Pubblicazioni del Centro Aletti Il mantello di Elia 8.

Pubblicazioni del Centro Aletti
Il mantello di Elia 8.
SERGEJ BULGAKOV
IL SANTO GRAAL
L’EUCARISTIA
Traduzione di Maria Campatelli
“È il tempo quando fiorisce il tiglio”
Lipa
INDICE
© 2005 Lipa Srl, Roma
prima edizione italiana: maggio 2005
PREMESSA DELL’EDITORE ........................................................................ 9
1. IL SANTO GRAAL .............................................................. 15
2. L’EUCARISTIA ..................................................................45
Lipa Edizioni
via Paolina, 25
00184 Roma
& 06 4747770
fax 06 485876
e-mail: [email protected]
www.lipaonline.org
Autore: Sergej Bulgakov
Titolo: Il santo Graal. L’eucaristia
(titolo originale: Sviatyj Graal’ e Evcharistiãeskij dogmat)
Traduzione dal russo: Maria Campatelli
Collana: Il Mantello di Elia
Formato: 170x240 mm
Pagine: 104
Stampato a Roma nel maggio 2005
da Abilgraph, via Ottoboni, 11
Proprietà letteraria riservata Printed in Italy
codice ISBN 88-86517-93-9
I.
.............................................................................. 45
II.
.............................................................................. 77
UNA INTERPRETAZIONE SOFIOLOGICA
...................................................... 91
DEL DOGMA EUCARISTICO
PREMESSA
Chi ha una qualche frequentazione della teologia ortodossa troverà inusuali queste due riflessioni1 dedicate – da due prospettive diverse – all’eucaristia.
Il primo testo qui presentato, finito di scrivere nel settembre-ottobre del
1930, vuole essere un “tentativo di esegesi dogmatica” della pericope di Gv
19,34 relativa alla ferita del fianco di Cristo da cui escono sangue ed acqua.
Il titolo, “Il santo Graal”, non fa riferimento al ciclo delle leggende cavalleresche, ma prende spunto dall’episodio narrato nell’apocrifo “Vangelo di
Nicodemo”, secondo il quale Giuseppe di Arimatea avrebbe raccolto il sangue di Cristo sgorgato sulla croce nel calice dell’Ultima Cena. Su questo
sfondo, Bulgakov elabora un approccio alle diverse modalità della permanenza del Signore nel mondo dopo la sua ascensione. Tale permanenza ha
per Bulgakov una triplice forma: la sua presenza spirituale nello Spirito
Santo, quella dell’eucaristia, presenza reale di Cristo sulla terra nelle specie
eucaristiche, e quella appunto dell’acqua e del sangue sgorgati dal suo costato sulla croce. Il Graal è cosí per Bulgakov la terra stessa che raccoglie il san-
1
Questi due articoli costituiscono un ponte tra la piccola trilogia degli anni ’20 –
dove l’unico tema della Sapienza di Dio nella creazione è sviluppato in ordine alla Madre di
Dio, al Precursore e agli angeli – e la “grande trilogia”, stesa a partire dal 1931, nella quale
il tema sofiologico sarà visto in relazione alla cristologia, alla pneumatologia e all’ecclesiologia. Sulla figura e l’opera di Bulgakov esistono ormai diversi profili, anche in lingue piú
accessibili della russa. Rimando qui a C. Andronikov, “Préface”, in K. Naumov, Bibliographie
des oeuvres de Serge Boulgakov, Paris, Institut d’Études Slaves, 1984, 7-41, R. Williams, Sergii
Bulgakov. Towards a Russian Political Theology, Edinburgh 1999, C. Evtuhov, The Cross and
the Sickle. Sergei Bulgakov and the Fate of Russian Religious Philosophy, 1890-1920, Cornell
University Press, Ithaca & London 1997, P. Coda, Sergej Bulgakov, Brescia 2003, M.
Campatelli, “Nota introduttiva” a La luce senza tramonto, Roma 2002, xvii-lii, come pure il
saggio introduttivo a S. Bulgakov, Presso le mura di Chersoneso, Roma 1998, dove si possono trovare ulteriori rinvii bibliografici, e a S. Bulgakov, La scala di Giacobbe, Roma 2005.
9
IL SANTO GRAAL - L’EUCARISTIA / S. BULGAKOV
gue e l’acqua del Signore effusi sul Golgota, che sono la sua umanità terrestre, divisa dalla sua umanità risuscitata e glorificata, anche se allo stesso
tempo ad essa unita. L’effusione di sangue ed acqua dal fianco di Cristo è
allora la permanenza del Signore sulla terra con la sua umanità, in cui il
mistero del Golgota continua invisibilmente nel mondo, mescolando il suo
sangue a quello degli uomini.
Operando questa distinzione tra il sangue eucaristico di Cristo e quello
non eucaristico, Bulgakov in questo senso va oltre l’esegesi patristica tradizionale, che vede nel sangue e nell’acqua del costato i sacramenti del battesimo e dell’eucaristia. Proprio interpretando alcuni riti della divina liturgia
bizantina,2 Bulgakov afferma che l’acqua e il sangue di Cristo rimasti nel
mondo sono la presenza misteriosa e santificante del Signore invisibilmente
all’opera che costituisce la premessa di quanto si manifesta compiutamente
con l’altro modo di presenza del sangue di Cristo sulla terra, cioè con l’eucaristia: la trasfigurazione del creato. Il sangue e l’acqua versati nel mondo
sarebbero cosí la possibilità della trasfigurazione futura anticipata nell’eucaristia e la possibilità dell’escatologia. Grazie allo Spirito Santo, disceso nel
mondo e in esso nascostamente all’opera, il sangue e l’acqua di Cristo rimasti sulla terra preparano il mondo ad accogliere la parusia, la manifestazione
del Signore nella gloria, che presuppone anche la glorificazione/trasfigurazione del mondo.
Il secondo articolo, “L’eucaristia”, richiede piú attenzione. È un approccio al tema eucaristico inusuale per la teologia orientale recente, che ci ha
abituati ad una riflessione in cui la prospettiva teologica prevalente è quella
che, partendo dalla celebrazione liturgica, sottolinea la confluenza del mistero del corpo eucaristico del Signore con il suo corpo ecclesiale, facendo
vedere il carattere ecclesiale, prima di qualsiasi altro, dell’eucaristia. Basti
qui ricordare i nomi di Afanas’ev, Kern, Schmemann, Zizioulas.
2
Dato che questo articolo è una sorta di commento al rito della proskomidia della
liturgia bizantina, si tratta per certi versi una sorta di introduzione alla teologia eucaristica,
elaborata nell’articolo “Il dogma eucaristico”, pubblicato nella seconda parte di questo libro,
anche se precedente di alcuni mesi nella stesura, e ne “Evcharistiãeskaja Îertva [Il sacrificio
eucaristico]” (di 140 pagine, scritto nel 1940), ma mai pubblicato (cf L.A. Zander, Bog i mir,
Paris 1948 I, 149-150). Sui modi della presenza di Cristo nel mondo dopo l’ascensione,
Bulgakov ritorna anche nel testo “Christos v mire [Cristo nel mondo]”, del 1940, rimasto
manoscritto fino al 2003, quando è iniziata la pubblicazione a capitoli sulla rivista Vestnik
Russkogo studenãeskogo christianskogo dviÏenija.
10
PREMESSA
Qui invece ci troviamo di fronte ad uno studio che cerca di indagare sulle
categorie piú adatte per esprimere la natura della trasformazione del pane e
del vino in corpo e sangue di Cristo che ha luogo nella celebrazione eucaristica. Uno studio quindi che, per certi versi, va compreso insieme al corrispettivo della teologia latina che Bulgakov prende come interlocutore/controparte di una discussione ideale. La riflessione è infatti per la maggior
parte una critica al concetto di transustanziazione, considerato da Bulgakov
inadeguato ad esprimere la conversione eucaristica.
La questione posta da Bulgakov non mira a negare la validità dell’eucaristia nella Chiesa cattolica, piuttosto è quella se il dogma tridentino sia uno
sviluppo legittimo del dogma. Egli asserisce di no, preferendo il termine
patristico piú generico di tramutazione, che il cattolicesimo ha sostituito nel
suo sforzo di combattere i tentativi di ridurre la realtà sacramentale ad una
presenza spirituale e “simbolica” (considerata unicamente come allegoresi)
della presenza di Cristo, tentativi che l’Oriente in gran parte non ha conosciuto.
Quando, all’inizio del XX secolo, Harnack affermava che oggi comprendiamo con simbolo qualcosa non solo di differente dalla realtà, ma piú ancora, di opposto ad essa – nel senso che là dove noi abbiamo a che fare con la
realtà, il simbolo è inutile e, inversamente, il simbolo c’è dove non c’è la
realtà –, non avrebbe potuto esprimere meglio la differenza di mentalità tra
l’epoca patristica e il periodo successivo.
Nel medioevo occidentale, pian piano si divarica questo modo di vedere
l’eucaristia tipico del primo millennio che unisce nel simbolo tipo e realismo
sacramentale: da una parte il tipo perde il suo rapporto con l’ontologia e
diventa “figurazione”, necessaria solo nella misura in cui ciò che è rappresentato non è reale, dall’altra, per reazione, si afferma il realismo sacramentale che privilegia l’investigazione sul “come” tale presenza si produca.
In un orizzonte di pensiero che non è piú in grado di cogliere il valore allo
stesso tempo tipologico e reale dell’evento sacramentale e concepisce la res
solo in quanto identica a se stessa, la scolastica vide il modo per tenere insieme simbolo e realismo nel concetto di sostanza.
Bulgakov, come si vedrà dalla sua argomentazione, considera questo
modo di spiegazione una sorta di “immanentismo cosmologico”, dal
momento che comprenderebbe la conversione del pane e del vino in corpo
e sangue di Cristo nei termini di un cambiamento di una cosa in un’altra nei
limiti del mondo fisico, anziché considerarla un cambiamento di ordine
11
IL SANTO GRAAL - L’EUCARISTIA / S. BULGAKOV
metafisico, cioè l’unione di due mondi, di due campi dell’essere tra loro
diversi. Perciò, secondo lui, la vera chiave di spiegazione del dogma eucaristico sta nella cristologia.
Ma l’insolita veemenza con cui Bulgakov si scaglia contro la transustanziazione ha probabilmente il suo motivo nel fatto che eleva la transustanziazione a simbolo della teologia scolastica, vista cristallizzare un preciso rapporto tra ragione e rivelazione che non procede dalla tradizione liturgica,
dall’esperienza spirituale, piuttosto da categorie e definizioni a priori e
astratte, e che Bulgakov considera in un certo senso “responsabile” anche
dello slittamento di una prassi di vita ecclesiale sempre piú ridotta ad un
ambito individuale e privato.
Ora, si potrebbe molto facilmente criticare Bulgakov per la facilità con
cui mette insieme la categoria di impanazione (che attribuisce a tutto il protestantesimo, ma che ha avuto una storia piú complessa) con quella cattolica di transustanziazione, quasi senza tener conto che hanno esiti diversi
riguardo alla presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche.
Come pure sarebbe molto facile argomentare che non si può a priori
rifiutare il termine di transustanziazione in quanto termine filosofico: se la
teologia patristica ha preso ousia per definire una categoria cristiana, perché
non potrebbe essere lo stesso per transustanziazione?
Piuttosto, la ricchezza della provocazione di Bulgakov va probabilmente
trovata altrove. Considerando che si tratta di un autore cosí complesso e originale da non essere indiscusso neppure per la teologia ortodossa, e considerando pure che i due articoli qui presentati andrebbero visti nell’insieme
dell’opera bulgakoviana (ved. tutta la spiegazione “sofiologica” del dogma),
per farne risaltare meglio le provocazioni degne di nota, ci sembra di poter
individuare queste ultime, anzitutto, nel sottolineare per la teologia eucaristica la centralità del mistero dell’ascensione. Questo mistero, spesso trascurato dalla riflessione teologica, traccia una frontiera tra il modo della presenza di Cristo manifestato nella carne e il modo ecclesiale di questa presenza, presenza anch’essa reale (cf SC 7), che ci fa comprendere l’eucaristia
nella sua destinazione propria, che è quella di edificare la Chiesa. Ancora, il
tentativo di spiegare nei termini cristologici della Divinoumanità tutta la
questione della corporeità spirituale del Signore risorto, con tutti i risvolti
che ne vengono per l’antropologia.
È chiaro che il termine transustanziazione, entrato nella formula del concilio tridentino per definire il dogma eucaristico, non è un termine opinabi-
12
PREMESSA
le, come tutti i termini che servono per enunciare i dogmi di fede. Ma è vero
anche che c’è una differenza tra il dogma, come “verità dogmatica cristallizzata” – per usare un’espressione di Bulgakov – e la teologia, come atmosfera generale del pensiero in cui il dogma è depositato. Se il dogma è un’ispirazione dello Spirito Santo, la teologia è la fatica del pensiero umano, ispirato dalla fede e dalla grazia, di attuare in ogni tempo e in ogni cultura la
comprensione della verità di fede espressa nel dogma. Oggi la volontà di
comunione con le altre Chiese crea una condizione nuova di ricezione dei
dogmi che sono stati definiti nel tempo della nostra divisione e, fermo
restando le verità della fede, provoca uno sforzo della teologia per comprendere e rispiegare il dogma liberato dal contesto culturale particolare che
ha visto sorgere una data formula. In un periodo in cui la teologia eucaristica gode di una rinnovata attenzione, il testo di Bulgakov può essere come un
utile arricchimento e un contributo su questo cammino.3
Maria Campatelli
3
I testi liturgici degli articoli tradotti, quando identificati, sono citati secondo l’Anthologhion di tutto l’anno, 4 voll., Roma 1999-2000. Per la strutturazione e la terminologia dell’ufficio liturgico delle Chiese bizantine, la cui conoscenza di per sé non è necessaria per la comprensione del testo, ved. sempre Anthologhion di tutto l’anno, Roma 1999-2000, e O. Raquez, Guida
alla celebrazione dell’ufficio divino nelle Chiese di tradizione bizantina, Roma 2002.
13
1. IL SANTO GRAAL
TENTATIVO DI UNA ESEGESI DOGMATICA DI
GV 19,341
Il racconto della passione nel vangelo di Giovanni ha un tratto che non
ritroviamo negli altri evangelisti.2 Vi si narra che erano state spezzate le
gambe dei due ladroni e che il fianco di Gesú era stato colpito da una lancia: “Uno dei soldati gli colpí il fianco con la lancia e subito ne uscí sangue
e acqua – ai|ma kai; u{dwr”.3 A questo dato è attribuito un significato particolare: l’autenticità di tale testimonianza è confermata in modo speciale e
solenne: “Chi ha visto [il discepolo prediletto di Cristo] ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli – ejkei`no~ – sa4 che dice il vero, perché
anche voi crediate” (Gv 19,34-35). (E poi prosegue comprovando l’affermazione con una referenza al testo veterotestamentario: “perché si adempisse la
Scrittura”).
Questo avvenimento ebbe luogo già dopo che Gesú, “dopo aver chinato
il capo, rese lo spirito” (19,30), in maniera che quando arrivarono i soldati
“lo videro già morto” (33). È difficile spiegare la fuoriuscita di sangue ed
acqua da un corpo morto, benché ci siano stati tentativi di farlo.5 Si tratta
piuttosto di un segno (shmei`on) nel senso del vangelo di Giovanni, secondo
1
Titolo originale “Sviatyj Graal’. Opyt dogmatiãeskoj eksegesy Jo XIX,34”.
Pubblicato in Put’, n. 32 (1932), 3-42.
2
Tuttavia, alcuni manoscritti trasportano questa pericope in Mt 27,49.
3
Usato senza l’articolo. Evidentemente, l’autore intende significare la sostanza del
sangue e dell’acqua piuttosto che la loro appartenenza. Questo dettaglio non ha qui un’importanza dirimente. Cf 1Gv 5,6.
4
Certi commentatori comprendono qui ejkei`no~ come riferito a Cristo stesso.
5
Cf A Critical and Exegetical Commentary on the Gospel according to St. John by J.H.
Bernard, Edinburgh 1928, II, 646.
15
SERGEJ BULGAKOV
il quale il significato speciale di tale segno consiste non solo nel fatto che del
sangue e dell’acqua siano fuoriusciti da un corpo morto, ma anche nello
stato di questo corpo. Anche se era già morto, poiché lo spirito lo aveva
lasciato, questo corpo non era divenuto un cadavere in decomposizione, dal
momento che “la sua carne non vide corruzione” (At 2,31; Sal 15,10).
Per il suo corpo, la morte di Cristo era solo un sonno profondo o uno stato
di incoscienza. Benché Gesú abbia consegnato il suo spirito nelle mani del
Padre (cf Lc 23,45), il legame tra lo spirito divino e il corpo non si era definitivamente spezzato. Pur essendo provvisoriamente abbandonato dallo spirito, tuttavia questo corpo, che era vivo, aveva in sé il sangue ed era ancora
una volta messo a morte dal colpo della lancia. In conseguenza di tale colpo,
fuoriuscirono il sangue e l’acqua; il corpo per la sepoltura rimase esangue e
privo di una parte necessaria della sua struttura, cioè della sua acqua.
Che cosa significa questo flusso? Noi sappiamo6 che “nel sangue è l’anima degli animali”, la forza della vita del corpo. Lo scorrere del sangue significa perciò la separazione dell’anima dal corpo, cioè che la morte del corpo
è già intervenuta. Certo, anche dopo questa perdita di sangue, il corpo del
Salvatore non era divenuto un cadavere, perché non era stato consegnato
alla decomposizione, ma era rimasto in una sorta di anabiosi, in attesa della
sua risurrezione.
Il sangue è una sostanza del tutto speciale, straordinaria, per il fatto che
riunisce in sé elementi psichici e materiali, vivi e inerti, l’anima animale,
vivente, e il corpo. Esso serve da intermediario tra lo spirito e il corpo, tra
l’essere spirituale e il materiale, come loro connessione vivente. Benché non
sia che un liquido particolare del mondo fisico, il sangue nasconde l’enigma
della vita, contiene in sé l’anima del corpo, la sua entelechia vivente. Questa
unione, questa identificazione dei principi del vivente e del non vivente
(dove non si hanno della vita che delle forme latenti), nella loro unità indissolubile, è un atto creatore di Dio, un certo dato primario della creazione
della vita. Le scienze naturali accedono con i loro metodi al come di questo
atto, ma non al suo che cosa, che resta indivisibile nella sua immediatezza: la
vita è vita, tutto il vivente vive, è animato, e nel sangue è l’anima degli esseri animati. È evidente che la vita del sangue presuppone di per sé l’esistenza
di un organismo in tutta la sua complessità, ma questa non è che l’espres6
Cf il mio “Il dogma eucaristico” [pubblicato qui nella seconda parte del libro.
NdT].
16
1. IL SANTO GRAAL
sione generale del dato fondamentale: il carattere animato della materia,
manifestato nel corpo.
Nell’atto della morte non si produce normalmente una separazione del
sangue dal corpo. Al contrario, rimanendo in uno stato di indivisione, l’uno
e l’altro cominciano a decomporsi; e, con la decomposizione del sangue, l’anima animale perisce, muore. Vivendo nel sangue, l’anima non possiede in
sé l’immortalità e non la comunica al corpo. Solo lo spirito dell’uomo è
immortale ed è esso a vivificare l’anima e, per suo tramite, il corpo. Al
momento della risurrezione, l’uomo riceve una nuova forza, capace di vivificare un corpo nuovo; ma in virtú dell’auto-identità dello spirito che la ispira, questa anima, in qualche modo nuova anch’essa, è identica alla prima.
Piú correttamente, è la continuazione della medesima vita. Lo spirito conserva la potenza dell’anima (e, per suo mezzo, del corpo) come un seme,
secondo la spiegazione dell’apostolo Paolo (cf 1Cor 15). Perciò gli animali
non conoscono l’immortalità personale che hanno gli uomini, proprio perché non hanno lo spirito, ma solo un’anima animale, vivente, ed essa si
decompone definitivamente con il corpo e il sangue. Nel loro caso si può
parlare solo dell’immortalità del genere (“secondo la loro specie”, cosí come
erano stati creati: Gen 1,21.24.25).
Nella morte di Cristo, dopo il colpo di lancia, si è prodotta una separazione tra l’anima-sangue e il corpo. Ma, nella risurrezione, il suo corpo senza
vita ed esangue ha ritrovato l’anima e, conseguentemente, il sangue: è con
questo sangue del corpo glorificato di Cristo che noi comunichiamo nel
sacramento dell’eucaristia. Ora, seppure questo sangue del corpo risuscitato
e glorificato è identico a quello del corpo che era vissuto sulla terra, è tuttavia anche diverso, dal momento che il sangue versato si era già separato da
questo corpo. Il corpo stesso del Salvatore, che era stato deposto nella
tomba, è il corpo risuscitato. Ma il sangue versato del Salvatore non era piú
contenuto in questo corpo.7 Il sangue e l’acqua fuoriusciti dal costato, dal
momento che non appartengono piú al corpo risuscitato, sono rimasti in questo mondo. Ci troviamo pertanto di fronte ad un fatto di eccezionale impor7
Mancante era, evidentemente, anche “il suo sudore [che] diventò come gocce di
sangue che cadevano a terra” (Lc 22,44), come pure la saliva di cui aveva fatto un impiastro
per guarire il cieco nato. Cosí era pure, in genere, di tutti gli elementi che costituivano il suo
corpo che erano stati presi dal mondo e che ora vi ritornavano, secondo la legge universale
del metabolismo. Tuttavia, vi è una differenza essenziale tra questo metabolismo dell’attività
vitale e lo scorrere del sangue e dell’acqua dopo la morte.
17
SERGEJ BULGAKOV
tanza, solennemente proclamato e testimoniato dall’evangelista: la sostanza
umana di Cristo, il suo corpo vivente e animato, si è diviso sulla croce. Egli
ha dato al mondo il suo sangue e la sua acqua, mentre il suo corpo, privo del
sangue e dell’acqua, è stato sepolto e poi è risuscitato. Sorge cosí per noi la
domanda sul significato dogmatico di questo fatto.
Che cosa significano il sangue e l’acqua versati? Secondo il senso del
sacramento eucaristico, il sangue è il carattere animato del corpo, la sua
anima vivente, legata alla materia. Da una parte, esso rappresenta la sede
dello spirito, è come una specie di corpo per lo spirito (e, in questo senso, il
sangue di Cristo corrisponde alla Chiesa, come suo corpo). D’altra parte,
esso contiene l’anima del corpo, che vive perché è animato dal sangue (per
la “circolazione del sangue”). Si può dire che il sangue di Cristo esprime la
sua umanità (“da un solo sangue Dio ha prodotto tutto il genere umano che
abita su tutta la faccia della terra”, At 17,26), ne è il sostrato psico-biologico. L’acqua è l’elemento primordiale della materia cosmica, da cui il mondo
è stato formato all’origine (“lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque”, Gen 1,2;
“sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque”:
1,6; “la voce del Signore è sopra le acque”: Sal 28,3). In un certo senso, l’acqua è la protomateria metafisica del mondo – u{lh – è la u{lh nuova, rinnovata, è l’acqua battesimale, quella del Giordano. Certo, il corpo di Cristo era
composto delle stesse parti e degli stessi elementi di tutti gli altri corpi degli
uomini; ma, se si esprime questa molteplicità nella sua unità, allora
l’“acqua”, da cui è apparso il “firmamento”, è l’elemento primario unificante, che tutto dissolve e contiene, della “terra”.8 L’unione del sangue e dell’acqua esprime cosí la pienezza dell’umanità, l’unità del principio psichico,
vivificante, sanguigno, e del principio vivificato, passivo, materiale. È la corporeità vivente che si è separata dal corpo di Cristo, abbandonato dallo spirito sulla croce. Come indica specialmente l’evangelista, che ricorda a questo proposito l’immagine veterotestamentaria dell’agnello pasquale (cf Gv
19,36), questa separazione non è stata accompagnata dalla distruzione del
corpo. L’agnello pasquale, le cui ossa non potevano essere spezzate, prefigurava l’indistruttibilità del corpo del Signore: “Questo infatti avvenne perché
si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso” (Gv 19,36, cf Es
12,46). Cosí, una misteriosa separazione della corporeità di Gesú si è realiz8
A questo corrisponde anche l’immagine del “mare di cristallo” (Ap 15,1-2), dove
stanno i vincitori della bestia e della sua immagine.
18
1. IL SANTO GRAAL
zata sulla croce: la sua carne non spezzata è stata deposta dalla croce, messa
in una tomba, ed è risuscitata; ma prima, la sua corporeità animata, nella
forma del sangue e dell’acqua, si era separata da essa.
La conferma di una tale interpretazione del corpo e del sangue, come
umanità in generale, la troviamo nello stesso Giovanni il Teologo nel testo
ben conosciuto di 1Gv 5,6-7 (il cosiddetto comma Johannaeum, sui “tre che
rendono testimonianza” nei cieli, un testo assente nei manoscritti piú antichi): “Questi è Gesú Cristo, che è venuto con acqua e sangue, di j u{dato~ kai;
ai{mato~9 (e con lo Spirito), non con acqua soltanto, oujk ejn tw`/ u{dati movnon,
ma con l’acqua e con il sangue, ejn tw`/ u{dati kai; ejn tw`/ ai{mati,10 ed è lo
Spirito (to; pneu`ma) che rende testimonianza, perché lo Spirito è la verità.
Poiché tre sono quelli che rendono testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue, e questi tre, oiJ trei`~, sono in uno, eij~ to; e{n eijs in”.
Questo testo, crux interpretum, secondo il suo senso storico contiene una
refutazione della dottrina docetista. In base a tale dottrina, solo al momento
del battesimo, “per l’acqua”, Cristo sarebbe disceso su Gesú, per lasciarlo al
momento della passione. Contro questa dottrina che sostiene un’incarnazione apparente, l’apostolo afferma la vera pienezza e l’autenticità dell’incarnazione, che si è compiuta “non con acqua soltanto, ma con l’acqua e con il
sangue”. Tuttavia, indipendentemente da questo contesto storico, benché
legato ad esso, il contenuto dogmatico di questo testo consiste nell’affermare la necessità (e allo stesso tempo la sufficienza) del sangue e dell’acqua per
la pienezza e l’autenticità dell’incarnazione di Cristo. “L’acqua e il sangue”
rappresentano proprio l’umanità vera, nella quale dimora “lo Spirito”; e “lo
Spirito” in 1Gv 5,8 è evidentemente lo Spirito di Cristo, del Lógos, che si è
incarnato e si è fatto uomo. Cosí la sostanza di Cristo riceve una composizione tripartita: lo Spirito-Verbo, l’anima (il sangue), il corpo (l’acqua), divenuti “uno” (1Gv 5,7). Tuttavia, in 1Gv 5,6: “lo Spirito rende testimonianza”:
qui lo Spirito è evidentemente lo Spirito Santo.11 In ogni modo, è importante notare che il sangue e l’acqua qui significano chiaramente l’umanità auten9
Ancora una volta senza articolo, come in Gv 19,34.
10
Qui vi è l’articolo determinativo, per precisare di piú un’espressione già ripetuta.
11 Se si insiste che necessariamente in 1Gv 5,6 lo Spirito è senza dubbio lo Spirito
Santo, allora si può intenderlo anche come l’agente dell’incarnazione divina all’annunciazione: “Lo Spirito scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo [il
Verbo]” (Lc 1,35).
19
SERGEJ BULGAKOV
tica, la corporeità animata,12 in maniera che il sangue è l’anima e l’acqua il
corpo.13 Cosí, secondo la solenne testimonianza del vangelo di Giovanni, la
sostanza umana del Salvatore fu divisa alla sua morte, pur essendo indivisibile: il sangue e l’acqua, la sostanza psico-somatica, fuoriuscí dal fianco, e il
corpo rimase esangue e privo dell’acqua, anche se nella pienezza di tutta la
sua struttura.
Esaminiamo i significati di questa separazione, molteplici e, possiamo
dire, sconcertanti. Cominciamo da quello che è piú semplice e piú indiscutibile. Anzitutto, questa separazione permane, nel senso che da nessuna parte
è indicato che questo sangue e questa acqua siano ritornati nel corpo risorto di Cristo ripristinando una nuova riunione. Certo, il corpo risorto di
Cristo possedeva la pienezza dell’umanità: era un corpo umano animato, e
perciò conteneva sangue. Bisogna dunque ammettere una duplice ipotesi: o
che una parte del sangue (e dell’acqua) sia rimasta nel corpo, come è verosimile, dal momento che il colpo di lancia nel fianco non ha avuto come conseguenza necessaria il defluire di tutto il sangue e l’acqua dell’intero corpo;
o che il sangue si sia ricostituito nel corpo risuscitato con il ritorno della vita
(come si riproduce continuamente in tutti gli organismi viventi). Ma in
entrambe le due ipotesi resta una distinzione – e allo stesso tempo una identità costante – tra il sangue e l’acqua effusi dal fianco di Cristo e il sangue
offerto nel sacrificio eucaristico. Qual è la differenza e in che cosa consiste
l’identità?
Anzitutto, dobbiamo notare che il fatto stesso della fuoriuscita del sangue
di Cristo dal suo fianco insieme all’acqua è praticamente ignorato dall’esegesi dogmatica; e, quando invece viene sottolineato, lo si intende solo in
12 La letteratura sia ecclesiastica che critica interpreta frequentemente l’acqua e il sangue come i simboli di due sacramenti: il battesimo e l’eucaristia. Ma questa interpretazione
è piuttosto allegorica e, in ogni modo, non esaustiva, né copre tutto il contesto.
13 Ciò non contraddice il fatto che, in un altro contesto, senza nessuna connessione con
il sangue, lo stesso Giovanni consideri l’acqua significare una nuova forza e una nuova nascita spirituali (Gv 3,5; 4,14; 7,38; cf Ap 22,1.17). In relazione al sangue, l’acqua è l’elemento
della “terra”, la materia prima; in relazione allo spirito, e in unione con esso, l’acqua è l’elemento portatore dello spirito, la materia spiritualizzata; non è piú la sua natura cosmica ad
essere sottolineata qui, ma la sua forza pneumatofora: la benedizione dell’acqua è anche la
benedizione dell’elemento acqueo del mondo, cioè la benedizione del mondo stesso (è da
sottolineare che, dei quattro elementi – l’aria, il fuoco, la terra e l’acqua –, sia solo quest’ultimo ad essere benedetto, in virtú di una sorta di carattere rappresentativo che ha per l’intero universo).
20
1. IL SANTO GRAAL
senso eucaristico. Fra l’altro, questo fatto ha dato origine al ciclo delle leggende occidentali del santo Graal. Secondo questa tradizione, il santo Graal
è la coppa eucaristica alla quale il Signore aveva fatto comunicare i suoi
discepoli durante l’Ultima Cena. In questa coppa, Giuseppe d’Arimatea
avrebbe raccolto il sangue (e l’acqua?) sgorgato dal costato di Gesú. La leggenda non precisa se tutto il sangue fosse stato raccolto, o solo una parte (la
tradizione orientale racconta che la testa di Adamo era stata sotterrata sul
Golgota, come è dipinto di solito nelle crocifissioni ortodosse, e che una goccia del sangue divino era caduta su di essa). La leggenda occidentale si è
impossessata di questo tema a suo modo e l’ha sommerso di dettagli romantici. Il soggetto è stato rappresentato dalla poesia cavalleresca, verso la quale
la Chiesa cattolica ha mantenuto un atteggiamento di riserbo. In genere, l’interpretazione occidentale del santo Graal si presenta sotto due varianti:
secondo una versione, si tratta del calice del sangue del Salvatore, che da
Giuseppe d’Arimatea trovò la sua strada verso l’Inghilterra, a Gladstonbury
(di là, questa variante si intreccia con il ciclo di re Artú e dei cavalieri della
Tavola Rotonda).14 Il santo calice è nascosto agli occhi degli uomini, ma appare a quelli che ne sono degni (Parsifal). Secondo l’altra versione, il santo
Graal è la pietra miracolosa sulla quale compare il sacro calice, una sorta di
antimension15 sulla pietra (secondo l’uso romano), “la pietra-alatyr’”16 della
canzone russa. Il cristianesimo occidentale ha sentito e assimilato religiosamente questo tema – e ciò costituisce il significato positivo della leggenda del
santo Graal –, ma non è giunto a spiegarlo del tutto. Quanto all’Oriente, ha
completamente ignorato il tema come tale, se si trascura il fatto che certi elementi della storia del Graal si sono mescolati ai detti, diffusisi in Oriente,
sulle manifestazioni miracolose di Cristo Bambino nell’eucaristia.17
14
Cf l’adattamento poetico di questo ciclo negli Idylls of the King di Tennyson.
15 Nella Chiesa bizantina l’antimension (=greco, “in luogo della mensa”) è un pezzo di
stoffa sul quale è raffigurata la sepoltura del Signore e che contiene reliquie. In origine sostituiva l’altare o si usava quando l’altare non era consacrato. Il segno dell’antimension, comune a tutta la Chiesa ortodossa e dunque normativo, è il suo legame con il vescovo. Proprio
come il santo myron, l’antimension può essere consacrato solo dal vescovo, e la firma del
vescovo su di esso serve come condizione della sua “validità”. Esso significava dunque originariamente la “delega” del vescovo ad un presbitero del diritto di celebrare l’eucaristia. NdT.
16
Antico russo per altar’, altare. NdT.
17 Cf N. Tunickij, “Drevnija skazanija o ãudesnych javlenijach Mladenca-Christa
v Evcharistii [Gli antichi detti sulle manifestazioni miracolose di Cristo Bambino nell’eucaristia]”, Bogoslovskij Vestnik, 1907, V, 201-29.
21
SERGEJ BULGAKOV
Conviene comprendere proprio cosí l’interpretazione di Gv 19,34 nell’ufficio della proskomidia18 nella liturgia eucaristica di san Giovanni Crisostomo e di san Basilio il Grande. Il santo agnello,19 dopo l’estrazione, è trafitto con la lancia dal sacerdote che dice: “Uno dei soldati gli trafisse il costato con la lancia”; poi, versando nel calice la santa unione (il vino mescolato
all’acqua), il sacerdote pronuncia le parole: “e subito ne uscí sangue ed
acqua”; infine, indicando il calice con la mano, aggiunge: “chi ha visto ne dà
testimonianza, e la sua testimonianza è vera”. Che cosa significa questo simbolismo? Non comporta forse una identificazione tra il sangue e l’acqua usciti dal costato e il sangue eucaristico, negando cosí che vi sia una differenza
tra di loro? No. Secondo la nostra opinione, non contiene una tale identificazione. La proskomidia (come l’intera liturgia) ha in genere un contenuto
duplice: è anzitutto il mistero20 della tramutazione21 degli elementi eucaristici e della comunione; ma è anche, soprattutto, una ripetizione nel memoriale dell’incarnazione, con i suoi principali momenti, che corrispondono ai differenti atti simbolici della liturgia. In particolare, la proskomidia commemora al momento opportuno la natività di Cristo, la sua passione e risurrezio18 Termine slavo per protesi (=greco, “offertorio”), rito di preparazione e offerta del
pane e del calice prima della liturgia eucaristica bizantina. Esiste un rito simile anche in altri
riti orientali. NdT.
19 Nel rito bizantino, è chiamata “agnello” la parte centrale dell’offerta (prosfora), che
il sacerdote asporta per la consacrazione, a motivo che significa Cristo, Agnello di Dio. Reca
impresso un quadrato ornato da una croce che forma quattro riquadri con le parole IS XS
NI KA (= Gesú Cristo vince); il riquadro con la scritta IC è immerso nel calice alla fractio,
mentre gli altri tre sono utilizzati per la comunione dei ministri. NdT.
20 La risonanza di questa parola in russo, cosí come in altre lingue delle Chiese orientali, è piú ampia che in italiano, dal momento che tajna significa sia mistero che sacramento
(cf il greco mustevrion e il siriaco raza che, al plurale, indicano l’eucaristia). Del resto, anche
in alcune preghiere liturgiche del rito latino è rimasta questa traccia e la partecipazione alla
celebrazione eucaristica è detta partecipazione ai “divini misteri”. NdT.
21 Nella traduzione, si è scelto di rendere il russo prelagat’sja e preloÏenie, usati per
indicare il cambiamento prodotto negli elementi dell’eucaristia, con “tramutare” e “tramutazione”, anziché “trasformazione” – come sarebbe piú normale in italiano –, riservando
questo termine per prevra‰ãenie, con cui Bulgakov indica un cambiamento nel carattere o
nella forma delle cose appartenenti allo stesso mondo naturale (ad esempio il legno che si
brucia e diventa cenere; cf l’articolo successivo sul dogma eucaristico). Si tratta di una distinzione importante per comprendere il ragionamento dell’autore e il suo tentativo di fondare
una comprensione dell’eucaristia nell’ambito della cristologia, dove la persona di Cristo unisce e rende compresenti realtà – la natura umana e quella divina – che appartengono a mondi
completamente diversi. NdT.
22
1. IL SANTO GRAAL
ne. È proprio sulla base di una tale commemorazione che sono pronunciate
le parole di Gv 19,34. Questo elemento non è tuttavia introdotto nell’azione
eucaristica stessa. Il sacramento si compie tramite una ripetizione anamnetica della Cena del Signore e tramite la proclamazione delle parole consacratorie del Signore, atti che ricevono la loro forza di compimento nell’epiclesi;
qui non c’è piú alcun rapporto con Gv 19,34. È chiaro che il sangue di Cristo
è sostanzialmente uno e lo stesso, sia nel calice eucaristico che nel suo scorrere dalle sue cinque piaghe sulla croce, soprattutto dal suo costato. Tuttavia
esso è differente nelle forme della sua esistenza e della sua manifestazione
all’uomo. In questo senso, vi è anzitutto una distinzione tra il sangue di
Cristo destinato alla comunione e quello che non vi è destinato, tra il sangue
eucaristico e il non eucaristico, il sacramentale e quello diretto, immediato.
Ho già attirato l’attenzione22 su questo fatto importante: all’Ultima Cena il
Signore, direttamente presente tra i suoi discepoli con il suo corpo e il suo
sangue terreni, li ha fatti comunicare non con essi, cioè con il suo corpo e il
suo sangue terreni, ma con il suo corpo e il suo sangue sacramentali, in cui il
pane e il vino erano stati trasmutati. Perciò, malgrado l’identità innegabile
tra le specie eucaristiche e il corpo e il sangue di Cristo, la differenza menzionata sopra appare già qui nettamente. Noi dobbiamo mantenere tale differenziazione a proposito di ciò che qui ci interessa: il sangue e l’acqua sgorgati dal costato non avevano una destinazione eucaristica. Infatti, solo in
virtú dell’identità generale del sangue di Cristo, di quello versato e di quello
sacramentale, l’evento sulla croce si rapporta simbolicamente all’atto corrispondente della proskomidia.
La ferita della lancia, non lo spezzare le gambe, è il compimento del sacrificio salvifico di Cristo per la redenzione del genere umano. Quest’acqua e
questo sangue lavano il peccato dell’uomo e creano la Chiesa del Nuovo
Testamento, con i suoi doni mistici di grazia, l’acqua battesimale e il sangue
eucaristico. Dal fianco del vecchio Adamo era stata creata la donna che l’aveva sedotto, provocando la caduta. Ma la ferita arrecata all’umanità dal
fianco di Adamo è guarita da quella provocata dalla lancia sul fianco di
Gesú. Il sangue e l’acqua versati nel mondo vi dimorano. Essi santificano
questo mondo come pegno della sua trasfigurazione futura. Per questo flutto prezioso del sangue di Cristo e dell’acqua zampillati dal suo fianco, tutta
la creazione – cielo e terra, il nostro mondo terrestre e tutto l’universo delle
22
Cf “Il dogma eucaristico”, cit., parte I.
23
SERGEJ BULGAKOV
stelle – è stato santificato. L’immagine del santo Graal in cui è conservato il
santo sangue di Cristo, esprime proprio questa idea: benché il Signore sia
asceso al cielo nella sua carne onorabile, il mondo ha ricevuto la sua santa
reliquia nel sangue e nell’acqua sgorgati dal suo fianco; la coppa del Graal
ne è il ciborio e il reliquiario. E il mondo intero è questa coppa del santo
Graal. Esso è inaccessibile alla venerazione, per la sua santità è nascosto nel
mondo al mondo stesso. Esiste tuttavia nel mondo come una forza invisibile e si fa vedere a coloro che hanno il cuore puro e ne sono degni. Tale è la
visione divina incarnata nella leggenda del Graal. Se il santo Graal è il calice eucaristico (secondo la leggenda), il sangue che contiene non è l’eucaristia, perché il santo Graal è dato non per la comunione dei fedeli, ma per la
santificazione e la trasfigurazione del mondo. La santa eucaristia è offerta
come nutrimento divino, e la sua manducazione permette ai fedeli di unirsi
spiritualmente con Cristo. Tuttavia, in quanto cibo, essa condivide la sorte
comune del cibo: l’eucaristia non rimane nel mondo, ma dopo il compimento del suo scopo diretto – la comunione – cessa di esistere (le sante specie
sono “consumate”). (I racconti sulle manifestazioni eucaristiche del
Bambino divino lo esprimono narrando che gli angeli lo trasportano in cielo
dopo la comunione). Al contrario, il santo Graal (cosí come noi chiamiamo
per convenzione il sangue e l’acqua effusi dal fianco di Cristo) non è dato per
la comunione, ma dimora nel mondo come sua misteriosa santità, come
forza della vita, come il fuoco nel quale il mondo si trasfigurerà in cielo
nuovo e terra nuova. Infatti, la Chiesa, corpo di Cristo, è non solo la “comunità dei fedeli”, ma anche l’universo intero in Dio. Se l’uomo è il microcosmo e il mondo è l’antropocosmo, allora il campo e la forza della Chiesa si
estendono all’intera creazione. Tutta la natura ha sete del corpo e del sangue
di Cristo e comunica ad essi nel sangue e nell’acqua che sono stati effusi dalla
croce.
La natura appartiene anche all’essenza umana, al corpo di Cristo. Il santo
Graal è invisibile nel mondo agli occhi corporei. La Chiesa non ha istituito
per il santo Graal una festa particolare o un culto speciale, come ha fatto per
la croce di Cristo. Il suo mistero resta nascosto e passa pressoché inosservato. Tuttavia, una volta veduto, è impossibile dimenticarlo, ma anche nutrirsene. “ JO lovgo~ sa;rx ejgevneto, il Verbo si fece carne e venne ad abitare in
mezzo a noi” (Gv 1,14). Benché costituisca il fatto centrale di tutta la vita del
mondo, questo dimorare del Lógos nel mondo si è effettuato nel tempo, in
un suo punto determinato, ed è finito con l’ascensione. In questo senso, tale
24
1. IL SANTO GRAAL
dimorare è solo temporaneo nella storia del mondo e dell’umanità, come
ogni nostra vita particolare. Dalla sua eternità trascendente, la Divinità ha
toccato in un punto preciso la temporalità immanente del mondo. “Il Re
celeste è apparso sulla terra e ha vissuto con gli uomini”,23 ma per “elevarsi
al cielo” di nuovo, per tornare nella trascendenza, lasciando la terra orfana e
vuota... È proprio cosí? L’ascensione costituisce un tale abbandono? Noi
sappiamo già che questo abbandono è vinto dal miracolo dell’eucaristia, che
esprime il legame tra il corpo asceso, glorificato, e questo mondo nelle specie eucaristiche, nella loro tramutazione sacramentale. Ora, tale legame è
esaustivo, oppure, oltre al sacramento, il mondo mantiene con Cristo anche
un legame naturale? E, se sí, qual è questo legame? Come vero uomo e
nuovo Adamo, Cristo appartiene a tutta l’umanità. Nell’umanità, Cristo
preesiste nei suoi antenati prima della sua incarnazione, nella genealogia con
la quale comincia il vangelo. Ora, questa genealogia è la storia non solo della
sua essenza carnale, ma anche della sua anima umana, che Cristo ha ricevuto insieme al sangue dalla Madre di Dio. Nella sua umanità, Cristo è realmente legato al genere umano, come nuovo Adamo; e, costituendo il centro
dell’umanità, è immanente ad essa. Questo legame di sangue sarebbe dunque spezzato dopo l’ascensione? I figli degli uomini cesserebbero di essere
suoi parenti per il sangue, attraverso l’intermediazione di sua Madre, delle
sue sorelle, dei suoi fratelli e dei membri della sua famiglia, la cui esistenza è
sottolineata nel vangelo in un modo cosí significativo? Non si può rispondere alla domanda riferendosi semplicemente all’eucaristia.
È vero che l’eucaristia supera la distanza tra il trascendente e l’immanente, attraverso la tramutazione del pane e del vino, materia cosmica, nel corpo
glorificato e nel sangue di Cristo per la comunione dei credenti. Tale superamento è certo fondato sull’incarnazione compiutasi una volta per tutte.
Tuttavia, questa entrata misteriosa del trascendente nell’immanente, che
ogni volta è come una nuova incarnazione di Dio, sebbene sia identica a
quella prodottasi una volta per tutte, non esprime l’immanenza dell’umanità
di Cristo al nostro mondo e alla nostra umanità. Rimane soprattutto una
questione che rende perplessi: se il sangue umano di Cristo costituiva l’impulso centrale della vita intera di tutto il genere umano prima della sua venuta sulla terra tramite la sua genealogia, facendolo “figlio di Davide”, “figlio
di Abramo”, “Figlio dell’Uomo”, come potrebbe essere tolto all’umanità
23
Inno liturgico di Natale. NdT.
25