Il sottoscritto, prof. XX, docente di Ematologia dell’Università XY nonchè Consulente
del Tribunale di XZ è stato incaricato dal Dott. XX, Giudice del Tribunale di XX, CTU
nella causa iscritta al R.G. ____/2015, relativa agli eventi clinici che hanno riguardato
la Sig.ra SL e che hanno causato la morte della stessa Sig.ra SL.
IL FATTO
La documentazione presente nel fascicolo degli atti del procedimento emerge che:
La Signora L L, nata a P.D. il 25/__/1975 e residente a M, presentava “manifestazioni
eczematose localizzate alle gambe” nella primavera del 2010. Per tale
sintomatologia, la signora L si sottoponeva, nel giugno 2010, a visita dermatologica
presso l’IRCCS di XX, dove veniva visitata dal Dott. CC, dermatologo; alla paziente
venivano diagnosticate: “manifestazioni eczematose localizzate alle gambe
bilateralmente. In regione pretibiale destra sovra infezione di eczema in chiazze
essudanti”. Per tale diagnosi il dott. CC richiedeva l’esecuzione di patch test serie
SIDAPA e prescriveva la terapia comprendente Advatan (metilprednisolone cortisonico), Zitromax (antibiotico) e Pergamato di potassio.
A settembre del 2010 la paziente si sottoponeva, dapprima, ai test allergologici, che
risultavano positivi per: “alcoli della lanolina, nichel solfato, P-Fenilendiamina
(PFD)”, ed eseguiva, successivamente, una nuova visita dermatologica presso lo
stesso IRCCS. In seguito a tale visita un altro dermatologo dell’IRCCS prescriveva alla
Sig. L una terapia con “Flubason” (desossimetasone) per altri trenta giorni.
Il 2 dicembre del 2010, persistendo l’eczema e il prurito, la paziente eseguiva una
terza visita dermatologica con il Dott.re GG, presso l’Ospedale di XX. Alla signora L
veniva diagnosticata: “dermatite da contatto in fase desquamativa in paziente polisensibilizzata” ed era prescritta la seguente terapia con Adavatan
(metilprednisolone) e Zirtec (antistaminico).
Il 18 febbraio del 2011 la paziente per il persistente prurito si sottoponeva a nuova
visita dermatologica presso IDE con il dott.re BB che poneva la diagnosi di dermatite
allergica da contatto con prurito e richiedeva alla Sig. L l’esecuzione di esami
ematochimici, che la paziente eseguiva presso l’Ospedale XY. L’esame
emocromocitometrico della Sig. L, eseguito il 02/03/2011, presentava i seguenti
valori:” Emoglobina (Hb) = 13 gr/dL; Globuli Bianchi (GB) = 6600/mmc, la cui formula
leucocitaria mostrava una percentuale di Polimorfonucleati (PMN) pari al 68.4% e
una percentuale dei Linfociti pari al 15.4% (valore assoluto dei linfociti pari a
1016/mmc (vn >1100/mmc); IgE totali = 20 (vn < 100), Beta2 microglobulina = 1.5
mg/L (vn < 2.2); negativo l’esame coproparassitologico. Pertanto, dai suddetti esami
emergeva una lieve lìnfopenia. Alla Sig. L L veniva prescritto dai dermatologi un ciclo
di fototerapia.
Il 5 e il 25 maggio del 2011 la paziente, per il persistere della sintomatologia, si
sottoponeva presso l’Istituto XX a ulteriori visite dermatologiche con due
1
dermatologi, il dott.re GM e il prof. PP. Le diagnosi poste dai due dermatologi
furono: “prurito diffuso” e “eczema atopico con prurito in paziente
polisensibilizzata”, rispettivamente. Entrambi i dermatologi constatarono la
presenza di "prurito diffuso” ma non richiesero nessun accertamento. Alla paziente
veniva prescritto “Atarax” (idrossizina) 1/2 compressa tre volte al di.
A luglio del 2011, la Signora L L, per il persistere del prurito e in presenza di una
tosse stizzosa, consultava il dr. P, dermatologo di XA. Il dott. P raccoglieva
l’anamnesi della paziente e dopo la visita richiedeva alla paziente di eseguire una
radiografia (RX) del torace. L’esame radiografico eseguito il 9 luglio 2011
documentava la: "Presenza di voluminosa formazione solida espansiva che occupa
gran parte del campo polmonare di sn a partenza verosimilmente mediastinica.
Volumetria cardiaca non valutabile. Utile controllo TAC con mdc".
Il giorno 11/07/2011, la sig.ra L veniva sottoposta a Tomografia assiale
Computerizzata (TAC) total body con e senza m. d. c., da cui emergeva la presenza di
"Versamento pleurico antero-supero mediale a sinistra e parieto basale omolaterale.
Grossolana massa lobata di circa 15x10 cm, che occupa prevalentemente la regione
mediastinica anteriore sino alla linea giunzionale costo mediastinica sinistra
aderendo alla pleura della suddetta linea. Nodulazioni parenchimali
apparentemente distanti dalla massa tra 0,2 e 2,5 cm. Reperto compatibile con
eteroplasia linfonodale primitiva”.
La paziente veniva ricoverata il 18/07/2011 presso la divisione di Chirurgia toracica
dell'Ospedale XS per essere sottoposta a biopsia della massa mediastinica ed
eseguiva accertamenti emato-chimici in data 19/07/2011. L’emocromo
documentava una anemia (Hb =10,8 gr/dL), un modico aumento dei GB = 10350
associata a una grave linfocitopenia (L =320/mmc). Inoltre, si registrava una
riduzione della la protidemia totale (PT) pari a 5,0 gr/dL, associata a grave
ipoalbuminemia (Albumina = 2.35 gr/dL v.n. >3.5 gr/dL).
In data 20/07/2011 la sig. L veniva sottoposta a mediastinoscopia con biopsie
multiple della massa mediastinica e successivamente a drenaggio pleurico di 600 cc
di liquido sieroso. Il drenaggio veniva, nuovamente, ripetuto il 21/07/2011.
La paziente era sottoposta il 22/07/2011 all’esame di Tomografia con Emissione di
Positroni (PET) associata a TAC, la cosidetta PET/TAC, che documentava:” Estesa
area di intensa attività metabolica che occupa l’intera regione mediastinica e la
quasi totalità del campo polmonare sinistro (SUV max = 8,45)”. Il “SUV” è l’acronimo
di “Standardized Uptake Value” ed indica la misura semi-quantitativa dell’accumulo
del radiofarmaco nel tessuto. Il SUV è calcolato come la concentrazione di attività del
radiofarmaco PET in una regione di interesse corporea, normalizzata alla dose
somministrata al paziente e ad un parametro come il peso (Body-Weighted SUVSUV-BW) o la superficie corporea (Body-Surface Area – SUV-BSA) del paziente. La
misurazione del SUV può essere di grande utilità clinica in quanto permette di fornire
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informazioni di tipo prognostico e di valutare nel tempo l’evoluzione della malattia e
la sua risposta al trattamento [1-2].
La diagnosi istologica, formulata sulle biopsie mediastiniche, presso il Servizio di
Anatomia Patologica dell’Ospedale XE, recitava:” Gli aspetti morfologici ed
immnunoistochimici, descritti, verosimilmente da ascrivere alla terapia cortisonica
effettuata, pur indicando un processo linfoproliferativo, non consentono una
diagnosi differenziale tra linfoma di Hodgkin e linfoma non Hodgkin od a una
neoplasia istiocitaria”. La signora L si sottoponeva a biopsia osteomidollare il cui
referto, del 27/07/2011, era: “Midollo osseo emopoietico trilineare senza alterazioni
di rilievo. Quota CD30+ nella norma”.
Quindi, alla Sig.ra Sig L L, ricoverata dal 11/07/2011 presso L’Ospedale XE, i medici
diagnosticarono, sulla base degli esami istologici, un “Linfoma di Hogdkin”.
Dalla documentazione, presente nel fascicolo giudiziario, si rileva che il prof. XZ
richiedeva la revisione dei preparati istologici della Sig. L presso la U. O.
Emolinfopatologia di CC. Il referto della revisione, datato 09/08/2011, riportava la
seguente diagnosi: “Il materiale in esame appare fortemente gravato da artefatti da
relievo che lo rendono alquanto suboptimale per formulare una diagnosi di certezza.
Di questo si deve tener conto nella scelta terapeutica e, soprattutto nel follow-up
dalla pz. Provvedendo a una ripetizione del prelievo laddove non vi sia l’attesa
risposta al trattamento, le reattività osservate (considerando la presenza di cellule
CD30+ mitologicamente atipiche e l’assenza di sheets di elementi
CD20+/CD79A+/PAX5+) indirettamente contribuiscono a favorire un linfoma di
Hodgkin ad un linfoma non Hodgkin a grandi cellule B” firmato dott. XC – Prof. XV.
Il referto della revisione istologica confermò la diagnosi di un linfoma di Hodgkin
varietà classica, per cui la Sig. LL completava la stadiazione della malattia presso il
DH della Ematologia del CC. Lo stadio clinico del LH della paziente fu definito IB per:
1) l’assenza di linfoadenomegalie superficiali, 2) l’assenza di organomegalie, 3)
l’assenza di malattia linfoproliferativa nella biopsia osteomidollare (BOM), 4) la
presenza dei sintomi a carattere sistemico, quale il prurito intenso, le sudorazioni
notturne e il marcato dimagrimento degli ultimi sei mesi. Nella cartella clinica
dell'Ospedale CC, in data 04/08/2011, i medici curanti riportavano una dichiarazione
della paziente:” da segnalare la presenza di prurito intenso, generalizzato, insorto
nel gennaio dello stesso anno e associato a sudorazioni profuse notturne,
dimagrimento e tosse secca stizzosa”.
Gli ematologi del CC programmarono di avviare a trattamento con chemioterapia
(CHT), secondo lo schema ABVD-10 la Sig. LL affetta da Linfoma di Hodgkin stadio
clinico IB bulky mediastinico, con probabile interessamento pleuro-polmonare
sinistro per contiguità.
Dalla documentazione, presente nel fascicolo giudiziario, non risulta che la Sig. L L
sia stata informata dai medici del XX sui rischi e benefici della suddetta CHT e abbia
sottoscritto il consenso informato.
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In data 11/08/2011, previa apposizione di catatere venoso centrale (CVC) tipo PCC;
la paziente iniziava la CHT secondo lo schema ABDV-10 per complessivi sei cicli.
La paziente, dopo i primi 2 cicli di CHT, eseguiva il 23/09/2011, presso l’Ospedale XZ
una PET/TAC, che documentava “la persistenza di area di aumentata attività
metabolica in corrispondenza della regione mediastinica antero-superiore sn (SUV
max 4.91 vs 8.65 del precedente esame)”. Da segnalare la lenta scomparsa del
prurito.
La paziente veniva avviata ad altri due cicli di CHT, schema ABVD-10 ed in data
28/09/2011, iniziava il III° ciclo di CHT, eseguita presso l'Oncologia dell’Ospedale XX.
In data 18/10/2011, la paziente iniziava il IV° ciclo di CHT, secondo lo schema ABVD10 e le veniva prescritto una terapia con fattore di crescita granulocitaria (Filgrastim
1 fl s.c./die per 7 gg) per il trattamento della neutropenia febbrile da chemioterapia.
Dopo il quarto ciclo di CHT, schema ABVD-10, la paziente eseguiva, in data
12/11/2011, presso la Casa di Cura TT una TAC torace con mdc, il cui referto
riportava: “si apprezza grossolana formazione espansiva a sin di circa 102x90 mm sul
piano assiale, che sembra originare dalla porzione anterosuperiore del mediastino ed
occupa il parenchima polmonare medio superiore di sn.”
La paziente, dopo gli ultimi due cicli di ABVD-10, eseguiva una ulteriore TAC, in data
6/01/2012, presso l’ospedale dei NN; la TAC documentava la “presenza di una
massa che occupa il mediastino anteriore con dimensioni attuali di 6x9 cm. dia
trasverso e 13 cm di dia longitudinale”. La PET/TAC, eseguita il 18/01/2012, al
termine della CHT (sei cicli di ABVD-10), presso l’Ospedale NN, documentava: “la
persistenza di attività metabolica nella regione mediastinica sn con un SUV max di
10.43 vs 4.91 del precedente del 23/09/2011”.
La relazione del reparto di Oncologia del NN documenta che i medici curanti la Sig.
LL erano arrivati alla conclusione di trovarsi di fronte a una progressione di malattia
per cui:” Il nostro orientamento è terapia di seconda linea IGEV con successivo
PSCT”.
La paziente, in virtù della propria residenza a MM, decideva di essere seguita in un
altro centro. La Sig.ra LL veniva ricoverata il 02/02/2012 presso l'Ospedale ZC, dove
veniva rivalutata la diagnosi di Linfoma di Hodgkin per cui eseguiva una nuova
biopsia della massa mediastinica. Il referto istologico della biopsia mediastinica del
febbraio 2012 riportava quanto segue:” il reperto appare compatibile con
localizzazione mediastinica di linfoma di Hodgkin, tipo classico, varietà a deplezione
linfocitaria”. Pertanto, sebbene si riconfermasse la diagnosi di LH, si documentava
una progressione della malattia da un punto di vista istologico.
La sig. LL firmava, in data 16/02/2012, il consenso informato al protocollo ONC2010-002 dal titolo "Studio di fase II con Bendamustina, Gemcitabina e Vinorelbina
(BeGEV)" come terapia di induzione alla chemioterapia ad alte dosi con supporto di
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cellule staminali autologhe in pz affetti da Linfoma di Hodgkin refrattari o recidivanti
al trattamento di prima linea.
L’iter diagnostico al NN si completava il 17/02/2012 con il referto della biopsia
osteomidollare. Il referto recitava: “Biopsia osteomidollare della lunghezza di cm 1.3
prevalentemente costituita da corticale ossea con rapporto di tessuto
adiposo/tessuto emopoietico pari al 50/50%. Serie emopoietiche nella norma.
Presenza di rari linfociti a fenotipo sia B che T”. Infine, la TAC del torace, eseguita il
27/02/2012, presso l'Ospedale NN, documentava:” A livello del mediastino anteriore
si conferma estesa e voluminosa massa mediastinica, a densità disomogenea che
presenta sviluppo caudale lungo la limitante pleurica mediastinica di sn e che occupa
lo spazio paracardiaco sn dei diametri assiali di 9.8 x 9.8 cm con estensione
longitudinale di 12 cm. Tale formazione determina il dislocamento posteriore delle
strutture bronchiali del lobo superiore della lingula e del lobo inferiore che
presentano netta riduzione di calibro con conseguente atelettasia parziale del lobo
superiore e della lingula. Risulta indissociabile dalla parete sinistra dell’arco aortico e
del tronco comune della arteria polmonare, dalle strutture vascolari ilari sn, ove si
osserva aspetto fìlilorrne del lume dell’arteria lobare superiore pervia. Minimo
versamento pleurico declive a sinistra”.
Gli ematologi del NN rivalutavano anche la TAC eseguita prima dell’inizio della CHT
(ABVD-10) per la definizione dello stadio clinico della malattia della Sig. L prima di
qualsiasi CHT. Gli ematologi del NN giunsero alla conclusione che lo stadio iniziale
della malattia della Sig. L L fosse il IV B e non il I B, dal momento che in assenza di
biopsie pomonari e pleuriche, che dimostrassero la non infiltrazione dei suddetti
tessuti da parte di tessuto linfomatoso, era più logico consisiderare il tessuto
pleurico e/o polmonare sede di malattia.
La paziente, pertanto, veniva arruolata nel protocollo FIL ONC 2012-02 che
prevedeva il seguente schema di CHT: BeGEV per 2 cicli (fosfamide sostituita da
bendamustina al dosaggio di 90mg/mq. nei giorni 2 e 3). Dopo il I ciclo di tale CHT la
paziente sarebbe stata sottoposta a procedura di aferesi per la raccolta di cellule
emopoietiche progenitrici, da utilizzare, successivamente, per un eventuale terapia
sovramassimale seguita da infusione di progenitori emopoietici autologhi
La paziente LL con diagnosi di Linfoma di Hodgkin stadio IV° B veniva avviata a CHT
secondo schema BeGEV e in data 29/02/2012 veniva sottoposta a raccolta di cellule
emopoietiche progenitrici circolanti per trapianto autologo. La paziente riferiva,
nella visita del 07/03/2012, ai medici curanti la persistenza di prurito intenso e
veniva avviata al secondo ciclo di CHT secondo schema BeGEV.
In data 12/03/2012 la paziente presentava febbre serotina, che veniva, inizialmente,
interpretata come reazione all’infusione della Gemcitabina e solo, successivamente,
veniva inquadrata come dovuta alla malattia linfomatosa.
La paziente eseguiva, presso l’Ospedale NN, il 27/03/2012, una TAC total body per
valutare la risposta clinica alla CHT; da tale esame emergeva che: “la nota
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voluminosa massa mediastinica a densità disomogenea, indissociabile dalle limitanti
pleuriche mediastinica e costale, dalle strutture vascolari dell’ilo sn. (Estensione
cranio caudale dall'’pice polmonare fino in sede sovradiaframmatica circa 14 cm, con
diametri trasversi massimi di circa 12.0 x 8.7cm). Evidente versamento pleurico.”
Nell’aprile 2012 la Sig. L dopo un ulteriore TAC total body che dimostrava la
persistenza/progressione della malattia veniva avviata a CHT secondo lo schema ICE
a cui non rispondeva. Pertanto la paziente veniva avviata a Radioterapia (RT) con
irradiazione della massa mediastinica con 30 Gy; la RT era somministrata in dieci
sedute dal 18/04/2012.
Dal 11/05/2012 la paziente veniva sottoposta nuovamente a CHT secondo lo schema
BEACOPP, a cui sembrava rispondere come documentato, il 23/05/2012, da una
Radiografia del Torace, che evidenziava una riduzione della massa mediastinica
rispetto all’esame radiografico di due settimane prima.
Tuttavia, la TAC total body del 15/06/2012, sebbene documentasse la parziale
regressione della nota massa mediastinica, mostrava la comparsa di una nuova
massa in sede mediastinica inferiore delle dimensioni di 5.5x4.0x7.0 cm.
Sulla base di tale reperto, gli ematologi del NN concludevano che vi era una
progressione di malattia in una paziente chemio-radioresitente.
La sig. LL aveva eseguito a MM, durante i mesi della CHT, una tipizzazione HLA
nell’ipotesi della necessità di un approccio trapiantologico di tipo allogenico e la
sorella Vi. era risultata aploidentica.
In data 20/06/2012 veniva illustrato alla paziente e ai familiari il quadro di chemio e
radio-refrattarietà della malattia e l'assenza di ulteriori trattamenti chemioterapici a
scopo eradicante; in seguito ad una discussione collegiale del caso la paziente veniva
quindi inviata presso l'Ospedale SR per valutare la possibilità di un eventuale
trapianto allogenico da donatore familiare aploidentico, che veniva effettuato in
data 09/07/2012.
L’insorgenza di una infezione polmonare e di episodi di shock settico non responsivi
ai trattamenti antibiotici complicavano l’andamento post-trapiantologico e in data
27.07.2012 avveniva il decesso della paziente Sig. LL.
Il referto del decesso riportava:” shock settico in paziente affetta da Linfoma di
Hodgkin, variante classica, non responsiva a trattamento radio e chemioterapico”
Epicrisi:
Prima fase
La storia clinica della Signora LL è iniziata nel giugno del 2010 quando la paziente si
rivolgeva a un dermatologo che poneva la diagnosi di “manifestazioni eczematose
localizzate alle gambe bilateralmente”, per cui prescriveva terapia cortisonica e
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antiistaminica per trenta giorni e prescriveva l’esecuzione di pach tests. La terapia
cortisonica veniva prescritta e riconfermata anche nel settembre e nel dicembre
2010, quando la paziente veniva visitata da altri dermatologi.
E’ buona norma clinica che la prescrizione del cortisone, anche se in pomata e ad
uso topico, avvenga dopo un percoso diagnostico che escluda la presenza di una
patologia linfoproliferativa perché il cortisone è un farmaco linfocitolitico; la
somministrazione del cortisone può determinare non solo una resistenza della
malattia al farmaco ma anche una progressione della malattia linfoproliferativa,
sebbene riduca la sintomatologia della malattia.
In presenza di una sintomatologia caratterizzata da eczema e prurito resistente a
trattamenti, i colleghi dermatologi dovrebbero ricordarsi che è mandatario nella
“good clinical practice” eseguire una diagnostica differenziale tra patologia
dermatologica e patologia linfoproliferativa come il linfoma di Hodgkìn. Infatti dopo
il primo approccio terapeutico a base di cortisone e antistaminici, per la persistenza
e l’aggravarsi dei sintomi della Sign. L L, i dermatologi dovevano ricordarsi che il
prurito è un sintomo principale del linfoma di Hodgkin.
Nessuno dei dermatologi aveva visto il film “Caro diario” di Moretti del 1993 !!.
La letteratura scientifica dermatologica, già dal 2006, suggeriva il comportamento
da seguire in caso di eczema associato a prurito, come riportato dalla dott. M
Rubestein sul International Journal Dermatology (3). In tal articolo si affermava che
le manifestazioni cutanee quali eczema e prurito devono sempre considerarsi
paraneoplastiche e veniva riportata l’esperienza del MD Anderson di Houston (USA)
nella diagnostica di linfoma di Hodgkin associato a manifestazioni cutanee. L’articolo
concludeva che:” sebbene il prurito sia il più comune e riconoscibile segno presente
all’esordio del linfoma di Hodgkin, la comparsa di eczema deve essere considerata
come un avvertimento che merita ulteriori accertamenti. Pertanto i pazienti con un
prurito esordito in età adulta dovrebbero essere valutati per un possibile linfoma di
Hodgkin con la valutazione delle stazioni linfonodali, un esame
emocromocitometrico e un RX del torace” (3).
La diagnosi di LH necessita di una visita medica con esame obiettivo, esami
strumentali quali una radiografia del torace, associata alla valutazione di esami
come LDH, beta-2 microglobulina, suggestivi di malattia linfoproliferativa. Inoltre, i
parametri dell’esame emocromocitometrico, quali il valore dell’emoglobina e del
numero assoluto dei linfociti, alterati in una fase avanzata di malattia, analogamente
al protidogramma, alla VES e alla PCR, che sono parametri utili non solo ai fini
dignostici ma anche prognostici.
I dermatologi che ebbero in cura la Sig.ra LL non solo non si sono attenuti a questa
regola, prescrivendo gli esami necessari per dirimere il dubbio diagnostico, ma non
si sono neppure avvalsi di consulenze internistiche per escludere l’esistenza di una
patologia paraneoplastica o linfoproliferativa in stadio iniziale. Fin dal gennaio 2011
la Sig. LL accusava “prurito diffuso associato a sudorazione notturna e tosse
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stizzosa” come risulta dalla dichiarazione fatta, nell’agosto 2011, dalla stessa
paziente ai medici dell’Ospedale XE, e riportata nella cartella clinica.
A tale proposito si ricorda che l’insorgenza dei sintomi sistemici in un paziente con
diagnosi di linfoma di Hodgkin riduce al 60% le probabilità di sopravvivenza a 5 anni
come era stato riportato da Brusamolino et al. ( 4).
La signora L consultava un altro dermatologo che prescriveva, per la prima volta, nel
febbraio 2011, l’esecuzione di esami tra cui la beta2-microglobulina, che risultava
nei limiti della norma e l’esame emocromocitometrico, da cui emergeva una
modesta riduzione del numero assoluto dei linfociti ma non veniva richiesta la
Radiografia del torace. La paziente per il persistere della sintomatologia pruriginosa
consultava altri dermatologi di strutture accreditate con il Servizio Sanitario
Regionale della Regione Lombardia. I dermatologi, consultati nel maggio 2011, per il
persitente ed incontrollabile prurito continuarono a prescrivere la terapia steroidea
e, mai, nessuno di essi diede indicazione per l’esecuzione di indagini come una
radiografia del torace o una tomografia assiale comuterizzata total body.
Soltanto nel luglio 2011, alla Sig. L veniva diagnosticata la patologia neoplastica in
seguito a visita specialistica con un dermatologo di NN. Il collega, in considerazione
dei sintomi già esistenti da tempo e riferiti dalla paziente, prescriveva una
radiografia del torace, che documentava la presenza di una massa mediastinica di
15x10 cm. La paziente veniva indirizzata all’Ospedale MN per eseguire l’esame
istologico della massa medistinica.
Si può ragionevolmente ipotizzare che una massa mediastinica di 15x10 cm. non
fosse insorta improvvisamente ma si era sviluppata in un arco temporale di sei-nove
mesi. Con ragionevole certezza possiamo sostenere che i mancati accertamenti
diagnostici da parte dei dermatologi consultati da settembre 2010 fino a maggio
2011 hanno ridotto le probabilità di cura di oltre il 40%; inoltre, il continuo
trattamento cortisonico, prescritto dai suddetti dermatologi, ha determinato sia la
resistenza farmacologica e sia la progressione della malattia riducendo le probabilità
di sopravvivenza a 5 anni del 45%.
Con ragionevole certezza possiamo ipotizzare che la malattia sia passata nell’arco
temporale settembre 2010 -->maggio 2011, da uno stadio iniziale I° B, per la
presenza di sintomi (prurito), a uno stadio IV B, come correttamante diagnosticato
dagli ematologi dell’Ospedale Niguarda di Milano. Tale progressione di malattia ha
ridotto del 40% le probabilità di guarigione.
2) Seconda fase
Nel luglio 2011, dopo oltre 12 mesi di visite dermatologiche per prurito persistente e
di terapia cortisonica prescritta dai dermatologi consultati, alla Sig. LL veniva
diagnosticata un Linfoma di Hodgkin (LH) varietà classica.
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La diagnosi di LH era stata, soprattutto, una diagnosi di esclusione dal momento che
i colleghi anatomo-patologi deIl’Ospedale MN avevano incontrato delle difficoltà
nella diagnosi istologica a causa delle alterazioni tissutali indotte dal trattamento
corticosteroideo, prescritto, per il prurito, dai dermatologi che avevano avuto in
cura la Sig. L, dal giugno 2010. La diagnosi di esclusione aveva suggerito agli
ematologi del CC l’opportunità di un consulto con il prof. P, emerito linfopatologo
dell’Opedale BB. Il referto del Servizio di Emolinfopatologia dell’Ospedale di BB
riportava: “Le reattività immunoistochimiche indirettamente contribuiscono a
favorire un Linfoma di Hodgkin varietà classica rispetto ad un linfom non Hodgkin a
grandi cellule B”.
Lo stadio della malattia della Sig. LL dai colleghi ematologi del CC fu valutato,
nell’agosto 2011, come stadio I° B con Bulky mediastinico. Tuttavia, a nostro parere,
l’assenza delle biopsie del tessuto polmonare o dei foglietti pleurici non consentiva
di definire come I° B lo stadio della malattia della Sig.ra L. La sola stadiazione
radiologica ha sottostimato lo stadio reale della malattia, giudicata ad uno stadio
inferiore di quello reale, perché la massa bulky mediastinica è stata ritenuta
contigua ma non infiltrante nè la pleura né il tessuto polmonare.
Al contrario, a nostro parere, l’assenza delle biopsie del tessuto polmonare o dei
foglietti pleurici giustificava una diversa stadiazione della malattia, che doveva
essere considerata come stadio IV° B per verosimile interessamento polmonare e
pleurico.
La Sig. LL con la diagnosi di LH allo stadio I° B veniva avviata a chemioterapia (CHT)
utilizzando lo schema terapeutico ABVD-10.
Le linee guida della Società Italiana di Ematologia (SIE) 2009 indicavano lo schema
ABVD (5) come quello elettivo e valido per lo stadio della malattia (4).
Tuttavia, è clinicamente discutibile aver utilizzato lo schema di CHT “ABVD-10”,
schema modificato nei tempi rispetto a quello originale (ABVD); dal momento che lo
schema ABVD-10 era privo di una validazione scientifica internazionale. Inoltre, la
paziente è stata sottoposta al suddetto schema di CHT senza che la stessa paziente
fosse stata informata dei rischi e benefici di tale CHT sottoscrivendo il consenso
informato. Se alla paziente fosse stato sottoposto un consenso informato da
firmare, gli ematologi del CC avrebbero dovuto dichiarare nel testo le motivazioni
della scelta dello schema di CHT.
Qualora gli ematologi del CC avessero avuto delle perplessità sulla efficacia dello
schema ABVD classico, che prevede due sommistrazioni di antiblastici ogni 14 giorni
nei 28 giorni del ciclo per sei cicli, in una paziente come la Sig. L, per la pregressa e
protratta esposizione al cortisone, non solo dovevano informare la paziente ma
sollecitare un consulto con terzi.
Inoltre, anche nel caso in cui la paziente fosse stata valutata ad un stadio diverso e
maggiore del I B, proporre alla paziente un regime di CHT diverso dall’ABVD e più
intensivo come il BEACOPP, non avrebbe avuto adeguate motivazioni, dal momento
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che i dati scientifici non dimostravano la maggiore efficacia del suddetto protocollo,
sia in termini di risposta alla CHT sia di sopravvivenza libera da malattia, rispetto
all’ABVD. Infatti, i dati scientifici disponibili all’epoca, riportavano una equivalenza
tra la CHT secondo lo schema ABVD classico, ciclo ogni 28 giorni e la CHT secondo lo
schema BEACOPP (6).
Ancora più critica è la valutazione sulla gestione clinica della paziente Sig. L durante
la CHT. In genere, gli ematologi richiedono ai pazienti con LH, sottoposti a CHT,
l’esecuzione di indagini quali la TAC o la PET/TAC, per valutare la risposta conseguita
in diverse fasi della CHT, in modo da poter modificare il prosieguo della terapia.
Secondo le linee guida del 2009 della Società Italiana di Ematologia, si riteneva che
un paziente, affetto da LH avesse ottenuto la risposta parziale (RP) qualora la
riduzione della massa di malattia fosse stata di circa il 50% (il volume calcolato come
il prodotto dei diametri). Inoltre, già nel 2011, era considerato un criterio di risposta
alla CHT la positività della PET dopo i primi due cicli di ABVD, per cui diversi
protocolli consideravano la persistenza di positività della PET come condizione
sufficiente per modificare la terapia (7-8).
Gallamini aveva riportato in un lavoro che diversi centri ematologici italiani, aderenti
al Gruppo Italiano Terapie Innovative nei linfomi (GITIL), avevano deciso fin dal 2006
di sviluppare un programma di lavoro che prevedeva di avviare il 50% dei patienti
con diagnosi di LH e con PET-positiva dopo due cicli di ABVD a terapia di salvataggio
con BEACOPP (BJH 2011; 152 pag. 557). Sulla base dei dati di tale programma, lo
studio di Gallamini dimostrava che il risultato della PET-2 (eseguita dopo due cicli di
ABVD) è, in analisi mutivariata, l’unico fattore prognostico associato con la
sopravvivenza libera da malattia. Nello stesso studio si dimostrava che i pazienti con
PET-2 positiva, avviati dopo il secondo ciclo di CHT a terapia con BEACOPP, avevano
il 65% di probabilità di sopravvivenza libera da malattia a quattro anni. Inoltre, nei
casi in cui la PET-2 era stata erroneamente considerata negativa, per cui la CHT non
era stata sostituita con una CHT di seconda linea come il BEACOPP, i pazienti
avevano presentato una progressione di malattia o una recidiva precoce in un
tempo mediano di 7 mesi. (7).
Nel caso della Sig. LL, risulta incomprensibile la motivazione per cui gli ematologi del
CC, che avevano sottoposto la paziente a PET/TAC prima dell’inizio della CHT, non
abbiano tenuto conto del risultato della PET eseguita dopo i primi due cicli di CHT.
Tale comportamento risulta ancora più incomprensibile alla luce della scelta di
sottoporre la paziente allo schema di CHT, ABVD-10 ritenuto più aggressivo, a loro
giudizio, rispetto al classico ABVD. Non è accettabile la giustificazione che la durata
dei due cicli di ABVD-10, pari a 42 giorni, era più breve rispetto a quella necessaria
(paria a 56 giorni) per due cicli di ABVD classico, perché l’efficacia di una CHT non è
in funzione solo del tempo ma della specificità dei farmaci, della dose dei farmaci
stessi, della sensibilità e/o chemio resistenza della malattia ai farmaci utilizzati. Nello
schema ABVD-10 i farmaci utilizzati erano gli stessi di quelli usati nell’ABVD classico;
10
la differenza nella tempistica di somministrazione dell’ABVD-10 avrebbe potuto
aumentare la tossicità della CHT, riducendo, forse, la chemio-resistenza della
malattia. Il riscontro di una PET positiva dopo il 2 ciclo di CHT come l’ABVD-10
avrebbe dovuto indurre i medici del CC a considerare la malattia della Sig. L
resistente e non responsiva allo schema ABVD-10 e avviare la paziente ad altro
schema di CHT.
L’attenzione dei medici del CC nella valutazione della risposta della Sig.ra L L alla
CHT, quale l’ABVD-10, doveva essere, ancora, più elevata dal momento che tale
schema di CHT era privo di una pubblicistica internazionale sull’efficacia e sulla
tossicità rispetto al classico ABVD, che, al contrario, aveva oltre trenta anni di
sperimentazione e di pubblicistica. In presenza di una PET-2 positiva, i colleghi del
CC di dovevano avviare la sig.ra L, affetta da LH con fattori prognostici negativi e
pretrattata con cortisone, ad un schema di chemioterapia di seconda linea come il
BEACOPP o IGEV, perché solo così facendo la paziente aveva ancora una probabilità
di sopravvivenza libera da malattia pari al 65%.
Nonostante, i dati della letteratura scientifica internazionale indicassero la necessità
di iniziare una CHT più aggressiva sulla base della PET-2 positiva, i medici del CC
decidevano che la paziente L L doveva proseguire la stessa CHT e veniva avviata ad
altri due cicli di ABVD-10. Dopo il IV° ciclo di ABVD-10, la paziente eseguiva il
12/11/2011, una nuova TAC del torace, che evidenziava la persistenza della massa
mediastinica, che risultava di 10,2x9,0 cm.
Sulla base delle linee guida della SIE (4) la valutazione della risposta alla CHT della
Sig. LL non poteva essere valutata in Risposta Parziale (RP) perché le dimensioni
della massa passavano da 15,0x10,0 cm a 10,2x9,0 cm (150 vs 92) quindi la riduzione
era nettamente inferiore al 50%. Alla fine del IV ciclo di CHT la malattia della Sig. L L
poteva e doveva essere considerata come:” Malattia Stabile”. Pertanto, la sig. L
doveva essere considerata resistente alla CHT seguita fino a quel momento e i
medici dovevano avviare la paziente a una diversa CHT di II linea. I colleghi
dell’Ospedale CC per la seconda volta non tenevano conto dei risultati delle indagini
strumentali, PET e/o TAC, che loro stessi avevano prescritto, e decidevano di
sottoporre la signora L L ad altri due cicli di CHT secondo lo schema ABVD-10, che si
era dimostrato inefficace.
Nel fascicolo degli atti del procedimento, non è presente alcun documento che
riporti se vi sia stata una valutazione, individuale o collegiale, da parte dei colleghi
del CC, curanti la Sig. L L sulla risposta alla CHT, schema ABVD-10, né alla fine del II°
ciclo né alla fine del IV ciclo.
Pertanto, è spontaneo dire che: “Errare human est, perseverare est .”
Soltanto nel gennaio 2012, quando ulteriori esami TAC e PET mostrarono la
progressione della malattia, i medici dell’Ospedale CC di ipotizzarono la opportunità
di una nuona CHT di seconda linea come lo schema IEV.
11
Terza fase
La paziente si recava a febbraio 2012 presso l'ospedale NM e veniva sottoposta a un
percorso di rivalutazione diagnostica della malattia, per cui eseguiva una biopsia
mediastinica il cui esame istologico, pur confermando la diagnosi di LH,
documentava una diversa istologia, prognosticamente più infausta.
Gli ematologi dell’Ospedale NM, nella revisione della documentazione fornita dalla
paziente, ipotizzarono, giustamente, che, all’esordio, la malattia della Sig.ra L L fosse
allo stadio IV B dal momento che l’assenza delle biopsie del tessuto polmonare o dei
foglietti pleurici non consentiva di escludere una localizzazione di malattia a livello
polmonare e/o pleurico,
La Sig. L L veniva arruolata dagli ematologi milanesi nel protocollo FIL ONC-20
(studio sperimentale che prevedeva una modifica di II° linea denominata IGEV con la
bendamustina al posto dell'ifosfamide).
La decisione dei colleghi milanesi è coerente con le linee guida SIE, che prevedono,
con una raccomandazione di grado B, l'esecuzione di una seconda linea per questi
casi consistente in IGEV oppure ICE oppure DHAP seguiti da autotrapianto.
E’ discutibile la scelta operata dai colleghi ematologi di arruolare una paziente come
la Sig L in un protocollo sperimentale, nel quale un farmaco l’lfosfamide veniva
sostituito dalla bendamustina, dal momento che, all’epoca, non vi erano dati certi,
in letteratura, sulla maggiore efficacia di tale associazione rispetto allo schema
BEACOPP escalation. Quest’ultimo schema aveva, invece, una validazione scientifica
internazionale, soprattutto nei pazienti che si erano dimostrati resistenti a
precedenti schemi di CHT.
Dopo due cicli la paziente dimostrava ulteriore progressione di malattia per cui la
paziente veniva avviata, nell’aprile 2012, a diverso schema di CHT, schema ICE, a cui
la paziente non presentava alcuna risposta clinica. Sebbene l'utilizzo dell'ICE fosse
plausibile, forse, sarebbe stato più condivisibile la scelta di una CHT sequenziale
intensificata e a dosi progressive come il BEACOPP escalation. I colleghi del NM
tentavano un approccio radioterapico a cui la paziente non presentava risposta per
cui decidevano di iniziare la CHT secondo lo schema BEACOPP. Dopo una iniziale
risposta con la riduzione della nota massa mediastinica la Sig. L presentava una
progressione di malattia con la comparsa di una nuova massa mediastinica in
posizione caudale rispetto alla precedente. I colleghi del xxx decidevano di proporre
alla paziente una chemioterapia sovramassimale seguita da trapianto aploidentico,
utilizzando la sorella V. come donatrice delle cellule progenitrici midollari.
Le complicanze infettive insorte nel immediato post-trapianto determinarono lo
shock settico causa del decesso della Sig. LL.
12
CONCLUSIONI MEDICO-LEGALI
La storia clinica della sig.ra L L è una storia che non dovremmo più ascoltare dal
momento che il Linfoma di Hodgkin (LH), da oltre venticinque anni, è considerata
una malattia curabile nel 95% dei casi e guaribile in oltre l’80% dei casi con follow-up
di venti anni (4). Tali dati sono osservati soprattutto nelle coorti di pazienti che
hanno una diagnosi precoce e nei casi in cui l’uso di chemioterapie (CHT) eradicanti
quali l’ABVD o il BEACOPP, sia combinato con l’uso intelligente di strumenti
diagnostici quali la TAC. Tali percentuali sono ulteriormente migliorate nell’ultimo
decennio con l’introduzione della PET. Infatti la validazione scientifica della PET sia
da un un punto di vista diagnostico che prognostico hanno consentito di disegnare
gli algoritmi decisionali che permettono di ottenere una percentuale di Remissione
Completa pari al 65% anche in quei casi di LH, considerati resistenti o poco sensibili
alla chemioterapia di prima linea.
La successione degli eventi negativi a cui è andata incontro la Sig. L è stata
determinata, inizialmente, dalla mancata diagnosi da parte dei dermatologi dei
diversi Ospedali di NM: la paziente era sintomatica fin dalla prima visita, effettuata
in data 09.06.2010; dal gennaio 2011 all’iniziale sintomo del prurito si associavano la
febbre serotina e la sudorazione notturna (due ulteriori segni del LH). La diagnosi di
LH fu posta soltanto nel luglio del 2011. Le possibilità di guarigione sono state
ridotte al 60% per la progressione della malattia osservata dal gennaio al luglio
2011.
Pertanto, i dermatologi sono imputabili di grave imperizia e negligenza per non
essere stati in grado di porre la diagnosi di LH o di sospettare una neoplasia.
Successivamente, la gestione clinica della paziente da parte degli ematologi
dell’Ospedale CC è stata negligente e superficiale; tale gestione è stata
determinante per l’esito infausto della storia clinica della Sig. L L. I medici del CC, che
ebbero in cura la Sig. L L, sono imputabili di grande imprudenza per aver sottoposto
a CHT la paziente senza che questa fosse informata sul percoso terapeutico e avesse
sottoscritto il consenso informato.
I colleghi ematologi del CC sono imputabili di grave negligenza perché per ben due
volte non hanno tenuto conto degli esami che essi stessi avevano prescritto quali la
PET dopo il II° ciclo di CHT e la TAC dopo il IV ciclo e non hanno iniziato una CHT più
aggressiva di quella già in uso al momento dell’indagine strumentale. Se gli
ematologi del CC avessero tenuto conto, soprattutto, della PET eseguita dopo il 2°
ciclo di ABVD-10, la storia clinica della paziente, con altissime probabilità sarebbe
stata molto diversa.
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La imprudente e negligente gestione clinica della paziente effettuata dagli ematologi
del CC hanno determinato la progressione della malattia, riducendo a meno del 10%
le probabilità di sopravvivenza a 5 anni della sig.ra L, che invece avrebbe potuto
avere una probabilità, pari al 65%, di sopravvivenza a 5 anni libera da malattia, se
fosse stata avviata a terapia con BEACOPP dopo la PET eseguita dopo il secondo
ciclo di CHT schema ABVD-10.
Per quanto riguarda il comportamento degli ematologi del NM riteniamo che sia
stato eticamente discutibile la scelta di sottoporre la Sig. L ad un protocollo
sperimentale prima di eseguire un protocollo scientificamente già validato, come il
BEACOPP. A nostro parere riteniamo, tuttavia, che tale scelta abbia inciso in
maniera marginale sull’exitus della Sig. L L, dal momento che le probabilità di
risposta alla terapia di un paziente affetto da Linfoma di Hodgkin che ha presentato
una progressione di malattia durante la prima CHT sono circa il 10%. Le probabilità
di risposta alla terapia e di sopravvivenza libera da malattia a cinque anni della Sig. L
erano inferiori al 10% già al momento del suo ricovero al xxx nel febbraio 2012.
Il CTU
31/08/2016
Prof. AA
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