Se gli altri sport combattessero il doping come il ciclismo

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Se gli altri sport combattessero il doping come il ciclismo
Augusto STAGI
Linkiesta.it
Solo in questo sport esiste il passaporto biologico, una banca dati che contiene
tutti i valori fisiologici dei migliori 850 atleti di livello mondiale. Solo i ciclisti
devono comunicare ogni loro spostamento perché devono essere sempre
reperibili per eventuali test. Solo nel ciclismo ci sono i controlli sangue-urina.
Nel calcio, ad esempio, il Barcellona può permettersi per ben due volte di non
farsi trovare dagli ispettori della Wada (agenzia mondiale dell’antidoping)
senza che accada nulla. Off limits, come ai Mondiali del 2006. Al Roland
Garros, di fronte all’ipotesi di test, i tennisti risposero: o noi o loro. Per non
parlare del rugby e del nuoto. Ma lì gli atleti competono per il tricolore; nel
ciclismo, invece, sono al servizio di sponsor e aziende private: il gioco al
massacro è più facile.
Il positivo nel ciclismo è spesso l’aspetto più negativo. Il positivo, difatti, è
l’ennesimo corridore trovato con le mani nella marmellata, con qualche
sostanza chimica nelle vene che ne va ad alterare la prestazione sportiva. Il
positivo è la vergogna del ciclismo. Il positivo però è anche il fatto che nel
ciclismo i controlli antidoping si fanno e i bari vengono sistematicamente
scovati.
Quella che vi proponiamo è l’altra metà del bicchiere: questa volta pieno,
perché è giusto anche dire ciò che in questo sport funziona. Rcs Sport, che il
Giro d’Italia l’organizza, spende ad esempio non meno di 300 mila euro per la
lotta al doping. I team di World Tour, la Champions League del ciclismo,
versano nelle casse del governo della bicicletta (Uci) mediamente 170 mila
euro per la stessa cosa e altrettanti 200 mila vengono spesi da ciascun team per
tenere monitorati i propri corridori.
Nel ciclismo - e solo in questo sport - esiste il «passaporto biologico», una
banca dati che contiene tutti i valori fisiologici dei migliori 850 atleti di livello
mondiale. Un modo per valutare periodicamente le variazioni sospette:
aumentano i reticolociti? l’ematocrito? l’emoglobina? la ferritina?... Bene, i
segugi (i corridori li chiamano i vampiri) dell’Uci si mettono sulle tracce del
corridore ritenuto «sospetto» e viene controllato a sorpresa fin quando non
viene scovato con le mani nel sacco.
Nel ciclismo si fanno da anni esami sangue-urina, cosa che non è così scontata
per gli altri sport, anzi. Nel ciclismo da anni un corridore deve comunicare i
propri spostamenti (modulo Adams): se per esempio Ivan Basso, vincitore
dell’ultimo Giro d’Italia, residente a Cassano Magnano in provincia di Varese,
decidesse come ha deciso di trasferirsi per quattro giorni con la moglie Micaela
e i suoi tre bimbi in Trentino Aldo Adige, deve comunicarlo in maniera
telematica compilando il modulo Adams all’Uci, specificando dove si reca, in
quale albergo o casa e fino a quando ha intenzione di restarci. Questo perché
gli ispettori dell’Uci, se vogliono controllare il varesino a sorpresa, devono
sapere dove è. Questo per tutti i 365 giorni all’anno: insomma, i corridori sono
in pratica in libertà vigilata. Vi risulta che un calciatore, un nuotatore, un
giocatore di tamburello faccia altrettanto? Se un corridore non comunica
tempestivamente i propri spostamenti, alla prima infrazione scatta il richiamo,
poi la squalifica perché una mancata comunicazione equivale ad una positività.
Nel mondo del calcio, tanto per fare qualche esempio, il Barcellona si può
permettere come si è permesso di non farsi trovare dagli ispettori della Wada
(agenzia mondiale dell’antidoping) per ben due volte, ma nessuno osa fare
nulla. Al mondiale del 2006, vinto dall’Italia di Lippi, agli ispettori della Wada
non è stato neppure permesso di avvicinarsi alle squadre e di conseguenza ai
giocatori. La Fifa li ha rimandati serenamente a casa adducendo al fatto che per
i controlli c’erano loro. Punto.
Nel ciclismo i controlli vengono effettuati da Wada, Uci, Coni, ministero della
Salute e un atleta o una squadra non può proferire verbo. Nel ciclismo il capo
della Procura antidoping del Coni Ettore Torri convoca i ciclisti sospettati,
mentre per una sospetta positività di Fabio Cannavaro (puntura d’ape,
ricordate?) si reca in tutta segretezza a Torino (brava la Repubblica e il collega
Eugenio Capodacqua a renderlo noto) per raccogliere tra le segrete stanze le
motivazioni del giocatore e dello staff medico.
Nel ciclismo è vietato da anni farsi le endovenose e da questo Giro d’Italia è
scattata addirittura la nuova campagna Uci denominata «no ago»: nessun
medicinale può più essere più somministrato con una siringa, se non in casi
estremi. E qui, siamo davvero agli estremi.
Nel ciclismo gira così, perché per sua fortuna è uno sport popolarissimo, ma
per sua sfortuna è privo di protezioni, anticorpi e mammasantissima. È una
sorta di bellissimo laboratorio globale a cielo aperto, nel quale sperimentare,
verificare e testare nuovi processi di verifica. Ma non solo, i continui scandali
non fanno altro che giocare in favore di Coni e ministero della Salute che
ricevono dal Governo una montagna di quattrini per combattere il doping e a
loro servono delle pezze giustificative concrete (leggi casi eclatanti di
positività): in pratica controllano il ciclismo che, suo malgrado, non delude
mai: se controlli, qualcosa trovi sempre. Ed è certamente questo l’aspetto più
avvilente della questione, che rende il ciclismo difficilmente difendibile. Ma
andiamo avanti.
Nel nuoto, nel rugby, in molte discipline nelle quali gli atleti corrono in pratica
per il tricolore, per la nazionale, tutto risulta pulito. Nel ciclismo, dove sono gli
sponsor, le aziende private a marchiare a fuoco l’atleta, il gioco al massacro è
molto più facile e suggestivo. Non me lo leverà mai nessuno dalla mente il
tarlo che da anni mi opprime: se si tornasse a correre un Tour de France per
nazionali come negli anni Cinquanta, quelli di Bartali, Coppi e Magni, i casi di
positività
diminuirebbero in maniera considerevole. È solo un sospetto, ma ho quasi la
certezza che finirebbe così.
Nel nuoto, dalla sera alla mattina, ci siamo scoperti un popolo di Santi, Poeti e
Nuotatori: record a raffica. Nessuno osa sospettare niente. Nessuno in verità fa
controlli approfonditi. Esami sangue-urina? Ma non scherziamo. E lo stesso
dicasi nel Rugby, dove al Sei Nazioni la federazione internazionale ha
motivato un anno fa la decisione di effettuare solo l’esame delle urine perché
«quello del sangue non serve: non abbiamo mai trovato nessuno».
Semplicemente fantastici.
E nel tennis? La Wada si presentò qualche anno fa al Roland Garros per dei
controlli, ma tutti gli atleti in pratica risposero: «o loro o noi». Gli
organizzatori hanno scelto loro: i tennisti.
Nel ciclismo vengono trovati corridori positivi perché vengono semplicemente
effettuati i controlli. I più sofisticati. I più accurati. Nel laboratorio di Colonia
sono arrivati addirittura a scovare nel sangue di Alberto Contador tracce di
ftalati, corpuscoli plastici a significare che il corridore spagnolo potrebbe aver
fatto ricorso ad autoemostrasfusione. Cosa c’entra la plastica? Il pulviscolo
delle sacche. Capite la scienza?...
Insomma, nel ciclismo si usa il telescopio astrale, mentre negli altri sport
siamo ancora alla lente d’ingrandimento. Il ciclismo è credibile perché fa di
tutto per esserlo. Questo è certamente l’aspetto più positivo: peccato per le
continue positività.
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