Contro il codice morale della giustizia italiana

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Contro il codice morale della giustizia italiana
Riformare le intercettazioni subito. Perché la giustizia si sana separando le carriere dei magistrati e dei giornalisti
Al direttore,
Nella società dominata dai mezzi di comunicazione la giustizia non ha ancora risolto il suo rapporto con
l’informazione; ma neanche l’informazione ha risolto il suo rapporto con la giustizia. Ho spesso sostenuto,
scherzando, ma non troppo, che la vera separazione delle carriere va fatta tra alcuni giornalisti e alcuni
magistrati. L’interscambio tra notizie e pubblicità, con costruzione di facili eroismi, costituisce una patologia
diffusa. Peraltro in una magistratura costretta a lavorare con leggi malfatte e carenza di mezzi (in molti tribunali
le udienze devono fermarsi alle 14 perché il governo non ha i soldi per pagare gli straordinari al personale
ausiliario), è difficile per un p.m. respingere la prospettiva di ascendere all’empireo della notorietà, diventando un
“magistrato famoso”, consultato nei talk show e intervistato dai grandi quotidiani. Molti resistono; ma non tutti. In
una società che ha bisogno di eroi per riscoprirsi come comunità che nutre fiducia in qualcuno, queste figure
coprono un vuoto e animano una passione. Salvo poi, in qualche caso, a rivelarsi un po’ diverse da come erano
state presentate, o si erano presentate, dando luogo a disillusioni o a ulteriori sospetti.
E non mancano casi nei quali è stata l’informazione a servirsi di una determinata inchiesta penale, santificandone
i protagonisti, per dare maggiore concretezza alle proprie campagne.
Un secondo capitolo dei rapporti tra giustizia e mezzi di comunicazione riguarda la pubblicazione delle
intercettazioni, specie quelle pruriginose o che fanno intravedere prurigini. E’ un “giornalismo di riporto”, che
copre colonne o pagine di conversazioni, spesso prive di rilievo, ma che, per acquisire lettori e battere la
concorrenza, sollecitano curiosità malate e infangano persone estranee al processo.
E che dire delle comunicazioni giudiziarie che da strumenti di tutela del cittadino si sono trasformate, grazie ad
una informazione criminalizzante, in attestati di colpevolezza? Questa informazione risponde a un giustizialismo
di massa che vede nel discredito del potente, o presunto tale, un mezzo per confermare i sospetti anticasta;
intrecciata al giornalismo di riporto crea i presupposti per un grave arretramento civile.
Infine, non si può sfuggire alla sensazione che il codice penale sia diventato una sorta di codice morale di
un mondo politico che ha rinunciato a elaborare una propria etica pubblica e si è consegnato alla
informazione penalizzante e alle tecnicalità giudiziarie per decidere questioni, come quelle relative alle
candidature, penso alla legge anticorruzione, che dovrebbero invece rientrare nelle responsabilità proprie ed
esclusive della politica.
Prima di pensare a nuove leggi, sarebbe bene pensare a nuovi costumi, nuove abitudini, più rispettose del ruolo
costituzionale e della dignità della magistratura e della informazione. A cominciare dalla scelta di non pubblicare
la trascrizione di intercettazioni prive di rilevanza; per recuperare dignità, come scrive Il Foglio, anche a costo di
perdere qualche lettore.