo che una tovaglia mezza strappata! horace Donne! La voilà éparée! horace Dai qua! Eccola riparata! mazet En effet! mazet In effetti! horace C’est parfait! horace È perfetto! mazet Parfait, parfait, parfait, parfait!.. mazet Perfetto, perfetto, perfetto, perfetto!.. horace Parfait, parfait, parfait, parfait!.. horace Perfetto, perfetto, perfetto, perfetto!.. mazet, horace (à 2) L’adresse est par fois nécessaire Quand’ on n’a rien: Avec un peu de savoir-faire Tout ira bien. mazet, horace (a 2) L’ingegnosità è talvolta necessaria Quando non si ha niente: Con un po’ di savoir-faire, Tutto andrà bene. horace Maintenant les assiettes Les verres, les fourchettes! horace Adesso i piatti I bicchieri, le forchette! mazet Les assiettes du moins ne manquent pas ici mazet I piatti almeno qui non mancano 45 Elles sont deux: et les voici. Sono due: ed eccoli. horace Cela prouve en tout cas que ma vie est frugale! horace Ciò prova in ogni caso che la mia vita è frugale! mazet Quant aux verres Ils sont de grandeur inégale!.. horace Le petit en sera plus commode à sa main!.. mazet Les fourchettes sont en étain!.. horace Pour si peu faut-il qu’on soupire? Ton orgueil est trop éxigeant. Aisément on les fait reluire. Et l’étain devient de l’argent!.. mazet Oui, vraiment, C’est charmant! horace C’est charmant! 46 mazet Charmant, charmant charmant, charmant! mazet Quanto ai bicchieri Sono di grandezza diversa!.. horace Il piccolo sarà più comodo nella sua mano!.. mazet Le forchette sono di stagno!.. horace Per così poco dovremmo sospirare? Il tuo orgoglio è troppo esigente. Facilmente le facciamo lucidare. E lo stagno diventa argento!.. mazet Sì, davvero, È geniale! horace È geniale! mazet Geniale, geniale, geniale, geniale! horace Charmant, charmant charmant, charmant! horace Geniale, geniale, geniale, geniale! mazet, horace (à 2) L’adresse est par fois nécessaire Quand’ on n’a rien: Avec un peu de savoir-faire Tout ira bien. mazet, horace (a 2) L’ingegnosità è talvolta necessaria Quando non si ha niente: Con un po’ di savoir-faire, Tutto andrà bene. mazet Voilà sans doute un couvert admirable! Mais que servirons-nous maintenant sur la table? horace Que servirons-nous?.. mazet Oui! horace Que peux-tu nous servir?.. mazet Absolument rien!.. horace Diable!.. Le jardin peut déjà fournir Avec le raisin de ses treilles Des fruits qui rempliront pour le moins deux corbeilles. mazet D’accord! Mais les grappes vermeilles Ne sont pas bonnes à rôtir! horace Va toujours! Quant au reste, nous saurons y pourvoir!... va!.. Mazet va dans le jardin horace Ô pauvreté funeste! Qui m’empêches lui donner Un malheureux diner! Mazet revient du jardin mazet Ecco senza dubbio un coperto ammirevole! Ma cosa serviremo adesso sulla tavola? horace Cosa serviremo?.. mazet Sì! horace Cosa ci puoi servire?.. mazet Assolutamente niente!.. horace Diamine!.. Il giardino può già fornire Con l’uva delle sue vigne Dei frutti che riempiranno almeno due ceste. mazet D’accordo! Ma i grappoli vermigli Non sono buoni da arrostire! horace Va’ comunque! Quanto al resto, noi ci saremo per vedere!.. Va’!.. Mazet va in giardino horace O povertà funesta! Che mi impedisci di donarle Un misero pasto! Mazet torna dal giardino mazet Voici les fruits. mazet Ecco i frutti. horace Parbleu! J’y pense… horace Perbacco! Ci penso… 47 Fais main basse Sur tout ce qui demeure encor au poulailler. Fai man bassa Su tutto ciò che ancora resta nel pollaio. mazet Eh! Seigneur perdez-vous la tête? Nos poulets sont morts et la bête A tout mangé jusqu’au dernier!.. mazet Eh! Signore perdete la testa? I nostri polli sono morti e la bestia Ha mangiato tutto fino alla fine!.. horace Quoi!... rien!.. horace Cosa!.. Niente!.. mazet Voyez plutôt vous-même!.. Horace sort mazet Piuttosto guardate voi stesso!.. Horace esce mazet S’il trouve seulement un pigeon, par ma foi! Mon cher parrain sera plus habile que moi! Est-on assez fou quand on aime… Eh bien! Seigneur! Horace revient mazet Se trovasse solo un piccione, in fin dei conti! Il mio caro padrino sarà più abile di me! Si è piuttosto folli quando si ama… Ebbene! Signore! Horace ritorna horace Eh bien!.. tu te trompais! 48 mazet Comment?.. horace Prends ce qui reste et promptement. mazet Et que reste-t-il donc?.. horace Sylvie! horace Ebbene!.. Ti sbagliavi! mazet Come?.. horace Prendi ciò che resta e rapidamente. mazet E cosa resta dunque?.. horace Sylvie! mazet Sylvie! Y pensez-vous? Que j’aille ôter la vie à votre colombe! mazet Sylvie! Ci pensate? Che io vada a togliere la vita alla vostra colomba! horace Il le faut! Obéis, Et ne soufflé mot. horace È necessario! Obbedisci, E non fiatare. Pour recevoir ma belle Il n’est rien de trop beau! Meure pour elle Meure mon oiseau! Per ricevere la mia bella Non c’è niente di troppo bello! Muore per lei Muore il mio uccello! mazet Devait-il pour sa belle Te livrer au couteau?.. Tu meurs pour elle Pauvre oiseau! mazet Doveva per la sua bella Consegnarti al coltello?.. Tu muori per lei Povero uccello! N. 9 bis mélodrame Sylvie N. 9 bis mélodrame Sylvie sylvie (réveuse, un bouquet à la main) Me voilà tombée dans une étrange rêverie!.. Mille souvenirs me reviennent à la fois et je ne puis me défendre d’une certaine tristesse en parcourant ce pauvre domaine où j’ai condamné le segneur Horace à s’exiler!.. Je me reproche ma cruauté et je m’en veux de l’avoir sacrifié à d’indignes rivaux qui n’avaient pour me plaire ni sa jeunesse, ni son esprit, ni sa tendre façon d’aimer! sylvie (sognante, un bouquet in mano) Ed eccomi immersa in uno strano sogno!.. Mille ricordi mi tornano alla mente e non posso più difendermi da una certa tristezza percorrendo questa povera tenuta in cui ho condannato all’esilio il signor Horace!.. Mi rimprovero la mia crudeltà e mi pento di averlo sacrificato a rivali indegni che non avevano, per piacermi, né la sua giovinezza, né la sua intelligenza, né il suo tenero modo di amare! N. 10 romance Sylvie N. 10 romance Sylvie sylvie Que de rêves charmants emportés sans retour! Que de fragiles chaines! Que de promesses vaines! Que de serments trompeurs d’un éternel amour Oubliés ou trahis avant la fin du jour!.. sylvie Che sogni meravigliosi portati via senza ritorno! Che fragili catene! Che promesse vane! Quanti giuramenti ingannevoli di un eterno amore Dimenticati o traditi prima della fine del giorno!.. 49 Lui seul, ingrate Sylvie, En te donnant son âme, en te donnant sa vie, Lui seul, hélas ne mentait pas!.. Lui solo, ingrata Sylvie, Donandoti la sua anima, donandoti la sua vita, Lui solo, ohimè! Non mentiva!.. J’accueillais ses aveux d’un sourire vainqueur, Je riais de sa flamme, Je torturais son âme! Et malgré mes dédains et mon refus moqueur L’amour qu’il me jurait vit encor dans son coeur!.. Lui seul, ingrate Sylvie, En te donnant son âme, en te donnant sa vie, Lui seul, hélas ne mentait pas!.. Accoglievo le sue confessioni con un sorriso vincitore, Ridevo della sua passione, Torturavo la sua anima! E nonostante il mio disprezzo e il mio rifiuto beffardo L’amore che egli mi giurava vive ancora nel suo cuore!.. Lui solo, ingrata Sylvie, Donandoti la sua anima, donandoti la sua vita, Lui solo, ohimè! Non mentiva!.. vi. recitatif Sylvie, Horace Entre Horace SYLVIE Eh bien, seigneur, vous m’abandonnez. 50 vi. recitativo Sylvie,Horace Entra Horace SYLVIE Ebbene, signore, voi mi abbandonate. HORACE HORACE Excusez moi madame. J’avais un ordre a donner. Scusatemi signora. Avevo un ordine da dare. N. 11 madrigal Horace N. 11 madrigal Horace horace Ces attraits que chacun admire, Ce regard divin, ce sourire! Nous faisaient tomber tous, Hélas! Madame à vos genoux! Déesse ou femme, Ange des cieux! Qui ne s’enflamme horace Queste seduzioni che ognuno ammira, Questo sguardo divino, questo sorriso! Ci faceva cadere tutti, Ohimè! Signora alle vostra ginocchia! Dea o donna, Angelo dei cieli! Che non si infiamma A perdu l’âme, Ou bien les yeux. Cette voix que chacun adore, Cette douce voix chante encore! Qu’ils étaient ravissants, Mon Dieu! Madame, ces doux accents! Déesse ou femme, Ange des cieux! Qui ne s’enflamme A perdu l’âme, Ou bien les yeux. Ha perduto l’anima, Ovvero gli occhi. Questa voce che ognuno adora, Questa dolce voce canta ancora! Come erano incantevoli, Mio Dio! Signora, quei dolci accenti! Dea o donna, Angelo dei cieli! Che non si infiamma Ha perduto l’anima, Ovvero gli occhi. vii. recitatif Sylvie, Horace vii. recitativo Sylvie, Horace HORACE HORACE Mais puisque le repas se fait encore attendre ne me direz vous pas l’objet de votre visite? Ma mentre il pasto si fa ancora attendere non mi direste il motivo della vostra visita? SYLVIE SYLVIE Non, non, pas tout de suite. Quand nous aurons dîné. No, no, non subito. Quando avremo cenato. N. 12 quartettino Sylvie, Horace, Mazet, Maître Jean N. 12 quartettino Sylvie, Horace, Mazet, Maître Jean sylvie (à part) Déjà… son coeur… semble tout bas souscrire, A tous mes voeux!.. Et ce pendant je n’ose pas lui dire Ce que je veux! sylvie (a parte) Già… il suo cuore… sembra silenziosamente appagare Tutti i miei desideri!.. E nonostante ciò io non oso dirgli Ciò che io voglio! maître jean (à part) Puisqu’elle écoute avec un doux sourire De tels aveux, Pourquoi tarder si long temps à lui dire Quels sont ses voeux?.. maître jean (a parte) Poiché ella ascolta con un dolce sorriso Tali confessioni, Perché tardare così tanto a dirle Quali sono i suoi desideri?.. 51 horace (à part) Ah! Que sa bouche où passe un doux sourire Disse: je veux!.. Aveuglément je promets de souscrire A tous se voeux!.. horace (a parte) Ah! Che la sua bocca ove passa un dolce sorriso Dica: io voglio!.. Ciecamente prometto di soddisfare Tutti i suoi desideri!.. mazet Entre Seigneur, on peut se mettre à table! mazet Entra Signore, possiamo metterci a tavola! horace Pauvre Sylvie, hélas! Pardonne-moi ta mort! horace Povera Sylvie, ohimè! Perdonami la tua morte! sylvie Qu’a-t il à soupirer de cet air lamentable?.. Allons, seigneur! sylvie Cosa c’è da sospirare con questa aria pietosa?.. Andiamo, signore! maître jean Quel coup du sort par un oiseau rôti Remplace les fèves du seigneur Horace?.. maître jean Quale colpo del destino per un uccello arrosto Prende il posto delle fave del signor Horace?.. sylvie Nous n’avons plus besoin de vous! sylvie Non abbiamo più bisogno di voi! horace Puisqu’on l’ordonne, laisse-nous! horace Dal momento che lo si ordina, lasciaci! mazet, maître jean (à 2) Puisqu’on l’ordonne, éloignons-nous. mazet, maître jean (a 2) Dal momento che lo si ordina, allontaniamoci. sylvie (à part) Déjà… son coeur… semble tout bas souscrire, A tous mes voeux!.. Et ce pendant je n’ose pas lui dire Ce que je veux! sylvie (a parte) Già… il suo cuore… sembra silenziosamente appagare Tutti i miei desideri!.. E nonostante ciò non oso dirgli Ciò che io voglio! 52 maître jean (à part) Puisqu’elle écoute avec un doux sourire De tels aveux, Pourquoi tarder si long temps à lui dire Quels sont ses voeux?.. maître jean (a parte) Poiché ella ascolta con un dolce sorriso Tali confessioni, Perché tardare così tanto a dirle Quali sono i suoi desideri?.. mazet, maître jean (à part) Puisqu’elle écoute avec un doux sourire De tels aveux, Pourquoi tarder si long temps à lui dire Quels sont ses voeux?.. Mazet et Maître Jean s’en vont mazet, maître jean (a parte) Poiché ella ascolta con un dolce sorriso Tali confessioni, Perché tardare così tanto a dirle Quali sono i suoi desideri?.. Mazet e Maître Jean se ne vanno viii. recitatif Sylvie, Horace viii. recitativo Sylvie, Horace SYLVIE SYLVIE Qu’est ce cela, je vous prie? Che cos’è questo, vi chiedo? HORACE HORACE Un oiseau de ma chasse… Un uccello della mia caccia… SYLVIE SYLVIE Saveur étrange!.. Je n’ai jamais mangé d’un pareil mets. Me direz vous enfin votre secret. Strano sapore!.. Non ho mai mangiato una simile pietanza. Mi direte finalmente il vostro segreto. N. 13 duo Sylvie, Horace N. 13 duo Sylvie, Horace sylvie Hélas! Seigneur, pardonnez-moi si j’ose Vous demander l’unique chose Qui vous restait!.. Je ne mérite rien! Votre repos, votre honneur, votre bien S’en sont allés aux plaisirs de Sylvie! sylvie Ohimè! Signore, perdonatemi se oso Chiedervi l’unica cosa Che vi rimaneva!.. Non merito nulla! Il vostro riposo, il vostro onore, i vostri beni Se ne sono andati ai piaceri di Sylvie! 53 Vous m’aimiez, plus que votre propre vie! A vos feux j’ai mal répondu Et je m’en viens, pour comble d’injustice Vous demander… Eh quoi?.. c’est temps perdu.. Voi mi amavate, più della vostra stessa vita! Ai vostri fuochi ho risposto male E giungo, per eccesso di ingiustizia A chiedervi… Eh cosa?.. è tempo perso… horace Parlez!.. de grâce… horace Parlate!.. di grazia… sylvie Votre colombe. sylvie La vostra colomba. horace O ciel! 54 horace O cielo! sylvie A ce caprice L’oiseau d’Aminte et ses mépris Ont follement entraîne mes esprits. Mais non! Plutôt périsse Ma gloire aux yeux d’un monde inconstant et moqueur Que d’aller sans pitié vous arracher le coeur! sylvie A questo capriccio L’uccello di Aminte e il suo disprezzo Hanno follemente trascinato il mio spirito. Ma no! Piuttosto soccomba La mia gloria agli occhi di un mondo incostante e beffardo Che straziarvi il cuore senza pietà! horace Ô destin fatal! horace O destino fatale! sylvie Il hésite! sylvie Egli esita! horace Combien je suis infortuné!.. horace Quanto sono sfortunato!.. sylvie Adieu, seigneur; excusez ma visite!.. sylvie Addio, signore; perdonate la mia visita!.. horace L’oiseau n’est plus!.. vous en avez diné!.. Plût au ciel vous avoir à sa place servi mon coeur!.. Mais le sort me fait voir Qu’il ne sera jamais en mon pouvoir De mériter de vous aucune grâce. horace L’uccello non c’è più!.. ci avete cenato!.. Voglia Dio avervi servito il mio cuore al suo posto!.. Ma la sorte mi fa vedere Che non sarà mai in mio potere Meritare da voi alcuna grazia. sylvie L’oiseau n’est plus! sylvie L’uccello non c’è più! horace Rien ne m’était resté! Devant mes yeux l’oiseau s’est présenté: Je l’ai sacrifié sans peine! Rien coûte-t-il quand on reçoit sa reine?.. Ce que je puis pour vous, c’est de chercher Un autre oiseau! Ce n’est chose si rare Que dès demain l’on ne puisse en trouver. Dites un mot!.. horace Non mi era rimasto nulla! Davanti ai miei occhi l’uccello si è presentato: L’ho sacrificato senza difficoltà! Niente costa quando si riceve la propria regina?.. Ciò che posso fare per voi, è cercare Un altro uccello! Non è cosa tanto rara Che da domani non se ne possa trovare. Dite una parola!.. sylvie Non, seigneur! Je déclare Que c’est assez! Vous ne m’avez jamais donné De votre amour une marque si forte. Que sur moi désormais Ma rivale l’emporte, Ce n’est plus là le but de mes souhaits. Voici ma mai net qu’elle soit le gage D’un coeur dont vous avez amolli le courage. sylvie No, Signore! Io dico Che è abbastanza! Voi non mi avete mai dato Del vostro amore una prova così forte. Che su di me ormai La mia rivale abbia la meglio, Non è più quello l’obiettivo dei miei desideri. Ecco la mia mano e ch’ella sia il pegno Di un cuore di cui avete mitigato il coraggio. horace O délire! Ô bonheur! Dois-je croire à ce mot suprême?.. horace O delirio! O fortuna! Devo credere a questa parola suprema?.. sylvie Oui, seigneur! Je vous aime! sylvie Sì, signore! Io vi amo! horace Ah! Pour mon coeur C’est trop d’ivresse! J’étais vainqueur De ma tristesse, Mais de plaisir Je vais mourir! Oui, de plaisir Je vais mourir! horace Ah! Per il mio cuore È troppa ebbrezza! Ero vincitore Della mia tristezza, Ma di piacere Sto per morire! Sì, di piacere Sto per morire! 55 56 sylvie L’amour vainqueur De ma sagesse Livre mon coeur A sa tendresse Et de plaisir Me fait rougir! sylvie L’amore vincitore Della mia saggezza Abbandona il mio cuore Alla sua tenerezza E di piacere Mi fa arrossire! N. 14 final Sylvie, Mazet, Horace, Maître Jean N. 14 final Sylvie, Mazet, Horace, Maître Jean mazet (dans la coulisse) Apaisez, blanche colombe Votre faim Du grain de froment qui tombe De ma main! Mazet entre avec la colombe mazet (da dietro le quinte) Placate, bianca colomba, La vostra fame Di chicco di grano che cade Dalla mia mano! Mazet entra con la colomba horace Grand Dieu! horace Mio Dio! sylvie Que vois-je? sylvie Cosa vedo? mazet A Sylvie Le ciel a sauvé la vie… mazet A Sylvie Il cielo ha salvato la vita… horace Et comment? horace E come? maître jean (Montrant Mazet) En jetant tout exprès le perroquet d’Aminte dans ses rets. maître jean (Mostrando Mazet) Gettando volutamente il pappagallo di Aminte nelle sue reti. mazet Au moment où votre colombe Avait déjà, seigneur, une aîle dans la tombe! mazet Nel momento in cui la vostra colomba Aveva già, signore, un’ala nella tomba! sylvie Ah! C’est le perroquet d’Aminte Que tout à l’heure j’ai mangé! Ah! Ah! sylvie Ah! è il pappagallo di Aminte Che ho mangiato poco fa! Ah! Ah! horace Ma colombe, à présent, vous devient inutile. sylvie Non, seigneur si chaque jour Elle rappelle à mon coeur votre amour! maître jean Bah! mazet L’amour avec vous nous ramène à la ville! L’amour vainqueur A sa tendresse, Livre le coeur De sa maîtresse. Un tel plaisir Fait-il mourir? sylvie L’amour vainqueur De ma sagesse Livre mon coeur A sa tendresse Et de plaisir Me fait rougir! horace Ah! pour mon coeur C’est trop d’ivresse J’étais vainqueur De ma tristesse Mais de plaisir Je vais mourir! maître jean L’amour vainqueur Dont la comtesse Goûte en son coeur La douce ivresse Au repentir Doit aboutir. fin horace La mia colomba, adesso, vi sarà inutile. sylvie No, signore se ogni giorno Ella ricorda al mio cuore il vostro amore! maître jean Bah! mazet L’amore con voi ci conduce al centro, L’amore vincitore Alla sua tenerezza, Abbandona il cuore Della sua padrona. Un tale piacere Fa morire? sylvie L’amore vincitore Della mia saggezza Abbandona il mio cuore Alla sua tenerezza E di piacere Mi fa arrossire! horace Ah! Per il mio cuore È troppa ebbrezza Ero vincitore Della mia tristezza Ma di piacere Sto per morire! maître jean L’amore vincitore Di cui la contessa Gusta nel suo cuore La dolce ebbrezza Al pentimento Deve approdare. fine Traduzione dal francese di Barbara Valdambrini 57 Orchestra della Toscana Violini primi Andrea Tacchi * Daniele Giorgi * Paolo Gaiani ** Gabriella Colombo Marcello D’Angelo Chiara Foletto Alessandro Giani Susanna Pasquariello Violini secondi Chiara Morandi * Angela Asioli ** Patrizia Bettotti Paolo Del Lungo Francesco Di Cuonzo Marian Elleman 58 Viole Stefano Zanobini * Pier Paolo Ricci ** Caterina Cioli Alessandro Franconi Violoncelli Luca Provenzani * Christine Dechaux ** Stefano Battistini Giovanni Simeone Contrabbassi Gianpietro Zampella * Luigi Giannoni ** Flauti Fabio Fabbrizzi * Elisa Cozzini Oboi Alessio Galiazzo * Flavio Giuliani * Clarinetti Marco Ortolani * Francesco Negrini* Fagotti Paolo Carlini * Umberto Codecà * Corni Andrea Albori * Paolo Faggi * Giulia Montorsi Gianluca Mugnai Trombe Donato De Sena * Alessandro Presta Timpani Morgan M.Tortelli * Arpa Cinzia Conte * * prime parti ** concertino Ispettore d’orchestra e Archivista Alfredo Vignoli Tecnici di palcoscenico Francesco Vensi Angelo Del Rosso ORCHESTRA DELLA TOSCANA Si è formata a Firenze nel 1980 per iniziativa della Regione Toscana, della Provincia e del Comune di Firenze. Nel 1983, durante la direzione artistica di Luciano Berio, è diventata Istituzione Concertistica Orchestrale per riconoscimento del Ministero del Turismo e dello Spettacolo. Attualmente la direzione artistica è affidata a Giorgio Battistelli, succeduto ad Aldo Bennici, uno dei padri fondatori dell’ORT. Composta da 45 musicisti, che si suddividono anche in agili formazioni cameristiche, l’Orchestra realizza le prove e i concerti, distribuiti poi in tutta la Toscana, nello storico Teatro Verdi, situato nel centro di Firenze. Le esecuzioni fiorentine sono trasmesse su territorio nazionale da Radiorai Tre e in Regione da Rete Toscana Classica. Interprete duttile di un ampio repertorio che dalla musica barocca arriva fino ai compositori contemporanei, l’Orchestra riserva ampio spazio a Haydn, Mozart, tutto il Beethoven sinfonico, larga parte del barocco strumentale, con una particolare attenzione alla letteratura meno eseguita. Una precisa vocazione per il Novecento storico, insieme a una singolare sensibilità per la musica d’oggi, caratterizzano la formazione toscana nel panorama musicale italiano. Ospite delle più importanti società di concerti italiane, si è esibita con grande successo al Teatro alla Scala di Milano, al Maggio Musicale Fiorentino, al Comunale di Bologna, al Carlo Felice di Genova, all’Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto di Torino, all’Accademia di S. Cecilia di Roma, alla Settimana Musicale Senese, al Ravenna Festival, al Rossini Opera Festival e alla Biennale di Venezia. Numerose le sue apparizioni all’estero a partire dal 1992: più volte nei teatri della Germania, del Giappone e del Sud America, e poi a Cannes, Edimburgo, Hong Kong, Madrid, New York, Parigi, Salisburgo, Strasburgo. Tra i prestigiosi musicisti che hanno collaborato con l’ORT citiamo: Roberto Abbado, Salvatore Accardo, Martha Argerich, Rudolf Barshai, Bruno Bartoletti, Yuri Bashmet, George Benjamin, Luciano Berio, Frans Brüggen, Mario Brunello, Sylvain Cambreling, Kyung Wha Chung, Myung-Whun Chung, Alicia De Larrocha, Enrico Dindo, Gabriele Ferro, Eliot Fisk, Rafael Frübech De Burgos, Gianandrea Gavazzeni, Gianluigi Gelmetti, Irena Grafenauer, Natalia Gutman, Daniel Harding, Heinz Holliger, Eliahu Inbal, Kim Kashkashian, Ton Koopman, Gidon Kremer, Yo-Yo Ma, Gustav Kuhn, Alexander Lonquich, Andrea Lucchesini, Peter Maag, Eduardo Mata, Peter Maxwell Davies, Mischa Maisky, Sabine Meyer, Midori, Shlomo Mintz, Viktoria Mullova, Roger Norrington, David Robertson, Esa Pekka Salonen, Hansjoerg Schellenberger, Heinrich Schiff, Jeffrey Tate, Jean-Yves Thibaudet, Vladimir Spivakov, Uto Ughi, Maxim Vengerov, Radovan Vlatkovich. L’Orchestra ha inciso per Caroman, Foné, EMI Classics, Ricordi, Agorà, Splasc(h), Dreyfus, Blue Label. Per l’Accademia Musicale Chigiana ha inciso: Le Congiurate di 59 Schubert con Gérard Korsten per la regia di Denis Krief e il Requiem di Mozart con Gianluigi Gelmetti. Recentemente ha inciso Le sette ultime parole del nostro Redentore in Croce di Haydn, concertatore Andrea Tacchi, Play It! con musiche di Sylvano Bussotti, Carla Rebora, Riccardo Panfili per VDM Records. 60 PHILIPP VON STEINAECKER Cresciuto ad Amburgo, ha iniziato i suoi studi presso la Musikhochschule di Lubecca. Durante il liceo ha fatto il suo debutto alla Musikhalle di Amburgo come violoncellista ed è stato membro sia dell’Orchestra Giovanile Tedesca sia della Gustav Mahler Jugendorchester. Dopo la maturità ha studiato presso la Musikhochschule di Vienna e soprattutto presso la Juilliard School di New York con Harvey Shapiro, dove ha compiuto gli studi con il titolo di Master of Music. In seguito ha studiato il violoncello barocco presso il CNSM a Parigi nella classe di Christophe Coin. Ha infine compiuto i suoi studi di direzione d’orchestra con Mark Stringer e Yuchi Yoasa presso l’Università di Musica di Vienna. Nel 2008 ha vinto il concorso di direzione Melgaard OAE Young Conductor Auditions a Londra ed è stato l’assistente dell’Orchestra of the Age of Enlightenment per un anno lavorando con direttori come Rattle, Jurowski, Norrington. Ha preparato l’Orchestra of the Age of Enlightenment per Vladimir Jurowski, la Symphonica Toscanini per Lorin Maazel, la Trondheim Symphony Orchestra per Daniel Harding ed ha assistito lo stesso Harding all’Orchestra della Radio Svedese di Stoccolma e alla London Symphony Orchestra. È stato l’assistente di John Eliot Gardiner per la sua produzione di Pelléas e Mélisande all’Opéra Comique a Parigi. Nell’ottobre 2010 ha diretto il concerto finale dell’Orchestra dell’Accademia Gustav Mahler a Bolzano con musiche di Mozart, Saint-Saëns e Schumann. È fondatore e direttore dell’orchestra Musica Saeculorum in Alto Adige. Con questo gruppo ha debuttato alle Settimane Mahleriane 2008 a Dobbiaco con un programma di cantate di Bach. Inoltre il gruppo si è esibito con un programma per Salonorchester su strumenti del Novecento, con cantate natalizie di Bach, Charpentier e Händel, con il Lied von der Erde di Mahler e con la Messa in do minore e la Jupiter di Mozart. Steinaecker dirige anche i Solisti della Mahler Chamber Orchestra. L’ensemble si è presentato sotto la sua direzione musicale nell’ambito delle Wiener Festwochen 2007 con musiche di Schönberg, Berg, Stravinskij e Janáþek. Insieme a sua moglie, la flautista Chiara Tonelli, è direttore artistico del Festival di Musica da Camera a Castel Presule vicino a Bolzano. È membro della Mahler Chamber Orchestra con Daniel Harding e della Lucerne Festival Orchestra con Claudio Abbado. Viene regolarmente invitato come primo violoncello dagli English Baroque Soloists e dall’Orchestre Révolutionaire et Romantique di John Eliot Gardiner, dalla Camerata Academica Salzburg ed ha anche collaborato spesso con l’ensemble barocco Le Concert d’Astrée di Emanuelle Haïm. Ha suonato con i Wiener Philharmoniker in tutto il mondo e sotto la direzione di tutti i maggiori direttori di oggi. DENIS KRIEF Artista romano di formazione cosmopolita, ha studiato musica a Parigi e si è formato alla scuola italiana di regia guardando con attenzione anche al teatro d’opera in Germania e, soprattutto, facendo tesoro degli allestimenti del teatro di prosa russo. Musicista e uomo di teatro, si distingue per l’originalità e la profondità nella lettura del repertorio sia classico sia contemporaneo: ha realizzato regie di opere distanti nel tempo, da La clemenza di Tito di Mozart alle prime italiane di Morte di Klinghoffer di John Adams, a Prova d’orchestra di Giorgio Battistelli. «… ricreata con ammirevole forza drammatica seppur attraverso la rinuncia ai tradizionali gesti melodrammatici» è la menzione speciale che la critica musicale italiana con il Premio Abbiati 2000 ha attribuito a Denis Krief per la realizzazione di Turandot di Puccini, Turandot di Busoni, Carmen e Lucia di Lammermoor. Richiesto dai teatri d’opera italiani, ma anche al Teatro Helicon di Mosca (Macbeth di Verdi e Jolanta di ýajkovskij), all’Opera La Bastille di Parigi con Benvenuto Cellini di Berlioz, al Teatro Karlsruhe in Germania, dove in questo periodo è impegnato nell’allestimento della Tetralogia di Wagner. In Italia ha lavorato al Teatro dell’Opera di Roma per il Sogno di una notte di mezza estate di Britten, al Massimo di Palermo Moses und Aron di Schönberg, al Comunale di Bologna Un ballo in maschera di Verdi, al Lirico di Cagliari, e spesso con la direzione di Gérard Korsten, Lucia di Lammermoor, Aida, Il barbiere di Siviglia, e la prima italiana di Die ägyptische Helena di Richard Strauss. Nel 2005 ha riscosso apprezzamento di pubblico e critica per la regia del Parsifal al Teatro La Fenice di Venezia. Si ricorda il successo delle sue regie realizzate a Siena per passate edizioni della Settimana Musicale Senese: Le congiurate di Schubert (2004); Die Heimkehr aus der Fremde (Il ritorno da lontano) di Mendelssohn (2005), La madre del mostro di Vacchi (2007), La fede ne’ tradimenti di Ariosti (2011). LAURA GIORDANO È considerata una dei più talentuosi soprani della sua generazione, apprezzata da pubblico e critica. È nata a Palermo e ha debuttato giovanissima nel ruolo della protagonista ne I pazzi per progetto di Donizetti e nell’Adina di Rossini al Teatro Massimo di Palermo. In seguito ha calcato i palcoscenici di molti fra i più prestigiosi teatri internazionali, fra i quali il Teatro alla Scala di Milano, il Festival di Salisburgo, l’Opéra National de Paris, il Théâtre des Champs-Elysées de Paris. Ha collaborato con direttori d’orchestra 61 quali Riccardo Muti, Riccardo Chailly, Valery Gergiev, Gianandrea Noseda, Jesus Lopez Cobos, Rinaldo Alessandrini, Jurij Bashmet, Kazushi Ono, Christophe Rousset, JeanChristophe Spinosi, Alberto Zedda, Paolo Arrivabeni, Michel Plasson. Ha inciso L’Olimpiade di Vivaldi con Rinaldo Alessandrini (Opus 111) e brani inediti di Rossini con Riccardo Chailly (Decca), ha registrato inoltre dvd de La bohème nella produzione del Teatro Real di Madrid diretta da Lopez Cobos, del Don Pasquale diretto da Riccardo Muti e de La pietra del paragone diretto da Jean-Christophe Spinosi. 62 LAURA POLVERELLI Laura Polverelli è ospite abituale delle più importanti istituzioni musicali italiane ed estere quali il Teatro alla Scala, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, l’Accademia Chigiana di Siena, il Teatro La Fenice, il Teatro Carlo Felice di Genova, il Teatro Comunale di Bologna, il Teatro Regio di Torino, il Teatro San Carlo, la Bayerische Staatsoper, il Festival di Glyndebourne, l’Opéra de Lyon, l’Opéra de Montecarlo, il Rossini Opera Festival, il Teatro Réal di Madrid, il Théâtre des Champs Elysées, il Théâtre Royal de la Monnaie, collaborando con molti fra i più importati direttori d’orchestra come Claudio Abbado, Riccardo Muti, Zubin Mehta, Jeffrey Tate, Rinaldo Alessandrini, Gary Bertini, Fabio Biondi, Riccardo Chailly, Ottavio Dantone, Sir Colin Davis, Gianluigi Gelmetti, Jésus Lopez-Cobos, René Jacobs, Jean-Claude Malgoire, Andrea Marcon, Carlo Rizzi, Christophe Rousset, Alain Lombard, Gianandrea Noseda. Il suo repertorio comprende specialmente ruoli rossiniani e mozartiani, oltre ad essere molto apprezzata nel repertorio barocco. Molto intensa anche la sua attività concertistica che la vede impegnata su un vasto repertorio che spazia da Pergolesi a Caldara, da Bach a Berlioz. La discografia di Laura Polverelli comprende registrazioni con le case discografiche FNAC, Auvidis, Teldec, Decca, Virgin, Mondo Musica, Opus 111e Dynamic. JUAN FRANCISCO GATELL Il tenore ispano-argentino Juan Francisco Gatell nasce a La Plata (Argentina) nel 1978 e inizia gli studi musicali all’età di nove anni presso il Conservatorio della sua città. Prosegue i suoi studi perfezionandosi a Madrid. Dalla stagione 2005/2006 inizia la sua carriera in importanti teatri italiani e stranieri cantando ruoli come l’Innocente (Boris Godunov al Maggio Musicale Fiorentino diretto dal S. Bichkov), il Conte di Almaviva (Barbiere di Siviglia), Don Ottavio (Don Giovanni) al Teatro dell’Opera di Roma e Tamino (Die Zauberflöte) a Venezia. Contemporaneamente arricchisce il suo repertorio con concerti sinfonici al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino e al Ravenna Festival diretto da Riccardo Muti. Ancora con Muti si è esibito tra l’altro al Musikverein di Vienna, al Théatre des Champs-Elysées di Parigi e a Salisburgo. Nel 2006 vince il 57° Concorso As.Li.Co. Nella stagione 2007/2008 ha debuttato a Parigi all’Opera Garnier in Capriccio di Strauss e al Teatro Real di Madrid con Il Burbero di buon cuore di Martin y Soler. Nel 2009 con una nuova produzione de Il Viaggio a Reims debutta al Teatro alla Scala di Milano nel ruolo di Belfiore, diretto da Ottavio Dantone. Il suo sodalizio con Riccardo Muti lo riporta a Salisburgo nello stesso anno, dove interpreta il ruolo di Eliézer nel Moise et Pharaon di Rossini, poi riproposto nel 2010 al Teatro dell’Opera di Roma. Debutta nel 2009 negli Stati Uniti come Conte d’Almaviva nel Barbiere di Siviglia alla Washington Opera. FILIPPO POLINELLI Nato a Tortona nel 1984, ha iniziato gli studi come basso per poi proseguirli come baritono. Nel 2006 ha intrapreso l’attività professionale, debuttando in Manon di Massenet al Teatro alla Scala e in Otello di Verdi a Rovigo, Bolzano, Rimini, Ravenna, Trento, Livorno e Savona. Nel 2007 ha debuttato al Teatro Regio di Parma in La pietra del paragone di Rossini, in La Gazzetta di Rossini e nel Don Chisciotte di Mercadante al Bad Wildbad Belcanto Opera Festival. Ha collaborato con importanti direttori d’orchestra, quali Ion Marin, Donato Renzetti, Jurij Temirkanov, Zubin Mehta e registi quali Nicolas Joël, Giorgio Barberio Corsetti, Ursel e Karl-Ernst Herman. Ha al suo attivo incisioni per Naïve, Naxos e Rai Trade. Recentemente ha cantato ne Le convenienze e inconvenienze teatrali al Teatro alla Scala, ha partecipato a Tokyo ad una serata di gala accanto a Placido Domingo, ha cantato ne La forza del destino diretta da Zubin Mehta, prima al Maggio Musicale Fiorentino e poi in tournée a Tokyo, ed è stato al Regio di Parma con Un ballo in maschera. Nel 2012 ha cantato ne Il barbiere di Siviglia a Bari sotto la direzione di Lorin Maazel e Don Pasquale al Teatro alla Scala di Milano. 63 L’Orchestra della Toscana. Lucia Ronchetti. Giovedì 11 luglio Teatro dei Rozzi ore 21.15 LUCIA RONCHETTI Roma 1963 Blumenstudien madrigale a cinque voci con musica di Gesualdo da Venosa Prima esecuzione italiana Hombre de mucha gravedad (da Le damigelle d’onore di Velázquez) drammaturgia per quattro voci e quartetto d’archi Prima esecuzione italiana *** Anatra al sal comedia armonica per sei voci Pinocchio, una storia parallela drammaturgia per quattro voci maschili su testo di Carlo Collodi 66 Neue Vocalsolisten Stuttgart Sarah Maria Sun Truike van der Poel Daniel Gloger Martin Nagy Guillermo Anzorena Andreas Fischer soprano mezzosoprano controtenore tenore baritono basso Ensemble Alter Ego Aldo Campagnari Jacopo Bigi Stefano Zanobini Francesco Dillon violino violino viola violoncello 67 DRAMMATURGIE PER LA CHIGIANA Lucia Ronchetti I miei lavori di teatro musicale sono riconducibili a quattro tipi formali che si possono definire: opere, opere corali, action concert pieces e drammaturgie. Le Drammaturgie presentate a Siena dai Neue Vocalsolisten, sono esperimenti di teatro musicale in assenza di scena e di azione, basati sull’identificazione acustica degli interpreti con i personaggi, assecondati dalla presenza di un libretto e di un impianto narrativo evidente. Questo tipo di teatro in concerto fa riferimento alla tradizione rinascimentale dei madrigali rappresentativi. 68 Anatra al sal è il mio primo lavoro composto per i Neue Vocalsolisten nel 1999 su libretto e ideazione drammaturgica di Ermanno Cavazzoni. È una sorta di ‘opera gastronomica’, uno sguardo indiscreto nella cucina di cinque chef che dapprima discutono animatamente di ciò che devono cucinare, poi litigano violentemente per la preparazione del piatto, un’anatra al sale, ma alla fine portano armonicamente a compimento il procedimento culinario stupiti dall’ottimo risultato ottenuto. I conflitti e le riconciliazioni sono rappresentati nel contrappunto vocale e confidati alla capacità degli interpreti di presentare il proprio personaggio, il suo carattere e le sue attitudini esclusivamente attraverso l’esecuzione musicale, lasciando immaginare al pubblico il luogo e la scenografia ideali. L’azione drammaturgica è percepibile solo se si rispettano i tempi, le scansioni e le sincronie del dialogo tra i personaggi. La temporalità degli scambi dialogici (che subisce una naturale variazione in accelerando, nei momenti di tensione o di litigio e in rallentando, nei momenti di riconciliazione e di generale soddisfazione), crea una temporalità specifica, che permette un’utilizzazione virtuosistica delle sei voci concepita ad personam per i Neue Vocalsolisten. La caratterizzazione di ogni voce è realizzata anche grazie all’elaborazione del testo creata da Ermanno Cavazzoni secondo una scelta mono-vocalica studiata sui differenti ambiti. Cinque delle sei voci hanno un testo realizzato interamente su una sola vocale, artificio retorico della categoria dei lipogrammi, spesso utilizzati nella poesia del Cinquecento. Es. 1 propongo lor: col pomodoro sol lo sopporto, solo lo godo col pomodoro. Modo ortodosso, pronto con poco: pomodoro odoroso, grosso polposo; pomodoro rotondo, rosso, lo sgrondo. Lo scotto, lo spolpo, &))&&) oh pomodoro! oh nostro onor! Col pomodoro rosso monocromo. Oh porco mondo Salsa malsana fa far la cacca… Tremende scemenze… La salsa tartara ha la fragranza, la salsa tartara adatta all'anatra Col pomodoro La salsa tartara Oh! Ah! Gustum luctum… gustum funus… :1%+%,%%&%9 '%+-%&&% 1%--%1%--% (%%:(%,,%'% %(%%*+%'%,,%'% %(%%%(%,%/% *%#&%%'%+-%&&% &%:$%&5 5,5%'%+-%&&% &%/% %%'*&%%-% /%1%'%+%:% %'%+-%&&%*%%(% Messer se permette, '!--!-!&!!+!--!9 Mulsum mustur guttur vult… !--!-!&!!+!--! Mulsum mustum Eh! Uh! Il basso Andreas Fischer, rappresenta il cuoco più importante e famoso del gruppo. Consulta solo testi latini, utilizzando unicamente parole con la vocale ‘u’ ed interviene con brevi e sarcastici commenti, anch’essi in latino. È al suo seguito una assistente-interprete, Susanne Leitz-Lorey, soprano lirico, la quale, traducendo liberamente e poeticamente i rigidi interventi del basso, è l’unica voce libera dalla gabbia monovocalica e rappresenta quindi un fil-rouge tra tutte le voci e le vocali, nonché il tenor fondante tutti i divenire armonici sui quali è fondato il contrappunto a 5 dei cuochi. L’utilizzo dei mono-vocalismi sottolinea l’effetto comico ricercato ed emancipa la struttura timbrica particolare di ogni voce. Per la seconda drammaturgia composta per i Neue Vocalsolisten nel 2005, Pinocchio, una storia parallela, ho deciso di fare riferimento ad un racconto universalmente noto, il Pinocchio di Collodi, per poter dare ai quattro interpreti la possibilità di evocare il paesaggio scenico e di scolpire allo stesso tempo la presenza musicale dei diversi personaggi, potendo contare su un automatico riconoscimento dell’azione da parte del pubblico. Il testo di Collodi è stato selezionato secondo la lettura analitica di Giorgio Manganelli che costruisce, a partire dall’originale, un’infinità di ramificazioni e varianti, evocando infiniti racconti possibili, tutti virtualmente contenuti e paralleli al Pinocchio originale. Questo procedimento è trasferito in ambito compositivo, soprattutto nella organizzazione formale 69 a ‘palinsesto’, con brevissime scene ‘acustiche’ incastrate le une dentro le altre, per ricreare il labirinto e lo spaesamento dell’innocente burattino. Anche i ruoli, che sono impersonati dalle quattro voci maschili, cambiano continuamente ed evidenziano le realtà vocali indipendenti di cui sono portatori i quattro solisti. In questo caso il teatro musicale scaturisce dal progetto poetico e dalle possibilità vocali dei cantanti. Daniel Gloger, il controtenore, è Pinocchio, con un vasto ambito di inclinazioni e tentazioni ma con l’aspirazione alla normalità. Martin Nagy, il tenore, rappresenta tutte le presenze delicate e positive (Geppetto, la Fatina, il Delfino), Guillermo Anzorena, il baritono, viaggia tra i personaggi crudeli, comici e buffoneschi, dando voce al Pescatore, il Gatto e la Volpe, oltre che naturalmente a Mangiafuoco. Il basso Andreas Fischer, è la voce ex-machina, Manganelli, Collodi, un possibile spettatore. Il quartetto si riunisce a tratti per rappresentare il paesaggio italiano evocato da Collodi, in una trasposizione acustica basata sull’agogia frenetica degli spostamenti del burattino. Violente esplosioni sonore si alternano a malinconiche sospensioni, secondo gli stati d’animo di ansia, sorpresa, attesa e paura di Pinocchio. 13 Stringendo Es. 2 ENSEMBLE 35 CTen P J J Oh! E' P[falsetto] T Bar. " J J Oh! E' P J 70 J Oh? Q B " Ì un E' 3 TGG TGG 5( Q TGG D¡ ¡ O¡ ! ! D ¡ ¡ ! ¡ D ¡ ³ ³ ³ ³ ³ [³ ³ [³ ³ D¡ ¡ D¡ ¡ O¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ¡ ! in - sa-na - bi-le con - ta-gio di fu -ghe, ten-ta - zio - ni, sco-per - te, a tempo I , leggero, come danza interrotta CTen Pi - noc - chio Pi - noc - chio ³ Pi - noc - chio Pi pi - - - pi - - - pi - - - pi - - pi - pi - - pi - - pi - - ( T ( " ¡ D¡ ¡ D¡ ¡ Pi - noc - chio Pi Pi " ¡ ¡ ¡ ¡ Pi - noc - chio pi - pi - - - pi - pi - - - pi - - pi - pi - - - pi - Pi - noc - chio Pi D³ ³ Pi - noc - chio Pi Pi D¡ D¡ ¡ D ³ pi - pi - - - pi - - - pi - - pi - - - pi - - pi - - pi ( B ³ D ¡ ³ D ¡ ¡ ¡ ¡ D ¡ ¡ D ¡ ¡ Pi - noc - chio Pi - noc - chio Bar. ri - ve - la - zio - ni. Improvviso ripetere con accelerazioni ( D¡ ¡ D¡ ³ ¡ ¡ ¡ D¡ D¡ ¡ 36 fru - sta - zio- ni, pi ¡ pi D¡ D¡ ¡ Pi - noc - chio D³ pi ³ D ³ pi pi - - - pi - - pi - - - pi - - - pi - - pi - - - pi - - pi - RTC - 1786 © Rai Trade Hombre de mucha gravedad, per quartetto vocale e quartetto d’archi, è uno studio acustico di Las Meninas di Velázquez, composto nel 2002. Ogni personaggio del quadro è rappresentato nella partitura da abbinamenti tra voci e strumenti che si dispongono secondo la gabbia spaziale ideata da Velázquez per i suoi personaggi, rompendo le fila del doppio quartetto e descrivendo una profondità orizzontale di primi piani e di retro-scene. Gli otto straordinari solisti per i quali il lavoro è stato composto, sono chiamati anche a riproporre, attraverso una articolata rete di citazioni letterarie, alcune delle idee estetiche legate allo stile di Velázquez ed alla sua elaborata ricerca pittorica. Grazie alla ricchissima letteratura critica relativa a Las Meninas, è stato possibile per Andrea Fortina, autore della raccolta di frammenti da testi spagnoli del Seicento, arrivare a definire ogni figura del quadro quale persona con specifiche funzioni e posizioni nei confronti della corte di Filippo IV e quale ‘argomento’ e destinatario dello specifico collage testuale. Velázquez, in piedi vicino alla tela rovesciata, è rappresentato dal primo violino. È lui l’Hombre de mucha gravedad che con interventi puntualissimi, concisi, arditi e funambolici sprigiona le linee dello sviluppo formale e provoca, in continua acrobazia, la formazione delle campiture sonore. La nana di corte Mari Bàrbola, in piedi alla destra del gruppo, rappresenta la follia provocatoria e la messa in discussione delle regole formali. Al soprano che la interpreta sono affidati frammenti di canzoni popolari, poesie d’amore e proverbi che determinano esplosioni volgari ed improvvisa saggezza. L’Infanta Margherita, apparente protagonista del dipinto, è trasfigurata in musica dal controtenore e dal violoncello. Il duo è sempre trattato con trame trasparenti e sospese per esprimere il contrasto tra il sogno e la costrizione. José Nieto Velázquez, direttore dell’Arazzeria della Regina, in fondo al dipinto, affacciato ad una porta da cui penetra la luce, è rappresentato dal baritono attraverso diversi frammenti di testo che dettano e definiscono l’argomento principale di tutto il lavoro: il disincanto. La cupezza e l’eleganza dei suoi interventi sono spesso interrotte dai duetti isterici di Doña Marcella de Ulloa (guardia minore delle dame) e del Guarda Dame (entrambi in secondo piano, quasi nell’ombra, sulla destra del dipinto). Rappresentati dall’unione di soprano, controtenore e secondo violino, i guardiani delle dame commentano e sottolineano le regole della corte attraverso poesie ed emblemata, esprimendo devozione e paura attraverso silenziose accelerazioni e improvvisi sussurri. La follia incontenibile caratterizza invece i contraddittori interventi del Nano di corte italiano, Nicola Pertusato che con proverbi, scioglilingua osceni, e cantilene italiane rompe e distrae il ritmo compassato della virtuale ‘conversazione’ tra i personaggi convenuti intorno al quadro ed al Maestro. I ritmi caratteristici 71 ed i colori screziati del linguaggio di Pertusato sono trasposti in musica attraverso l’unisono tra il baritono e la viola. Tutto l’ordito degli interventi dei diversi personaggi, rappresentati in musica da solisti o piccoli gruppi, è infine avvolto e sottolineato dallo scorrere del Tempo, divenuto personaggio attraverso l’interpretazione del basso che cita cronache del tempo e dispensa tecniche pittoriche ed alchemiche generando l’organizzazione armonica ed il sostegno contrappuntistico dei diversi movimenti. Lo specchio che rimanda ai visitatori l’immagine dei reali, forse reale oggetto del dipinto, interrompe la confusione della conversazione con mormorii e bisbigli di stupore affidati al quartetto vocale così riunito. La coppia reale, presenza incombente sul dipinto e su tutti i personaggi, è invece rappresenta dal quartetto d’archi che riflette ed esaspera le indicazioni del quartetto vocale. «Quedo adbatito», è il commento sintomatico finale della coppia reale, alla sconsolata intonazione sul logorarsi del tempo e dei tempi dell’Infanta Margherita tratta da Luís de Gongora. Es. 3 72 Blumenstudien, Madrigale a cinque voci, è l’ultimo pezzo composto per i Neue Vocalsolisten e corona tredici anni di collaborazione, scambi di idee e amicizia. È un regalo all’ensemble che chiedeva una nuova interpretazione compositiva della musica di Gesualdo, realizzata appositamente per le loro voci. Ho creato per loro una selezione di frammenti dal V e VI libro dei madrigali, adattando la musica per le tessiture e le caratteristiche vocali delle cinque voci e rielaborando l’originale con un nuovo testo, una selezione di frammenti da poesie tedesche dedicate ai fiori, secondo una selezione di Marie Luise Knott. L’armatura appartenuta a Gesualdo da Venosa. Frammenti da Barthold Heinrich Brockes, Hugo von Hofmannsthal, Christian Morgenstern, Rainer Maria Rilke, Angelus Silesius, Ludwig Uhland, Sigmund von Birken e Johannes Klaj sono alternati al poema principale, «La metamorfosi delle piante», una elegia scritta da Johann Wolfgang von Goethe nel 1798. Es. 4 © Rai Trade 73 Quale composizione ‘interpretativa’ ho solo aggiunto all’originale indicazioni riguardanti l’andamento, l’intensità e l’attitudine vocale, cercando di realizzare il contrappunto vocale originario in una nuova visione moderna propria dei Neue Vocalsolisten e del loro stile interpretativo, evidenziando la loro ricerca timbrica e la loro immensa paletta coloristica. Ho cercato di enfatizzare gli effetti scultorei della texture gesualdiana, il suo gioco continuo di pieni e vuoti, come se la sua musica fosse uno specchio acustico dell’architettura borrominiana. Uno spazio sonoro dove le voci possono entrare e disegnare florescenze vocali. Il testo di Goethe descrive la progressiva e complessa evoluzione dell’essere vegetale, dal buio della terra verso l’esplosione di colori generata dalla fioritura in una sorta di labirintico vortice che si innalza verso la luce. La descrizione è interrotta da alcuni ritratti di fiori, immagini poetiche scevre da intenzioni metaforiche: la rosa di Silesius, l’ortensia blu di Rilke, il giacinto di Brockes, il botton d’oro di Morgenstern sono descritti in quanto presenze dalla misteriosa e caduca bellezza. Ogni ritratto di fiore è l’occasione per una cadenza solistica di una delle voci dell’ensemble, cadenza che assorbe tutto l’ordito contrappuntistico gesualdiano e lo restituisce in forma di polifonia virtuale. Es. 5 74 © Rai Trade In questo lavoro la drammaturgia consiste nella rappresentazione dell’organismo vegetale, così come descritto da Goethe affidato alla realizzazione sonora delle voci che devono dare vita ad un insieme dapprima segreto, misterioso, opaco e progressivamente aprire il colore dell’ensemble di voci per rappresentare il momento di massima apertura e fioritura della pianta e il suo imminente ma sempre scongiurato sfiorire 75 Diego Velázquez, Las Meninas, 1656 (Madrid, Museo del Prado). 76 LUCIA RONCHETTI Nata a Roma, nel 1987 si diploma in composizione e in musica elettronica presso il Conservatorio di Santa Cecilia e si laurea in lettere e filosofia presso l’Università La Sapienza di Roma. A Parigi ottiene il D.E.A. in estetica presso la Sorbonne e nel 1999 discute la sua tesi di dottorato in musicologia presso l’Ecole Pratique des Hautes Etudes en Sorbonne, sotto la direzione di François Lesure. Nel 1995/’96 segue il corso annuale dell’IRCAM, nel 1996/’97 ottiene la Residenza alla Cité Internationale des Arts a Parigi e la Borsa Erato del Ministero degli Esteri per Parigi. Nel 1999 è Compositore in residenza all’Akademie Schloss Solitude di Stoccarda, nel 2003 alla Mac Dowell Colony di Peterbourough di Boston e al Forum Neues Musiktheater della Staatsoper di Stuttgart. Nel 2005 vince il premio Fullbright quale Visiting Scholar alla Columbia University di New York. Nel 2005/’06 risiede a Berlino, grazie al premio della DAAD. Nel 2007 è compositore in residenza presso la Corporation of Yaddo di New York. Importanti per la sua formazione compositiva gli studi con Salvatore Sciarrino (Città di Castello, 1988-1989), Gérard Grisey (Parigi, 1993-1996) e Tristan Murail (Parigi, 1996-‘97). La sua opera da camera Der Sonne entgegen ha ricevuto il premio del Fonds Experimentelles Musiktheater NRW 2006, il premio Music Theater Now dell’International Theater Institut di Berlino nel 2008 e il sostegno dello Haupt Stadt Kultur Fonds di Berlino per la prima esecuzione della nuova versione prevista a Berlino nel festival Maerzmusik 2010. La Stradivarius ha pubblicato un cd dedicato alle sue produzioni tedesche in collaborazione con Deutschlandradio Kultur, SWR ed Experimental Studio di Freiburg. Ha ricevuto commissioni da numerose istituzioni, tra le quali: Ensemble Modern/ Siemens Arts Program (2008), Experimentalstudio für akustische Kunst e.V., Freiburg (2008), MaerzMusik (2007), Neue Vocalsolisten (2007), Deutschlandradio (2007), Commande de l’État - Neue Vocalsolisten/Ensemble 2E2M (2007), Kultur-Secretariat/Kunststiftung NRW (2006), Musik der Jahrhunderte/Joachim Meyer (2006), Ensemble Recherche (2005), Bayerische Staatsoper (2005), Festival Ultrashall/DAAD (2005), Kulturveranstaltungen des Bundes, Berlin (2005), Technische Universität, Berlin (2005), Orchestra Rai di Torino (2004), Experimentalstudio für akustische Kunst e.V., Freiburg (2003), Staatsoper Stuttgart (2003), Arditti Quartett/Neue Vocalsolisten (2002), Festival Presence-Radio France (2002), WDR Sinfonieorchester (2001), Teatro La Fenice/Teatro Sociale di Rovigo (2001), Commande d’État-Ensemble Court-Circuit (2000), Wittener Tagen (2000), Elektronisches Studio Musik-Akademie-Basel (2000), G.R.M., Radio France (1999), Studio für Elektroakustische Musik der Akademie der Künste (1999), Commande de l’ÉtatEnsemble Court-Circuit, (1998), Orchestra della Toscana (1994), Studio Muse en Circuit (1994), Radio France (1994), Commande de l’État (1993), Münchener Biennale (1993). NEUE VOCALSOLISTEN I Neue Vocalsolisten sono un gruppo di ricercatori, esploratori e idealisti. I loro partner sono ensemble specializzati, orchestre, istituzioni operistiche, spazi teatrali sperimentali, studi di creazione elettronica e festival di tutto il mondo. Fondato nel 1984 quale ensemble specializzato nell’interpretazione della musica vocale contemporanea nell’ambito dell’organizzazione di Musik der Jahrhunderte, i Neue Vocalsolisten sono un ensemble artisticamente indipendente dal 2000. Ognuno dei sette solisti, che nell’insieme disegnano un vasto ambito, dal soprano coloratura al basso profondo, gestiscono il lavoro interpretativo in collaborazione creativa con i compositori. A seconda delle necessità compositive, un gruppo di cantanti specializzati completa e asseconda il gruppo di base. L’interesse primario del gruppo è la ricerca, l’esplorazione di nuovi suoni, nuove tecniche vocali e nuove forme di articolazione, dando risalto al dialogo con i compositori. Ogni anno l’ensemble crea circa 20 nuove composizioni. Un ruolo particolare riveste il lavoro nell’area del teatro musicale e il lavoro interdisciplinare con l’elettronica, il video, le arti visive e la letteratura, così come la giustapposizione e il confronto tra i repertori della musica antica e contemporanea. ENSEMBLE ALTER EGO Costituitosi a Roma nel 1991, Alter Ego è ospite abituale delle principali stagioni concertistiche e festival di musica contemporanea in tutto il mondo. Ciò che più caratterizza la sua attività è la costante collaborazione che ha instaurato con artisti provenienti da diverse esperienze artistiche: artisti elettronici (Deathprod, Philip Jeck, Matmos, Pan Sonic, Robin Rimbaud aka Scanner), cantanti pop (Frankie HI-NRG, John De Leo), artisti visivi (D-Fuse, Andrew Hooker, Michelangelo Pistoletto), attori (Vladimir Luxuria), interpreti (Irvine Arditti, David Moss, Neue Vocalsolisten). Tra i compositori vanno segnalati gli stretti legami con Louis Andriessen, Gavin Bryars, Alvin Curran, Philip Glass (realizzazione in prima europea di 600 Lines al festival Settembre Musica, opera inedita del 1968 concessa in esclusiva europea ad Alter Ego), Jonathan Harvey, Toshio Hosokawa, Giya Kancheli, Bernhard Lang, David Lang, Alvin Lucier, Terry Riley (prima assoluta di The slaving wheel of meat conception per il Romaeuropa Festival e l’Accademia Nazionale Santa Cecilia con Matmos e lo stesso Riley al pianoforte), 77 Frederic Rzewski, Kaija Saariaho, Laszlo Sáry, Salvatore Sciarrino, Jǀji Yuasa. Nel 2004 Alter Ego ha curato un proprio festival dal titolo Cometodaddy all’Auditorium di Milano con ospiti internazionali e con la collaborazione dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Nelle ultime stagioni Alter Ego ha avviato una regolare collaborazione con l’Auditorium Fondazione Musica per Roma e ha stabilito una consolidata collaborazione artistica con la Stradivarius. Il cd Music in the Shape of a Square di Philip Glass è stato premiato con il prestigioso Editor’s Choice della rivista inglese «Gramophone». 78 Franz Liszt. Venerdì 12 luglio Teatro dei Rozzi ore 21.15 In occasione del bicentenario della nascita di Richard Wagner e Giuseppe Verdi (1813-2013) FRANZ LISZT Raiding 1811 - Bayreuth 1886 Wagner-Verdi, le parafrasi Feierlicher Marsch zum heiligen Gral dal Parsifal R. 283 Réminiscences de Boccanegra R. 271 Rigoletto. Paraphrase de concert R. 267 Isoldens Liebestod dal Tristan und Isolde R. 280 *** 80 Miserere du Trovatore R. 266 Coro delle filatrici da Der Fliegende Holländer R. 273 Aida. Danza sacra e duetto finale R. 269 Ouverture del Tannhäuser R. 275 Michele Campanella pianoforte LE PARAFRASI DI LISZT NEI DUE BICENTENARI PARALLELI Michele Campanella «Metafrasi, il processo di trasferimento di un autore parola per parola, riga per riga, da una lingua a un’altra. [...] Parafrasi, traduzione libera, dove l’autore è tenuto di vista dal traduttore, in modo da non andare mai perduto, ma le sue parole non sono tanto rigidamente seguite quanto il suo senso, e anche questo può essere ampliato, ma non alterato.» G. Steiner, Dopo Babele, Milano, Garzanti, 2004, pp. 307, 309 «Ogni notazione è già trascrizione di un’idea astratta […], da questa prima alla seconda trascrizione il passo è relativamente breve […], anche l’esecuzione di un lavoro è una trascrizione.» F. Busoni, Scritti e Pensieri, Milano, Ricordi, 1954, pp. 28-29 È sorprendente come, parlando di traduzioni, sia un letterato a cogliere esattamente il senso da dare alla parola parafrasi e quindi a definire l’ambito e lo spirito in cui Liszt si muove nel gigantesco capitolo che nel suo catalogo è dedicato a parafrasi e trascrizioni. Già è da sottolineare come le due parole, parafrasi e trascrizione, non possano essere distinte in modo netto ed inequivoco. Spesso le trascrizioni contengono libertà e postille creative, mentre le parafrasi partono sempre da materiale originale trascritto in modo fedele. Ma, al di là delle classificazioni che in Liszt sono di relativa importanza, il punto centrale di un programma da concerto dedicato esclusivamente alle parafrasi lisztiane sta nel senso che oggi vogliamo attribuire a tal modo di comporre. Per una lunga parte del Novecento le parafrasi lisztiane (come di ogni altro autore) sono state considerate musiche deteriori, prodotte da un’epoca lontana da collocare nel loro contesto, svalutando così completamente il loro valore metastorico. Oggi siamo giunti ad un altro giudizio di merito, se mi è consentito proporre al pubblico un siffatto programma. 81 Liszt a Berlino, all’apice della fama: le donne svenivano e gettavano i loro gioielli sul palcoscenico. 82 Cosa resta delle parafrasi, cosa si è perso per strada? Le parafrasi di Liszt sono nate quali appropriazioni di creazioni altrui, quali risonanze interiori che vibrano a contatto con il mondo dell’opera lirica, con i Lieder di Schubert, e con molte altre personalità musicali a lui contemporanee. Grande ascoltatore, grande critico, musicista spregiudicato, senza barriere estetiche o ideologiche, Liszt assorbiva ogni input che gli proveniva dalla musica europea, colta o popolare che fosse, e lo restituiva al mondo nella sua personale versione, oggi si direbbe nel suo arrangiamento. Le parole di Busoni, sempre illuminanti, aiutano a comprendere come non si possano estromettere le parafrasi dal salotto buono della musica colta e come debbano essere accolte senza riserve estetiche. La chiave di ascolto per questo tipo di composizione è la parola spesso usata da Liszt nella titolazione: reminiscenza. La reminiscenza contiene in sé un ricordo ed un’elaborazione, un filtro della nostra sensibilità, un’appropriazione del ricordo come patrimonio da conservare per la vita, collegato ad emozioni lontane ma sempre presenti. Reminiscenza significa condividere con Liszt un ricordo vivido ed emozionante di musiche ascoltate ed amate. Liszt ricorda, e ricordando elabora: noi ci uniamo al suo ricordo e ci facciamo da lui condurre nel mondo della sua e della nostra fantasia. L’ascolto della parafrasi richiede una sorta di complicità, di adesione comune. Quando nella parafrasi da concerto sul Rigoletto sul silenzio attacca il tema di «Bella figlia dell’amore», cosa accade nella nostra memoria? Solo il riconoscere il famoso motivo? Oppure questo riconoscere porta con sé emozioni personali legate all’opera verdiana? Paradossalmente le parafrasi di Liszt ,che appaiono come opere ‘facili’, richiedono dal pubblico una conoscenza del mondo dell’opera lirica senza la quale non potrebbe scattare la reminiscenza. Liszt componeva le sue parafrasi a ridosso della nascita delle opere stesse, per intenderci anche a distanza di pochi mesi, un sorta di instant music, e quindi il pubblico non faceva fatica a riconoscere la musica appena udita durante le stagioni teatrali. Richard Wagner nel 1868. Quelle opere oggi non sono più novità di cui si parla nei salotti o nei caffè, vivono altrimenti nel canone dei capolavori che sono alla base dell’identità culturale europea. Ascoltare le parafrasi di Liszt può anche significare il recuperare un patrimonio trascurato, nel nostro caso spunti che provengono da opere eccelse di Verdi e di Wagner. Insomma, le parafrasi richiedono un’interpretazione e un ascolto al quadrato che includa sia la reminiscenza delle opere verdiane e wagneriane, sia la fortissima presenza dell’arrangiatore, Franz Liszt. I due bicentenari paralleli creano l’opportunità di ascoltare (e confrontare) alcune tra le migliori parafrasi composte da Liszt su opere di Wagner e di Verdi. L’impaginazione del programma di stasera propone composizioni giovanili (Tannhäuser e Olandese volante, Rigoletto e Trovatore) e opere tarde (Tristano e Isotta e Parsifal, Aida e Simone Boccanegra), sottolineando così come il linguaggio pianistico di Liszt si trasformi nel corso del tempo, come il virtuosismo estremo del Tannhäuser si spiritualizzi nei silenzi del Parsifal, come l’ironia istrionica del Rigoletto lasci posto alla severa asciuttezza del Boccanegra. Ogni brano che ascolterete stasera ha un fascino particolare: ma quelli che mi colpiscono di più sono Aida: Danza sacra e Duetto finale ed Isoldens Liebestod. Quest’ultima è una delle pagine che hanno fatto la storia della musica: rappresenta non soltanto un capolavoro di uno dei più 83 grandi compositori mai vissuti, ma anche una sintesi fulminante della Weltanschauung germanica. Insomma uno di quei rari brani circondati da un’aura sacrale che non ammetterebbero arrangiamenti. Eppure Liszt ha avuto il coraggio (o la sfacciataggine, secondo i punti di vista) di farne un brano pianistico, quando la sola idea di trascriverne l’ordito orchestrale fa tremare i polsi. Credo che questa ‘appropriazione’ sia uno dei casi estremi in cui la preponderante personalità di Liszt si manifesta. Ma nel giudicare l’operazione ed i suoi esiti sul campo non bisogna dimenticare quanto rispetto, quanta Giuseppe Verdi in una litografia di Ape devozione Liszt portasse a Wa(Carlo Pellegrini) pubblicata su «Vanity gner. Quindi, piuttosto che preFair», Londra, 1879. potenza e presunzione, direi che la Morte di Isotta per pianoforte è un atto di amore per un grande amico. 84 Ben diverso era l’atteggiamento di Liszt verso Verdi. I due non si incontrarono mai e non risulta abbiano avuto scambio di corrispondenza. Eppure otto sono le parafrasi che nascono da un rapporto musicale di profondo fascino e, tra queste, Danza sacra e Duetto finale spicca per essere una delle vette più alte raggiunte da Liszt compositore tout-court. La reazione chimica tra Verdi e Liszt scatta in questo caso in un terreno di coltura ‘esotico’, l’Egitto immaginario del dramma musicale. Proprio dell’esotismo Liszt aveva alle spalle un’enorme esperienza, fatta di approcci a varie culture musicali regionali, tzigana, spagnola, italiana e persino ottomana. La danza sacra, con quell’andamento da harem, struggente e sensuale, tutto basato su piccole vibrazioni, privo di gesti eclatanti, trova nell’immaginazione dell’ungherese una sintonia coinvolgente. La disperazione che circola nel duetto finale, consapevole di essere la musica dell’addio al mondo, coglie immediata sintonia nella depressione in cui Liszt cadde proprio negli anni Settanta. Al punto che non riesco a dire se il fascino decadente di questo brano sia più riconducibile a Liszt che a Verdi. L’ultima pagina del duetto si spegne come nell’opera di Verdi e si avvicina molto al ripensamento che ascoltiamo nella Sonata in si minore dove, alla conclusione trionfale l’ungherese preferisce quella che si perde nel silenzio. Il migliore Liszt rinuncia alle più clamorose dotazioni balistiche e mostra quanta finezza sia nascosta nella sua sensibilità. E Aida è uno di quei casi in cui comprendiamo quanto sia ingeneroso ridurre Liszt allo stereotipo dell’istrione. Henri Fantin-Latour, Tannhäuser sul Venusberg, 1864 (Los Angeles, County Museum of Art). 85 R. Salvadori, Le principali scene del «Trovatore», acquarello, 1901. MICHELE CAMPANELLA 86 Considerato internazionalmente uno dei maggiori virtuosi e interpreti lisztiani, Michele Campanella ha affrontato in oltre 45 anni di attività molte tra le principali pagine della letteratura pianistica. La Società Franz Liszt di Budapest gli ha conferito il Gran Prix du Disque nel 1976, nel 1977 e nel 1998. Nel 1986 il Ministero della Cultura ungherese gli ha conferito la Medaglia ai meriti lisztiani, così come l’American Liszt Society nel 2002. Formatosi alla scuola pianistica napoletana di Vincenzo Vitale, Michele Campanella è un artista di temperamento assai versatile. Questa sua caratteristica lo ha portato ad avvicinare autori quali Clementi, Weber, Poulenc, Busoni (Premio della Critica Discografica Italiana nel 1980 per le incisioni con la Fonit Cetra), Rossini, Brahms, Ravel e Liszt, di cui ha recentemente inciso una scelta di brani del tardo periodo suonati sul Bechstein che appartenne a Liszt e conservato presso l’Accademia Musicale Chigiana di Siena: primo grande capitolo di un’importante serie dedicata all’opera lisztiana che comprenderà ben 12 cd, in uscita per l’etichetta Brilliant. La sua discografia comprende incisioni per etichette quali Emi (Ravel), Philips (Liszt, Saint-Saëns), Foné (Chopin), PYE (Liszt, ýajkovskij), Fonit Cetra (Busoni), Nuova Era (ýajkovskij, Liszt, Musorgskij, Balakirev), Musikstrasse (Rossini), P&P (Brahms, Liszt, Scarlatti). Ha suonato con le principali orchestre europee e statunitensi, collaborando con direttori quali Abbado, Gelmetti, Inbal, Mackerras, Mehta, Muti, Prêtre, Salonen, Sawallisch, Schippers, Soudant, Steinberg, Thielemann. È frequentemente invitato in paesi quali Australia, Russia, Gran Bretagna, Cina, Argentina ed è stato ospite dei festival internazionali di Lucerna, Vienna, Praga, Berlino e Pesaro (Rossini Opera Festival). È stato al fianco di Salvatore Accardo e Rocco Filippini, quali partner ideali per affrontare i capolavori della musica da camera. Spiccano tra gli ultimi importanti traguardi l’esecuzione di tutti i concerti di Beethoven e Mozart, e l’integrale della musica per pianoforte di Brahms. Negli anni recenti si è molto sviluppata l’attività di Michele Campanella in veste di direttore-solista con le più prestigiose orchestre italiane. Si dedica con passione all’insegnamento: è stato titolare della cattedra di pianoforte all’Accademia Chigiana di Siena dal 1986 al 2010 e per otto anni ha tenuto corsi di perfezionamento a Ravello. Dirige il Centro di Studi pianistici Vincenzo Vitale dell’Accademia Europea di Musica e Arti dello Spettacolo, presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. È stato insignito dei prestigiosi riconoscimenti delle Fondazioni Premio Napoli e Guido e Roberto Cortese. È membro dell’Accademia di Santa Cecilia, dell’Accademia Filarmonica Romana, dell’Accademia Cherubini di Firenze. È stato per nove anni direttore artistico di tre stagioni concertistiche nate nell’ambito delle Università di Napoli, Benevento e Catanzaro. Di recente è stato nominato direttore artistico del Maggio della Musica di Napoli. Dal 2008 è Presidente della Società Liszt, chapter italiano dell’American Liszt Society. Nel 2011, anno in cui si è celebrato in tutto il mondo il bicentenario della nascita di Franz Liszt, Campanella ha dedicato interamente la sua attività di pianista e direttore d’orchestra al compositore ungherese, impegnandosi in una lunga serie di concerti solistici in Italia e all’estero, e con l’Orchestra Luigi Cherubini per l’esecuzione, in una sola serata, come solista e direttore, di tutta la musica per pianoforte e orchestra di Liszt. Inoltre, in collaborazione con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e con l’Accademia Musicale Chigiana, Campanella ha creato e diretto nel 2011 al Parco della Musica di Roma una serie di Maratone lisztiane, nel corso delle quali era in programma l’integrale della musica scritta per il pianoforte da Liszt. Si è trattato di un evento che ha coinvolto ben 75 pianisti italiani e che ha assunto una rilevanza eccezionale in quanto mai realizzato al mondo prima d’ora. All’attività di musicista, Campanella affianca quella di scrittore. Nel 2011 Bompiani ha pubblicato il libro Il mio Liszt. Considerazioni di un interprete. Nel 2012 Michele Campanella ha ricevuto il prestigioso Premio Scanno per la Musica e il Premio Grotta di Tiberio. Nel 2013, l’anno del bicentenario della nascita di Wagner e Verdi, è impegnato in una lunga serie di concerti dedicati alle Parafrasi di Franz Liszt, quale luogo musicale d’incontro delle opere e della vita dei due compositori. La Brilliant Classics dedicherà a queste composizioni un cofanetto di 3 cd. 87 G. e B. Bertoja, disegno per la scena II dell’atto I del Rigoletto alla sua prima rappresentazione (Venezia, 1851). P. Cézanne, Giovane fanciulla al piano (Ouverture del «Tannhäuser»), 1869 ca. (San Pietroburgo, Ermitage). Theodor van Thulden, Imeneo ed Armonia, 1652 (Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts). Sabato 13 luglio Chiesa di Sant’Agostino ore 21.15 GEORG FRIEDRICH HÄNDEL Halle 1685 - Londra 1759 Hymen serenata (Dublino 1742) Prima esecuzione italiana Europa Galante ensemble strumentale barocco Fabio Biondi direttore e violino solista 90 Violini primi Fabio Ravasi Carla Marotta Barbara Altobello Violini secondi Andrea Rognoni Luca Giardini Silvia Falavigna Viola Stefano Marcocchi Violoncello Antonio Fantinuoli Violone Patxi Montero Tiorba Giangiacomo Pinardi Cembalo Paola Poncet Personaggi e interpreti Imeneo Magnus Staveland basso-baritono Tirinto Ann Hallenberg mezzosoprano Rosmene Ditte Andersen soprano Clomiri Cristiana Arcari soprano Argenio Marcos Fink basso 91 «HYMEN, A SERENATA», O I TORMENTI DI ROSMENE, DA NAPOLI A DUBLINO Raffaele Mellace 92 HYMEN, 1742: il ridente crepuscolo del dio Saranno stati del tutto ignari i primissimi spettatori dell’Imeneo, a Londra nell’autunno 1740, come anche quelli che l’ascoltarono col titolo di Hymen a Dublino il 24 e il 31 marzo 1742, di assistere a un evento di portata storica. Con quel lavoro, seguito a ruota dall’ultimogenita Deidamia, si concludeva infatti la carriera operistica quasi quarantennale di Georg Friedrich Händel, quell’avventura, intrapresa dal compositore appena ventenne nel 1705 ad Amburgo, che costituisce uno dei fenomeni più cospicui non solo della storia dell’opera ma dell’intero teatro europeo dell’età moderna: 44 titoli, tra la Germania, l’Italia e Londra, che danno vita a una vera e propria enciclopedia delle passioni tra barocco e illuminismo. Del crepuscolo di questo dio dell’opera non doveva essere consapevole nemmeno lo stesso Händel, che concepì persino i titoli estremi come altrettante vie per rinnovare il linguaggio del proprio teatro. E tuttavia, l’opera che ci si appresta ad ascoltare vide la luce in uno snodo decisivo nella carriera del suo Autore, non privo di conseguenze sull’intero Settecento musicale: la definitiva consacrazione di Händel ai grandi lavori oratoriali in lingua inglese, che si assiepano sullo scrittoio del compositore nei tre anni e mezzo che intercorrono tra l’avvio della stesura dell’Imeneo e l’esecuzione della seconda versione dell’opera: Saul, Israel in Egypt, Ode for St Cecilia’s Day, L’Allegro, il Penseroso ed il Moderato. L’ultimo e più emblematico titolo, l’intramontabile Messiah, sarà tenuto a battesimo Georg Friedrich Händel. proprio nella medesima sala dublinese in cui vedrà la luce il rivisto Imeneo, tre settimane appena dopo quest’ultimo. È dunque un compositore in stato di grazia a mettere in cantiere, nel settembre 1738, la sua 43a opera, intravvedendone le condizioni per metterla in scena; tramontate ben presto quelle prospettive, il manoscritto incompleto giacerà per un paio d’anni in un cassetto (non senza peraltro uscirne di tanto in tanto per fornire materiali ad altri lavori dell’operoso laboratorio händeliano), finché Händel non si opererà, per l’ultima volta nella carriera, per organizzare una stagione operistica prendendo in gestione il piccolo teatro londinese noto come Lincoln’s Inn Fields, dove Imeneo venne allestito il 22 novembre 1740, con un’unica replica il 13 dicembre. La complessa vicenda di quest’opera – fissata in un autografo ‘in stato confusionale’, tormentato da ogni sorta d’interventi che testimoniano la stratificazione di diverse fasi compositive, ripensamenti, sostituzioni, cancellazioni, ripristini e modifiche nell’attribuzione ai personaggi dei diversi pezzi, dovuti principalmente ai diversi cast previsti (un caos regolato soltanto nel 2001/2 dall’edizione critica a cura di Donald Burrows e da un saggio di John Roberts) – non doveva tuttavia arrestarsi a quell’avvio ben presto interrotto. Oltre un anno dopo, infatti, il compositore confermò l’alta considerazione nutrita per quella partitura, che lo specialista Winton Dean ha definito in tempi recenti «un piccolo capolavoro», preparandone una nuova versione in vista della tournée che l’avrebbe portato a Dublino nella primavera 1742. Il 24 e poi il 31 marzo di quell’anno l’opera fu infatti proposta in forma di concerto a Dublino, al New Musick-Hall di Fishamble Street col titolo, anch’esso nuovo, di Hymen, A Serenata. Un nuovo inizio (anch’esso peraltro bruscamente interrotto: l’opera non si sentirà più fino al 1960) per un lavoro freschissimo, che si ripropone di rinnovare, attraverso la leggerezza del tono e un’intimità non spettacolare, la formula dell’opera italiana: è proprio questa versione in forma da concerto, l’ultima licenziata dall’Autore, a venir proposta questa sera. Tra «operetta» e «serenata» Per il titolo che avrebbe seguito il Serse andato in scena nella primavera 1738, Händel scelse un modello eccentrico rispetto al dramma per musica di soggetto storico, ancor più eccentrico dello stesso Serse e come questo legato a una figura centrale della librettistica premetastasiana: il poeta romano Silvio Stampiglia. Tra i fondatori dell’Arcadia, Stampiglia (1664-1725) diede un contributo decisivo alla trasformazione del melodramma barocco nelle forme riformate del Settecento, grazie a una produzione irradiata in tutta Europa dalla Vienna in cui fu poeta cesareo presso la Corte imperiale e dalla Napoli in cui aveva messo a segni i primi successi (con quel Trionfo di Camilla regina de’ Volsci, musica di Giovanni Bononcini, ancora in auge 93 nella Londra di Händel) e dove sarebbe ritornato nell’estrema maturità. Proprio all’ultimo scorcio dell’attività di Stampiglia, esattamente parallela a quella di Alessandro Scarlatti, risale Imeneo, «componimento dramatico» in due parti messo in musica da Nicola Porpora a Napoli nel 1723 in occasione delle nozze di Leonardo Tocco, principe di Montemiletto e Camilla Cantelmi de’ duchi di Popoli, col giovanissimo Farinelli nella parte di Tirinto e Marianna Benti Bulgarelli, la prima Didone metastasiana, in quella di Rosmene. A quel testo (probabilmente già steso, ma forse non eseguito, nel 1717, e destinato a calcare le scene dei teatri col nuovo titolo di Imeneo in Atene e una struttura ampliata ai tradizionali tre atti) ricorse Händel nel settembre 1738, non già però lavorando sul libretto a stampa, bensì direttamente, come d’altra parte non era insolito fare, sulla partitura di Porpora. Sulla penultima opera händeliana incidono in misura determinante da un lato la destinazione nuziale (per la quale forse anche Händel aveva pensato in origine l’opera), cui si deve il soggetto, il mito greco di Imeneo, dio delle nozze, raccontato nel IV secolo d.C. da Servio nel suo commento all’Eneide; dall’altro il formato della serenata, cioè quel componimento destinato a uno spettacolo encomiastico, al più semiscenico, che nel terzo decennio del Settecento impegnò a Napoli i migliori talenti poetici (Metastasio incluso) e musicali (i Porpora, i Vinci, gli Hasse): una sorta di opera in miniatura, adatta anche a un teatro effimero o a una semplice sala, in cui la qualità della musica, unita dall’eleganza del dettato poetico, avrà monopolizzato, in assenza della scena, l’attenzione dello scelto 94 Il New Musick-Hall di Dublino in una stampa del 1844. pubblico. Nel proporre il proprio Imeneo Händel si rifà consapevolmente a quella tradizione, cui egli stesso aveva contribuito in gioventù, giusto a Napoli, con Aci, Galatea e Polifemo, qualificando l’originaria versione londinese come «an Operetta» e la ripresa dublinese direttamente come «A Serenata». Sospinta dalla brezza ancora fresca di quel repertorio sbocciato sulle rive del Golfo di Napoli, la vicenda mitico-allegorica di Imeneo corre così leggera sui binari d’una struttura drammatica essenziale, sin dall’origine quasi un mero pretesto celebrativo, ulteriormente prosciugata da una serie d’interventi (potature e sostituzioni) operati dal drammaturgo espertissimo per la versione da concerto proposta alla vigilia del Messiah, procedendo in quell’emancipazione dalla scena teatrale che rappresenterà la cifra caratteristica della piena maturità händeliana, quando la musica assumerà su di sé l’intero onere dell’azione drammatica. Ragione e sentimento L’Imeneo di Stampiglia inscena la tradizionale dialettica barocca fra ragione e sentimenti, cioè dovere e piacere, personificati, quasi ci trovassimo in un’azione sacra allegorica, in due personaggi (rispettivamente Imeneo e Tirinto) che si contendono le inclinazioni del terzo (Rosmene). Quest’ultima deve la vita a Imeneo (istanze giudiziose della ragione prendono dunque le vesti della gratitudine), che l’ha salvata dai pirati e la reclama in sposa dalla «saggia Atene», ma ama da tempo Tirinto. Questo in sintesi il plot: un traliccio minimo, tendenzialmente statico. La tenacia del legame sentimentale non lascia dubbio alcuno allo spettatore odierno in merito al campo in cui schierarsi; e tuttavia Rosmene, posta come Ercole davanti al bivio tra virtù e piacere, sceglie – per quanto attraverso un percorso tormentato che culmina nel gesto di massima evidenza scenica della perdita dei sensi – l’aspro sentiero del dovere. Questo almeno nel dramma di Stampiglia. Sì, perché la musica di Händel, nell’atto in cui conserva l’impianto drammatico originario, cui conferisce una certa solennità moralistica l’aggiunta ex novo dei cori (in severo modo minore quelli che chiudono gli atti II e III), contraddice di fatto per esclusiva via musicale l’assunto ideologico della serenata di Stampiglia, esaltando, dilatando, intensificando lo spazio delle ragioni del cuore, che finiscono per prevalere, nella percezione dell’ascoltatore, rispetto all’esito di prammatica dell’esile vicenda. In altre parole, sono le pene d’amore di Rosmene e Tirinto a imprimersi nella memoria quale vero centro gravitazionale della vicenda, presidiata in tre luoghi chiave da altrettante pagine dall’inequivocabile tinta erotica: la prima aria grande dell’opera, «Se potessero i sospir miei», in cui Tirinto canta la nostalgia dell’amore lontano, con un melos d’alto volo, mutuato dal coevo Saul, preparato dal suasivo ritornello dell’orchestra (alla sua prima comparsa in combinazione con la voce) che predispone una pania sentimentale 95 in cui immancabilmente s’invischieranno Giovanni Battista Andreoni alla ‘prima’ londinese e Susanna Maria Arne (Mrs Cibber) a Dublino (dove dunque si vide e ascoltò nella parte di Tirinto una donna en travesti in luogo d’un castrato); il duetto «Vado e vivo con la speranza», migrato con modifiche dall’allora ancora recente Faramondo (1738), che scalza l’originario coro a sigillo dell’atto I con la vibrante esaltazione d’una tensione erotica alimentata dal desiderio; infine, immediatamente prima del coro conclusivo, un secondo duetto, «Per le porte del tormento», capolavoro mutuato dal Sosarme (1732), che sublima la delusione del desiderio cantato nel duetto precedente prodigando delizie sonore chiamate a dimostrare per via d’efficacia estetica la validità dell’assunto poetico («Per le porte del tormento / passan l’anime a gioir»), anticipando quel nesso sofferenzafelicità che, su altro piano, chiuderà al termine di quel decennio, con un analogo splendido duetto tra due amanti, l’oratorio Theodora (1750) (in mi maggiore, il duetto dell’Imeneo contrasta meravigliosamente col successivo coro conclusivo, in mi minore, capovolgendo la sequenza delle medesime tonalità che avrebbe aperto, poche settimane dopo, il Messiah). Si sarà notato come questo duetto dall’efficacia allora già sperimentata completi la marginalizzazione dell’eroe eponimo, cui viene così scippata l’ultima pagina solistica dell’opera: contro l’originaria volontà del poeta-drammaturgo Stampiglia, il musicista-drammaturgo Händel celebra dunque il trionfo degli amanti, che, non casualmente, è anche il trionfo dei ruoli vocali di primo uomo e prima donna, appannaggio nel primo Settecento delle voci acute. Non diversamente era avvenuto un anno prima per l’ultima opera di Händel, la Deidamia, in cui Achille aveva dovuto farsi da parte per lasciar duettare Ulisse e Deidamia, i medesimi interpreti, Andreoni ed Elisabeth Duparc, dell’originario Imeneo londinese. 96 LARGHETTO con molte variazioni I rapporti di forza tra i personaggi dell’Imeneo dublinese (il cui assetto, giova ripeterlo, si differenzia notevolmente dall’originale londinese e s’allontana ancor più dal dramma di Stampiglia) sono espressi con chiarezza dalla distribuzione delle occasioni canore e dalla loro disposizione. Gli amanti Tirinto e Rosmene si attestano su una sostanziale parità, rispettivamente con cinque e quattro arie ciascuno, i due duetti già discussi e il terzetto con Imeneo sul finire dell’atto II. Vanno poi presi in considerazione alcuni pezzi di minor peso, ma numerosi e dalla collocazione strategica nell’opera: si tratta di cavatine monostrofiche (per cavatina s’intendavano originariamente dei versi lirici ‘cavati’, estratti da un passo di recitativo; l’edizione ottocentesca di Chrysander li definisce impropriamente ‘ariosi’) di cui Händel fa ampio uso, simmetricamente in apertura degli atti I e II, e con dovizia nel III, dove una medesima cavatina viene riproposta (con meccanismo analogo all’Alessandro nell’Indie metastasiano, che Händel aveva intonato col titolo di Poro nel 1731) per tre volte, prima separatamente e poi insieme dai due spasimanti. Un’ulteriore cavatina cantata da Rosmene rivestirà un’importanza particolare: e infatti «Al voler di tua fortuna» sancirà la «sentenza» definitiva di Rosmene, la scelta della via della ragione, maturata attraverso il travaglio dell’unico recitativo accompagnato delGeorg Friedrich Händel. la partitura, un’autentica scena di follia dalla forte carica irrazionale. Al protagonista Imeneo (Händel oscillò nelle varie versioni tra tenore e basso) tocca, al netto della cavatina condivisa con Tirinto e del terzetto, il magro bottino di due arie, esattamente quante ne canta il basso Argenio, padre di Clomiri (a Dublino la parte di quest’ultima, confinata al recitativo, verrà di fatto esautorata e con lei, innamorata di Imeneo, l’intreccio secondario). La caratterizzazione drammatica dei personaggi passa naturalmente anche attraverso le scelte del linguaggio musicale. Il tono sentimentale dell’indicazione agogica Larghetto – comune già ai primi due numeri chiusi, la cavatina (ma Stampiglia aveva previsto un’aria completa in due strofe) e l’aria di Tirinto, è l’indicazione con cui si apre anche il coevo Messiah; qui bene si sposa con l’originaria ambientazione bucolica, a scena unica, in una Deliziosa –, dispensata generosamente, parrebbe quasi la cifra caratterizzante, dal lirismo perlopiù pudico, d’una partitura che pur vanta naturalmente, nella complessiva leggerezza del tono, un’ampia tavolozza di colori, dal tono volage di «Semplicetta, la saetta» (citato, come altre arie dell’opera, nei coevi Concerti grossi op. VI) all’arcaicizzante severità cerimoniale del terzetto, decisamente old-fashioned nel 1742, distante anni luce dalla scrittura galante dall’aria con cui Rosmene apre l’atto III, «In mezzo a voi dui», a due parti strumentali (violini all’unisono e bassi) ed elettrizzata dalla figura ritmica dominante d’una sincope sbarazzina. Due altre arie, «D’amor ne’ primi istanti» e «Un guardo solo», provengono dall’atto II dell’allora recentissima Deidamia (1741). Idomeneo e Argenio sono accomunati, oltre che dal numero delle arie, anche dalla tipologia ‘di paragone’: 97 intonano infatti testi di carattere naturalistico chiamati a oggettivare le passioni, di cui si evita così l’espressione diretta, come ad esempio «Su l’arena di barbara scena» («the ‘Lion Song’», la chiama nella propria corrispondenza un’amica e ammiratrice di Händel) o la virtuosistica «Sorge nell’alma mia», splendida, moderna aria di tempesta che mette a tema il processo di sviluppo della gelosia, quasi aria ‘della calunnia’ ante litteram. Un’ulteriore aria di paragone, «Di cieca notte», un Andante in si minore, spalanca una prospettiva ben nota a Händel, e quasi solum sua, in cui l’evocazione delle tenebre notturne si carica di quell’arcana, quasi sacrale profondità già appartenuta allo Zoroastro dell’Orlando, al Licomede della Deidamia, allo stesso Messiah («The people that walked in darkness»). A ricordarci come la profondità sia pronta a sorprenderci dietro ogni dettaglio di quell’autentica enciclopedia delle passioni che è il teatro händeliano. 98 libretto atto i scena i Tirinto, poi Argenio tirinto Larghetto La mia bella, perduta Rosmene, Per pietà chi m’insegna dov’è? Per mercé chi mi dice? tirinto Dal dì ch’io la perdei Quest’alma innamorata non mai Non ebbe più bene un momento Di pace aver non sa. Larghetto La mia bella perduta Rosmene, etc. Entra Argenio argenio Tirinto! tirinto Argenio! argenio O barbara fortuna! Non abbiam nuova alcuna delle rapite vergini d’Atene. tirinto (E che farà Rosmene?) Infelici donzelle! Aria Se potessero i sospir miei Far che l’onde a queste sponde Li portassero il legno infido, Io vorrei tutti sciogliere Là sul lido i sospiri del mio cor. 99 Ma non possono far dal mare Ritornare a me Rosmene. Deh! Su l’ali a queste arene La conduca il Dio d’amor! Se potessero, etc. scena ii argenio Cerere onnipotente, Vendica i tuoi oltraggi e riconduca alle sacre tue are l’involate donzelle il tuo favore. Cada sugli empi, e vendicar il tuo onore! coro Vien Imeneo fra voi, Viene fra voi! Sperate, oh amanti! E vien con esso Amor. Viene Amor, godete, oh cori! Vien Imeneo fra voi, Viene fra voi! sperate, oh amanti! tirinto Argenio, addio! argenio Dove, Tirinto? 100 tirinto In traccia del perduto mio ben. Né tornar mi vedrai senza Rosmene. Andrò di riva in riva per salvezza di lei. Per mio conforto vago di averne avviso. Entra Imeneo, sorprendendolo imeneo Io te lo porto! tirinto Valoroso Imeneo! argenio Prode garzone! tirinto N’attendi dalla patria il guiderdone. imeneo Dalla Patria non chiedo Che di stringer la mano All’amata Rosmene. argenio E solo questa è la tua domanda? tirinto (Ahi ciel! Per me funesto!) argenio Perché ne sei ben degno L’opra mia ti prometto. tirinto (Ardito impegno!) imeneo Olà! Venga Clomiri, entri Rosmene! tirinto Rivolto ad Argenio Pensa, Argenio, al mio... E che mi sia... argenio Rivolto a Tirinto So ben che regna in te la gelosia! Aria Di cieca notte Allor che l’ombra il monte ingombra. Oscura il piano; Ogni lontano acceso fuoco di loco in loco Scoprir si fa. Così all’ombre la gelosia scopre Qual sia di core in core L’acceso amore, Ch’ardendo va. Di cieca notte, etc. 101 scena iii imeneo Avvicinatosi a Rosmene Rosmene, alfin dovresti Renderti ai miei voti. Per me libera sei da tue ritorte. rosmene A Imeneo Aria Ingrata mai non fui Non ho di sasso il cor. A Tirinto Ma il cor non è per lui lo serbo per te. A Imeneo D’aver pietà mi vanto: Priva non son d’amore. A Tirinto Deh! Non ombrarti tanto! Fidati pur di me. A Imeneo Ingrata mai, etc. scena iv Imeneo, Tirinto e Clomiri 102 imeneo Se non era il mio braccio, Si troveria Rosmene in servitù di barbare catene; Generoso sarai, se tu la cedi. Nulla rispondi ancor? tirinto Troppo mi chiedi. Aria D’amor nei primi istanti Facili son gli amanti A farsi lusingar solo per vanità. Del merto lor l’effetto credono Quell’affetto e il vanto voglion dar Più a sé ch’alla beltà. D’amor, etc. scena v Imeneo solo imeneo Paventar non degg’io Che non venga Rosmene a me concessa. Vano sospetto rio a perturbarmi viene. Sconoscente non è La saggia Atene! Aria Esser mia dovrà la bella tortorella Ch’io sottrassi dai perigli degl’artigli. Ed uccisi in faccia a quella lo sparvier che la rapì. Più non teme, più non geme ch’ella non è Qual era prigioniera del crudel Che già morì. Esser mia, etc. scena vi Duetto rosmene - tirinto Vado e vivo con la speranza Vanne e vivi con la speranza D’ottener la tua beltà D’ottener la mia pietà Puoi, vuoi, sperar Che la costanza vincerà la crudeltà. 103 fine atto i atto ii scena i Rosmene, poi Argenio rosmene Largo Deh, m’aiutate, o Dei! Che degli affetti Miei troppo è il mio martoro! Entra Argenio argenio Vogliono i tuoi maggiori, Il senato, la patria. E vuol ragion che tu Sia d’Imeneo. rosmene Amor s’oppose. Amor fedel. argenio Rosmene, con la tua pace altro è l’esser fedel, altro ostinata! rosmene Dovrò dunque sforzata Per non esser ingrata, esser infida? Ah! Onor, dover, amor, a me fatale! 104 argenio Aria Su l’arena di barbara scena Esce in campo feroce leone. Pria d’un misero a danno si pone Poi si ferma e baciandolo va. Egli tolse una spina al suo piede Là dell’Africa in mezzo alle selve. E il Re della belva appena lo vede Che sdegnando la taccia d’ingrato Del suo stato si muove a pietà. Su l’arena, etc. scena ii Rosmene e poi Clomiri rosmene La mia mente or confusa vorria... Non sa... si pente... incolpa... Si scusa... e mi trovo fra i flutti del pensiero Qual navicella in mar senza nocchiero. Entra Clomiri clomiri Rosmene, mostra il volto ch’abbi turbato il core. Perché? dimmi perché? rosmene Conosci amore? clomiri Un principio confuso in me ne sento. rosmene Buon giudice non sei Del mio tormento! Aria Semplicetta, la saetta Non intendi ancor d’amore. Ma il tuo cor forse un dì l’intenderà. Sempre al varco sta coll’arco E a ferire il tempo aspetta. Semplicetta, se da lui non ben ti guardi Coi suoi dardi quell’arcier t’impiagherà. Semplicetta, etc. scena iii Tirinto ed Imeneo tirinto Imeneo, lieto in viso tutto, gioir ti veggio. imeneo Al padre tuo io deggio l’intesa gioia mia. Oprò che degno io sia di conseguir Rosmene E così darò fine a’ dolor miei. tirinto N’avviserò colei a cui dal tuo valore fu sciolto Il piede, e fu legato il core. Aria E sì vaga del tuo bene Ch’al suo mal non penserà. Così t’ama, ch’ella brama Più ristori alle tue pene 105 Ch’alle sue trovar pietà. E sì vaga, etc. Parte imeneo Aria Sorge nell’alma mia Qual va sorgendo in cielo Piccola nuvoletta che poi tuona e saetta E passa ad agitare la terra e il mare ancor. Questa è la gelosia Che va spiegando un velo Di torbido sospetto Che poi dentro al mio petto Potrebbe diventar tormento del mio core. scena iv tirinto Sembra un fanciullo amore, innocente, vezzoso, E par che i giorni e l’ore possa ogni alma con lui Passar per gioco. Ma poi ne sente il fuoco E vive lamentando all’ombra ed al sole. Non s’innamori chi penar non vuole! 106 Aria Chi scherza con le rose Un dì si pungerà. Farfalle amorose girate attorno al lume Farfalle fuggite che le piume alfin v’abbrucierà. Chi scherza, etc. scena v Argenio, Tirinto, Imeneo, e Rosmene argenio Udisti già Che ad Imeneo concesso è d’ottener Rosmene. Si spieghi a chi di voi Rosmene arrida. Arbitra di sue nozze, ella decida! Terzetto Imeneo, Rosmene, Tirinto imeneo Consolami, mio bene Pria che il dolor m’uccida. Pietà del mio cordoglio Pietà di me ti chieggio. Almen dimmi ch’io mora. rosmene Bramando uscir di pene Tu mi vorresti infida. Idolo del cor mio Tu mi vorresti ingrata. Infida esser non voglio Ingrata esser non deggio. tirinto Deh, non cangiar desio Bell’anima adorata. Pietà del mio cordoglio Pietà di me io chieggo Almen dimmi ch’io mora. tutti e tre Ah, s’io morissi ancora meglio saria per me. imeneo Non essermi crudele. Alfin chi di noi due ritroverà mercè? tirinto Risolvi d’esser mia! Alfin chi di noi due Ritroverà mercè? rosmene Che io non sia fedele? Ch’io sconoscente io sia? Non so, se poi di lui Se poi sarò di te. imeneo Consolami, etc. 107 coro E troppo bel trofeo Della bellezza il cor. Lo vincerà Imeneo E già lo vinse Amor. fine atto ii atto iii scena i Tirinto, Imeneo e Rosmene tirinto e imeneo Alfin decidi! rosmene Deciderò, ma poi spiacerà La sentenza ad un di voi. imeneo Dimmi il mio fato! tirinto Attendo mia sorte! 108 rosmene (Gratitudine e amore son due tiranni che mi dan la morte!) imeneo Via su, mia bella! tirinto Parla, idolo mio! rosmene Crudo Imeneo, crudo Tirinto, addio! Aria In mezzo a voi due Qui lascio il mio core. Parlate con lui, Parlate d’amore Ch’io sono contenta V’ascolti vi senta, Risponda per me! In mezzo a voi due, etc. scena ii Imeneo e Tirinto imeneo Se tua sarà Rosmene Quest’anima smarrita uscir vedrai Di vita e uscir di pene. tirinto Dì, se mai la fortuna arride al tuo conforto Ch’è tua Rosmene E che Tirinto è morto. scena iii rosmene Fiero destino contro di me s’è mosso. Risolver deggio e ritardar non posso. Saprò ben io con arte uscir fuor di me stessa, E in me raccolta oprar da saggia e favellar stolta! scena iv Rosmene ed Imeneo imeneo Rosmene, a che sospendi la sentenza fatal! rosmene Taci! imeneo Ch’io taccia? Parte Rosmene Cavatina Avvicinandosi a lei Se la mia pace A me vuoi togliere, Barbara, toglimi La vita ancor! 109 scena v Tirinto da una parte, e Rosmene dall’altra tirinto Sospirata Rosmene, Rosmene anima mia. rosmene (Ecco un novello inciampo, fuggo Imeneo, Ed in Tirinto inciampo). tirinto (Combattuta passeggia fosca nel ciglio e nubilosa in faccia.) Aria Un guardo solo Pupille amate Conforto al duolo Non mi negate; Ma un guardo o care In cui svalilla D’amor la face Ogn’altr sguardo Che a me volgete È freddo dardo, Deh! rendete pietose, Vezzose al cor la pace. Un guardo solo, etc. 110 tirinto Senti per pietà. rosmene Taci. tirinto Ch’io taccia? Cavatina Se la mia pace A me vuoi togliere, Barbara, toglimi La vita ancor! scena ultima Clomiri, Argenio, e poi Rosmene, e finalmente Imeneo da una parte, e Tirinto dall’altra clomiri Scorgesti che Rosmene Può non sembrare in se stessa? argenio Io la compiango. rosmene È questo il dì per definir la lite? È questo?... Dunque, la sentenza udite! Cavatina tirinto e imeneo Se la mia pace A me vuoi togliere, Barbara, toglimi La vita ancor! rosmene La vita? E che donna venne quaggiù Dalla sua stella uscita per dare, non per togliere, la vita! tirinto Insensata favella! rosmene Risolverò. Ma s’aprano gli abissi. Venga Rosmene accanto l’ombra Di Radamanto E dal profondo baratro si muova. Voglio sentir s’il mio decreto approva. Recitativo accompagnato Miratela! che arriva cinta di negro manto a passo lento e piano, col brando in pugno e la bilancia in mano. Ella per me decida. Ascolta! Esser io deggio o ingrata o infida? A Imeneo Sparso d’affanni il viso. A Tirinto Tinto di morte il volto. 111 A Imeneo Tu, di vincer diffidi? A Tirinto Tu, di perder paventi? Ombra, decidi! In atto di vibrarla Ella già tiene la nuda spada in alto. Cadde il colpo, e divide dal mio core il mio cor. L’ombra decide. Ahi! Che mancar mi sento. Caliginoso intorno mi sembra Il giorno e l’anima già sviene. Chi di voi, per pietà chi mi sostiene? S’abbandona, sostenuta da Tirinto ed Imeneo imeneo Misera! tirinto Sventurata! clomiri Deplorabil destin! argenio Sorte spietata! rosmene Rosmene in braccio a dui? 112 A Tirinto Vanne e lascia ch’io resti In braccio a lui. Cavatina A Imeneo Al voler di tua fortuna Già Rosmene acconsentì. A Tirinto Non aver più speme alcuna Fui costretta a dir di sì. rosmene Disappunto così quando del pomo d’oro la gran lite decise il pastorello, giudice severo. Clomiri, Argenio, è vero? argenio È vero. clomiri È vero. imeneo Per sua pietà sospiro scorgendo che vaneggia. rosmene Io non deliro. tirinto Numi, aita vi chieggio L’idolo mio delira. rosmene Io non vaneggio. Aria Verso Tirinto Io son quella navicella Che veniva a questa sponda Sorse il vento, e turbò l’onda. Verso Imeneo E in quest’altra la portò. rosmene A Imeneo Non vuol ch’io ritorni il mio nocchiero al lido abbandonato. È vero? imeneo È vero. rosmene Ecco la navicella Che fuor della tempesta Tutta si ricompone e come vuol ragione Al fin lega se stessa (dando la mano ad Imeneo) A questa piaggia. Parlai da stolta, e stabilii da saggia. imeneo Fortunato Imeneo! 113 rosmene Tirinto, datti pace, e non dispiaccia a te ciò che a me piace. Duetto rosmene e tirinto Per le porte del tormento Passan l’anime a gioir. Sta il contento del cordoglio Sul confine, Non v’è rosa senza spine. Per le porte, etc. coro Se consulta il suo dover Nobil alma, o nobil cor Non mai piega a’ suoi voler Ma ragion seguendo va. E se nutre un qualche amor Ch’a ragion non si convien Quell’amor scaccia dal sen E ad un altro amor si dà. fine della serenata 114 Brani di Georg Friedrich Händel eseguiti all’Accademia Musicale Chigiana negli ultimi 20 anni Arminio opera in tre atti su libretto di Antonio Salvi 26 luglio 2000 Interpreti: Il Complesso Barocco, Alan Curtis realizzazione musicale e direzione, Vivica Genaux mezzosoprano, Geraldine Mc Greevy soprano, Dominique Labelle soprano, Manuela Custer mezzosoprano, Riccardo Ristori basso, Luigi Petroni tenore, Sytse Buwalda controtenore Prima riproposta italiana (in forma di concerto) Ciaccona con 22 variazioni in sol maggiore per pianoforte 19 maggio 1996 Interprete: Murray Perahia Concerto grosso in si bemolle maggiore op. 6 n. 7 per orchestra Concerto grosso in sol maggiore op. 6 n. 1 per orchestra Concerto in fa maggiore op. 4 n. 4 per organo e orchestra Concerto in fa maggiore op. 4 n. 5 per organo e orchestra Concerto in si bemolle maggiore op. 4 n. 2 per organo e orchestra 10 luglio 2011 Interpreti: Ottavio Dantone, Accademia Bizantina Deidamia opera in tre atti su libretto di Paolo Antonio Rolli 18 luglio 2002 Interpreti: Il Complesso Barocco, Coro del Complesso Barocco, Alan Curtis direttore, Simone Kermes soprano, Dominique Labelle soprano, Annamaria Panzarella soprano, Anna Bonitatibus mezzosoprano, Furio Zanasi baritono, Antonio Abete baritono Prima ripresa italiana “How beautiful” da The Messiah 26 marzo 2010 Interpreti: Elizaveta Martirosyan soprano, Ulla Casalini pianoforte Händel e Napoli ovvero I percorsi del caro Sassone: - How vain is man da Judas Maccabaeus HWV 63 (Londra 1746) - Sonata II dalle Sei Sonate per due violini (Londra 1739) - La speme ti consoli da Partenope HWV 27 (Londra 1730) - While Kedron’s Brook da Joshua, A Sacred Drama HWV 64 (Londra 1748) 4 febbraio 2011 Interpreti: Accordone, Guido Morini clavicembalo e direzione musicale Messiah 17 aprile 2009 Interpreti: Bach-Collegium Stuttgart, Gächinger Kantorei Stuttgart, Helmuth Rilling direttore, Jutta Koch soprano, Okka von der Damerau contralto, Brenden Gunnell tenore, Michael Nagy basso 115 Passacaglia in sol minore per violino e viola (arr. J. Bashmet) 7 agosto 2002 6 agosto 2007 Interpreti: Jurij Bashmet viola, Elena Revitch violino, Mikhail Muntjan pianoforte “Piangerò la sorte mia” per soprano e pianoforte dall’opera Giulio Cesare “Un cenno leggiadretto” per soprano e pianoforte dall’opera Serse 24 luglio 1994 Interpreti: Valeria Mariconda soprano, Pierina Brizzi pianoforte Sinfonia “L’arrivo della Regina di Saba” da Solomon 10 luglio 2011 Interpreti: Accademia Bizantina, Ottavio Dantone direttore Sonata in re maggiore op. 1 n. 13 per violino e basso continuo 28 luglio 2001 Interpreti: Uto Ughi violino, Alessandro Specchi pianoforte “The King shall rejoice” da Coronation Anthems HWV 260 per coro e orchestra “Zadok the priest” da Coronation Anthems HWV 258 per coro e orchestra Ode for St Cecilia’s Day HWV 76 (Ode auf St. Caecilia nell’elaborazione di W.A. Mozart K. 592) per soli, coro e orchestra 22 novembre 2011 Interpreti: Orchestra da Camera di Mantova, Coro da Camera Ricercare Ensemble, Romano Adami maestro del coro, Gemma Bertagnolli soprano, Carlo Allemano tenore, Mauro Borgioni basso, Corrado Rovaris direttore 116 Vincer se stesso è la maggior vittoria ovvero Rodrigo dramma per musica in tre atti su libretto di Francesco Silvani 20 luglio 1997 Interpreti: Il Complesso Barocco, Alan Curtis realizzazione musicale e direzione, Gloria Banditelli mezzosoprano, Sandrine Piau soprano, Elena Cecchi Fedi soprano, Rufus Müller tenore, Roberta Invernizzi soprano, Caterina Calvi contralto Prima riproposta italiana (in forma di concerto) Water Music (Brani dalle Suites I, II e III) 13 luglio 1999 Interprete: North Carolina School of the Arts EUROPA GALANTE Europa Galante nasce nel 1990 dal desiderio del suo direttore artistico, Fabio Biondi, di fondare un gruppo strumentale italiano per le interpretazioni, su strumenti d’epoca, del grande repertorio barocco e classico. L’ensemble ottiene un grande successo fin dalla pubblicazione del primo disco, dedicato alla produzione concertistica vivaldiana (Premio Cini di Venezia, «Choc de la Musique» in Francia). Negli anni seguenti il gruppo colleziona un’eccezionale lista di riconoscimenti: cinque Diapason d’Oro, Diapason d’Oro dell’anno in Francia, premio RTL, nomina «Disco dell’anno» in Spagna, Canada, Svezia, Francia e Finlandia, «Prix du disque», tra i tanti altri. Da allora Europa Galante si è esibita nelle più importanti sale da concerto e teatri del mondo: dal Teatro alla Scala di Milano all’Accademia di Santa Cecilia a Roma, dalla Suntory Hall di Tokyo al Concertgebouw di Amsterdam, dalla Royal Albert Hall di Londra al Lincoln Center di New York, dal Théatre des Champs-Elysées di Parigi alla Sydney Opera House, e poi Festival Chopin a Varsavia, Festival Mozart a Würzburg, BBC Proms a Londra. In Italia collabora con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia nel recupero di opere vocali del Settecento italiano quali la Passione di Gesù Cristo di Caldara, Sant’Elena al Calvario di Leo e Gesú sotto il peso della Croce di di Mayo. Nell’ambito di questa collaborazione, nel 2009 è stata inaugurata la stagione a Roma con l’Oratorio di A. Scarlatti La Santissima Annunziata. Europa Galante si è anche impegnata nella diffusione del repertorio scarlattiano, con numerosi oratori e opere. Con grande successo di pubblico e di critica, Europa Galante è stata presente a Venezia, in collaborazione con la Fondazione Teatro La Fenice. Nel 2002, Fabio Biondi ed Europa Galante hanno ottenuto il Premio Abbiati della critica musicale italiana per l’insieme dell’attività concertistica e per l’esecuzione del Trionfo dell’Onore di Alessandro Scarlatti. Di nuovo nel 2008 è stato assegnato a Fabio Biondi ed 117 Europa Galante, insieme alla Compagnia Colla, il premio speciale Abbiati per Filemone e Bauci di Haydn (produzione dell’Accademia Musicale Chigiana per la LXV Settimana Musicale Senese), per l’originalità e il pregio della riscoperta di questo lavoro, che gli ha restituito il pieno splendore strumentale e vocale. Nel 2004 Fabio Biondi ed Europa Galante hanno vinto il Premio Scanno per la Musica. Oltre alle numerose date europee, Europa Galante è stata negli Stati Uniti per una lunga tournée di undici concerti in sedi prestigiose quali la Walt Disney Hall e la Carnegie Hall. Nel 2012, Europa Galante ha presentato di nuovo la Norma di Bellini, questa volta in Spagna al Palau de la Musica (Valencia) e all’Auditorium Baluarte (Pamplona). Dal 1998, dopo un’importante discografia edita in collaborazione con la casa discografica francese Opus 111, Europa Galante collabora con Virgin Classics per la quale ha pubblicato numerosi dischi che ottengono regolarmente i massimi riconoscimenti internazionali. Oggi Europa Galante collabora con la casa discografica Agogique per la quale ha pubblicato nel 2012 un primo disco di musiche di Telemann. Europa Galante risiede presso la Fondazione Teatro Due a Parma. 118 FABIO BIONDI Nato a Palermo, Fabio Biondi inizia la sua carriera internazionale all’età di dodici anni, con i primi concerti solistici. A sedici viene invitato al Musikverein di Vienna per interpretare i Concerti per violino di Bach. Da allora collabora quale primo violino con i più famosi ensemble specializzati nell’esecuzione di musica antica con strumenti e prassi esecutiva originali: la Cappella Real, Musica Antiqua Vienna, Il Seminario Musicale, La Chapelle Royale e i Musiciens du Louvre (sin dalla sua fondazione). Nel 1990 la svolta decisiva: fonda Europa Galante, che in pochissimi anni, grazie a un’attività concertistica estesa in tutto il mondo e ad un incredibile successo discografico, diviene l’ensemble italiano specializzato in musica antica più famoso e più premiato in campo internazionale. In pochi anni vende quasi un milione di dischi, e Le quattro stagioni vivaldiane incise per Opus 111 diventano un vero caso internazionale, conquistando tutti i più importanti premi e vendendo oltre cinquecentomila copie. Accanto alle Quattro stagioni vivaldiane, i Concerti Grossi di Corelli o le Sonate di Schubert, Schumann o Bach, si evidenziano gli sforzi tesi alla riscoperta delle opere di Alessandro Scarlatti, di Haendel, come al repertorio violinistico del Settecento italiano. Oggi, Fabio Biondi incarna il simbolo della perpetua ricerca dello stile, uno stile libero da condizionamenti dogmatici e interessato alla ricerca del linguaggio originale. Questa inclinazione lo porta a collaborare in veste di solista e direttore con orchestre quali l’Orchestra di Santa Cecilia a Roma, l’Orchestra da Camera di Rotterdam, l’Orchestra dell’Opera di Nizza, l’Orchestra dell’Opera di Halle, l’Orchestra da Camera di Zurigo, l’Orchestra da Camera di Norvegia, Orchestra Mozarteum di Salisburgo, la Mahler Chamber Orchestra, l’Orchestra della Svizzera Italiana, l’Orchestra Nazionale di Montpellier, l’Ensemble Orchestral de Paris etc. Fabio Biondi è diventato, dal 2005, direttore stabile per la musica antica della Stavanger Symphony Orchestra. In duo con pianoforte, cembalo, fortepiano e come solista, è presente nelle sale più prestigiose: Cité de la Musique a Parigi, Hogi Hall a Tokio, Carnegie Hall a New York, Wigmore Hall a Londra. Nel 2002, Fabio Biondi ed Europa Galante hanno ottenuto il Premio Abbiati della critica musicale italiana per l’insieme dell’attività concertistica e per l’esecuzione del Trionfo dell’Onore di Alessandro Scarlatti. Di nuovo nel 2008 è stato assegnato a Fabio Biondi ed Europa Galante, insieme alla Compagnia Colla, il premio speciale Abbiati per Filemone e Bauci di Haydn (produzione dell’Accademia Musicale Chigiana per la LXV Settimana Musicale Senese), per l’originalità e il pregio della riscoperta di questo lavoro, che gli ha restituito il pieno splendore strumentale e vocale. Dal 2011 Fabio Biondi è Accademico dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Suona un violino ‘Andrea Guarneri’ (Cremona, 1686). Suona anche un violino ‘Carlo Ferdinando Gagliano’ del 1766, già appartenuto al suo maestro Salvatore Cicero, e affettuosamente messo a disposizione dall’omonima Fondazione. CRISTIANA ARCARI Nata a Roma, Cristiana Arcari ha svolto gli studi musicali nella sua città e si è laureata in storia della musica presso l’Università La Sapienza. Ha in seguito studiato canto con Rudolf Knoll al Mozarteum di Salisburgo e con Luisa Castellani all’Accademia Chigiana di Siena e di canto barocco con Emma Kirkby. Si è esibita nei maggiori teatri d’Italia e d’Europa in opere che vanno da Cavalli a DvoĜák, da John Gay a Mozart. Ha inciso per Hyperion l’opera inedita Le disgrazie d’Amore di Antonio Cesti. Grazie a un repertorio che spazia dal barocco alla vocalità contemporanea, Cristiana Arcari collabora con Europa Galante, La Cappella della Pietà dei Turchini, I Cameristi Vocali Italiani, Tacitevoci Ensemble, CappellAntiqua Berna, Seicentonovecento, Il Concerto d’Arianna e con Nicola Piovani, Vincenzo Cerami, Franca Valeri, Ennio Morricone, Bruno de Franceschi, Lorenzo Jovanotti, Germano Mazzocchetti, Valerio Magrelli, Matteo d’Amico, Giuseppe Piccioni, esibendosi nell’ambito di festival e stagioni concertistiche tra cui Misteria Pascalia, Festival Barocco di Viterbo, Sagra Malatestiana di Rimini, Baroktage Stift Melk, Biennale di Musica contemporanea di Zagabria, Oratorio del Gonfalone, Nuova Consonanza, Istituzione Universitaria dei Concerti di Roma, I concerti del Quirinale. Sue interpretazioni sono presenti nella colonna sonora de L’ultimo bacio di Gabriele Muccino e di Io, Don Giovanni di Carlos Saura. Recentemente Cristiana Arcari è stata invitata da Claudio Abbado a partecipare al Progetto Prometeo in una serie di concerti in programma per il 2014. 119 DITTE ANDERSEN Il soprano danese Ditte Andersen ha studiato sotto la guida di Susanna Eken presso la Royal Danish Academy of Opera di Copenhagen. È apparsa in ruoli importanti di opere e in campo concertistico on un repertorio che spazia da Bach a Mozart, Haydn, Richard Strauss, Wagner, Bellini, Rameau, d’Albert, comprendendo prime esecuzioni quali la Passione e resurrezione di Erik Esenvalds a Bergen. Si esibisce in sedi e festival come ad esempio l’Opéra Garnier di Parigi, l’Opéra du Rhin di Strasburgo, il Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, l’Opéra Garnier di Monaco, il Théâtre des Champs-Elysées di Parigi, l’Opéra-Comique di Parigi, Aix-en-Provence, la Royal Albert Hall di Londra, il Teatro Monumental di Madrid, la Salle Pleyel, la Cité de la musique di Parigi, il Bozar a Bruxelles, il Concertgebouw di Amsterdam e la Konzerthaus di Berlino, e in molte altre importanti sedi d’Europa. Ditte Andersen ha collaborato con direttori d’orchestra del calibro di Yves Abel, Paolo Arrivabeni, Fabio Biondi, Thomas Dausgaard, Peter Dijkstra, Olari Elts, Laurence Equilbey, Adam Fischer, Matthias Foremny, Patrick Fournillier, Rafael Frühbeck de Burgos, Christopher Hogwood, Graeme Jenkins, Vladimir Jurowski, Johannes Knecht, Adrian Leaper, Michael Hofstetter, Ion Marin, Andrew Manze, Paul McCreesh, Marc Minkowski, Lars Ulrik Mortensen, Jun Märkl, Tomas Netopil, Daniel Oren, Juan Bautista Otero, Hans-Christoph Rademann, Lawrence Renes, Christophe Rousset, Donald Runnicles, Ulf Schirmer, Andreas Spering, Johannes Willig. 120 ANN HALLENBERG Il mezzosoprano svedese Ann Hallenberg si esibisce regolarmente presso le più prestigiose sale concertistiche mondiali quali la Scala di Milano, La Fenice di Venezia, il Teatro Carlo Felice di Genova, il Teatro Real di Madrid, il Theater an der Wien di Vienna, la Opernhaus di Zurigo, l’Opéra National de Paris, il Théâtre des Champs-Elysées di Parigi, l’Opéra de Lyon, l’Opéra National du Rhin di Strasburgo, l’Opéra de Monaco, la Nederlandse Opera di Amsterdam, la Vlaamse Opera di Anversa, la Bayerische Staatsoper di Monaco di Baviera, la Semperoper di Dresda, la Royal Swedish Opera, il Drottningholm Theatre di Stoccolma. Appare inoltre di frequente in molti altri teatri e importanti festival d’Europa e Nord America. Ann Hallenberg collabora regolarmente con direttori d’orchestra del calibro di Giovanni Antonini, Fabio Biondi, Ivor Bolton, Frans Brüggen, William Christie, Francesco Corti, Alan Curtis, Ottavio Dantone, Alessandro De Marchi, Peter Dijkstra, Diego Fasolis, sir John Eliot Gardiner, Enoch zu Guttenberg, Daniel Harding, Philippe Herreweghe, Michael Hofstetter, Paavo Järvi, Paul McCreesh, Marc Minkowski, Riccardo Muti, Kent Nagano, sir Roger Norrington, Daniel Reuss, Christophe Rousset, Federico Maria Sardelli, Mark Tatlow, Lothar Zagrosek, Alberto Zedda. Il repertorio di Ann Hallenberg include un vasto numero di ruoli principali in opere di Rossini, Mozart, Gluck, Haendel, Vivaldi, Monteverdi, Purcell, Bizet, Massenet, e un repertorio concertistico che spazia dalla musica degli inizi del XVII secolo fino alle composizioni contemporanee di Franz Waxman e Daniel Börtz. MAGNUS STAVELAND Il tenore norvegese Magnus Staveland ha studiato presso l’Accademia di Musica di Stato di Oslo e alla Royal Opera Academy di Copenhagen sotto la guida di Susanna Eken. Si è immediatamente affermato sulla scena come uno dei migliori cantanti scandinavi. I suoi appuntamenti operistici lo hanno visto protagonista in numerose opere di autori quali Monteverdi, Cavalli, Haydn, Mozart, Schoenberg in prestigiose sedi come l’Opéra Garnier di Parigi, il Teatro alla Scala di Milano, il Teatro La Fenice di Venezia, il Teatro Regio di Torino, l’Opéra du Rhin di Strasburgo, il Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, la Settimana Musicale Senese (Filemone e Bauci di Haydn nel 2008), l’Opéra Garnier di Monaco, Le Corum di Montpellier, la Staatsoper di Berlino, il Festival di Aix-en-Provence, il Théâtre de La Monnaie di Bruxelles, il Drottningholm Festival di Stoccolma, il Theater an der Wien. Magnus Staveland collabora regolarmente con direttori d’orchestra del calibro di Rinaldo Alessandrini, Fabio Biondi, Gary Cooper, Simon Carrington, Thomas Dausgaard, Alessandro De Marchi, Eric Ericsson, Rafael Frühbeck de Burgos, René Jacobs, Stefan Klingele, Nicholas Kraemer, Cristoph Kühlwein, Andrew Manze, Marc Minkowski, Juan Bautista Otero, Andrew Parrot, Christophe Rousset, Federico Maria Sardelli, Marc Soustrot, Mark Tatlow, Ottaviano Tenerani. Il suo repertorio concertistico include numerose opere di autori tra cui Bach, Beethoven, Britten, Caldara, Purcell, DvoĜák, Haendel, Haydn, Mendelssohn, Monteverdi, Mozart, Scarlatti, Telemann, Vivaldi, Schoenberg. 121 MARCOS FINK Il basso-baritono Marcos Fink è nato a Buenos Aires da genitori sloveni. Ha acquisito la sua formazione di cantante grazie alla guida di Ivan Ivaniv e Victor Srugo e alle masterclass tenute da Philippe Huttenlocker, Wolfgang Schöne, Erik Werba e Aldo Baldin. Nel 1998 gli è stata conferita una borsa di studio per una specializzazione a Londra con Lady Heather Harper e Robert Sutherland. Si è esibito presso le più prestigiose sale da concerto del mondo nelle città di Parigi, Bordeaux, Basilea, Berlino, Francoforte, Vienna, Madrid, Barcellona, Ginevra, Roma, Milano, Aixen-Provence, Lisbona, Lubiana, Tokyo, Osaka, Buenos Aires, Sao Paulo e Houston. Ha inoltre collaborato con direttori d’orchestra del calibro di Michel Corboz, Hans Graf, Leopold Hager, Alain Lombard, Semyon Bychkow, Uwe Mund, Milan Horvat, Pinchas Steinberg, Anton Nanut, Lior Shambadal e René Jacobs. La discografia di Marcos Fink include un ampio repertorio che va da Mozart a Frank Martin. Nel 2013 è nominato per i Grammy Awards per la categoria ‘Miglior registrazione operistica’; ha ricevuto il ‘Premio Orphée d’Or’ da parte dell’Academie du disque lyrique di Parigi, un ‘BBC Music Award’, il ‘Premio della Cultura’ della Repubblica di Slovenia. 122 Luciano Berio nel cortile dell’Accademia Chigiana di Siena (Foto Lensini). Lunedì 15 luglio Chiesa di Sant’Agostino ore 21.15 In occasione del terzo centenario della morte di Arcangelo Corelli e del decimo anniversario della morte di Luciano Berio Francesco D’Orazio violino Nicola Fiorino violoncello Arcangelo Corelli Fusignano di Romagna 1653 - Roma 1713 Sonata in do magg. op. V n. 3 per violino e basso continuo Allegro Adagio Allegro Allegro Luciano Berio Oneglia 1925 - Roma 2003 124 Sequenza XIV per violoncello (2002) Dai 34 Duetti per due violini Bela / Peppino / Alfredo / Vinko / Aldo / Massimo / Alfred / Lele Sequenza VIII per violino (1976) Arcangelo Corelli Sonata in re min. op. V n. 12 «La Follia» per violino e basso continuo TRA VIRTUOSISMO E POLIFONIA... I DIALOGHI DI CORELLI E BERIO CON GLI STRUMENTI AD ARCO Vincenzina Ottomano Le Sonate a Violino e Violone o Cimbalo opus V di Arcangelo Corelli rappresentano un caso unico della storia della musica barocca. Esse testimoniano il consolidarsi dell’idioma italiano nell’ambito del repertorio strumentale e nello stesso tempo un successo duraturo, sorto già durante la vita dell’autore e rimasto ininterrotto fino ai nostri giorni. La datazione della prima edizione dell’opus V risale al «primo Gennaro 1700» come si legge nella lettera dedicatoria alla Serenissima Altezza Elettorale Sofia Carlotta di Brandeburgo (Fig. 1), una data che segna non solo lo spartiacque fra due secoli ma apre anche l’ultima e forse più significativa fase della vita compositiva di Corelli. 125 Fig. 1. Arcangelo Corelli, Sonate a Violino e Violone o Cimbalo opus V, Roma 1700. Lettera dedicatoria a Sofia Carlotta di Brandeburgo. Dopo gli studi all’Accademia di Bologna e la carriera a Roma dove lavora presso prestigiosi mecenati quali Cristina di Svezia, il cardinale Benedetto Pamphilij e infine al servizio del prelato Ottoboni, il musicista originario di Fusignano alla soglia del suo cinquantesimo compleanno è all’apice della carriera musicale, riconosciuta in ambito internazionale così come in quello italiano: ha una posizione di rilievo nella potentissima «Congregazione dei Musici di Roma» – quella che nell’Ottocento verrà ribattezzata Accademia di Santa Cecilia – come guardiano della sezione strumenti e pochi anni più tardi, proprio per la fama acquisita con la pubblicazione delle Sonate opus V otterrà uno dei riconoscimenti più ambiti per i musici dell’epoca, l’ammissione ufficiale in Arcadia, una delle più prestigiose accademie letterarie del Settecento. Corelli è assunto nell’olimpo così selettivo di questa istituzione con il nome di Arcomelo, un appellativo che già di per sé lascia intuire il potere cantabile e la sua abilità sia nell’uso dell’archetto che nel disegno melodico.1 La consapevolezza della maturità e la padronanza tecnica della scrittura per violino sono i due elementi chiave per la lettura delle Sonate, concepite nella consueta successione di dodici suites e organizzate in due parti. Nella prima, a cui appartengono le Sonate dalla numero 1 alla 6, domina lo stile grave, da chiesa come si usava dire al tempo, mentre la seconda – dalla numero 7 alla 12 – porta la dicitura autografa di «Preludi Allemande» in riferimento ai movimenti di danza (Corrente, Giga, Sarabanda, Gavotta e Follia) che contraddistinguono il carattere di questa ultima sezione (Fig. 2). 126 Fig. 2. Arcangelo Corelli, Sonate a Violino e Violone o Cimbalo opus V, Roma 1700. Frontespizio della Parte Seconda. A differenza dell’impianto tradizionale dell’opera è nell’architettura dei singoli movimenti e nella distribuzione delle parti che Corelli apporta sostanziali innovazioni. Nelle prime sei sonate vi è l’aggiunta sistematica di un quinto tempo, solitamente un Allegro o un Vivace, rispetto alla 1 Massimo Privitera, Arcangelo Corelli, Palermo, L’Epos 2000, pp. 62-63. scansione seicentesca in solo quattro movimenti, mentre la stessa suddivisione interna dimostra una dialettica significativa tra andamento ‘lento’ e quello ‘veloce’. Nella Sonata in do maggiore n. 3, ad esempio, nell’Adagio Corelli espone il materiale melodico, un tema semplice, immediatamente riconoscibile ma allo stesso tempo pregnante e ben scandito ritmicamente. All’Adagio segue l’Allegro in stile fugato a tre voci dove il violino dialoga costantemente con la linea del basso che quindi abbandona la sua funzione di supporto armonico per partecipare attivamente alla definizione polifonica della composizione. Il terzo tempo ritorna ancora in Adagio allargando il tema iniziale con note lunghe, abbellite da elementi virtuosistici che espandono la liricità del violino. Gli ultimi due movimenti chiudono la Sonata con due tempi in Allegro, quasi una ricapitolazione dei temi apparsi precedentemente e rielaborati dapprima in figurazioni arpeggiate di biscrome e poi rallentate nell’ostinato delle crome che ‘punteggiano’ le corde di recita tra tonica e dominante. Un caso del tutto particolare nella raccolta opus V è rappresentato dalla Sonata n. 12, che riporta in partitura il titolo di Follia (Fig. 3). 127 Fig. 3. Arcangelo Corelli, Sonata opus V n. XII, Follia. L’intera composizione si basa su un basso ostinato esposto integralmente nell’Adagio iniziale: una melodia di otto battute in tempo ternario. Di origine portoghese, la Folía apparve per la prima volta nel 1577 nel trattato De musica libri septem di Francisco de Salinas e fin da subito ottenne enorme successo presso compositori come Frescobaldi che l’impiegò nel suo primo libro di toccate, Lully e ancora Scarlatti, fino all’Ottocento dove ritroviamo la melodia nel Totentanz di Liszt. Sul basso di Follia Corelli costruisce un ciclo di variazioni che impegnano allo stesso modo violino e continuo, che acquistano così pari dignità all’interno del discorso musicale. Il principio di elaborazione e variazione si sviluppa con diverse tecniche all’interno della Sonata. Nell’Allegro, Corelli procede con una diminuzione costante dei valori musicali e con l’iterazione di cellule tematiche minime, mentre nel successivo Vivace la linea melodica è frammentata tra canto e basso fino a generare una linea ininterrotta di sincopi. L’ultima variazione, al contrario riprende il dialogo fra le due parti intensificando il discorso polifonico nella linea del violino in una fitta serie di bicordi e tricordi. Questa volta è l’elemento virtuosistico a prendere il sopravvento e chiudere il pezzo in una vera e propria follia esecutiva. 128 La ricerca di una nuova modalità di ascolto polifonico e il concetto di virtuosismo sono i due aspetti che accomunano anche le Sequenze di Luciano Berio. L’idea di comporre un ciclo di brani per strumento solista ebbe inizio al volgere degli anni Cinquanta a seguito di una sollecitazione del flautista Severino Gazzelloni che, in occasione di un recital alla Radio di Colonia, chiese esplicitamente al compositore un pezzo per flauto solo, capace di enfatizzare le potenzialità idiomatiche dello strumento e quelle tecniche dell’esecutore. L’esperienza compositiva di Sequenza I aprì la strada a un’esplorazione costante della natura dei singoli strumenti musicali e della capacità espressiva dell’interprete. Dopo il sodalizio con Gazzelloni, infatti, tutte le Sequenze successive nascono a misura di un esecutore specifico, come ad esempio Sequenza III modellata sulle capacità vocali di Cathy Berberian, Sequenza V per trombone, scritta per Stuart Dempster, o ancora Sequenza IX per clarinetto, nata per Michel Arrignon. Scritta nel 1976 e dedicata a Carlo Chiarappa, Sequenza VIII è un omaggio, un «debito personale», come scrive lo stesso Berio, pagato al violino: all’idea musicale si unisce qui una dimensione storica, legata da un lato al ricordo d’infanzia del compositore – che studia violino per qualche anno e conserva per questo strumento un rapporto di grande attrazione – e dall’altro a una storicità che abbraccia lo sviluppo musicale del linguaggio violinistico da Bach fino alla contemporaneità, come precisa il compositore nella sua nota d’autore:2 Se quasi tutte le altre mie Sequenze sviluppano all’estremo una scelta molto ristretta di possibilità strumentali e di comportamenti del solista, Sequenza VIII presenta un’immagine più globale e più storica dello strumento: essa può essere ascoltata come uno sviluppo di gesti strumentali. Sequenza VIII si appoggia costantemente su due note (la e si) che, come in una ciaccona, costituiscono la bussola nel percorso abbastanza diversificato ed elaborato del pezzo, in cui la polifonia non è più virtuale ma reale e il solista deve sempre rendere consape2 Luciano Berio, Sequenza VIII, nota dell’autore, ora in http://www.lucianoberio.org/ node/1478?878941924=1. vole l’ascoltatore della storia che sta dietro a ogni gesto strumentale. È così che Sequenza VIII diventa anche, inevitabilmente, un omaggio a quel culmine musicale che è la Ciaccona della Partita in re minore di Johann Sebastian Bach, in cui – storicamente – coesistono tecniche violinistiche passate, presenti e future. L’omaggio a Bach è dunque presente nella stabilità armonica legata a due note perno (la3 e si3) che determinano veri e propri «campi armonici» dai quali prende vita l’intera narrazione compositiva. Il principio della variazione a partire da cellule minime costruisce un percorso musicale fatto di gesti, riconducibili sia alla tecnica brillante della scrittura per violino – indicazioni puntualmente riportate da Berio in partitura come il movimento delle arcate, l’impiego di una o più corde e l’esecuzione di accordi di tre o quattro suoni – sia alla potenzialità virtuosistica dell’esecutore capace di esteriorizzare, quasi ‘teatralizzare’ la dimensione empatica con lo strumento. La scrittura, a partire dalla diade principale, raggiunge così una simultaneità di eventi che determina una struttura polifonica ‘ideale’: Berio enfatizza sistematicamente, all’interno della parte del violino, almeno due dei quattro parametri del suono (altezze, rapporti intervallari, dinamiche e durate) per poi sovrapporre, iterare e sviluppare il tessuto sonoro (Es. 1). 129 Es. 1. Luciano Berio,“Sequenza VIII für Violine” © Copyright 1996 by Universal Edition A.G., Wien/UE 15990. Dalla densità del suono che ricrea una esperienza d’ascolto a più voci, gradualmente il discorso musicale si fa più rarefatto e il ‘cantabile’ della linea del solista è interamente affidato alla maestria dell’interprete che in pianissimo e con un tempo molto instabile, quasi improvvisando riconduce simmetricamente la sezione finale del pezzo nuovamente sui suoni originari la3 e si3 (Es. 2). 130 Es. 2. Luciano Berio, “Sequenza VIII für Violine” © Copyright 1996 by Universal Edition A.G., Wien/UE 15990. La riflessione sulla natura dello strumento e sulla sua evoluzione continua ad alimentare Sequenza XIV per violoncello scritta in collaborazione con il musicista srilankese Rohan de Saram e ultima del ciclo per strumento solo composta da Berio nel 2002. Come ricorda lo stesso de Saram, l’idea compositiva nacque grazie all’interesse di Berio per la straordinaria ricchezza di strumenti ritmici dello Sri Lanka e in particolare per il tamburo di Kandy, l’antica capitale di Ceylon:3 3 Rohan de Saram, Introduzione a Sequenza XIV, Universal Edition http://www. universaledition.com/Luciano-Berio/composers-and-works/composer/54/work/2177/work_ introduction, traduzione italiana a cura di chi scrive. Un aspetto del tamburo di Kandy che interessava particolarmente il Maestro Berio era che esso produce quattro suoni, due per ogni estremità di questo strumento di forma cilindrica. Era divertito dal constatare che dei due strumenti da me suonati, uno aveva quattro corde mentre l’altro aveva quattro suoni percussivi! In seguito il Maestro Berio mi chiese di spedirgli delle registrazioni di ritmi del tamburo, insieme con la loro trascrizione in notazione occidentale che io approntai per lui affinché potesse seguire i ritmi registrati sul nastro. L’assimilazione di differenti linguaggi musicali e il dialogo costante tra tradizione occidentale e tradizione orientale sono presenti in Sequenza XIV fin dalle battute iniziali: qui Berio esplora il potenziale percussivo del violoncello evocando i moduli ritmici trascritti da de Saram – assimilati e contrapposti in modo da generare durate variabili – e la pratica performativa e rituale del tamburo di Kandy. In questa prima sezione, infatti, l’interprete abbandona l’archetto per un contatto ‘fisico’ con lo strumento: la mano sinistra impegnata sulle corde, quella destra sul corpo dello strumento (Es. 3). 131 Es. 3. Luciano Berio, “Sequenza XIV für Violoncello” © Copyright 2002 by Universal Edition A.G., Wien/UE 32914. Il gesto si trasforma così in ‘teatro’, dove l’intenzione dell’esecutore esterna un contatto diretto con lo strumento e dallo strumento arriva fino al pubblico, come parte attiva della ritualità in atto sul palcoscenico. Il dialogo costante tra melodia e densità armonica raggiunge il culmine nella seconda parte del brano che contrappone, alla robusta ritmicità del gesto percussivo, «un clima espressivo» più intimo dove le ampie arcate e il portamento della linea melodica enfatizzano, questa volta, la dimensione timbrica del violoncello che, nelle parole di Berio, «è uno dei pochi strumenti ad essere stati attraversati tanto profondamente e lungamente dalla storia della musica».4 La tecnica dello strumento, la ricerca di ‘nuovi linguaggi’ e la dimensione didattica strettamente connessa all’esperienza violinistica ritornano come motivi conduttori anche nella composizione dei 34 Duetti per due violini, scritti da Berio tra il 1979 e il 1983. L’occasione per questa collezione di ‘aforismi musicali’ si delinea nel clima amichevole di una serata che il compositore passa in compagnia del musicologo Lorenzo Pinzauti e del violinista Chiarappa: i tre discutono della Scuola musicale di Fiesole – dove Pinzauti nel 1979 lavorava come insegnante di violino – e soprattutto della difficoltà di tanti giovani musicisti ad entrare in contatto con i ‘nuovi linguaggi’ della musica e soprattutto a ‘sopportare’ sfiancanti ore studio sullo strumento:5 132 Con Berio parlai perciò della mia nuova esperienza di insegnante di violino e in particolare di certe astuzie didattiche dei violinisti del Settecento che, consapevoli di quanto sia poco gratificante, specialmente all’inizio, lo studio di uno strumento ad arco, ricorrevano nei loro Metodi all’espediente di scrivere gli esercizi, da quelli sulle corde a vuoto per i principianti fino ai più complessi nelle posizioni alte, su due righi: uno per l’allievo e l’altro per il maestro che suona pari passo con lui qualcosa di musicalmente più compiuto, dandogli così l’illusione che anche la scala più faticosa e prevedibile possa trasformarsi in un pezzo di musica. Questo orientamento settecentesco aveva trovato naturale continuazione nei duetti di Béla Bartók, ultimo compositore a scrivere, con intenti pedagogici, una serie di brevissimi capolavori nei quali il discorso musicale coniugasse perfettamente la progressiva difficoltà tecnica alla sostanziale dissoluzione del linguaggio tonale. La provocazione di Pinzauti è colta immediatamente da Berio che, la notte stessa di quel 10 novembre 1979, incomincia a scrivere i ‘suoi’ Duetti per due violini intitolandone il primo proprio con il nome del maestro ungherese. La curiosità didattica e la freschezza dell’idea compositiva rimangono legate alle circostanze ‘familiari’ che videro la nascita di questi pezzi. 4 Luciano Berio, Sequenza XIV, nota dell’autore, ora in http://www.lucianoberio.org/ node/1490?361915791=1. 5 Lorenzo Pinzauti, I “Duetti” per due violini, in Sequenze per Luciano Berio, a cura di Enzo Restagno, Milano, Ricordi BMG 2000, pp. 210-211. Ragioni nascoste e occasioni personali, come specifica lo stesso Berio, che per ogni Duetto dipingono quasi un ritratto o un ricordo del dedicatario:6 In BRUNO (Maderna), per esempio, c’è il ricordo delle musiche «funzionali» che si componevano assieme negli anni Cinquanta; MAJA (Pliseckaja), russa, dà il nome alla trasformazione di una canzone russa, mentre ALDO (Bennici), siciliano, dà il nome a una vera e propria canzone siciliana; con PIERRE (Boulez), scritto in occasione di una serata d’addio, sviluppo un frammento di ...Explosante-fixe...; GIORGIO FEDERICO (Ghedini) è un ricordo dei miei anni di conservatorio. E così via… Questi Duetti sono per me un equivalente di quello che i vers de circonstance erano per Mallarmé: non sono cioè legati da ragioni musicali ma, piuttosto, dal tenue filo delle circostanze. Accanto all’omaggio e al pensiero per una persona cara predomina nei Duetti il fascino per le possibilità esecutive offerte dallo strumento ad arco, sviluppate gradualmente nelle due sezioni di ciascuna composizione. Ogni duetto, di durata estremamente variabile e comunque non più lungo di quattro minuti, esplora un problema tecnico specifico legato allo strumento – come la posizione dell’archetto, l’esecuzione di bicordi o ancora il livello espressivo del timbro che crea situazioni stilistiche differenti, a volte estremamente semplice, a volte oltremodo complesse. Un caleidoscopio che attraversa il suono in se stesso, lo strumento che lo produce, il musicista che impara ad ascoltarlo e interpretarlo. Un diario in diverse tappe che racconta con una possibilità infinita di soluzioni quello che Berio chiamò il suo «folklore privato». 133 Carlo Chiarappa e Luciano Berio, Ravenna, luglio 1988, foto di Giorgio Biserni ©. 6 Luciano Berio, Duetti per due violini, nota dell’autore, ora in http://www.lucianoberio.org/ node/1370?1300602058=1. Brani di Luciano Berio eseguiti all’Accademia Musicale Chigiana Agnus (1971) 24 luglio 1995 Interpreti: London Sinfonietta Voices, Terry Edwards direttore A-Ronne (1974 / 1975), documentario musicale per cinque attori su una poesia di Edoardo Sanguineti 21/22 luglio 1995, Teatrino di Palazzo Chigi Saracini Interpreti: Burattini di Amy Luckenbach Novità assoluta Brin (1990); Leaf (1990), Erdenklavier (1965), Wasserklavier, Luftklavier (1985), Feuerklavier (1989), da Encores (1965-1990) 14 luglio 2005 Interprete: Andrea Lucchesini pianoforte 20 luglio 1972 Interprete: Antonio Ballista (Wasserklavier) Call (Fanfara per Siena) 8 giugno 1991 Interpreti: Quintetto di ottoni dell’Orchestra Giovanile Italiana Canticum Novissimi Testamenti II (1989), testo di Edoardo Sanguineti Interpreti: London Sinfonietta Voices, Quartetto Claude Debussy, Eclettico Ensemble, Luciano Berio direttore 134 Chemin II 11 luglio 1996 Interpreti: Ensemble Intercontemporain, Pierre Boulez direttore, Christophe Desjardins viola Cries of London (1976) 24 luglio 1995 Interpreti: London Sinfonietta Voices, Terry Edwards direttore Différences 28 agosto 1970 Interpreti: London Sinfonietta, Luciano Berio direttore 29 agosto 1980 Interpreti: Ensemble Intercontemporain, Peter Eötvös direttore, Luciano Berio regia del suono Tre Duetti per due violini: Peppino (1979), Aldo (1981), Lele (1983) 16 luglio 2003 Interpreti: Carlo Chiarappa violino, Dominique Chiarappa-Zryd violino Folk songs (1964) 28 agosto 1970 Interpreti: Cathy Berberian, London Sinfonietta, Luciano Berio direttore 15 luglio 2000 Interpreti: Monica Bacelli, Ensemble Novecento e oltre, Antonio Ballista pianoforte solista e direttore Lied (1983) 7 agosto 1985 Interprete: Antonio Garbarino clarinetto Linea per due pianoforti e percussioni 26 novembre 1999 Interpreti: Andrea Lucchesini e Pietro De Maria duo pianistico, Maurizio Ben Omar e Andrea Dulbecco percussioni Melodrama da Opera 27 agosto 1970 Interpreti: London Sinfonietta, Luciano Berio direttore Prima esecuzione europea Naturale per viola, percussioni e nastro magnetico 8 giugno 1991 Interpreti: Aldo Bennici viola, Giovanni Tamborrino percussione, Tempo Reale nastro magnetico 6 luglio 2002 Interpreti: Kim Kashkashian viola, Robyn Schulkovsky percussioni Opus Number Zoo (1951; revis. 1970) 29 agosto 1983 Interprete: Musicus Concentus 20 agosto 2003 Interprete: Quintetto Bibiena Quattro Elementi 5 marzo 1993 Interprete: Andrea Lucchesini pianoforte Rendering (1989-1990) 19 luglio 2001 Interpreti: Camerata Strumentale Città di Prato, Alessandro Pinzauti direttore 135 Requies (Frammento) (1984) 18 luglio 2003 Interpreti: Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Gary Bertini direttore Ricorrenze 18 febbraio 1994 Interprete: Quintetto Arnold 23 marzo 2007 Interprete: Quintetto Bibiena Ritorno degli Snovidenia 20 luglio 1991 Interpreti: Ensemble Intercontemporain, Pierre Boulez direttore, Jean-Guiheu Queyras violoncello Rounds (1967) 14 luglio 2005 Interprete: Andrea Lucchesini pianoforte Sequenza I per flauto solo 3 marzo 1989 Interprete: Roberto Fabbriciani 22 agosto 2003 Interprete: Patrick Gallois Sequenza II per arpa 24 agosto 2005 Interprete: Fabrice Pierre 136 Sequenza III per voce sola 28 agosto 1970 Interprete: Cathy Berberian 8 giugno 1991 Interprete: Giovanni Tamborrino Sequenza IV (1966) per pianoforte 29 agosto 1971 Interprete: C.R. Alsina 14 luglio 2005 Interprete: Andrea Lucchesini Sequenza VI per viola sola 28 gennaio 1977 Interprete: Aldo Bennici 30 luglio 1985 Interprete: Gérard Caussé Sequenza VIII per violino 27 agosto 1977 Interprete: Carlo Chiarappa Prima esecuzione italiana Sequenza IX per clarinetto 29 agosto 1980 Interprete: Michael Arrignon Prima esecuzione italiana 9 agosto 1984 Interprete: Giuseppe Garbarino 10 agosto 1997 Interprete: Antony Pay 6 agosto 2003 Interprete: Antony Pay Sequenza X per tromba in do e pianoforte (Risonanza) (1985) 18 luglio 1998 Interpreti: Håkan Hardenberger tromba, Folco Vichi pianoforte Sequenza XI per chitarra 28 agosto 2002 Interprete: Eliot Fisk Sequenza XV per violoncello 27 luglio 2004 Interprete: Rohan De Saram Sinfonia per otto voci e orchestra, testi di Claude Lévi-Strauss e Samuel Beckett 14 luglio 2007 Interpreti: Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Antonio Pappano direttore, The Swingle Singers Sonata (2001) per pianoforte 18 luglio 2001 Interprete: Andrea Lucchesini Prima esecuzione italiana Thema per nastro magnetico 28 agosto 1970 Interpreti: London Sinfonietta, Luciano Berio direttore 137 138 FRANCESCO D’ORAZIO «Violinista brillante e versatile ha messo le sue qualità tecniche e musicali al servizio di un’eccezionale poliedricità, imponendosi come punto di riferimento nella musica contemporanea, nella collaborazione con compositori come Luciano Berio, Ivan Fedele e numerosi altri (con molte prime assolute), non meno che in repertori del tutto diversi, in particolare in quello barocco, come solista e violinista dell’Ensemble Astrée di Torino». Con questa motivazione, nel 2010, Francesco D’Orazio è stato insignito del XXIX Premio Abbiati della Critica Musicale Italiana quale Miglior Solista, primo violinista italiano a ricevere questo prestigioso riconoscimento dopo Salvatore Accardo nel 1985. Nato a Bari, si è diplomato in violino e viola sotto la guida del padre, perfezionandosi con Carlo Chiarappa e Cristiano Rossi e successivamente con Denes Zsigmondy presso il Mozarteum di Salisburgo e Yair Kless presso l’Accademia Rubin di Tel Aviv. Si è laureato in lettere con una tesi in storia della musica sul compositore Virgilio Mortari. Il suo vasto repertorio spazia dalla musica antica eseguita con strumenti originali (è il violinista dell’ensemble L’Astrée di Torino) alla musica classica, romantica e contemporanea. Numerosi compositori hanno scritto per lui lavori per violino e orchestra: Ivan Fedele (Mosaique e Orizzonte di Elettra per violino elettrico 5 corde), Terry Riley (Zephir), Marco Betta, Michele dall’Ongaro (Hauptstimme), Michael Nyman (Concerto n. 2 e 2a), Raffaele Bellafronte, Lorenzo Ferrero, Gilberto Bosco, Fabian Panisello, Flavio Emilio Scogna, Nicola Campogrande. Luis de Pablo gli ha dedicato il brano violinistico Per Violino. Di particolare rilievo è stata la sua lunga collaborazione con Luciano Berio, del quale ha eseguito Divertimento per trio d’archi in prima mondiale al Festival di Strasburgo, e inoltre Sequenza VIII al Festival di Salisburgo e Corale per violino e orchestra alla Cité de la Musique a Parigi e all’Auditorium Nacional de Musica di Madrid diretto dall’autore. Ha tenuto le prime esecuzioni italiane dei concerti per violino e orchestra di molti autori contemporanei. Nel 2007 ha inaugurato la 51a Biennale Musica di Venezia con le prime assolute del Secondo Concerto per violino e orchestra e della Suite The Libertine di Michael Nyman con l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Ha tenuto concerti in tutta Europa, Nord e Sud America, Messico, Cina e Giappone ed effettuato registrazioni discografiche per Decca, Opus 111, Hyperion, Stradivarius, AVI, Stradivarius e Amadeus. È stato ospite di prestigiose istituzioni musicali di tutto il mondo. Nel 2011, diretto da Lorin Maazel, ha tenuto a Washington il concerto celebrativo in USA per i 150 anni dell’Unità d’Italia suonando per l’occasione lo Stradivari 1727 dello stesso Maazel. Ha tenuto concerti con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, l’Orchestra Sinfonica Nazionale d’Ile de France, i Berliner Symphoniker, la NRO di Denver, la OFUNAM e l’Orchestra Filarmonica di Città del Messico, la Filarmonica di Timisoara, la Regionale Toscana, la Saarlandischer Rundfunk, l’Orchestra Filarmonica di Shangai, l’Orchestra Filarmonica di Nagoya, l’Orchestra Filarmonica di Torino, l’Orchestra Sinfonica Siciliana, l’Orchestra da Camera Reina Sofia di Madrid, l’Academia Montis Regalis, l’Accademia Bizantina, la Manitoba Chamber Orchestra, i Solisti Aquilani diretto tra gli altri da Boris Brott, Aaron Jay Kernis, Michael Nyman, Steven Mercurio, Zuohuang Chen, Daniel Kawka, Hansjörg Schellenberger, Luciano Berio e Arturo Tamayo. Suona il violino Comte de Cabriac di Giuseppe Guarneri costruito a Cremona nel 1711. NICOLA FIORINO Nato ad Altamura, ha intrapreso lo studio del violoncello con Gianlorenzo Sarno. È stato invitato in seguito da Rocco Filippini a studiare nella sua classe presso il Conservatorio di Milano, dove si è diplomato. Ha poi frequentato l’Accademia Stauffer a Cremona e i corsi di Antonio Janigro e Mario Brunello a Brescia, oltre a numerosi altri corsi di perfezionamento. All’estero ha proseguito gli studi sotto la guida di Marzio Carneiro presso la Musikhochschule di Detmold diplomandosi con il massimo dei voti, e con Johannes Goritzki alla Musikhochschule di Düsseldorf dove nel 1996 ha conseguito il Diploma da Solista. Gli anni trascorsi in Germania sono stati caratterizzati da una intensa attività musicale decisiva per l’evoluzione dei suoi approfondimenti stilistici grazie al contatto con la tradizione musicale mitteleuropea e alla collaborazione con straordinari musicisti provenienti da ogni parte del mondo. È titolare della cattedra di violoncello presso il Conservatorio di Bari. Nel 2005 ha ottenuto il Premio Abbiati come componente dell’ensemble I Solisti Dauni. Ha riscosso ampio successo in Italia, Germania, Francia, Svizzera e Russia, in un vasto repertorio solistico e da camera. Ha ricevuto entusiastici consensi collaborando con prestigiosi compositori contemporanei del calibro di Kaija Saariaho, Fabio Vacchi, Marco Stroppa, Alessandro Solbiati e Michele Dall’Ongaro per l’esecuzione di loro opere per violoncello solo e con Ivan Fedele e Toshio Hosokawa per la musica da camera. 139 Christofer Schor, Festa in Piazza di Spagna, Roma, 1687. La grande orchestra è probabilmente diretta al violino da Corelli. Giuseppe Verdi ritratto da Giovanni Boldini (Milano, Casa di riposo per musicisti G. Verdi). Mercoledì 17 luglio Chiesa di Sant’Agostino ore 21.15 Toru Takemitsu Tokyo 1930 - 1996 Rocking Mirror Daybreak per due violini da poesie di Makoto Ooka e Thomas Fitzsimmons (1983) I Autumn II Passing Bird III In the Shadow IV Rocking Mirror GIUSEPPE VERDI Roncole di Busseto, Parma 1813 - Milano 1901 Quartetto per archi in mi min. Allegro Andantino Prestissimo Scherzo Fuga (Allegro assai mosso) *** 142 JOHANNES BRAHMS Amburgo 1833 - Vienna 1897 Quintetto per clarinetto e archi in si min. op. 115 Allegretto Adagio Andantino, Presto non assai, ma con sentimento Finale (Con moto) Mahler Chamber Soloists Henja Semmler violino Sonja Starke violino Anna Puig Torné Antoaneta Emanuilova Olivier Patey viola violoncello clarinetto 143 TAKEMITSU, VERDI, BRAHMS Francesco Ermini Polacci 144 Toru Takemitsu Toru Takemitsu è considerato uno dei principali compositori giapponesi contemporanei. La sua formazione musicale avvenne sostanzialmente da autodidatta, e all’inizio si basò su una vorace esperienza di ascolti (dalla musica occidentale, conosciuta grazie alla radio americana, al jazz, apprezzato sui dischi del padre); in seguito il suo gusto subì anche gli influssi della musica francese, di Debussy e Messiaen in particolare. Con il Requiem per orchestra d’archi (1957), uno dei primi lavori più significativi, Takemitsu ricevette gli elogi di Igor Stravinskij e vide avviarsi la sua carriera internazionale. Col tempo avrebbe maturato uno stile personalissimo, per lo più incentrato sulla valorizzazione dell’elemento timbrico in sé, e dove la sua concezione segue parallelamente lo stile occidentale – per lui quasi imprescindibile – e quello orientale: senza però mai combinarli in un’unica alchimia, ma seguendone i percorsi nel nome di una visione musicale ad ampio raggio. Infatti, contrariamente a quello che si potrebbe in un primo tempo pensare, Takemitsu non si è mai fatto testimone esclusivo del linguaggio della tradizione musicale giapponese, pur avendone talvolta utilizzato gli strumenti tipici (ma secondo i canoni occidentali): quella cultura è nella sua opera presente più che altro come una filosofia, uno stato d’animo per il quale il silenzio ha pari importanza del suono e la libertà, non le strutture, regola il fluire della musica. Non meraviglierà allora che uno dei motivi ispiratori dell’arte di Takemitsu sia la Natura, non certo intesa come patrimonio di suggerimenti meramente illustrativi ma come forza vitale, dotata di una sua fisicità sonora. Un tema da tenere presente anche in una breve pagina come Rocking Mirror Daybreak, scritta per le sorelle violiniste di oriToru Takemitsu. gini armene Ida e Ani Kavafian, che l’hanno eseguita per la prima volta il 17 novembre 1983, alla Carnegie Hall di New York. Una partitura che deve il suo nome all’omonima raccolta di liriche curata da Makoto Ooka e Thomas Fitzsimmons, poeti e studiosi di letteratura giapponese coetanei di Takemitsu. Ciascuno dei quattro rapidi movimenti in cui è articolata prende il nome dall’incipit del testo poetico ispiratore, e Takemitsu allude alle immagini naturali evocate (come l’autunno o il passaggio di un uccello) affidando alle voci dei due violini scale di otto e cinque suoni, silenzi eloquenti, sonorità ben tangibili eppur sospese e misteriose, che paiono rifrangersi in quello specchio chiamato in causa dal titolo di questa suggestiva composizione. Giuseppe Verdi L’unico e solo lavoro strumentale da camera non venne scritto da Giuseppe Verdi negli anni giovanili, come pagina dimostrativa di una sapienza compositiva maturata attraverso un rigoroso studio, come saggio di un genere poi abbandonato a favore di un percorso artistico indirizzato esclusivamente verso il mondo dell’opera. Il Quartetto per archi in mi minore venne da lui composto a sessant’anni compiuti, nella primavera del 1873. All’epoca Verdi si trovava a Napoli, per seguire al Teatro San Carlo la prima ripresa di Aida, l’ultima opera allora scritta, tenuta trionfalmente a battesimo al Cairo nel 1871 e presentata con successo anche alla Scala di Milano, l’anno subito dopo. Fra una prova e l’altra dell’Aida napoletana, Verdi si dedicò alla scrittura di un quartetto per archi, che poi presentò a sorpresa a un ristretto gruppo di amici, riuniti, con la scusa di un ricevimento, in una sala dell’albergo delle Crocelle (poi divenuto il noto Hotel Hassler), dove il maestro alloggiava: il 1 aprile di quello stesso 1873, quell’uditorio privilegiato poté così accogliere con particolare ammirazione e stupore il nuovo Quartetto di Verdi, suonato nell’occasione da alcune prime parti dell’Orchestra del Teatro San Carlo. Nel 1876, il Quartetto avrebbe conosciuto la sua prima stampa, per Ricordi, e avrebbe iniziato a circolare nei maggiori centri musicali d’Europa, fra l’altro con un particolare successo. E questo nonostante Verdi avesse più volte dichiarato un certo distacco nel parlare di quel lavoro, scritto, diceva, quasi come una sorta di passatempo, e che inizialmente non voleva neppure render noto. Ma poi la fortuna che iniziò ad arridere al Quartetto gli fece tirar definitivamente fuori quell’orgoglio in fondo malcelato («Se il Quartetto sia bello o brutto non so... so però che è un quartetto!», aveva scritto all’amico Opprandino Arrivabene, il 13 aprile 145 146 1873), a riconoscere apertamente la validità artistica innegabile di quel suo ‘figlio minore’, del quale iniziò anche ad autorizzare l’esecuzione a parti raddoppiate, ossia per orchestra d’archi. In realtà, dietro quel continuo schernirsi, Verdi nascondeva il timore che il suo Quartetto non potesse venir compreso: dedicarsi ad un quartetto per archi significava confrontarsi con il genere musicale più alto, e segnatamente con quella tradizione esemplare rappresentata da Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert. Sulla carta, Giuseppe Verdi. appariva poco credibile che un italiano, che per di più aveva sempre battuto il terreno del melodramma, potesse uscire vittorioso da quel temibile raffronto. Verdi però alla fine ci riuscì, percorrendo in maniera personale una strada dove il rigore e la coerenza formale del quartetto per archi si sposano a tinte di gusto operistico e raffinatezze strumentali, e consegnando alla storia un capolavoro. Alla fine, si trattò per lui anche di una piccola rivincita, soprattutto contro quei critici di formazione e gusto austro-tedeschi che lo accusavano ripetutamente di non saper scrivere musica puramente strumentale, di ignorare le regole del contrappunto, di essersi asservito al solo melodramma, genere ormai in decadenza: scrivere un quartetto significò, insomma, vincere su quello stesso campo in cui era comune proclamare un’egemonia tedesca, e dimostrare che la musica italiana non era fatta soltanto di opere. Quattro sono i movimenti, come quelli canonici di un classico quartetto per archi. L’Allegro iniziale soddisfa le regole della tradizionale forma sonata, con un primo motivo incalzante e sinuoso, e un secondo più meditativo e dolce: sono idee contrastanti e d’impronta operistica, che vengono sottoposte, secondo le regole, a un denso sviluppo contrappuntistico, infine suggellato da un’energica coda conclusiva. Il secondo tempo (Andantino) si presenta in una forma originale: è una sorta di mazurka dal passo leggero, un po’ svagata e anche ironica, che può richiamare alla mente l’ambiente della corte mantovana di Rigoletto. A pervaderla è però un’aura malinconica, che talvolta si accende di quella concitazione drammatica che ha già segnato il primo movimento. Un’impetuosa e virile baldanza, degna delle più celebri pagine del Trovatore, caratterizza invece il successivo Prestissimo. Un piglio che, nell’episodio centrale, lascia il posto ad un disteso cantabile del violoncello solo, motivo affascinante che si dispiega su un tappeto di pizzicati nello spirito di una romanza d’opera. Sorprende, infine, il conclusivo Scherzo-Fuga: non tanto per l’uso in sé dei principi rigorosi del contrappunto (cari, ad esempio, al Beethoven degli ultimi Quartetti), quanto per l’inusuale concezione di un movimento in tempo rapido governato da quelle leggi, in un gioco continuo di brillantezza e severità. Gioco portato avanti con mano abilissima e raffinata, lontano dagli esiti trascendentali di Beethoven, e invece risolto in una dimensione terrena di piacevole, estrosa disinvoltura. Una fuga, come quella che accoglierà poi il sorriso disincantato del vecchio Verdi nella conclusione di Falstaff. Johannes Brahms Il Quintetto per clarinetto in si minore op. 115 rappresenta il momento più alto della matura produzione cameristica di Johannes Brahms. Quando lo compone, nell’estate del 1891, Brahms ha ormai lasciato alle spalle le polemiche anti-wagneriane, ma l’affermarsi impetuoso dei poemi sinfonici straussiani lo ha ormai reso consapevole della sua estraneità ai nuovi valori estetici della cultura musicale tedesca di quel fin de siècle; la 147 La sala della musica nell’appartamento viennese di Brahms. Sulla parete sono appesi tra gli altri un ritratto di Cherubini e un busto di Beethoven. 148 certezza della fine di un’epoca si unisce ad un sentore di morte. Casi della vita e situazione storica lo portano così ad accentuare la posizione connaturata di custode dei valori della tradizione, e a riscoprire gli aspetti più squisitamente artigianali della creazione musicale. È difatti la conoscenza e la frequentazione di un esecutore dalle eccezionali qualità a stimolare l’estro creativo di Brahms: il clarinettista Richard von Mühlfeld, ottimo concertista e primo clarinettista dell’Orchestra di Meiningen, la stessa che di Brahms aveva tenuto a battesimo la Quarta Sinfonia (1885). Ma non va certo dimenticata la personale predilezione che Brahms aveva per il clarinetto, strumento da lui particolarmente amato per il timbro discreto e notturno. Concepito non a caso assieme al Trio per pianoforte, clarinetto e violoncello op. 114, un altro capolavoro di quegli ultimi anni, il Quintetto in si minore è una pagina dove pare stendersi l’ombra cupa e presaga della fine: con il clarinetto incaricato di dar voce alla languida eppur nobile malinconia che ormai domina lo spirito del compositore, unito ai quattro archi per riproporre il fascino timbrico carico di fascino che già Mozart aveva individuato, quasi un secolo prima, nel Quintetto K 481. Già il primo struggente tema dell’Allegro, accennato agli archi e subito sviluppato dal clarinetto in distese e quasi visionarie volute, risuona come una sorta di confessione rassegnata eppur dolcissima; ad esso si contrappone un’altra idea dal tono più drammatico, ma in realtà è proprio quel primo motivo a far da pietra angolare all’intero movimento e a tutta la composizione, perché ogni frammento viene rielaborato di continuo come spunto per i successivi sviluppi. L’Adagio successivo si apre alla luce soffusa del si maggiore, in un’atmosfera di sognante e crepuscolare dolcezza, con un episodio centrale dove il solista segue percorsi inquieti e intona cadenze dagli accenti malinconici quanto fantastici. L’Andantino è un momento di gioviale discorsività, classicamente composto, con un momento centrale (Presto non assai) dai toni fantastici e quasi spiritati. Il Finale (Con moto) è un omaggio di Brahms alla forma tanto cara della variazione, principio costruttivo fondamentale in tante sue composizioni. Un tema di austera semplicità, quasi un corale, che si riflette in una serie ininterrotta di cinque diverse elaborazioni, dal carattere ora severo, ora fremente, ora sbigottito, ora soave, ora di estatica dolcezza. Fino a quando, e in modo del tutto inaspettato, agli archi riaffiora, con fare esitante, il tema principale ascoltato nel primo movimento: sommesso, riecheggiato in maniera mesta dal clarinetto, suggella questo capolavoro di Brahms con i sospiri malinconici di un incerto e dolente congedo. MAHLER CHAMBER SOLOISTS I musicisti della Mahler Chamber Orchestra (MCO) si esibiscono regolarmente all’interno di ensemble cameristici più ristretti. Grazie alla musica da camera, tali artisti hanno la possibilità di potenziare le proprie qualità musicali, elemento fondamentale da cui di riflesso trae giovamento anche l’Orchestra. Questo tipo di format ristretto e flessibile consente anche di sperimentare repertori, nuove modalità di concerti e sale, andando ad arricchire l’identità dell’Orchestra. Tutti gli ensemble musicali della MCO si esibiscono con il nome di ‘Mahler Chamber Soloists’. I Mahler Chamber Soloists si esibiscono sui palcoscenici più prestigiosi del mondo: sale da concerti, teatri, spazi all’aperto per musica Klezmer, in locali al fianco di DJ o in musei ad accompagnare le installazioni in esposizione. Nella città di Ferrara, in cui la MCO è orchestra ‘residente’, i Soloists si esibiscono in una serie di concerti al Jazz Club Ferrara. A Berlino l’attività musicale della MCO ha portato a collaborazioni regolari con l’associazione culturale Radialsystem V e con la compagnia di danza Sasha Waltz & Guests. I Soloists sono stati protagonisti di tournée in Italia, Germania e due volte in India. Nel 2012, attività educative e di solidarietà hanno fatto da corollario alla prima tournée indiana. La seconda, nel 2013, è stata coprodotta con la compagnia Sasha Waltz & Guests. Durante i suoi quindici anni di attività, la Mahler Chamber Orchestra è diventata uno degli ensemble più interessanti dal punto di vista artistico e di maggior successo all’interno del panorama musicale internazionale. La MCO è titolare di ‘residenze’ in diversi Paesi europei ed è protagonista di tournée in tutto il mondo, con una media di circa duecento concerti all’anno. Durante la stagione 2012/2013 l’Orchestra si esibisce in tredici Paesi europei, in Giappone e in Australia, con apparizioni nelle città più importanti d’Europa e in festival prestigiosi quali il Musikfest di Berlino, il Festival Musicale Internazionale Primavera di Praga e il Festival di Salisburgo. L’Orchestra è titolare di ‘residenze’ nelle città di Ferrara (Italia), nel Nord Reno-Vestfalia (‘residenza’ che include le città tedesche di Dortmund, Essen e Colonia) e al Festival di Lucerna, in cui ogni estate la MCO costituisce la parte principale dell’Orchestra del Festival di Lucerna. 149 Nella primavera del 2011 la MCO ha ricevuto il titolo di Ambasciatore Culturale dell’Unione Europea. L’Orchestra sta dimostrando un crescente impegno sociale tramite la MCO Academy e il programma socio-educativo MCO Landings. Daniel Harding, insieme al direttore d’orchestra fondatore Claudio Abbado, ha avuto una notevole importanza nel processo evolutivo della MCO. Nel 2011 l’Orchestra ha deciso di conferirgli a vita il titolo di Direttore onorario. Il pianista norvegese Leif Ove Andsnes può vantare un rapporto speciale con l’Orchestra. Dal 2012 infatti è Partner artistico dell’Orchestra. La MCO ha realizzato registrazioni di successo con prestigiose etichette discografiche, tra cui Sony Classical, Decca e Deutsche Grammophon. 150 Giuseppe Tivoli, Ritratto di Richard Wagner, 1883 (Bologna, Civico Museo Bibliografico Musicale). Giovedì 18 luglio Teatro dei Rinnovati ore 21.15 MAHLER CHAMBER ORCHESTRA DANIEL HARDING direttore Paul Lewis pianoforte JEAN SIBELIUS Hämeenlinna 1865 - Järvenpää 1957 Sinfonia n. 7 in do magg op. 105 Adagio, Un pochettino meno adagio, Vivacissimo, Adagio, Allegro molto moderato, Vivace, Presto WOLFGANG AMADEUS MOZART 152 Salisburgo 1756 - Vienna 1791 Concerto n. 25 in do magg. per pianoforte e orchestra K 503 Allegro maestoso Andante Allegretto *** RICHARD WAGNER Lipsia 1813 - Venezia 1883 Idillio di Sigfrido ROBERT SCHUMANN Zwickau, Sassonia 1810 - Endenich, Bonn 1856 Sinfonia n. 2 in si bem. magg. op. 61 Largo, Allegro vivace Andante Minuetto Presto vivace Concerto realizzato con il contributo della Banca 153 LE TANTE FACCE DEL DO MAGGIORE Marina Vaccarini 154 «All’inizio era il Verbo» C’è un aspetto unificante nel programma di questo concerto: fatta eccezione per l’Idillio di Sigfrido di Wagner, tutti i brani sono in do maggiore; coincidenza significativa per un primo orientamento all’ascolto. Do maggiore è la tonalità con tutti i tasti bianchi, la prima base per lo studio della musica, il modello su cui costruire le successive trasposizioni. Nel 1784, tra le inquietudini dello Sturm und Drang e due anni prima che Mozart componesse il suo Concerto per pianoforte K 503, il poeta e compositore tedesco Christian Friedrich Daniel Schubart nel suo saggio Ideen zu einer Ästhetik der Tonkunst (Idee per un’estetica della musica, pubblicato postumo, Vienna 1806) associava al do maggiore sentimenti di «innocenza, semplicità, naturalezza, voce di fanciullo». E se Schumann sceglie questa tonalità per imprimere un senso di sicurezza e di solidità alla sua Sinfonia op. 61, Charles Gounod, in pieno Ottocento, sosteneva che «solo Dio compone in do maggiore». Sulle estreme propaggini di questa concezione ultraterrena si inquadra la grande visione panteistica in do maggiore dell’ultima sinfonia di Sibelius, quanto mai ‘inattuale’ in tempi in cui si riteneva che la fonte della tonalità fosse ormai inaridita e che non avesse più nulla da offrire («la fine dell’era classica» è l’accordo di do che chiude la Sinfonia secondo il direttore d’orchestra Sir Colin Davis). A prima vista l’immagine di autorevolezza divina sembrerebbe antitetica a quella disarmante del linguaggio infantile. Tuttavia, entrambe le posizioni potrebbero sottintendere un’idea di ‘inizio’ – in do maggiore, appunto – che si traduce in purezza originaria in Mozart, in rinascita fisica e psichica in Schumann, in richiamo alla vita di forze spirituali in Sibelius. In ogni caso da questa tonalità resta escluso l’‘uomo’: o lo precede o lo oltrepassa. Può comunicare l’innocenza, l’infanzia, la preghiera; può supportare la grandezza e l’apoteosi; ma solo raramente può narrare l’emozione di intime confessioni. Può elevarsi fino alla trascendenza ma solo raramente scende a patti con le umane passioni dell’anima. Sibelius in «lotta con Dio» L’immagine di Sibelius che la critica musicale ci aveva tramandato fino a tempi relativamente recenti era quella di un compositore informato sugli sviluppi della musica europea per formazione e per frequentazione diretta ma, per scelta e cultura, isolato e indissolubilmente legato alla Finlandia e al suo folklore; discutibile per certi aspetti e, comunque, estraneo ai grandi movimenti di rinnovamento novecenteschi. Studi più approfonditi e focalizzati su alcuni generi della sua produzione hanno permesso di evidenziare l’alto livello di originalità e di innovazione presente nelle sue sinfonie, Jean Sibelius. per il trattamento della forma, per il caratteristico idioma armonico e melodico, per la ricchezza dell’orchestrazione, per la profondità dell’ispirazione e per la loro singolarità. La Settima Sinfonia op. 105 si colloca cronologicamente tra le ultime composizioni (una progettata Ottava Sinfonia non fu mai completata). La sua creazione fu piuttosto elaborata e la forma breve, concisa, in un solo movimento, è frutto di una serie di ripensamenti. In una lettera del 20 maggio 1918 all’amico Axel Carpelan, Sibelius la descrive come «gioia di vivere e vitalità con sezioni appassionato. In tre movimenti; l’ultimo dei quali è un ‘rondò ellenico’». Un paio d’anni dopo, l’autografo mostra il primo mutamento d’indirizzo: quattro movimenti e sol minore come tonalità d’impianto. Dal secondo movimento di questo abbozzo, un Adagio in do maggiore, Sibelius ricavò in seguito la maggior parte del materiale, mentre alcune sezioni in tempo veloce derivano dal finale, probabilmente il progettato ‘rondò ellenico’. Le prime testimonianze di una sinfonia in un solo movimento risalgono al 1923. Attorno a questa idea Sibelius lavorò durante l’estate senza tuttavia arrivare a una conclusione. Riprese il lavoro agli inizi del 1924 e solo il 2 marzo riuscì a completarlo lasciando, tuttavia, ancora aperta l’opzione sul titolo: «Fantasia sinfonica No. 1» / «Sinfonia 7 continua», sull’autografo. Come Fantasia sinfonica Sibelius la presentò al pubblico il 24 marzo dirigendo la Konsertförening Orchestra all’Auditorium di Stoccolma. L’anno dopo fu pubblicata come Sinfonia Nr. 7. In un movimento. Questa indecisione è sintomatica di un percorso interiore che Sibelius aveva intrapreso una quindicina d’anni prima e che si ripercuote 155 sulle sue scelte formali: come adattare strutture razionalmente precostituite, come la sinfonia, con le nuove esigenze timbriche che egli faceva derivare da una percezione spirituale di immagini sonore animisticamente interpretate come manifestazioni dell’Essenza della natura. In una sorta di panteistica unione spirituale tra natura e musica l’atto compositivo divenne per Sibelius un esercizio mistico estraneo a qualsiasi logica, una «lotta con Dio» (da una pagina del suo diario datata 26 gennaio 1916). Il metodo compositivo di Sibelius si fonda su un principio rotatorio: ritorni variati del tema fissano la prima rotazione. Questa ciclicità produce situazioni di accumulo che derivano dalla ricorrenza del tema e dal trasformarsi e congiungersi di nuove idee man mano che si procede. Per Sibelius, in particolare, questo principio si collega all’idea di genesi teleologica: il graduale sorgere di una spinta verso una meta – rappresentazione del pieno manifestarsi dell’Essenza della natura. Liberamente condotto questo principio può assumere le più svariate forme o, viceversa, cristallizzarsi in forme ben definite. Nel caso della Settima Sinfonia queste ricorrenze avvengono in modo libero o apparentemente casuale. L’inizio è una scala ascendente, Adagio. Dopo alcuni passaggi la musica si stabilizza in un ‘corale’ polifonico affidato agli archi da interpretare, secondo Sibelius, «come se ci si ponesse davanti a Dio»: 156 Al culmine di un graduale potenziamento della sonorità prende forma un maestoso tema in do maggiore del trombone: Questo tema ricorre tre volte e delimita la struttura della Sinfonia. Cade la tensione e in maniera sfumata, quasi impercettibilmente, si passa al Vivacissimo, la prima delle due sezioni interne, che conduce alla seconda apparizione del tema del trombone, ora in do minore. La seconda sezione interna, un tempo di danza, Allegro moderato, rasserena l’atmosfera. Ancora un graduale accelerando conduce al Presto prima di sfociare nella terza enunciazione del tema del trombone, di nuovo in do maggiore, che prepara il commiato. Come in una ripresa abbreviata, tornano i motivi dell’Adagio liberamente disposti e, in conclusione, un perentorio accordo di do maggiore. Mozart «tra il troppo facile e il troppo difficile» I primi anni di Mozart a Vienna sono segnati da una consistente produzione di concerti per pianoforte e orchestra che egli stesso eseguiva nel corso delle accademie cittadine. Tra il 1782 e il 1786 ne compose quindici e in proposito così scriveva al padre: «I concerti sono una via di mezzo tra il troppo facile e il troppo difficile, sono molto brillanti, gradevoli all’orecchio pur senza Anonimo, Ritratto di Wolfgang Amadeus cadere nella vuotaggine; qua e Mozart, 1777 (Bologna, Civico Museo là anche gli intenditori avranBibliografico Musicale). no di che essere soddisfatti, ma in modo che anche coloro che non lo sono proveranno piacere, senza sapere perché». Il Concerto K 503 è l’ultimo di questa serie, terminato il 4 dicembre 1786. Con il precedente K 467, nella medesima tonalità di do maggiore, questo concerto condivide la brillantezza e una certa vigorosa compostezza nel carattere che si impone fin dall’iniziale tempo di marcia. In questo caso, tuttavia, le solide certezze vengono turbate di continuo da inquietanti correnti sotterranee in modo minore. Questo aspetto di instabilità emerge soprattutto nell’Andante che prepara il Rondò conclusivo, poco esuberante rispetto alle aspettative. 157 158 L’«Augurio sinfonico di compleanno» di Richard a Cosima La composizione del Siegfried-Idyll è strettamente connessa alla vita privata di Wagner; in particolare al suo amore per Cosima, la seconda figlia nata dalla relazione di Liszt con la contessa Marie d’Agoult. La mattina di Natale del 1870 Cosima fu svegliata da una dolcissima sinfonia di tredici strumenti che proveniva dall’esterno della sua camera nella casa di Tribschen, un sobborgo di Lucerna, in Svizzera. Celebrate le nozze nell’agosto dello stesso anno, qui i coniugi Wagner abitavano con i tre figli nati dalla loro relazione, Isolde, Eva, Siegfried, e con le due figlie nate dal precedente matrimonio di Cosima con Hans von Bülow. Il giorno prima Cosima aveva compiuto trentatre anni e tanta fu la commozione provata per questo inaspettato dono di compleanno e natalizio che riuscì a esprimerla solo per iscritto in una pagina del suo diario: «Non riesco a dire niente di questo giorno, niente sui miei sentimenti, niente sul mio stato d’animo, niente di niente. Posso semplicemente raccontarvi ciò che accadde. Fui destata da un suono che diventava sempre più forte; sapevo che non stavo ancora sognando, era musica, e che musica! Quando cessò, Richard entrò nella mia stanza con i cinque bambini e mi donò la partitura del suo “Augurio sinfonico di compleanno” – Piangevo, come tutti gli altri nella casa. Richard aveva disposto la sua orchestra sulle scale, e così la nostra Tribschen è stata consacrata per sempre». Il titolo originario era Idillio di Tribschen, con il canto degli uccelli di Fidi e il sorgere arancione del sole. Fidi era il soprannome che i coniugi davano al loro ultimogenito Siegfried, di diciotto mesi. Nonostante il brano sia ricco di riferimenti personali destinati a rimanere nel segreto del loro amore, Wagner fu costretto a rielaborare l’Idillio per orchestra e a pubblicarlo, con grande disappunto di Cosima, per far fronte alle consuete difficoltà finanziarie. Parti della composizione confluirono nel terzo atto dell’opera Siegfried (1876): il tema principale, annotato da Wagner sei anni prima per un quartetto d’archi da dedicare a Cosima, è destinato a Brünhild. La citazione della ninnananna popolare tedesca Schlaf, Kindchen, schlafe (Dormi, bambino, dormi), intonata dall’oboe, fa Wagner con il figlio Siegfried. riferimento, invece, alla figlia Eva. La rigenerazione di Schumann Anche l’origine della Sinfonia op. 61 di Schumann ha forti legami biografici. L’abbozzo risale al dicembre 1845 ma già dal settembre Schumann stava pensando alla composizione di una grande sinfonia, «una specie di Jupiter», diceva, svelando un intenzionale parallelismo, non solo tonale, con il modello mozartiano e, in senso lato, con il classicismo viennese. La ricaduta della malattia psico-fisica di cui Schumann nel 1853. aveva già sofferto l’anno prima lo costrinsero a procrastinare l’orchestrazione all’anno seguente. Nel frattempo studiava approfonditamente il contrappunto di Bach, scriveva fughe e maturava un nuovo modo di comporre, non più di getto al pianoforte, ma ponderato e al tavolino. Questa difficile scelta, una specie di auto-imposizione, derivava dalla necessità di risolvere l’inconciliabilità tra la libera ispirazione poetica e la costruzione della grande forma in un tutto unitario, attraverso una meticolosa opera di elaborazione. L’originalità dei risultati raggiunti non venne compresa subito dai contemporanei che, in generale, giudicarono questa Sinfonia disuguale e, a tratti, incoerente. Per il suo autore rappresentò «la resistenza dello spirito contro le mie condizioni fisiche. Il primo movimento è pieno di questa lotta e del suo carattere capriccioso e ostinato». Alla moglie Clara piacque «in modo specialissimo». La prima esecuzione avvenne al Gewandhaus di Lipsia il 5 novembre 1846, sotto la direzione di Mendelssohn. La Sinfonia è innovativa e ricca di citazioni e di forme di scrittura prese a prestito dal passato. Ogni movimento è dominato dall’ispirazione bachiana fin dall’inizio, Sostenuto assai, in stile di preludio-corale. L’incipit tematico degli ottoni 159 160 viene assunto da Schumann come motto ricorrente: in forma variata ricompare nella coda del primo movimento, nella coda dello Scherzo e, facilmente riconoscibile, nella coda dell’ultimo movimento. L’Allegro ma non troppo si fonda su un ostinato ritmico, che ricorda il puntato della barocca ouverture alla francese, e su altre figurazioni derivate dall’introduzione. Tutto questo materiale, sottoposto a continue trasformazioni e metamorfosi, tende a scardinare la struttura della forma sonata, pur mantenendo il principio di opposizione e dei forti contrasti mutuato da Beethoven mediante l’introduzione di nuovi spunti tematici: una «disgregazione della forma per mezzo della sostituzione del materiale tematico», secondo Carl Dahlhaus. Lo Scherzo, irruento ed energico, ha due Trii, il primo vivace e spigliato, il secondo più riflessivo e, ancora, disposto polifonicamente in forma di corale. Questo secondo Trio racchiude una prima allusione alla melodia del sesto Lied del ciclo An die ferne Geliebte (All’amata lontana) di Beethoven, «Nimm sie hin denn, diese Lieder» («Accettali, dunque, questi canti»), che verrà richiamata nel finale. L’Adagio espressivo sembra una reinterpretazione romantica della scrittura bachiana e barocca: accenti, sospiri, figure ornamentali, sezioni imitative. Questo tempo lento rappresenta il fulcro espressivo dell’intera Sinfonia e, forse, il punto di svolta psicologico di Schumann: «veramente mi sentii di nuovo meglio dopo aver terminato tutta l’opera. Per il resto, come ho detto, mi rammenta tempi bui». L’Allegro molto, infatti, esplode in una festosa marcia trionfale che ricorda la mozartiana «Es lebe Sarastro» («Evviva Sarastro») del Flauto magico. Nella seconda sezione di questo finale, immerso in uno stato di agitazione, torna il tema bachiano dell’Adagio. Quindi l’oboe introduce un nuovo motivo teneramente ardente, ma altre lacerazioni irrompono con il proposito di portare a progressiva e definitiva estinzione il clima rassicurante faticosamente raggiunto. Alla fine torneranno, come ricordi provenienti da lontano, solo il tema di ispirazione beethoveniana e, a chiudere il cerchio, il motto d’inizio. MAHLER CHAMBER ORCHESTRA La Mahler Chamber Orchestra è un’orchestra internazionale itinerante che viaggia all’incirca duecento giorni all’anno. L’ensemble si è esibito in tutto il mondo nelle più importanti sale da concerto e in festival prestigiosi dal Polo Nord al Mar Rosso. Quando l’orchestra ha fatto il suo debutto al Teatro Real di Madrid con il Fidelio di Beethoven diretto da Claudio Abbado, Le Monde l’ha definita «la migliore orchestra del mondo». Nella primavera del 2011 la MCO è stata nominata Ambasciatrice Culturale dell’Unione Europea. Con i suoi versatili progetti educativi l’orchestra è anche sempre più coinvolta sul piano sociale e pedagogico. Accanto al fondatore Claudio Abbado, Daniel Harding è stata una delle principali figure di riferimento dell’orchestra. Nominato Principale direttore ospite a 22 anni, nel 2003 è stato eletto Direttore musicale e nel 2008 ha assunto il titolo di Direttore principale. Nell’estate del 2011 l’orchestra ha deciso all’unanimità di conferirgli a vita il titolo di Conductor Laureate. Molti cd e dvd documentano la loro collaborazione. I 45 membri della MCO provengono da 20 paesi diversi e vivono in tutta Europa. Oltre al suo nucleo fisso, la MCO si avvale anche di una rete di eccellenti musicisti, accuratamente selezionati e formati, che si uniscono all’orchestra in base alle necessità dei diversi progetti che la vedono coinvolta. Grazie a ciò l’ensemble ha la possibilità di suonare sempre ai massimi livelli qualitativi un repertorio molto ampio, che spazia dalla musica da camera alle grandi sinfonie, dal barocco alla musica contemporanea, da opere in versione concertante a produzioni sceniche o progetti crossover. Economicamente indipendente, la MCO si finanzia principalmente grazie agli incassi dei concerti e con l’aiuto di mecenati e sponsor. La MCO ha una struttura organizzativa democratica ed è governata dal consiglio dell’orchestra in collaborazione con la direzione, che ha la sua sede a Berlino. Il nome della Mahler Chamber Orchestra risale alle origini dell’ensemble: la MCO fu fondata da membri della Gustav Mahler Jugendorchester (GMJO) che, raggiunti i limiti d’età dell’orchestra giovanile, desideravano continuare a suonare insieme. Fu così che, 161 162 con il sostegno del loro mentore musicale Claudio Abbado, crearono l’orchestra. La parola ‘chamber’ nel nome dell’ensemble si riferisce più alla sensibilità cameristica che ne caratterizza i musicisti che alle dimensioni dell’orchestra. Ogni anno la MCO esplora nuove sale da concerto, ma conserva anche collaborazioni artistiche di lungo termine, soprattutto con le sue sedi di residenza. Qui hanno luogo sessioni di prove e concerti con la possibilità di disporre di più tempo per ulteriori attività come musica da camera eseguita in contesti insoliti, prove aperte e progetti educativi. In questo modo durante le residenze si sviluppa una relazione stretta e personale tra i musicisti e le sedi di residenza come anche con le persone che vivono e lavorano in queste città. Attualmente la MCO ha tre sedi di residenza: quella con cui collabora da più lunga data è Ferrara, in Italia, dove fin dal 1998 la MCO è stata una grande protagonista della scena musicale cittadina. Nelle tre città tedesche di Dortmund, Essen e Colonia nel Nord Reno-Vestfalia (NRW) la MCO ha trovato la sua seconda residenza stabile a partire dal 2009. La Kunststiftung NRW e la regione del Nord Reno-Vestfalia sono partner e sostenitori di questa collaborazione. Un elemento centrale di questa residenza è la MCO Academy, condotta in collaborazione con l’Orchesterzentrum|NRW di Dortmund. L’Academy è impegnata nell’educazione e formazione della prossima generazione di orchestrali. Le Academies della MCO sono state dirette da Daniel Harding, Ton Koopman, Pierre Boulez, Esa-Pekka Salonen. L’altro caposaldo della residenza consiste in concerti e progetti operistici di altissima qualità artistica eseguiti presso le sale di concerto di Dortmund, Essen e Colonia. Questi progetti, ideati in collaborazione con la MCO e nati nel NRW, approdano poi sui palcoscenici di tutto il mondo, ottenendo così una risonanza che va molto oltre i confini della regione e contribuisce alla creazione di reti sia all’interno sia all’esterno del NRW. Un’altra collaborazione a lungo termine unisce la MCO alla città di Lucerna, dove l’ensemble è una presenza regolare da quando Claudio Abbado ne ha fatto il nucleo della Lucerne Festival Orchestra (LFO) nel 2003. Oltre ai concerti della LFO, in occasione del Festival la MCO esegue anche due concerti nella sua formazione originale, includendo spesso prime esecuzioni assolute o opere in versione concertante. La MCO ha realizzato oltre 20 registrazioni, molte delle quali hanno ottenuto premi prestigiosi, per etichette come Virgin Classics, Harmonia Mundi, Decca e Deutsche Grammophon. DANIEL HARDING Agli inizi della sua carriera, Daniel Harding, nativo di Oxford, è stato assistente di Sir Simon Rattle all’Orchestra Sinfonica della Città di Birmingham con cui ha debuttato nel 1994. Successivamente è stato assistente di Claudio Abbado alla Filarmonica di Berlino debuttando con l’orchestra nel 1996 al Festival di Berlino. Daniel Harding è Primo direttore ospite dell’Orchestra Sinfonica di Londra, Direttore musicale dell’Orchestra Sinfonica della Radio Svedese e ‘Music Partner’ della Nuova Filarmonica Giapponese. Di recente è stato insignito del titolo di Direttore onorario a vita della Mahler Chamber Orchestra, dopo esserne stato Direttore principale e Direttore musicale (2003-2011). È stato inoltre Direttore principale della Sinfonica di Trondheim in Norvegia (1997-2000), Primo direttore ospite della Sinfonica di Norrköping (1997-2003) e Direttore musicale della Filarmonica da Camera Tedesca di Brema (1997-2003). Attualmente è Direttore artistico della Ohga Hall di Karuizawa in Giappone. Daniel Harding è regolarmente ospite della Staatskapelle di Dresda, della Filarmonica di Vienna (entrambe dirette al Festival di Salisburgo), dell’Orchestra del Concertgebouw, dell’Orchestra della Radio Bavarese, dell’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia e dell’Orchestra Filarmonica della Scala. Si è inoltre esibito in qualità di Direttore ospite con la Filarmonica di Berlino, la Filarmonica di Monaco di Baviera, l’Orchestre National de Lyon, la Filarmonica di Oslo, la Filarmonica di Londra, la Filarmonica di Stoccolma, l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’Orchestra of the Age of Enlightenment, la Filarmonica di Rotterdam, le Orchestre della Radio di Francoforte e l’Orchestre des Champs-Elysées. Tra le orchestre americane con cui ha collaborato figurano la Filarmonica di New York, l’Orchestra di Filadelfia, la Filarmonica di Los Angeles e la Sinfonica di Chicago. Impegnato in molte produzioni operistiche alla Scala di Milano, al Festival di Salisburgo, alla Royal Opera House di Londra, al Festival di Aix-en-Provence, alla Bayerische Staatsoper di Monaco. In una stretta collaborazione con il Festival di Aix-en-Provence, Daniel Harding percorre inoltre gran parte del repertorio sinfonico. Le recenti registrazioni di Daniel Harding per l’etichetta discografica Deutsche Grammophon includono la Sinfonia n. 10 di Mahler con l’Orchestra Filarmonica di Vienna e i Carmina Burana di Orff con l’Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese, che hanno riscosso un notevole consenso di critica. In precedenza ha registrato in esclusiva per Virgin/EMI, con cui ha all’attivo le incisioni della Sinfonia n. 4 di Mahler con la Mahler Chamber Orchestra; le Sinfonie n. 3 e n. 4 di Brahms con l’Orchestra Filarmonica da Camera Tedesca di Brema; Billy Budd con l’Orchestra Sinfonica di Londra (registrazione vincitrice di un Grammy Award come ‘Miglior Registrazione’); Don Giovanni e The turn of the screw (registrazioni vincitrici del premio Choc de l’Année 2002, il Grand Prix de l’Académie Charles Cros e un Gramophone Award), entrambe realizzate insieme alla Mahler Chamber Orchestra; opere di Lutosławski 163 con Solveig Kringelborn e l’Orchestra da Camera Norvegese e opere di Britten con Ian Bostridge e la Britten Sinfonia (registrazione vincitrice del premio Choc de l’Année 1998). Nel 2002 Daniel Harding è stato insignito dal governo francese del titolo di Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres. 164 PAUL LEWIS Paul Lewis è riconosciuto uno dei più notevoli pianisti della sua generazione. Tra i molti riconoscimenti ottenuti si segnalano il Premio Internazionale Accademia Musicale Chigiana di Siena, il Royal Philharmonic Society’s Instrumentalist of the Year Award, il Preis der Deutschen Schallplattenkritik e tre Gramophone Awards. Nel 2009 è stato insignito del titolo di Honorary Doctorate all’Università di Southampton. Le sue esibizioni concertistiche e le sue registrazioni per Harmonia Mundi gli hanno valso unanimi consensi da tutto il mondo, culminati nel 2010 con l’onore di essere il primo pianista nella storia dei BBC Proms ad eseguire tutti i cinque Concerti di Beethoven in una singola stagione Proms. Paul Lewis è ospite regolare di molti festival prestigiosi di tutto il mondo, dove collabora con alcuni dei maggiori direttori di oggi. Nel 2011 ha avviato un progetto biennale consistente nell’esecuzione di tutte le composizioni pianistiche degli ultimi sei anni di vita di Schubert: la serie viene presentata a Londra, New York, Chicago, Tokyo, Melbourne, Rotterdam, Bologna, Firenze, la Schubertiade Schwarzenberg e altre importanti tappe nel mondo. Paul Lewis ha studiato con Ryszard Bakst alla Chethams School of Music e con Joan Havill alla Guildhall School of Music and Drama, prima di studiare privatamente con Alfred Brendel. Assieme alla moglie, la violoncellista Bjørg Lewis, è direttore artistico di Midsummer Music, un festival di musica da camera che si tiene annualmente nel Buckinghamshire in Gran Bretagna. Stampato nel mese di giugno 2013 da Tipografia Senese Siena