Dàmmela - ExCogita

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Dàmmela
L’avevo capito quasi subito. Erano bastate poche parole per avere la quasi certezza che quella sera non
me l’avrebbe data.
«Perché?» chiesi a bruciapelo.
Lei mi guardò appena.
«Non ne ho voglia…» rispose strandosi languidamente sul divano.
«E se t obbligassi a farlo?» la incalzai.
Sembrò rifetere per qualche atmo.
«Ti lascerei fare, naturalmente…» disse sotovoce «…ma non oterrest ciò che vuoi. Non è facile come
pensi.»
Abbassai lo sguardo e piantai le unghie nella stofa della poltrona per tratenere la mia frustrazione.
«Non posso costringert» ribatei. «Ma saremmo in due a perderci, non solo io.»
Dischiuse le labbra in una specie di sorriso.
«Questo è quello che pensi tu. Io…»
Un rumore improvviso bloccò a metà la frase. Mi guardò con uno sguardo accusatore, poi girò la testa e
fssò la porta chiusa della stanza in atesa di qualcosa che però non accadde.
«Siamo soli in casa» la rassicurai. «Non temere…»
Tornò a guardarmi.
«Non ho paura. Nemmeno delle sorprese inaspetate» rispose.
Lasciai trascorrere ancora qualche atmo.
«Dammela, t prego…» la implorai infne. «Sai che dopo…»
«No» m’interruppe decisa. «È roba mia e, se la devo dare a qualcuno, la do a chi voglio io.»
«Non puoi farmi questo!» gridai alzandomi in piedi. «Non è giusto… Non puoi lasciarmela vedere,
lasciarmela sospirare e poi negarmela!»
Lei rise piano a quello sfogo improvviso.
«Sei proprio come un bambino capriccioso davant alla caramella» afermò. «La vuoi solo perché, con
l’istnto del maschio dominatore, sei convinto che averla sia un tuo dirito.»
«No…» ribatei scuotendo la testa. «La voglio perché non posso farne a meno… e tu non puoi…»
«No?» s’inalberò lei. «Non posso, dici? Posso, invece, perché è giusto così: sono io che decido per il sì o
per il no. E non sei certo tu che puoi impedirmelo. E adesso…» aggiunse cambiando tono « …adesso
dimmi che la vuoi, dimmelo ancora…»
Sentvo che stavo cominciando a tremare, sentvo la rabbia montami dentro, ma riuscii a tratenermi.
«Dammela… dammela, t prego…»
Lei alzò le spalle con un gesto sbarazzino.
«Non mi basta… devi essere più convincente. Prometmi qualcosa in cambio.»
In quell’istante passò davant ai miei occhi l’immagine di un’altra donna, quella che, ignara di quanto
stava accadendo in quella stanza, mi aspetava con impazienza e con fducia. Ma scacciai la visione.
«Io… io farò tuto quello che vorrai…» biascicai confuso.
«Tuto?» chiese lei. «Sei sicuro?»
«Sì, tuto…» confermai.
Mi osservò piegando la testa su una spalla, poi si guardò atorno e quindi tornò a posare lo sguardo su di
me.
«Va bene» acconsent. «Ma solo per questa volta e questa volta potrebbe essere l’ultma.»
«D’accordo» risposi in freta tendendole una mano.
Lei guardò a lungo il palmo rivolto verso l’alto. Quindi con un gesto lento allungò il braccio fno a che il
suo pugno fu sopra la mia mano. Quando allentò la streta e la chiave della macchina cadde fra le mie
dita tese senti il freddo dell’acciaio quasi mutare in calore rovente.
Mia sorella è fata così: un po’ dolce e un po’ crudele. Le piace vedere in chiunque la circondi, anche in
me, la piena dipendenza dalle sue parole, dalle sue decisioni. C’è una punta di sadismo, in lei, che ha
bisogno di essere accontentata.
Marisa mi aspetava a casa, come mi aveva promesso, e, come io le avevo promesso, sarei andato da lei
quella sera. A trenta chilometri da Milano, dove abitavo io. Ma quell’accidente di nostro padre l’aveva
regalata a mia sorella, la macchina, non a me: a quell’epoca io non avevo ancora preso la patente.
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