Riabilitazione post ictus: Braccio di Ferro italiano

Riabilitazione post ictus: Braccio di Ferro italiano aiuta a muovere le mani
Venerdì 19 Marzo 2010
Si chiama "Braccio di Ferro", ma spinaci e cartoni animati non c`entrano: si tratta di un
robot ideato per aiutare chi è stato colpito dall`ictus a ricominciare a usare correttamente
i propri arti
Fonte: Il Sole 24 Ore
di Miriam Cesta (ha collaborato Clara Serretta)
Lo ha progettato un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Informatica Sistemistica e
Telematica
(DIST) dell`Università di Genova in
collaborazione con l`Istituto Italiano di Tecnologia e con il Centro di Formazione e Riabilitazione
ART, entrambi di Genova, per insegnare a 10 pazienti emiplegici a muovere di nuovo le
braccia. Dallo studio, pubblicato sul
J
ournal of NeuroEngineering and Rehabilitation
, emerge che il robot produce miglioramenti significativi anche in pazienti in condizioni croniche,
ovvero a più di 1 anno dall`ictus, e che un certo beneficio dallo stesso strumento è stato rilevato
anche nel recupero delle funzioni motorie di pazienti affetti da sclerosi multipla.
Grazie a Braccio di Ferro i partecipanti allo studio sono riusciti a disegnare la figura di un otto,
effettuando movimenti nella direzione giusta e senza scatti improvvisi: "Il robot è un braccio
meccanico che il paziente impugna a una estremità - spiega Vittorio Sanguineti, autore della
ricerca con Pietro Morasso e Psiche Giannoni -. Un monitor visualizza in ogni istante la
posizione dell`impugnatura: afferrato il robot, il paziente esegue dei movimenti guidato dalle
istruzioni che appaiono sul monitor. Ad esempio, gli viene chiesto di posizionare l`impugnatura
in una certa posizione, oppure di estendere il braccio, oppure di seguire un certo percorso".
Il robot è programmato in modo da generare, all`impugnatura, delle forze che `aiutano` il
paziente a compiere l`esercizio e lo correggono se sbaglia. Un po` come farebbe un
fisioterapista che `accompagna` il paziente nell`esecuzione di un esercizio riabilitativo: "È
importante che l`aiuto non sia eccessivo, ossia che sia il paziente, non il robot, a guidare,
esercitando le sue funzionalità residue". Via via il paziente migliora la sua performance: il robot
se ne accorge e diminuisce gradualmente la forza che applica finché, dopo parecchie sessioni
di esercizio, il paziente riesce a eseguire il movimento senza aiuto: "Non tutti i pazienti arrivano
a questo punto, ma tutti migliorano al punto da essere in grado di svolgere esercizi più
impegnativi, sempre con il robot o con un terapista". Nei pazienti meno gravi il robot potrebbe
anche essere utilizzato in modo da ostacolare il movimento, in modo da renderlo più
impegnativo per il paziente: "Si è visto che in certi casi ciò permette un ulteriore miglioramento".
Non si tratta quindi, spiega l`esperto, di una semplice macchina da esercizio - il robot in ogni
istante si adatta a ciò che sta facendo il paziente - e neanche di un `fisioterapista artificiale` che
si sostituisce al terapista umano: "È invece uno strumento che consente di prolungare l`azione
di quest`ultimo aiutandolo nella parte più faticosa del suo lavoro. È sempre il terapista a
progettare l`esercizio sulla base dell`obiettivo specifico per il recupero di ciascun paziente".
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Venerdì 19 Marzo 2010
"Chi viene colpito dall`ictus di solito muove gli arti in maniera anomala – spiega Elena Vergaro,
che partecipato alla ricerca – alzando la spalla per cercare di sollevare il braccio, o piegando in
avanti il busto nel tentativo di stendere il gomito. Questo limita chiaramente la loro capacità di
muoversi e può inoltre causare ulteriori danni fisici. Il principio del robot è invece quello di
guidare il corpo a compiere i movimenti corretti in modo che questi possano poi essere
replicati".
Robot simili sono usati anche per la riabilitazione del cammino: il paziente viene messo su un
tapis roulant e sostenuto con un sistema di compensazione del peso, e una coppia di robot fa
muovere gli arti riproducendo - e "allenando" - il movimento della camminata.
I primi tentativi di usare robot come ausili per la riabilitazione risalgono alla fine degli anni `90,
spiega Sanguineti: "Il nostro progetto si richiama ad esperienze precedenti di altri gruppi di
ricerca soprattutto statunitensi. Il primo prototipo del nostro sistema risale al 2005, ed è stato via
via perfezionato. Ne abbiamo anche prodotto una versione bimanuale per l`esercizio di
entrambi gli arti".
Al momento esistono quattro di questi dispositivi: uno al NeuroLab del DIST dell`Università di
Genova, uno alla Fondazione Don Gnocchi di Milano, uno alla Fondazione Maugeri di Veruno
(Novara) e infine uno presso l`Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, quest`ultimo in
configurazione bimanuale. "Il sistema è in fase di commercializzazione - conclude Sanguineti e se ne sta già progettando anche una versione pediatrica".
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