la priorità delle libertà. liberalismo e rivoluzioni 02

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CANTIERE LIBERALE
PAPER
LA PRIORITÀ
DELLE LIBERTÀ.
LIBERALISMO E
RIVOLUZIONI
DI ANTONIO CECERE
02
2015
CANTIERE LIBERALE
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LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
A. CECERE
“se abbiamo un Principe è perché egli ci preservi di avere un padrone” 1
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Plinio il giovane - Panegirico a Traiano
LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
A. CECERE
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INDICE
Introduzione
L’encyclopédie e la riorganizzazione del sapere
Il Diritto (libertà e giustizia)
La libertà tra teoria e pratica: la rivoluzione francese
Il dibattito interno alla rivoluzione
La nuoca coscienza europea: la rivoluzione perenne
Verso una concezione del liberalismo ermeneutico
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LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
A. CECERE
La prioritò delle libertà.
Liberalismo e rivoluzioni
di Antonio Cecere
INTRODUZIONE
Dato oramai per acquisito il carattere eterogeneo e complesso del
liberalismo come dottrina politica, non riducibile ad una definizione
unica, proveremo, in questa analisi, a indagare quali principi siano
stati essenziali per il suo formarsi. In pratica cercheremo di evidenziare come alcuni principi e valori, della modernità, rappresentino il
fondamento della tradizione politica che noi oggi conosciamo.
Se Liberalismo è il termine che indica la teoria politica della libertà
individuale, allora Libertà è il lemma che ne costituisce il fondamento ideologico.
Fino a tutto il 1812, il termine Liberale non ha alcun significato
nel dibattito politico. Questo vuol dire che quando indaghiamo o
studiamo le idee di filosofi ed intellettuali vissuti prima di questa
data, siamo noi osservatori a stabilire l’appartenenza di questo o
quell’autore a quella che noi consideriamo una dottrina politica dai
confini assiologici circoscritti. La nostra intenzione è, in un certo
senso, rovesciare questo metodo di guardare e riferirci ai concetti e
verificare se e quando l’avvento nella civiltà occidentale dell’idea di
libertà abbia prodotto la nascita di una tradizione politica che oggi
definiamo come Liberalismo.
Quando pensiamo alla società politica occidentale, pensiamo a una
struttura giuridica che debba rispettare alcuni diritti che riteniamo
essere delle conquiste ormai assodate e condivise da tutti: libertà,
autonomia e rispetto per ogni individuo.
Questi diritti non sono rintracciabili da sempre nella storia umana, anzi dovremmo chiarire che questi sono principi che si palesa-
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LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
A. CECERE
Per approfondire questo tema si rimanda a Nicola Matteucci, Lo Stato
Moderno, il Mulino editore, Bologna
1977, in modo particolare è interessante riportare dal paragrafo 4 pag.
37, Individuo, società civile, Stato:
Nei grandi trattati di diritto pubblico
alla fine del cinquecento o dell’inizio
del Seicento la famiglia rappresentava una parte fondamentale, un pilastro, un pilastro dello Stato: basti
ricordare la République di Bodin o la
politica methodice digesta (1603) di
J.Althusius. Per il primo, il governo si
esercita su diverse famiglie (I,1); per
il secondo, la famiglia, pur essendo
un’associazione privata-insieme naturale e volontaria-appartiene anche
alla politica, cioè alla sfera pubblica, e
non all’economia, cioè alla mera sfera
privata (par. 14, 42).
2
Carl Schmitt, Le categorie del Politico, Mulino editore, Bologna, 1972,
pag. 61.
3
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no solo con l’avvento della modernità. Questa premessa ci porta
ad una prima riflessione sulla coincidenza fra la nascita dell’uomo
moderno e lo sviluppo di questa teoria politica. Per quanto sia comunque da estendere all’umanesimo rinascimentale, la fonte della
prima rivoluzione intellettuale in senso proto-liberale, noi ci concentreremo nel rapporto modernità e teoria liberale. Questa scelta
è dettata da un’evidenza storica fondamentale: la società occidentale, ancora per tutto il settecento, è fondata sulla famiglia patriarcale. La politica risente di tale matrice tanto da considerare lo Stato
come l’unione di tutte le famiglie che abitano tale spazio politico.
Fu proprio nell’epoca del settecento rivoluzionario che l’uomo conobbe un mutamento di mentalità tale da stabilire nuovi paradigmi
concettuali.
In una visione metafisica del mondo, l’umanità era il frutto di una
discendenza divina. Il Padre celeste, creatore della realtà, emanava sulla Terra il proprio volere attraverso una linea di trasmissione
diretta. Il potere del Sovrano era giustificato come volere di questo
Padre entro un territorio, chi governava era il padre della comunità
politica, una sorta di famiglia delle famiglie. Allo stesso modo, la
famiglia privata aveva nel padre l’elemento unico di governo e, allo
stesso tempo, egli era l’unico detentore di diritti civili. In poche
parole, la famiglia era considerata il nucleo centrale della società e
il pater familias il rappresentante del potere periferico della famiglia
più grande. Questo sistema giustificava l’idea di nobiltà, il passaggio
di territori da un casato all’altro. Il potere pubblico si arrestava sulla
soglia della casa privata, un nucleo che non era governabile che
dalla figura del patriarca2 (non solo su moglie e figli, ma anche su
animali e servitori domestici). La prima grande rivoluzione della modernità, è stata una rivoluzione culturale che si è concretizzata in
questa perdita dell’orizzonte metafisico e che ha portato alla nascita della consapevolezza dell’esistenza del paradigma dell’individuo.
Parafrasando Carl Schmitt3 , possiamo sostenere che la moderna
idea di uomo e di Stato nasce con il deismo, quando cioè una nuova
mentalità genera il rifiuto di guardare alla natura e alla comunità con
gli occhi dell’umanità condizionata dalla volontà divina. Così come
la natura non era vincolata al volere del Dio e dei suoi miracoli, così
la politica non era più determinata dal sovrano e dal suo intervento
esclusivo. Una volta eliminato il miracolo, l’intervento del sovrano e
la guida del padre, era necessario indagare il rapporto fra individuo
e società, uno e tutto, particolare e generale. Bisognava compren-
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dere la natura umana per poi disegnare la giusta società politica.
Se John Locke fu il primo giusnaturalista a considerare l’individuo
il fulcro intorno a cui far ruotare la costruzione della nuova società
politica ( il Lemma Stato non è ancora identificato come paradigma
di riferimento per lo spazio comune retto da Leggi), è però il pensatore della Democrazia radicale, Jean Jacques Rousseau a condurre
l’analisi più profonda sul nascente rapporto problematico fra individuo e Stato.
Per andare subito al cuore di questa problematica, prendiamo in
prestito una riflessione4 che Mario Reale ha prodotto per le Pagine Roussoiane sull’Osservatorio Filosofico (Filosofiainmovimento.
it): “Quale sia ora il nodo più unitario della riflessione di Rousseau,
rispetto al quale la politica può fare da filo conduttore privilegiato,
si può dire in questa sede in poche parole, ed è del resto intuitivamente noto già da quel che s’è detto: riguarda in generale il problema della socialità, la fondamentale relazione tra la natura propria,
persino irripetibile, degli individui, nella loro tensione a una piena e
compiuta libertà, e la trama comunitaria, con i suoi ineludibili obblighi e il suo fascino, nelle cui strutture i singoli si trovano fatalmente
a vivere. Il tema della relazione tra individuo e comunità o società
(o stato), da sempre centrale nella riflessione politica, esploso, comprensibilmente, nell’età moderna, è ancora ben presente nel nostro
orizzonte storico, sebbene spesso, nell’ovvietà del discorso ordinario, sfoci in banali genericità, dove i due poli (ormai quasi solo quello
della sovranità degli individui) sono contrapposti in forme rigide e
arcaiche. Al tempo stesso però, consumato e generico quanto si
voglia nella sua formulazione il tema di per sé non è niente affatto irrilevante. Dai tempi di Rousseau, la filosofia, le scienze umane
(compresa l’economia), la psicanalisi e altri saperi hanno lavorato,
da diverse prospettive, a dar forma spessore e direzione a questo
problema. Nessuno, certo, riprenderebbe oggi la questione nei termini in cui fu posta da Rousseau; e tuttavia la permanenza della
lezione di Rousseau è assicurata dal fatto che i risultati di questa
complessa ricerca non si sono depositati nella comune coscienza e
nell’ordinario sapere. Anzi, è forse impossibile che ciò accada, poiché la ricerca, come nello stesso Freud, si conclude lungo un margine di indeterminazione, dove c’è posto, insieme con la speranza, per
quella realtà democratica o, in generale, per quelle forme di relazione umane che non si lasciano ricondurre a “scienza”. La permanenza
di Rousseau, fuori della pura ricostruzione storica, sembra affidata
Mario Reale, Sul Rousseau politico e sul Rousseau a part entiere,
Pagine Roussoiane, http://www.
filosofiainmovimento.it/sul-rousseau-politico-e-sul-rousseau-a-partentiere/#sthash.9awpS5AO.dpuf
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appunto alla presenza ci ciò che vi è di elementare e di radicale nel
rapporto tra le individualità e la totalità sociale.
Jean Jacques Rousseau, Contratto
sociale, traduzione a cura di Maria
Garin, in Rousseau Scritti politici, Laterza editore, Roma –Bari, 1994, pag.
93.
5
Immanuel Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?( Beantwortung der Frage: was ist Aufklärung
?), in Berlinische Monatsschrift, 1784.
Così recitava: L’illuminismo è l’uscita
dell’uomo dallo stato di minorità che
egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio
intelletto senza la guida di u altro. Imputabile a se stesso è questa minorità,
se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far
uso del proprio intelletto senza essere
guidati da un altro. Sapere aude! Abbi
il coraggio di servirti della tua propria
intelligenza! È questo il motto dell’illuminismo. del linguaggio. Da rivoluzione a rivoluzione, in modo interdisciplinare, utilizzando il ragionamento
logico come unico punto d’incontro.
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Per Rousseau l’uomo è un essere assoluto, compiuto, autosufficiente fino a che vive in un ipotetico stato d’isolamento pre civile. Questo essere, che vive la propria condizione originaria grazie a due
principi: l’istinto di autoconservazione e la pietà, perde la propria
perfezione nel momento che si confronta con i propri simili entrando in una relazione strutturata con tutti. Come costruire una società
giusta, (ovvero trovare una forma di associazione che protegga e
difenda con tutta la forza comune la persona ed i beni di ciascun
associato, mediante la quale ognuno unendosi a tutti non obbedisca tuttavia a se stesso e resti libero come prima5) è la questione
fondamentale dei pensatori della modernità e la base teorica su cui
cercheremo di rintracciare il significato originario del liberalismo filosofico.
A questo punto abbiamo chiaro, grazie a Rousseau e Locke, che il
nesso individuo e comunità pone alcuni interrogativi fondamentali
per la nuova mentalità dei moderni: come si esce dal paternalismo?
Come si convive in uno stesso spazio giuridico restando autonomi?
Una prima risposta l’individuo moderno deve essere in grado di trovarsela da solo. Questo è certamente un punto chiave colto da Kant
sul finire dell’epoca dei lumi. Il soggetto deve elevarsi da se stesso
e solo così sarà autonomo ed in grado di essere il costruttore della
nuova Polis.
Questo precetto Kantiano è l’essenza stessa della filosofia illuminista6, una prospettiva teorica che incentrava nelle capacità di ogni
individuo di usare il proprio intelletto senza essere guidati da un superiore ( Dio, Sovrano o Padre) e con coraggio prendere nelle proprie mani il destino della società e di se stesso. Questa convinzione
kantiana era frutto di un altro grande cambiamento nello sviluppo
umano: la rivoluzione dell’accesso al sapere.
Nella società pre-moderna tutto il sapere veniva trasmesso, concesso, dalle autorità o da qualche ricco benefattore. L’istruzione era
una prerogativa della Chiesa. Un giovane che fosse stato portato
per lo studio doveva passare per le strutture ecclesiastiche, oppure
avere un ricco mecenate che si assumesse l’onere di provvedere,
pagando dei precettori privati. Tutto questo meccanismo era pregnante di una società paternalista e intrisa di una prospettiva in cui
la conoscenza era considerata una rivelazione divina.
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LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
A. CECERE
L’ENCYCLOPÉDIE E LA RIORGANIZZAZIONE
DEL SAPERE
La modernità è stata dunque una grande rivoluzione dei costumi e
del pensiero umano. Per coglierne il senso più profondo, dobbiamo
dedicarci alla riflessione intorno alla nascita e allo sviluppo della più
grande opera sapienziale collettiva: Encyclopédie ou Dictionnaire
raisonné des sciences, des arts et des métiers.
L’importanza che quest’opera7 riveste nella storia del progresso della nostra civiltà è talmente evidente che non serve ribadirne tutti
gli aspetti strutturali e di novità. Quello che invece risulta per noi
pregnante è il suo manifestarsi come operazione culturale di impatto politico e simbolico. Quando Diderot prese la direzione del
progetto editoriale, comprese che questa opera stava assumendo
la portata di una vera rivoluzione. Questa enciclopedia fu possibile attraverso la convergenza di centosessanta studiosi, reperiti fra
intellettuali8, uomini appartenenti alle più diverse esperienze professionali e lavorative. Quest’unione d’individualità, eterogenee e
separate da ogni legame con istituzioni religiose o governative, rendeva l’esperienza culturale un prototipo della società politica futura. Un sapere costruito dalla cooperazione volontaria e paritetica di
molti individui diversi, rivoluzionava l’idea che il sapere fosse “dato”,
concesso da enti sovrani. Per la prima volta, nella storia della cultura, la teologia non appare più la materia che sostiene l’impianto
teorico della sapienza. Nell’Encyclopédie debutta, con grande peso,
la matematica, l’indagine sulla natura, la tecnica come supporto
alle attività umane. Arti e mestieri vengono innalzati ad ambiti sapienziali. La cultura così diventa sapere al servizio della comunità,
diventa battaglia civile, militanza politica. Se dovessimo datare la
nascita di un primo movimento liberale, o identificare un’esperienza civile che possa dimostrare che la libera e volontaria unione di
individui può produrre un cambiamento nei costumi, nella cultura e nelle riforme politiche, senz’altro potremmo azzardare ad indentificare tutto ciò con l’Encyclopédie, e fisserà la data di questa
nascita con la pubblicazione della Voce Autorità politica all’interno
dell’opera (autore: Diderot, saggio politico). Lo stesso Paolo Casini
annota sullo stesso argomento che [ Autorità politica] è il primo articolo politico scritto da Diderot: il contenuto dottrinale non è certo
originale, perché rielabora un po’ ambiguamente, ad intenzione di
censori, le dottrine contrattualistiche di Grozio, Locke, Pufendorf,
Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des
métiers: il primo tentativo di pubblicazione, da parte dell’editore Breton,
fu quello di far tradurre in francese
l’opera di E. Chambres (Cyclopaedia,
or an Universal Dictionary of Art and
Sciences- 1728). Quando il progetto passò sotto la direzione di Denis
Diderot (con l’aiuto di D’Alembert)
si trasformò, da traduzione di una
precedente opera nella più vasta e
complessa operazione editoriale moderna: 160 autori; 28 volumi; oltre
4000 sottoscrittori. Considerando la
diffusione dell’istruzione, il grado di
alfabetizzazione della metà del settecento Francese, fu un successo che
mutò i parametri di tutta l’industria
editoriale e la percezione di una nuova sensibilità culturale.
7
8
Secondo lo studioso Peter Burke,
con Diderot e Voltaire nasce la figura dell’intellettuale. Prima della loro
comparsa, nella storia della conoscenza, nessuno era riuscito a vivere
del proprio lavoro di intellettuale fuori
dalla professione accademica o di insegnante. Nel suo ultimo lavoro, Peter
Burke, Dall’Encyclopédie a Wikipedia,
il Mulino editore, Bologna, 2013 afferma: La comparsa degli intellettuali
pubblici, a metà del settecento, resa
possibile dallo sviluppo di un mercato
letterario che liberava gli scrittori dalla dipendenza dei mecenati, segna un
momento importante nella storia sociale della conoscenza, pag. 314.
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LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
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Barbeyrac. […] Ma se l’idea del potere fondato sul consenso popolare o contratto era ormai corrente in Inghilterra, in Francia- ove la
monarchia si appellava al diritto divino teorizzato da Bossuet-essa
appariva sovversiva9. L’analisi di Casini acquista un’importanza straordinaria in virtù del fatto che l’assolutismo regio aveva costretto gli
uomini a ritirarsi da ogni impegno civile. In Francia ricorderemo che
l’ultima assemblea parlamentare risale al 1614. Dopo questa data,
sparisce anche quella simbolica struttura di rappresentanza dei ceti
civili. Da questo punto di vista, la nascita dell’assolutismo genera
la nascita dell’individuo come identità all’interno della Polis. In uno
spazio pubblico in cui il potere era in mano ad un solo ed onnipotente uomo, tutti gli altri non avevano altro potere che su se stessi.
Per questa evidenza riteniamo la Francia del sei-settecento il nostro
campo di indagine privilegiato.
Tornando all’impresa editoriale di Diderot, rileviamo che un testo
acquistato da quattromila utenti, letto, come succedeva al tempo,
nei salotti delle città francesi dove ci si confrontava su argomenti di
politica e religione, fu un vero detonatore per la coscienza collettiva
nella Francia pre-rivoluzionaria.
Nell’articolo di Diderot che abbiamo citato, subito nell’incipit, l’autore mette in chiaro quello che noi chiameremmo oggi un programma politico: Nessun uomo ha ricevuto dalla natura il diritto di comandare agli altri. La libertà è un dono del cielo, ed ogni individuo
appartenente ad una medesima specie ha il diritto di fruirne non
appena comincia ad avere l’uso della ragione. Se esiste un’autorità
che la natura ha instaurato, è la patria podestà; ma la patria podestà
ha i suoi limiti, e nello stato di natura cesserebbero non appena i
figli fossero in grado di provvedere a se stessi10. In questo scritto
Diderot mette in campo la priorità della libertà di ogni individuo
in quanto uomo. Allo stesso tempo liquida l’autorità di derivazione
divina e declassa, politicamente, il paternalismo.
IL DIRITTO (LIBERTÀ E GIUSTIZIA)
Paolo Casini, Enciclopedia, Laterza
editori, Bari edizione del 2003, pagina
XXV delle note ai testi.
9
10
Ibidem, pag.135.
08
Quella che in Rousseau era una preoccupazione preliminare, ovvero il rapporto problematico fra individuo e comunità, in Immanuel
Kant diventa un espediente della natura per edificare, su basi solide, l’ordinamento della società umana.
Secondo il filosofo tedesco l’uomo era naturalmente dotato di un’insocievole socievolezza.
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LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
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Il tema roussoiano della competizione fra gli individui in Kant resiste, ma subisce un’inversione di merito. Secondo il filosofo tedesco,
l’uomo entra in contatto con i suoi simili e certamente convive in
bilico fra un’irresistibile inclinazione ad associarsi e una tendenza a
far prevalere il proprio interesse personale. Se questo per il ginevrino era la “caduta” dal puro sentimento dell’amor di sé, dell’uomo
di natura, al malefico amor proprio dell’uomo civilizzato, per Kant è
proprio questa inclinazione a spingere l’uomo a un miglioramento
costante di se stesso e allo stesso tempo dell’intera società. In questa inversione morale, Kant inaugura una nuova prospettiva della
libertà individuale: la libertà che, incontrando altre libertà, crea il
tutto morale.
L’antropologia realistica accomuna i nostri due filosofi, ma in Kant
questa evidenza è proprio il più grande problema alla cui soluzione
la natura costringe la specie umana è di pervenire ad attuare una
società civile che faccia valere universalmente il diritto11.
Una società che si evolve grazie alla libertà di ognuno in competizione con quella di ogni altro ha bisogno della costituzione di un
argine sicuro: la giustizia. Dunque l’antagonismo funge da motore
per la costruzione della giusta società solo laddove, leggi esterne,
costringano ognuno ad una libertà che sia rispettosa della libertà di
ogni altro. Questa architettura risente certamente delle influenze
dell’illuminismo di matrice scozzese e inglese ( soprattutto Mandeville e Smith) ma resta centrale l’analisi di quell’antropologia realista
che comprende i moventi dell’uomo e li proietta in funzione di una
società pensata di conseguenza. Per questo, la priorità della libertà,
in Kant, si combina con un elemento nuovo: la coazione come condizione complementare e necessaria.
Kant è molto esplicito quando dichiara che il diritto è la limitazione
della libertà di ciascuno alla condizione del suo accordo con la libertà di ogni altro, in quanto ciò possibile secondo una legge universale; e il diritto pubblico è l’insieme delle leggi esterne che rendono
possibile un tale accordo generale. E poiché ogni limitazione della
libertà mediante l’arbitrio di un altro è coazione, ne segue che la costituzione civile è un rapporto di uomini liberi che (fatta salva la loro
libertà nel tutto della loro unione con gli altri) vivono sotto l’impero
di leggi coattive[…]12.
Quello di Kant è uno Stato frutto della Ragione, ovvero come dovrebbe essere se tutti accettassero l’idea della giustizia. Ma su quali
principi si dovrebbe fondare questo Stato di Ragione? Non certo
I. Kant, idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico,
Quinta tesi, in Scritti di storia, politica e diritto, a cura di Filippo Gonnelli,
editori Laterza, Roma-Bari, 2002.
11
12
I. Kant Sopra il detto comune…
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LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
A. CECERE
13
Ibidem…
Diderot, Supplemento al viaggio di
Bougainville, a cura di Antonio A. Santucci, editori Riuniti, 2013.
14
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sulla concorrenza economica, come qualche interprete di stampo
marxista ha inteso, ma su alcuni fondamenti a priori. Questi fondamenti, secondo Kant, ci consentano di dire che, adottandoli, si potrebbe rispettare l’equilibrio tra Libertà e giustizia. Analizzandoli potremmo sostenere che addirittura, grazie a questi principi a priori,
la società si struttura su basi accettabili razionalmente da ognuno. I
tre principi sono: la libertà di ogni membro della società, in quanto
uomo; l’uguaglianza di esso con ogni altro, in quanto suddito [delle
leggi nds]; [ perciò nds] l’indipendenza di ogni membro di un corpo
comune, in quanto cittadino [l’adesione alle regole rende proprietari di diritti, nds]. Sempre in questo scritto (Sopra il detto comune..),
Kant torna a ricongiungersi con la mentalità moderna continentale,
già sottolineata da Diderot, e si scaglia definitivamente contro la
matrice culturale dell’ancien régime: nessuno mi può costringere
ad essere felice a suo modo13. In questo passaggio, Kant stabilisce
che la felicità di ognuno è pensabile solo soggettivamente dall’individuo. Per questo motivo nessuno può immaginare la felicità degli
altri, ancora meno lo può fare il sovrano. Questa è a nostro avviso
la più lucida accusa al paternalismo come massima espressione del
dispotismo. Sia Diderot che Kant avevano presente la figura del Sovrano paternalista e lo descrissero in alcuni famosi testi. Il Francese,
nella riflessione Pagine contro un tiranno (1770), mette in luce le
contraddizioni di un sovrano, Federico II, che, nelle vesti di scrittore, inserisce la propria voce in un dibattito sempre più articolato e
che il tiranno di Postdam intende come avvertimento al partito dei
filosofi sempre più insofferenti verso la monarchia. Diderot proietta
il proprio pensiero illuminista in pagine sempre più limpide e decise
verso una visione antiassolutista , fino a dichiarare che “governare è
sempre rendersi padrone degli altri vessandoli14”. Il filosofo tedesco,
pensatore di un illuminismo più maturo e strutturato, stabilisce la
priorità della libertà individuale su qualunque pretesa di concezioni
del bene pubblico, stabilito da un costume o da una tradizione, anche qualora fosse ritenuta giusta e condivisa da tutti. Questa nostra
insistenza circa il rapporto fra nascente idea della libertà individuale
e la perdita dell’orizzonte mitico del paternalismo è una questione
di vitale importanza dallo stesso Kant. Nella Sesta tesi con estrema
decisione afferma: “[…] l’uomo è un animale che, quando vive fra
altri del suo stesso genere, ha bisogno di un padrone. Infatti egli
abusa certamente della sua libertà riguardo i suoi simili; e, anche se
come creatura ragionevole desidera una legge che ponga limiti alla
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LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
A. CECERE
libertà di ognuno, la sua egoistica inclinazione animale lo conduce a
trarsene fuori non appena gli sia possibile. Egli ha dunque bisogno
di un padrone, che spezzi la sua volontà universalmente valida secondo cui ognuno possa essere libero15”. Per Kant questo problema
è insieme il più difficile e quello che verrà risolto più tardi dal genere
umano.
LA LIBERTÀ TRA TEORIA E PRATICA: LA RIVOLUZIONE
FRANCESE
Con il sostantivo “Libertà” siamo soliti intendere ciò che un soggetto è in grado di fare, dal punto di vista dell’azione che compie, senza
avere ostacoli od impedimenti. Questo vale comunque per ogni sostanza, cioè Libertà è tutto ciò che muove liberamente.
La concezione della Libertà in Kant racchiude in sé la destinazione
di una civiltà. Dopo quello che abbiamo fin qui visto, grazie al nostro filosofo, possiamo analizzare una definizione teorica che soddisfi e giustifichi la nostra analisi.
Per Kant la libertà è un’idea della ragione che trascende ogni esperienza. Per Kant, il nostro intelletto decodifica il reale tramite delle
categorie a priori. La libertà è un concetto formulato tramite la categoria della causalità. La causalità per libertà si oppone alla causalità per natura.
La causalità naturale è sempre condizionata: un evento è sempre
effetto di un altro evento; una concatenazione di eventi determinati in maniera assolutamente interconnessa in modo che ognuno
dipenda da un altro e così via.
La causalità per libertà, al contrario, è incondizionata nel senso che
l’azione non dipende da nessun evento esterno ma è possibile perché, nell’essere umano, vi è la facoltà d’iniziare ad agire da sé. Non
dobbiamo pensare ad una semplice indipendenza dalle cause naturali, perché questa mancanza di evento esterno potrebbe spiegare
anche il “caso”. La libertà è l’autodeterminazione di un soggetto,
in quanto iniziativa assoluta, opposta agli eventi della natura e del
caso. L’uomo può essere sollecitato dai desideri, come per gli animali, ma non determinato. Questo vuol dire che gli uomini possono
agire spinti dal desiderio, ma possono, grazie al libero arbitrio, determinarsi indipendentemente da questi tramite una volontà libera.
Un movente potrà essere quindi anche di pura ragione, un movente
Kant, idea per una storia naturale
dal punto di vista cosmopolitico, in
scritti di storia politica e diritto, a cura
di Filippo Gonnelli, Editori Laterza,
Roma-Bari, 2002, pag.35
15
11
LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
A. CECERE
41
Haack 2003a, p. 32
42
Tuzet 2004, p. 290
43
Tuzet 2011, p. 1068
44
Lakatos, Feyerabend 1995, p. 9
45
Ivi, p. 11
12
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morale, riferibile a principi razionali.
Questo tipo di libertà è tale da permettere ad un soggetto di motivare la propria azione scegliendo di seguire un ideale anche a discapito dei propri piaceri e inclinazioni, e persino in contrasto con un
interesse immediato. Il paradosso di questa visione è che la libertà
non è possibile da dimostrare per se stessa. Per quanto noi possiamo pensarla, la libertà è possibile intenderla come una condizione
necessaria che è dimostrabile solo dopo che un soggetto abbia agito assumendo la moralità, e non l’inclinazione naturale, per motivare la propria azione. In pratica la libertà, dice Kant, è la condizione
della realtà (ratio essendi), mentre la moralità è la condizione che ci
permette di capire un’azione libera (ratio cognoscendi). Questo passaggio è di straordinaria importanza perché qui, il filosofo tedesco,
sottolinea come la Libertà sia il fondamento stesso della razionalità
umana, ma che questa razionalità è riscontrabile solo nell’essere
che agisce assumendo la moralità come propria legge d’azione. Se
questa visione non avesse senso, non potremmo neanche avere
una concezione retribuzionistica della responsabilità individuale.
Se un soggetto non potesse iniziare un’azione prendendo una decisione davvero libera, non potremmo mai parlare di responsabilità
individuale.
Avevamo già visto che con Kant il rapporto fra individuo e comunità
viene risolto in un dovere primo di unione incondizionato tra esseri
che non possono non influire reciprocamente fra loro. In questo sistema, l’invitabile interazione, diviene fonte del diritto in virtù della
limitazione della libertà alla condizione dell’accordo di questa con la
libertà di ogni altro, sotto la coazione di leggi pubbliche. Gli uomini,
potendo agire razionalmente, con la libertà del volere, sceglieranno
sempre di obbedire a quelle leggi, piuttosto di cadere sotto la volontà coercitiva di un altro uomo.
Lo Stato retto da principi di libertà, uguaglianza e che sia conforme
al diritto è uno Stato Repubblicano: uno Stato che è l’opposto di
uno Stato dispotico, in cui vi sia una divisione dei poteri e che il governo sia rappresentativo e non identico alla totalità di quel popolo
che deve essere governato. Le libertà individuali sono il fondamento dello Stato, ma anche il suo fine e per garantire ciò è necessario
limitare e dividere il potere per non creare nuovi dispotismi.
Kant è, tra i filosofi, il più attento e il più coinvolto nell’osservazione
degli sviluppi della Rivoluzione francese. Certamente la rivoluzione
è l’affermarsi, nella pratica, di gran parte dell’idea kantiana di Stato.
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LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
A. CECERE
Il rapporto di Kant con la Rivoluzione è stato molto studiato, sia per
il suo carattere a volte contraddittorio, sia perché gli avvenimenti rivoluzionari influirono in modo decisivo sul pensiero del filosofo. Sin
dalle prime prese di posizione nel 1790, il nostro autore, sottolinea
come il cambiamento di prospettiva, che questo evento inaugura,
non riguarda solo l’assetto istituzionale della Francia, ma comporta,
soprattutto, un cambiamento esistenziale per ogni suddito rispetto
allo Stato. Qui Kant vuole rimarcare il carattere decisivo che questo
mutamento porta nel rapporto di ogni singolo uomo con il tutto.
Ogni cittadino diventa allo stesso tempo mezzo della costruzione
dello Stato, ma soprattutto diventa lo scopo ultimo dell’esistenza
della nazione. Per Kant questo avvenimento mostra la capacità di
un popolo di trasformarsi da moltitudine sottomessa ad un despota
in una vera e propria organizzazione statale. Questo fatto, conforme
alla morale, mostrerebbe dunque come degli enti dotati di ragione
possano agire secondo la rappresentazione di princìpi, costruendo
così, con atto assolutamente volontario, un tipo di organizzazione
che abbia come fondamento leggi universali adatte a tutti e definite
con il contributo di ognuno. Siccome l’agire è ciò che ci mostra una
volontà davvero libera, l’evento rivoluzionario, nel suo dispiegarsi
storico, dimostra la maturità del popolo francese.
Molti studiosi hanno imputato a Kant un atteggiamento ondivago
rispetto ai fatti rivoluzionari. Questa polemica è, a nostro avviso,
risolta in uno studio davvero puntuale di Domenico Losurdo16, il
quale dimostra la necessità dell’autore di aggirare la censura e la
capacità dello stesso di esaltare la rivoluzione in quanto organizzazione politica legittima.
A questo proposito è necessario soffermarci sulla questione della
condanna kantiana alla decapitazione di Luigi XVI. Il nostro autore
condannò senza riserve l’esecuzione del monarca per il fatto che
una società civile non può mai ribellarsi alla sovranità costituita, in
modo particolare una decapitazione rappresenta un abominio politico. Questo passaggio va però interpretato alla luce di quanto il
filosofo aveva già detto al momento dell’insurrezione popolare del
1789: la Rivoluzione è un atto perfettamente legale in quanto fu
il sovrano a convocare gli Stati generali e quindi a demandare la
sovranità al popolo. Per questo motivo, fermo restando il disprezzo
kantiano per l’esecuzione del monarca, dobbiamo sottolineare che
Kant, nel condannare l’insurrezione dei popoli verso la sovranità,
condanna di fatto l’eventuale controrivoluzione e stabilisce la per-
Domenico Losurdo, Autocensura e
compromesso nel pensiero politico di
Kant, Bibliopolis, Napoli 1983.
16
13
LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
A. CECERE
Per un approfondimento si veda:
Kant, Del rapporto della teoria con
la pratica nella morale generale I, sul
detto comune questo può essere giusto in teoria ma non vale per la prassi,
1793, in Kant scritti di storia politica e
diritto, pagg. 126-136, op. cit.
17
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fetta legittimità della Repubblica francese.
Il sovrano aveva demandato il potere al popolo e questi si era reso
libero secondo la propria volontà libera di darsi delle leggi uguali
per tutti.
Grazie a Kant l’illuminismo smette di essere solamente un approccio teorico per l’autonomia dell’individuo e una forma intellettuale
di riscatto rispetto qualunque autorità dispotica. Nell’analisi kantiana la rivoluzione diventa la prassi politica della destinazione morale
dei popoli, verso una forma repubblicana che sia in grado di salvaguardare libertà ed uguaglianza.
Così il pensiero politico di Kant stabilisce che il cammino dell’umanità, quella dell’individuo che ha il coraggio di fare uso del proprio
intelletto, è un movimento verso un ordine civile razionale che rappresenta la dimostrazione che l’umanità è costante nel suo progredire. La natura possiede un fine occulto per l’umanità, che si può
evincere dalla storia del progresso degli uomini, spesso inconsapevoli che le loro lotte per i propri interessi non sono niente altro che
una specifica predisposizione naturale verso l’avvento di una società libera e razionale.
L’uomo era dunque naturalmente portato a passare dallo stato della barbarie alla civiltà, e la Rivoluzione francese ne era stata una
tappa fondamentale17.
Condividiamo con il filosofo di Königsberg l’idea che la Rivoluzione
francese sia stata la destinazione dei lumi e della modernità così
come l’abbiamo letta noi in questo saggio.
Nello stesso tempo, la rivoluzione rappresenta, di questa destinazione, uno snodo per il perfezionamento di quella tradizione culturale che più tardi prenderà il nome di Liberalismo.
I princìpi enucleati nella famosa Dichiarazione dei diritti dell’uomo
e del cittadino (26-8-1789), sanciscono che la società politica è retta da leggi giuste quando sono rispettati i seguenti diritti: libertà
dell’individuo, proprietà, sicurezza e resistenza all’oppressione.
Gli uomini nascono e vivono liberi nei diritti e il fine di ogni associazione politica è la conservazione di questi diritti imprescrittibili
dell’uomo.
IL DIBATTITO INTERNO ALLA RIVOLUZIONE
Il fatto che, durante gli anni rivoluzionari, ci fosse un dibattito intorno alle questioni politiche, è l’indicatore di come la libertà politica
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LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
A. CECERE
abbia consentito il diffondersi di un atteggiamento partecipativo e
competitivo, tale da rendere effettiva l’idea che la volontà di ognuno sia la base dell’edificio statale.
Abbiamo detto di come il concetto di libertà si sia evoluto nella
modernità attraverso l’analisi del pensiero che dagli enciclopedisti
(Rousseau e Diderot) fino a Kant, e di come la libertà sia diventata
prassi politica nel momento della codificazione delle leggi generali
della Repubblica.
Proprio durante questo percorso, la libertà aveva perso la sua natura di concetto unicamente morale. Già nell’Encyclopédie, infatti,
si assiste ad una pluralità dei significati di questo termine. Oltre
che nell’accezione semantica politica, il lemma libertà cominciò ad
essere usato per argomenti economici. La voce Commercio di Francois Luis Veron Forbonnais, metteva in luce un concetto di libertà
di scambio nel senso più vesto di Comunicazione reciproca; il libro
che ne seguì: Éléments du commerce ( 1754) fu una presa di posizione in contrasto con gli autori fisiocratici. In precedenza il saggio
Essai politique sur le commerce (1734) di Jean Francois Melon, aveva aperto la strada all’idea fisiocratica, parlando per la prima volta
della possibilità, in commercio, di agire ognuno per il proprio esclusivo interesse. Il concetto di Libertà, in tutte e due gli autori, non è
dissimile al contesto settecentesco dove il significato del termine si
opponeva comunque a licenza. Melon, che influenzerà decisamente Montesquieu, considera la libertà di commercio un sottoinsieme della libertà politica, distinguendo la libertà di commercio come
teoria, dalla regolamentazione dell’attività dei commercianti nella
prassi. A metà del settecento questo confronto fra libertà politiche
e libertà economiche aprirà la strada alla riflessione dei fisiocratici e
poi, nel periodo repubblicano, alle discussioni del circolo degli Idéologues. Abbiamo insistito con decisione nel mettere in luce le influenze dello spirito enciclopedico sullo sviluppo dell’idea di libertà.
Nel biennio 1765-1767 vengono pubblicati diversi libri che rappresentano un salto di qualità nella discussione sulla libertà economica. Questi testi risentono fortemente dell’impronta di una mentalità antiautoritaria, individualista, giusnaturalista che l’illuminismo
radicale di molti enciclopedisti aveva forgiato negli ultimi anni. In
particolare, il testo di Turgot, Réflexions sur la formation et la distribution des richesses, rappresenta il più limpido esempio di una
riflessione che pone i diritti dell’uomo come fondamento di una società libera composta da uomini intenti a interagire secondo regole
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LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
A. CECERE
Non è possibile approfondire qui la
storia degli Idéologues, si rimanda allo
studio di Philippe Nemo “ Gli Idéologues e il liberalismo” in Storia del liberalismo in Europa, a cura di P. Nemo e
J. Pitetot, Rubbettino editore, Soveria
Mannelli, 2013 pagg. 285-325.
18
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razionali. In queste pagine, la libertà dell’individuo si estende alla
libertà economica, la quale diventa un indicatore di società libera.
Per Tourgot l’umanità nuova si fonda sul sistema della libertà, ogni
società è retta da un insieme di leggi che salvaguardino la sfera privata di ogni cittadino il quale può così prosperare in pace e concordia con i suoi simili. A questo livello di riflessione, per il nostro
autore, non deve far più scandalo l’idea che l’interesse personale di
ognuno possa contribuire allo sviluppo armonico dell’intera società
libera. Non serve sottolineare l’assonanza con il kantiano piano segreto della natura, che ora comincia a diventare spontaneismo capitalista. Lasciar fare agli uomini, questo è l’inizio di una tradizione
liberale, che riportata nel contesto giusto continentale, si ricollega
alla più vasta cultura dei diritti e delle libertà individuali che fondano le democrazie occidentali. In questo senso il laissez-faire ritorna
in un contesto politico che, partendo dalle lotte antipaternaliste e
antiautoritarie, ci permette di osservare una continuità nello sviluppo dell’ideale liberale in un’ottica di libertà individuale coerente con
l’affermarsi dei diritti civili e che punta sull’illuministica fiducia nelle
capacità del singolo di auto-elevarsi. Diritto di proprietà, libera concorrenza, un contributo che Tourgot ha dato all’illuminismo in piena
coerenza con lo sviluppo di questa cultura filosofica.
Tourgot è l’intellettuale che possiamo considerare l’anello di congiunzione fra l’esperienza culturale dell’Encyclopédie e la nascita
dei primi movimenti politico-culturali del nostro continente: gli
Idéologues18.
Nella Francia in piena Rivoluzione, grazie alla libertà di espressione, al retroterra intellettuale sviluppatosi intorno agli enciclopedisti,
nascono i primi gruppi di discussione politica che rappresenta la
nascita dell’opinione pubblica.
Durante la Rivoluzione, passando per l’impero e fino alla restaurazione, un gruppo cospicuo di uomini e donne cominciò a confrontarsi direttamente su tematiche politiche e a formare un fronte intellettuale comune. Furono filosofi, economisti, politici, appartenenti
a tutte le classi sociali. Tra i nomi più famosi ricordiamo Condorcet,
Sieyès, Dupuis, Laplace, che parteciparono alla nascita del dibattito
pubblico nei primi anni della rivoluzione. Nel tempo si aggiunsero
Costant, Lamarck, Stendhal e molti altri. Questi uomini diedero vita
a salotti culturali in cui si incontravano per confrontarsi. Durante il
direttorio in un ristorante in rue du Bac, si riuniva un salotto che
diede vita al complotto contro il Primo console. Nacquero le assem-
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LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
A. CECERE
blee rivoluzionarie, e i nostri ideologi furono presenti in molti quando si stabilirono i principi della Costituzione; altri parteciparono alle
convenzioni girondine e montagnarde, fornendo le basi ideali dei
primi partiti politici continentali.
Fondarono un rivista ( La Décade philosophique) che servì a divulgare le loro idee e incentivare il discorso pubblico sulle questioni
più urgenti della politica francese. Centrale in tutto questo fu il contributo culturale e politico degli ideologi nel dibattito sulla libertà
di istruzione. Come sappiamo la Rivoluzione comportò la chiusura
delle strutture scolastiche della Chiesa. Il dibattito si accese intorno
all’idea di libertà di istruzione contro l’idea di un monopolio sulla
scuola. Secondo questi intellettuali la Rivoluzione aveva abbattuto
l’assolutismo regio e ora bisognava inaugurare una cultura davvero
antiassolutista, cominciando dall’istruzione pubblica. Per questo gli
ideologi erano contrari a qualsiasi tipo di monopolio nell’istruzione
per evitare nuovi assolutismi, persino quello repubblicano. Sarebbe
stato grave aver sconfitto l’assolutismo della chiesa e della corona
per sostituirla con l’assolutismo dello Stato.
Fu Condorcet che dedicò maggiori energie politiche e culturali in
questa battaglia.
Intellettuale versatile e prolifico, studioso di matematica, filosofia
e diritto, fu tra gli illuministi che parteciparono attivamente alla
vita politica della Francia rivoluzionaria. Per certi aspetti potremmo
pensarlo un anticipatore di Karl Popper, per via della sua visione di
un progresso sociale aperto, e per la sua intuizione circa la necessità
di dover sempre riverificare le scoperte scientifiche alla luce di un’evoluzione costante della conoscenza. Per il nostro autore, la problematica dell’accesso alla conoscenza divenne un punto centrale nella
sua riflessione filosofico-politico. Il progresso e la libertà sono possibili solo nella società in cui non vi siano ostacoli alla ricerca scientifica, alla libertà di espressione e all’indipendenza dell’intellettuale
da qualsiasi forma di potere. Anche qui riecheggia la priorità della
libertà sulle possibilità umane di una società giusta. La questione
nuova, ma allo stesso tempo solidamente coerente, è che per Condorcet, il non porre limiti coercitivi alla libertà di pensiero, voleva
dire indipendenza intellettuale da qualsiasi forma di organizzazione
dogmatica, persino del nascente Stato repubblicano.
L’istruzione obbligatoria per tutti, anche per le donne, è un progetto
fondamentale per uno Stato che sia davvero repubblicano. La perfettibilità dell’uomo si stimola con l’istruzione sulla scienza, il diritto,
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LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
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Condorcet, Gli sguardi dell’illuminista, a cura di Graziella Durante, Edizioni Dedalo, Bari, 2009, Pag.108.
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L’autore che più ha studiato il fenomeno nella società contemporanea è:
Edgar Morin, La testa ben fatta, Raffaello Cortina editore, Milano, 2000.
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la filosofia, la matematica e la grammatica. Eppure, l’istruzione non
deve diventare il pretesto per controllare le menti dei ragazzi, anche quando crediamo che la nostra cultura rappresenti la verità. Per
avere rispetto dell’avvenire dobbiamo avere fiducia che ciò che reputiamo oggi certo verrà migliorato e superato in futuro. Condorcet
anticipa Popper, ma certamente consolida Kant nell’affermare che
solo la ragione può conoscere quando si emancipa dall’autorità, dalla consuetudine e dal pregiudizio dettato dalla pigrizia intellettuale.
Sapere Aude , il programma illuminista entra nella prassi politica e si
occupa di emancipare, attraverso l’istruzione pubblica, l’umanità del
futuro. Solamente cittadini abituati a ragionare con la propria testa,
non debitori delle opinioni altrui, saranno in grado di generare nuove epoche di libertà. Dunque, per Condorcet, il punto è allontanare
ogni potere politico dalla gestione dell’insegnamento dei giovani.
Eppure nella pratica, il nostro pensatore, sarà costretto a vedere
la gestione statale utile al livello della scuola elementare. Questo
perché era necessario dare a tutti un minimo di istruzione, e solo
lo Stato poteva sobbarcarsi un tale compito in un’ottica di uguale
trattamento economico e sociale per tutti. Lo Stato deve stabilire i
criteri per la formazione degli insegnanti; verificare che non vi siano
disparità fra i programmi e che si insegni secondo un livello adeguato di conoscenze scientifiche. L’insegnamento statale può avere
senso solo laddove esista una concorrenza privata all’altezza, che
eviti ogni tendenza al monopolio. Il potere pubblico deve insomma fissare l’oggetto dell’istruzione e controllare che sia insegnato
in modo adeguato. Condorcet, con grande anticipo, si preoccupava
di evitare che il potere politico potesse legare l’insegnamento a una
morale “pubblica” e alla religione. Con straordinario acume, il filosofo francese anticipa una delle tematiche più attuali della sociologia
della cultura: Perché la divisione dei mestieri e delle professioni non
conduca il popolo alla stupidità19. Il tema della parcellizzazione del
sapere come limite della possibilità dei cittadini di comprendere la
complessità della società, e dunque di poter essere davvero attori
consapevoli della polis, è un tema studiato ancora oggi da autorevoli sociologi20.
Quello che più interessante osservare, dal punto di vista della nostra ricerca, è che al sorgere di una nuova Istituzione politica, la
tradizione intellettuale che va dagli enciclopedisti, passando per
Kant, e attraverso Condorcet e gli ideologi si proietterà al liberalismo novecentesco, mantiene sempre una preoccupazione forte per
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LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
A. CECERE
l’autonomia del singolo rispetto alla collettività, al potere politico e
religioso. Anche nella Repubblica fondata sui Diritti dell’uomo e del
cittadino, quello che va salvato è la possibilità che ogni individuo
possa emanciparsi secondo il proprio talento senza dipendere da
tutori, senza dover essere soggetti ad un padrone, che sia umano o
divino.
Una volta che la Rivoluzione si è trasformata in organizzazione politica, l’approccio teorico e l’intero dibattito filosofico politico muta
di prospettiva. Mentre all’origine del nostro ragionamento abbiamo messo in risalto la preoccupazione del rapporto fra individuo e
collettività, fra uno e molti, ora l’analisi si sposta intorno ai poteri
dello stato e di questi poteri nella dinamica interna tra governo e
cittadini.
Il filosofo che per primo ha saputo cogliere questa dinamica, in
un’ottica di anticipazione delle tematiche tipiche del liberalismo, è
stato Benjamin Constant.
Il filosofo svizzero, ha presentato una raffinata esposizione di alcune tra le più durature e moderne architetture della Democrazia
parlamentare, sapendo immaginare le problematiche tipiche della
complessità di una società democratico-liberale.
Per Constant il regime politico giusto, conforme all’aspirazione di
uno Stato rispettoso delle libertà individuali, è solo il regime costituzionale. L’importanza della mediazione politica, della separazione
dei poteri, del suffragio esteso (censitario) la responsabilità politica
dell’eletto verso chi rappresenta, la limitazione della tassazione, il
controllo sulle politiche monetarie e molte altre questioni di una
sorprendente precocità rispetto alle riflessioni del proprio tempo.
Centrale nella sua riflessione c’è il progresso umano come caratteristica insita nella dinamica della libera reciprocità tra gli attori
all’interno della comunità politica. In questo autore possiamo scorgere un continuatore del Kant teorico dell’insocievole socievolezza,
ma con uno sguardo più marcato sulle potenzialità del libero mercato. Leggendo Constant è facile notare che tra le preoccupazioni
esplicitate a più riprese c’è quella relativa alla tirannia di eventuali
maggioranze politiche sulla vita del singolo cittadino. La preoccupazione paternalista si aggiorna e diventa timore per lo strapotere
della collettività. Questo timore sarà ripreso da autori liberali successivi, i quali approfondiranno la preoccupazione che le credenze
di maggioranze organizzate possano impedire il libero sviluppo di
individui non conformisti. L’entrata in scena della lotta politica, le
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LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
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frizioni fra le fazioni ideologiche e partitiche, sviluppano nel nostro
autore un’evoluzione teorica tendente a ricercare la libertà dell’individuo come libertà prettamente negativa (autonomia dall’ingerenza del potere politico). Sarebbe un errore estremizzare la posizione
di Constant schiacciando la sua visione tutta sul polo della libertà
dei moderni, la partecipazione alla dialettica politica è un aspetto
importante per il filosofo (la libertà politica, la libertà degli antichi,
rappresenta la garanzia della libertà individuale), ma le nuove esperienze rivoluzionarie hanno fatto crescere un’attenzione particolare
agli spazi di autonomia del cittadino rispetto al Governo. Il nostro
filosofo resta profondamente giusnaturalista e afferma, specificando, che se è vero, come è vero, che gli individui posseggono dei
diritti naturali inalienabili, questi diritti devono essere considerati
intoccabili da qualunque autorità sociale.
Durante il periodo del Terrore, i nuovi poteri avevano esercitato un
dominio che prevaricò ogni ragionevole limite, in disprezzo alla Legge di natura (le leggi dello Stato sono buone o cattive, la legge della
natura è legge di ragione). Per questi motivi la Volontà della maggioranza del popolo è si sovrana, ma solo rispettando un’architettura di
poteri limitati tali che l’uso della forza sia espletato solo seguendo
leggi chiare che rispettino l’inviolabilità dei diritti dei singoli.
Per quello che attiene alla nostra riflessione, Constant è un autore
davvero significativo in quanto aggiorna la priorità della libertà in
un ambito prettamente politico. Dopo l’esperienza rivoluzionaria
c’era da affermare il campo di pertinenza dell’individuo che si trovava sfidato da dinamiche più complesse rispetto ai tempi precedenti.
Dopo il Terrore, i fratelli cominciano a fare più paura del padre, il
dispotismo resta il nemico dell’individuo, tanto se viene esercitato
da un monarca tanto se viene esercitato dalla collettività. Constant
tiene allora in prima evidenza la libertà come possibilità di ognuno di non essere prevaricato dalla volontà di uno più individui, di
non essere in alcun modo contrastato nello sviluppo della propria
personalità, senza per questo dimenticare che la partecipazione di
ognuno alla vita politica è una fondamentale conquista da cui ormai
non è più ragionevole abdicare.
Spesso è stata fatta una lettura di Constant in opposizione a
Rousseau. La proposta di lettura che proponiamo in questa riflessione è, invece, un po’ più sfumata tenendo presente che l’obiettivo del ginevrino era soprattutto quello di stabilire i fondamenti
della sovranità. Per Constant il principio della sovranità popolare è
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LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
A. CECERE
condizione necessaria ma non sufficiente per stabilire la legittimità del potere. Il potere legittimo va determinato anche in base alla
sua estensione. Il rapporto uno/tutto, individuo/società è da vedersi come confine. La società deve essere garanzia dell’individuo e
questo è pensabile solo all’interno di una costruzione giuridica con
giusti limiti costituzionali. In questa visione, Constant più che opporsi a Rousseau, risponde in modo realista (considerando il potere
in tutta la sua specificità) alla speranza fondamentale del ginevrino:
Trovare una forma di associazione […]unendosi a tutti non obbedisca tuttavia che a se stesso e resti libero come prima21 (in una
ipotetica sfera individuale di puro isolamento nds). Questa nostra
osservazione rende conto della complessità di un secolo di grandi
rivoluzioni, mutamenti soprattutto in campo intellettuale. La nostra
visione è uno sguardo d’insieme dell’evoluzione dell’idea di libertà
nella modernità. I moderni hanno mantenuto una tensione costante
all’aspirazione per un’esistenza di autonomia e libertà. Dal giusnaturalismo al liberalismo si deve guardare alla graduale sensibilità di
pensiero e azione verso una sempre più consapevole architettura
sociale e culturale.
Se in Rousseau era determinante affermare il fondamento popolare
della sovranità, in Constant la preoccupazione riguarda aspetti più
specifici e dalle dinamiche più particolareggiate nella prassi politica: ampliare le possibilità della libertà dell’individuo significa che la
libertà è ciò che l’individuo ha il diritto di fare e che la società non
ha il diritto di vietare, persino se voluto dall’unanimità della volontà.
LA NUOVA COSCIENZA EUROPEA: LA RIVOLUZIONE
PERENNE E LA NASCITA DELL’ANTILIBERALISMO
Per comprendere al meglio quanto il fondamento della tradizione
politica liberale si possa saldare alla rivolta, in età moderna, della
coscienza dell’occidente europeo, ci serviremo di due studi di straordinaria importanza: Anatomia dell’antiliberalismo22 e Critica illuminista e crisi della società borghese23.
Nel testo di Koselleck, troviamo una lettura della modernità a cui
siamo particolarmente debitori per i nostri studi. In modo assai
esplicativo possiamo leggere che, secondo questo storico, l’arco
temporale entro cui dobbiamo identificare la trasformazione della
coscienza europea è nel periodo che va dalla fine delle guerre di religione fino alla Rivoluzione francese. Mentre nell’isola britannica,
21
Contratto Sociale (Op. Cit.), pag. 93
Stephen Holmes, Anatomia dell’antiliberalismo, Edizioni di Comunità,
Milano 1995.
22
Reinhart Koselleck, Critica illuminista e crisi della società borghese, Il
Mulino, Bologna, 1972.
23
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Benjamin Israel, Una rivoluzione
della mente, Einaudi, Torino, 2012.
24
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con le guerre di religione, la precoce borghesia inglese fece crollare
l’assolutismo monarchico, nel continente ci volle un lungo processo
che contribuì a mutare, insieme agli assetti istituzionali, la mentalità
e la cultura degli uomini. Il lungo processo fatto di lotte, dispute
intellettuali, disordini politici e cambiamenti di costume, furono alla
base della trasformazione che un altro storico ha efficacemente definito la Rivoluzione della mente24.
Grazie allo studio di Koselleck possiamo osservare che fu proprio
l’affermarsi dell’assolutismo a portare una trasformazione psicologica negli uomini. L’aver schiacciato i sudditi in una sfera privata,
separando così nettamente ciò che è personale rispetto a ciò che
è pubblico, portò gli individui a cominciare ad osservare la propria
individualità come un tutto chiuso, separato rispetto a tutto ciò che
il potere politico aveva stabilito essere intangibile per i sudditi. L’allontanamento del politico dalla comunità separò il monarca/padre
dal tutto, rendendolo un estraneo e non più la sintesi della collettività. Il suddito, una volta scoperto se stesso come entità autonoma,
recepisce l’avvento della cultura critica dell’illuminismo come una
cultura capace di dargli una dimensione politica nuova. Su questo
terreno la critica illuminista trova il modo di svilupparsi e si renderà
strumento abile per sovvertire l’assolutismo, ma anche definire lo
spirito di un’umanità in grado di pensare e attuare sempre nuovi
cambiamenti.
Nel testo di Holmes possiamo apprezzare un approfondito esame
della reazione alla modernità. Proprio negli anni della Rivoluzione
nacque la riflessione antimoderna come reazione alla Rivoluzione
e ai suoi valori. Quello che è più evidente, in questa lettura, è che
l’antiliberalismo nasce nello stesso contesto culturale in cui noi abbiamo creduto di ravvisare la nascita della tradizione culturale che
sarà recepita della teoria liberale. Secondo questo autore la tradizione reazionaria ( preferiamo sintetizzare con il concetto di reazionario il più ampio ventaglio di definizioni date da Holmes quali: antiilluministi, anti-liberali-anti-razionalisti, etc.) è un ambito culturale
che cerca di rimarcare come la modernità sia configurabile quale
nuova “caduta” di un’umanità ancora peccatrice. L’uomo moderno
è visto come un nuovo Adamo, cacciato dal padre a causa della sua
avidità di conoscenza. Per Holmes le varie teorie antiliberali hanno
tutte un punto di convergenza nell’affermare l’assoluta necessità di
combattere la visione di un’umanità formata da soggetti autonomi.
L’autonomia dell’individuo è vista come la perdita del senso, l’al-
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LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
A. CECERE
lontanamento dalla trascendenza che teneva legati gli uomini fra
loro da una garanzia che era la giustizia divina. L’iniziatore di questa
tradizione fu Joseph De Maistre25 il quale vide nella Rivoluzione un
giusto castigo per i monarchi e la nobiltà che avevano permesso l’avanzare delle nuove idee. Il terrore fu da lui salutato come il monito
che Dio mandava sulla Terra per mostrare la propria ira, come nella
biblica narrazione delle piaghe.
La tensione reazionaria di De Maistre è tutta inquadrabile nella critica alla secolarizzazione. Il vero nesso problematico, per lui, è la
perdita della dimensione spirituale, di quel piano consolatorio che
solo la narrazione mitica religiosa può dare all’umanità bisognosa di
ordine.
Per questo pensatore, gli illuministi sono come dei parricidi che
vogliono sostituirsi al padre in vista di un’eredità materiale. Gli illuministi, secondo il nostro reazionario, sbagliano a sottovalutare
l’esigenza degli uomini di vivere sempre sotto promesse di felicità
future per sopportare la realtà del proprio presente. L’umanità ha
bisogno delle bugie della religione, e la società può essere governata da quei pochi iniziati alla sapienza che, come nel Fedro di Platone, sono in grado di gestire la conoscenza del vero. L’adesione al
modello di società teocratica è sorretta da un’avversione alla scienza. Per De Maistre la scienza è la rovina della nobiltà dell’uomo. Più
si indaga la natura più il linguaggio degenera e l’uomo si avvicina
all’animale. La mentalità scientifica è la mentalità dell’insubordinato
che tenta di liberarsi del dogma e non porta rispetto per nessuna
autorità. In pratica, per questo autore, il pensiero libero, l’autonomia dell’individuo, la critica sono tutti sintomi della perdita della
sacralità del potere autocratico.
Aver letto contemporaneamente questi due testi ci consente di
avere un quadro chiaro sulla priorità della libertà, in tutti i campi
dove la modernità è definibile in quanto liberazione, emancipazione, movimento verso una dimensione autonoma dell’individuo. Da
una parte Koselleck identifica nell’assolutismo la “creazione” dell’individuo e nell’illuminismo la formazione di una mentalità protesa
al cambiamento come fondamento della sua essenza; dall’altra lo
studio di Holmes ci conferma che l’opposizione alla modernità ha
le stesse basi di quell’opposizione che per tutta la storia degli ultimi
secoli ha avuto il liberalismo.
L’opposizione fra individuo e collettività, autonomia ed eteronimia
è la lotta fra liberalismo e antiliberalismo.
25
Joseph
De
Maistre(Cambéry
1753-Torino 1821)
23
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VERSO UNA CONCEZIONE DEL LIBERALISMO
ERMENEUTICO
26
Sebastiano Maffettone e Ronald
Dworkin, I fondamenti del Liberalismo, Laterza, Bologna,1996.
27
Ivi, pagg.129-130.
28
Ivi, pag. 133.
24
A questo punto della nostra riflessione ci si deve chiedere che fine
faccia l’uomo isolato di natura, quello che per Rousseau era perfetto fino a che non entrava in relazione con gli altri.
L’uomo buono di Rousseau era il suddito isolato dall’assolutismo
politico francese, questi entrando nell’agone politico moderno in
che modo manifesterà la propria sovranità?
Si comporterà kantianamente come il cittadino dell’ottantanove
che, libero da altre autorità, si autoimpone la Carta dei diritti, oppure mostrerà il suo lato demoniaco come i rivoluzionari del Terrore,
secondo le visioni di de Maistre?
La nostra risposta è omnicomprensiva: l’uomo agisce in certe epoche come lo pensa Kant ed in altre si lascia prendere dall’irrazionalità come crede De Maistre. La società politica è di difficile comprensione perché è sottesa dalla complessità dell’agire umano. Il fatto
che l’umanità sia in costante evoluzione ci pare un giudizio sostenibile e di difficile contestazione.
A partire da questo nostro giudizio, per quanto banale, sentiamo
l’esigenza di provare a chiarire il significato del termine Liberalismo.
Secondo un ormai famoso studio di Sebastiano Maffettone26, esistono una cospicua varietà di liberalismi che hanno fondamenti sufficienti per entrare tutti sotto questa denominazione, nonostante
le differenze assiologiche. In questo studio l’autore individua ben
quindici gruppi di tradizioni filosofiche da cui far derivare il significato del termine Liberalismo.
Dai teorici dei diritti (Paine, Dworkin, Nozick), economisti classici
(Smith e Ricardo), utilitaristi ( Bentham e Mill), contrattualisti ( Kant
e Rawls) fino agli associazionisti di Tocqueville27 Maffettone offre
un’analisi tesa a ricondurre queste famiglie entro la visione di una
teoria del liberalismo filosofico di grande respiro ideale. Secondo
questo autore, per uscire dalla vaghezza di descrizioni teoriche generiche bisogna guardare senza esitazione al nesso consensualista
che lega la libertà individuale e ordine politico e sociale28.
Secondo questa concezione di Liberalismo critico, il primato della
libertà è garantito da un ordine politico/Stato che regola gli spazi di non interferenza ed impedisce al più forte di sottrarre libertà
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LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
A. CECERE
al più debole. Questa concezione trova anch’essa un’opposizione
nella concezione del Liberalismo realista, più incline a non porre
limiti dall’alto alle preferenze individuali. Anche in questo dualismo
tra dottrine restiamo insoddisfatti se vogliamo davvero trovare un
significato al nostro termine.
Più efficace appare la definizione che ne fa Stefano Petrucciani:
[…]appartengono sostanzialmente al liberalismo tutte quelle posizioni che condividono la tesi del primato e della centralità dei diritti,
visti come limiti a ciò che lo Stato o la democrazia possono imporre
ai cittadini; la differenziazione dei molti liberalismi è generata soprattutto da due fattori, e cioè dall’attitudine più o meno aperta nei
confronti della democrazia e dal modo in cui si interpretano i diritti
economici e sociali.29
Questa definizione di Petrucciani riesce a ricondurre la pluralità dei
liberalismi ad una coerente sistematizzazione intorno a ciò che è
comune a tutte le famiglie. Soprattutto, appare più vicina a rispondere all’incipit di Plinio che abbiamo posto a questa riflessione.
Se abbiamo scelto di sottostare a un qualunque potere organizzato
è perché non vogliamo più sottostare a un potere dispotico, ancor
meno essere soggetti al volere arbitrario di un nostro simile.
Se il primato dei diritti e della libertà dell’individuo sono il fondamento della società che i liberali desiderano, se a questa società è
necessaria una legislazione che protegga questi diritti, persino dal
volere degli stessi uomini che la compongono, resta da capire se il
liberalismo potrà mai esprimere una dottrina teoria positiva che sia
in grado di indicare a quali condizioni è possibile costruire la giusta
società politica.
La risposta che ci sentiamo di dare, alla luce della ricerca che abbiamo esposto in questo scritto, è che il liberalismo non è una dottrina
che esprima una concezione sostantiva del bene comune. Questo
vuol dire che non è possibile, da liberali, sedersi con gli altri componenti della Polis e offrire, nell’ipotetico accordo comune, una visione di buona vita che possa essere condivisa da tutti. Non potendo, dunque, offrire un progetto politico alternativo, il liberalismo, in
quanto prospettiva politica, sembra mancare di quella necessaria
dose di utopia, o, più semplicemente, sembra non possedere quella
capacità di seduzione verso le masse che le altre dottrine politiche
sembrano avere. Una teoria che, in sostanza, sia basata sulla pri-
29
Stefano Petrucciani, Modelli di filosofia politica, Einaudi editore, Torino,
2003, pag.179.
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LA PRIORITÀ DELLE LIBERTÀ. LIBERALISMO E RIVOLUZIONI
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orità del giusto sul bene, manca di una prospettiva teleologica, di
una promessa messianica adatta a smuovere l’ardore della moltitudine. Data questa riflessione sembra che la nostra analisi ci spinga a
svalutare il liberalismo come concezione politica. Quello che invece
a noi sembra di straordinaria pregnanza di questa concezione è la
grande capacità che essa possiede per offrire una chiave interpretativa alla storia, alla cultura, ai valori e a tutti quei processi umani
che la modernità ha rappresentato. Il liberalismo è l’interpretazione
positiva del cammino dell’uomo moderno, che ha scoperto se stesso come ente autonomo.
Liberalismo è l’umanità che, prendendo coscienza di se, si assume la
responsabilità di dare una forma alla propria convivenza.
Facendo seguito alla nostra analisi, possiamo dire che esiste ormai
un paradigma culturale che può interpretare la realtà in senso moderno ogni qual volta che nell’agone politico sia necessario aumentare gli spazi di libertà per ognuno. Questo stesso paradigma sarà
utile per difendere la comunità dalle derive reazionarie, tese a riportare l’umanità in una condizione di asservimento ad un uomo, ad
una parte di uomini o ad un dogma.
Dunque liberale non sarà un partito, un programma, ma una cartina
di tornasole per comprendere se un dato programma politico, se
una certa società sia indirizzata al miglioramento della libertà e dei
diritti di ogni uomo. Liberale sarà colui il quale è sempre disponibile
a verificare la possibilità di rivoluzionare ciò che conosce e che ama
in nome del progresso di tutti.
La grande tradizione dell’illuminismo, del Sapere aude, trova nel liberalismo la possibilità di far sopravvivere quell’idea di libertà come
priorità per la costruzione di uno spazio comune, sempre in divenire, nel rispetto reciproco, senza prospettare se stessa come dottrina
dogmatica, buona per tutti.
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CANTIERE LIBERALE
Via San Bartolomeo, 103
La Spezia - 19126 La Spezia (SP)
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